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Document 52008AG0023

Posizione comune (CE) n. 23/2008, del 15 settembre 2008 , definita dal Consiglio deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 251 del trattato che istituisce la Comunità europea, in vista dell'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

OJ C 254E, 7.10.2008, p. 26–35 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

7.10.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

CE 254/26


POSIZIONE COMUNE (CE) N. 23/2008

definita dal Consiglio il 15 settembre 2008

in vista dell'adozione della direttiva 2008/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del … 2008, recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

(2008/C 254 E/03)

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 137, paragrafo 2,

vista la proposta della Commissione,

visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (1),

visto il parere del Comitato delle regioni (2),

deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 del trattato (3),

considerando quanto segue:

(1)

L'articolo 137 del trattato prevede che la Comunità sostenga e completi l'azione degli Stati membri al fine di migliorare l'ambiente di lavoro per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori. Le direttive adottate sulla base di tale articolo devono evitare di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese.

(2)

La direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, tra l'altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.

(3)

L'articolo 19, terzo comma, e l'articolo 22, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2003/88/CE prevedono un riesame entro il 23 novembre 2003.

(4)

Essendo trascorsi oltre dieci anni dall'adozione della direttiva 93/104/CE del Consiglio (5), prima direttiva in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, appare necessario tener conto dei nuovi sviluppi e delle richieste sia dei datori di lavoro che dei lavoratori e dotarsi delle risorse per raggiungere gli obiettivi in materia di crescita e di occupazione fissati dal Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005 nel quadro della strategia di Lisbona.

(5)

La conciliazione della vita professionale con la vita familiare è anch'essa un elemento essenziale per conseguire gli obiettivi che l'Unione europea si è prefissata nella strategia di Lisbona, in particolare per accrescere il tasso di occupazione femminile. Lo scopo è non solo rendere più soddisfacente il clima lavorativo, ma anche consentire un migliore adattamento ai bisogni dei lavoratori, in particolare di quelli che hanno responsabilità familiari. Varie modifiche contenute nella presente direttiva sono volte a permettere una migliore compatibilità tra vita professionale e vita familiare.

(6)

In questo contesto gli Stati membri dovrebbero incoraggiare le parti sociali a concludere, al livello appropriato, accordi che permettano una migliore conciliazione della vita professionale con la vita familiare.

(7)

Si ravvisa la necessità di rafforzare la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e di introdurre una maggiore flessibilità nell'organizzazione dell'orario di lavoro, in particolare per quanto riguarda il servizio di guardia e, più specificamente, i periodi inattivi durante il servizio di guardia, come anche di trovare un nuovo equilibrio tra la conciliazione della vita professionale con la vita familiare, da un lato, e un'organizzazione più flessibile dell'orario di lavoro, dall'altro.

(8)

Ai lavoratori dovrebbero essere accordati periodi di riposo compensativo in circostanze in cui non sono concessi periodi di riposo. È opportuno lasciare agli Stati membri la facoltà di determinare il termine di tempo ragionevole entro cui è concesso ai lavoratori l'equivalente riposo compensativo, tenendo conto sia dell'esigenza di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sia del principio di proporzionalità.

(9)

Anche le disposizioni concernenti il periodo di riferimento di durata massima settimanale del lavoro devono essere riviste nell'intento di adattarle alle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori, fatte salve le garanzie per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

(10)

Qualora la durata del contratto di lavoro sia inferiore ad un anno, il periodo di riferimento non dovrebbe essere superiore alla durata del contratto di lavoro.

(11)

L'esperienza acquisita nell'applicazione dell'articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE dimostra che la decisione puramente individuale di non applicare l'articolo 6 della stessa può comportare dei problemi per quanto concerne la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e la libertà di scelta del lavoratore.

(12)

La facoltà prevista all'articolo 22, paragrafo 1, costituisce una deroga al principio di una durata massima settimanale del lavoro pari a 48 ore, calcolata come media su un periodo di riferimento. È subordinata alla protezione efficace della salute e della sicurezza dei lavoratori e al consenso esplicito, libero e informato del lavoratore in questione. Il ricorso a tale facoltà deve essere subordinato a garanzie adeguate per assicurare il rispetto di queste condizioni ed essere oggetto di un controllo rigoroso.

(13)

Prima di avvalersi della facoltà di cui all'articolo 22, paragrafo 1, si dovrebbe valutare se il massimo periodo di riferimento o le altre misure in materia di flessibilità previste dalla direttiva 2003/88/CE non garantiscano la flessibilità necessaria.

(14)

Per evitare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, il periodo di riferimento flessibile previsto all'articolo 19, primo comma, lettera b), non può essere cumulato in uno Stato membro con la facoltà di cui all'articolo 22, paragrafo 1.

(15)

Ai sensi dell'articolo 138, paragrafo 2, del trattato, la Commissione ha consultato le parti sociali a livello comunitario sul possibile orientamento dell'azione comunitaria in materia.

(16)

Dopo tale consultazione la Commissione, ritenendo opportuna un'azione comunitaria, ha ulteriormente consultato le parti sociali sul contenuto della proposta prevista, ai sensi dell'articolo 138, paragrafo 3, del trattato.

