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Document 52013DC0037
GREEN PAPER ON UNFAIR TRADING PRACTICES IN THE BUSINESS-TO-BUSINESS FOOD AND NON-FOOD SUPPLY CHAIN IN EUROPE
LIBRO VERDE SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI NELLA CATENA DI FORNITURA ALIMENTARE E NON ALIMENTARE TRA IMPRESE IN EUROPA
LIBRO VERDE SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI NELLA CATENA DI FORNITURA ALIMENTARE E NON ALIMENTARE TRA IMPRESE IN EUROPA
/* COM/2013/037 final - 2012/ () */
LIBRO VERDE SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI NELLA CATENA DI FORNITURA ALIMENTARE E NON ALIMENTARE TRA IMPRESE IN EUROPA /* COM/2013/037 final - 2012/ () */
Indice 1........... INTRODUZIONE. 3 2........... DEFINIZIONE DI
PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 6 2.1........ La nozione di
pratiche commerciali sleali 6 2.2........ Esempi di pratiche
commerciali sleali 8 2.3........ Potenziali effetti
delle pratiche commerciali sleali 9 3........... I QUADRI
GIURIDICI IN MATERIA DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 11 3.1........ Quadri giuridici
frammentati a livello nazionale. 11 3.2........ Tutela contro le
pratiche commerciali sleali a livello UE. 13 4........... CONTROLLO DEL
RISPETTO DELLE NORME IN MATERIA DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 16 4.1........ I meccanismi di
controllo a livello nazionale. 16 4.2........ I meccanismi di
controllo a livello UE. 18 5........... TIPOLOGIE DI
PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 19 5.1........ Clausole
contrattuali ambigue. 19 5.2........ Mancanza di
contratti scritti 20 5.3........ Modifiche
retroattive dei contratti 20 5.4........ Trasferimento
abusivo dei rischi commerciali 20 5.5........ Uso abusivo delle
informazioni 21 5.6........ Risoluzione
scorretta dei rapporti commerciali 21 5.7........ Restrizioni
territoriali alla fornitura. 21 5.8........ Caratteristiche
comuni delle pratiche commerciali sleali 23 6........... OSSERVAZIONI
GENERALI 24 7........... PROSSIME TAPPE. 24 1. INTRODUZIONE La catena di fornitura tra imprese è un
elemento importante dell’economia europea. Essa consente di convogliare i
prodotti e servizi dai fornitori ai consumatori e ha un impatto diretto sulla
crescita economica e sull’occupazione. Il settore distributivo nell’UE produce
il 4,3% del PIL, dà lavoro a 18,7 milioni di persone (ossia l’8,3%) e occupa il
17% delle PMI[1].
Garantisce la distribuzione ai consumatori di beni e servizi provenienti da
altri settori economici, quali i settori agricolo, manifatturiero, della
logistica e dei servizi delle tecnologie dell’informazione. Il presente Libro verde analizza la catena di
fornitura alimentare e non alimentare tra imprese, ossia la catena delle
operazioni tra imprese o tra imprese e autorità pubbliche che consentono la
distribuzione di merci destinate principalmente al grande pubblico per il
consumo o l’uso da parte dei singoli o delle famiglie. La catena di fornitura è
composta di un certo numero di operatori (produttori, trasformatori,
distributori), i quali hanno tutti un impatto sul prezzo finale pagato dal
consumatore. Tale impatto varia in funzione del sottosettore alimentare e non
alimentare interessato. Il buon funzionamento della catena di fornitura
alimentare e non alimentare tra imprese è di fondamentale importanza per
sfruttare al massimo il potenziale economico di tali settori. Negli ultimi due decenni la catena di
fornitura alimentare e non alimentare tra imprese ha subito notevoli
cambiamenti per motivi economici, sociali e demografici. Essa ha registrato
cambiamenti strutturali dovuti all’aumento della concentrazione e all’integrazione
verticale in tutta l’Unione europea. Sono state create varie alleanze
internazionali di acquisto tra distributori per realizzare economie di scala
nell’approvvigionamento grazie al maggiore potere di acquisto. L’espansione dei
prodotti a marchio proprio ha trasformato alcuni distributori in concorrenti
diretti dei fornitori. Un ristretto numero di operatori relativamente forti
nella catena di fornitura sembrano disporre di un notevole potere negoziale. Questi fattori possono dar luogo, in taluni
casi, a pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese lungo la catena di
fornitura alimentare e non alimentare. Le pratiche commerciali sleali sono
pratiche che si discostano fortemente dalla buona condotta commerciale e che
sono in contrasto con i principi della buona fede e della correttezza. Pratiche
commerciali sleali sono di norma imposte in situazioni di squilibrio tra una
parte più forte e una più debole e possono esistere su entrambi i lati del rapporto
tra imprese e in ogni fase della catena di fornitura. A livello UE le pratiche commerciali sleali
nel settore alimentare sono state per la prima volta oggetto di discussione nel
2009, quando l’impennata dei prezzi agricoli determinò l’aumento dei prezzi al
consumo. La mancanza di trasparenza del mercato, le disparità di potere
negoziale e le pratiche anticoncorrenziali sarebbero state le cause delle
distorsioni di mercato, con effetti potenzialmente negativi sulla competitività
dell’intera catena della fornitura alimentare. Apparve necessario analizzare il
funzionamento della catena di fornitura alimentare. La Commissione ritenne che
i consumatori non beneficiassero di condizioni sufficientemente corrette in
termini di gamma di prodotti e di prezzi e che gli intermediari, i
trasformatori alimentari e i distributori comprimessero i margini dei
produttori agricoli[2].
In effetti, il funzionamento della catena di fornitura alimentare ha un impatto
sulla vita quotidiana dei cittadini dell’UE, dato che circa il 14% della spesa
delle famiglie è destinato ai prodotti alimentari[3], e sul funzionamento
di settori economici, quali i settori agricolo, agroalimentare e distributivo.
Inoltre, nel solo 2008[4]
i prezzi reali dei prodotti alimentari erano aumentati di oltre il 3%,
determinando una riduzione del potere di acquisto e della fiducia dei
consumatori e diventando uno dei principali fattori dell’inflazione generale
dei prezzi. In risposta a questa situazione, nel 2010 è stata istituita una
piattaforma di esperti sulle pratiche contrattuali tra imprese in seno al Forum
di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare, con il
compito di cercare soluzioni al problema. Nel 2011 la piattaforma di esperti ha
presentato un elenco di principi e di esempi di pratiche sleali e di pratiche
corrette nei rapporti verticali nella catena di fornitura alimentare,
sottoscritto da undici organizzazioni che rappresentano interessi diversi in
tutta la catena europea di fornitura alimentare[5].
Nel 2012 la piattaforma ha lavorato ad un meccanismo di controllo. Nonostante l’impegno
comune, il quadro proposto non ha consentito di individuare rimedi efficaci
alla non conformità e non ha ricevuto il sostegno dei rappresentanti di tutta
la catena di fornitura in occasione della terza riunione del Forum di alto
livello del 5 dicembre 2012. Tuttavia, otto delle undici organizzazioni hanno
annunciato l’intenzione di avviare su base volontaria l’attuazione dei principi
delle pratiche corrette all’inizio del 2013[6].
Al tempo stesso tutti i portatori di interesse continuano a lavorare per
trovare un compromesso grazie a questo approccio settoriale. La Commissione
incoraggia tutti i portatori di interesse a trovare un accordo entro i prossimi
mesi. La Commissione ha anche prorogato al 31 dicembre 2014[7] il mandato del Forum di alto
livello e continuerà a sorvegliare l’evoluzione della catena di fornitura
alimentare per tenersi al corrente dei progressi realizzati. Parallelamente la Commissione comincerà a
lavorare alla valutazione di impatto delle diverse opzioni per affrontare il
problema delle pratiche commerciali sleali. La valutazione di impatto esaminerà
anche in che misura il problema possa essere risolto a livello locale o se
invece sia necessaria una soluzione a livello UE. Questo approccio consentirà
di salvaguardare i risultati del Forum di alto livello nel settore alimentare e
allo stesso tempo di prendere in considerazione tutte le soluzioni possibili,
che vanno dall’autoregolamentazione all’emanazione di una normativa in materia.
Su questa base, la Commissione proporrà misure adeguate nel secondo semestre
del 2013. Le pratiche commerciali sleali sono state
oggetto di una serie di studi e ricerche in vari Stati membri[8]. Un recente rapporto
della rete europea della concorrenza (European Competition Network –
ECN) ha confermato che un gran numero di autorità nazionali della concorrenza
ritiene che l’esistenza di pratiche commerciali sleali rappresenti un problema
nel settore alimentare[9].
Occorre tuttavia osservare che in una prospettiva
più ampia le pratiche commerciali sleali possono verificarsi non solo nel
settore alimentare ma anche in altri settori. Il presente Libro verde
consentirà di raccogliere informazioni sul problema, che può essere dovuto a
vari fattori. In primo luogo, l’evoluzione della distribuzione alimentare e non
alimentare verso un modello “misto” nel quale la stragrande maggioranza dei
distributori offre un’intera gamma di prodotti alimentari, di prodotti per la
casa e di altri prodotti sotto la stessa direzione e alle stesse condizioni. In
secondo luogo, alcuni dei maggiori produttori producono generi alimentari e
altri tipi di prodotti, quali detersivi, cosmetici, prodotti per l’igiene, ecc.
