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Document 61993CJ0427

    Sentenza della Corte dell'11 luglio 1996.
    Bristol-Myers Squibb contro Paranova A/S (C-427/93) e C. H. Boehringer Sohn, Boehringer Ingelheim KG e Boehringer Ingelheim A/S contro Paranova A/S (C-429/93) e Bayer Aktiengesellschaft e Bayer Danmark A/S contro Paranova A/S (C-436/93).
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Sø- og Handelsretten - Danimarca.
    Direttiva 89/104/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa - Art. 36 del Trattato CE - Riconfezionamento di prodotti muniti di marchio.
    Cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93.

    Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-03457

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1996:282

    61993J0427

    Sentenza della Corte dell'11 luglio 1996. - Bristol-Myers Squibb contro Paranova A/S (C-427/93) e C. H. Boehringer Sohn, Boehringer Ingelheim KG e Boehringer Ingelheim A/S contro Paranova A/S (C-429/93) e Bayer Aktiengesellschaft e Bayer Danmark A/S contro Paranova A/S (C-436/93). - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Sø- og Handelsretten - Danimarca. - Direttiva 89/104/CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa - Art. 36 del Trattato CE - Riconfezionamento di prodotti muniti di marchio. - Cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93.

    raccolta della giurisprudenza 1996 pagina I-03457


    Massima
    Parti
    Motivazione della sentenza
    Decisione relativa alle spese
    Dispositivo

    Parole chiave


    ++++

    1. Ravvicinamento delle legislazioni ° Marchi ° Direttiva 89/104 ° Prodotto messo in commercio in uno Stato membro dal titolare o con il suo consenso ° Importazione, dopo riconfezionamento e riapposizione del marchio, in un altro Stato membro ° Opposizione del titolare ° Valutazione in base al combinato disposto della normativa nazionale e dell' art. 7 della direttiva, interpretato alla luce dell' art. 36 del Trattato

    (Trattato CE, art. 36; direttiva del Consiglio 89/104/CEE, art. 7)

    2. Ravvicinamento delle legislazioni ° Marchi ° Direttiva 89/104 ° Prodotto messo in commercio in uno Stato membro dal titolare o con il suo consenso ° Importazione, dopo riconfezionamento e riapposizione del marchio, in un altro Stato membro ° Opposizione del titolare ° Inammissibilità in base al principio dell' esaurimento sancito dall' art. 7, n. 1, salve le deroghe previste dall' art. 7, n. 2, della direttiva

    (Trattato CE, artt. 30 e 36; direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, nn. 1 e 2)

    3. Ravvicinamento delle legislazioni ° Marchi ° Direttiva 89/104 ° Prodotto messo in commercio in uno Stato membro dal titolare o con il suo consenso ° Importazione, dopo riconfezionamento e riapposizione del marchio, in un altro Stato membro ° Opposizione del titolare ° Ammissibilità in base alle deroghe al principio dell' esaurimento previste dall' art. 7, n. 2, della direttiva ° Presupposti

    (Trattato CE, art. 36; direttiva del Consiglio 89/104, art. 7, n. 2)

    Massima


    1. Il fatto che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto per impedire ad un importatore di smerciare un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare, dev' essere valutato in base al combinato disposto della normativa nazionale sui marchi e dell' art. 7 della prima direttiva 89/104 sui marchi, interpretato alla luce dell' art. 36 del Trattato CE.

    Infatti, da un lato l' art. 7 della direttiva disciplina in modo completo la materia dell' esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunità, per cui le norme nazionali in materia devono essere valutate con riguardo alla detta disposizione. Dall' altro, anche se, nel caso in cui una direttiva comunitaria preveda l' armonizzazione delle misure necessarie per garantire la tutela degli interessi contemplati dall' art. 36 del Trattato, ogni misura nazionale relativa a tale materia dev' essere valutata con riguardo alle disposizioni della detta direttiva e non alla luce degli artt. 30-36 del Trattato, a sua volta la direttiva, come ogni normativa di diritto derivato, dev' essere interpretata alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci.

    2. L' art. 7, n. 1, della prima direttiva 89/104 sui marchi, il quale è redatto in termini corrispondenti a quelli usati dalla Corte nelle sentenze che, interpretando gli artt. 30 e 36 del Trattato, hanno riconosciuto in diritto comunitario il principio dell' esaurimento del diritto di marchio, osta a che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto, salvo nei casi definiti nel n. 2 dello stesso articolo, per impedire che un importatore smerci un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, anche qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare.

    Risulta infatti dalla suddetta giurisprudenza che il diritto esclusivo del titolare di apporre il marchio su di un prodotto deve, in talune circostanze, considerarsi esaurito al fine di consentire ad un importatore di smerciare con il marchio stesso prodotti che sono stati messi in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso e che l' accettare la tesi secondo cui il principio dell' esaurimento previsto dall' art. 7, n. 1, non può applicarsi, al di fuori delle eccezioni enunciate dall' art. 7, n. 2, quando l' importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio, implicherebbe una rilevante modifica dei principi scaturenti dagli art. 30 e 36 del Trattato, come interpretati dalla Corte. A questo riguardo, nessun elemento consente di ritenere che l' art. 7 della direttiva miri a restringere la portata della citata giurisprudenza, mentre si precisa, d' altra parte, che tale effetto non sarebbe ammissibile, poiché una direttiva non può giustificare ostacoli al commercio intracomunitario se non nei limiti consentiti dalle norme del Trattato.

    3. L' art. 7 della prima direttiva 89/104 sui marchi, al pari dell' art. 36 del Trattato, mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato comune, cosicché tali norme, che perseguono lo stesso risultato, devono essere interpretate in modo identico. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza della Corte riguardante l' art. 36, il n. 2 del suddetto art. 7, il quale prevede talune deroghe al principio dell' esaurimento, dev' essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all' ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico, messo in commercio in un altro Stato membro da lui o con il suo consenso, qualora l' importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare, a meno che

    ° sia provato che l' esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell' ambito della Comunità. Ciò si verifica, in particolare, qualora il titolare abbia messo in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico identico in confezioni diverse e il riconfezionamento effettuato dall' importatore, da un lato, sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell' importazione e, dall' altro, avvenga secondo modalità tali che lo stato originario del prodotto non può risultarne alterato. Per contro, tale condizione non implica che debba essere dimostrato che il titolare del marchio abbia cercato deliberatamente di isolare i mercati nazionali nella Comunità;

    ° sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione. Ciò si verifica, in particolare, qualora l' importatore si sia limitato ad effettuare operazioni che non comportano rischi di alterazione, ossia, ad esempio, a togliere placchette alveolate, flaconi, fiale, ampolle o inalatori dalla confezione esterna originale ed a metterli in una nuova confezione esterna, ad apporre etichette autoadesive sulla confezione interna del prodotto, ad accludere alla confezione un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni o ad inserirvi un oggetto supplementare. Spetta al giudice nazionale accertare che lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione non sia indirettamente alterato dal fatto che, segnatamente, la confezione esterna o interna del prodotto riconfezionato o un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni non contengano talune informazioni importanti o contengano informazioni inesatte, oppure che un oggetto supplementare inserito nella confezione dall' importatore e destinato all' assunzione e al dosaggio del prodotto non sia conforme alle modalità di uso e alle dosi previste dal fabbricante;

    ° siano indicati chiaramente sulla nuova confezione l' autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante di questo e tali indicazioni siano stampate in modo tale che una persona dotata di vista normale e che presta una normale attenzione sia in grado di comprenderle. Inoltre, l' origine di un oggetto supplementare non proveniente dal titolare del marchio dev' essere indicata in modo da dissipare l' impressione che il titolare del marchio ne sia responsabile. Non occorre invece indicare che il riconfezionamento è stato effettuato senza l' autorizzazione del titolare del marchio;

    ° la presentazione del prodotto riconfezionato non sia atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare: così, la confezione non dev' essere difettosa, di cattiva qualità o grossolana; e

    ° l' importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato.