(17)

Al termine di tale seconda fase di consultazione le parti sociali a livello comunitario non hanno informato la Commissione della loro volontà di avviare il processo che potrebbe condurre alla conclusione di un accordo, come previsto all'articolo 139 del trattato.

(18)

Poiché l'obiettivo della presente direttiva, ossia attualizzare la normativa comunitaria in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire, in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

(19)

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e si conforma ai principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (6). Essa è volta in particolare ad assicurare il pieno rispetto del diritto a condizioni di lavoro giuste ed eque di cui all'articolo 31 della Carta, in particolare al paragrafo 2, il quale statuisce che «ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite».

(20)

L'attuazione della presente direttiva dovrebbe mantenere il livello generale di protezione assicurato ai lavoratori per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro,

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

Articolo 1

La direttiva 2003/88/CE è così modificata:

1)

all'articolo 2 sono inseriti i punti seguenti:

«1 bis)

“servizio di guardia”: periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione sul proprio luogo di lavoro al fine di intervenire, su richiesta del datore di lavoro, per esercitare la propria attività o le proprie funzioni.

1 ter)

“luogo di lavoro”: il luogo o i luoghi in cui il lavoratore esercita normalmente le sue attività o funzioni e che è determinato conformemente a quanto previsto nel rapporto o contratto di lavoro che si applica al lavoratore.

1 quater)

“periodo inattivo del servizio di guardia”: periodo durante il quale il lavoratore è di guardia ai sensi del punto 1 bis, ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare di fatto la propria attività o le proprie funzioni.»;

2)

sono inseriti gli articoli seguenti:

«Articolo 2 bis

Servizio di guardia

Il periodo inattivo del servizio di guardia non è considerato orario di lavoro, a meno che la normativa nazionale o, conformemente alla normativa e/o alle prassi nazionali, un contratto collettivo o un accordo tra parti sociali non dispongano altrimenti.

Il periodo inattivo del servizio di guardia può essere calcolato in base a una media del numero di ore o a una proporzione del servizio di guardia, tenendo conto dell'esperienza del settore in questione, tramite contratto collettivo o accordo tra le parti sociali o in base alla normativa nazionale previa consultazione delle parti sociali.

Il periodo inattivo del servizio di guardia non è conteggiato per il calcolo dei periodi di riposo giornalieri o settimanali previsti, rispettivamente, agli articoli 3 e 5, salvo altrimenti previsto:

a)

in un contratto collettivo o in un accordo tra le parti sociali;

o

b)

nella normativa nazionale previa consultazione delle parti sociali.

Il periodo durante il quale il lavoratore esercita di fatto la propria attività o le proprie funzioni durante il servizio di guardia è sempre considerato orario di lavoro.

Articolo 2 ter

Conciliazione della vita professionale con la vita familiare

Gli Stati membri incoraggiano le parti sociali al livello adeguato, lasciandone impregiudicata l'autonomia, a concludere accordi finalizzati a meglio conciliare la vita professionale con la vita familiare.

Gli Stati membri assicurano, senza pregiudizio della direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori (7), e consultando le parti sociali, che i datori di lavoro informino a tempo debito i lavoratori di eventuali modifiche sostanziali del ritmo o dell'organizzazione del loro orario di lavoro.

Tenendo conto delle esigenze dei lavoratori in materia di flessibilità del loro orario e del loro ritmo di lavoro, gli Stati membri incoraggiano parimenti, in conformità delle prassi nazionali, i datori di lavoro ad esaminare le richieste di modifiche dell'orario o del ritmo di lavoro, fatte salve le esigenze aziendali e le esigenze dei lavoratori e dei datori di lavoro in termini di flessibilità.

3)

l'articolo 17 è così modificato:

a)

al paragrafo 1, le parole «agli articoli 3, 4, 5, 6, 8 e 16» sono sostituite dalle parole «agli articoli da 3 a 6 e all'articolo 8 nonché all'articolo 16, lettere a) e c)»;

b)

al paragrafo 2, le parole «a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo» sono sostituite dalle parole «a condizione che siano accordati ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo entro un termine ragionevole, da stabilirsi in base alla normativa nazionale o a un contratto collettivo ovvero a un accordo sottoscritto dalle parti sociali»;

c)

al paragrafo 3, nella frase introduttiva, le parole «agli articoli 3, 4, 5, 8 e 16» sono sostituite dalle parole «agli articoli 3, 4, 5 e 8, nonché all'articolo 16, lettere a) e c)»;

d)

il paragrafo 5 è così modificato:

i)

il primo comma è sostituito dal seguente:

«5.   A norma del paragrafo 2 del presente articolo, le deroghe all'articolo 6, nel caso dei medici in formazione, possono essere concesse secondo il disposto dei commi dal secondo al sesto del presente paragrafo.»;

ii)

l'ultimo comma è soppresso;

4)

all'articolo 18, terzo comma, le parole «a condizione che ai lavoratori interessati siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo» sono sostituite dalle parole «a condizione che siano accordati ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo entro un termine ragionevole, da stabilirsi in base alla normativa nazionale o a un contratto collettivo ovvero a un accordo sottoscritto dalle parti sociali»;