Si tratta di un fattore che, aggiunto all’importanza di alcuni marchi, può
influenzare il rapporto tra fornitore e distributore. Diverse pratiche di
questo tipo sono state individuate in un certo numero di settori, tra cui
quelli dell’arredamento e del tessile[10].
Nel settore dell’abbigliamento, la relazione del 2007 sui rapporti commerciali
nella catena dell’abbigliamento dell’UE ha censito nove pratiche tra produttori
e distributori percepite come sleali. Tra di esse figuravano: l’addebito
automatico delle spese promozionali del distributore, gli addebiti per
inadempienze formali, i ritardi nei pagamenti, la restituzione della merce
invenduta, la risoluzione improvvisa del rapporto di fornitura e lo
sfruttamento di idee innovative contenute nei campioni[11]. La relazione della Commissione sull’esercizio
di sorveglianza del mercato nel settore del commercio e della distribuzione[12]
menziona l’esistenza di pratiche commerciali sleali in vari settori della
distribuzione al dettaglio. Anche il Parlamento europeo ha riconosciuto la
necessità di non limitarsi al settore agroalimentare e ha invitato la
Commissione ad adottare misure al riguardo[13].
Nell’Atto per il mercato unico I[14]
la Commissione ha espresso l’intenzione di avviare un’iniziativa per lottare
contro le pratiche commerciali sleali nei rapporti commerciali. Inoltre, una
serie di consultazioni delle imprese condotte recentemente hanno confermato l’esistenza
del problema[15]. Le pratiche commerciali sleali possono avere
effetti negativi sull’economia dell’UE e in particolare sulla catena di
fornitura alimentare e non alimentare tra imprese. Tali pratiche possono
incidere sulla capacità delle imprese, comprese le PMI, di investire e
innovare. Inoltre, l’esistenza di norme nazionali frammentate può costituire un
ulteriore ostacolo alla ricerca di fonti di approvvigionamento e di possibilità
di distribuzione a livello transfrontaliero nel mercato unico. Il presente Libro verde contiene una
valutazione preliminare e mira a raccogliere ulteriori elementi e osservazioni
sugli eventuali problemi dovuti alle pratiche commerciali sleali nei rapporti
tra imprese lungo la catena di fornitura alimentare e non alimentare e in
relazione al controllo efficace del rispetto delle vigenti norme nazionali in
materia di lotta contro le pratiche commerciali sleali, nonché sull’impatto che
ne deriva per il mercato unico. L’obiettivo del Libro verde è avviare una
consultazione dei portatori di interesse su questa analisi, al fine di
raccogliere informazioni e, se del caso, definire le prossime misure possibili
per affrontare il problema. Un migliore funzionamento della catena di
fornitura favorirebbe una maggiore integrazione economica e consentirebbe di
colmare le principali carenze del mercato interno dovute alle pratiche
commerciali sleali e alla frammentazione delle norme nazionali destinate a
combatterle. Ciò contribuirebbe al conseguimento del più ampio obiettivo dell’UE
di diventare un’economia più intelligente, più sostenibile e più inclusiva
entro il 2020. 2. DEFINIZIONE
DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 2.1. La nozione di pratiche commerciali sleali La libertà contrattuale è elemento
fondamentale di qualsiasi rapporto tra imprese nell’economia di mercato. Le
parti devono poter concludere contratti che rispondono al meglio alle loro
esigenze. Ciò riguarda in particolare le pratiche commerciali sleali nelle
trattative precontrattuali che vengono successivamente incorporate nelle
clausole contrattuali. Per trarre benefici reciproci dalla libertà
contrattuale, le parti devono essere in grado di negoziare realmente le
condizioni contrattuali. Tuttavia, la parte che ha maggiore potere negoziale
può a volte imporre condizioni unilaterali alla parte più debole e quindi
influenzare in modo eccessivo il rapporto commerciale per favorire
esclusivamente i propri interessi economici. In particolare, la parte può imporre
clausole nettamente squilibrate, che grazie al suo potere negoziale non negozia
una per una. In tali situazioni, la parte più debole può non essere in grado di
respingere le condizioni sfavorevoli imposte unilateralmente, per paura di non
concludere il contratto o persino di essere costretta a chiudere. Diversi sono
i fattori che possono determinare queste posizioni negoziali di disparità, ad
esempio, una differenza significativa nelle dimensioni e/o nel fatturato delle
parti, la dipendenza economica o costi irrecuperabili significativi già
sostenuti da una delle parti (ad esempio, investimenti iniziali elevati). Le pratiche commerciali sleali sono di norma
imposte quando vi è squilibrio tra la parte più forte a quella più debole, la
quale spesso non è in grado di mettere fine al rapporto scorretto e cambiare
partner commerciale a causa dei costi che un tale cambiamento può comportare o
alla mancanza di alternative. È importante notare che lo squilibrio può
esistere per tutte le parti del rapporto commerciale: sia i distributori che i
fornitori possono essere vittime di pratiche commerciali sleali, che possono
verificarsi in qualsiasi fase della catena di fornitura tra imprese operanti
nel settore distributivo. Tali situazioni possono verificarsi, ad esempio, per
i produttori agricoli, che spesso possono rivolgersi ad un numero limitato di
partner commerciali per lo smercio della produzione e che, date le
caratteristiche intrinseche di molti prodotti, non sono sempre in grado di
stoccare la produzione per un periodo più lungo al fine di ottenere migliori
condizioni di vendita. Tra queste pratiche rientrano l’omessa
comunicazione di sufficienti informazioni sulle condizioni contrattuali, l’imposizione
del pagamento di beni o servizi privi di valore per la controparte, le
modifiche retroattive unilaterali delle clausole contrattuali, il pagamento di
servizi fittizi o il divieto imposto ai contraenti di approvvigionarsi in altri
Stati membri, con la conseguente ripartizione territoriale del mercato unico. Le pratiche commerciali sleali possono
presentarsi in ogni fase del rapporto commerciale. Possono essere utilizzate
nella fase della trattativa contrattuale, possono figurare nel contratto stesso
o possono essere imposte nella fase post-contrattuale (ad esempio, le modifiche
contrattuali retroattive). Dopo la conclusione del contratto le pratiche
commerciali sleali possono consistere nell’imposizione di clausole abusive.
Inoltre, anche se le clausole contrattuali sembrano accettabili per entrambe le
parti, è ancora possibile che sorgano problemi. In genere i contratti non
disciplinano tutti gli aspetti della condotta delle parti nella fase di
esecuzione del contratto o sono talmente complessi che le parti non comprendono
appieno le implicazioni pratiche delle clausole contrattuali. Inoltre, è
possibile che le parti non dispongano delle stesse informazioni sull’operazione,
il che può dar luogo a condotte scorrette della parte più forte verso la parte
più debole. Su questo punto, le PMI si trovano in genere in una posizione più
debole rispetto a controparti più grandi, perché possono non disporre delle
conoscenze specialistiche necessarie per valutare tutte le implicazioni delle
clausole concordate. In un mercato funzionante in modo ottimale, la
mancanza di fiducia tra le parti determina il cambiamento del partner
commerciale. I costi elevati di cambiamento o la mancanza stessa di una tale
possibilità favoriscono la posizione negoziale della parte più forte, che può
essere tentata di comportarsi in modo scorretto. L’impossibilità di cambiare partner
commerciale e di porre fine al rapporto esistente è un fattore chiave che
favorisce le pratiche commerciali sleali. Inoltre, la parte più debole teme
spesso la risoluzione del rapporto commerciale in caso di denuncia da parte
sua. Il “fattore paura” riduce notevolmente la probabilità che tali denunce
vengano presentate ed è quindi una delle questioni più importanti da esaminare
nel valutare l’adeguatezza di ogni meccanismo di controllo. Ad esempio, risulta
che l’87% dei fornitori si limita ad una discussione con i propri clienti,
quasi due terzi (65%) per paura di ritorsioni e il 50% perché dubita dell’efficacia
delle misure pubbliche[16].
Recentemente quasi tutti i fornitori e produttori invitati a presentarsi
dinanzi alla commissione parlamentare irlandese sui rapporti tra fornitori e
distributori nel mercato alimentare irlandese per parlare dei loro rapporti con
i distributori hanno declinato l’invito[17].
Per raccogliere informazioni in materia, la commissione parlamentare ha pertanto
deciso di contattarli direttamente, garantendo la riservatezza.
Domande: 1)
Siete d’accordo con la definizione di
pratiche commerciali sleali presentata nei paragrafi precedenti? 2)
La nozione di pratiche commerciali sleali è
riconosciuta nel vostro Stato membro? In caso affermativo, spiegate in che
modo. 3)
A vostro parere, la nozione di pratiche
commerciali sleali dovrebbe essere limitata alla fase della trattativa
contrattuale o dovrebbe includere anche le fasi pre- e/o postcontrattuali? 4)
In quale fase della catena di fornitura tra
imprese operanti nel settore distributivo si verificano le pratiche commerciali
sleali? 5)
Cosa pensate della nozione di “fattore paura”?
