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Document 62006TJ0410

    Sentenza del Tribunale (Ottava Sezione) del 4 marzo 2010.
    Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd contro Consiglio dell'Unione europea.
    Dumping - Importazioni di calzature con tomaie in cuoio originarie della Cina e del Vietnam - Calcolo del valore normale costruito - Prezzo all’esportazione - Diritti della difesa - Pregiudizio - Obbligo di motivazione.
    Causa T-410/06.

    Raccolta della Giurisprudenza 2010 II-00879

    ECLI identifier: ECLI:EU:T:2010:70

    Causa T‑410/06

    Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd

    contro

    Consiglio dell’Unione europea

    «Dumping — Importazioni di calzature con tomaie in cuoio originarie della Cina e del Vietnam — Calcolo del valore normale costruito — Prezzo all’esportazione — Diritti della difesa — Pregiudizio — Obbligo di motivazione»

    Massime della sentenza

    1.      Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Margine di dumping — Determinazione del valore normale — Ricorso al valore costruito — Potere discrezionale delle istituzioni circa il metodo di calcolo

    [Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 2, n. 6, lett. c)]

    2.      Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Determinazione dei dazi antidumping — Metodo di calcolo

    (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 9, n. 4)

    3.      Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Procedimento antidumping — Diritti della difesa — Comunicazione dell’informazione finale alle imprese da parte della Commissione

    (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 20, nn. 2 e 4)

    4.      Diritto comunitario — Principi — Diritti della difesa — Rispetto nell’ambito dei procedimenti amministrativi — Antidumping — Obbligo delle istituzioni di garantire l’informazione delle imprese interessate — Documento informativo finale aggiuntivo

    (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 20, n. 5)

    5.      Politica commerciale comune — Difesa contro le pratiche di dumping — Danno — Periodo di riferimento

    (Regolamento del Consiglio n. 384/96, art. 3, n. 2)

    1.      L’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento antidumping di base n. 384/96 conferisce alle istituzioni comunitarie un ampio margine discrezionale nella scelta del metodo con cui procederanno al calcolo delle spese di vendita, delle spese amministrative e delle altre spese generali e di un margine di profitto nell’ambito del calcolo del valore normale costruito.

    Pertanto, il sindacato del giudice comunitario ha ad oggetto il rispetto delle forme procedurali, l’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, l’assenza di un manifesto errore di valutazione di tali fatti ovvero l’assenza di uno sviamento di potere.

    Inoltre, lo stesso art. 2, n. 6, lett. c), prevede che tale metodo debba essere appropriato. Il giudice comunitario può dunque accertare la sussistenza di un errore manifesto di valutazione concernente il metodo scelto solo qualora quest’ultimo sia inappropriato. Pertanto, l’esistenza di altri metodi appropriati cui si sarebbe potuto ricorrere a tal fine non inficia la legittimità del metodo effettivamente scelto, atteso che il giudice comunitario non può sostituire la propria valutazione a quella delle istituzioni a tale proposito.

    In tale contesto, le istituzioni possono dunque ritenere più appropriato utilizzare le informazioni relative a profitti realizzati sul mercato interno del paese di produzione, da parte di imprese di dimensioni equiparabili a quella del produttore soggetto all’inchiesta, che non sostengono spese di vendita né spese generali particolarmente elevate, che abbiano parimenti ottenuto lo status di impresa operante in condizioni di economia di mercato in occasione di recenti inchieste su prodotti diversi dai prodotti interessati, e per le quali le istituzioni disponevano di dati attendibili, piuttosto che basarsi su quelle relative a profitti realizzati con la vendita dei prodotti interessati su mercati totalmente diversi.

    Infatti, emerge dall’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento antidumping di base che, allorché le istituzioni applicano tale disposizione per calcolare un congruo margine di profitto, esse non sono obbligate ad utilizzare i dati relativi a prodotti appartenenti alla stessa categoria generale, ma devono garantire che il margine di profitto determinato secondo un metodo appropriato non superi quello realizzato per la vendita dei prodotti appartenenti alla stessa categoria generale. Inoltre, non si può interpretare tale disposizione nel senso che le istituzioni non possono stabilire un margine di profitto allorché non dispongono di una base di calcolo attendibile riguardante il margine di profitto realizzato con vendite di prodotti appartenenti alla stessa categoria generale.

    (v. punti 64-67, 71, 74)

    2.      Ai sensi dell’art. 9, n. 4, ultimo periodo, del regolamento antidumping di base n. 384/96, «[l]’importo del dazio antidumping non deve superare il margine di dumping accertato e dovrebbe essere inferiore a tale margine, qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria». Tale regola implica che un produttore al quale siano stati imposti dazi antidumping non può contestarli per il motivo che dall’inchiesta sia risultato un margine di pregiudizio sovrastimato allorché l’aliquota dei dazi sia stata stabilita al livello del margine di dumping, qualora quest’ultimo sia inferiore tanto al margine di pregiudizio erroneamente accertato, quanto al margine di pregiudizio effettivo.

    (v. punto 94)

    3.      Le imprese interessate da un’inchiesta precedente l’adozione di un regolamento antidumping devono essere messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e circostanze dedotti nonché sugli elementi di prova accolti dalla Commissione a fondamento della sua valutazione circa la sussistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio che ne conseguirebbe.

    In tale contesto, l’incompletezza dell’informazione finale chiesta dalle parti ai sensi dell’art. 20, n. 2, del regolamento antidumping di base n. 384/96 comporta l’illegittimità di un regolamento che istituisce dazi antidumping definitivi soltanto qualora, a causa di tale omissione, le parti interessate non abbiano potuto utilmente difendere i loro interessi. Tale sarebbe in particolare il caso qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie, cui deve essere riservata un’attenzione particolare nell’informazione finale, ai sensi della citata disposizione. Tale sarebbe parimenti il caso qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli sui quali si fonda una decisione adottata dalla Commissione o dal Consiglio successivamente alla comunicazione del documento informativo finale, come si evince dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del citato regolamento di base.

    Il fatto che la Commissione abbia modificato la sua analisi in seguito alle osservazioni che le parti interessate hanno formulato sul documento informativo finale non costituisce, tuttavia, di per sé, una violazione dei diritti della difesa. Infatti, come emerge dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, il documento informativo finale non pregiudica qualsiasi ulteriore decisione della Commissione o del Consiglio. Tale disposizione si limita a imporre alla Commissione il dovere di comunicare, il più rapidamente possibile, i fatti e le considerazioni diversi da quelli sui quali si basa il suo approccio iniziale contenuto nel documento informativo finale. Di conseguenza, al fine di determinare se la Commissione abbia rispettato i diritti delle parti interessate derivanti dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, occorre anche verificare se la Commissione abbia loro comunicato i fatti e le considerazioni sui quali essa ha fondato la nuova analisi sul pregiudizio e sulla forma delle misure necessarie per eliminarlo, nei limiti in cui essi siano diversi da quelli alla base del documento informativo finale.

    (v. punti 111-112, 117-118)

    4.      Nell’accordare al produttore soggetto ad un’inchiesta antidumping un termine inferiore a dieci giorni al fine di esprimere osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo, la Commissione viola l’art. 20, n. 5, del regolamento antidumping di base n. 384/96. Tuttavia, tale circostanza, di per sé, non può condurre all’annullamento del regolamento impugnato. Infatti, si deve ancora accertare se il fatto di disporre di un termine inferiore al termine legale sia stato tale da causare una concreta lesione dei suoi diritti della difesa nell’ambito del procedimento di cui trattasi.

    (v. punto 124)

    5.      L’imposizione di dazi antidumping non costituisce la sanzione di un comportamento precedente, ma una misura di difesa e di tutela nei confronti della concorrenza sleale derivante dalle pratiche di dumping. È quindi necessario condurre l’inchiesta sulla base di informazioni il più possibile attuali allo scopo di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria comunitaria dalle pratiche di dumping.

    Qualora le istituzioni comunitarie constatino che le importazioni di un prodotto soggetto fino ad allora a restrizioni quantitative aumentano dopo la scadenza di dette restrizioni, esse possono tener conto di tale aumento ai fini della loro valutazione del pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

    (v. punti 133-134)







    SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

    4 marzo 2010 (*)

    «Dumping – Importazioni di calzature con tomaie in cuoio originarie della Cina e del Vietnam – Calcolo del valore normale costruito – Prezzo all’esportazione – Diritti della difesa – Pregiudizio – Obbligo di motivazione»

    Nella causa T‑410/06,

    Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd, con sede in Lishui (Cina), rappresentata dai sigg. I. MacVay, solicitor, R. Thompson, QC, e K. Beal, barrister,

    ricorrente,

    contro

    Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dal sig. J.‑P. Hix, in qualità di agente, assistito dall’avv. G. Berrisch,

    convenuto,

    sostenuto da

    Commissione europea, rappresentata dai sigg. H. van Vliet e T. Scharf, in qualità di agenti,

    e dalla

    Confédération européenne de l’industrie de la chaussure (CEC), con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata inizialmente dagli avv.ti P. Vlaemminck, G. Zonnekeyn e S. Verhulst, successivamente dagli avv.ti Vlaemminck e A. Hubert,

    interveniente,

    avente ad oggetto la domanda di annullamento parziale del regolamento (CE) del Consiglio 5 ottobre 2006, n. 1472, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1), nella parte in cui riguarda la ricorrente,

    IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

    composto dalla sig.ra M.E. Martins Ribeiro, presidente, dai sigg. S. Papasavvas (relatore) e A. Dittrich, giudici,

    cancelliere: sig.ra C. Kantza, amministratore

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 febbraio 2009,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

     Contesto normativo

    1        L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato (in prosieguo: il «regolamento di base»), dispone quanto segue:

    «1. Un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio.

    2. Un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nella Comunità è inferiore ad un prezzo comparabile del prodotto simile, applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali».

    2        In merito alla determinazione dell’esistenza di un dumping, l’art. 2 del regolamento di base prevede le regole applicabili ai fini del confronto tra il valore normale del prodotto di cui trattasi e il prezzo all’esportazione, laddove per margine di dumping si intende, ai sensi del n. 12 di detta disposizione, l’importo di cui il valore normale supera il prezzo all’esportazione.

    3        L’art. 2, nn. 1, primo e secondo comma, 3 e 6, del regolamento di base sono formulati come segue:

    «1. Il valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore. 

    Qualora l’esportatore nel paese esportatore non produca né venda il prodotto simile, il valore normale può tuttavia essere stabilito in base ai prezzi di altri venditori o produttori.

    (…)

    3. Quando, nel corso di normali operazioni commerciali, non vi sono vendite del prodotto simile, oppure se tali vendite riguardano quantitativi insufficienti oppure se tali vendite, a causa di una particolare situazione di mercato, non permettono un valido confronto, il valore normale del prodotto è calcolato in base al costo di produzione nel paese d’origine, maggiorato di un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita e per i profitti oppure in base ai prezzi all’esportazione, nel corso di normali operazioni commerciali, ad un paese terzo appropriato, purché tali prezzi siano rappresentativi.

