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Document 62002CC0284

Conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed del 27 aprile 2004.
Land Brandenburg contro Ursula Sass.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesarbeitsgericht - Germania.
Politica sociale - Lavoratori di sesso maschile e femminile - Art. 141 CE - Parità di retribuzione - Direttiva 76/207/CEE - Parità di trattamento - Congedo di maternità - Promozione ad un livello retributivo superiore - Mancata presa in considerazione dell'intero congedo di maternità preso ai sensi della legislazione dell'ex Repubblica democratica tedesca.
Causa C-284/02.

European Court Reports 2004 I-11143

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2004:229

Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
L.A. GEELHOED
presentate il 27 aprile 2004(1)



Causa C-284/02



Land Brandenburg
contro
Ursula Sass


(Ordinanza di rinvio pregiudiziale del Bundesarbeitsgericht 21 marzo 2002 nella causa Land of Brandenburg contro Ursula Sass)

«Interpretazione dell'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 sono stati sostituiti dagli artt. 136-143 CE) e della direttiva del Consiglio 76/207/EEC relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro – Contratto collettivo in forza del quale un periodo di congedo di maternità è preso in considerazione ai fini della promozione – Contratto collettivo avente l'effetto di allineare il periodo di congedo di maternità garantito dalle disposizioni della Repubblica democratica tedesca applicabili all'epoca al periodo previsto dalla normativa della Repubblica federale di Germania»






Introduzione

1.        La questione sottoposta nella causa in esame è sorta sullo sfondo del processo di riunificazione della Germania. In particolare, la presente causa verte sulla questione se la disparità di trattamento risultante dalla differenza fra la disciplina giuridica del congedo di maternità nella ex Repubblica democratica tedesca ed il corrispondente trattamento normativo nella Repubblica federale di Germania configuri una discriminazione fondata sul sesso.

A – Diritto comunitario

2.        L’art. 119, n. 1, del Trattato CE, divenuto 141, n. 1, CE, stabilisce il principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro. Per «retribuzione» si intende il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo (art. 119, n. 2, del Trattato CE, divenuto il primo comma dell’art. 141, n. 2, CE).

3.        La direttiva 76/207  (2) stabilisce il principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro e le condizioni di lavoro.

4.        Ai sensi dell’art. 3, n. 1, di tale direttiva, l’applicazione del principio da ultimo citato implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda le condizioni di accesso, compresi i criteri di selezione, agli impieghi o posti di lavoro qualunque sia il settore o il ramo di attività, e a tutti i livelli della gerarchia professionale.

5.        Ai sensi dell’art. 5, n. 1, della medesima direttiva, il principio della parità trattamento implica altresì che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni di lavoro, senza discriminazioni fondate sul sesso.

6.        La direttiva 92/85  (3) introduce l’obbligo di una soglia minima di tutela da parte degli Stati membri nei confronti delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Al riguardo l’art. 8 prescrive che tali lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, che deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane. Inoltre, l’art. 11 prescrive che, durante tale periodo di congedo di maternità, debbano essere garantiti alle lavoratrici il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata nonché i diritti connessi con il loro contratto di lavoro (Questa direttiva doveva essere recepita entro il 10 ottobre 1994).

B – Le disposizioni di diritto interno

7.        Nella Repubblica federale di Germania la condizione delle donne dopo il parto è regolata dal Mutterschutzgesetz (Legge tedesca sulla tutela della maternità, in prosieguo: il «MuSchG»). Nell’allora Repubblica democratica tedesca la loro situazione era regolata dall’Arbeitsgesetzbuch der Deutschen Demokratischen Republik (Codice del lavoro della Repubblica democratica tedesca, in prosieguo: l’«AGB-DDR»).

8.        Sul punto l’art. 244 AGB‑DDR prevedeva che le donne avessero diritto ad un congedo di maternità prenatale della durata di sei settimana prima del parto e ad un congedo di maternità postnatale della durata di 20 settimane dopo il parto. Durante l’astensione dal lavoro prenatale e postnatale, le donne ricevevano dalla cassa di previdenza sociale un’indennità prenatale e postnatale pari al loro reddito medio netto.