5)

l'articolo 19 è sostituito dal seguente:

«Articolo 19

Limiti alla facoltà di derogare ai periodi di riferimento

Senza pregiudizio dell'articolo 22 bis, lettera b), e in deroga all'articolo 16, lettera b), gli Stati membri hanno la facoltà, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, di consentire che, per ragioni oggettive o tecniche ovvero per ragioni inerenti all'organizzazione del lavoro, il periodo di riferimento sia portato a un periodo non superiore a dodici mesi:

a)

mediante contratto collettivo o accordo sottoscritto dalle parti sociali, come previsto all'articolo 18;

o

b)

per via legislativa o regolamentare previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato.

Se si avvalgono della facoltà di cui al primo comma, lettera b), gli Stati membri provvedono affinché il datore di lavoro adempia agli obblighi che gli incombono in virtù della direttiva 89/391/CEE, sezione II.»;

6)

l'articolo 22 è sostituito dal seguente:

«Articolo 22

Disposizioni varie

1.   Quantunque il principio generale sia che, nell'Unione europea, l'orario settimanale di lavoro massimo è di 48 ore e che in pratica per i lavoratori nell'Unione una maggiore durata del lavoro rappresenta l'eccezione, gli Stati membri possono decidere di non applicare l'articolo 6 a condizione di adottare le misure necessarie per assicurare la protezione efficace della salute e della sicurezza dei lavoratori. Il ricorso a detta facoltà deve tuttavia essere espressamente previsto da un contratto collettivo o da un accordo sottoscritto dalle parti sociali al livello adeguato o dalla normativa nazionale, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato.

2.   In ogni caso, gli Stati membri che desiderano avvalersi di tale facoltà prendono le misure necessarie ad assicurare che:

a)

nessun datore di lavoro chieda a un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di sette giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all'articolo 16, lettera b), a meno che non abbia ottenuto il consenso previo del lavoratore all'esecuzione di tale lavoro. La validità di detto consenso non è superiore a un anno ed è rinnovabile;

b)

nessun lavoratore possa subire un danno per il fatto di non essere disposto ad accettare di effettuare tale lavoro o perché ha revocato, per qualsiasi motivo, il suo consenso;

c)

il consenso dato:

i)

all'atto della firma del contratto di lavoro individuale; ovvero

ii)

nel corso delle prime quattro settimane del rapporto di lavoro

sia nullo e non avvenuto;

d)

nessun lavoratore che abbia dato il suo consenso ai sensi del presente articolo lavori, nel corso di un periodo di sette giorni, più di:

i)

60 ore, calcolate come media su un periodo di tre mesi, salvo qualora un contratto collettivo o un accordo sottoscritto dalle parti sociali disponga altrimenti; ovvero

ii)

65 ore, calcolate come media su un periodo di tre mesi, in assenza di un contratto collettivo e se il periodo inattivo del servizio di guardia è considerato orario di lavoro a norma dell'articolo 2 bis;

e)

ciascun lavoratore abbia il diritto, durante i primi sei mesi successivi alla stipula di un accordo valido o durante un periodo massimo di tre mesi dalla fine del periodo di prova specificato nel suo contratto, se tale periodo ha durata superiore, di revocare, con effetto immediato, il suo consenso ad effettuare tale lavoro, informandone a tempo debito e per iscritto il suo datore di lavoro. Successivamente il datore di lavoro può chiedere al lavoratore di dare per iscritto un preavviso, di durata non superiore a due mesi;

f)

il datore di lavoro tenga registri aggiornati di tutti i lavoratori che effettuano tale lavoro e registri adeguati che consentano di accertare che le disposizioni della presente direttiva siano rispettate;

g)

i registri siano messi a disposizione delle autorità competenti, le quali possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro;

h)

il datore di lavoro, su richiesta delle autorità competenti, trasmetta loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori a lavorare per più di 48 ore nel corso di un periodo di sette giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all'articolo 16, lettera b), e registri adeguati che consentano di accertare che le disposizioni della presente direttiva siano rispettate.

3.   Sempreché siano rispettati i principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, qualora un lavoratore sia impiegato dal medesimo datore di lavoro per un periodo o periodi non superiori complessivamente a dieci settimane nell'arco di dodici mesi, le disposizioni di cui al paragrafo 2, lettera c), punto ii), e lettera d), non si applicano.»;

7)

è inserito l'articolo seguente:

«Articolo 22 bis

Disposizioni speciali

Qualora uno Stato membro si avvalga della facoltà prevista all'articolo 22:

a)

la facoltà di cui all'articolo 19, primo comma, lettera b), non è d'applicazione;

b)

tale Stato membro può, in deroga all'articolo 16, lettera b), e per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, consentire, per via legislativa, regolamentare o amministrativa che il periodo di riferimento sia portato a un periodo non superiore a sei mesi.

