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Document 61996CC0136

    Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 19 marzo 1998.
    The Scotch Whisky Association contro Compagnie financière européenne de prises de participation (Cofepp), Prisunic SA e Centrale d'achats et de services alimentaires SARL (Casal).
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Paris - Francia.
    Definizione, designazione e presentazione delle bevande spritose - Modalità d'uso del termine generico "whisky" - Bevande composte esclusivamente di whisky ed acqua.
    Causa C-136/96.

    Raccolta della Giurisprudenza 1998 I-04571

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1998:114

    61996C0136

    Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 19 marzo 1998. - The Scotch Whisky Association contro Compagnie financière européenne de prises de participation (Cofepp), Prisunic SA e Centrale d'achats et de services alimentaires SARL (Casal). - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Paris - Francia. - Definizione, designazione e presentazione delle bevande spritose - Modalità d'uso del termine generico "whisky" - Bevande composte esclusivamente di whisky ed acqua. - Causa C-136/96.

    raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-04571


    Conclusioni dell avvocato generale


    1 Fino a che punto un produttore può, senza entrare in contrasto con le prescrizioni di diritto comunitario, trarre profitto dal prestigio legato al termine whisky per promuovere la vendita di una bevanda spiritosa, indubbiamente elaborata utilizzando whisky, ma di cui egli non contesta affatto che non si tratta di whisky ai sensi della normativa vigente? E' questa la sostanza della controversia che oppone, davanti al Tribunal de grande instance di Parigi, la Scotch Whisky Association (in prosieguo: la «SWA»), società di diritto scozzese che ha per oggetto la tutela e la promozione degli interessi del commercio del whisky scozzese in tutto il mondo, nonché la difesa in giudizio di tali interessi, alla società La Martiniquaise LM, divenuta Compagnie financière européenne de prises de participation (in prosieguo: «La Martiniquaise»), che produce e commercia, sotto il marchio Gold River e la denominazione di «bevanda spiritosa al whisky», una bevanda composta da una miscela di whisky di provenienza scozzese, canadese e statunitense, e di acqua, con 30_ di titolo alcolometrico, nonché alla Centrale d'achats et de services alimentaires, ufficio centrale acquisti degli empori Prisunic, e la società Prisunic, nei cui esercizi la detta bevanda viene venduta al minuto.

    2 La ricorrente lamenta gli atti di concorrenza sleale compiuti dalle convenute, a suo dire, commerciando la bevanda Gold River sotto una denominazione che ricomprende il termine «whisky», mentre il regolamento (CEE) del Consiglio 29 maggio 1989, n. 1576, che stabilisce le regole generali relative alla definizione, alla designazione e alla presentazione delle bevande spiritose (1) (in prosieguo: il «regolamento»), fissa a 40_ il titolo alcolometrico minimo del whisky.

    3 Le convenute sostengono che utilizzando non la denominazione di whisky, ma quella di «bevande spiritose al whisky», per una bevanda che è sì diluita con acqua, ma che non contiene altra bevanda alcolica se non il whisky, esse si conformano puntualmente tanto al regolamento quanto alla direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (2) (in prosieguo: la «direttiva»).

    4 Posto di fronte ad un problema di interpretazione del diritto comunitario, la cui soluzione condiziona la valutazione della fondatezza delle pretese rispettive delle parti in causa, il giudice nazionale interroga la Corte per sapere se, tenuto conto della disciplina comunitaria e, in particolare, dell'art. 5 del regolamento, il termine generico «whisky» possa comparire tra i termini della denominazione di vendita delle bevande spiritose composte esclusivamente di whisky diluito in acqua in modo che il titolo alcolometrico volumico sia inferiore a 40_.

