31997Y0719(03)

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE RELATIVA AD ALCUNI ASPETTI GIURIDICI ATTINENTI AGLI INVESTIMENTI INTRACOMUNITARI

Gazzetta ufficiale n. C 220 del 19/07/1997 pag. 0015 - 0018


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE RELATIVA AD ALCUNI ASPETTI GIURIDICI ATTINENTI AGLI INVESTIMENTI INTRACOMUNITARI (97/C 220/06)

(Testo rilevante ai fini del SEE)

1. INTRODUZIONE

1. Negli ultimi dieci anni gli investimenti intracomunitari hanno assunto dimensioni notevoli in tutta l'Unione europea e questa dinamica ha interessato molti settori dell'economia. La realizzazione del mercato unico ha indubbiamente svolto un ruolo decisivo in proposito. Di fronte a questa situazione, alcuni Stati membri hanno sentito l'esigenza di adottare vari provvedimenti per seguire - e in alcuni casi controllare - questo importante fenomeno.

In questo contesto la Commissione, nella sua funzione istituzionale, segue da vicino la situazione, per evitare che alcuni di tali provvedimenti possano ostacolare gli investimenti provenienti da altri Stati membri dell'UE. Alcuni provvedimenti adottati in passato sono inseriti nelle legislazioni generali, come i testi regolamentari relativi al controllo dei cambi, alle società per azioni, ecc., mentre altri sono stati introdotti più di recente, nel quadro di programmi di privatizzazione avviati negli ultimi anni da alcuni Stati membri (1). Dato che possono limitare la libera circolazione a livello transfrontaliero, questi provvedimenti potrebbero dare origine a problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, in particolare con gli articoli 73 B e 52 del trattato - relativi ai movimenti di capitali e al diritto di stabilimento - ed ostacolare quindi il funzionamento del mercato unico.

2. Data la complessità della materia e date le difficoltà che potrebbero derivarne per l'interpretazione delle norme del trattato relative a queste due libertà fondamentali, la Commissione ha ritenuto necessario pubblicare la presente comunicazione sugli investimenti intracomunitari, con l'obiettivo di informare le autorità nazionali e gli operatori economici degli Stati membri di come la Commissione interpreta, relativamente a questa materia, le disposizioni degli articoli 73 B e 52 del trattato - relative ai movimenti di capitali e al diritto di stabilimento -, fondandosi segnatamente sulla giurisprudenza della Corte di giustizia. Questo contribuirà a ridurre il rischio di interpretazioni giuridiche divergenti e, di conseguenza, da un lato consentirà agli Stati membri di elaborare la loro politica tenendo conto anche del diritto comunitario in un clima di trasparenza e di reciproca fiducia e, dall'altro, garantirà agli operatori comunitari interessati di essere informati circa i diritti che il trattato riconosce loro in materia di investimenti intracomunitari. La presente comunicazione, tuttavia, non pregiudica l'interpretazione che potrebbe dare in materia la Corte di giustizia delle Comunità europee.

2. LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO IN MATERIA

3. Le disposizioni del trattato che disciplinano la libera circolazione dei capitali sono contenute negli articoli 73 B e successivi. L'articolo 73 B dispone, in particolare, che «sono vietate tutte le ristrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri». Questo divieto riguarda dunque tutte le restrizioni, siano esse discriminatorie (cioè si applichino soltanto ai cittadini di altri Stati membri) o non discriminatorie (cioè si applichino indistintamente ai cittadini dello Stato membro in causa e ai cittadini di altri Stati membri). Per precisare la portata e il significato pratico di questa disposizione, si può fare riferimento alla direttiva 88/361/CEE del Consiglio (2) che - adottata nel contesto dell'ex articolo 67, prima dell'introduzione dell'articolo 73 B - costituisce un utile strumento di interpretazione. Nell'allegato I di questa direttiva sono elencati tutti i tipi di operazioni che vanno considerati movimenti di capitali. Tra questi vi sono due tipi di operazioni interessanti ai fini della presente comunicazione: quelle classificate come «Acquisto . . . di titoli nazionali . . .» e quelle comprese nella rubrica «Investimenti diretti . . .».

Tra le prime rientra l'operazione di «Acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali . . .», cioè di azioni e di obbligazioni in imprese nazionali, effettuata al solo scopo di realizzare un investimento finanziario e non al fine di cercare di influire sulla gestione dell'impresa. Questa operazione è considerata, quindi, una forma di movimento di capitali. In genere, in termini finanziari viene denominata «investimento di portafoglio».