Condividete la valutazione al riguardo illustrata nei paragrafi precedenti?
Vogliate precisare.
2.2. Esempi di pratiche commerciali sleali Le pratiche commerciali sleali sono state
oggetto di una serie di studi e ricerche spesso incentrati sul settore
alimentare. L’indagine condotta dall’autorità britannica
della concorrenza nel 2008 sul settore della distribuzione alimentare nel Regno
Unito[18]
ha censito 52 pratiche, 26 delle quali suscettibili di determinare per i
fornitori incertezza sui proventi e sui costi a seguito del trasferimento su di
essi di rischi eccessivi o di costi imprevisti. Tra queste pratiche figurano
gli adeguamenti retroattivi dei prezzi, i finanziamenti retroattivi di campagne
promozionali o altre pratiche che, di fatto, comportano adeguamenti retroattivi
degli accordi di fornitura concordati in precedenza. La relazione dell’autorità spagnola della
concorrenza sui rapporti tra fornitori e distributori nel settore alimentare[19]
ha censito 18 pratiche tra produttori e distributori, classificate in tre
categorie: i) pagamenti commerciali (ad esempio, commissioni per l’inclusione
nel listino o per il presidio e il mantenimento nei punti vendita dei
prodotti); ii) contributi ad attività accessorie effettuate dal distributore
(ad esempio, spese per attività promozionali); iii) pagamenti atipici (ad
esempio, quelli che secondo i produttori sono a carico del distributore). Nella sua relazione, la commissione
parlamentare irlandese richiama l’attenzione sul fatto che alcuni distributori
adotterebbero comportamenti gravemente scorretti, eserciterebbero violenza e
intimidazione e ricorrerebbero persino a pratiche illegali nei confronti dei
fornitori. Molti fornitori sarebbero stati vittime di pratiche quali richieste
abusive di contributo finanziario se rifiutano di piegarsi alle richieste dei
distributori[20]. 2.3. Potenziali effetti delle pratiche commerciali sleali L’imposizione di pratiche commerciali sleali
nella catena di fornitura alimentare e non alimentare tra imprese può
danneggiare le imprese, con effetti deleteri per l’economia nel suo complesso. L’impatto delle pratiche commerciali sleali sulla catena di fornitura
alimentare e non alimentare tra imprese è difficile da quantificare,
principalmente a causa della natura del problema, ma anche a causa delle
difficoltà di misurazione. Tuttavia, è stato affermato che tra i potenziali
effetti negativi delle pratiche commerciali sleali sia nel breve che nel lungo
periodo possono annoverarsi gli effetti sugli investimenti e sull’innovazione[21].
Di recente la Commissione ha avviato uno studio sull’evoluzione dell’offerta e
dell’innovazione nel settore della distribuzione alimentare, al fine di
quantificare i cambiamenti intercorsi negli ultimi anni a seguito della
modernizzazione e della concentrazione del settore distributivo nell’Unione
europea. Il documento di lavoro dei servizi della
Commissione che accompagna la relazione sull’”Esercizio di sorveglianza del
mercato del settore del commercio e della distribuzione” citava a titolo di
esempio il caso del latte UHT in Francia, paese in cui, secondo l’Observatoire
des prix et des marges gestito da FranceAgrimer, la quota del prezzo
al produttore (non del margine) sul prezzo finale al consumatore del latte UHT
è scesa dal 32,2% al 25,9% nel periodo 2005-2009, compromettendo chiaramente la
capacità dei produttori di investire. Inoltre, il documento dal titolo “Analysis
on price transmission along the food chain in the EU” (Analisi della
trasmissione dei prezzi nella filiera alimentare nell’UE) che accompagna la
comunicazione della Commissione “Migliore funzionamento della filiera
alimentare in Europa”[22],
descrive per il periodo 2007-2009 una trasmissione dei prezzi dai produttori
agricoli ai consumatori piuttosto debole e asimmetrica nei mercati analizzati
(ad esempio, carne suina e prodotti lattiero-caseari), che potrebbe essere in
parte dovuta a squilibri nel potere negoziale e/o a pratiche anticoncorrenziali
nella catena della fornitura alimentare. Molte delle pratiche commerciali sleali
possono essere correlate a problemi di pagamento direttamente collegati al modo
in cui sono strutturati i prezzi tra fornitori, intermediari e distributori. Ad
esempio, dal recente studio dell’autorità della concorrenza finlandese sul
commercio dei beni di consumo correnti emerge che il 90% delle imprese
intervistate ha pagato cosiddette “indennità di marketing” connesse a non ben
chiari benefici. A volte tali pagamenti costituivano un presupposto per l’accesso
al rapporto commerciale, senza nessun “reale” rimborso[23]. Le pratiche commerciali sleali possono
incidere negativamente sugli investimenti e sull’innovazione in quanto riducono
i profitti e creano incertezza. In particolare le condizioni abusive imposte a
posteriori possono generare incertezza in termini di pianificazione aziendale e
portare ad una riduzione degli investimenti. Il calcolo del rendimento dell’investimento
include anche la valutazione dei potenziali rischi. Le modifiche retroattive o
l’uso “scorretto” delle informazioni possono ridurre le possibilità delle
imprese di investire, innovare, espandere le capacità o sviluppare nuove linee
di prodotti. Un tal caso si presenta quando le merci invendute restituite ai
fornitori non vengono pagate anche se gli accordi contrattuali prevedono il
contrario (ad esempio, i prodotti ad uso domestico stagionali o i prodotti con
una durata di conservazione limitata). Queste condizioni costringono i
fornitori a sostenere costi inutili, possono creare incertezza e avere
ripercussioni sugli investimenti. I possibili effetti negativi delle pratiche
commerciali sleali toccano tutti gli operatori lungo la catena di fornitura alimentare
e non alimentare tra imprese, ma possono avere un impatto sproporzionato sulle
PMI, che spesso non dispongono di conoscenze specialistiche in materia di
contratti complessi, incorrono in costi più elevati in caso di cambiamento,
hanno meno partner commerciali, sono meno disposte a valersi dei meccanismi
formali di ricorso e hanno meno potere negoziale nei confronti di partner
commerciali forti. Secondo alcuni, inoltre, le pratiche
commerciali sleali possono avere un impatto negativo sul commercio transfrontaliero
e ostacolare il corretto funzionamento del mercato unico. Ad esempio, i
fornitori possono essere restii a trattare con i distributori esteri per timore
di essere vittime di pratiche commerciali sleali in un ordinamento giuridico
che non conoscono. Naturalmente non si tratta dell’unico ostacolo: il numero di
contratti transfrontalieri nella catena di fornitura nell’UE varia da uno Stato
membro all’altro, in funzione della presenza di grandi distributori
verticalmente integrati, della quota di distributori on-line, del
sottosegmento al dettaglio considerato e del ruolo dei grossisti[24]. Indipendentemente da tali
fattori, tuttavia, le pratiche commerciali sleali possono ostacolare lo
sviluppo dei rapporti transfrontalieri, soprattutto a causa della difficoltà di
assicurare il rispetto delle norme in un contesto transfrontaliero.