Detto periodo di riferimento è soggetto ai principi generali della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e non incide sul periodo di riferimento trimestrale applicabile a titolo dell'articolo 22, paragrafo 2, lettera d), ai lavoratori che hanno concluso un accordo ancora valido a titolo dell'articolo 22, paragrafo 2, lettera a).»;

8)

l'articolo 24 è sostituito dal seguente:

«Articolo 24

Relazioni

1.   Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto nazionale adottate o in via di adozione nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

2.   Ogni cinque anni gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione sull'attuazione pratica della presente direttiva, indicando i punti di vista delle parti sociali.

La Commissione ne informa il Parlamento europeo, il Consiglio, il Comitato economico e sociale europeo e il Comitato consultivo per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro.

3.   A decorrere dal 23 novembre 1996 la Commissione presenta ogni cinque anni al Parlamento europeo, al Consiglio ed al Comitato economico e sociale europeo una relazione sull'attuazione della presente direttiva, tenendo conto dei paragrafi 1 e 2.»;

9)

è inserito l'articolo seguente:

«Articolo 24 bis

Relazione valutativa

1.   Entro il … (8):

a)

gli Stati membri che si avvalgono della facoltà di cui all'articolo 22, paragrafo 1, informano la Commissione in merito ai motivi, al settore o ai settori, alle attività e al numero di lavoratori interessati, previa consultazione delle parti sociali a livello nazionale. La relazione di ciascuno Stato membro contiene informazioni sugli effetti per la salute e la sicurezza dei lavoratori, illustra le posizioni delle parti sociali a livello adeguato ed è trasmessa altresì alle parti sociali a livello nazionale;

b)

gli Stati membri che si avvalgono della facoltà di cui all'articolo 19, primo comma, lettera b), informano la Commissione sulle modalità di attuazione di tale disposizione e sui suoi effetti per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

2.   Entro … (9), la Commissione, previa consultazione delle parti sociali a livello comunitario, trasmette al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo una relazione riguardante:

a)

il ricorso alla facoltà di cui all'articolo 22, paragrafo 1, e relativi motivi; e

b)

altri fattori che possono contribuire a lunghi orari di lavoro, come l'applicazione dell'articolo 19, primo comma, lettera b).

La relazione può essere corredata di appropriate proposte per ridurre orari di lavoro eccessivamente lunghi, tra cui il ricorso alla facoltà di cui all'articolo 22, paragrafo 1, tenendo conto del suo impatto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori interessati.

3.   In base alla relazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio valuta il ricorso alle facoltà previste dalla presente direttiva, segnatamente quelle previste all'articolo 19, lettera b), e all'articolo 22, paragrafo 1.

Tenendo conto di tale valutazione, entro il … (10) la Commissione, se opportuno, può sottoporre al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta di modifica della presente direttiva, che includa la facoltà di cui all'articolo 22, paragrafo 1.».

Articolo 2

Gli Stati membri stabiliscono norme relative alle sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva e adottano tutti i provvedimenti necessari per assicurarne l'applicazione. Le sanzioni previste devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano dette disposizioni alla Commissione entro il … (11). Gli Stati membri notificano tempestivamente alla Commissione le eventuali successive modifiche di tali disposizioni. In particolare essi provvedono a che i lavoratori e/o i loro rappresentanti dispongano di mezzi adeguati per dare esecuzione agli obblighi previsti dalla presente direttiva.

Articolo 3

1.   Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente al … (11) o si accertano che le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordo, nel qual caso gli Stati membri devono adottare tutte le misure necessarie a consentire loro di garantire in qualsiasi momento il conseguimento degli obiettivi della presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

2.   Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

Articolo 4

La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

Articolo 5

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a …

Per il Parlamento europeo

Il presidente

Per il Consiglio

Il presidente


(1)  GU C 267 del 27.10.2005, pag. 16.

(2)  GU C 231 del 20.9.2005, pag. 69.

(3)  Parere del Parlamento europeo, dell'11 maggio 2005 (GU C 92 E del 20.4.2006, pag. 292), posizione comune del Consiglio, del 15 settembre 2008, e decisione del Consiglio, del … (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale).

(4)  GU L 299 del 18.11.2003, pag. 9.

(5)  GU L 307 del 13.12.1993, pag. 1. Direttiva abrogata dalla direttiva 2003/88/CE.

(6)  GU C 303 del 14.12.2007, pag. 1.

(7)  GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29.»;

(8)  Sei anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva.

(9)  Sette anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva.

(10)  Otto anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva.

(11)  Tre anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva.


MOTIVAZIONE DEL CONSIGLIO

I.   INTRODUZIONE

Il 24 settembre 2004 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo che modifica la direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (1). La proposta è basata sull'articolo 137, paragrafo 2, del trattato.

Il Parlamento europeo ha formulato il suo parere in prima lettura l'11 maggio 2005, conformemente alla procedura di cui all'articolo 251 del trattato (2).

Il Comitato economico e sociale ha formulato il suo parere l'11 maggio 2005 (3), il Comitato delle regioni il 14 aprile 2005 (4).

La Commissione ha presentato il 2 giugno 2005 una proposta (5) modificata che accoglie 13 dei 25 emendamenti adottati dal Parlamento europeo.