    (…)

    6. Gli importi relativi alle spese generali, amministrative e di vendita e ai profitti sono basati su dati effettivi attinenti alla produzione e alla vendita del prodotto simile, nel corso di normali operazioni commerciali, da parte dell’esportatore o del produttore soggetti all’inchiesta. Se non è possibile determinare tali importi in base ai dati suddetti, possono essere utilizzati i seguenti elementi:

    a)      la media ponderata degli importi effettivi determinati per altri esportatori o produttori sottoposti all’inchiesta riguardo alla produzione e alla vendita del prodotto simile sul mercato interno del paese d’origine; 

    b)      gli importi effettivamente sostenuti dall’esportatore o dal produttore in questione sul mercato interno del paese d’origine, nel corso di normali operazioni commerciali, per la produzione e la vendita di prodotti appartenenti alla stessa categoria generale;

    c)      qualunque altro metodo appropriato, a condizione che l’importo del profitto così determinato non superi quello normalmente realizzato da altri esportatori o produttori per la vendita, sul mercato interno del paese d’origine, dei prodotti appartenenti alla stessa categoria generale».

    4        Per quanto attiene alle condizioni di concessione dello status di impresa operante in condizioni di economia di mercato (in prosieguo: il «TEM»), l’art. 2, n. 7, lett. b), del regolamento di base, prevede quanto segue:

    «Nel caso di inchieste antidumping relative ad importazioni in provenienza dalla (...) Repubblica popolare cinese (...), il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 qualora, in base a richieste debitamente motivate di uno o più produttori oggetto dell’inchiesta (...), sia dimostrata la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato per il produttore o per i produttori in questione relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. (...)».

    5        L’art. 2, nn. 8 e 9, primo comma, del regolamento di base dispone quanto segue:

    «8.      Il prezzo all’esportazione è il prezzo realmente pagato o pagabile per il prodotto venduto per l’esportazione dal paese esportatore alla Comunità.

    9.      Quando non esiste un prezzo all’esportazione (...) [esso] può essere costruito in base al prezzo al quale il prodotto importato è rivenduto per la prima volta ad un acquirente indipendente, ovvero, se il prodotto non viene rivenduto ad un acquirente indipendente o non viene rivenduto nello stato in cui è avvenuta la sua importazione, su qualsiasi altra base equa».

    6        Per quanto riguarda l’accertamento di un pregiudizio, l’art. 3, nn. 2, 3 e 6, del regolamento di base prevede quanto segue:

    «2.      L’accertamento di un pregiudizio si basa su prove positive e implica un esame obiettivo a) del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato comunitario, e b) dell’incidenza di tali importazioni sull’industria comunitaria.

    3.      Per quanto riguarda il volume delle importazioni oggetto di dumping, occorre esaminare se queste ultime sono aumentate in misura significativa, tanto in termini assoluti quanto in rapporto alla produzione o al consumo nella Comunità. Riguardo agli effetti sui prezzi si esamina se le importazioni oggetto di dumping sono state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria comunitaria oppure se tali importazioni hanno comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti. Questi fattori, singolarmente o combinati, non costituiscono necessariamente una base di giudizio determinante.

    (…)

    6.      Deve essere dimostrato, in base a tutti gli elementi di prova, presentati in conformità con il paragrafo 2, che le importazioni oggetto di dumping causano pregiudizio ai sensi del presente regolamento. In particolare, occorre dimostrare che il volume e/o i prezzi individuati a norma del paragrafo 3 hanno sull’industria comunitaria gli effetti contemplati nel paragrafo 5 e che questa incidenza si manifesta in misura che può essere considerata grave».

    7        Ai sensi dell’art. 9, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, «[l]’importo del dazio antidumping non deve superare il margine di dumping accertato e dovrebbe essere inferiore a tale margine, qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria».

    8        L’art. 20, nn. 1, 2, 4 e 5, del regolamento di base così dispone:

    «1. I denunzianti, gli importatori, gli esportatori e le loro associazioni rappresentative e i rappresentanti del paese esportatore possono chiedere di essere informati degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali sono state istituite le misure provvisorie. Le domande di informazioni devono essere presentate per iscritto immediatamente dopo l’istituzione delle misure provvisorie e le informazioni sono comunicate il più rapidamente possibile per iscritto.

    2. Le parti di cui al paragrafo 1 possono chiedere di essere informate dei principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive oppure la chiusura di un’inchiesta o di un procedimento senza l’istituzione di misure definitive, in particolare per quanto riguarda eventuali fatti e considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie.

    (…)

    4. Le informazioni finali sono comunicate per iscritto. La trasmissione tiene debitamente conto dell’esigenza di tutelare le informazioni riservate, avviene il più rapidamente possibile e di norma entro un mese prima della decisione definitiva o della presentazione di qualsiasi proposta di atto definitivo, a norma dell’articolo 9, da parte della Commissione. Eventuali fatti e considerazioni che la Commissione non può comunicare al momento della risposta sono resi noti successivamente il più rapidamente possibile. La divulgazione delle informazioni non pregiudica qualsiasi eventuale decisione della Commissione o del Consiglio, ma, qualora tale decisione si basi su fatti o considerazioni diversi, questi sono comunicati il più rapidamente possibile.

    5. Le osservazioni presentate dopo l’informazione finale sono prese in considerazione unicamente se sono ricevute entro un termine fissato dalla Commissione, per ciascun caso, in funzione dell’urgenza della questione e comunque non inferiore a dieci giorni».

     Fatti e regolamento impugnato

    9        La ricorrente, la Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd, è una società produttrice di calzature con sede in Cina.

    10      Le importazioni di calzature provenienti dalla Cina rientranti in talune classi della nomenclatura combinata erano soggette al regime dei contingenti quantitativi scaduto il 1° gennaio 2005.

    11      A seguito di una denuncia depositata il 30 maggio 2005 dalla Confédération européenne de l’industrie de la chaussure (Confederazione europea dell’industria calzaturiera; in prosieguo: la «CEC»), la Commissione delle Comunità europee ha aperto un procedimento antidumping riguardante le importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Cina e del Vietnam. L’avviso di apertura di tale procedimento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 7 luglio 2005 (GU C 166, pag. 14; in prosieguo: l’«avviso di apertura»).

    12      In data 23 marzo 2006 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 553 che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 98, pag. 3; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»).

    13      Ai sensi del nono ‘considerando’ del regolamento provvisorio, l’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° aprile 2004 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»). L’esame degli elementi utili all’accertamento del pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° gennaio 2001 e il 31 marzo 2005 (in prosieguo: il «periodo considerato»)

    14      Vista la necessità di determinare il valore normale relativo ai prodotti dei produttori/esportatori cinesi e vietnamiti ai quali potrebbe non essere concesso il TEM, presso le sedi di tre società brasiliane è stata eseguita una visita di verifica diretta a determinare il valore normale sulla base dei dati relativi a un paese analogo, nella fattispecie la Repubblica federativa del Brasile (ottavo ‘considerando’ del regolamento provvisorio).

    15      Risulta dal ‘considerando’ 57 del regolamento provvisorio che, nell’ambito della determinazione del dumping, la Commissione ha applicato la tecnica del campionamento di cui all’art. 17 del regolamento di base. A tal fine, essa ha selezionato un campione di tredici produttori/esportatori cinesi, rappresentanti più del 20% del volume delle esportazioni cinesi nella Comunità europea. Ai sensi dell’ottavo ‘considerando’, lett. c), del regolamento provvisorio, la ricorrente costituisce la quinta società nell’elenco dei produttori/esportatori cinesi facenti parte del campione.

    16      Relativamente al prezzo all’esportazione, la Commissione ha indicato, al ‘considerando’ 130 del regolamento provvisorio, che, laddove le vendite per l’esportazione nella Comunità venivano effettuate tramite società commerciali indipendenti, esso è stato calcolato in base ai prezzi del prodotto venduto per l’esportazione alle società commerciali dai produttori in questione, in conformità dell’art. 2, n. 8, del regolamento di base (v. punto 4 supra).

    17      Ai sensi del ‘considerando’ 131 del regolamento provvisorio il confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione è stato effettuato allo stadio franco fabbrica. Ai fini di un equo confronto, a norma dell’art. 2, n. 10, del regolamento di base, si è tenuto debitamente conto, in forma di adeguamenti, delle differenze che incidono sui prezzi e sulla loro comparabilità (‘considerando’ 132 del regolamento provvisorio).

    18      Relativamente al pregiudizio, la Commissione ha esaminato, in particolare, la sottoquotazione dei prezzi all’importazione. A tal fine, i prezzi all’importazione CIF franco frontiera comunitaria, dazio corrisposto, sono stati incrementati per tener conto delle spese a carico degli importatori nella Comunità, come quelle relative alla concezione, alla selezione delle materie prime, ecc., e sono stati confrontati con i prezzi dell’industria comunitaria al livello franco fabbrica e allo stesso stadio commerciale. Tale confronto ha dato luogo ad un margine di sottoquotazione del 12,8% per le calzature di origine cinese (‘considerando’ 167 e 168 del regolamento provvisorio).

    19      Con lettera datata 7 aprile 2006 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente, a norma degli artt. 14, n. 2, e 20, n. 1, del regolamento di base, rispettivamente, una copia del regolamento provvisorio e un documento contenente informazioni sugli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali sono stati imposti dazi antidumping provvisori (in prosieguo: il «documento informativo intermedio»). La Commissione ha invitato la ricorrente a trasmetterle le sue eventuali osservazioni in ordine a tali documenti entro l’8 maggio 2006.

    20      Con messaggio di posta elettronica del 27 aprile 2006, la ricorrente ha lamentato il carattere lacunoso delle informazioni contenute nel documento informativo intermedio, ponendo l’accento sui dati relativi all’adeguamento dei prezzi ai fini del calcolo del dumping e della sottoquotazione. La ricorrente ha reiterato tali censure nelle sue osservazioni scritte presentate l’8 maggio 2006.

    21      Con messaggio di posta elettronica del 16 maggio 2006, la ricorrente ha evidenziato, in particolare, che l’adeguamento del suo prezzo all’esportazione del 15% a titolo delle spese di ricerca e sviluppo era inferiore alle spese effettivamente sostenute a tal fine, in quanto non erano presi in considerazione le spese e i margini di profitto notevoli delle società commerciali, con l’intermediazione delle quali taluni produttori cinesi immettono la propria produzione sul mercato europeo.

    22      Con lettera del 7 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente, a norma dell’art. 20, nn. 2‑4, del regolamento di base, un documento informativo finale in merito ai principali fatti e considerazioni posti a base della proposta di imporre dazi antidumping definitivi.

    23      Al titolo H di tale documento, la Commissione ha esposto le sue considerazioni relativamente alle misure antidumping definitive da proporre al Consiglio dell’Unione europea. Per quanto attiene alla tipologia delle misure, la Commissione ha illustrato, in primo luogo, che gli impegni dei produttori a non vendere a un prezzo inferiore a quello che avrebbe eliminato il grave pregiudizio che avrebbe subito l’industria comunitaria non costituivano misure adeguate e, in secondo luogo, che occorreva applicare un sistema di dazio differito (punti 278‑291 del documento informativo finale).