Gli investimenti diretti sono definiti nelle note esplicative dell'allegato della direttiva come «investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche, imprese commerciali, industriali o finanziarie aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e l'imprenditore o l'impresa a cui tali fondi sono destinati per l'esercizio di un'attività economica. Tale nozione va quindi intesa in senso lato. (. . .) Per quanto riguarda le imprese (. . .) che hanno lo statuto di società per azioni, si ha partecipazione con carattere di investimento diretto, quando il pacchetto di azioni in possesso di una persona fisica, di un'altra impresa o di qualsiasi altro detentore, attribuisce a tali azionisti (. . .) la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo». Dunque l'acquisto da parte di investitori cittadini di un altro Stato membro di partecipazioni in imprese nazionali, come pure il pieno esercizio dei diritti di voto ad esse connessi, sono considerati una forma di movimento di capitali.

4. Parallelamente, l'acquisto da parte di un investitore cittadino di un altro Stato membro dell'UE di partecipazioni di controllo in un'impresa nazionale, oltre a costituire una forma di movimento di capitali, è anche soggetto alle disposizioni sul diritto di stabilimento. L'articolo 52 del trattato, che disciplina il diritto di stabilimento, dispone che «(. . .) le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono (. . .) soppresse (. . .). La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese (. . .), alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini (. . .)». I cittadini di altri Stati membri dell'UE devono quindi avere il diritto di acquistare partecipazioni di controllo, di esercitare integralmente i diritti di voto ad esse connessi e di gestire imprese nazionali alle stesse condizioni stabilite da un determinato Stato membro per i propri cittadini (applicazione del principio del «trattamento nazionale» agli investitori cittadini di un altro Stato membro dell'UE).

Il rispetto del principio del «trattamento nazionale» vieta le discriminazioni sia dirette che indirette; a norma dell'articolo 52 sono vietate non soltanto le discriminazioni dirette ed esplicite, in base alla nazionalità (3), nei confronti di investitori cittadini di un altro Stato membro, ma anche ogni altra misura nazionale che, in applicazione di altri criteri, potrebbe portare allo stesso risultato (4).

5. Il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei capitali devono quindi essere annoverati tra le libertà fondamentali del trattato; vi sono tuttavia delle eccezioni alle regole generali enunciate ai punti 3 e 4, che autorizzano gli Stati membri ad imporre delle restrizioni:

1) In primo luogo potrebbero essere ammesse restrizioni discriminatorie nei confronti di investitori cittadini di un altro Stato membro dell'Unione europea, qualora esse si applichino a delle attività che in tale Stato partecipino, sia pure occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri (articolo 55 del trattato). Un regime particolare per gli investitori cittadini di un altro Stato membro potrebbe essere ammesso, inoltre, qualora fosse giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (articolo 56 del trattato). È opportuno tuttavia, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, interpretare queste deroghe in modo restrittivo ed escludere qualsiasi interpertazione che poggi su considerazioni di ordine economico (5).

Anche l'articolo 73 D, paragrafo 1 consente agli Stati membri «di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». A norma del paragrafo 2 dello stesso articolo, è consentito inoltre applicare restrizioni in materia di diritto di stabilimento compatibili con il trattato. Nel paragrafo 3, tuttavia, si statuisce che tutte queste deroghe non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali.

Le restrizioni adottate nel quadro di queste deroghe, inoltre, devono rispettare il criterio della proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ciò significa che la restrizione in causa deve costituire un provvedimento necessario per garantire la protezione degli obiettivi suddetti (ordine pubblico, pubblica sicurezza, ecc.) e che non debbono esistere altri provvedimenti che consentirebbero di raggiungere gli stessi obiettivi e siano meno restrittivi della libertà di cui trattasi (6).

Nello stesso ordine di idee, è opportuno anche tener presente, in questo contesto, che le disposizioni dell'articolo 223 autorizzano gli Stati membri ad adottare le misure che ritengano necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano al settore della difesa. La Corte di giustizia, tuttavia, ha sottolineato che l'articolo 223 contempla soltanto casi eccezionali e chiaramente definiti. Data la sua portata limitata, questo articolo non si presta ad un'interpretazione ampia e non si potrebbe concludere che esista nel trattato una disposizione generale che contempli tutti i provvedimenti adottati per motivi di pubblica sicurezza.