9.        Nella Repubblica federale di Germania esisteva – ed esiste ancor oggi – per le donne, in virtù dell’art. 6, n. 1, del MuSchG, un obbligo di astensione dal lavoro di otto settimane dopo il parto. Durante tale periodo, le madri lavoratrici ricevono un’indennità dal proprio datore di lavoro (artt. 13 e 14 MuSchG), oltre ad un’indennità di maternità ai sensi della Reichsversicherungsordnung (Codice tedesco delle assicurazioni sociali). Successivamente a tale periodo di tutela, la lavoratrice ha diritto ad un congedo parentale fino al giorno in cui il figlio compie il decimo mese di età. Durante tale periodo, essa riceve un assegno parentale, ma nessuna integrazione da parte del datore di lavoro.

10.      L’art. 23a del contratto collettivo del 10 dicembre 1990 per i dipendenti pubblici su base contrattuale (Bundes‑Angestelltentarifvertrag‑Ost, in prosieguo: il «BAT‑O») recita come segue:

«Avanzamento di livello retributivo in esito a un periodo minimo di anzianità di servizio nell’ambito della Federazione e in quello della Tarifgemeinschaft deutscher Länder (Associazione finanziaria dei Länder tedeschi)

I lavoratori che corrispondono ad un profilo professionale contrassegnato da un asterisco nell’Allegato 1a sono promossi al livello retributivo superiore dopo il completamento del periodo minimo di anzianità di servizio.

Al completamento del periodo minimo si applicano le seguenti norme:

1.       Il periodo minimo di anzianità di servizio ha esito positivo quando i lavoratori si dimostrano in grado di soddisfare i requisiti necessari a svolgere le funzioni cui sono assegnati durante il periodo prescritto. A questo fine le funzioni che rilevano sono quelle corrispondenti al livello retributivo in cui i lavoratori sono inquadrati.

2.      (…)

3.      (…)

4.       Il periodo minimo di anziantià di servizio deve essere compiuto senza soluzione di continuità. Le interruzioni di durata inferiore a sei mesi non ostano a tale continuatività; inoltre, a prescindere da ciò, non vi ostano le interruzioni dovute ai seguenti motivi:

(a)     prestazione del servizio militare o del servizio civile sostitutivo;

(b)     inabilità al lavoro ai sensi dell’art. 37, n. 1;

(c)     periodi di astensione dal lavoro ai sensi del Mutterschutzgesetz;

(d)     congedo parentale ai sensi del Bundeserziehungsgeldgesetz (Legge federale sull’assegno parentale) ed altri permessi concessi per la cura della prole fino a un massimo di cinque anni complessivi;

(e)     attività di volontariato, nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, che esoneri dal servizio militare fino a un massimo di due anni.

Tuttavia, i periodi di interruzione, ad eccezione dei seguenti:

(a)     congedo ai sensi degli artt. 47 - 49 e della Legge tedesca sui disabili gravi;

(b)     congedo speciale ai sensi dell’art. 50, n. 1, nel testo vigente fino al 31 agosto 1995;

(c)     assenza dal lavoro ai sensi dell’art. 52;

(d)     inabilità al lavoro ai sensi dell’art. 37, n. 1, fino a 26 settimane o, nei casi di cui all’art. 37, n. 4, comma terzo, fino a 28 settimane;

(e)     periodi di astensione dal lavoro ai sensi del Mutterschutzgesetz;

non vengono computati nel periodo minimo di anzianità di servizio.

(…)».

11.      Il BAT-O è stato modificato dall’Änderungstarifvertrag n. 1 al BAT‑O (Primo contratto collettivo modificativo del BAT‑O) dell’8 maggio 1991, il cui art. 2 recita come segue:

«Adozione della griglia retributiva del BAT

L’Allegato 1a – ad eccezione delle disposizioni relative alle gratifiche di cui alla parte II, sezione N, e delle corrispondenti norme di cui alla parte III, sezione L, sottosezione VII, negli ambiti della Federazione e della Tarifgemeinschaft deutscher Länder – e l’Allegato 1b al Bundes‑Angestelltentarifvertrag (Contratto collettivo per i dipendenti federali tedeschi, in prosieguo: «BAT») devono essere applicati alle seguenti condizioni:

1.       Quando nella descrizione delle caratteristiche di un’attività vengono richiesti periodi minimi di anzianità nel servizio, periodi di attività, periodi di svolgimento di un’occupazione etc., vengono presi in considerazione i periodi compiuti prima del 1° luglio 1991 e riconosciuti come periodi di impiego ai sensi degli artt. 19, nn. 1 e 2, BAT-O e delle relative disposizioni transitorie, che si sarebbero dovuti prendere in considerazione se la sezione VI e la griglia retributiva del BAT-O fossero state in vigore già prima del 1° luglio 1991. La prima frase vale, mutatis mutandis, per la presa in considerazione dei periodi compiuti prima del 1° luglio 1991 che, in virtù di disposizioni transitorie contenute nei contratti collettivi per la modifica dell’Allegato 1a o dell’Allegato 1b al BAT che sono stati o saranno conclusi dopo il 30 giugno 1991, devono o possono essere computati, in tutto o in parte, nei periodi minimi di anzianità di servizio, periodi di attività, periodi di svolgimento di un’occupazione etc. richiesti nella descrizione delle caratteristiche di un’attività. Ove la decisione delle caratteristiche di un’attività consenta il computo di periodi compiuti al di fuori dell’ambito di applicazione del BAT-O, tali periodi sono presi in considerazione se essi avrebbero dovuto computarsi ai sensi del primo comma qualora fossero stati compiuti nell’ambito di applicazione del BAT-O.

(...)».

II – Il procedimento principale

12.      La sig.ra Ursula Sass lavora dal 1982 come direttrice di produzione presso la Hochschule für Film und Fernsehen (Scuola superiore di cinema e televisione) «Konrad Wolf» di Potsdam.

13.      Al momento della nascita del suo secondo figlio, avvenuta il 27 gennaio 1987, ella viveva nell’allora Repubblica democratica tedesca. Al suo rapporto di lavoro si applicava pertanto l’AGB-DDR. In seguito al parto, ella usufruiva di un congedo di maternità di 20 settimane ai sensi dell’art. 244 dell’AGB-DDR.

14.      Dopo la riunificazione della Germania il suo rapporto di lavoro veniva trasferito al Land Brandeburgo. Da allora in poi, in virtù di un contratto individuale di lavoro, al suo rapporto di lavoro si applicava il BAT‑O.

15.      Fino al 7 maggio 1998 la sig.ra Sass riceveva uno stipendio corrispondente al livello retributivo IIa del BAT‑O. Con decorrenza dall’8 maggio 1998, ella, avendo compiuto il periodo minimo di anzianità di servizio di cui all’art. 23a BAT-O, veniva promossa al livello retributivo Ib, gruppo 2, del BAT‑O.

16.      Il Land computava nel periodo minimo di anzianità di servizio di 15 anni necessario ai fini dell’inquadramento in un livello retributivo superiore le prime otto settimane del congedo di maternità postnatale, ma non le successive dodici settimane. Il Land ritiene infatti che le disposizioni del contratto collettivo prevedano il computo nel periodo minimo di anzianità di servizio dei soli periodi di astensione dal lavoro di cui al MuSchG, e non anche dell’ulteriore congedo di maternità di cui all’art. 244 AGB‑DDR.

17.      La sig.ra Sass, tuttavia, ritiene che ella sarebbe rientrata in un livello retributivo superiore già dal 12 febbraio 1998, poiché, in base alle disposizioni del contratto collettivo, si sarebbe dovuto computare nel periodo minimo di anzianità di servizio di cui all’art. 23a BAT-O l’intero congedo di maternità postnatale. Ella sostiene che l’interpretazione data dal convenuto alle disposizioni del contratto collettivo condurrebbe ad un’illegittima discriminazione nei confronti delle donne.

18.      La ricorrente adiva il giudice nazionale di primo grado, il quale accoglieva il suo ricorso. In sede di appello, il Land rinnovava la propria istanza di rigetto del ricorso, mentre la sig.ra Sass chiedeva che il ricorso in appello venisse respinto.