    24      Per quanto attiene al sistema di dazio differito, la Commissione ha osservato che il volume delle importazioni aveva avuto un grave effetto pregiudizievole sull’industria comunitaria a partire dal 1° gennaio 2005, data di scadenza del regime dei contingenti (v. punto 10 supra). Infatti, nei primi tre mesi del 2005, compresi nel periodo dell’inchiesta (v. punto 13 supra), l’industria comunitaria avrebbe conosciuto, in misura proporzionale, il declino più marcato nel corso del periodo considerato relativamente a vari indicatori economici, quali redditività, prezzi di vendita, quote di mercato, vendite, occupazione e produzione. In tale contesto, la Commissione ha riservato un’attenzione particolare all’elemento quantitativo delle pratiche di dumping nella determinazione dell’esistenza di un pregiudizio. Essa ha ritenuto, quindi, che soltanto le importazioni eccedenti un certo volume avrebbero causato un pregiudizio e che, pertanto, un intervento sotto forma di dazio ad valorem non sarebbe stato necessario al fine di ripristinare una situazione di concorrenza leale. Pertanto, dazi antidumping dovrebbero essere applicati esclusivamente alle quantità di prodotti importati che oltrepassano un determinato volume annuale. Nel caso di specie, un siffatto sistema di dazio differito sarebbe adeguato ai fini dell’eliminazione del pregiudizio in quanto esso prenderebbe in considerazione gli effetti del regime dei contingenti e bilancerebbe gli interessi delle parti interessate. Pertanto, i dazi antidumping proposti dovrebbero essere applicati alle importazioni effettuate oltre la soglia di 140 milioni di paia di calzature per anno provenienti dalla Cina. Tale volume rifletteva la valutazione della Commissione sulle importazioni dalla Cina nel 2005, tenendo conto delle quantità importate nel 2004 (punti 285‑287 e 291 del documento informativo finale).

    25      Di conseguenza, la Commissione ha proposto l’imposizione di un dazio antidumping definitivo, pari al margine di eliminazione del pregiudizio, sulle importazioni eccedenti i 140 milioni di paia di calzature per anno originarie della Cina. Tale margine era stabilito a livello della sottoquotazione dei prezzi di riferimento, vale a dire al 23% (punto 293 del documento informativo finale).

    26      Con lettera del 10 luglio 2006, la Commissione ha completato il documento informativo finale con talune considerazioni riguardanti la situazione della ricorrente e relative alla concessione del TEM, al calcolo del valore normale nonché al calcolo del pregiudizio. In merito al calcolo del valore normale, la Commissione ha indicato che essa avrebbe utilizzato i dati provenienti dalla contabilità della ricorrente al fine di determinare i costi di produzione. Tuttavia, per la determinazione dell’importo delle spese generali, amministrative e di vendita e dei profitti, la Commissione si è servita dei dati provenienti da altre imprese cinesi che avevano effettuato vendite sul mercato interno rappresentative e che avevano beneficiato del TEM nell’ambito di recenti inchieste. Dal calcolo effettuato è risultato un margine di dumping del 9,7%.

    27      Per quanto attiene al calcolo del pregiudizio, la Commissione ha indicato, nella lettera del 10 luglio 2006, di non poter prendere in considerazione, al fine di stabilire il prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, e, pertanto, il margine di sottoquotazione, il margine di profitto della società commerciale che immette la produzione della ricorrente sul mercato comunitario, in quanto tale società non aveva cooperato all’inchiesta. Inoltre, non sarebbe necessario prendere in considerazione tale margine di profitto, atteso che la Commissione aveva adeguato, riducendolo, il valore normale stabilito in base ai dati provenienti dal Brasile al fine di dedurne le spese sopportate da tale società commerciale (marketing, ricerca e sviluppo, ecc.). La Commissione ha invitato la ricorrente a trasmetterle le sue osservazioni entro il 18 luglio 2006.

    28      La ricorrente ha presentato le sue osservazioni, in particolare, con lettera del 18 luglio 2006 e ha contestato sia la costruzione del valore normale sia la determinazione del prezzo all’importazione CIF, franco frontiera comunitaria, al quale, a suo parere, doveva essere aggiunto il margine di profitto realizzato dalla società commerciale che immette la sua produzione sul mercato comunitario. Inoltre, la ricorrente ha lamentato il fatto che la Commissione non le aveva comunicato né le cifre in base alle quali essa aveva calcolato le spese generali, amministrative e di vendita nonché i profitti, né i settori di attività delle imprese da cui provenivano tali dati.

    29      Con lettera datata 28 luglio 2006 la Commissione ha trasmesso alla ricorrente un documento informativo finale aggiuntivo. Dai primi due paragrafi di tale documento si ricava che esso aveva lo scopo di informare le parti interessate di un cambiamento nei confronti della configurazione dei dazi antidumping definitivi che sarebbero stati proposti. La direzione generale (DG) «Commercio» della Commissione avrebbe esaminato le osservazioni formulate da talune parti interessate in merito al sistema di dazio differito previsto inizialmente (v. punti 23‑25 supra). Mediante tale documento la Commissione ha rinunciato a un siffatto sistema. Nel contesto del suo nuovo approccio, la Commissione ha sottolineato che l’aumento effettivamente pregiudizievole delle importazioni era avvenuto nel 2004, protraendosi per tutto il periodo dell’inchiesta, e che il 2005 era stato il primo anno nel quale le importazioni di calzature provenienti dalla Cina non erano più soggette al regime dei contingenti. Inoltre, la Commissione ha fissato un volume di importazioni non recante pregiudizio sulla base delle importazioni originarie della Cina e del Vietnam nel 2003, vale a dire 109 milioni di paia di calzature. Conformemente a questa nuova impostazione, nella determinazione del livello di eliminazione del pregiudizio si doveva tener conto dell’impatto economico di tale volume. Quindi, da un lato, il livello di eliminazione del pregiudizio è stato ridotto al fine di tener conto del volume di importazioni non recanti pregiudizio e, dall’altro, i dazi definitivi sono stati applicati a partire dal primo paio importato. Secondo tale metodo, che prevedeva quattro fasi presentate in tale documento, la Commissione sulla base della «regola del dazio inferiore» ha disposto, per le importazioni provenienti dalla Cina, l’istituzione di un dazio antidumping definitivo pari al livello richiesto ai fini dell’eliminazione del pregiudizio, nella fattispecie il 16,5%. Tuttavia, relativamente alle importazioni di calzature prodotte dalla ricorrente, la Commissione ha proposto, sempre in conformità con la «regola del dazio inferiore», l’imposizione di un dazio pari al 9,7%, vale a dire uguale al suo margine di dumping.

    30      Ai fini della formalizzazione di tale nuova proposta, la Commissione ha allegato alla lettera del 28 luglio 2006 i punti che dovevano figurare nel nuovo titolo H del documento informativo finale in sostituzione di quelli presenti al corrispondente titolo di quest’ultimo (v. punto 23 supra). Ai punti 278 e 279 contenuti nel nuovo titolo H del documento informativo finale, la Commissione ha affermato che unicamente le importazioni superiori a un determinato volume precedenti alla scadenza del regime dei contingenti potevano causare un pregiudizio significativo, pertanto, nell’ambito della determinazione del livello di eliminazione del pregiudizio sulla base dei risultati del periodo dell’inchiesta, si doveva considerare il fatto che alcune quantità importate non avevano causato pregiudizio. Di conseguenza, per la determinazione del livello di eliminazione del pregiudizio dovevano essere prese in considerazione le quantità che non causavano un grave pregiudizio. Al punto 280 del medesimo documento, la Commissione ha illustrato il metodo che era stato utilizzato.

    31      Con messaggio di posta elettronica del 2 agosto 2006, la ricorrente ha comunicato le sue osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo, facendo tuttavia rilevare che il termine impartito e le informazioni fornite dalla Commissione erano insufficienti a tal fine.

    32      Con lettera datata 22 agosto 2006, la Commissione ha informato la ricorrente che le imprese da cui provenivano i dati relativi alle spese generali, amministrative e di vendita nonché ai profitti riguardavano i settori dei prodotti chimici e dell’ingegneria. In tale lettera, la Commissione ha confermato che, nonostante la diversità di tali settori, i dati utilizzati erano «ragionevoli» e «analoghi alle tipologie di spese sostenute» dalla ricorrente.

    33      In data 5 ottobre 2006 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 1472 che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (GU L 275, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Ai sensi del regolamento impugnato, il Consiglio ha introdotto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature per lo sport, delle calzature contenenti una tecnologia speciale, delle pantofole ed altre calzature da camera e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Cina e classificate in molti codici della nomenclatura combinata (art. 1 del regolamento impugnato). Ai sensi dell’art. 3 del regolamento impugnato, quest’ultimo resta in vigore per un periodo di due anni.

    34      Secondo i ‘considerando’ 71 e 72 del regolamento impugnato, la ricorrente, che è stata selezionata a far parte del campione dei produttori cinesi oggetto dell’inchiesta, ha ottenuto il TEM. Tale trattamento le era stato negato allo stadio del regolamento provvisorio per il motivo che essa non era libera di fissare i propri quantitativi di vendita senza considerevoli interferenze statali. Tuttavia, la ricorrente ha successivamente presentato elementi di prova da cui risulta che tale circostanza non sussisteva.

    35      Ai sensi del ‘considerando’ 98 del regolamento impugnato, la determinazione del valore normale, per la ricorrente, deve fondarsi sui dati relativi alle sue vendite sul mercato interno e ai suoi costi di produzione. Tuttavia, secondo il ‘considerando’ 99 del regolamento impugnato, in assenza di vendite sul mercato interno cinese durante il periodo dell’inchiesta, il valore normale non poteva essere determinato in base ai prezzi applicati sul mercato interno dalla ricorrente, come prevede l’art. 2, n. 1, primo comma, del regolamento di base. Inoltre, in considerazione del fatto che nessun altro produttore cinese facente parte del campione avrebbe ottenuto il TEM, il che avrebbe reso impossibile l’applicazione dell’art. 2, n. 1, secondo comma, del regolamento di base, le istituzioni avrebbero dovuto costruire il valore normale in base ai costi di produzione della ricorrente, maggiorati di un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita e per i profitti, conformemente all’art. 2, n. 3, del regolamento di base (‘considerando’ 100 e 101 del regolamento impugnato).

    36      Atteso che la ricorrente non avrebbe realizzato vendite sul mercato interno e che nessun altro produttore cinese avrebbe ottenuto il TEM, si sarebbe dovuto stabilire l’importo delle spese generali, amministrative e di vendita e dei profitti sulla base di un metodo appropriato, conformemente all’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base (v. punto 3 supra). A tal fine, la Commissione avrebbe utilizzato dati provenienti da altri produttori/esportatori cinesi che avevano ottenuto il TEM nel quadro di altre inchieste e che avevano realizzato vendite sul mercato interno nel corso di normali operazioni commerciali, come stabilito nell’art. 2, n. 2, del regolamento di base (‘considerando’ 102 e 103 del regolamento impugnato).

    37      Per quanto riguarda il prezzo all’esportazione e il suo confronto con il valore normale, il Consiglio ha confermato, nei ‘considerando’ 123 e 138 del regolamento impugnato, le valutazioni della Commissione illustrate nei ‘considerando’ 128‑133 del regolamento provvisorio (v. punti 16 e 17 supra).

    38      Ai sensi del ‘considerando’ 146 del regolamento impugnato, il margine di dumping per la ricorrente, espresso in percentuale del prezzo all’importazione CIF, franco frontiera comunitaria, è stato fissato al 9,7%.