    Parti


    Nei procedimenti riuniti C-427/93, C-429/93 e C-436/93,

    aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CE, dal Soe- og Handelsretten di Copenaghen (procedimenti C-427/93 e C-429/93) e dallo Hoejesteret (procedimento C-436/93), nelle cause dinanzi ad essi pendenti tra

    Bristol-Myers Squibb

    e

    Paranova A/S (procedimento C-427/93),

    e fra

    C.H. Boehringer Sohn,

    Boehringer Ingelheim KG,

    Boehringer Ingelheim A/S

    e

    Paranova A/S (procedimento C-429/93),

    e fra

    Bayer Aktiengesellschaft,

    Bayer Danmark A/S

    e

    Paranova A/S (procedimento C-436/93),

    domande vertenti sull' interpretazione dell' art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d' impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), e dell' art. 36 del Trattato CE,

    LA CORTE,

    composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C.N. Kakouris, J.-P. Puissochet e G. Hirsch, presidenti di sezione, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, C. Gulmann (relatore), P. Jann e H. Ragnemalm, giudici,

    avvocato generale: F.G. Jacobs

    cancellieri: H. von Holstein, vicecancelliere

    signora L. Hewlett, amministratore

    viste le osservazioni scritte presentate:

    ° per la Bristol-Myers Squibb, dall' avv. signora Kirsten Levinsen, del foro di Copenaghen;

    ° per le società C.H. Boehringer Sohn, Boehringer Ingelheim KG e Boehringer Ingelheim A/S, dall' avv. signora Karen Dyekjaer-Hansen, del foro di Copenaghen;

    ° per le società Bayer Aktiengesellschaft e Bayer Danmark A/S, dagli avv.ti Dietrich C. Ohlgart, del foro di Amburgo, e Henrik Nebelong, del foro Copenaghen;

    ° per la Paranova A/S, dall' avv. Erik B. Pfeiffer, del foro di Copenaghen;

    ° per il governo tedesco, dai signori Alexander von Muehlendahl, Ministerialrat presso il ministero federale della Giustizia, Alfred Dittrich, Regierungsdirektor, presso lo stesso ministero, e Ernst Roeder, Ministerialrat presso il ministero federale dell' Economia, in qualità di agenti;

    ° per il governo francese, dalle signore Hèléne Duchêne, segretario per gli affari esteri presso la direzione "Affari giuridici" del ministero degli Affari esteri, e Edwige Belliard, vicedirettore presso la stessa direzione, in qualità di agenti;

    ° per il governo del Regno Unito, dalla signora S. Lucinda Hudson, del Treasury Solicitor' s Department, in qualità di agente, assistita dall' avv. Michael Silverleaf, barrister;

    ° per la Commissione delle Comunità europee, dai signori Pieter van Nuffel e Anders Christian Jessen, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti,

    vista la relazione d' udienza,

    sentite le osservazioni orali della Bristol-Myers Squibb, rappresentata dall' avv. Peter-Ulrik Plesner, del foro di Copenaghen, delle società C.H. Boehringer Sohn, Boehringer Ingelheim KG e Boehringer Ingelheim A/S, rappresentate dall' avv. signora Karen Dyekjaer-Hansen, delle società Bayer Aktiengesellschaft e Bayer Danmark A/S, rappresentate dagli avv.ti Henrik Nebelong e Dietrich C. Ohlgart, della Paranova A/S, rappresentata dall' avv. Erik B. Pfeiffer, del governo francese, rappresentato dal signor Philippe Martinet, segretario per gli affari esteri presso la direzione "Affari giuridici" del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, del governo del Regno Unito, rappresentato dalla signora Lindsey Nicoll, del Treasury Solicitor' s Department, in qualità di agente, assistita dall' avv. Michael Silverleaf, e della Commissione, rappresentata dai signori Richard Wainwright e Hans Peter Hartvig nonché dalla signora Angela Bardenhewer, in qualità di agenti, all' udienza del 4 ottobre 1995,

    sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 14 dicembre 1995,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Motivazione della sentenza


    1 Con ordinanze 22 ottobre 1993 (procedimento C-427/93), 21 ottobre 1993 (procedimento C-429/93) e 1 novembre 1993 (procedimento C-436/93), pervenute in cancelleria rispettivamente il 25 ottobre, il 26 ottobre e il 4 novembre successivi, il Soe- og Handelsretten di Copenaghen (procedimenti C-427/93 e C-429/93) e lo Hoejesteret (procedimento C-436/93) hanno sottoposto a questa Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CE, varie questioni pregiudiziali relative all' interpretazione dell' art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d' impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la "direttiva"), e dell' art. 36 del Trattato CE.

    2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di tre controversie che vedono contrapposte rispettivamente la società Bristol-Myers Squibb, le società C.H. Boehringer Sohn, Boehringer Ingelheim KG e Boehringer Ingelheim A/S (in prosieguo: la "Boehringer") e le società Bayer AG e Bayer Danmark A/S (in prosieguo: la "Bayer"), fabbricanti di prodotti farmaceutici, alla società Paranova A/S (in prosieguo: la "Paranova"), che importa in Danimarca taluni loro prodotti.

    Contesto normativo

    3 Ai sensi dell' art. 36 del Trattato i divieti d' importazione e le restrizioni all' importazione fra gli Stati membri giustificati da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale sono ammessi purché non costituiscano né un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio fra gli Stati membri.

    4 L' art. 5 della direttiva, relativo ai "diritti conferiti dal marchio d' impresa", dispone quanto segue:

    "1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

    a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

    b) un segno che, a motivo dell' identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell' identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

    2. (...)

    3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

    a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

    b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

    c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

    d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

    (...)".

    5 L' art. 7 della direttiva stabilisce il cosiddetto principio dell' "esaurimento del diritto conferito dal marchio d' impresa" nei termini seguenti:

    "1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l' uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

    2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all' ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio".

    6 Tali norme sono state recepite nell' ordinamento danese rispettivamente mediante gli artt. 4 e 6 della legge 6 giugno 1991, n. 341, relativa ai marchi di fabbrica e di commercio e ai marchi collettivi.