19.      Secondo il giudice del rinvio, il ricorso non può essere accolto sulla sola base del diritto interno. Ad avviso di tale giudice, la stessa formulazione letterale dell’art. 23a, n. 4, terza frase, lett. e), BAT‑O non lascerebbe adito a dubbi sul fatto che il periodo di congedo di maternità eccedente il periodo di astensione dal lavoro per otto settimane dopo il parto di cui all’art. 6, n. 1, prima frase, MuSchG, non debba computarsi nel periodo minimo di anzianità di servizio. Siffatta conclusione sarebbe inoltre l’unica che potrebbe trarsi dall’interpretazione sistematica del contratto collettivo nonché dallo spirito e dalla ratio sottesi alla disciplina da esso dettata. Né una diversa conclusione potrebbe trarsi dall’art. 2, n. 1, dell’Änderungstarif n. 1 al BAT‑O. Inoltre, il giudice a quo chiarisce che la disciplina dettata dal contratto collettivo non è in contrasto con alcuna norma di diritto interno avente rango superiore. Detto giudice, tuttavia, non esclude che la disciplina di cui al contratto collettivo possa essere incompatibile con l’art. 119 (divenuto 141) del Trattato CE e con la direttiva 76/207.

La questione pregiudiziale

20.      Il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro tedesca) decideva di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 119 del Trattato CE (divenuto art. 141 CE) e la direttiva 76/207/CEE ostino a che un contratto collettivo, in base al quale taluni periodi di quiescenza del rapporto di lavoro non vengono computati nel periodo minimo di anzianità di servizio, escluda dal computo anche il periodo in cui il rapporto di lavoro è rimasto quiescente in quanto la lavoratrice, allo scadere del periodo di otto settimane – valido ai fini del computo – di astensione dal lavoro ai sensi dell’art. 6 del MuSchG (…), ha usufruito del congedo di maternità fino al termine della ventesima settimana dopo il parto ai sensi dell’art. 244, n. 1, dell’AGB‑DDR (…)».

III – Valutazione

21.      Benché il giudice del rinvio consideri le disposizioni del contratto collettivo compatibili con gli artt. 3, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 o con il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro, giacché l’art. 23a, n. 4, BAT-O opera sì una distinzione, ai fini del computo nel periodo minimo di anzianità di servizio delle interruzioni dell’attività lavorativa, ma sulla base della quiescenza o meno del rapporto di lavoro nel corso dell’interruzione e non del sesso del lavoratore, tale giudice non esclude, come si è dianzi accennato, la possibilità di una violazione del diritto comunitario da parte del contratto collettivo, dal momento che, per il fatto di avere usufruito del congedo postnatale, cui solo le donne avevano diritto, la sig.ra Sass è stata inquadrata in un livello retributivo superiore dodici settimane più tardi di un collega di sesso maschile, come tale non avente diritto al congedo postnatale.

22.      Quest’ultima è la tesi sostenuta dalla sig.ra Sass. Essa sostiene che il fatto di essere stata inquadrata in un livello salariale superiore dodici settimane più tardi di un uomo che svolgesse il medesimo lavoro alle dipendenze del suo stesso datore di lavoro avendo iniziato alla stessa data, debba imputarsi ad una disparità di trattamento fondata sul sesso e violi pertanto l’art. 141 CE.

23.      La sig.ra Sass invoca inoltre la direttiva 76/207. A suo avviso, il ritardo nel suo reinquadramento sarebbe dovuto al fatto che sono state prese in considerazione solo le otto settimane previste dal MuSchG (ma non tutte e 20 le settimane di cui all’AGB-DDR) il che, secondo la sig.ra Sass, integrerebbe in ogni caso una violazione degli artt. 3, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva.

24.      Il Land e la Commissione sostengono che non vi sia alcuna violazione del diritto comunitario.

25.      Come sarà illustrato in seguito, io sono pervenuto alla stessa conclusione. (Nelle presenti Conclusioni, per i motivi che saranno esposti in prosieguo, io sono pervenuto alla stessa conclusione).

26.      Innanzi tutto ritengo che la questione debba essere considerata alla luce della direttiva 76/207, poiché la causa riguarda le condizioni di accesso a tutti i livelli della gerarchia professionale ai sensi dell’art. 3, n. 1, di tale direttiva. In tal senso è la direttiva 76/207, che tratta specificamente del principio della parità di retribuzione, piuttosto che le norme di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 141 CE, a costituire il fondamento giuridico appropriato. Il principio enunciato nella sentenza Nimz  (4) non si applica al caso in esame, poiché la questione non verte qui su una promozione praticamente automatica da un livello salariale ad un altro sulla base dell’anzianità di servizio, bensì sulle interruzioni da computarsi nel periodo minimo di anzianità di servizio necessario ai fini della promozione.