    39      Relativamente alla sottoquotazione dei prezzi, il Consiglio ha dovuto adeguare, riducendoli, i prezzi all’importazione (v. punto 18 supra), in considerazione, in particolare, del fatto che la maggioranza degli importatori non avrebbero potuto corroborare con elementi di prova l’affermazione secondo la quale i loro costi di ricerca e di sviluppo raggiungevano quelli contemplati nella fase provvisoria. Quindi, il Consiglio ha proceduto ad un nuovo calcolo che ha dato luogo ad un margine di sottoquotazione dei prezzi del 13,5% per le calzature originarie della Cina (‘considerando’ 180‑182 del regolamento impugnato).

    40      Per quanto riguarda il livello necessario di dazi ai fini dell’eliminazione del pregiudizio causato dalle importazioni provenienti dalla Cina, ai ‘considerando’ 296‑301 del regolamento impugnato, riprendendo i punti 275‑280 contenuti nel nuovo titolo H del documento informativo finale e allegati al documento informativo finale aggiuntivo, il Consiglio ha affermato che occorreva tener conto delle particolarità del presente procedimento e, segnatamente, dell’esistenza del regime dei contingenti fino al 1° gennaio 2005. Poiché il regime dei contingenti ha impedito all’industria comunitaria di subire un grave pregiudizio, mentre l’aumento delle importazioni successivo alla scadenza di tale regime avrebbe avuto un effetto particolarmente negativo, il Consiglio ha ritenuto che soltanto le importazioni superiori a un determinato volume precedenti alla soppressione del regime dei contingenti potessero causare un grave pregiudizio. Di conseguenza, la soglia di pregiudizio, stabilita sulla base dei risultati del periodo dell’inchiesta doveva prendere in considerazione il fatto che taluni volumi di importazioni non avevano causato un pregiudizio significativo. Per le importazioni provenienti dalla Cina, tale operazione, basata sul valore dei volumi importati nel 2003, ha portato a una soglia di pregiudizio del 16,5% in luogo della soglia del 23% che sarebbe stata applicata, secondo il ‘considerando’ 295 del regolamento impugnato, se il Consiglio non avesse tenuto conto delle particolarità della presente controversia.

    41      Tuttavia, in conformità con la «regola del dazio inferiore» (v. punto 7 supra), il livello di dazio definitivo è stato fissato, per quanto concerne la ricorrente, in relazione al suo margine di dumping, il quale era inferiore al livello di dazi necessario ai fini dell’eliminazione del pregiudizio. Di conseguenza, l’aliquota del dazio antidumping definitivo applicabile al prezzo netto franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, per le calzature prodotte dalla ricorrente, è stata fissata al 9,7% (‘considerando’ 302, 323 e 324 e art. 1, n. 3, del regolamento impugnato).

     Procedimento e conclusioni delle parti

    42      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 dicembre 2006, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

    43      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 aprile 2007, la Commissione ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

    44      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 aprile 2007, la CEC ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

    45      Con ordinanza 2 agosto 2007 il presidente della Seconda Sezione del Tribunale ha accolto le istanze di intervento presentate dalla Commissione e dalla CEC.

    46      La CEC ha depositato la sua memoria di intervento il 17 agosto 2007.

    47      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato all’Ottava Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

    48      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, ha invitato la ricorrente e il Consiglio a rispondere per iscritto a due quesiti.

    49      Con lettere pervenute il 2 febbraio 2009 le parti hanno ottemperato alle misure di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale.

    50      Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti loro posti dal Tribunale all’udienza del 20 febbraio 2009.

    51      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

    –        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui la riguarda;

    –        condannare il Consiglio alle spese.

    52      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

    –        dichiarare il ricorso irricevibile o infondato;

    –        condannare la ricorrente alle spese.

    53      La Commissione conclude che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

    54      La CEC chiede che il Tribunale voglia:

    –        respingere il ricorso;

    –        condannare la ricorrente alle spese connesse al suo intervento.

     In diritto

    55      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi relativi rispettivamente:

    –        alla violazione dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base e alla violazione dei suoi diritti della difesa relativamente al calcolo del suo margine di dumping;

    –        alla violazione dell’art. 3 del regolamento di base e ad un difetto di motivazione;

    –        alla violazione dei suoi diritti della difesa nonché ad un difetto di motivazione per quanto riguarda il tipo di dazi definitivi applicato;

    –        ad un errore di diritto e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

     Sul primo motivo attinente alla violazione dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base e alla violazione dei suoi diritti della difesa relativamente al calcolo del suo margine di dumping


     Argomenti delle parti

    56      La ricorrente ritiene che la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione ed abbia violato l’art. 2 del regolamento di base in quanto ha utilizzato margini di profitto riguardanti due esportatori cinesi operanti in settori completamente diversi dal suo ai fini della determinazione del suo margine di profitto.

    57      A tale proposito, la ricorrente rammenta che il dazio antidumping del 9,7% applicato ai suoi prodotti è stato stabilito sulla base del suo margine di dumping individuale, in applicazione della «regola del dazio inferiore» (v. punti 7 e 41 supra).

    58      Nella specie, la Commissione avrebbe determinato il profitto della ricorrente basandosi sulla media dei profitti riscontrati in due procedimenti antidumping precedenti relativi ai settori dei prodotti chimici e dell’ingegneria (v. punto 26 supra). Orbene, è evidente che le calzature con tomaie in cuoio non rientrerebbero nella stessa categoria generale dei prodotti chimici o dell’ingegneria, constatazione che il Consiglio non contesterebbe. La Commissione avrebbe riconosciuto, nella sua corrispondenza, che i detti settori erano diversi da quello delle calzature.

    59      Le istituzioni avrebbero commesso un errore manifesto di valutazione utilizzando i margini di profitto registrati nei due settori summenzionati. Infatti, esse avrebbero potuto utilizzare il margine di profitto che la ricorrente realizzava sulle sue vendite all’esportazione (6,7%), o il margine di profitto di riferimento del 6% stabilito per l’industria comunitaria, o anche il margine di profitto di almeno un altro produttore del campione che abbia realizzato vendite significative nel mercato cinese e che non abbia ottenuto il TEM «unicamente a causa di un equivoco riguardante il suo status». La Commissione sarebbe obbligata ad illustrare per quale ragione le sue constatazioni sullo status di tale società rendevano inattendibili i dati contabili di quest’ultima, relativi al margine di profitto da essa realizzato nel mercato cinese. Inoltre, le istituzioni avrebbero potuto utilizzare il margine di profitto di produttori che non facevano parte del campione, se il Tribunale considera che, nell’ambito dei ricorsi presentati da questi ultimi, la Commissione avrebbe dovuto esaminare le loro domande volte ad ottenere un TEM o un trattamento individuale (in prosieguo: il «TI»). L’argomento secondo il quale le istituzioni dovrebbero dare più importanza al mercato geografico e basarsi, pertanto, sulle vendite di prodotti diversi effettuate in Cina invece che sulle vendite di prodotti simili effettuate all’estero sarebbe, peraltro, privo di fondamento. Infatti, il Consiglio non avrebbe dimostrato l’esistenza di una differenza sostanziale concernente il margine di profitto in funzione della destinazione dei prodotti. Le istituzioni non avrebbero quindi preso in considerazione tutte le circostanze pertinenti né valutato gli elementi versati agli atti con tutta la diligenza richiesta per determinare il valore normale in modo appropriato.

    60      La Commissione avrebbe parimenti violato i diritti della difesa della ricorrente omettendo di informarla, entro un termine ragionevole, della sua intenzione di utilizzare le spese generali, amministrative e di vendita e i profitti degli operatori appartenenti a settori diversi dal suo, e senza motivare sufficientemente il rigetto del metodo appropriato proposto dalla ricorrente. La Commissione avrebbe informato la ricorrente della sua scelta di utilizzare i dati di imprese operanti nei settori dei prodotti chimici e dell’ingegneria solo il 22 agosto 2006, vale a dire successivamente alla scadenza del termine per presentare osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo. L’omessa comunicazione, nonostante le domande della ricorrente, dei dettagli riguardanti le spese generali, amministrative e di vendita e i profitti sui quali la Commissione ha basato i suoi calcoli, costituirebbe parimenti una violazione dei suoi diritti della difesa. La Commissione non avrebbe dunque messo la ricorrente nella condizione di far conoscere efficacemente il suo punto di vista sulla sussistenza, sulla pertinenza e sulla ragionevolezza dei fatti e delle circostanze dedotti, nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento della sua valutazione circa la sussistenza di una pratica di dumping e il pregiudizio che ne conseguirebbe. La Commissione avrebbe potuto comunicare tali elementi omettendo i nomi delle società che glieli avevano trasmessi. Infine, la Commissione non avrebbe informato la ricorrente della sua posizione secondo la quale i margini di profitto realizzati sulle vendite sul mercato interno potevano differire da quelli realizzati sulle vendite all’esportazione, in quanto, secondo la Commissione, la destinazione dei prodotti rivestiva un ruolo determinante a tale proposito, né essa avrebbe comunicato elementi atti a dimostrare l’esistenza di una siffatta differenza.

    61      La ricorrente fa valere che, delle 152 domande di TEM/TI, la Commissione ne avrebbe esaminato solo dodici, circostanza che l’avrebbe privata di dati pertinenti utilizzabili ai fini del calcolo del suo margine di profitto.

    62      Relativamente all’argomento sviluppato in subordine dal Consiglio attinente al margine di dumping, qualora tale motivo dovesse essere accolto (v. punto 75 infra), la ricorrente sottolinea che l’istituzione convenuta non fornisce alcun elemento atto a giustificare il margine proposto del 2,6%. Tuttavia, la ricorrente si dichiara disposta a prendere posizione sull’aliquota giustificata del dazio antidumping purché il Consiglio fornisca informazioni dettagliate a tale proposito.

    63      Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti della ricorrente.

     Giudizio del Tribunale

    –       Sull’asserita violazione dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base

    64      Si deve anzitutto rilevare che l’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base conferisce alle istituzioni un ampio margine discrezionale nella scelta del metodo con cui procederanno al calcolo delle spese di vendita, delle spese amministrative e delle altre spese generali e di un margine di profitto nell’ambito del calcolo del valore normale costruito.

    65      Il sindacato del giudice comunitario ha ad oggetto il rispetto delle forme procedurali, l’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, l’assenza di un manifesto errore di valutazione di tali fatti ovvero l’assenza di uno sviamento di potere (sentenze della Corte 22 ottobre 1991, causa C‑16/90, Nölle, Racc. pag. I‑5163, punto 12 e 29 maggio 1997, causa C‑26/96, Rotexchemie, Racc. pag. I‑2817, punto 11; sentenza del Tribunale 13 luglio 2006, causa T‑413/03, Shandong Reipu Biochemicals/Consiglio, Racc. pag. II‑2243, punto 62).

    66      Inoltre, l’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base prevede che tale metodo debba essere appropriato. Il giudice comunitario può dunque accertare la sussistenza di un errore manifesto di valutazione concernente il metodo scelto solo qualora quest’ultimo sia inappropriato. Pertanto, l’esistenza di altri metodi appropriati cui si sarebbe potuto ricorrere a tal fine non inficia la legittimità del metodo effettivamente scelto, atteso che il giudice comunitario non può sostituire la propria valutazione a quella delle istituzioni a tale proposito.