    5 Mi sembra che, prima di affrontare l'esame delle norme contenute nel regolamento, non sia certo inutile ricordare, partendo dai suoi `considerando', gli obiettivi che detto regolamento persegue allorché individua le denominazioni applicabili alle diverse bevande spiritose. Da questo punto di vista, mi sembra che siano particolarmente illuminanti i primi due `considerando' e il quarto. Essi recitano quanto segue:

    «considerando che attualmente nessuna disposizione comunitaria specifica contempla le bevande spiritose, in particolare per quanto riguarda la definizione di tali prodotti e le norme relative alla loro designazione e presentazione; che, tenuto conto dell'importanza economica dei prodotti in causa, occorre adottare in questo settore disposizioni intese a facilitare il funzionamento del mercato comune;

    considerando che le bevande spiritose rappresentano un importante sbocco per l'agricoltura comunitaria; che ciò è in gran parte dovuto alla rinomanza che i prodotti in causa hanno conquistato nella Comunità e sul mercato mondiale; che tale rinomanza è connessa al livello qualitativo dei prodotti tradizionali; che è quindi opportuno, per conservare questo sbocco, mantenere elevato il livello qualitativo dei prodotti; che il mezzo migliore per conseguire tale obiettivo consiste nel definire i prodotti tenendo conto degli usi tradizionali che sono alla base della loro rinomanza; che è inoltre opportuno riservare l'impiego delle denominazioni così definite a prodotti il cui livello qualitativo corrisponda a quello dei prodotti tradizionali, per evitare che le denominazioni stesse vengano sminuite di valore;

    considerando che il metodo normalmente e abitualmente seguito per informare il consumatore consiste nel riportare sull'etichetta un certo numero di diciture; che in materia di etichettatura alle bevande spiritose si applicano le norme generali stabilite dalla direttiva (...); che, tenuto conto della natura dei prodotti in causa, è opportuno, ai fini di una migliore informazione del consumatore, adottare le disposizioni complementari specifiche a tali norme generali, in particolare incorporando, nella definizione del prodotto, nozioni relative all'invecchiamento ed al titolo alcolometrico minimo per l'immissione al consumo umano».

    6 Ne deriva che il legislatore comunitario ha inteso preservare la rinomanza, connessa al livello qualitativo, di un certo numero di bevande spiritose tradizionali e assicurare al consumatore di bevande spiritose un'informazione più adeguata e più precisa di quella imposta dalla direttiva. Si trattava dunque, attraverso l'adozione del regolamento, di rimettere ordine in un settore in cui regnava una fantasia pericolosa sotto tutti gli aspetti.

    7 Tra le bevande spiritose tradizionali, di cui il regolamento intende garantire la tutela, figura il whisky.

    8 Esso costituisce una categoria di bevande spiritose che l'art. 1, n. 4, lett. b), definisce nei termini seguenti:

    «[l]a bevanda spiritosa ottenuta per distillazione di un mosto di cereali:

    - saccarificato dalla diastasi del malto ivi contenuto, con o senza aggiunta di altri enzimi naturali,

    - fermentato per azione del lievito,

    - distillato a meno di 94,8% vol. in modo che il prodotto della distillazione abbia un aroma e un gusto provenienti dalle materie prime utilizzate,

    e invecchiata per almeno tre anni in fusti di legno di capacità pari o inferiore a 700 litri».

    9 Per poter rivendicare la denominazione di «whisky» una bevanda deve inoltre presentare un tasso alcolometrico minimo. Infatti, l'art. 3, n. 1, del regolamento dispone quanto segue:

    «Fatta eccezione per le bevande spiritose al ginepro (...) per poter essere destinate al consumo umano nella Comunità con una delle denominazioni di cui all'articolo 1, n. 4, le bevande spiritose sotto elencate (...) devono possedere il seguente titolo alcolometrico volumico minimo:

    - 40% whisky».

    10 Dal combinato disposto dell'art. 1, n. 4, e dell'art. 3, n. 1, risulta, in maniera inequivoca, che la bevanda Gold River, in quanto dotata di un titolo alcolometrico di 30_, non è un whisky ai sensi del regolamento, a dispetto del fatto che il suo unico componente alcolico sia il whisky. Questo punto del resto non è oggetto di alcuna contestazione.

    11 La contestazione sorge, in compenso, allorché si tratta di sapere se sia o meno contrario al regolamento il fatto di utilizzare, per tale bevanda, la denominazione di vendita di «bevanda spiritosa al whisky», e verte sull'interpretazione da dare all'art. 5 del regolamento. In base al n. 1 di detto articolo,

    «[f]atte salve le disposizioni adottate in applicazione dell'articolo 6, le denominazioni di cui all'articolo 1, n. 4, sono riservate alle bevande spiritose ivi definite, tenuto conto dei requisiti previsti agli articoli 2, 3, 4 e 12. Tali denominazioni devono essere utilizzate per designare i prodotti in causa.