    Fatti e questioni pregiudiziali

    7 La Bristol-Myers Squibb mette in commercio in vari Stati membri prodotti farmaceutici fabbricati da essa stessa o da una consociata. Essa è titolare dei diritti relativi alla registrazione in Danimarca dei marchi Capoten, Mycostatin, Vepesid, Vumon e Diclocil. Il Capoten è utilizzato come ipotensivo e messo in vendita in forma di compresse confezionate in placchette alveolate. Il Mycostatin è un preparato per la cura delle micosi orali, venduta in flaconi. Il Vepesid è un anticancerogeno venduto in fiale o sotto forma di capsule contenute in placchette alveolate. Il Vumon è anch' esso un anticancerogeno confezionato in ampolline. Il Diclocil è un antibiotico per il trattamento delle infezioni venduto in forma di capsule contenute in placchette alveolate (blister).

    8 La Boehringer fabbrica prodotti farmaceutici in Germania e li vende nell' intera Comunità. Essa ha registrato in Danimarca il marchio Boehringer Ingelheim, figurante su tutti i prodotti farmaceutici della Boehringer, e i marchi Atrovent, Berodual, Berotec e Catapresan, che sono usati per designare taluni prodotti farmaceutici. L' Atrovent, il Berodual e il Berotec sono prescritti per la cura dell' asma bronchiale e sono venduti in inalatori per aerosol. Essi sono commercializzati in tutti gli Stati membri in astucci contenenti inalatori per aerosol e con una quantità variabile di principi attivi. Il Catapresan è impiegato per curare l' ipertensione arteriosa ed è messo in commercio in forma di compresse confezionate in placchette alveolate.

    9 La Bayer fabbrica e mette in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico con la denominazione Adalat, che ha fatto registrare come marchio in Danimarca al pari della sua ragione sociale, Bayer. L' Adalat serve a curare le malattie cardiache e cardiovascolari. Per vari anni è stato distribuito in Danimarca in confezioni da 30 o da 100 compresse collocate in placchette alveolate contenenti ciascuna 10 compresse. Dal 1990 solo le confezioni da 100 unità sono commercializzate in Danimarca. Negli altri Stati membri l' Adalat è venduto in confezioni di varie dimensioni, contenenti 20, 30, 50, 60 o 100 compresse.

    10 La Paranova è una società distributrice di prodotti farmaceutici che si procura tramite le cosiddette importazioni parallele. Essa ha acquistato talune partite dei suddetti prodotti farmaceutici negli Stati membri in cui i prezzi sono relativamente bassi (Grecia, Regno Unito, Spagna e Portogallo) e le ha importate in Danimarca, dove le vende a prezzi inferiori al prezzo di vendita ufficiale dei produttori, realizzando tuttavia utili.

    11 Per venderli in Danimarca la Paranova ha riconfezionato tutti i farmaci distribuendoli in nuove confezioni esterne aventi un aspetto uniforme e un' immagine specifica, ossia bianche con strisce di colori corrispondenti ai colori delle confezioni originali usate dai produttori. Sulle nuove confezioni figuravano, in particolare, i rispettivi marchi dei produttori, l' indicazione che il prodotto era stato fabbricato rispettivamente dalla "Bristol-Myers Squibb", dalla "Boehringer Ingelheim" e dalla "Bayer" e la menzione "importato e riconfezionato dalla Paranova".

    12 Per quanto riguarda il Capoten, il Diclocil, il Catapresan e l' Adalat, l' operazione effettuata dalla Paranova ha implicato la modifica delle dimensioni della confezione.

    13 Per quanto riguarda segnatamente l' Adalat, la confezione usata dalla Bayer per la Danimarca recava la menzione "Adalat 20 mg". La Paranova ha importato l' Adalat dalla Grecia, dove il prodotto era venduto in confezioni contenenti 3 placchette da 10 compresse, e lo ha riconfezionato in nuovi imballaggi recanti la denominazione "Adalat retard" e contenenti 10 placchette da 10 compresse.

    14 Oltre alla sostituzione delle confezioni esterne, la Paranova ha effettuato le seguenti operazioni.

    15 Per quanto riguarda il Vepesid e il Vumon, la Paranova ha tolto le fiale e le ampolline dai loro "involucri" ed ha apposto su ciascuna fiala e ampollina una nuova etichetta autoadesiva che copriva quella del fabbricante. Sulla nuova etichetta erano stampati il marchio della Bristol-Myers Squibb e le menzioni "prodotto dalla Bristol-Myers Squibb" e "importato e riconfezionato dalla Paranova". Le fiale e le ampolline sono state quindi ricollocate negli "involucri" d' origine e poste nella nuova confezione esterna. Quanto al Mycostatin, all' Atrovent, al Berodual e al Berotec, la Paranova ha del pari coperto le etichette originali dei flaconi e degli inalatori con la sua etichetta menzionante, in particolare, i marchi dei fabbricanti.

    16 Nel caso del Vepesid, del Vumon, del Berodual e del Berotec, la Paranova ha inserito nella nuova confezione un foglietto di avvertenze redatto in danese.

    17 Nella confezione del Mycostatin la Paranova ha sostituito il nebulizzatore contenuto nella confezione originaria con un nebulizzatore che non proveniva dalla Bristol-Myers Squibb.

    18 Inoltre, conformemente alla normativa danese in materia, la Paranova ha fatto iscrivere i prodotti come specialità farmaceutiche nel registro danese delle specialità farmaceutiche, utilizzando le stesse denominazioni usate dai fabbricanti.

    19 La Bristol-Myers Squibb e la Boehringer hanno adito il Soe- og Handelsretten, chiedendo, in particolare, che venisse ingiunto alla Paranova di ammettere di aver leso il diritto delle attrici sui marchi apponendoli senza il loro consenso su prodotti da essa offerti in vendita e di astenersi dall' apporre tali marchi su prodotti da essa riconfezionati e commercializzati.

    20 Il giudice adito ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

    "1) Se l' art. 7, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d' impresa, debba essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio d' impresa che ha immesso in commercio un prodotto in uno Stato membro con un determinato marchio non può opporsi a che un terzo importi il prodotto in un altro Stato membro per immettervelo in commercio con lo stesso marchio, anche qualora detto terzo abbia munito la confezione interna del prodotto di un' etichetta sulla quale ha riapposto il marchio e abbia sostituito la confezione esterna originale con una nuova, sulla quale ha riapposto il marchio, salvo il caso in cui si applichi l' art. 7, n. 2.

    Si precisa che con la questione di cui sopra non si chiede di prendere posizione sui casi in cui l' art. 36, seconda frase, del Trattato può giustificare il riconfezionamento o la riapposizione del marchio, conformemente ai principi fissati nella causa 102/77, ma solo di indicare se l' art. 7, n. 1, vada inteso nel senso che, oltre a stabilire il principio dell' esaurimento del diritto conferito dal marchio nell' ambito della Comunità europea, implica anche una limitazione generale delle facoltà di norma spettanti al titolare del marchio con riferimento all' uso del detto marchio per il quale egli non abbia fornito il proprio consenso.