Domande: 6)
Secondo la vostra esperienza, in quale
misura e con quale frequenza si verificano pratiche commerciali sleali nel
settore alimentare? In quale fase della relazione commerciale si verificano
principalmente e in che modo? 7)
Le pratiche commerciali sleali sono presenti
anche nel settore distributivo non alimentare? In caso affermativo, vogliate
citare esempi concreti. 8)
Le pratiche commerciali sleali hanno un
impatto negativo in particolare sulla capacità di investimento e di innovazione
dell’impresa? Vogliate, se possibile, citare esempi concreti e quantificare l’impatto. 9)
Le pratiche commerciali sleali toccano i
consumatori (ad esempio, in quanto influenzano i prezzi, l’offerta di prodotti
o l’innovazione)? Vogliate, se possibile, citare esempi concreti e quantificare
l’impatto. 10)
Le pratiche commerciali sleali hanno un
impatto sugli scambi transfrontalieri nell’UE? Le pratiche commerciali sleali
determinano una frammentazione del mercato unico? In caso affermativo, vogliate
indicare in quale misura le pratiche commerciali sleali incidono sulla capacità
della vostra impresa di realizzare scambi transfrontalieri. 3. I QUADRI
GIURIDICI IN MATERIA DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 3.1. Quadri giuridici frammentati a livello nazionale Sempre più nel corso degli anni le pratiche
sleali nei rapporti tra fornitori e acquirenti sono diventate un’importante
sfida politica per le autorità pubbliche. Di conseguenza, molti Stati membri
hanno preso provvedimenti per affrontare il problema, adottando però metodi
diversi. Ne sono derivate profonde divergenze in termini di livello, natura e
forma giuridica della protezione accordata a livello nazionale contro le
pratiche commerciali sleali. Il punto di partenza sono state spesso le
analisi effettuate dalle autorità nazionali della concorrenza miranti a
valutare la concorrenza nel settore distributivo e il ruolo delle pratiche
commerciali nel rapporto distributore-fornitore[25]. Rapporto tra diritto della concorrenza e
normativa in materia di pratiche commerciali sleali In questo contesto occorre distinguere tra
diritto della concorrenza e normativa mirante a impedire le pratiche sleali. Le
norme in materia di pratiche commerciali sleali perseguono per lo più finalità
diverse rispetto agli obiettivi perseguiti dal diritto della concorrenza, in
quanto disciplinano i rapporti contrattuali tra le imprese stabilendo i termini
e le condizioni che, ad esempio, i fornitori devono offrire ai distributori, a prescindere
dagli effetti reali o presunti sulla concorrenza nel mercato. Ciò è
particolarmente vero per la normativa che vieta alle imprese di imporre ai
partner commerciali, di ottenere o di tentare di ottenere dagli stessi
condizioni non giustificate, sproporzionate o irragionevoli[26]. Il diritto della concorrenza può applicarsi ad
alcune pratiche commerciali sleali nei rapporti lungo la catena di fornitura
alimentare e non alimentare tra imprese. Tuttavia non può applicarsi a tutte le
pratiche, in quanto persegue la finalità della protezione della concorrenza nel
mercato e disciplina più in generale le situazioni di potere di mercato[27]. Il diritto della concorrenza
di alcuni Stati membri prevede norme sulla condotta unilaterale, le quali, ad
esempio, vietano o sanzionano le condotte abusive nei confronti delle imprese
economicamente dipendenti e/o l’abuso del maggiore potere contrattuale. La recente relazione della rete europea della
concorrenza, rete di cui fanno parte le autorità nazionali di concorrenza e la
Commissione europea, ha concluso che alcune pratiche commerciali considerate
sleali da molti portatori di interesse non rientrano nell’ambito di
applicazione del diritto della concorrenza dell’UE o della maggior parte degli
Stati membri[28]. Diritto civile, diritto commerciale e
pratiche commerciali sleali Per quanto riguarda la correttezza dei singoli
rapporti commerciali, i principi fondamentali del diritto civile e/o del
diritto commerciale possono offrire un certo grado di protezione contro le
pratiche commerciali sleali. La nozione generale di dovere di correttezza
esiste nell’ordinamento della maggior parte degli Stati membri. Di solito si
tratta di nozioni quali la condotta contra bonos mores, la fornitura di
prestazioni o la condotta di trattative conformemente ai principi di buona
fede, moralità, correttezza o lealtà. Il mancato rispetto di questi principi
rende di norma i contratti nulli o non invocabili dinanzi al giudice. Quadri nazionali specifici in materia di
pratiche commerciali sleali Alcuni Stati membri hanno esteso la protezione
offerta dal diritto civile al crescente numero di casi di pratiche commerciali
sleali[29].
A tal fine sono stati utilizzati strumenti nazionali differenti. Mentre alcuni
Stati membri hanno preferito adottare una legislazione specifica in materia[30],
altri hanno elaborato o promosso codici di condotta o prevedono di farlo[31]. Analogamente, gli Stati membri hanno seguito
approcci sostanzialmente diversi per quanto riguarda l’ambito di applicazione
della normativa o degli strumenti di autoregolamentazione in materia. Mentre in
alcuni Stati membri la tutela contro le pratiche commerciali sleali si applica
nella catena di fornitura della distribuzione o in determinati settori
distributivi, in altri Stati membri le norme hanno applicazione generale. Ad
esempio in Portogallo[32],
Slovenia[33],
Spagna[34],
Belgio[35]
e Regno Unito[36]
vigono codici di condotta specifici per la catena di fornitura alimentare[37], mentre i Paesi Bassi e l’Irlanda
hanno in progetto l’adozione di codici analoghi. La Repubblica ceca, l’Ungheria
e l’Italia hanno adottato norme di legge in materia di pratiche commerciali
sleali nel settore agroalimentare. Analogamente, nel settore della vendita di
automobili si è piuttosto scelto lo strumento dell’autoregolamentazione per
affrontare il problema delle pratiche commerciali sleali. In Francia, invece,
le disposizioni di diritto commerciale in materia di pratiche commerciali
sleali si applicano in via generale a tutti i rapporti tra imprese Inoltre, si prevede che nel mercato unico i
problemi derivanti dalle divergenze normative aumenteranno nel tempo, a seguito
dell’aumento del commercio elettronico e, più in generale, del diffondersi
della globalizzazione. Le divergenze che ne deriverebbero in termini di protezione contro le
pratiche commerciali sleali potrebbero scoraggiare le imprese dall’avviare
attività al di fuori del proprio Stato membro di origine. La situazione è
ulteriormente aggravata dal fatto che gli ordinamenti giuridici nazionali sono
oggetto di frequenti modifiche, il che indica che le misure di lotta contro le
pratiche commerciali sleali non sono sempre efficaci perché devono adattarsi
all’emergere di nuove pratiche commerciali sleali. Di conseguenza, secondo
quanto dichiarato dalle imprese vittime di pratiche commerciali, in particolare
le PMI, è difficile e costoso seguire l’evoluzione dei diritti loro
riconosciuti dall’ordinamento degli Stati membri. Negli Stati
membri in cui non vigono norme specifiche in materia di pratiche commerciali
sleali, la ragione generalmente addotta è che il diritto della concorrenza è
sufficientemente efficace per affrontare il problema (Repubblica ceca), ovvero
che vi è una certa riluttanza a interferire nella libertà contrattuale delle
parti (Regno Unito), in particolare in assenza di violazioni del diritto della
concorrenza[38].
A volte viene anche fatto valere l’argomento sulla reale efficacia e necessità
di una normativa sulle pratiche commerciali sleali e sul suo potenziale
impatto, in particolare sui prezzi. 3.2. Tutela contro le pratiche commerciali sleali a livello UE Il problema delle pratiche commerciali sleali
è stato sollevato nel contesto di una serie di iniziative recenti[39].
Non esiste tuttavia per il momento uno specifico quadro normativo dell’UE in
materia di pratiche commerciali sleali nella catena di fornitura alimentare e
non alimentare tra imprese. Il diritto della concorrenza dell’UE mira a
contribuire alla realizzazione e alla preservazione del mercato unico e a
migliorare il benessere dei consumatori[40].
Esso mira a creare le condizioni di buon funzionamento del mercato e di per sé
non si occupa della correttezza nei singoli rapporti commerciali, a meno che
non determinino disfunzioni del mercato in ragione dell’esistenza di un potere
di mercato. Di conseguenza, il diritto della concorrenza dell’UE potrebbe
consentire di combattere alcune pratiche commerciali sleali ma non tutte. Altri strumenti transettoriali dell’UE mirano
anch’essi a lottare contro le pratiche sleali nei rapporti commerciali. La
direttiva sulle pratiche commerciali sleali[41]
disciplina solo gli aspetti del rapporto delle imprese nei confronti dei
consumatori, pur riconoscendo l’esigenza di un attento esame della necessità di
intervenire a livello UE in materia di rapporti tra le imprese[42]. Tale normativa
armonizza pienamente la tutela dei consumatori, prima, durante e dopo le
operazioni commerciali, da pratiche contrarie agli obblighi di diligenza
professionale e che possono influenzarne il comportamento economico. Gli Stati
membri possono estendere tali norme alle pratiche tra imprese, cosa che alcuni
di essi hanno fatto. La direttiva lascia impregiudicate le disposizioni del
diritto contrattuale, in particolare le disposizioni sulla formazione, sull’efficacia
e sulla validità dei contratti. In materia di commercializzazione, la direttiva
sulla pubblicità ingannevole e comparativa[43]
prevede già norme minime di tutela valide in tutta Europa e protegge gli
operatori commerciali, siano essi clienti o concorrenti, dalla pubblicità
ingannevole. Di recente, la Commissione ha annunciato nuove misure in materia
di pratiche di commercializzazione ingannevoli fra imprese[44] tra cui il potenziamento del
controllo del rispetto della normativa e la previsione di norme sostanziali per
la protezione delle imprese europee da tali sistemi. In particolare, la
Commissione intende presentare una revisione della direttiva sulla pubblicità
ingannevole e comparativa. Inoltre, la direttiva sui ritardi di pagamento[45]
affronta il problema specifico dei termini di pagamento. Il regolamento (CE) n. 593/2008
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e il regolamento (CE) n. 864/2007
sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali prevedono d’altronde
un insieme di norme per determinare la legge applicabile alle controversie
relative alle pratiche commerciali sleali, nella misura in cui queste
comportino obblighi di natura contrattuale o extracontrattuale tra le parti. Per quanto concerne i settori, i principi di
correttezza nei rapporti contrattuali sono stati introdotti nei settori del
latte e dei prodotti lattiero-caseari[46].
Si tratta, tra l’altro, dell’obbligo di contratto scritto tra agricoltori e
trasformatori e dell’obbligo per l’acquirente di offrire agli agricoltori
contratti aventi una durata minima. A livello UE sono state anche vagliate
soluzioni settoriali basate sull’autoregolamentazione. Va osservato che la
direttiva sulle pratiche abusive protegge dalle clausole abusive unicamente i
consumatori[47].