2) In secondo luogo, per quanto riguarda i provvedimenti non discriminatori, è importante sottolineare che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha confermato di recente che «i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo» (7).

3. ESAME DELLA COMPATIBILITÀ DI ALCUNE RESTRIZIONI ESISTENTI

6. Alla luce del quadro giuridico illustrato nel capitolo precedente, la Commissione ha esaminato, dal punto di vista della loro compatibilità con la legislazione comunitaria, varie disposizioni legislative o regolamentari di alcuni Stati membri, relative in particolare alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento. Queste disposizioni possono essere classificate in due diverse categorie: le disposizioni a carattere discriminatorio (che si applicano cioè esclusivamente agli investitori cittadini di un altro Stato membro dell'UE) e le disposizioni a carattere non discriminatorio (che si applicano, cioè, indistintamente ai cittadini di un determinato Stato membro dell'UE e ai cittadini degli altri Stati membri).

7. Rientra nella prima categoria, quella dei provvedimenti discriminatori, il divieto imposto agli investitori cittadini di un altro Stato membro di acquisire più di un determinato numero di azioni con diritto di voto delle società nazionali o l'obbligo di chiedere un'autorizzazione per acquistare delle azioni al di là di una certa soglia. Questo tipo di provvedimento è considerato una restrizione alle operazioni di investimento diretto effettuate da investitori cittadini di un altro Stato membro dell'UE. Inoltre, dato che le procedure di autorizzazione potrebbero servire ad impedire agli investitori che desiderano effettuare investimenti di portafoglio di acquistare partecipazioni non maggioritarie al di là delle soglie stabilite, si può considerarle anche come restrizioni alle operazioni di investimento di portafoglio. La Commissione, quindi, ritiene che questi provvedimenti siano contrari agli articoli 73 B e 52 del trattato, a meno che non rientrino in una delle deroghe di cui al punto 5, paragrafo 1 (ordine pubblico, pubblica sicurezza, sanità pubblica e difesa).

8. Nella seconda categoria, quella dei provvedimenti applicabili indistintamente a tutti gli investitori, rientrano, tra l'altro:

- le procedure di autorizzazione generale, alle quali, ad esempio, è soggetto qualsiasi investitore (sia esso cittadino di un altro Stato membro dell'UE) che desideri acquisire in un'impresa nazionale una partecipazione che superi una determinata soglia;

- il diritto, conferito alle autorità nazionali, in deroga al diritto societario, di porre un veto a determinate decisioni importanti dell'impresa e quello di imporre, per poter esercitare il loro diritto di veto, la nomina di alcuni amministratori, ecc.

Fatte salve le deroghe previste dal trattato, questi provvedimenti (8) potrebbero creare dei problemi.

Le procedure di autorizzazione generale possono essere ritenute compatibili con gli articoli 73 B e 52 soltanto se sono giustificate da motivi imperiosi di interesse generale e se sono abbinate a criteri obiettivi, stabili e resi pubblici (9), senza i quali potrebbero essere attuate in modo tale che il controllo dell'impresa in causa resti nelle mani degli operatori nazionali. Come affermato dalla Corte con valore di principio generale, le libertà fondamentali riconosciute dal trattato non possono essere rese illusorie, né il loro esercizio può essere lasciato alla discrezionalità delle autorità amministrative, come presupporrebbe una procedura di autorizzazione (10).

Per quanto riguarda il diritto conferito alle autorità nazionali di porre il loro veto ad alcune decisioni importanti dell'impresa, va rammentato che nel concetto di investimenti diretti, come risulta dalla direttiva 88/361/CEE, rientrano gli «investimenti di qualsiasi tipo effettuati da persone fisiche, imprese commerciali, industriali o finanziarie aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti fra il finanziatore e l'imprenditore o l'impresa a cui tali fondi sono destinati per l'esercizio di un'attività economica. Tale nozione va quindi intesa in senso lato. (. . .) Per quanto riguarda le imprese (. . .) che hanno lo statuto di società per azioni, si ha partecipazione con carattere di investimento diretto, quando il pacchetto di azioni in possesso di una persona fisica, di un'altra impresa o di qualsiasi altro detentore, attribuisce a tali azionisti (. . .) la possibilità di partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo». La Corte di giustizia afferma, in modo ormai costante, che i provvedimenti nazionali che, come il diritto di veto in questione, possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal trattato devono soddisfare quattro condizioni: applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse generale, essere idonei a garantire il conseguimento dell'obiettivo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo.