    Per le bevande spiritose che non rispondono ai requisiti prescritti per i prodotti definiti all'articolo 1, n. 4, non possono essere utilizzate le denominazioni ivi precisate. Queste bevande devono essere denominate "bevande spiritose"».

    12 La Martiniquaise ammette che, considerata la lettera di tali disposizioni, la sua bevanda Gold River, non potendo denominarsi «whisky», dovrebbe ricevere la denominazione di «spiritosa» o di «bevanda spiritosa». Tuttavia essa sostiene di avere il diritto di affiancare alle parole «spiritosa» o «bevanda spiritosa» la dicitura «al whisky».

    13 Il governo francese sostiene il medesimo punto di vista. La Commissione, nonché i governi tedesco, spagnolo, francese, italiano e quello del Regno Unito, hanno depositato osservazioni in senso contrario.

    14 Per parte mia, anch'io sono del parere che la tesi di La Martiniquaise sia difficilmente sostenibile. Infatti, se tale tesi fosse fondata, ci si potrebbe legittimamente interrogare sull'adeguatezza dei mezzi scelti dal legislatore comunitario per raggiungere gli scopi enunciati nei `considerando' che ho ricordato. A che servirebbe proibire la denominazione ingannevole se essa può ricomparire direttamente al fianco della denominazione che viene imposta? Si sarebbero davvero protette al tempo stesso la rinomanza del whisky e l'informazione del consumatore se il divieto di utilizzare il termine «whisky» per il Gold River si traducesse, in pratica, unicamente nell'obbligo di ricorrere alla denominazione di «bevanda spiritosa al whisky», il cui solo termine evocativo è, con tutta evidenza, il termine «whisky»?

    15 L'informazione del consumatore può diventare ancor più problematica se, come La Martiniquaise, il produttore si avvale della facoltà, prevista dall'art. 7, n. 4, del regolamento, di scegliere una lingua ufficiale della Comunità che non sia quella del luogo in cui si effettua la vendita, con il risultato che il Gold River reca sulla propria etichetta la denominazione di «whisky spirit», di cui è appena il caso di sottolineare l'ambiguità per il consumatore francofono medio.

    16 Supponendo che l'interpretazione dell'art. 5 non possa essere guidata dai soli obiettivi assegnati alla normativa in seno alla quale esso si inserisce, l'interpretazione adottata da La Martiniquaise contrasta, tuttavia, con ragioni attinenti al dettato dell stesso articolo. Ne risulta chiaramente che il produttore non si vede offrire alcuna possibilità di scelta. La natura del prodotto determina di per sé la denominazione da utilizzare. Per un prodotto che non soddisfi i requisiti prescritti dagli articoli indicati nel primo comma, il produttore si vede imporre la denominazione «spiritosa» o «bevanda spiritosa». Per un prodotto che corrisponda a dette specificazioni, l'utilizzazione della denominazione riservata «whisky» è altresì obbligatoria. Non si tratta di un privilegio a cui il produttore possa rinunciare.

    17 Sempre per quanto riguarda il tenore letterale della norma, non vi è dubbio che l'art. 5, n. 1, primo comma, del regolamento faccia del termine «whisky» una denominazione. Di conseguenza il secondo comma, il quale enuncia che per i prodotti non rispondenti ai requisiti prescritti per i prodotti definiti nell'art. 1, n. 4, «non possono essere utilizzate le denominazioni ivi precisate», impedisce necessariamente che il termine «whisky» possa figurare nella denominazione di vendita di un prodotto come il Gold River.

    18 Supponendo, infine, di adottare per un istante il punto di vista di La Martiniquaise, bisognerebbe allora interpretare la frase «[q]ueste bevande devono essere denominate "bevande spiritose" o "spiritose"» come se volesse dire: «Esse devono comprendere nella loro denominazione i termini "bevande spiritose" o "spiritose"», cosa che è parecchio diversa dalla lettera del regolamento. Ora, uno dei principi fondamentali dell'interpretazione giuridica vuole che quel che non ha bisogno di essere interpretato perché perfettamente chiaro non venga snaturato con il pretesto dell'interpretazione.