Ai sensi della direttiva, una clausola contrattuale che non sia stata oggetto
di negoziato individuale è considerata abusiva se, in contrasto con la buona
fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei
diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Nel contesto
delle proposte legislative di riforma della politica comune della pesca, la
Commissione ha inoltre adottato una serie di iniziative settoriali per
promuovere la correttezza nelle relazioni tra imprese nel settore della pesca e
dell’acquacoltura[48]. Alcune disposizioni giuridiche a livello UE
potrebbero in parte contrastare le pratiche commerciali sleali nei rapporti
commerciali. Tuttavia, ne potrebbe derivare un coacervo di norme che si
applicherebbero in funzione della specifica pratica in oggetto o del luogo in
cui l’impresa che ricorre alle pratiche dispone di un potere di mercato. E nell’insieme
un’impresa vittima di pratiche commerciali sleali da parte di un partner
commerciale non gode di una protezione uniforme in tutta l’UE. Questa
frammentazione giuridica nel mercato unico può impedire alle imprese di avviare
l’attività fuori dal proprio Stato membro di origine o scoraggiarle a farlo. Nel 2011 la Commissione europea ha proposto un
insieme uniforme di norme in materia di vendita che può applicarsi alle vendite
transfrontaliere di beni mobili e di contenuti digitali[49]. Il diritto comune
europeo della vendita sarà facoltativo: le parti del contratto possono decidere
di utilizzarlo, senza essere obbligate a farlo. Perché possa essere applicabile
ai rapporti tra imprese occorre che almeno una parte sia una PMI. Esso riguarda
in particolare le PMI, al fine di garantirne la tutela contro condizioni
sfavorevoli imposte unilateralmente. Alcune disposizioni si applicheranno
automaticamente: ad esempio, ai sensi del diritto comune europeo della vendita,
se il prezzo non è stato esplicitamente convenuto, è dovuto il prezzo
normalmente applicato in circostanze simili, oppure un contratto a tempo
indeterminato può essere risolto da una delle parti osservando un ragionevole
termine di preavviso. Alcune disposizioni che garantiscono un giusto equilibrio
tra gli interessi di entrambe le parti sono estremamente importanti per cui
saranno imperative: ·
ciascuna parte ha il dovere di agire secondo buona
fede e correttezza; ·
le clausole dei contratti tra imprese che non sono
state oggetto di negoziato individuale sono considerate abusive se il loro uso
si discosta manifestamente dalle buone pratiche commerciali, in contrasto con
la buona fede e la correttezza. Possono essere fatte valere contro l’altra
parte solo se quest’ultima ne era a conoscenza o se la parte ha provveduto a
richiamare su di esse l’attenzione dell’altra parte; ·
nel caso in cui una parte è autorizzata a
determinare unilateralmente il prezzo e la determinazione da questa effettuata
risulti manifestamente irragionevole è dovuto il prezzo di norma applicato; ·
una parte può annullare il contratto se l’altra
parte ha approfittato della sua situazione, ad esempio, perché inesperta e
perché l’altra parte, pur avendone conoscenza o dovendone ragionevolmente avere
conoscenza, ne ha approfittato per ottenere un beneficio eccessivo o un
vantaggio ingiusto. Le parti non possono abbreviare a meno di un anno né
prorogare a oltre dieci anni i termini di prescrizione sulla base dell’effettiva
o presunta conoscenza dei fatti.
Domande: 11)
I quadri nazionali di regolamentazione e di
autoregolamentazione in vigore in alcuni Stati membri disciplinano in maniera
adeguata le pratiche commerciali sleali? In caso negativo, vogliate indicare le
ragioni. 12)
La mancanza di quadri nazionali di
regolamentazione e di autoregolamentazione in materia di pratiche commerciali
sleali pone problemi nei paesi in cui tali quadri non esistono? 13)
Le misure di disciplina delle pratiche
commerciali sleali hanno effetti solo sui mercati nazionali o anche sul
commercio e la prestazione di servizi a livello transfrontaliero? In caso
affermativo, illustrate l’impatto sulla capacità della vostra impresa di
effettuare scambi transfrontalieri. Le differenze tra i quadri nazionali di
regolamentazione e di autoregolamentazione in vigore causano la frammentazione
del mercato unico? 14)
Ritenete che sia necessario adottare
ulteriori misure a livello UE? 15)
Ritenete che la regolamentazione delle
pratiche commerciali sleali abbia un impatto positivo nei paesi in cui esiste?
Vi sono eventuali svantaggi e problemi legati all’introduzione di una
regolamentazione sulle pratiche commerciali sleali, ad esempio in quanto
imporrebbe restrizioni ingiustificate della libertà contrattuale? Vogliate
precisare. 4. CONTROLLO DEL
RISPETTO DELLE NORME IN MATERIA DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI 4.1. I meccanismi di controllo a livello nazionale Il livello di
protezione della parte più debole nei rapporti tra imprese varia da uno Stato
membro all’altro. Vari sono i meccanismi di controllo impiegati a livello
nazionale per affrontare il problema delle pratiche commerciali sleali: il
ricorso al giudice (nella maggior parte degli Stati membri), il possibile
intervento delle autorità della concorrenza ai sensi delle norme nazionali
sulla condotta unilaterale (ad esempio, in Spagna), il ricorso amministrativo
(ad esempio, in Francia), i difensori civici (ad esempio nel Regno Unito). I poteri delle
autorità di controllo variano a seconda del tipo di strumento di controllo
utilizzato dallo Stato membro. Alcune autorità non possono accettare denunce
anonime (ad esempio, i giudici), altre non possono proteggere l’anonimato dei
denunzianti nel corso dell’intero procedimento (ad esempio, le autorità della
concorrenza in alcuni Stati membri), mentre una terza categoria può avviare
indagini unicamente in base a elementi di prova credibili (ad esempio nel Regno
Unito l’Adjudicator, che vigila sul rispetto del codice di buone
pratiche nel settore alimentare, o in Francia il ministero dell’economia). La varietà degli
approcci adottati dagli Stati membri per affrontare il problema delle pratiche
commerciali sleali può determinare una notevole frammentazione del mercato
unico. Le imprese, soprattutto le PMI, hanno difficoltà a individuare i mezzi
di ricorso disponibili nei vari Stati membri. Infine, alla divergenza degli approcci
adottati dagli Stati membri si aggiunge l’insufficienza dei vigenti meccanismi
di controllo, secondo quanto risulta da una recente consultazione delle imprese
(cfr. la successiva figura 1). Figura
1: percezione
dell’adeguatezza o meno dei vigenti meccanismi di controllo per Stato membro di
attività (EBTP, 2012) Secondo gli intervistati nel sondaggio dell’EBTP,
la mancanza generalizzata di adeguati meccanismi di controllo che proteggano le
parti deboli dalle pratiche commerciali sleali ostacola lo sviluppo delle
imprese e degli scambi, in particolare nelle situazioni transfrontaliere. Ne
deriva un impatto significativo sulle PMI, che hanno minori probabilità di
disporre dei mezzi necessari per coprire i costi potenzialmente elevati dell’assistenza
legale, data la complessità delle procedure e la mancanza di conoscenza dei
mezzi per far valere i loro diritti in funzione degli strumenti di ricorso
disponibili. 4.2. I meccanismi di controllo a livello UE Come illustrato
nella precedente sezione 3.2, al momento non esistono a livello UE meccanismi
di controllo specifici contro le pratiche commerciali sleali. Esistono però
diversi strumenti intersettoriali che disciplinano in generale la risoluzione
delle controversie e pertanto anche le controversie riguardanti le pratiche
commerciali sleali[50]. Per quanto riguarda
le pratiche commerciali ingannevoli fra imprese, la Commissione ha annunciato
nella comunicazione sulla revisione della direttiva 2006/114/CE effettuata nel 2012
l’intenzione di creare un meccanismo di cooperazione in materia di controllo[51] per rafforzare la cooperazione
transfrontaliera e migliorare la protezione contro i sistemi di commercializzazione
ingannevoli più pregiudizievoli. Come indicato in
precedenza, i rappresentanti degli operatori della catena di fornitura
alimentare in seno al Forum di alto livello per un migliore funzionamento della
filiera alimentare hanno anche esaminato varie opzioni in materia di
risoluzione delle controversie per assicurare il rispetto dei principi di buone
pratiche da essi individuati. Si tratta però di un approccio settoriale
specifico, mentre il presente Libro verde affronta il problema delle pratiche
commerciali sleali nei rapporti tra imprese lungo la catena di fornitura
alimentare e non alimentare secondo un approccio intersettoriale. In parallelo
alla consultazione lanciata dal presente Libro verde, la Commissione seguirà
gli sviluppi specifici nella catena di fornitura alimentare e inizierà a
lavorare ad una valutazione di impatto delle varie opzioni per trovare una
soluzione equa ed efficace al problema delle pratiche commerciali sleali. Oltre agli strumenti intersettoriali che si
applicano già alle pratiche commerciali sleali, per combattere le diverse
tipologie di pratiche commerciali sleali descritte alla sezione 5 potrebbe
essere necessario assicurare l’esistenza, in tutti gli Stati membri di un
insieme comune di principi in materia di controllo del rispetto. Tra gli
aspetti disciplinati potrebbe rientrare una soluzione adeguata al problema del “fattore
paura” descritto in precedenza, consistente, ad esempio, nell’attribuzione alle
autorità nazionali competenti del potere di avviare d’ufficio le indagini e di
accettare le denunce anonime. Inoltre, un tale insieme comune di principi in
materia di controllo del rispetto potrebbe anche prevedere che le autorità
competenti abbiano il potere di imporre idonee sanzioni. Potrebbe essere
previsto, ad esempio, il potere di ordinare il rispetto di pratiche corrette,
di ordinare il risarcimento dei danni, di infliggere sanzioni pecuniarie
dissuasive e di divulgare al pubblico le loro conclusioni. Le norme nazionali
in vigore potrebbero fornire esempi dei meccanismi di controllo più efficaci da
includere in un insieme comune di principi di controllo.