27.      In secondo luogo, sembra che il giudice del rinvio abbia affrontato soltanto la situazione della sig.ra Sass, in cui una donna ha usufruito del congedo di maternità sulla base del Codice del diritto del lavoro allora vigente nella Germania Est. Come la Commissione ha giustamente fatto rilevare nelle sue osservazioni scritte, il giudice del rinvio non ha sollevato la più generale questione se il fatto che il periodo di congedo eccedente le otto settimane previste dal MuSchG non sia preso in considerazione ai fini del periodo minimo di anzianità di servizio configuri una discriminazione. Al riguardo, occorre precisare che nella Germania Ovest le donne potevano anch’esse usufruire di un congedo più lungo di quello allora previsto dalla MuSchG. Tale congedo supplementare non veniva preso in considerazione ai fini del periodo minimo di anzianità di servizio di cui all’art. 23a, n. 4, BAT-O.

28.      La questione sottoposta sembra pertanto riguardare non tanto la discriminazione fra uomini e donne in generale, quanto piuttosto il trattamento di una particolare categoria di donne, vale a dire le donne provenienti dall’ex Repubblica democratica tedesca.

29.      Questa, però, non è una questione di diritto comunitario. Il principio della parità di trattamento come sancito nell’art. 2, n. 1, della direttiva 76/207 sancisce il divieto di qualunque discriminazione fondata sul sesso. Una discriminazione sulla base di altri criteri non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva. La questione di un’eventuale discriminazione fra donne della Germania Est e donne della Germania Ovest non può quindi affrontarsi con riferimento a tale direttiva.

30.     È evidente che la disposizione del BAT-O in esame riguarda soltanto le donne, in quanto solo le donne possono partorire ed usufruire di un congedo di maternità ai sensi dell’AGB-DDR. Come tale essa non osta ad una pronunzia di illegittima discriminazione, poiché la Corte ha statuito che il rifiuto di assumere una donna incinta può configurare un’illegittima discriminazione anche qualora tutti gli altri candidati al medesimo posto di lavoro siano di sesso femminile  (5)

31.      Tuttavia, l’origine della disparità di trattamento qui non è la gravidanza o il puerperio, ma il fatto che, all’epoca, le norme relative al congedo di maternità pre- e postnatale delle donne della Germania Est e Ovest appartenessero a due diversi regimi giuridici.

32.      Nella Germania Ovest le donne erano obbligate a usufruire di un congedo di maternità di otto settimane. Durante tale periodo erano sospese le obbligazioni principali a carico del prestatore e del datore di lavoro, ossia, rispettivamente, quelle di lavorare e quella di corrispondere la retribuzione. Il datore di lavoro era invece obbligato ad integrare le prestazioni assistenziali al fine di garantire alle donne in congedo il mantenimento del medesimo reddito. Nondimeno, tale periodo di congedo veniva computato nel periodo minimo di anzianità di servizio ai fini dell’inquadramento in un livello retributivo superiore. Le donne potevano optare per un congedo più lungo. Dopo la scadenza del periodo di tutela di otto settimane dopo il parto per le madri lavoratrici, queste potevano usufruire di un congedo di maternità dalla fine di tale periodo di tutela al giorno in cui il figlio compiva il decimo mese di età. Tale periodo supplementare, tuttavia, non veniva computato ai fini del periodo minimo di anzianità di servizio, né vi era alcun obbligo per il datore di lavoro di integrare le prestazioni assistenziali erogate in favore della madre.

33.      Anche nella Germania Est le obbligazioni principali a carico del prestatore e del datore di lavoro erano sospese durante il congedo di maternità. Durante tale periodo la donna riceveva un assegno di maternità, equivalente al proprio reddito medio al netto delle imposte, dalla cassa di previdenza sociale. Il governo tedesco, nella sua risposta ai quesiti scritti postigli dalla Corte, ha dichiarato che, ai sensi dell’AGB-DDR, non vigeva un divieto assoluto di lavorare dopo il parto, ma un periodo di riposo di sei settimane era considerato normale. Le donne non erano obbligate a usufruire di un congedo di maternità di 20 settimane, ma in pratica quasi ogni donna esercitava il suo diritto a usufruire di tale congedo di maternità di 20 settimane. Un sistema tariffario di promozioni, condizionate a determinati requisiti, come quello vigente nella Germania Ovest, all’epoca non esisteva nella Germania Est.