    19 Per queste differenti ragioni, ritengo che un esame della lettera stessa dell'art. 5, n. 1, del regolamento escluda che si possa utilizzare per il Gold River la denominazione di vendita «bevanda spiritosa al whisky». Per questo motivo, d'altronde, La Martiniquaise e il governo francese cercano, sia nel regolamento stesso e nelle sue disposizioni di attuazione, sia nella direttiva, argomenti suscettibili di rovesciare le conclusioni alle quali conduce l'esame di tale articolo. Non è possibile negare loro tale diritto, tanto più che l'art. 5 contiene la precisazione «[f]atte salve le disposizioni adottate in applicazione dell'articolo 6». Ma tali argomenti potranno essere presi in considerazione solo qualora si rivelino sufficientemente convincenti per attribuire all'art. 5 il senso che a prima vista non ha.

    20 Il primo di questi argomenti, e indubbiamente il più forte dal momento che si basa sulla lettera stessa dell'art. 5, è quello basato sull'art. 6 del regolamento. Ai sensi di detto articolo,

    «1. Disposizioni particolari possono disciplinare le indicazioni aggiunte alla denominazione di vendita, ovvero:

    - l'uso di termini, sigle o segni;

    - l'uso di termini composti comprendenti una delle definizioni generiche di cui all'articolo 1, paragrafi 2 e 4.

    2. Disposizioni particolari possono disciplinare la denominazione delle miscele di bevande spiritose e delle miscele di una bevanda con una bevanda spiritosa.

    3. Le disposizioni di cui ai paragrafi 1 e 2 sono stabilite secondo la procedura prevista all'articolo 15. Esse mirano in particolare ad evitare che le denominazioni di cui ai suddetti paragrafi creino confusione, tenuto conto specialmente dei prodotti esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente regolamento».

    21 Secondo La Martiniquaise il semplice fatto che sia previsto che «disposizioni particolari possano disciplinare le indicazioni aggiunte alla denominazione di vendita» proverebbe che nulla impedisce, e che è persino del tutto naturale, che vengano aggiunte indicazioni alla denominazione di vendita, cosa che essa avrebbe fatto aggiungendo alla denominazione «spiritosa», imposta dall'art. 5, l'indicazione «al whisky». Secondo questa interpretazione, l'uso delle indicazioni aggiunte alla denominazione di vendita è libero fintanto che non intervengano ad escluderle espressamente disposizioni basate sull'art. 6 e, per lo meno lo si può supporre, fintanto che tali indicazioni non siano in contraddizione con la realtà, cosa che non avverrebbe nel caso del Gold River, il quale contiene effettivamente whisky. Un ragionamento analogo si potrebbe applicare al n. 2 dell'art. 6.

    22 Debbo riconoscere che tale argomento non manca di suggestione, ma sono tuttavia del parere che lo si debba disattendere per almeno due ragioni.

    23 Secondo l'interpretazione proposta, non vi è alcun bisogno di disposizioni particolari per disciplinare l'uso di indicazioni che si aggiungono alla denominazione di vendita imposta dall'art. 5, dato che tali disposizioni particolari sarebbero necessarie solo nel caso in cui si facesse un uso anche troppo disinvolto di questa autorizzazione di principio ad utilizzare indicazioni integrative. Ora, non è esattamente questa l'interpretazione che la Corte ha dato del suddetto articolo nella sentenza del 7 luglio 1993 (3). In quella causa il governo spagnolo sosteneva che la Commissione aveva ritenuto a torto di potersi fondare sull'art. 6 per autorizzare l'utilizzazione di termini composti come «orange-brandy», termine che include la denominazione «brandy» per liquori fabbricati con alcol etilico e che non contengono brandy ai sensi dell'art. 1, n. 4, lett. e), del regolamento. Secondo tale governo l'art. 6 avrebbe potuto essere utilizzato solo per precisare i principi posti in detto regolamento, che contiene a sua volta una normativa dettagliata, e non per autorizzare quanto vietato dagli artt. 1 e 5. La Corte ha invece dichiarato, come le era stato suggerito dall'Avvocato generale Gulmann, che la riserva «fatte salve le disposizioni adottate in applicazione dell'articolo 6» contenuta nell'art. 5 indica che il Consiglio ha inteso permettere alla Commissione di derogare all'art. 5 nell'ambito delle competenze che le sono attribuite in forza dell'art. 6, n. 1.