Domande: 16)
Vi sono differenze significative tra gli
Stati membri nel trattamento giuridico delle pratiche commerciali sleali? In
caso affermativo, si tratta di differenze che ostacolano il commercio
transfrontaliero? Vogliate, se possibile, citare esempi concreti e quantificare
l’impatto. 17)
In caso di impatto negativo, in che misura
un approccio comune UE in materia di controllo potrebbe consentire di risolvere
il problema? 18)
I pertinenti organi di controllo dovrebbero
essere dotati di poteri di indagine, compreso il potere di intervenire d’ufficio,
del potere di infliggere sanzioni e di accettare le denunce anonime?
5. TIPOLOGIE
DI PRATICHE COMMERCIALI SLEALI I risultati degli studi e delle ricerche
descritti in precedenza dimostrano che le pratiche commerciali sleali sono
percepite come un fenomeno comune, presente in tutte le fasi della catena di
fornitura alimentare e non alimentare tra imprese in molti Stati membri dell’UE.
Inoltre, sono state individuate diverse tipologie di pratiche commerciali
sleali e di problemi correlati, che sono descritte di seguito. Sulla base dei
principi e degli esempi di pratiche corrette e di pratiche sleali nei rapporti
verticali nella catena di fornitura alimentare individuati dal Forum di alto
livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare e sulla base del
lavoro svolto dalla Commissione in relazione alla catena di fornitura
alimentare e non alimentare tra imprese, sono state individuate sette tipologie
di pratiche commerciali sleali, che vengono illustrate di seguito, assieme alle
pratiche corrette che potrebbero contribuire a contrastarle. 5.1. Clausole contrattuali ambigue La forma più comune di pratica commerciale
sleale (come riconosciuto negli studi e nelle ricerche sopra menzionati) è
rappresentata dalle clausole contrattuali ambigue che consentono di imporre
ulteriori obblighi alle parti più deboli. La pratica corretta dovrebbe consistere nel
fare in modo che le parti assicurino che i diritti e le obbligazioni, incluse
le sanzioni, previsti nei contratti siano stipulati in modo chiaro, trasparente
e non ambiguo. Le parti dovrebbero fornire informazioni precise e complete sui
loro rapporti commerciali. La pratica corretta potrebbe anche consistere nel
prevedere sanzioni contrattuali proporzionate al danno subito. I contratti
dovrebbero contenere clausole che fissino le circostanze e le condizioni in
base alle quali sarebbero autorizzate modifiche a posteriori dei costi o dei
prezzi dei prodotti o dei servizi. 5.2. Mancanza di contratti scritti Occorre tener conto delle circostanze in cui
le pratiche commerciali sleali possono sorgere. Le pratiche commerciali sleali
sono più facilmente imposte quando i contratti non sono in forma scritta perché
le parti non dispongono di prove tangibili delle condizioni concordate. La pratica corretta potrebbe consistere nel
fare in modo che le parti assicurino che gli accordi siano messi per iscritto,
a meno che ciò risulti impossibile per una o entrambe le parti. Il contenuto
dei contratti orali dovrebbe essere confermato per iscritto da almeno una delle
parti dopo la conclusione. 5.3. Modifiche retroattive dei contratti Modifiche retroattive, quali detrazioni dall’importo
fatturato a copertura di spese di promozione, riduzioni unilaterali sulla base
delle quantità vendute, commissioni per l’inserimento nel listino, ecc.,
potrebbero a prima vista sembrare legittime, ma possono essere sleali se non
sono state concordate precedentemente in modo sufficientemente preciso. La pratica corretta potrebbe consistere nella
previsione di condizioni contrattuali eque per entrambe le parti. I contratti
dovrebbero prevedere in quali circostanze precise e secondo quali regole
dettagliate le parti possono modificare insieme, rapidamente e con cognizione
di causa, le clausole del contratto, compresa la procedura di calcolo del
necessario rimborso di eventuali costi risultanti dalle modifiche contrattuali
richieste da una delle parti. 5.4. Trasferimento abusivo dei rischi commerciali Alcune pratiche dovrebbero essere esaminate
indipendentemente dal fatto che siano state concordate o no in precedenza. Una categoria importante raggruppa i
trasferimenti del rischio sull’altra parte, ad esempio facendo ricadere sul
fornitore l’intera responsabilità delle merci rubate (commissioni per perdita
di prodotto), quando invece è il distributore che in genere si trova nella
posizione migliore per controllare i furti o la scomparsa delle merci nei suoi
locali. Una volta che il rischio di furti viene trasferito sul fornitore,
diminuisce in misura significativa l’incentivo del distributore ad adottare
misure preventive adeguate. Altre pratiche rientranti in questa categoria sono
il finanziamento di attività commerciali proprietarie dell’altra parte (ad
esempio investire in nuovi punti vendita), gli obblighi di risarcimento per le
perdite sostenute dal partner commerciale o termini di pagamento lunghi. Un’altra tipologia di pratiche commerciali
sleali che merita attenzione è l’abuso delle pratiche di “reverse margin”.
È un modello utilizzato da numerosi distributori moderni consistente nell’abbinare
l’acquisto di merci a servizi aggiuntivi che i distributori offrono ai
fornitori dietro pagamento (ad esempio, costi di promozione e di trasporto,
servizi connessi all’uso dello spazio sugli scaffali, ecc.). Si tratta nella
maggior parte di casi di pratiche legittime che, tuttavia, in alcuni casi
possono risultare eccessive e scorrette: in alcune giurisdizioni dell’UE (ad
esempio, in Francia), i giudici considerano che le commissioni per l’inclusione
nel listino possano essere considerate legittime soltanto se collegate a
servizi reali, proporzionati e fatturati in modo trasparente. La pratica corretta potrebbe consistere nel
fare in modo che le parti convengano che ciascun operatore si assuma la
responsabilità dei rischi e non tenti indebitamente di trasferire detti rischi
su altre parti. Le parti dovrebbero concordare le modalità e le condizioni del
loro contributo alle attività proprietarie e/o promozionali dell’altra parte.
Le commissioni per servizi legittimi dovrebbero corrispondere al loro valore.