    67      Emerge peraltro dall’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base che, allorché le istituzioni applicano tali disposizioni per calcolare un congruo margine di profitto, esse non sono obbligate ad utilizzare i dati relativi a prodotti appartenenti alla stessa categoria generale, ma devono garantire che il margine di profitto determinato secondo un metodo appropriato non superi quello realizzato per la vendita dei prodotti appartenenti alla stessa categoria generale.

    68      La ricorrente sostiene quindi a torto che l’utilizzo di dati relativi ai settori dei prodotti chimici e dell’ingegneria costituisce una violazione dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base in quanto i prodotti corrispondenti non appartengono alla stessa categoria generale delle calzature.

    69      Per quanto attiene al metodo utilizzato, si deve rilevare che, come fatto valere dal Consiglio, la relativa scelta è stata effettuata tenuto conto della necessità di stabilire margini di profitto realizzati sul mercato interno. Orbene, poiché i profitti sono stati realizzati dalla ricorrente su vendite all’esportazione, mentre le altre imprese del campione non avevano ottenuto il TEM, le istituzioni potevano legittimamente considerare che i dati relativi ai loro margini di profitto non costituissero una base di calcolo attendibile. Di conseguenza, le istituzioni non disponevano di alcun dato appurato riguardante le vendite sul mercato interno di calzature nelle condizioni di mercato in Cina. Inoltre, le istituzioni potevano giustamente considerare che l’utilizzo, suggerito dalla ricorrente, del margine di profitto di riferimento del 6% realizzato dall’industria comunitaria sul proprio mercato non fosse atto a riflettere il margine di profitto realizzato dai produttori cinesi sul loro mercato interno e privilegiare quindi l’influenza del luogo di vendita del prodotto su detto margine.

    70      Spettava pertanto alle istituzioni, nell’esercizio del loro ampio potere discrezionale e in considerazione dei dati attendibili e verificabili di cui esse potevano disporre, elaborare un metodo che consentisse di calcolare un margine di profitto congruo.

    71      Le istituzioni hanno dunque potuto ritenere, nel quadro del margine discrezionale loro riservato dall’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base, che fosse più appropriato utilizzare le informazioni relative a profitti realizzati sul mercato cinese da imprese di dimensioni equiparabili a quella della ricorrente, che non sostengono spese di vendita né spese generali particolarmente elevate, che abbiano parimenti ottenuto il TEM in occasione di recenti inchieste su prodotti diversi dalle calzature e per le quali le istituzioni disponevano di dati attendibili, piuttosto che utilizzare le informazioni relative a profitti realizzati con la vendita di calzature su mercati totalmente diversi. Orbene, la ricorrente non ha fornito elementi atti a provare che tale considerazione fosse viziata da un errore manifesto di valutazione. Inoltre, il metodo utilizzato era il metodo disponibile più appropriato al fine di stabilire un margine di profitto congruo, in considerazione del fatto che la Commissione non disponeva di altre informazioni.

    72      In merito alla proposta della ricorrente di utilizzare i dati relativi all’industria comunitaria, si deve constatare che, come fatto valere dal Consiglio, il mercato comunitario delle calzature non è equiparabile al mercato cinese e che esso ha subito inoltre distorsioni a causa delle importazioni cinesi e vietnamite oggetto di dumping.

    73      Relativamente all’argomento secondo il quale la Commissione non avrebbe preso in considerazione informazioni presentate da società che non facevano parte del campione e le cui domande di TEM/TI non sarebbero pertanto state esaminate, esso non può essere accolto, in quanto la ricorrente non precisa in che modo la decisione di non esaminare tali domande sarebbe viziata da illegittimità. Inoltre, il Tribunale ha statuito, nella sentenza odierna nella causa T‑401/06, Brosmann Footwear (HK) e a./Consiglio (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 83‑105), che tale decisione era conforme al regolamento di base.

    74      Anche se è vero che, ai sensi dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base, l’importo del profitto determinato secondo un altro metodo appropriato non deve superare quello normalmente realizzato per la vendita, sul mercato interno del paese d’origine, di prodotti appartenenti alla stessa categoria generale, non si può tuttavia interpretare tale disposizione nel senso che le istituzioni non possono stabilire un margine di profitto allorché non dispongono di una base di calcolo attendibile riguardante il margine di profitto realizzato per vendite di prodotti appartenenti alla stessa categoria generale.

    75      Ne consegue che tale parte del primo motivo dev’essere respinta.

    –       Sull’asserita violazione dei diritti della difesa

    76      Occorre anzitutto rilevare che, nell’allegato II della sua lettera del 10 luglio 2006, la Commissione ha comunicato alla ricorrente gli importi medi delle spese generali, amministrative e di vendita e dei profitti, aggiungendo che tali dati provenivano da imprese cinesi che avevano effettuato vendite rappresentative sul mercato interno e che avevano ottenuto il TEM. Inoltre, con lettera del 22 agosto 2006, la Commissione ha informato la ricorrente circa i settori in cui operavano le imprese da cui provenivano i dati relativi alle spese generali, amministrative e di vendita nonché ai profitti. In detta lettera la Commissione ha anche illustrato che l’utilizzo di tali dati era giustificato in quanto le imprese interessate erano di dimensioni equiparabili a quella della ricorrente, non sostenevano spese di vendita né spese generali particolarmente elevate, avevano parimenti ottenuto il TEM in occasione di recenti inchieste, i loro margini di profitto erano analoghi e non era disponibile nel caso di specie alcun dato relativo alle vendite sul mercato interno dell’industria cinese delle calzature.

    77      Si deve pertanto considerare che, con lettera 22 agosto 2006, la Commissione ha risposto alla richiesta di informazioni complementari della ricorrente in merito alle cifre riguardanti le spese generali e il margine di profitto. La ricorrente non può a tale proposito addebitare alla Commissione di averle comunicato i settori in cui operavano le imprese da cui provenivano i dati utilizzati successivamente alla scadenza del termine stabilito per presentare osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo. Infatti, non emerge dall’art. 20, n. 5, del regolamento di base, che la Commissione è tenuta ad accordare un termine minimo di 10 giorni alle parti interessate per formulare osservazioni su una lettera da essa inviata in risposta alle loro osservazioni sull’informazione finale. Tale circostanza si sarebbe verificata unicamente qualora la lettera del 22 agosto 2006 avesse contenuto «principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive» ai sensi dell’art. 20, n. 2, del regolamento di base.

    78      Orbene, si deve osservare che i principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione ha deciso di raccomandare misure definitive sono stati resi noti alla ricorrente con il documento informativo finale e con il documento informativo finale aggiuntivo. La lettera del 22 agosto 2006 contiene invece solo chiarimenti complementari. Infatti, tale lettera non modifica né apporta la minima rettifica all’approccio adottato dalla Commissione.

    79      Occorre aggiungere che la circostanza che, nella sua lettera del 18 luglio 2006, la ricorrente abbia affermato che il livello del margine di profitto utilizzato dalla Commissione per stabilire il valore normale era troppo elevato, in considerazione di dati che sarebbero, a suo parere, congrui per l’industria delle calzature, conferma che essa era consapevole del fatto che i dati di cui trattasi provenivano da settori diversi da quello delle calzature.

    80      Inoltre, emerge dai punti 68‑74 supra, che la Commissione non era tenuta ad utilizzare i dati relativi a prodotti appartenenti alla stessa categoria generale. Pertanto, non può essere accolto l’argomento essenziale formulato dalla ricorrente nella sua lettera del 18 luglio 2006 e da essa ribadito in udienza, secondo il quale l’accesso ai dati di cui trattasi doveva consentirle di valutare se questi ultimi riguardavano effettivamente prodotti appartenenti alla stessa categoria generale.

    81      Non può neanche essere accolto l’argomento della ricorrente, secondo il quale l’assenza di comunicazione dei dati sottesi ai calcoli della Commissione costituirebbe una violazione dei suoi diritti della difesa. Senza che si riscontri la necessità di pronunciarsi sul carattere riservato dei suddetti dati, come richiesto dal Consiglio, è giocoforza constatare che tali dati non erano indispensabili ai fini dell’esercizio dei diritti della difesa da parte della ricorrente. Infatti, la ricorrente stessa ha suggerito alla Commissione, in base ai dati che essa considerava congrui e attuali, determinati importi medi delle spese generali, amministrative e di vendita, nonché dei profitti, nell’ambito del suo calcolo alternativo del valore normale, contenuto nella lettera del 18 luglio 2006, il quale doveva, a suo parere, comportare che non le fosse applicato alcun margine di dumping.

    82      In ogni caso, nulla ostava a che la ricorrente, a seguito della lettera del 22 agosto 2006, presentasse osservazioni alla Commissione. A tale proposito, non può essere accolto l’argomento sostenuto dalla ricorrente, secondo il quale essa avrebbe potuto cercare di ottenere dati atti a chiarire le ragioni per cui i margini di profitto registrati in tali settori erano più elevati di quelli registrati nell’industria delle calzature qualora fosse stata informata in uno stadio precedente della procedura sulla scelta dei settori presi in considerazione. Infatti, la ricorrente non ha fornito al Tribunale alcun elemento atto a dimostrare che essa aveva iniziato ad adoperarsi per ottenere i dati necessari dopo aver ricevuto la lettera della Commissione del 22 agosto 2006.

    83      Si deve di conseguenza considerare che i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

    84      Il primo motivo deve essere, pertanto, respinto.

     Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 3 del regolamento di base


     Argomenti delle parti

    85      La ricorrente sottolinea che la Commissione ha proceduto al calcolo di un margine di pregiudizio individuale risultante dalle sue esportazioni verso il mercato comunitario. Relativamente all’accertamento del suo prezzo all’esportazione ai fini del calcolo del pregiudizio, il Consiglio non avrebbe tenuto conto, nel regolamento impugnato, del fatto che essa vendeva i suoi prodotti a società commerciali indipendenti le quali rivestono il ruolo di intermediari tra i produttori cinesi e i distributori aventi sede nel mercato europeo. Da tale omissione risulterebbe un prezzo all’esportazione inferiore al prezzo effettivo e, pertanto, un margine di sottoquotazione dei prezzi (e dunque di pregiudizio) artificiosamente sovrastimato.

    86      A parere della ricorrente, le società commerciali indipendenti, come la società Pagoda, che costituirebbe un intermediario in vendite importanti verso il mercato comunitario per altri produttori cinesi e vietnamiti di calzature e che collaborerebbe con la ricorrente per le sue vendite destinate ad altri mercati, sostengono una parte rilevante dei costi di produzione e di commercializzazione, in particolare per quanto riguarda il marketing, l’organizzazione delle esportazioni, la ricerca e lo sviluppo. Tali costi, unitamente ai margini di profitto delle società commerciali, avrebbero dovuto essere presi in considerazione al fine di stabilire il prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, e, quindi, di calcolare la sottoquotazione dei prezzi e il pregiudizio derivante dalle esportazioni della ricorrente.