    24 Vi è dunque motivo di dedurne che le indicazioni aggiunte alla denominazione di vendita, lungi dall'essere ammesse per principio, presuppongono, al contrario, un'autorizzazione concessa dalla Commissione, in forza del potere di deroga conferitole dall'art. 6 e che, allo stesso modo, le miscele fra bevande spiritose o fra queste e altre bevande non possono, in mancanza di deroghe concesse dalla Commissione, ricevere altra denominazione se non quella di «spiritose» o di «bevande spiritose».

    25 La seconda ragione attiene al fatto che l'art. 6, attribuendo un potere esteso alla Commissione, al n. 3 pone molto chiaramente l'accento sulla necessità di evitare che l'uso di certe denominazioni possa creare confusione, limitando così in modo estremamente netto tale potere. Sarebbe più che paradossale pretendere di trovare in questo articolo, che consente deroghe solo a condizione che esse non aprano la strada a confusioni, il riconoscimento di una libertà quasi totale di utilizzare, qualificandole come indicazioni che si aggiungono alla denominazione di vendita, le denominazioni protette dall'art. 1, n. 4. L'art. 6 permette, entro limiti ben precisi, di derogare all'art. 5. Esso non ha in alcun modo lo scopo di svuotarlo del suo contenuto e di privarlo di qualunque effetto riguardo agli scopi del regolamento.

    26 Il secondo argomento fatto valere da La Martiniquaise, appoggiandosi su una disposizione del regolamento diversa dall'art. 5, e che verrebbe a chiarirne il senso, è l'argomento che essa basa sull'art. 9, n. 1.

    27 Ai sensi di tale disposizione,

    «[l]e bevande spiritose elencate in appresso:

    (...)

    - whisky e whiskey

    (...)

    qualora siano state addizionate di alcole etilico di origine agricola, non possono recare, nella loro presentazione - sotto alcuna forma - il termine generico riservato alle bevande suindicate».

    28 La Martiniquaise sostiene che la presenza di tale disposizione nel regolamento non avrebbe alcuna giustificazione se si limitasse a formulare nuovamente, utilizzando termini diversi, un divieto già contenuto nell'art. 5. A suo parere, dunque, bisognerebbe dedurne che tale disposizione dà vita ad un divieto che non figura in detto articolo, il che non farebbe altro che confermare l'interpretazione che essa ne dà. Pertanto l'utilizzazione del termine «whisky» nella denominazione di vendita sarebbe vietata solo nel caso in cui ad un whisky sia aggiunto alcol etilico di origine agricola, ipotesi che non riguarda il Gold River, che è una miscela di whisky e acqua. Io non mi sento di sottoscrivere tale interpretazione.

    29 Da un lato, non posso accettare la tesi secondo cui l'art. 9, n. 1, non aggiungerebbe nulla all'art. 5, poiché vi è differenza fra il vietare l'uso di un termine della denominazione di vendita, come disposto dall'art. 5, e vietare che detto termine figuri, sotto una qualunque forma, nella presentazione, come disposto dall'art. 9. Quest'ultimo articolo contiene un divieto che va oltre quello dettato nell'art. 5, e non è quindi esatto vedere nell'art. 9 una disposizione in apparenza solo ripetitiva.

    30 D'altro lato, per giurisprudenza costante al ragionamento a contrario, come quello fatto da La Martiniquaise, si deve sempre ricorrere con una estrema prudenza, dato che può facilmente trasformarsi in un ragionamento specioso. Difatti il ragionamento sostenuto da La Martiniquaise è poco credibile quanto quello di chi pretendesse di derivare dal fatto che un codice penale non contiene una disposizione specifica per il furto commesso da un garzone, anche se in via generale il fatto che l'autore del furto sia alle dipendenze della vittima viene considerato come circostanza aggravante del reato di furto, e quindi giustifica una sanzione più severa, la conclusione che il furto commesso da una domestica nell'abitazione del proprio datore di lavoro, che manifestamente costituisce anch'esso all'evidenza un furto imputabile ad un dipendente, non sarebbe passibile di sanzione più severa dal momento che a tale ipotesi non è dedicata alcuna disposizione specifica.