Il 9 giugno 2008 il Consiglio ha raggiunto un accordo politico a maggioranza qualificata su una posizione comune, parallelamente ad un accordo politico a maggioranza qualificata su una posizione comune relativa alle condizioni di lavoro per i lavoratori temporanei. Cinque delegazioni, che non sono state in grado di accettare il testo dell'accordo politico riguardante la direttiva sull'orario di lavoro, hanno iscritto a verbale del Consiglio una dichiarazione congiunta (6).

In conformità dell'articolo 251, paragrafo 2 del trattato CE, il Consiglio ha adottato la posizione comune a maggioranza qualificata il 15 settembre 2008.

II.   OBIETTIVI

La proposta persegue un duplice obiettivo:

in primo luogo, riesaminare alcune disposizioni della direttiva 2003/88/CE (che ha modificato da ultimo la direttiva 93/104/CE) secondo il disposto degli articoli 19 e 22 della medesima. Si tratta di disposizioni che riguardano le deroghe al periodo di riferimento per l'applicazione dell'articolo 6 (durata massima settimanale del lavoro) e la possibilità di non applicare l'articolo 6 se il lavoratore acconsente ad eseguire il lavoro in questione (opzione di non partecipazione),

in secondo luogo, allineare la normativa alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, in particolare alle pronunce nelle cause SIMAP (7) e Jaeger (8), in cui si afferma che il periodo di servizio di guardia di un medico cui è chiesto di essere fisicamente presente in ospedale va sempre considerato orario di lavoro. Questa interpretazione di talune disposizioni della direttiva da parte della Corte di giustizia europea, a seguito di varie richieste di pronunzia pregiudiziale ai sensi dell'articolo 234 del trattato, ha inciso profondamente sulla nozione di «orario di lavoro» e di conseguenza, su alcune disposizioni essenziali della direttiva.

In particolare:

nell'intento di assicurare un adeguato equilibrio tra la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, da una parte, ed il bisogno di flessibilità delle imprese, dall'altra, la proposta stabilisce principi generali di protezione per i lavoratori in servizio di guardia, sia per i periodi attivi che per i periodi inattivi. In tale contesto la proposta prevede che il periodo inattivo del servizio di guardia non va considerato orario di lavoro ai sensi della direttiva a meno che la legislazione nazionale, i contratti collettivi o gli accordi tra le parti sociali non dispongano altrimenti,

la proposta mira a consentire in taluni casi ai datori di lavoro e agli Stati membri una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro rendendo possibile l'estensione ad un anno del periodo di riferimento per il calcolo della durata massima settimanale del lavoro e offrendo così alle imprese l'opportunità di reagire alle fluttuazioni, più o meno regolari, della domanda,

inoltre essa rende più compatibili la vita professionale e la vita familiare, segnatamente attraverso le modifiche proposte riguardo all'articolo 22,

per quanto riguarda la durata massima settimanale media di 48 ore e la facoltà di non partecipazione individuale, la proposta rafforza il dialogo sociale associando le parti sociali a ogni decisione presa da uno Stato membro al fine di autorizzare il ricorso alla facoltà di non partecipazione da parte dei lavoratori. In virtù di questo nuovo sistema, la decisione di uno Stato membro di autorizzare il ricorso a tale facoltà di non partecipazione deve essere attuata in virtù di contratti collettivi o accordi preventivi sottoscritti dalle parti sociali a livello adeguato o in virtù di normativa nazionale, previa consultazione delle parti sociali a livello adeguato. Resta il fatto che, poiché nessun datore di lavoro può costringere un lavoratore a lavorare oltre la durata massima settimanale media di 48 ore, anche il singolo lavoratore deve dare il proprio consenso sul ricorso alla facoltà di non partecipazione. Saranno applicate condizioni più rigorose anche a livello comunitario allo scopo di prevenire gli abusi ed assicurare che il lavoratore che intenda far ricorso alla facoltà di non partecipazione possa scegliere in piena libertà. Inoltre, la proposta introduce un principio generale che prevede una limitazione della durata massima dell'orario di lavoro settimanale.

III.   ANALISI DELLA POSIZIONE COMUNE

1.   Osservazioni generali

a)   Proposta modificata della Commissione

Il Parlamento europeo ha adottato 25 emendamenti alla proposta della Commissione. 13 di tali emendamenti sono stati integralmente incorporati nella proposta modificata della Commissione, in parte dopo essere stati riformulati (emendamenti 1, 2, 3, 4, 8, 11, 12, 13, 16, 17, 18, 19 e 24). La Commissione non è stata tuttavia in grado di accettare 12 altri emendamenti (emendamenti 5, 6, 7, 9, 10, 14, 15, 20, 21, 22, 23 e 25).

b)   Posizione comune del Consiglio

Il Consiglio ha potuto accettare 8 dei 13 emendamenti, incorporati integralmente o parzialmente nella proposta modificata di direttiva della Commissione, segnatamente gli emendamenti 1 e 2 (considerando n. 4 che cita le conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona), l'emendamento 3 (considerando n. 5 che fa riferimento all'accrescimento del tasso di occupazione femminile), l'emendamento 4 (considerando n. 7: aggiunta di un riferimento riguardante la conciliazione della vita professionale con la vita familiare), l'emendamento 8 (considerando n. 14 che cita l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali), l'emendamento 16 [articolo 17, paragrafo 2 (riguardante il riposo compensativo), l'emendamento 17 (articolo 17, paragrafo 5, primo comma, correzione di un errore) e l'emendamento 18 (articolo 18, paragrafo 3, riguardante il riposo compensativo).