    87      Nonostante la Commissione conoscesse il ruolo e i margini di profitto delle società commerciali in termini di cifre la cui attendibilità non sarebbe stata contestata, essa sarebbe venuta meno all’obbligo di procedere ad un esame obiettivo di tutti gli elementi pertinenti ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un pregiudizio, conformemente all’art. 3 del regolamento di base e al punto 3 dell’accordo relativo all’applicazione dell’art. VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU L 336, pag. 103), contenuto nell’allegato 1 A dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3). Infatti, come sarebbe stato sostenuto dalla ricorrente nel procedimento amministrativo, sarebbe errato utilizzare, ai fini del calcolo del pregiudizio, un prezzo all’esportazione basato sul prezzo FOB Hong Kong senza sommarvi le spese pertinenti per stabilire il prezzo CIF, franco frontiera comunitaria. Sommando quindi al prezzo FOB Hong Kong le sole spese di assicurazione e di trasporto si otterrebbe un prezzo all’esportazione inferiore al prezzo effettivo, circostanza che condurrebbe, anch’essa, a sovrastimare il margine di sottoquotazione.

    88      Nel caso di specie la Commissione avrebbe sostenuto, senza motivare la sua valutazione, che non era necessario prendere in considerazione i margini di profitto delle società commerciali in quanto essa aveva adeguato, riducendoli, i dati relativi al valore normale provenienti dal Brasile (v. punto 14 supra), al fine di dedurne gli elementi di spesa che tale margine è volto a coprire (ricerca e sviluppo, marketing, ecc.). Orbene, la Commissione non avrebbe precisato ulteriormente gli elementi specifici della spesa di cui trattasi, né avrebbe chiarito come i dati relativi al valore normale provenienti dal Brasile potessero essere pertinenti ai fini del calcolo della sottoquotazione della ricorrente, la quale ha ottenuto il TEM e non sarebbe, pertanto, interessata dai dati raccolti in tale paese. L’adeguamento del 9,3% del prezzo all’esportazione operato dal Consiglio a titolo delle spese di ricerca e di sviluppo sarebbe inferiore, come avrebbe sostenuto la ricorrente nel procedimento amministrativo, al margine di profitto del 38% realizzato dalla Novi, la società commerciale che immette la produzione della ricorrente sul mercato europeo. Inoltre, tale adeguamento non sarebbe mirato a prendere in considerazione il ruolo delle società di intermediazione commerciale.

    89      La Commissione avrebbe dunque effettuato un calcolo errato del margine di sottoquotazione riguardante la ricorrente in quanto avrebbe omesso di prendere in considerazione, da un lato, tutte le spese sostenute tra il prezzo FOB della ricorrente e l’arrivo alla frontiera comunitaria e, dall’altro, i margini di profitto delle società commerciali indipendenti, come la Pagoda. Un calcolo corretto avrebbe condotto ad imporre un dazio antidumping minimo o pari a zero. Il fatto che i produttori europei non ricorrono ad altre società per la concezione dei modelli, i controlli di qualità, la negoziazione dei prezzi, la logistica, ecc., non può giustificare che non si prendano in considerazione tali spese sostenute dalla ricorrente ai fini del calcolo del prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, dei suoi prodotti. Infatti, l’esistenza di una sottoquotazione dovrebbe essere accertata unicamente in riferimento a tale prezzo CIF.

    90      L’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio avverso il presente motivo (v. punti 91 e 92 infra) non sarebbe fondata, in quanto poggerebbe su affermazioni non verificabili in assenza di un nuovo calcolo effettuato dalla Commissione. La questione pertinente a tale proposito sarebbe quella di sapere se, addizionando un margine aggiuntivo d’impresa commerciale pari a circa il 38% al prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, della ricorrente, fosse risultato un margine di pregiudizio inferiore al margine di dumping di quest’ultima, circostanza che potrebbe senza dubbio verificarsi. Inoltre, contrariamente a quanto suggerito dal Consiglio (v. punto 92 infra), relativamente al presente motivo il ricorso soddisferebbe i requisiti di forma imposti dall’art. 44 del regolamento di procedura del Tribunale.

    91      Il Consiglio tiene a ricordare che, in conformità con la «regola del dazio inferiore» (v. punto 41 supra), il livello di dazio definitivo è stato stabilito, per quanto concerne la ricorrente, in relazione al suo margine di dumping (9,7%), il quale era inferiore al livello di dazi necessario ai fini dell’eliminazione del pregiudizio (16,5%). Pertanto, il secondo motivo potrebbe incidere sulla validità del regolamento impugnato unicamente qualora si dimostri che il livello di eliminazione del pregiudizio doveva essere inferiore al margine di dumping della ricorrente. Orbene, pur tenendo conto del margine di profitto della Novi, i margini di sottoquotazione e di pregiudizio per la ricorrente ammonterebbero rispettivamente al 28% e al 20%. Detto motivo sarebbe, di conseguenza, «inoperante e irricevibile».

    92      Il Consiglio fa anche valere, per quanto riguarda il secondo motivo, che il ricorso non soddisfa i requisiti di forma stabiliti dall’art. 44 del regolamento di procedura. Infatti, la ricorrente non avrebbe illustrato i fatti sui quali si fonda la sua argomentazione, né avrebbe chiarito perché le istituzioni avrebbero agito illegalmente, ma si sarebbe limitata ad una serie di affermazioni non corroborate. Si tratterebbe dunque di un motivo irricevibile.

    93      Per il resto, il Consiglio contesta la fondatezza in diritto del presente motivo.

     Giudizio del Tribunale

    94      Si deve anzitutto rammentare che la «regola del dazio inferiore» implica che un produttore al quale siano stati imposti dazi antidumping non può contestarli per il motivo che dall’inchiesta sia risultato un margine di pregiudizio sovrastimato allorché l’aliquota dei dazi sia stata stabilita al livello del margine di dumping, qualora quest’ultimo sia inferiore tanto al margine di pregiudizio erroneamente accertato, quanto al margine di pregiudizio effettivo (v., in tal senso, sentenza della Corte 5 ottobre 1988, causa 250/85, Brother Industries/Consiglio, Racc. pag. 5683, punto 24).

    95      Nella specie, come emerge dalla lettera della Commissione del 10 luglio 2006, e in particolare dal suo allegato dedicato al calcolo del pregiudizio, la sottoquotazione relativa al modello esportato dalla ricorrente verso il mercato comunitario ammonta al 32,3%, mentre la sottoquotazione dei prezzi di riferimento è pari al 66%. La ricorrente non ha contestato né il metodo né le cifre utilizzate ai fini di tale calcolo.

    96      Inoltre, emerge dagli sviluppi contenuti nel titolo III della lettera della ricorrente del 18 luglio 2006 che le società commerciali, con l’intermediazione delle quali i produttori cinesi immettono la propria produzione sul mercato europeo, realizzano un margine di profitto compreso tra il 25 e il 38%. Secondo la ricorrente, si sarebbe dovuto sommare tale margine al suo prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, riducendo così la differenza tra quest’ultimo prezzo e il prezzo dell’industria comunitaria e, di conseguenza, il margine di sottoquotazione.

    97      Orbene, emerge dai calcoli che il Consiglio ha effettuato nel documento allegato alla controreplica che, anche qualora avesse sommato al prezzo CIF, franco frontiera comunitaria, della ricorrente un margine di profitto pari al 38%, asseritamente realizzato dalla Novi, il margine di sottoquotazione dei prezzi di riferimento sarebbe stato del 20,05% in considerazione delle quantità importate che non causano alcun pregiudizio significativo, vale a dire un livello superiore a quello del margine di dumping della ricorrente, in base al quale è stato fissato il dazio definitivo (9,7%, v. punto 41 supra). A tale proposito occorre aggiungere che, pur prendendo in considerazione il calcolo alternativo proposto nell’ambito delle risposte della ricorrente ai quesiti scritti del Tribunale, secondo il quale si opera un adeguamento aggiuntivo del 38% a seguito dell’adeguamento del 17,30% effettuato a titolo di dazi doganali, di ricerca e di sviluppo, ecc., il margine di sottoquotazione dei prezzi di riferimento così determinato ammonta a 15,32%, vale a dire un livello superiore al livello di eliminazione del pregiudizio.

    98      Ne consegue che il secondo motivo deve essere respinto in quanto inoperante.

     Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’art. 20 del regolamento di base, alla violazione dei diritti della difesa e ad un difetto di motivazione


     Argomenti delle parti

    99      La ricorrente fa valere che le istituzioni non le hanno comunicato adeguatamente la nuova analisi fattuale riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria, né le hanno offerto la possibilità di presentare le sue osservazioni su tale nuova valutazione relativa alla configurazione dei dazi definitivi (v. punti 29 e 30 supra). Inoltre, la Commissione non avrebbe sufficientemente spiegato le ragioni che imporrebbero una variazione della sua analisi e l’utilizzo di dati diversi da quelli contenuti nella sua prima proposta.

    100    Mentre nel documento informativo finale del 7 luglio 2006, la Commissione riteneva che l’importazione di un volume di 140 milioni di paia di calzature l’anno non avesse effetti pregiudizievoli per l’industria comunitaria, nel suo documento informativo finale aggiuntivo del 28 luglio 2006 essa avrebbe significativamente ridotto tale cifra a 41,5 milioni di paia, senza tuttavia spiegare le ragioni che erano alla base di tale cambiamento, il quale avrebbe avuto l’«effetto perverso» di invertire, attraverso una manipolazione effettuata sulla base degli anni di riferimento, il valore dei dazi imposti tra la Cina e il Vietnam. Per quanto attiene alla loro ratio economica, i contingenti instaurati da un sistema di dazi differito sarebbero destinati a far fronte alle pressioni legate al volume delle importazioni le quali tuttavia non sarebbero considerate come provenienti da pratiche sleali, mentre le misure antidumping sarebbero concepite per rispondere alle pratiche sleali di dumping. Con riferimento a tali differenze, il termine di cinque giorni concesso dalla Commissione alla ricorrente per presentare le sue osservazioni sulla nuova proposta sarebbe insufficiente, circostanza di cui si sarebbe lamentata la ricorrente nel corso del procedimento amministrativo.

    101    Il ‘considerando’ 301 del regolamento impugnato, che avrebbe seguito l’ultima proposta della Commissione, non conterrebbe una motivazione sufficiente con riferimento a tale divergenza e non indicherebbe le ragioni alla base dell’applicazione del nuovo metodo. Al contrario, detto ‘considerando’ 301 si limiterebbe a riprendere i termini del punto 280 del documento informativo finale aggiuntivo, il quale non conterrebbe ulteriori informazioni. Inoltre, il documento informativo finale aggiuntivo sarebbe privo di cifre o calcoli sottesi al metodo descritto al ‘considerando’ 301 del regolamento impugnato e non consentirebbe di spiegare il ricorso ad anni, valori e volumi diversi da quelli utilizzati nella prima proposta. Peraltro, le istituzioni avrebbero violato l’art. 20 del regolamento di base, che esige la comunicazione degli elementi specifici dei principali fatti e considerazioni in base ai quali la Commissione intende proporre l’adozione delle misure definitive. Infatti, la valutazione di fatto sottesa al nuovo approccio della Commissione non sarebbe stata né spiegata né giustificata.