    31 Per concludere con le indicazioni che si possono trarre da disposizioni diverse dall'articolo 5 al fine di interpretarlo correttamente, occorre occuparsi dell'articolo 8, che La Martiniquaise non ritiene pertinente, e sul quale la SWA intende basare le proprie ragioni. Tale articolo stabilisce quanto segue:

    «Per poter essere commercializzate ai fini del consumo umano, le bevande spiritose prodotte nella Comunità non possono essere designate associando parole o formule quali "genere", "tipo", "modo", "stile", "marca", "gusto" o altre menzioni analoghe a una delle denominazioni previste dal presente regolamento».

    32 Non si può contestare il fatto che tale articolo come tale non enuncia un divieto relativo ad una denominazione di vendita come quella di «bevanda spiritosa al whisky», utilizzata dal Gold River, né che la questione dell'ammissibilità di detta denominazione non potrebbe essere decisa sulla base dello stesso articolo. Mi sembra, però, che non per questo esso sia privo di qualunque rilevanza, nel senso che, così come altre disposizioni esaminate in precedenza, tale articolo manifesta la volontà molto chiara del legislatore comunitario di mettere al bando qualunque indicazione ambigua e suscettibile, per ciò stesso, di consentire al produttore di trarre indebito profitto dalla rinomanza collegata alle bevande tradizionali inducendo il consumatore in errore. Ora, l'indicazione «bevanda spiritosa al whisky» rischia effettivamente di creare lo stesso tipo di confusione dell'indicazione «tipo whisky».

    33 Come ho già osservato, per sostenere l'interpretazione che essa dà dell'art. 5, La Martiniquaise si appella ugualmente alla direttiva, e più precisamente agli artt. 5 e 7. Sul piano dei principi, non penso che si possa obiettare contro questo ricorso alla direttiva, dato che, come precisato dal citato quarto `considerando' del regolamento, quest'ultimo detta regole complementari rispetto a quelle della direttiva stessa. Va però ricordato che dette regole sono parimenti qualificate come specifiche, il che comporta come conseguenza inevitabile il fatto che, nei rapporti fra la direttiva e il regolamento, si debba applicare l'adagio secondo il quale le eventuali contraddizioni fra la lex specialis e la lex generalis vanno risolte riconoscendo priorità alla prima.

    34 Secondo La Martiniquaise l'interpretazione che essa dà dell'art. 5 del regolamento e la denominazione di vendita da essa utilizzata trovano puntuale conforto nella denominazione di vendita figurante nell'art. 5 della direttiva. Ai sensi del n. 1 di tale articolo, «[l]a denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative ad esso applicabili o, in mancanza di essa, il nome consacrato dall'uso nello Stato membro nel quale il prodotto alimentare è venduto al consumatore finale, o una descrizione di esso e, se necessario, della sua utilizzazione, sufficientemente precisa per consentire all'acquirente di conoscerne la natura effettiva e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso».

    35 Evidentemente, per difendere la denominazione di «bevanda spiritosa al whisky» La Martiniquaise si basa sul carattere descrittivo che la denominazione di vendita deve avere, e tale argomento avrebbe un suo certo peso se non vi fosse, nel n. 1, l'inciso «in mancanza di essa», che ne inficia l'argomentazione. E' chiaro infatti che solo quando manca una denominazione prevista da disposizioni vincolanti, com'è appunto il caso dell'art. 5, è possibile ricorrere ad una denominazione consacrata dall'uso ovvero descrittiva.

    36 Altrettanto poco convincente mi sembra l'invocazione dell'art. 7, n. 1, della direttiva. Tale disposizione recita:

    «Se l'etichettatura di un prodotto alimentare pone in rilievo la presenza o il limitato tenore di uno o più ingredienti essenziali per le caratteristiche di tale prodotto, o se la denominazione di quest'ultimo comporta lo stesso effetto, dev'essere indicata, a seconda dei casi, la quantità minima o massima di utilizzazione di tali ingredienti, espressa in percentuale.