Il Consiglio ha inoltre accettato, previe modifiche redazionali, i principi alla base degli emendamenti:

emendamento 12 (articolo 2 ter: aggiunta di una disposizione riguardante la conciliazione della vita professionale con la vita familiare),

emendamento 13 [soppressione dell'articolo 16 lettera b), secondo comma riguardante il periodo di riferimento di 12 mesi],

emendamento 19 (articolo 19: periodo di riferimento).

Tuttavia, il Consiglio non ha ritenuto opportuno accogliere i seguenti emendamenti:

emendamento 11 (cumulo delle ore in caso di diversi contratti di lavoro): vedi considerando n. 2, come preso in considerazione nel considerando n. 2 della proposta modificata, in quanto il considerando della direttiva vigente stabilisce che: «Le disposizioni della direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, rimangono pienamente applicabili ai settori contemplati dalla presente direttiva, fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella medesima». E che l'articolo 4 della medesima stabilisce che le disposizioni della direttiva 89/391/CEE sono pienamente applicabili ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali, alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro nonché a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro,

emendamento 24 (disposizione sulla validità degli accordi relativi all'opzione di non partecipazione sottoscritti prima dell'entrata in vigore della presente direttiva: vedi articolo 22, paragrafo 1 quater: il Consiglio non ha ritenuto necessario incorporare tale disposizione che è stata inserita nella proposta modificata della Commissione,

emendamento 25 (che prevede l'invio di una copia della direttiva ai governi e parlamenti dei paesi candidati).

Il Consiglio inoltre non è stato in grado di accogliere gli emendamenti 5, 6, 7, 9, 10, 14, 15, 20, 21, 22 e 23 per i motivi menzionati dalla Commissione nella sua proposta modificata.

La Commissione ha approvato la posizione comune adottata dal Consiglio.

2.   Osservazioni specifiche

Disposizioni riguardanti il servizio di guardia

Il Consiglio ha espresso il suo accordo sulle definizioni di «servizio di guardia» e «periodo inattivo del servizio di guardia», quali proposte dalla Commissione nella sua proposta originaria e confermate nella proposta modificata.

Il Consiglio ha altresì convenuto con la Commissione della necessità di aggiungere una definizione del termine «luogo di lavoro»all'articolo 1, punto 1, punto 1 ter, della posizione comune al fine di precisare meglio la definizione di «servizio di guardia».

Per quanto riguarda un nuovo articolo 2 bis sul servizio di guardia, il Consiglio condivide con la Commissione il principio che il periodo inattivo del servizio di guardia non è considerato orario di lavoro, a meno che la normativa nazionale, o conformemente alla normativa nazionale e/o alle pratiche nazionali, un contratto collettivo o un accordo tra le parti sociali non dispongano altrimenti. Il Consiglio condivide il punto di vista della Commissione che l'introduzione di questa nuova categoria dovrebbe contribuire a chiarire il rapporto tra orario di lavoro e periodi di riposo.

Il Consiglio ha anche seguito l'approccio della Commissione per quanto riguarda il metodo di calcolo del periodo inattivo del servizio di guardia, precisando nel contempo che non può essere stabilito soltanto da un contratto collettivo o da un accordo tra le parti sociali ma anche dalla normativa nazionale, previa consultazione delle parti sociali.

Il Consiglio ha riconosciuto quale principio generale che il periodo inattivo del servizio di guardia non può essere conteggiato per il calcolo dei periodi di riposo giornaliero e riposo settimanale. Il Consiglio ritiene tuttavia che si debba prevedere la possibilità di introdurre una certa flessibilità nell'applicazione di tale disposizione tramite contratto collettivo, accordo tra le parti sociali o in base alla normativa nazionale previa consultazione delle parti sociali.

Periodo di riposo compensativo

Per quanto riguarda l'articolo 17, paragrafo 2, e l'articolo 18, terzo comma della direttiva, il Consiglio può accettare gli emendamenti 16 e 18 come riformulati nella proposta modificata della Commissione.

Il principio generale è che ai lavoratori dovrebbero essere accordati periodi di riposo compensativo quando i periodi di riposo normali non possono esser presi. È opportuno lasciare agli Stati membri la facoltà di determinare il termine ragionevole entro il quale al lavoratore viene concesso un riposo compensativo equivalente, tenendo conto sia della necessità di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori interessati, sia del principio di proporzionalità.

Conciliazione della vita professionale con la vita familiare

Il Consiglio concorda con il Parlamento sulla necessità di una migliore conciliazione della vita professionale con la vita familiare. Questa preoccupazione emerge molto chiaramente nei considerando n. 5, 6 e 7 nonché nell'articolo 1, punto 2, che prevede l'inserimento di un nuovo articolo 2 ter, della posizione comune.