    2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1), se l' art. 7, n. 2, della direttiva 89/104/CEE implichi, dopo la sua trasposizione, che la giurisprudenza della Corte, quale risulta dalla citata causa 102/77 e quale si è sviluppata in seguito ad essa, sia di importanza sussidiaria, poiché il diritto al riconfezionamento va in primo luogo valutato facendo applicazione delle disposizioni nazionali corrispondenti all' art. 7, n. 2, della menzionata direttiva".

    21 Nel procedimento C-427/93 il Soe- og Handelsretten ha inoltre sottoposto alla Corte le due seguenti questioni:

    "3) Assumendo che il principio che l' art. 7, n. 1, della citata direttiva sia volto a consentire agli importatori paralleli di riapporre il marchio d' impresa, se, ai fini dell' art. 7, n. 2, sia possibile ritenere 'motivo legittimo' il riconfezionamento del prodotto.

    In particolare, se vi sia differenza per il fatto che si tratta solo di riconfezionamento e di riapposizione del marchio sulla confezione esterna piuttosto che sulla confezione interna.

    4) In relazione alla deroga di cui all' art. 36, seconda frase, del Trattato e sulla base della giurisprudenza della Corte risultante dalla causa 102/77, che cosa si debba intendere per isolamento del mercato in relazione ad un determinato prodotto e, in particolare, quali circostanze qualificanti siano da prendere in considerazione al fine di determinare se, per un determinato prodotto, in correlazione con il sistema di vendita adottato dal titolare del marchio d' impresa, possa ravvisarsi un artificioso isolamento del mercato intracomunitario".

    22 La Bayer ha citato in giudizio la Paranova dinanzi al Soe- og Handelsretten, che ha respinto la sua domanda. Essa ha quindi interposto appello dinanzi allo Hoejesteret, che ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    "1) Se la possibilità, per un titolare di un marchio, di opporsi a che un importatore parallelo sostituisca la confezione originale del suo prodotto in tutto o in parte con una nuova confezione, sulla quale riappone poi il marchio, si debba valutare sulla scorta della normativa nazionale sui marchi soltanto in combinato disposto con l' art. 7, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d' impresa, oppure anche in combinato disposto con l' art. 36, prima e seconda frase, del Trattato CEE.

    2) Se, nel valutare i rimedi legali esperibili dal proprietario del marchio, sia rilevante l' eventuale esistenza di un 'artificioso isolamento del mercato' in relazione allo smercio del prodotto di cui trattasi.

    In tal caso, si chiede alla Corte di definire quale sia l' influenza di tale circostanza sui rimedi legali esperibili.

    3) In caso di soluzione affermativa della questione sub 2), se sia rilevante per i diritti spettanti al titolare del marchio il fatto che egli abbia inteso creare o sfruttare un siffatto isolamento artificioso del mercato.

    In tal caso, si chiede alla Corte di indicare quale sia la rilevanza di questo fatto per i diritti di cui trattasi.

    4) Se gravi sull' importatore parallelo l' onere di provare o, perlomeno, di rendere credibile che vi è stato l' intento di cui alla questione sub 3), oppure se incomba al titolare del marchio provare o, perlomeno, rendere credibile il contrario.

    5) Se la riapposizione del marchio, come descritta nella questione sub 1), sia di per sé un 'motivo legittimo' sufficiente, ai sensi dell' art. 7 della direttiva, oppure se il titolare del marchio debba inoltre provare ulteriori circostanze, ad esempio che lo stato dei prodotti risulta modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio ad opera dell' importatore parallelo".

    23 Con ordinanza del presidente della Corte 18 novembre 1993 questi procedimenti sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale e della sentenza.

    Sull' applicazione dell' art. 7 della direttiva

    24 Con la prima questione nel procedimento C-436/93 lo Hoejesteret chiede in sostanza se il fatto che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto per impedire ad un importatore di smerciare un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare, debba essere valutato in base alla normativa nazionale sui marchi in combinato disposto con il solo art. 7 della direttiva oppure anche in combinato disposto con l' art. 36 del Trattato.

    25 A questo proposito occorre anzitutto ricordare che, qualora direttive comunitarie prevedano l' armonizzazione delle misure necessarie per garantire la tutela degli interessi contemplati dall' art. 36 del Trattato, ogni misura nazionale relativa a tale materia dev' essere valutata con riguardo alle disposizioni della direttiva pertinente e non alla luce degli artt. 30-36 del Trattato (v., in questo senso, sentenze 5 ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi, Racc. pag. 1555, punto 35; 30 novembre 1983, causa 227/82, Van Bennekom, Racc. pag. 3883, punto 35; 12 ottobre 1993, causa C-37/92, Vanacker e Lesage, Racc. pag. I-4947, punto 9, e 5 ottobre 1994, causa C-323/93, Centre d' insémination de la Crespelle, Racc. pag. I-5077, punto 31).

    26 Va poi rilevato che l' art. 7 della direttiva, redatto in termini generali, disciplina in modo completo la materia dell' esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio nella Comunità. Di conseguenza, le norme nazionali in materia devono essere valutate con riguardo alla detta disposizione.

    27 Tuttavia, al pari di ogni normativa di diritto derivato, la direttiva dev' essere interpretata alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, in particolare dell' art. 36 (v., in questo senso, sentenze 9 giugno 1992, causa C-47/90, Delhaize e Le Lion, Racc. pag. I-3669, punto 26, e 2 febbraio 1994, causa C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerb, Racc. pag. I-317, punto 12).

    28 La prima questione nel procedimento C-436/93 dev' essere pertanto risolta nel senso che il fatto che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto per impedire ad un importatore di smerciare un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare, dev' essere valutato in base al combinato disposto della normativa nazionale sui marchi e dell' art. 7 della direttiva interpretato alla luce dell' art. 36 del Trattato.

    Sull' interpretazione dell' art. 7, n. 1, della direttiva

    29 Con la prima questione nei procedimenti C-427/93 e C-429/93, il Soe- og Handelsretten chiede in sostanza se l' art. 7, n. 1, della direttiva osti a che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto, salvo nei casi definiti nel n. 2 dello stesso articolo, per impedire che un importatore smerci un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, anche qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare.

    30 A questo proposito, si deve anzitutto ricordare che l' art. 7, n. 1, della direttiva dispone che il diritto conferito dal marchio d' impresa non consente al titolare dello stesso di vietarne l' uso per prodotti messi in commercio nella Comunità con il detto marchio da lui stesso o con il suo consenso.

    31 Questa disposizione è redatta in termini corrispondenti a quelli usati dalla Corte nelle sentenze che, interpretando gli artt. 30 e 36 del Trattato, hanno riconosciuto in diritto comunitario il principio dell' esaurimento del marchio. Così, essa riproduce la giurisprudenza della Corte secondo la quale il titolare di un diritto di marchio tutelato dalle norme di uno Stato membro non può invocare tali norme per opporsi all' importazione o allo smercio di un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro da lui stesso o con il suo consenso (v., segnatamente, sentenze 31 ottobre 1974, causa 16/74, Winthrop, Racc. pag. 1183, punti 7-11; 17 ottobre 1990, causa C-10/89, HAG, Racc. pag. I-3711, punto 12; in prosieguo: la "sentenza HAG II"; 22 giugno 1994, causa C-9/93, IHT Internationale Heiztechnik e Danziger, Racc. pag. I-2789, punti 33 e 34).