    Tale indicazione figura in prossimità immediata della denominazione di vendita del prodotto alimentare o nell'elenco degli ingredienti accanto all'ingrediente in questione.

    (...)».

    37 Vano sarebbe ricercare in questo testo un'autorizzazione a ricomprendere nella denominazione di vendita del Gold River il termine «whisky», giacché tale termine non disciplina manifestamente la denominazione di vendita, bensì la dà per scontata.

    38 Tuttavia, dal momento che stiamo esaminando tale disposizione, credo si imponga un chiarimento riguardo ad una delle tesi sostenute dalla SWA. Quest'ultima afferma infatti, e all'udienza è stata la sola a farlo, che il termine whisky non può comparire affatto e in nessuna forma sull'etichetta del Gold River, e neppure in un elenco degli ingredienti. Ciò mi sembra eccessivo. All'udienza la Commissione ha richiamato la replica del commissario Fischler ad una interrogazione parlamentare relativa al whisky diluito. Secondo tale replica, benché non fosse ancora sopraggiunta la normativa prevista dall'art. 6, n. 3, della direttiva, la composizione esatta del Gold River, e di conseguenza la presenza del 75 % di whisky, avrebbe dovuto poter figurare sull'etichettatura di tale prodotto, anche in prossimità immediata della denominazione di vendita, come previsto dall'art. 7, n. 1, della direttiva, purché non venisse creata alcuna confusione.

    39 Questo mi pare un imperativo di elementare buon senso, perché il consumatore dev'essere in grado di sapere se sta comprando una bevanda spiritosa a base di gin, rhum o whisky, dal momento che possiamo supporre che esso vada alla ricerca di un certo sapore e non soltanto di una certa gradazione alcolica.

    40 Rimangono da esaminare gli argomenti che La Martiniquaise fonda sul regolamento (CEE) della Commissione 24 aprile 1990, n. 1014, recante modalità d'applicazione per la definizione, la designazione e la presentazione delle bevande spiritose (4), adottato in forza base dell'art. 6 del regolamento.

    41 L'art. 7 ter di detto regolamento, introdotto dal regolamento (CEE) della Commissione 19 giugno 1991, n. 1781 (5), dispone quanto segue:

    «1. In applicazione dell'articolo 6, n. 1, secondo trattino, del regolamento (CEE) n. 1576/89, nella presentazione di una bevanda spiritosa è possibile utilizzare una denominazione generica all'interno di un termine composto soltanto se l'alcole di tale bevanda è ottenuto esclusivamente dalla bevanda spiritosa citata nel termine composto (...)».

    42 La Martiniquaise sostiene, ricorrendo ancora una volta ad un ragionamento a contrario, che l'art. 7 ter permetterebbe di concludere che la denominazione di «bevanda spiritosa al whisky» è perfettamente lecita per il Gold River, dal momento che l'unica bevanda alcolica che quest'ultimo contiene è il whisky.

    43 Tale disposizione potrebbe effettivamente apparire sconcertante, se andasse applicata al caso di specie. Di fatto, essa non è applicabile. Infatti, anche se si dovesse ammettere, come è stato suggerito in udienza, che detta disposizione non si applica solo ai liquori, contrariamente a quanto potrebbe dedursi dai `considerando' del regolamento n.1781/91, il ricorso ai termini «bevanda spiritosa al whisky» non può essere analizzato come ricorso ad un termine composto. Per convincersi di ciò, basta far riferimento ai termini composti di cui al n. 2 dell'art. 7 ter, vale a dire «prune-brandy», «orange-brandy», «apricot-brandy», e così via. Per termine composto il legislatore ha voluto intendere l'associazione della denominazione di due bevande distinte, e non l'associazione di bevande spiritose e whisky, essendo il whisky esso stesso una bevanda spiritosa. Così, ai sensi dell'art. 7 ter, sarebbero termini composti «whisky-soda» o «whisky-orange».