Inoltre, in alcuni casi, «l'interesse nazionale» è invocato come criterio di base per giustificare diversi di questi provvedimenti. Anche se le considerazioni «d'interesse nazionale» riguardano spesso provvedimenti in teoria non discriminatori, come la concessione di un'autorizzazione, questo criterio non risulta sufficientemente trasparente e può, quindi, introdurre un elemento di discriminazione nei confronti degli investitori esteri e un'incertezza del diritto. D'altro canto, il concetto può fondarsi su criteri tanto economici quanto non economici, che vanno molto al di là delle deroghe di cui al punto 5 e dell'interpretazione in senso stretto che ne dà la Corte di giustizia delle Comunità europee. La Commissione, di conseguenza, non può ammettere che il concetto di «interesse nazionale» diventi un criterio che in quanto tale possa servire come fondamento giuridico per i provvedimenti di cui sopra.

4. CONCLUSIONI

9. Dall'analisi dei provvedimenti a carattere restrittivo per gli investimenti intracomunitari emerge che i provvedimenti discriminatori (cioè quelli che si applicano esclusivamente agli investitori cittadini di un altro Stato membro dell'UE) saranno giudicati incompatibili con gli articoli 73 B e 52 del trattato - relativi alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento -, a meno che non rientrino nel quadro di una delle deroghe previste dal trattato stesso. I provvedimenti non discriminatori (cioè quelli che si applicano ai cittadini nazionali e ai cittadini di un altro Stato membro dell'UE) sono ammessi se si fondano su una serie di criteri obiettivi, stabili e resi pubblici e possono essere giustificati da motivi imperiosi di interesse generale. Va comunque rispettato il principio di proporzionalità.

10. Alle luce dei principi sopra enunciati, la Commissione instaurerà con gli Stati membri un dialogo costante, per individuare le difficoltà che potrebbero creare ostacoli alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento. Essa garantirà che queste libertà fondamentali del trattato possano realizzarsi in modo armonico.

(1) È opportuno sottolineare, a questo proposito, che il passaggio di un'impresa dal settore pubblico al settore privato è una scelta di politica economica che, in quanto tale, rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri, in base al principio di neutralità del trattato nei confronti del regime di proprietà, enunciato nell'articolo 222 del trattato stesso.

(2) GU n. L 178 dell'8. 7. 1988, pag. 5.

(3) Questa interpretazione si fonda su diverse sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (cfr., ad esempio, sentenza del 15 marzo 1988, Frontistiria, causa 147/86, Racc. 1988, pag. 1637, punti 5 e successivi).

(4) Cfr., ad esempio sentenza del 12 aprile 1994, Halliburton, causa 1/93, Racc. 1994, pag. I-1137, punto 15 e sentenza del 13 luglio 1993, Commerzbank, causa 330/91, Racc. 1993, pag. I-4017, punto 14.

(5) Cfr. sentenza del 14 maggio 1993, Federación de distribuidores cinematográficos, causa 17/92, Racc. 1993, pag. I-2239, punto 16.

(6) Cfr. sentenza del 14 dicembre 1995, Sanz de Lera, causa riunite C-163/94, C-165/94 e C-250/94, Racc. 1995, pag. I-4821, punto 23.

(7) Cfr. sentenza del 3 febbraio 1993, Veronica, causa C-1481/91, Racc. 1993, pag. I-487, punto 9; sentenza del 31. 3. 1993, Kraus, causa 19/92, racc. 1993, pag. I-1663, punto 32; sentenza del 30. 11. 1995, Gebhard, causa 55/94, Racc. 1995, pag. I-4165, punto 37; sentenza del 15. 12. 1995, Bosman, causa 415/93, Racc. 1995, pag. I-4921, punto 104.

(8) Beninteso, non si tratta qui dei casi in cui lo Stato detenga una partecipazione di controllo.

(9) In modo da limitare al minimo il potere discrezionale delle autorità nazionali.

(10) Cfr. in particolare sentenza del 31 dicembre 1984, Luisi e Carbone, cause riunite C-286/92 e 26/83, Racc. 1984, pag. 377-409, punto 34; sentenza del 23 febbraio 1995, Bordessa, cause riunite 358/93 e 416/93, Racc. 1995, pag. I-361, punti 24, 25 e 26; sentenza Sanz de Lera, punti 24 e 25. La Corte di giustizia ritiene che il «margine di manovra» che lasciano tali procedure di autorizzazione potrebbe rendere illusoria questa libertà.