    32 Le attrici nelle cause principali e il governo tedesco hanno però sostenuto che l' art. 7, n. 1, della direttiva conferisce all' importatore parallelo soltanto il diritto di vendere i prodotti nella forma in cui il titolare del marchio li ha messi in commercio in un altro Stato membro. Il diritto esclusivo del titolare di apporre il marchio su di un prodotto, previsto dall' art. 5 della direttiva, non sarebbe esaurito. Pertanto, il titolare potrebbe vietare l' apposizione del marchio su prodotti riconfezionati anche in casi diversi dalle ipotesi eccezionali contemplate dall' art. 7, n. 2.

    33 Questo argomento non può essere accolto.

    34 Infatti, risulta dalla giurisprudenza della Corte relativa all' art. 36 del Trattato che in determinate circostanze il diritto esclusivo del titolare di apporre il marchio su di un prodotto deve considerarsi esaurito al fine di consentire ad un importatore di smerciare con il marchio stesso prodotti che sono stati messi in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso (v., in questo senso, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche, Racc. pag. 1139, e 10 ottobre 1978, causa 3/78, American Home Products, Racc. pag. 1823, nonché le odierne sentenze nei procedimenti riuniti C-71/94, C-72/94 e C-73/94, Eurim-Pharm Arzneimittel, e nel procedimento C-232/94, MPA Pharma).

    35 Quindi, l' accettare la tesi secondo cui il principio dell' esaurimento previsto dall' art. 7, n. 1, non può applicarsi quando l' importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio implicherebbe una rilevante modifica dei principi scaturenti dagli artt. 30 e 36 del Trattato.

    36 Orbene, nessun elemento consente di ritenere che l' art. 7 della direttiva miri a restringere la portata della citata giurisprudenza. Peraltro, tale effetto non sarebbe ammissibile, poiché una direttiva non può giustificare ostacoli al commercio intracomunitario se non nei limiti consentiti dalle norme del Trattato. Risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte che il divieto delle restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente vale non solo per i provvedimenti nazionali, ma anche per quelli emanati dalle istituzioni comunitarie (v., da ultimo, sentenza 9 agosto 1994, causa C-51/93, Meyhui, Racc. pag. I-3879, punto 11).

    37 Di conseguenza, la prima questione nei procedimenti C-427/93 e C-429/93 dev' essere risolta nel senso che l' art. 7, n. 1, della direttiva osta a che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto, salvo nei casi definiti nel n. 2 dello stesso articolo, per impedire che un importatore smerci un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, anche qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare.

    Sull' interpretazione dell' art. 7, n. 2, della direttiva

    38 Con la seconda questione nei procedimenti C-427/93 e C-429/93, con la terza e quarta questione nel procedimento C-427/93 e con la seconda, terza, quarta e quinta questione nel procedimento C-436/93, i giudici nazionali chiedono in sostanza che siano precisate le condizioni sussistendo le quali il titolare di un diritto di marchio può opporsi, in forza dell' art. 7, n. 2, della direttiva, all' ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico riconfezionato dall' importatore e sul quale è stato riapposto il marchio del titolare. In particolare, essi mirano a stabilire se la giurisprudenza della Corte relativa all' art. 36 del Trattato sia pertinente ai fini dell' applicazione dell' art. 7, n. 2, della direttiva. La Corte è invitata a pronunciarsi, all' occorrenza, sull' importanza e sul contenuto delle nozioni di "isolamento artificioso dei mercati nazionali" e "alterazione dello stato originario del prodotto" usate nella detta giurisprudenza.

    39 In base all' art. 7, n. 2, della direttiva, il titolare di un diritto di marchio può opporsi all' ulteriore smercio dei prodotti quando sussistono motivi legittimi, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro messa in commercio. L' uso dei termini "in particolare" indica che l' ipotesi contemplata è menzionata solo come esempio.

    40 In effetti si deve considerare che l' art. 7 della direttiva, al pari dell' art. 36 del Trattato, mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato comune, cosicché tali norme, che perseguono lo stesso risultato, devono essere interpretate in modo identico.

    41 Pertanto, per stabilire se, in forza dell' art. 7, n. 2, della direttiva, il titolare di un marchio possa opporsi allo smercio di prodotti riconfezionati sui quali è stato riapposto il marchio, occorre basarsi sulla giurisprudenza della Corte riguardante l' art. 36.

    42 Risulta da tale giurisprudenza che l' art. 36 ammette deroghe al principio fondamentale della libera circolazione delle merci nel mercato comune soltanto nei limiti in cui esse sono giustificate dalla salvaguardia dei diritti che costituiscono l' oggetto specifico della proprietà industriale e commerciale di cui trattasi.

    43 Per quanto riguarda il diritto di marchio, la Corte ha affermato che esso costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato mira a stabilire. In tale sistema, le imprese debbono essere in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all' esistenza di contrassegni distintivi che consentano di identificarli. Per svolgere questa funzione il marchio deve garantire che tutti i prodotti con esso contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di un' unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (citate sentenze HAG II, punto 13, e IHT Internationale Heiztechnick e Danziger, punti 37 e 45).

    44 Di conseguenza, come la Corte ha più volte rilevato, l' oggetto specifico del diritto di marchio consiste segnatamente nel garantire al titolare il diritto esclusivo di utilizzare il marchio per la prima messa in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo dai concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo (v., in particolare, sentenze Hoffmann-La Roche, citata, punto 7; 3 dicembre 1981, causa 1/81, Pfizer, Racc. pag. 2913, punto 7; HAG II, citata, punto 14, e IHT Internationale Heiztechnick e Danziger, citata, punto 33).

    45 Ne deriva in particolare che, come si è ricordato sopra, il titolare di un diritto di marchio tutelato dalle norme di uno Stato membro non può invocare tali norme per opporsi all' importazione o allo smercio di un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro da lui stesso o con il suo consenso (v., in particolare, le citate sentenze Winthrop, punti 7-11, HAG II, punto 12, e IHT Internationale Heiztechnick e Danziger, punti 33 e 34).

    46 Infatti, l' oggetto del diritto di marchio non consiste nel consentire ai titolari di isolare i mercati nazionali e di favorire in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo che possono esistere fra gli Stati membri. Vero è che, specialmente sul mercato dei prodotti farmaceutici, tali differenze di prezzo possono derivare da fattori sui quali i titolari dei marchi non esercitano alcun controllo, in particolare dalle normative, divergenti da uno Stato membro all' altro, sulla fissazione dei prezzi massimi, dai margini di utile dei grossisti di prodotti farmaceutici e delle farmacie o dai massimali di rimborso delle spese mediche previsti dai regimi di assicurazione contro le malattie. Orbene, alle distorsioni provocate da una diversa disciplina dei prezzi vigente in uno Stato membro deve ovviarsi mediante provvedimenti emanati dalle istituzioni comunitarie, non con l' istituzione, da parte di un altro Stato membro, di misure incompatibili con le norme relative alla libera circolazione delle merci (v., in particolare, sentenza Winthrop, citata, punti 16 e 17).