    44 La Martiniquaise, applicando sempre lo stesso metodo di ragionamento, ritiene di poter ugualmente trarre argomenti dall'articolo 7 quater del regolamento n. 1014/90, introdotto dal regolamento (CEE) della Commissione 3 novembre 1994, n. 2675 (6). Tale articolo recita:

    «Quando una delle bevande spiritose enumerate all'articolo 9 del regolamento (CEE) n. 1576/89 è mescolata con:

    - una o più bevande spiritose definite o non definite all'articolo 1, n. 4, del regolamento (CEE) n. 1576/89

    e/o

    - uno o più distillati di origine agricola,

    nell'etichettatura viene utilizzata la denominazione di vendita "bevanda spiritosa" senza altri aggettivi, in un punto apparente, in modo ben visibile e chiaramente leggibile.

    (...)».

    45 Tale disposizione riguarda bevande spiritose che non hanno alcun rapporto con una miscela di whisky e acqua e comporta, per tali bevande, un certo numero di chiarimenti e di precisazioni, alcune delle quali molto dettagliate, in merito a ciò che è ammesso e a ciò che non è ammesso nella loro etichettatura, ma in ogni caso, come indicato dai `considerando' del regolamento n. 2675/94, allo scopo di garantire la concorrenza leale tra le bevande spiritose tradizionali protette e le altre, nonché di evitare confusioni per il consumatore.

    46 Come ho già indicato per altre disposizioni invocate da La Martiniquaise, questo impedisce di assumere detta disposizione come base per un ragionamento a contrario che condurrebbe ad un risultato del tutto contrastante con tali obiettivi, aprendo una breccia nella semplice e coerente costruzione costituita dall'art. 5 del regolamento n. 1576/89.

    47 Per concludere sul regolamento n. 1014/90, aggiungo che, se veramente il suo significato fosse quello sostenuto da La Martiniquaise, significato che in realtà esso non ha come penso di aver dimostrato, tale regolamento potrebbe far sorgere interrogativi in merito alla sua validità, il che riporterebbe al punto di partenza, vale a dire all'art. 5 del regolamento n. 1576/89.

    48 Infine, vorrei ancora fare una precisazione. Nel corso del mio ragionamento non ho fatto altro che cercar di stabilire se la denominazione «bevanda spiritosa al whisky» fosse o meno conforme alla normativa comunitaria. Ma avrei potuto ugualmente, e sarebbe stato facile perché costituiscono violazioni ben più flagranti di tale normativa, occuparmi di altre indicazioni che compaiono sull'etichettatura del Gold River, e in particolare delle indicazioni «assemblaggio di whisky invecchiato per più di 8 anni in fusti di quercia» (successivamente modificato in «assemblaggio di whisky invecchiato per più di 8 anni in fusti di quercia ed acqua») e «Blend of whisky aged in oak casks», che risultano con tutta evidenza ingannevoli per quanto attiene alla nozione di assemblaggio definita dall'art. 1, n. 3, lett. d), del regolamento. Sarebbe ugualmente interessante confrontare la presentazione globale del Gold River con le esigenze imposte dall'art. 2 della direttiva in materia di etichettatura. Ma occorre limitarsi alla questione deferita dal Tribunal de grande instance di Parigi.

    49 Raccordandomi al suggerimento della Commissione, propongo di risolvere detta questione nel modo seguente:

    «L'art. 5 del regolamento (CEE) del Consiglio 29 maggio 1989, n. 1576, che stabilisce le regole generali relative alla definizione, alla designazione e alla presentazione delle bevande spiritose, dev'essere interpretato nel senso che osta all'inclusione del termine "whisky" nella denominazione di vendita di una bevanda spiritosa che contiene whisky diluito con acqua e avente un titolo alcolometrico inferiore a 40% vol, oppure all'aggiunta del termine "whisky" alla denominazione di "bevanda spiritosa" o "spiritosa" applicata a una bevanda del genere».

    (1) - GU L 160, pag. 1.

    (2) - GU 1979, L 33, pag. 1.

    (3) - Causa C-217/91, Spagna/Commissione (Racc. pag. I-3923).

    (4) - GU L 105, pag. 9.

    (5) - GU L 160, pag. 5.

    (6) - GU L 285, pag. 5.

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