Inoltre, quando le parti concordano commissioni per l’inserimento nel listino,
queste dovrebbero essere proporzionate al rischio assunto. Le parti non
dovrebbero mai chiedere il pagamento di servizi non prestati o di merci non
consegnate e non dovrebbero mai chiedere il pagamento di somme che
manifestamente non corrispondono al valore o al costo del servizio reso. 5.5. Uso abusivo delle informazioni L’uso “abusivo” delle informazioni ad opera
delle parti caratterizza una serie di pratiche commerciali sleali. Mentre è
legittimo che una parte chieda informazioni sui prodotti proposti, le
informazioni fornite non dovrebbero essere usate, ad esempio, per sviluppare un
prodotto concorrente, che priverebbe la parte più debole dei frutti della sua
innovazione. La Commissione ha pubblicato uno studio sugli aspetti economici e
giuridici connessi con l’uso e l’appropriazione di informazioni commerciali
riservate e di segreti commerciali e sulle relative controversie[52]. In questa categoria rientrano
altre pratiche quali il rifiuto di sottoscrivere gli accordi in materia di
riservatezza o il mancato rispetto della riservatezza. La pratica corretta dovrebbe prevedere che le
informazioni fornite da una parte nel quadro del rapporto commerciale debbano
essere utilizzate con correttezza (in particolare nelle situazioni in cui i
partner commerciali sono in parte concorrenti). Potrebbe inoltre prevedere che ciascuna
parte di un contratto agisca con ragionevole cura nell’assicurare che le
informazioni fornite alle altre parti siano corrette e non ingannevoli. 5.6. Risoluzione scorretta dei rapporti commerciali Anche la risoluzione improvvisa e
ingiustificata del rapporto commerciale o la risoluzione senza un ragionevole
periodo di preavviso possono costituire un’importante tipologia di pratiche
commerciali sleali. La risoluzione dei rapporti commerciali fa parte dell’attività
imprenditoriale, ma non deve essere trasformata in mezzo di intimidazione dell’altra
parte con il rifiuto di motivare la decisione o con il mancato rispetto di un
ragionevole periodo di preavviso. La pratica corretta potrebbe prevedere che le
parti assicurino che il contratto venga risolto con correttezza. I contratti
dovrebbero essere conclusi nel rispetto della legge applicabile al contratto,
dando allo stesso tempo un congruo preavviso alla parte a cui viene imposta la
risoluzione, per darle il tempo di recuperare l’investimento. 5.7. Restrizioni territoriali alla fornitura Le restrizioni territoriali alla fornitura
imposte da alcuni fornitori multinazionali possono impedire ai distributori
presenti di approvvigionarsi all’estero per merci identiche presso una
piattaforma centrale e di distribuirle in altri Stati membri[53]. Quando controllano di fatto
la logistica o il commercio all’ingrosso, i grandi fabbricanti di prodotti di
marca possono non avere alcun interesse diretto a ridurre i prezzi e tenteranno
di negoziare contratti a livello nazionale per mantenere le differenze di
prezzo. D’altro canto, i distributori cercano di rifornirsi dai grossisti o
dalle controllate che offrono il prezzo più basso ed esercitano pressioni sui
fabbricanti concludendo contratti direttamente con i fornitori loro concorrenti
per offrire prodotti con il marchio del distributore. I distributori nei
piccoli Stati membri affermano che, quando cercano di rifornirsi da grossisti
esteri o direttamente da fornitori situati in mercati limitrofi più competitivi
e che offrono prezzi più interessanti, sono pregati di rivolgersi alla
controllata responsabile di quel particolare mercato geografico o ai grossisti
nazionali che hanno concluso contratti territoriali con i fornitori. Tali
restrizioni consentono di segmentare il mercato e possono determinare
significative differenze nei prezzi all’ingrosso tra i paesi. Nella comunicazione del 2009 intitolata “Migliore
funzionamento della filiera alimentare in Europa”, la Commissione ha analizzato
la dispersione dei livelli di prezzo per un paniere di prodotti negli Stati
membri[54]. Ad esempio, secondo le informazioni fornite
nel corso di una riunione di una commissione parlamentare irlandese nel
febbraio 2009, i prezzi dei prodotti venduti in Irlanda possono essere fino al 130%
più elevati che nel Regno Unito, perché i distributori irlandesi sono costretti
a rifornirsi ai prezzi applicati all’Irlanda. Fattori quali le retribuzioni e
gli oneri sociali, il costo dell’energia, le imposte e la logistica possono in
parte spiegare le differenze nei vari mercati dei prezzi al consumo di un
prodotto della stessa marca, ma le restrizioni territoriali possono avere un
impatto negativo. Uno studio analogo è stato effettuato nel 2012 in Belgio[55]. Se non giustificate da ragioni oggettive di
efficienza (ad esempio a livello della logistica), le restrizioni all’approvvigionamento
transfrontaliero possono determinare una discriminazione di prezzo sulla base
del paese di stabilimento dell’acquirente. Ne risultano conseguenze negative
per i consumatori, costretti a pagare prezzi più alti e a disporre di una gamma
più ridotta di prodotti e a cui viene impedito di beneficiare di prezzi
migliori e di un mercato unico funzionante correttamente. Le ragioni tecniche
avanzate dai fornitori, come l’etichettatura, possono essere valide in alcuni
casi, ma non si applicano in genere a merci identiche. 5.8. Caratteristiche comuni delle pratiche commerciali sleali Il trasferimento dei costi sostenuti e del
rischio imprenditoriale sulla parte più debole del rapporto commerciale
rappresentano il denominatore comune della maggior parte delle summenzionate
pratiche commerciali sleali. Pressioni eccessive, impossibilità di realizzare
una corretta pianificazione aziendale e la mancanza di chiarezza per quanto
riguarda il reale contenuto del contratto sono tutti elementi che impediscono
un processo decisionale ottimale, contraggono i margini, e potenzialmente
riducono la capacità delle imprese di investire e innovare. Domande: 19)
Il summenzionato elenco riporta le pratiche
commerciali sleali più significative? Esistono altre tipologie di pratiche
commerciali sleali? 20)
La stesura di un elenco di pratiche
commerciali sleali vietate potrebbe costituire un mezzo efficace per risolvere
il problema? Un tale elenco dovrebbe essere aggiornato regolarmente? Esistono
soluzioni alternative? 21)
Per ciascuna delle pratiche commerciali
sleali e per le corrispondenti possibili pratiche corrette descritte in
precedenza indicate:
a) se concordate o no con l’analisi della Commissione. In caso
affermativo, vogliate fornire informazioni supplementari;
b) se la pratica commerciale sleale è pertinente per il vostro settore
di attività;
c) se la corrispondente possibile pratica corretta potrebbe essere
applicata in maniera generale in diversi settori; indicate se la
pratica commerciale sleale dovrebbe essere vietata in via generale o se il
divieto vada valutato caso per caso. 22)
Per quanto riguarda specificamente le
restrizioni territoriali alla fornitura, vogliate indicare:
a) Quali sarebbero a vostro avviso i motivi oggettivi di efficienza che
possono giustificare il rifiuto di un fornitore di rifornire un determinato
cliente? Vogliate precisare.
b) Quali sarebbero i vantaggi e gli svantaggi del divieto delle
restrizioni territoriali alla fornitura (descritte in precedenza)? Quali
effetti pratici avrebbe un tale divieto sul modo in cui le imprese strutturano
i loro sistemi distributivi in Europa? 23)
Le possibili pratiche corrette descritte in
precedenza dovrebbero essere integrate in un quadro normativo a livello UE?
Quali potrebbero essere gli eventuali svantaggi di un simile approccio? 24)
Se ritenete necessario un ulteriore
intervento a livello UE, a vostro avviso si dovrebbe intervenire con uno
strumento legislativo vincolante? Con uno strumento non vincolante? O con uno
strumento di autoregolamentazione? 6. OSSERVAZIONI
GENERALI
Domanda: 25)
Il presente Libro verde riguarda le pratiche
commerciali sleali e la correttezza nei rapporti tra imprese nella catena di
fornitura alimentare e non alimentare. Ritenete che vi siano aspetti importanti
che il Libro verde ha omesso di trattare o non ha trattato adeguatamente?
7. PROSSIME
TAPPE La Commissione è decisa a continuare i lavori
con tutti i portatori di interesse e terrà conto di tutti i contributi che essi
vorranno dare per migliorare il funzionamento e l’efficienza della catena di
fornitura alimentare e non alimentare tra imprese. Tutte le parti interessate sono invitate a
trasmettere le loro osservazioni in risposta alle domande di cui sopra. I
contributi, che devono pervenire alla Commissione entro il 30 aprile 2013,
devono essere inviati al seguente indirizzo: markt-retail@ec.europa.eu. Non è necessario rispondere a tutte le domande
contenute nel presente Libro verde. Di conseguenza, si prega di indicare
chiaramente le domande a cui si riferisce il vostro contributo. Se possibile,
si prega di trasmettere argomentazioni precise pro o contro le opinioni e gli
approcci presentati nel presente documento. A seguito del presente Libro verde, e sulla
base delle osservazioni ricevute, la Commissione annuncerà le prossime tappe
entro la metà del 2013. I contributi ricevuti saranno pubblicati su
internet. È importante leggere la dichiarazione specifica sulla riservatezza
allegata al presente Libro verde per informazioni sul trattamento dei dati
personali e del contributo trasmesso. [1] Fonte: Eurostat, 2010. [2] Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa,
COM (2009) 591 del 28 ottobre 2009. [3] Fonte: Eurostat, 2012. [4] Ibid. [5] AIM, CEJA, CELCAA, CLITRAVI, Copa Cogeca, ERRT,
EuroCommerce, Euro Coop, FoodDrinkEurope, UEAPME e UGAL. [6] AIM, CELCAA, ERRT, EuroCommerce, Euro Coop, FoodDrinkEurope,
UEAPME e UGAL. [7] Decisione della Commissione, del 19 dicembre 2012, che
modifica la decisione del 30 luglio 2010 per quanto riguarda la sua
applicabilità e la composizione del Forum di alto livello per un migliore
funzionamento della filiera alimentare (2012/C 396/06), GU C 396 del 21.12.2012,