    47 Per stabilire se il diritto esclusivo riconosciuto al titolare del marchio implichi la facoltà di opporsi all' utilizzazione del marchio da parte di un terzo dopo il riconfezionamento del prodotto, occorre tener conto della funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore o all' utente finale l' identità originale del prodotto contrassegnato dal marchio, consentendogli di distinguerlo senza alcuna possibilità di confusione da prodotti di provenienza diversa. Tale garanzia di provenienza implica per il consumatore o per l' utente finale la certezza che il prodotto marchiato che gli viene offerto non ha subito, in una precedente fase della commercializzazione, alcun intervento da parte di un terzo, senza l' autorizzazione del titolare del marchio, che ne abbia alterato lo stato originario (citate sentenze Hoffmann-La Roche, punto 7, e Pfizer, punto 8).

    48 Ne consegue che il diritto riconosciuto al titolare del marchio di opporsi a qualsiasi uso del marchio stesso che possa falsare la garanzia di provenienza, intesa nel senso sopra menzionato, rientra nell' oggetto specifico del diritto di marchio, la cui tutela può giustificare deroghe al principio fondamentale della libera circolazione delle merci (citate sentenze Hoffmann-La Roche, punto 7, e Pfizer, punto 9).

    49 Nella citata sentenza Hoffmann-La Roche la Corte ha dichiarato che, in base ai principi sopra richiamati, l' art. 36 del Trattato dev' essere interpretato nel senso che il titolare di un diritto di marchio può avvalersene per impedire ad un importatore di smerciare un prodotto messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto in una nuova confezione sulla quale è stato riapposto il marchio, a meno che

    ° sia provato che l' esercizio del diritto di marchio da parte del titolare, tenuto conto del sistema di distribuzione da questo adottato, contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell' ambito della Comunità;

    ° sia dimostrato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto;

    ° il titolare del marchio venga previamente informato della messa in vendita del prodotto riconfezionato;

    ° sulla nuova confezione sia precisato da chi è stato effettuato il riconfezionamento.

    50 Conformemente a tale giurisprudenza, l' art. 7, n. 2, della direttiva dev' essere interpretato, quindi, nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all' ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico qualora l' importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio, a meno che non sussistano le quattro condizioni enunciate nella citata sentenza Hoffmann-La Roche.

    51 Occorre tuttavia precisare questa giurisprudenza in considerazione degli argomenti prospettati in questo procedimento e nei procedimenti riuniti C-71/94, C-72/94 e C-73/94, Eurim-Pharm Arzneimittel, e C-232/94, MPA Pharma, nei quali la Corte si è pronunciata in data odierna.

    Per quanto riguarda l' isolamento artificioso dei mercati nazionali nell' ambito della Comunità

    52 Si deve rilevare che l' uso del diritto di marchio da parte del suo titolare per opporsi allo smercio, con il suo marchio, dei prodotti riconfezionati da un terzo contribuirebbe ad isolare i mercati nazionali nella Comunità, segnatamente nel caso in cui il titolare abbia messo in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico identico in confezioni diverse e tale prodotto non possa essere, nello stato in cui il titolare del diritto lo ha messo in commercio in uno Stato membro, importato e smerciato in un altro Stato membro da un importatore parallelo.

    53 Ne consegue che il titolare del marchio non può opporsi al riconfezionamento del prodotto in una nuova confezione esterna quando il formato usato dal titolare nello Stato membro nel quale l' importatore ha acquistato il prodotto non può essere smerciato nello Stato membro in cui avviene l' importazione a causa, in particolare, di una normativa che autorizza solo confezioni aventi un determinato formato o di una prassi nazionale in tal senso, di norme in materia di assicurazione contro le malattie che subordinano al formato della confezione il rimborso delle spese mediche o di consolidate prassi in materia di prescrizioni mediche che si basano, fra l' altro, su norme dimensionali raccomandate da associazioni di categoria e dagli enti di assicurazione contro le malattie.

    54 A questo proposito va precisato che, qualora, in conformità delle norme e delle prassi vigenti nello Stato membro importatore, il titolare usi in tale Stato confezioni di formati diversi, il fatto che uno di tali formati sia smerciato anche nello Stato membro esportatore non è sufficiente perché si possa concludere che non è necessario riconfezionare il prodotto. Infatti, sussisterebbe un isolamento dei mercati se l' importatore potesse smerciare il prodotto soltanto su una parte limitata del mercato di questo.

    55 Per contro, il titolare può opporsi al riconfezionamento del prodotto in una nuova confezione esterna quando l' importatore è in grado di realizzare una confezione smerciabile nello Stato membro in cui avviene l' importazione, ad esempio apponendo sulla confezione originale esterna o interna nuove etichette redatte nella lingua di tale Stato, aggiungendovi un nuovo foglietto contenente avvertenze per l' uso o informazioni nella detta lingua oppure sostituendo un oggetto supplementare non autorizzabile nello Stato membro importatore con un oggetto simile ivi autorizzato.

    56 Infatti, la facoltà del titolare di un diritto di marchio tutelato in uno Stato membro di opporsi allo smercio, con il detto marchio, dei prodotti riconfezionati dev' essere limitata solo se il riconfezionamento effettuato dall' importatore sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro importatore.

    57 Va precisato, infine, che, contrariamente a quanto sostengono le attrici nelle cause principali, l' uso, da parte della Corte, dell' espressione "isolamento artificioso dei mercati nazionali" non implica che l' importatore debba dimostrare che, mettendo in commercio in vari Stati membri lo stesso prodotto in confezioni diverse, il titolare del marchio abbia intenzionalmente cercato di isolare i mercati nazionali nella Comunità. Infatti, specificando che deve trattarsi di un isolamento artificioso, la Corte ha voluto sottolineare che il titolare può sempre far valere il diritto di marchio per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati quando ciò sia giustificato dalla necessità di salvaguardare la funzione essenziale del marchio, e in tal caso l' isolamento che ne deriva non può essere considerato artificioso.

    Per quanto riguarda l' alterazione dello stato originario del prodotto

    58 A questo proposito, considerati gli argomenti prospettati dalle attrici nelle cause principali, occorre precisare anzitutto che la nozione di alterazione dello stato originario del prodotto si riferisce allo stato del prodotto contenuto nella confezione.

    59 Quindi, il titolare di un diritto di marchio può opporsi a riconfezionamenti che implichino il rischio di esporre il prodotto contenuto nella confezione a manipolazioni o influenze che incidano sul suo stato originario. Per giudicare se ciò si verifichi, è necessario tener conto, come la Corte ha rilevato nel punto 10 della citata sentenza Hoffmann-La Roche, della natura del prodotto e delle modalità del riconfezionamento.