34.      Dalle informazioni fornite dal governo tedesco e dalla sig.ra Sass emerge in effetti che le otto settimane previste dal MuSchG e, in ogni caso, le prime sei settimane previste dall’AGB-DDR servivano allo stesso scopo: quello di consentire il recupero psico-fisico della puerpera e la cura personale del neonato nel periodo immediatamente successivo al parto. Dopo tale periodo la madre poteva optare per un congedo supplementare onde prendersi cura del figlio (nella Germania Ovest) o esercitare il diritto ad usufruire dell’intero periodo di venti settimane (nella Germania Est). Ancorché tale questione esuli dall’ambito della presente causa, sembra che sia nella Germania Ovest che in quella Est le madri e i padri avessero la possibilità di usufruire di una qualche forma di congedo parentale successivo. Nella Germania Ovest, tale periodo non veniva computato nel periodo minimo di anzianità di servizio. Come dianzi ricordato, nella Germania Est non esisteva un sistema tariffario di promozioni paragonabile a quello vigente nella Germania Ovest.

35.      Dopo la riunificazione, il contratto collettivo stabilì che solo le otto settimane previste dal MuSchG potevano essere computate nel periodo minimo di anzianità di servizio. È evidente come i diversi regimi giuridici in vigore prima della riunificazione potessero essere in contrasto tra loro e come non sia possibile eliminare ogni possibile divergenza di origine storica. D’altra parte, si potrebbe sostenere che le disposizioni transitorie del contratto collettivo fossero intese proprio ad assicurare parità di trattamento fra i lavoratori dipendenti della Repubblica federale di Germania e quelli dell’ex Germania Est. Se il ricorso della sig.ra Sass fosse accolto, anche in tal caso si avrebbe una disparità di trattamento.

36.      Mi rendo conto che il fatto che tutte le donne dell’ex Germania Est usufruissero di un congedo di maternità di 20 settimane abbia potuto creare aspettative giuridiche. Questa, tuttavia, non è una questione di diritto comunitario, ma una questione da risolversi in conformità al diritto nazionale.

37.      A titolo di osservazione conclusiva, vorrei ricordare che la questione della parità di trattamento tra gli abitanti delle ex Germanie Ovest e Est non sorge soltanto in relazione alla tutela delle madri. Le divergenze fra previgenti regimi giuridici possono, ad esempio, ripercuotersi anche sugli uomini che prestano il servizio militare. Non si tratta di questioni che possono affrontarsi in modo appropriato invocando il principio della parità di trattamento fra uomini e donne sancito dal diritto comunitario.

38.      Per concludere, un’eventuale disparità di trattamento fra queste due categorie di donne non può essere affrontata con riferimento al principio della parità di trattamento tra uomini e donne.

39.      Vi è parità di trattamento tra uomini e donne provenienti dall’ex Germania Est?

40.      Come menzionato al paragrafo 30, solo le donne possono partorire e quindi usufruire di un congedo di maternità ai sensi dell’AGB-DDR. Tuttavia, ciò non significa automaticamente che tale differenza configuri una discriminazione. La gravidanza è una situazione particolare che giustifica una tutela particolare. Pertanto l’art. 2, n. 3, della direttiva stabilisce che la direttiva stessa non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Mi riferisco altresì alla sentenza nella causa Hofmann  (6) , in cui la Corte ha statuito che un provvedimento come il congedo di maternità, concesso alla donna dopo la scadenza del periodo legale di tutela, rientra nel campo di applicazione dell’art. 2, n. 3, della direttiva 76/207, che tale congedo può essere legittimamente riservato alla madre e che non configura alcuna discriminazione.

41.      Ancorché non applicabile alla causa in esame, la direttiva 92/85 può servire come fonte di ispirazione. Tale direttiva pone soltanto regole minime per quanto riguarda la durata del congedo di maternità, il che vuol dire che gli Stati membri sono liberi di adottare normative che prevedano periodi di congedo di maternità più lunghi, prima o dopo il parto.