pag. 17. [8] Tra questi Bulgaria, Repubblica ceca, Finlandia, Francia,
Germania, Irlanda, Italia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia,
Spagna e Regno Unito. [9] ECN Report on competition law enforcement and market
monitoring activities by European competition authorities in the food sector (Relazione
della rete europea della concorrenza sulle attività di controllo del rispetto
del diritto della concorrenza e di sorveglianza del mercato da parte delle
autorità europee della concorrenza nel settore alimentare), maggio 2012, pagg. 116-120. [10] Business relations in the EU clothing chain: from industry
to retail and distribution (I rapporti commerciali nella catena
dell’abbigliamento UE: dai produttori ai distributori), Università Bocconi,
ESSEC Business School, Baker & McKenzie, 2007, pag. 124. [11] Business relations in the EU clothing chain: from industry
to retail and distribution, pag. 126. [12] Relazione sull’esercizio di sorveglianza del mercato nel
settore del commercio e della distribuzione. “Verso un mercato interno del
commercio e della distribuzione più efficace e più equo all’orizzonte 2020”,
COM(2010) 355 del 5 luglio 2010. [13] Risoluzione del Parlamento europeo del 5 luglio 2011 su un
commercio al dettaglio più efficace e più equo (2010/2109(INI)). [14] L’Atto per il mercato unico. Dodici leve per stimolare la
crescita e rafforzare la fiducia. “Insieme per una nuova crescita”, COM(2011) 206
del 13 aprile 2011. [15] Ricerche degli Stati membri sulle pratiche commerciali
sleali; ECN Report on competition-law enforcement and market-monitoring
activities by European competition authorities in the food sector, maggio 2012,
pag. 117; gruppo pilota di imprese europee (European Business Test Panel
– EBTP); consultazione sulla direttiva 2006/114/CE, concernente la pubblicità
ingannevole e comparativa, e sulle pratiche commerciali sleali che colpiscono
le imprese. [16] Dedicated
Research, AIM-CIAA Survey on Unfair Commercial Practices in Europe (Ricerca
Dedicated Research per AIM-CIAA sulle pratiche commerciali sleali in
Europa), marzo 2011, disponibile all’indirizzo: http://www.dlf.no/filestore/CIAAAIMSurveyonUCP-Europe.pdf. [17] Joint Committee on Enterprise, Trade And Employment -
Supplier – Retailer Relationships in the Irish Grocery Market (Relazione
parlamentare sul rapporto fornitore/distributore sul mercato alimentare
irlandese, commissione congiunta su imprese, commercio e occupazione), marzo 2010,
pag. 19. [18] Competition Commission, Final Report of the supply of
groceries in the UK market investigation, 30 aprile 2008. [19] Comisión Nacional de la Competencia,
relazione sui rapporti tra produttori e distributori nel settore alimentare,
ottobre 2011. [20] Cfr. nota 15. [21] Ciò è in linea con i risultati dello studio di Dedicated
Research sulla percezione dei fornitori, che dimostra che le pratiche
commerciali sleali hanno avuto un effetto negativo sui costi, sulle vendite e
sull’innovazione (rispettivamente per l’83%, il 77% e il 40% di coloro che
hanno risposto). Cfr. nota 15. [22] SEC (2009) 1450. [23] Kilpailuviraston Päivittäistavarakauppaa koskeva
selvityksiä I/2012, pag. 119. [24] Cfr. “The functioning of the food supply chain and its
effect on food prices in the European Union” (Il funzionamento della
filiera alimentare e i suoi effetti sui prezzi dei prodotti alimentari
nell’Unione europea), European Economy, Occasional Papers 47,
maggio 2009. [25] Cfr., tra l’altro, per il Portogallo Autoridade da
Concorrência, Relatório Final sobre Relações Comerciais entre a
Distribuição Alimentar e os seus Fornecedores, ottobre 2010; per il Regno
Unito, UK Competition Commission, The supply of groceries in the UK
market investigation, 30 aprile 2008; per la Svezia, Konkurrensverket,
Mat och marknad — från bonde till bord, aprile 2011; per la Spagna, Comisión
Nacional de la Competencia, Informe sobre el Código de buenas prácticas
de distribución del automóvil e Informe sobre el anteproyecto de Ley de
Contratos de distribución; del 5 ottobre 2011; per la Finlandia, Kilpailuviraston
Päivittäistavarakauppaa koskeva selvityksiä. Altri studi sono menzionati
nella relazione della rete europea della concorrenza citata alla nota 8. [26] Il considerando 9 del regolamento (CE) n. 1/2003,
traccia espressamente una linea di demarcazione fra il diritto della
concorrenza (che include le norme nazionali in materia di condotta unilaterale
più severe di quelle imposte dall’articolo 102) e la normativa in materia di
pratiche commerciali sleali. [27] Ibid. [28] Cfr. la relazione della rete europea della concorrenza,
paragrafo 26, citata alla nota 8. [29] Nell’ambito del diritto civile, ad esempio adottando
specifiche disposizioni di diritto commerciale (ad esempio, in Francia) o
nell’ambito del diritto amministrativo. [30] Ad esempio Francia, Belgio, Italia e Spagna. [31] Ad esempio Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia e Spagna. [32] Codice delle buone pratiche commerciali (1997), redatto
dall’associazione portoghese delle imprese di distribuzione e dalla
confederazione dell’industria portoghese. [33] Codice delle buone pratiche commerciali. [34] Codice delle buone pratiche commerciali nel settore della
distribuzione di autoveicoli, sottoscritto da ANFAC, ANIACAM, FACONAUTO e
GANVAM il 10.6.2011; accordo dell’1.8.2007 tra FIAB e ASEDAS sulla raccomandazione
di buone pratiche commerciali per migliorare la gestione attraverso la catena
di valore e promuovere la cooperazione tra imprese; accordo del 29.7.2011 sul
codice di condotta commerciale nella filiera alimentare in Catalogna. [35] Codice di condotta del 20 maggio 2010 per rapporti
corretti tra fornitori e acquirenti nella catena agroalimentare. [36] Groceries Supply Code of Practices – GSCOP (Codice
di buone pratiche nella fornitura alimentare). [37] ECN Report on competition law enforcement and market monitoring
activities by European competition authorities in the food sector, maggio 2012,
pag. 118. [38] Cfr. il rapporto speciale della rete internazionale della
concorrenza (ICN) per la conferenza annuale a Kyoto dal titolo “Report on
Abuse of Superior Bargaining Position” (rapporto sull’abuso del maggiore
potere negoziale), 2008. [39] Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa,
COM(2009) 591 del 28 ottobre 2009; Un mercato unico per l’Europa del XXI
secolo, COM(2007) 725 del 20 novembre 2007; relazione sull’esercizio di
sorveglianza del mercato nel settore del commercio e della distribuzione (cfr.
nota 11); l’Atto per il mercato unico (cfr. la nota 13). [40] Cfr. la relazione sulla politica di concorrenza 2010, COM(2011)
328, paragrafo 9. [41] Direttiva
2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei
confronti dei consumatori nel mercato interno. [42] Ibid. considerando 8: “La
presente direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori
dalle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori.
[…] Resta inteso che esistono altre pratiche commerciali che, per quanto non
lesive per i consumatori, possono danneggiare i concorrenti e i clienti. La
Commissione dovrebbe valutare accuratamente la necessità di un’azione
comunitaria in materia di concorrenza sleale al di là delle finalità della
presente direttiva e, ove necessario, presentare una proposta legislativa che
contempli questi altri aspetti della concorrenza sleale.” [43] Direttiva
2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006,
concernente la pubblicità ingannevole e comparativa. [44] Proteggere le imprese dalle pratiche di
commercializzazione ingannevoli e garantire l’effettivo rispetto delle norme.
Revisione della direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e
comparativa (COM (2012) 702). [45] Direttiva
2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali. [46] Regolamento (UE) n. 261/2012 per quanto riguarda i
rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. [47] Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei
contratti stipulati con i consumatori. [48] COM(2011) 416
definitivo del 13 luglio 2011. [49] Proposta di regolamento relativo a un diritto comune
europeo della vendita, COM(2011) 635. [50] Direttiva 2002/8/CE sul patrocinio a spese dello Stato
(che istituisce un quadro per ottenere il patrocinio a spese dello Stato nelle
controversie transfrontaliere); direttiva 2008/52/CE sulla mediazione (che
assicura il buon coordinamento della mediazione e dei procedimenti giudiziari);
regolamento (CE) n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale
(che stabilisce quale giudice nell’UE è competente a conoscere di una
controversia e le modalità secondo le quali le sentenze emesse in uno Stato
membro sono riconosciute ed eseguite negli altri Stati membri. Si noti che
questo regolamento è stato oggetto di rifusione ad opera del regolamento
n. 1215/2012, che abolirà l’intera procedura intermedia del riconoscimento
e dell’esecuzione); i regolamenti (CE) n. 1896/2006 e (CE) n. 861/2007
(che istituiscono un procedimento giudiziario europeo, rispettivamente, per i
crediti non contestati e per le controversie di modesta entità), nonché i
regolamenti (CE) n. 593/2008 e (CE) n. 864/2008, già menzionati, che
rafforzano la certezza giuridica in merito all’esito delle controversie in
Europa. [51] COM(2012) 702 final. [52] http://ec.europa.eu/internal_market/iprenforcement/trade_secrets/index_en.htm#maincontentSec1. [53] Si noti che in questo contesto per restrizione
territoriale alla fornitura si intende il divieto imposto al fornitore di
vendere ai rivenditori che tentano di approvvigionarsi direttamente dal
fornitore. Non si ha restrizione territoriale alla fornitura quando, ad
esempio, un distributore a cui è stato attribuito un territorio esclusivo in
una determinata area geografica è protetto dalle vendite attive di altri
distributori in detta area. [54] COM(2009) 591 definitivo. [55] SPF Economie, Etude sur les niveaux de prix dans les
supermarché (Servizio pubblico federale per l’economia, Studio sui livelli
dei prezzi nei supermercati), febbraio 2012.