    60 Per quanto riguarda i prodotti farmaceutici, dallo stesso punto della citata sentenza Hoffmann-La Roche risulta che il riconfezionamento deve considerarsi effettuato in circostanze che non possono alterare lo stato originario del prodotto qualora, in particolare, il titolare del marchio abbia messo in commercio il prodotto in una confezione doppia e il riconfezionamento interessi soltanto la confezione esterna, lasciando intatta quella interna, oppure quando le operazioni di riconfezionamento sono controllate da una pubblica autorità al fine di garantire l' integrità del prodotto.

    61 Deriva pertanto da tale giurisprudenza che il semplice fatto di togliere placchette alveolate, flaconi, fiale, ampolle o inalatori dalla confezione esterna originale e di metterli in una nuova confezione esterna non è idoneo ad alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione.

    62 Le attrici nelle cause principali hanno però affermato che anche tali manipolazioni comportano il rischio di alterazioni dello stato originario del prodotto. Ad esempio, le placchette alveolate prelevate da confezioni originali diverse e collocate tutte assieme in un' unica confezione esterna potrebbero provenire da partite prodotte in momenti diversi ed avere date di scadenza diverse, i prodotti potrebbero essere lasciati giacere in deposito troppo a lungo e i prodotti fotosensibili potrebbero essere danneggiati dall' esposizione alla luce al momento del riconfezionamento.

    63 Questo argomento non può essere accolto. Non può ammettersi, infatti, che ogni rischio ipotetico di errore isolato sia sufficiente per attribuire al titolare del marchio il diritto di opporsi in ogni caso al riconfezionamento dei prodotti farmaceutici in nuove confezioni esterne.

    64 Per quanto riguarda le operazioni consistenti nell' apporre etichette autoadesive su flaconi, fiale, ampolle o inalatori, nell' aggiungere alla confezione un nuovo foglietto contenente avvertenze per l' uso o informazioni nella lingua dello Stato membro importatore o nell' inserirvi un oggetto supplementare, come un nebulizzatore, non proveniente dal titolare del marchio, nulla consente di presumere che lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione ne risulti direttamente alterato.

    65 Tuttavia, si deve ammettere che lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione può essere indirettamente alterato qualora, in particolare,

    ° la confezione esterna o interna del prodotto riconfezionato o un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni non contengano talune informazioni importanti o rechino informazioni inesatte per quanto riguarda la natura del prodotto, la sua composizione, il suo effetto, il suo uso o la sua conservazione, oppure

    ° un oggetto supplementare inserito nella confezione dall' importatore e destinato all' assunzione o al dosaggio del prodotto non sia conforme alle modalità di uso e alle dosi previste dal fabbricante.

    66 Spetta al giudice nazionale stabilire se ciò si verifichi, in particolare facendo un raffronto con il prodotto smerciato dal titolare del marchio nello Stato membro dell' importazione. Non si deve escludere, tuttavia, la facoltà dell' importatore di fornire talune informazioni supplementari, purché tali informazioni non contraddicano quelle fornite dal titolare nello Stato membro in cui avviene l' importazione. Tale condizione è soddisfatta quando si tratti, segnatamente, di informazioni diverse rese necessarie dal tipo di confezione usato dal titolare nello Stato membro esportatore.

    Per quanto riguarda le altre condizioni che l' importatore parallelo deve soddisfare

    67 Nel caso in cui il riconfezionamento sia effettuato secondo modalità che non possono alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione, la funzione essenziale del marchio come garanzia di provenienza è salvaguardata. Infatti, il consumatore o l' utilizzatore finale non sono indotti in errore circa la provenienza del prodotto, ma ricevono effettivamente prodotti fabbricati sotto il controllo unico del titolare del marchio.

    68 Orbene, si deve rilevare che, sebbene, ricorrendo tali presupposti, la conclusione secondo cui il titolare non può far valere il diritto di marchio per opporsi allo smercio, con il suo marchio, dei prodotti riconfezionati da un importatore sia necessaria per garantire la libera circolazione delle merci, essa equivale però a riconoscere all' importatore una certa facoltà che, di regola, è riservata allo stesso titolare.

    69 Di conseguenza, nell' interesse del titolare, in quanto proprietario del marchio e per proteggerlo contro qualsiasi abuso, occorre ammettere tale facoltà solo se l' importatore rispetta talune altre condizioni, come la Corte ha affermato nella citata sentenza Hoffmann-La Roche.

    70 Così, tenuto conto dell' interesse del titolare del marchio a che il consumatore o l' utilizzatore finale non possano essere indotti a considerarlo responsabile del riconfezionamento, è necessario che sulla confezione sia indicato l' autore di questa operazione.

    71 Come la Corte ha già precisato, tale indicazione deve figurare chiaramente sulla confezione esterna del prodotto riconfezionato (citate sentenze Hoffmann-La Roche, punto 12, e Pfizer, punto 11). Ciò implica, come ha rilevato l' avvocato generale nel paragrafo 128 delle sue conclusioni, che il giudice nazionale deve valutare se essa sia stampata in modo da essere compresa da una persona dotata di vista normale che presti una normale attenzione.

    72 Per contro, non è necessario esigere che sulla confezione figuri l' espressa menzione che il riconfezionamento è stato effettuato senza l' autorizzazione del titolare del marchio. Infatti, come ha osservato l' avvocato generale nel paragrafo 88 delle sue conclusioni, tale menzione potrebbe essere intesa come implicante che il prodotto riconfezionato non è del tutto regolare.

    73 Tuttavia, quando aggiunge alla confezione un oggetto supplementare che non proviene dal titolare del marchio, l' importatore deve curare che ne sia indicata l' origine, in modo da dissipare l' impressione che il titolare del marchio ne sia responsabile.

    74 Del pari, come deriva dal punto 11 della citata sentenza Pfizer, si può esigere che sulla confezione esterna sia chiaramente indicato da chi è stato fabbricato il prodotto, giacché il fabbricante può avere interesse a che il consumatore o l' utilizzatore finale non vengano indotti a credere che l' importatore sia titolare del marchio e che il prodotto sia stato fabbricato sotto il suo controllo.

    75 Anche quando sulla confezione è indicato l' autore del riconfezionamento del prodotto, non può escludersi che la reputazione del marchio e, quindi, quella del suo titolare possano ugualmente essere scalfite da un' inadeguata presentazione del prodotto riconfezionato. In tale ipotesi il titolare del marchio ha un interesse legittimo, connesso all' oggetto specifico del diritto di marchio, a poter opporsi alla messa in commercio del prodotto. Per giudicare se la presentazione del prodotto riconfezionato sia atta a nuocere alla reputazione del marchio occorre tener conto della natura del prodotto e del mercato al quale questo è destinato.

    76 Per quanto riguarda i prodotti farmaceutici, è innegabile che si tratta di un settore delicato in cui il pubblico è particolarmente esigente quanto alla qualità e all' integrità del prodotto e che, in realtà, la presentazione del prodotto può ispirare la fiducia del pubblico sotto questo profilo. Di conseguenza, una confezione difettosa, di cattiva qualità o grossolana potrebbe nuocere alla reputazione del marchio.