42.      Per quanto riguarda le conseguenze di tale congedo più lungo sui diritti delle donne in relazione al loro rapporto di lavoro, la direttiva 92/85 si limita a stabilire che, durante il periodo minimo di congedo previsto dall’art. 8 della direttiva stessa, devono essere garantiti i diritti loro derivanti dal contratto di lavoro. Pertanto, la direttiva non disciplina le conseguenze di un periodo di congedo di maternità che ecceda la durata minima prescritta. Al riguardo la Corte ha statuito, nella sua pronunzia sulla causa Boyle  (7) , che è ammissibile che le ferie annuali smettano di maturare durante il periodo di congedo di maternità supplementare non retribuito concesso dal datore di lavoro in aggiunta al periodo di astensione garantito dall’art. 8 della direttiva 92/85.

43.      Secondo la risposta scritta del governo tedesco cui si è accennato nei paragrafi 33 e 34, le donne provenienti dall’ex Germania Est non erano obbligate a usufruire dell’intero congedo di maternità di 20 settimane. In altri termini, si tratta di un diritto speciale concesso alle donne, che esse erano libere di scegliere se esercitare o meno. La sig.ra Sass ha dichiarato che, all’epoca in cui ella ha partorito, il MuSchG era irrilevante. Nell’ex Repubblica democratica tedesca, infatti, tutte le donne esercitavano il loro diritto a usufruire del congedo di maternità di venti settimane. Se esse non lo avessero fatto, vi sarebbero persino potute essere delle ripercussioni. Ella fa altresì rilevare come, in misura maggiore che nella Repubblica federale tedesca, dopo tale periodo di congedo le madri ritornassero al lavoro e affidassero i loro figli ad un asilo nido. Esse erano anche libere di scegliere di affidare i figli ad un asilo nido durante quelle venti settimane, ma, in tal caso, dopo un congedo di maternità di sei settimane si supponeva che tornassero al lavoro, poiché allora non avrebbero più percepito l’assegno di maternità. Come che fosse, non sembra che ciò possa costituire un argomento decisivo per la soluzione della questione in esame. Con riguardo a possibili aspettative giuridiche, rimando alle osservazioni da me svolte nel paragrafo 35 Benché siffatte prassi possano aver ingenerato alcune aspettative giuridiche, nel senso che alcune donne potrebbero non essersi rese conto che avrebbero potuto esservi ripercussioni negative sulle loro prospettive di aumenti salariali, non si tratta di una questione di diritto comunitario, bensì di una questione che dovrebbe essere risolta in conformità al diritto nazionale.

44.      Il giudice del rinvio ha anche sollevato la questione della discriminazione indiretta. L’art. 244 AGB-DDR, che riguarda soltanto le donne, non può configurare una discriminazione indiretta.

IV – Conclusione

45.      Alla luce delle osservazioni che precedono, ritengo che alla questione pregiudiziale sottopostale dal Bundesarbeitsgericht la Corte di giustizia dovrebbe rispondere come segue:

La norma di un contratto collettivo in base alla quale taluni periodi di quiescenza di un rapporto di lavoro non vengono computati nel periodo minimo di anzianità di servizio e soltanto il periodo di astensione dal lavoro per otto settimane di cui all’art. 6 del Mutterschutzgesetz è computato ai fini del detto periodo minimo, ma non anche il più lungo periodo di congedo di maternità previsto dall’Arbeitsgesetz der deutschen Demokratischen Republik (Codice del lavoro della Repubblica democratica tedesca) non configura una discriminazione fondata sul sesso.


1
Lingua originale: l'olandese.


2
Direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40).


3
Direttiva del Consiglio 10 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1).


4
Sentenza 7 febbraio 1991, causa C-184/89, Nimz (Racc. pag. 297).


5
Sentenza 8 novembre 1990, causa C-177/88 Dekker (Racc. pag. 3941).


6
Sentenza 12 luglio 1984, causa 184/83, Hofmann (Racc. pag. 3047, punto 26).


7
Sentenza 27 ottobre 1998, causa C-411/96, Boyle (Racc. pag. I‑6401).

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