Il Consiglio concorda sugli emendamenti 2 e 3 (riguardanti i considerando n. 4 e 5) come riformulati nella proposta modificata della Commissione.

Per quanto riguarda il nuovo articolo 2 ter, il Consiglio ha mantenuto il testo del primo comma contenuto nella proposta modificata della Commissione, in cui si dichiara che «Gli Stati membri incoraggiano le parti sociali al livello adeguato, lasciandone impregiudicata l'autonomia, a concludere accordi finalizzati ad una migliore conciliazione tra lavoro e vita familiare».

Gli altri due commi si ispirano all'emendamento 12 e si basano sulla proposta modificata della Commissione. Il secondo comma, inoltre, introduce richiami alla direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea e alla consultazione delle parti sociali. Il terzo comma dispone che gli Stati membri incoraggino i datori di lavoro a prendere in esame le richieste dei lavoratori in materia di modifica dell'orario e del ritmo di lavoro, fatti salvi i bisogni dell'azienda e le esigenze dei lavoratori e dei datori di lavoro in termini di flessibilità.

Periodo di riferimento (articolo 19)

Il Consiglio condivide il parere del Parlamento europeo quanto al fatto che la proroga del periodo di riferimento debba andare di pari passo con una maggiore partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti e con eventuali misure preventive necessarie in materia di rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Tuttavia, il Consiglio ha ritenuto che un richiamo alla sezione II della direttiva 89/391/CE (9), che stabilisce una serie di norme al riguardo, come pure ai principi generali di cui ai considerando 6 e 10, darebbe opportune garanzie in tal senso.

Ambito dell'opzione di non partecipazione («opt-out») (articolo 22)

Il Consiglio non ha potuto accogliere né l'emendamento 20, in base al quale l'articolo 22 sull'opzione di non partecipazione dovrebbe essere abrogato 36 mesi dopo l'entrata in vigore della direttiva, né la proposta modificata della Commissione che prevedeva la possibilità di prorogare tale opzione dopo tre anni. Alcune delegazioni si sono dette favorevoli, in linea di principio, a porre fine all'uso dell'opzione di non partecipazione dopo un certo periodo, invece la maggioranza di esse si è opposta ad un'eventuale soluzione siffatta, senza necessariamente implicare, tuttavia, che tutte quante si avvalgano dell'opzione di non partecipazione in questa fase.

In questo contesto, dopo aver esaminato diverse soluzioni possibili, il Consiglio è infine giunto alla conclusione che l'unica soluzione accettabile per una maggioranza qualificata delle delegazioni sarebbe prevedere la permanenza dell'opzione di non partecipazione, pur introducendo salvaguardie contro abusi a danno dei lavoratori.

In particolare, l'articolo 1, punto 7, della posizione comune sull'articolo 22 bis, lettera a), della direttiva dispone che il ricorso all'opzione di non partecipazione non può avvenire in combinazione con l'opzione prevista all'articolo 19, lettera b). Inoltre, il considerando 13 bis afferma che, prima di valersi dell'opzione di non partecipazione, si dovrebbe valutare se il massimo periodo di riferimento o le altre misure in materia di flessibilità previste dalla direttiva non garantiscano la flessibilità necessaria.

Relativamente alle condizioni applicabili all'opzione di non partecipazione, la posizione comune prevede che:

l'orario settimanale di lavoro nell'UE deve restare al massimo di 48 ore, in conformità con l'articolo 6 della direttiva in vigore, a meno che gli Stati membri decidano di avvalersi della facoltà di non partecipare all'applicazione di tale articolo in virtù di contratti collettivi o accordi sottoscritti dalle parti sociali a livello adeguato o in virtù di normativa nazionale, previa consultazione delle parti sociali a livello adeguato, e il singolo lavoratore decida di avvalersi dell'opzione di non partecipazione. La decisione, pertanto, spetta al singolo lavoratore, che non può essere costretto a lavorare oltre il limite delle 48 ore,

il ricorso a questa facoltà, inoltre, è subordinato a rigorose condizioni intese a tutelare il libero consenso del lavoratore, a introdurre un limite legale della quantità di ore lavorative alla settimana nell'ambito dell'opzione di non partecipazione, e a imporre ai datori di lavoro specifici obblighi di informare le autorità competenti su richiesta di queste ultime.

Quanto alla tutela del libero consenso del lavoratore, la posizione comune stabilisce che l'opzione di non partecipazione è legittima soltanto se il lavoratore ha previamente dato il proprio consenso all'esecuzione di tale lavoro; la validità di detto consenso non è superiore a un anno ed è rinnovabile. Il datore di lavoro, in ogni caso, non può penalizzare un lavoratore per il fatto di non essere disposto ad accettare di effettuare tale lavoro o perché revoca, per qualsiasi motivo, il suo consenso. Inoltre, fatto salvo il caso di contratti di breve durata (cfr. sotto), la richiesta di avvalersi dell'opzione di non partecipazione non può essere firmata anteriormente alle prime quattro settimane di lavoro e il lavoratore non può essere invitato a presentare tale richiesta all'atto della firma del contratto. In fine, quest'ultimo ha diritto, entro termini specifici, a revocare il proprio consenso a lavorare in regime di «opt-out».