    77 Ciò premesso, le condizioni che la presentazione di un prodotto farmaceutico riconfezionato deve soddisfare variano secondo che si tratti di prodotti venduti ai nosocomi oppure, attraverso le farmacie, ai consumatori. Nel primo caso, i prodotti farmaceutici sono somministrati ai pazienti da personale competente e quindi la loro presentazione non ha grande importanza. Nel secondo caso, la presentazione riveste maggiore importanza per il consumatore, anche se il fatto che si tratti di prodotti prescritti dal medico può, di per sé, ispirare al consumatore una certa fiducia nella loro qualità.

    78 Infine, come la Corte ha rilevato nella citata sentenza Hoffmann-La Roche, il titolare del marchio dev' essere previamente informato della messa in vendita del prodotto riconfezionato. Inoltre, il titolare può esigere che l' importatore gli fornisca un campione di tale prodotto prima di metterlo in commercio per poter accertare che il riconfezionamento non è stato effettuato in modo da alterare direttamente o indirettamente lo stato originario del prodotto e che la presentazione del prodotto a seguito del riconfezionamento non è atta a nuocere alla reputazione del marchio. Tale esigenza, per di più, consente al titolare del marchio di tutelarsi meglio contro le attività dei contraffattori.

    79 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la seconda questione nei procedimenti C-427/93 e C-429/93, la terza e quarta questione nel procedimento C-427/93 e la seconda, terza, quarta e quinta questione nel procedimento C-436/93 vanno risolte come segue: l' art. 7, n. 2, della direttiva dev' essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all' ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico, qualora l' importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio, a meno che

    ° sia provato che l' esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell' ambito della Comunità. Ciò si verifica, in particolare, qualora il titolare abbia messo in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico identico in confezioni diverse e il riconfezionamento effettuato dall' importatore, da un lato, sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell' importazione e, dall' altro, avvenga secondo modalità tali che lo stato originario del prodotto non può risultarne alterato. Per contro, tale condizione non implica che debba essere dimostrato che il titolare del marchio abbia cercato deliberatamente di isolare i mercati nazionali nella Comunità;

    ° sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione. Ciò si verifica, in particolare, qualora l' importatore si sia limitato ad effettuare operazioni che non comportano rischi di alterazione, ossia, ad esempio, a togliere placchette alveolate, flaconi, fiale, ampolle o inalatori dalla confezione esterna originale ed a metterli in una nuova confezione esterna, ad apporre etichette autoadesive sulla confezione interna del prodotto, ad accludere alla confezione un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni o ad inserirvi un oggetto supplementare. Spetta al giudice nazionale accertare che lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione non sia indirettamente alterato dal fatto che, segnatamente, la confezione esterna o interna del prodotto riconfezionato o un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni non contengano talune informazioni importanti o contengano informazioni inesatte, oppure che un oggetto supplementare inserito nella confezione dall' importatore e destinato all' assunzione e al dosaggio del prodotto non sia conforme alle modalità di uso e alle dosi previste dal fabbricante;

    ° siano indicati chiaramente sulla nuova confezione l' autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante di questo e tali indicazioni siano stampate in modo tale che una persona dotata di vista normale e che presta una normale attenzione sia in grado di comprenderle. Inoltre, l' origine di un oggetto supplementare non proveniente dal titolare del marchio dev' essere indicata in modo da dissipare l' impressione che il titolare del marchio ne sia responsabile. Non occorre invece indicare che il riconfezionamento è stato effettuato senza l' autorizzazione del titolare del marchio;

    ° la presentazione del prodotto riconfezionato non sia atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare; così, la confezione non dev' essere difettosa, di cattiva qualità o grossolana, e

    ° l' importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato.

    Decisione relativa alle spese


    Sulle spese

    80 Le spese sostenute dai governi tedesco, francese e del Regno Unito nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi ai giudici nazionali, cui spetta quindi statuire sulle spese.

    Dispositivo


    Per questi motivi,

    LA CORTE,

    pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Soe- og Handelsretten di Copenaghen con ordinanze 22 ottobre 1993 (procedimento C-427/93) e 21 ottobre 1993 (procedimento C-429/93) e dallo Hoejesteret con ordinanza 1 novembre 1993 (procedimento C-436/93), dichiara:

    1) Il fatto che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto per impedire ad un importatore di smerciare un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare, dev' essere valutato in base al combinato disposto della normativa nazionale sui marchi e dell' art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d' impresa, interpretato alla luce dell' art. 36 del Trattato CE.

    2) L' art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 osta a che il titolare di un diritto di marchio si avvalga di tale diritto, salvo nei casi definiti nel n. 2 dello stesso articolo, per impedire che un importatore smerci un prodotto che è stato messo in commercio in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso, anche qualora il detto importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l' autorizzazione del titolare.

    3) L' art. 7, n. 2, della direttiva 89/104 dev' essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all' ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico, qualora l' importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio, a meno che

    ° sia provato che l' esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell' ambito della Comunità. Ciò si verifica, in particolare, qualora il titolare abbia messo in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico identico in confezioni diverse e il riconfezionamento effettuato dall' importatore, da un lato, sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell' importazione e, dall' altro, avvenga secondo modalità tali che lo stato originario del prodotto non può risultarne alterato. Per contro, tale condizione non implica che debba essere dimostrato che il titolare del marchio abbia cercato deliberatamente di isolare i mercati nazionali nella Comunità;

    ° sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione. Ciò si verifica, in particolare, qualora l' importatore si sia limitato ad effettuare operazioni che non comportano rischi di alterazione, ossia, ad esempio, a togliere placchette alveolate, flaconi, fiale, ampolle o inalatori dalla confezione esterna originale ed a metterli in una nuova confezione interna, ad apporre etichette autoadesive sulla confezione interna del prodotto, ad accludere alla confezione un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni o ad inserirvi un oggetto supplementare. Spetta al giudice nazionale accertare che lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione non sia indirettamente alterato dal fatto che, segnatamente, la confezione esterna o interna del prodotto riconfezionato o un nuovo foglietto di avvertenze per l' uso o di informazioni non contengano talune informazioni importanti o contengano informazioni inesatte, oppure che un oggetto supplementare inserito nella confezione dall' importatore e destinato all' assunzione e al dosaggio del prodotto non sia conforme alle modalità di uso e alle dosi previste dal fabbricante;

    ° siano indicati chiaramente sulla nuova confezione l' autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante di questo e tali indicazioni siano stampate in modo tale che una persona dotata di vista normale e che presta una normale attenzione sia in grado di comprenderle. Inoltre, l' origine di un oggetto supplementare non proveniente dal titolare del marchio dev' essere indicata in modo da dissipare l' impressione che il titolare del marchio ne sia responsabile. Non occorre invece indicare che il riconfezionamento è stato effettuato senza l' autorizzazione del titolare del marchio;

    ° la presentazione del prodotto riconfezionato non sia atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare: così, la confezione non dev' essere difettosa, di cattiva qualità o grossolana; e

    ° l' importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, ne informi il titolare del marchio e gli fornisca, su sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato.

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