    102    Inoltre, la Commissione avrebbe violato i diritti della difesa della ricorrente non consentendole di far valere utilmente la sua posizione su numerose questioni importanti, quali la ragionevolezza della nuova proposta, l’esattezza e la pertinenza dei fatti e delle circostanze allegate, i calcoli effettuati e gli elementi presentati dalla Commissione a sostegno delle sue conclusioni sul dumping e il pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Infatti, i due sistemi sarebbero caratterizzati da differenze sostanziali nell’analisi di fatto posta a loro fondamento. Tali differenze avrebbero generato conseguenze radicalmente opposte per i produttori cinesi e vietnamiti senza tuttavia che la Commissione abbia spiegato come essa sia giunta a tale risultato né abbia dato l’occasione agli interessati di esercitare i loro diritti della difesa.

    103    Il tentativo del Consiglio di minimizzare le differenze tra le due proposte, dichiarando che il sistema adottato terrebbe conto del fatto che soltanto le importazioni eccedenti determinate soglie di quantità causerebbero un pregiudizio, comporterebbe l’imposizione di dazi antidumping su importazioni che non causano pregiudizio, risultato che sarebbe contrario all’art. 1, n. 1, del regolamento di base. Il fatto che la ricorrente abbia potuto formulare alcune osservazioni nei confronti di tale sistema, entro un termine inferiore al termine minimo di dieci giorni previsto dall’art. 20, n. 5, del regolamento di base, non potrebbe, del resto, essere ritenuto a carico della stessa né servirebbe a rimediare all’insufficienza delle informazioni fornite dalla Commissione. Infatti, la questione se il termine concesso dalla Commissione fosse adeguato ai fini del rispetto dei diritti della difesa della ricorrente dovrebbe essere valutata rispetto all’ampiezza del cambiamento nel metodo adottato dalla Commissione nonché alla mancanza di dati o di spiegazioni sulla nuova valutazione giuridica e di fatto. A tal riguardo, la ricorrente fa osservare che, quando le istituzioni non offrono spiegazioni adeguate sul metodo e la valutazione dei fatti da esse seguiti, il fatto di aver potuto fare alcune osservazioni ha un valore limitato e non implica che siano state soddisfatte le condizioni previste dall’art. 20 del regolamento di base, dai principi generali del diritto comunitario o del diritto dell’OMC. Inoltre, la stessa Commissione avrebbe adottato un calendario molto restrittivo, escludendo in tal modo ogni possibile estensione del termine concesso per la formulazione di osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo. In aggiunta, le discussioni protrattesi per diversi mesi avrebbero riguardato il sistema di dazio differito e non il sistema infine adottato.

    104    La ricorrente ritiene che, a causa delle carenze del documento informativo finale aggiuntivo e dell’insufficienza del termine impartito, essa non abbia avuto la possibilità di esporre alla Commissione le ragioni per le quali l’approccio adottato non sarebbe stato appropriato ovvero congruo né di presentare il suo punto di vista circa il metodo o le cifre alla base della proposta contenuta in tale documento.

    105    Infine, la ricorrente aggiunge che, se fosse stata messa in condizione di formulare in modo adeguato osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo, essa avrebbe dedotto, in primo luogo, che il sistema proposto equivaleva a una violazione dell’art. 1, n. 1, del regolamento di base, in quanto comporta l’imposizione di dazi antidumping a importazioni che non arrecano pregiudizio, in secondo luogo, che per lei avrebbe dovuto essere calcolato un margine di pregiudizio individuale e, in terzo luogo, che l’ultima proposta della Commissione era incongrua e sproporzionata, dal momento che la valutazione di fatto riveduta, che non sarebbe stata né spiegata né giustificata, aveva avuto l’«effetto perverso» di invertire il rispettivo onere delle misure antidumping tra la Cina e il Vietnam.

    106    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti della ricorrente.

     Giudizio del Tribunale

    107    Con il terzo motivo, in primo luogo, la ricorrente afferma che le istituzioni hanno violato l’art. 20 del regolamento di base per il fatto che la Commissione, da un lato, non ha comunicato gli elementi sui quali essa ha fondato i calcoli effettuati nel documento informativo finale aggiuntivo e, dall’altro, non le ha impartito un termine sufficiente e conforme al n. 5 del medesimo articolo al fine di presentare osservazioni complete sul suo nuovo approccio.

    108    In secondo luogo, la ricorrente afferma che le istituzioni non hanno indicato né nel documento informativo finale o informativo finale aggiuntivo né nel regolamento impugnato i motivi che giustificavano il metodo utilizzato al fine di prendere in considerazione l’esistenza di un volume di importazioni che non causa pregiudizio e consistente nel ridurre il margine di pregiudizio piuttosto che esonerare le importazioni non pregiudizievoli dall’imposizione dei dazi antidumping. Tali circostanze sarebbero costitutive di una violazione dei diritti della difesa della ricorrente nonché di un difetto di motivazione.

    109    In via preliminare, occorre osservare che l’art. 20 del regolamento di base prevede talune modalità relative all’esercizio del diritto delle parti interessate, segnatamente degli esportatori, di essere sentite, il quale costituisce uno dei diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario e implica il diritto di essere informati dei principali fatti e considerazioni sulla cui base si prevede di raccomandare l’istituzione di dazi antidumping definitivi (v., in tal senso, sentenza della Corte 27 giugno 1991, causa C‑49/88, Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I‑3187, punto 15, e sentenza del Tribunale 19 novembre 1998, causa T‑147/97, Champion Stationery e a./Consiglio, Racc. pag. II‑4137, punto 55).

    110    In tale contesto, gli argomenti della ricorrente relativi alla violazione dell’art. 20 del regolamento di base devono essere interpretati come riferiti alla violazione dei loro diritti della difesa, quali sanciti dall’ordinamento giuridico comunitario, compresa tale disposizione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 21 novembre 2002, causa T‑88/98, Kundan e Tata/Consiglio, Racc. pag. II‑4897, punto 131).

    111    A tale riguardo, occorre ricordare che le imprese interessate da un’inchiesta precedente l’adozione di un regolamento antidumping devono essere messe in condizione, nel corso del procedimento amministrativo, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze dedotti nonché sugli elementi di prova accolti dalla Commissione a fondamento della sua valutazione circa la sussistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio che ne conseguirebbe (sentenze della Corte Al-Jubail Fertilizer/Consiglio, punto 109 supra, punto 17, e 3 ottobre 2000, causa C‑458/98 P, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, Racc. pag. I‑8147, punto 99; sentenze del Tribunale Champion Stationery e a./Consiglio, punto 109 supra, punto 55, e Kundan e Tata/Consiglio, punto 110 supra, punto 132).

    112    In tale contesto, occorre altresì rilevare che l’incompletezza dell’informazione finale comporta l’illegittimità di un regolamento che istituisce dazi antidumping definitivi qualora, a causa di tale omissione, le parti interessate non abbiano potuto utilmente difendere i loro interessi. Tale sarebbe in particolare il caso qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli utilizzati per le misure provvisorie, cui deve essere riservata un’attenzione particolare nell’informazione finale ai sensi dell’art. 20, n. 2, del regolamento di base. Tale sarebbe parimenti il caso, con argomenti analoghi, qualora l’omissione verta su fatti o considerazioni diversi da quelli sui quali si fonda una decisione adottata dalla Commissione o dal Consiglio successivamente alla comunicazione del documento informativo finale, come si evince dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base.

    113    Nella fattispecie, come è stato osservato ai precedenti punti 23‑25, la Commissione ha dapprima annunciato, nel documento informativo finale, un sistema di dazio differito fondato sul fatto che soltanto le importazioni superiori ai 140 milioni di paia di calzature l’anno causerebbero un pregiudizio ai sensi dell’art. 3 del regolamento di base. Tale valutazione si fondava sulla presenza del regime dei contingenti quantitativi fino al 1° gennaio 2005, il quale avrebbe impedito un siffatto pregiudizio, nonché su un calcolo delle quantità che sarebbero state importate dalla Cina nel 2005. Secondo tale proposta, un dazio antidumping definitivo doveva essere applicato alle importazioni originarie della Cina eccedenti i 140 milioni di paia di calzature l’anno. Tale dazio era pari al margine di sottoquotazione dei prezzi di riferimento, nella fattispecie il 23%.

    114    Tuttavia, come è stato illustrato ai precedenti punti 28 e 29, nell’ambito del documento informativo finale aggiuntivo la Commissione ha modificato la sua proposta relativa alla forma dei dazi necessaria per l’eliminazione del pregiudizio. Tale nuovo approccio si fondava parimenti sull’esistenza di un volume di importazioni che non causa pregiudizi ai sensi dell’art. 3 del regolamento di base. Tuttavia, secondo il documento informativo finale aggiuntivo, tanto il metodo di calcolo di tale volume di importazioni non pregiudizievole quanto l’impatto di tale volume sulla forma dei dazi definitivi proposti sarebbero differenti rispetto a quelli evocati nel documento informativo finale.

    115    In particolare, nel documento informativo finale aggiuntivo, in primo luogo, la Commissione ha ricordato che il margine di sottoquotazione dei prezzi di riferimento per le importazioni provenienti dalla Cina era pari al 23%. In secondo luogo, essa ha stabilito che il volume delle importazioni provenienti da tale paese nel periodo dell’inchiesta era pari al 38% delle importazioni provenienti dai due paesi indicati. Tale percentuale, applicata all’insieme delle importazioni provenienti dalla Cina e dal Vietnam nel 2003 (109 milioni di paia di calzature), era pari a circa 41,5 milioni di paia di calzature, volume che non è stato ritenuto pregiudizievole per l’industria comunitaria. In terzo luogo, la Commissione ha ritenuto che tale volume rappresentasse il 28,26% delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005. Infine, in quarto luogo, essa ha ridotto il margine di pregiudizio inizialmente stabilito (23%) in riferimento al 28,26%, il che ha portato a calcolare un margine di pregiudizio «ponderato» del 16,5%.

    116    Risulta da quanto precede che le differenze tra il metodo presentato nel documento informativo finale e quello presentato nel documento informativo finale aggiuntivo sono le seguenti. In primo luogo, anziché stabilire il volume annuale di importazioni non pregiudizievole a livello delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005, la Commissione ha stabilito tale volume annuale moltiplicando i 109 milioni di paia di calzature importate nel 2003 per il 38%. Si tratta della percentuale che rappresentavano le importazioni originarie di tale paese sulla totalità delle importazioni provenienti dai due paesi presi in esame durante il periodo d’inchiesta. In secondo luogo, piuttosto che esonerare tale volume annuale, definito non pregiudizievole ai punti 278‑280 del documento informativo finale aggiuntivo, dall’applicazione di un dazio antidumping, la Commissione ha scelto di prendere in considerazione tale volume diminuendo il livello di eliminazione del pregiudizio e applicando i dazi antidumping a partire dal primo paio importato.

    117    A tal riguardo, occorre constatare che il fatto che la Commissione abbia modificato la sua analisi in seguito alle osservazioni che le parti interessate hanno formulato sul documento informativo finale non costituisce, di per sé, una violazione dei diritti della difesa. Infatti, come emerge dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, il documento informativo finale non pregiudica qualsiasi ulteriore decisione della Commissione o del Consiglio. Tale disposizione si limita a imporre alla Commissione il dovere di comunicare, il più rapidamente possibile, i fatti e le considerazioni diversi da quelli sui quali si basa il suo approccio iniziale contenuto nel documento informativo finale. Infatti, è proprio attraverso tale esposizione che gli interessati sono in grado di comprendere i motivi che hanno portato le istituzioni ad adottare une posizione diversa.