La posizione comune introduce limiti legali del quantitativo settimanale di ore lavorative consentito nell'ambito del sistema «opt-out», che non sono previsti ai sensi della direttiva attualmente in vigore. Il limite, di norma, sarebbe 60 ore alla settimana, calcolate come media per un periodo di 3 mesi, salvo diversamente disposto in un contratto collettivo o in un accordo sottoscritto dalle parti sociali. Tale limite potrebbe essere aumentato fino a 65 ore, calcolate come media per un periodo di 3 mesi, in assenza di un contratto collettivo e qualora il periodo inattivo del servizio di guardia sia considerato come orario di lavoro.

Infine, la posizione comune stabilisce che i datori di lavoro devono tenere un registro delle ore di lavoro dei dipendenti che lavorano in regime «opt-out». I registri sono messi a disposizione delle autorità competenti, le quali possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro. Inoltre al datore di lavoro può essere richiesto dalle autorità competenti di trasmettere loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori all'esecuzione di un lavoro che supera le 48 ore nel corso di un periodo di sette giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all'articolo 16, lettera b).

La posizione comune prevede specifiche condizioni in caso di contratti di breve durata (qualora un lavoratore sia impiegato dal medesimo datore di lavoro per un periodo o periodi non superiori complessivamente a 10 settimane nell'arco di 12 mesi): il consenso all'«opt-out», in questo caso, può essere dato durante le prime quattro settimane del rapporto di lavoro e non si applicherebbero i limiti legali del quantitativo settimanale di ore lavorative consentito nell'ambito dell'«opt-out». Tuttavia, non è consentito chiedere al lavoratore di dare il proprio consenso a lavorare in regime «opt-out» all'atto della firma del contratto di assunzione.

La posizione comune, inoltre, prevede che uno Stato membro, qualora si avvalga dell'opzione di non partecipazione, può consentire per via legislativa, regolamentare o amministrativa che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, il periodo di riferimento sia portato a un periodo non superiore a sei mesi. Tale periodo di riferimento, tuttavia, non dovrebbe incidere sul periodo di riferimento trimestrale applicabile ai fini del calcolo del limite massimo settimanale di 60 o 65 ore.

Norme di monitoraggio, valutazione e revisione

L'articolo 1, punto 12, della posizione comune riguardante un nuovo articolo 24 bis, della direttiva dispone obblighi di rendicontazione dettagliata sull'impiego dell'«opt-out» e su altri fattori che possono contribuire a lunghi orari di lavoro, come l'applicazione dell'articolo 19, lettera b) (periodo di riferimento di 12 mesi). Questi obblighi mirano a consentire alla Commissione di esercitare un attento controllo.

Più precisamente, la posizione comune prevede che la Commissione:

presenta, entro i quattro anni successivi alla data di entrata in vigore della direttiva, una relazione corredata, ove necessario, di appropriate proposte per ridurre orari di lavoro eccessivamente lunghi, tra cui il ricorso all'opzione di non partecipazione, tenendo conto del suo impatto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori interessati. Il Consiglio valuterà detta relazione,

può, tenendo conto di tale valutazione, e non oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore della direttiva, sottoporre al Consiglio e al Parlamento europeo una proposta di revisione della presente direttiva, che includa l'opzione di non partecipazione.

IV.   CONCLUSIONE

Avendo presenti i progressi significativamente tangibili, compiuti parallelamente alla direttiva sul lavoro interinale, il Consiglio ritiene che la propria posizione comune sulla direttiva sull'orario di lavoro rappresenti una soluzione equilibrata e realistica delle problematiche contemplate dalla proposta della Commissione, date le ampie differenze tra le situazioni nel mercato del lavoro esistenti negli Stati membri e tra le loro opinioni sulle condizioni necessarie ad affrontare tali situazioni. Il Consiglio auspica una discussione costruttiva con il Parlamento europeo in modo da pervenire ad un accordo definitivo su quest'importante direttiva.


(1)  GU C 322 del 29.12.2004, pag. 9.

(2)  GU C 92 del 20.4.2006, pag. 292.

(3)  GU C 267 del 27.10.2005, pag. 16.

(4)  GU C 231 del 20.9.2005, pag. 69.

(5)  GU C 146 del 16.6.2005, pag. 13.

(6)  Doc. 10583/08 ADD 1.

(7)  Sentenza della Corte, del 3 ottobre 2000, nella causa C-303/98, Sindicato de Médicos de Asistencia Pública (SIMAP) contro Conselleria de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana, Racc. 2000, pag. I-7963.

(8)  Sentenza della Corte, del 9 ottobre 2003, nella causa C-151/02, Domanda di pronuncia pregiudiziale: Landesarbeitsgericht Schleswig-Holstein (Germania) nel procedimento Landeshauptstadt Kiel contro Norbert Jaeger, non ancora pubblicata.

(9)  GU L 183 del 29.6.1989, pag. 1.


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