    118    Pertanto, al fine di determinare se la Commissione abbia rispettato i diritti della ricorrente derivanti dall’art. 20, n. 4, ultimo periodo, del regolamento di base, occorre anche verificare se la Commissione le abbia comunicato i fatti e le considerazioni sui quali essa ha fondato la nuova analisi sul pregiudizio e sulla forma delle misure necessarie per eliminarlo, nei limiti in cui essi siano diversi da quelli alla base del documento informativo finale (v. punto 112 supra).

    119    A tal riguardo, la Commissione ha innanzitutto dichiarato nel documento informativo finale aggiuntivo che la sua nuova proposta permetterebbe di non effettuare distinzioni tra le differenti categorie di importatori.

    120    Per quanto attiene, poi, agli elementi sulla base dei quali la Commissione ha provveduto ad adeguare il margine di pregiudizio dal 23 al 16,5%, erroneamente la ricorrente afferma di non avervi avuto accesso. Infatti, il metodo descritto al precedente punto 115 riguardante l’adeguamento del margine di pregiudizio tenendo conto di un volume di importazioni non pregiudizievole figura nel documento informativo finale aggiuntivo. É vero che tale documento non fornisce informazioni sul volume esatto delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005, che permetterebbe di verificare che la percentuale del 28,26% corrisponde alla realtà. Tuttavia, dal momento che, secondo la Commissione, i 41,5 milioni di paia di calzature rappresentano il 28,26% della totalità delle importazioni provenienti dalla Cina nel 2005, si può dedurre che tali importazioni hanno raggiunto i 146,85 milioni di paia di calzature. Tale calcolo, del resto, è stato ripreso dalla stessa ricorrente nel suo messaggio di posta elettronica del 2 agosto 2006 (v. punto 31 supra).

    121    Dalle considerazioni che precedono risulta che la Commissione ha comunicato alla ricorrente il ragionamento da essa seguito ai fini del calcolo del margine di pregiudizio prendendo in considerazione un volume di importazioni non pregiudizievole. Essa ha altresì indicato tutte le cifre da essa ritenute pertinenti a tale scopo e, pertanto, a tal riguardo, i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

    122    Si deve sottolineare altresì che il motivo della ricorrente, come sviluppato nel ricorso, è relativo alla violazione dei suoi diritti della difesa e non dell’art. 1, n. 1, del regolamento di base. Ne risulta che la questione se il sistema adottato nel regolamento impugnato sia compatibile con l’art. 1, n. 1, del regolamento di base, nella parte in cui imporrebbe dazi antidumping a importazioni inferiori alla soglia annuale considerata come non recante pregiudizio, non è stata sottoposta in quanto tale al sindacato del Tribunale.

    123    Quanto al termine impartito, le parti sono concordi sul fatto che esso scadeva il 2 agosto 2006.

    124    Nell’accordare alla ricorrente un termine inferiore a dieci giorni al fine di esprimere osservazioni sul documento informativo finale aggiuntivo, la Commissione ha violato l’art. 20, n. 5, del regolamento di base (v., in tal senso, sentenza Champion Stationery e a./Consiglio, punto 109 supra, punto 80). Tuttavia, tale circostanza, di per sé, non può condurre all’annullamento del regolamento impugnato. Infatti, si deve ancora accertare se il fatto di disporre di un termine inferiore al termine legale sia stato tale da causare una concreta lesione dei suoi diritti della difesa nell’ambito del procedimento di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 28 ottobre 2004, causa T‑35/01, Shanghai Teraoka Electronic/Consiglio, Racc. pag. II‑3663, punto 331).

    125    A tal riguardo, occorre osservare che, nel messaggio di posta elettronica del 2 agosto 2006, la ricorrente ha richiamato i calcoli della Commissione e che essa ha presentato un calcolo alternativo che avrebbe condotto a un risultato diverso e, a suo avviso, congruo. Pertanto, la ricorrente ha compreso il ragionamento della Commissione e ha potuto proporle un altro approccio senza chiedere una proroga del termine impartitole. In tale contesto, occorre constatare che essa è stata in grado di far valere utilmente il suo punto di vista.

    126    Ne deriva che i diritti della difesa della ricorrente non sono stati violati.

    127    Per identità di motivi, occorre respingere l’argomento della ricorrente relativo ad un difetto di motivazione riguardante il metodo utilizzato per il calcolo del livello di eliminazione del pregiudizio. Infatti, la motivazione del regolamento impugnato deve essere valutata tenendo conto in particolare delle informazioni che sono state comunicate alla ricorrente e delle osservazioni che essa ha presentato nel corso del procedimento amministrativo (sentenza del Tribunale 15 dicembre 1999, cause riunite T‑33/98 e T‑34/98, Petrotub e Republica/Consiglio, Racc. pag. II‑3837, punto 107).

    128    Nella fattispecie, come è stato osservato al precedente punto 40, i ‘considerando’ 296‑301 del regolamento impugnato contengono le valutazioni che hanno condotto il Consiglio ad adottare il sistema da ultimo utilizzato. Di conseguenza, tenuto conto che la Commissione ha comunicato alla ricorrente il ragionamento da essa seguito ai fini del calcolo del margine di pregiudizio prendendo in considerazione un volume di importazioni non pregiudizievole e che essa le ha parimenti indicato tutte le cifre da essa ritenute pertinenti a tale scopo (v. punti 119‑121 supra), occorre concludere che il regolamento impugnato è adeguatamente e sufficientemente motivato.

    129    Di conseguenza, il terzo motivo deve essere respinto.

     Sul quarto motivo, relativo ad un errore di diritto e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria


     Argomenti delle parti

    130    La ricorrente ritiene che la decisione relativa al pregiudizio non si fonda su un periodo sufficientemente lungo di importazioni normali e, pertanto, non si fonda su dati attendibili e obiettivi. Infatti, dal momento che il periodo d’inchiesta si estende dal 1° aprile 2004 al 31 marzo 2005, la Commissione avrebbe acquisito il convincimento che l’aumento delle importazioni dopo la scadenza del regime dei contingenti abbia avuto un effetto pregiudizievole particolarmente significativo per l’industria comunitaria prendendo in considerazione soltanto il primo trimestre del 2005. Gli indizi manifesti dell’esistenza di un grave pregiudizio nel 2004 cui fa riferimento la Commissione al punto 277 figurante al nuovo titolo H nel documento informativo finale aggiuntivo non vorrebbero dire che un pregiudizio grave sia stato effettivamente cagionato nel 2004. L’assenza di un grave pregiudizio nel 2004 sarebbe corroborata dal fatto che l’aumento delle importazioni di tale anno è stato lieve rispetto al 2003 nonché dal punto 285 del documento informativo finale. Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio, i contingenti quantitativi non mirerebbero alla tutela da importazioni oggetto di dumping. Inoltre, l’analisi dei fattori pregiudizievoli per il 2003 non sarebbe pertinente, poiché, come avrebbe ammesso la Commissione, in tale anno non esisteva dumping arrecante pregiudizio.

    131    Orbene, i primi tre mesi del 2005 costituirebbero il periodo iniziale di apertura di un mercato soggetto per oltre dodici anni all’applicazione del rigido regime dei contingenti quantitativi. Come avrebbe osservato la Commissione nel documento informativo finale, tale periodo successivo alla scadenza del regime dei contingenti sarebbe stato artificialmente alterato dalle aspettative connesse a tale avvenimento. Il regolamento impugnato si fonderebbe, quindi, su dati relativi a un periodo breve che non potrebbe fornire elementi attendibili a causa della cessazione del sistema dei contingenti. Ne conseguirebbe che il Consiglio ha violato l’art. 3, n. 2, del regolamento di base.

    132    Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dalla CEC, contesta gli argomenti della ricorrente.

     Giudizio del Tribunale

    133    In primo luogo, occorre rilevare che l’imposizione di dazi antidumping non costituisce una sanzione per un comportamento precedente, ma una misura di difesa e di tutela nei confronti della concorrenza sleale derivante dalle pratiche di dumping. Allo scopo di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria comunitaria dalle pratiche di dumping è quindi necessario condurre l’inchiesta sulla base di informazioni il più possibile attuali (sentenza Industrie des poudres sphériques/Consiglio, punto 111 supra, punti 91 e 92, e sentenza del Tribunale 14 novembre 2006, causa T‑138/02, Nanjing Metalink/Consiglio, Racc. pag. II‑4347, punto 60).

    134    Pertanto, qualora le istituzioni constatino che le importazioni di un prodotto soggetto fino ad allora a restrizioni quantitative aumentano dopo la scadenza di dette restrizioni, esse possono tener conto di tale aumento ai fini della loro valutazione del pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

    135    In secondo luogo, come fa osservare il Consiglio, la valutazione della Commissione contenuta al punto 283 del documento informativo finale, secondo la quale il volume dei prodotti importati è aumentato dopo la scadenza del regime dei contingenti, non dimostra che le istituzioni si siano fondate esclusivamente su tale elemento quantitativo per riconoscere l’esistenza di un pregiudizio.

    136    Infine, come emerge dai ‘considerando’ 162, 168‑170, 187‑206 e 216‑240 del regolamento impugnato, le istituzioni hanno tenuto conto di diversi fattori concernenti il pregiudizio e il nesso di causalità, relativi non soltanto all’ultimo trimestre del periodo dell’inchiesta ma anche al periodo considerato.

    137    Ne deriva che anche il quarto motivo deve essere respinto.

    138    Alla luce di quanto precede, il ricorso dev’essere integralmente respinto.

     Sulle spese

    139    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

    140    Conformemente all’art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, la Commissione e la CEC sopporteranno le proprie spese.

    Per questi motivi,

    IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

    dichiara e statuisce:

    1)      Il ricorso è respinto.

    2)      La Foshan City Nanhai Golden Step Industrial Co., Ltd sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

    3)      La Commissione europea e la Confédération européenne de l’industrie de la chaussure (CEC), sopporteranno le proprie spese.

    Martins Ribeiro

    Papasavvas

    Dittrich

    Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 4 marzo 2010.

    Firme

    Indice


    Contesto normativo

    Fatti e regolamento impugnato

    Procedimento e conclusioni delle parti

    In diritto

    Sul primo motivo attinente alla violazione dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base e alla violazione dei suoi diritti della difesa relativamente al calcolo del suo margine di dumping

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

    – Sull’asserita violazione dell’art. 2, n. 6, lett. c), del regolamento di base

    – Sull’asserita violazione dei diritti della difesa

    Sul secondo motivo, attinente alla violazione dell’art. 3 del regolamento di base

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

    Sul terzo motivo, attinente alla violazione dell’art. 20 del regolamento di base, alla violazione dei diritti della difesa e ad un difetto di motivazione

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

    Sul quarto motivo, relativo ad un errore di diritto e ad un errore manifesto di valutazione riguardante il pregiudizio subito dall’industria comunitaria

    Argomenti delle parti

    Giudizio del Tribunale

    Sulle spese


    * Lingua processuale: l’inglese.

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