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Document 62002CJ0245

Sentenza della Corte (grande sezione) del 16 novembre 2004.
Anheuser-Busch Inc. contro Budĕjovický Budvar, národní podnik.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Korkein oikeus - Finlandia.
Accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio - Artt. 2, n. 1, 16, n. 1, e 70 dell'accordo ADPIC (TRIPs) - Marchi - Portata del diritto esclusivo del titolare del marchio - Preteso uso del segno come ditta.
Causa C-245/02.

European Court Reports 2004 I-10989

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2004:717

Arrêt de la Cour

Causa C-245/02

Anheuser-Busch Inc.

contro

Budĕjovický Budvar, národní podnik

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Korkein Oikeus)

«Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio — Artt. 2, n. 1, 16, n. 1, e 70 dell’accordo ADPIC (TRIPs) — Marchi — Portata del diritto esclusivo del titolare del marchio — Preteso uso del segno come ditta»

Massime della sentenza

1.        Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Interpretazione di un accordo internazionale concluso dalla Comunità e dagli Stati membri in forza di una competenza concorrente e che incide sull’applicazione da parte dei giudici nazionali di disposizioni comunitarie — Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs)

(Art. 234 CE; accordo TRIPs)

2.        Accordi internazionali — Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) — Applicazione nel tempo — Applicazione a un conflitto tra un marchio e un segno sorto prima della data di applicazione del detto accordo e perdurante dopo tale data

(Accordo TRIPs, art. 70, n. 1)

3.        Accordi internazionali — Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) — Effetto diretto — Insussistenza — Obblighi dei giudici nazionali — Diritto di marchio — Applicazione del diritto nazionale alla luce del testo e della finalità delle pertinenti disposizioni tanto della direttiva 89/104 quanto dell’accordo TRIPs

(Accordo TRIPs; direttiva del Consiglio 89/104)

4.        Accordi internazionali — Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) — Diritto di marchio — Diritto esclusivo del titolare del marchio di vietare che un terzo ne faccia uso — Eccezioni — Segno identico o simile al marchio indicante una ditta — Presupposto — Uso del segno conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale

(Accordo TRIPs, artt. 16, n. 1, e 17)

5.        Accordi internazionali — Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) — Diritto di marchio — Ditta confliggente con un marchio — Ditta sorta anteriormente al marchio — Uso di questo che non può essere vietato dal titolare del marchio

(Accordo TRIPs, art. 16, n. 1)

1.        Poiché la comunità è parte contraente dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPs), che compare quale allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, essa è tenuta a interpretare la sua legislazione sui marchi, nella misura del possibile, alla luce della lettera e della finalità di detto accordo.

Ne consegue che la Corte è competente ad interpretare una disposizione dell’accordo TRIPs al fine di rispondere alle esigenze delle autorità giudiziarie degli Stati membri quando esse sono chiamate ad applicare le loro norme nazionali per disporre misure per la tutela di diritti derivanti da una normativa comunitaria che rientra nel campo d’applicazione di tale accordo.

(v. punti 41-42)

2.        L’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPs), che compare quale allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, approvato a nome della Comunità, per le materie di sua competenza, con decisione 94/800, si applica, in caso di conflitto tra un marchio ed un segno che si assume violare il suddetto marchio, quando il detto conflitto abbia avuto inizio prima della data di applicazione dell’accordo TRIPs, ma sia poi proseguito dopo tale data.

In particolare, l’art. 70, n. 1, di tale accordo, ai sensi del quale esso non impone obblighi in relazione ad atti che hanno avuto luogo prima della sua data di applicazione per i membri, ha per effetto che il detto accordo ricomprende le situazioni che persistono dopo tale data.

(v. punti 49, 53, dispositivo 1)

3.        Le disposizioni dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPs), che compare quale allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, non sono idonee a creare in capo ai singoli diritti che questi possano invocare direttamente dinanzi al giudice ai sensi del diritto comunitario.

Tuttavia, ai sensi del diritto comunitario, quando i giudici nazionali sono chiamati ad applicare le loro norme nazionali per disporre misure a tutela dei diritti rientranti in un settore al quale si applica l’accordo TRIPs, e nel quale – come avviene nel settore del marchio – la Comunità ha già legiferato, essi sono tenuti a farlo, nei limiti del possibile, alla luce del testo e della finalità delle pertinenti disposizioni comunitarie tanto della prima direttiva 89/104 sui marchi quanto dell’accordo TRIPs.

(v. punti 54-55, 57)

4.        Una ditta può rappresentare un segno ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPs), che compare quale allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio. Tale disposizione è diretta ad attribuire al titolare di un marchio il diritto esclusivo di vietare che un terzo ne faccia uso se tale uso pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio, in particolare la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.

Le eccezioni ai diritti conferiti da un marchio stabilite dall’art. 17 dell’accordo TRIPs sono dirette, in particolare, a consentire ai terzi di usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la loro ditta, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

(v. punto 85, dispositivo 2)

5.        Una ditta non registrata né tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio con cui si asserisce essa entri in conflitto è stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela nei confronti della ditta in questione può essere considerata un diritto anteriore ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo TRIPs), che compare quale allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, se il titolare della ditta dispone di un diritto rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis del detto accordo sorto prima di quello relativo al detto marchio e che gli consente di usare un segno identico o simile a tale marchio.

Ne consegue che l’uso di tale ditta non può essere vietato in forza del diritto esclusivo che il marchio conferisce al suo titolare ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, del detto accordo.

(v. punti 89, 100, dispositivo 3)




SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
16 novembre 2004(1)

«Accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio – Artt. 2, n. 1, 16, n. 1, e 70 dell'accordo ADPIC (TRIPs) – Marchi – Portata del diritto esclusivo del titolare del marchio – Preteso uso del segno come ditta»

Nel procedimento C-245/02,avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Korkein oikeus (Finlandia) con decisione 3 luglio 2002, pervenuta in cancelleria il 5 luglio 2002, nella causa tra:

Anheuser-Busch Inc.

e

Budějovický Budvar, národní podnik,



LA CORTE (Grande Sezione),,



composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore) e A. Rosas e dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann e R. Schingten, dalla sig.ra N. Colneric e dai sigg. S. von Bahr, J.N. Cunha Rodrigues e K. Schiemann, giudici,

avvocato generale: sig. A. Tizzano
cancelliere: sig.ra M. Múgica Arzamendi, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 27 aprile 2004,viste le osservazioni scritte presentate:

per la Anheuser-Busch Inc., dal sig. R. Hilli, asianajaja, e dai sigg. D. Ohlgart e B. Goebel, Rechtsanwälte;

per la Budějovický Budvar, národní podnik, dai sigg. P. Backström e P. Eskola, asianajajat;

per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente;

per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. E. Paasivirta e R. Raith, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 29 giugno 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2, n. 1, 16, n. 1, e 70 dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«accordo ADPIC» – in inglese: il «TRIPs» –), che compare quale allegato I C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (in prosieguo: l’«accordo OMC»), approvato a nome della Comunità, per le materie di sua competenza, con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE (GU L 336, pag. 1).

2
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la birreria Anheuser-Busch Inc. (in prosieguo: la «Anheuser-Busch»), con sede in Saint Louis, Missouri (Stati Uniti), e la birreria Budĕjovický Budvar, národní podnik (in prosieguo: la «Budvar»), con sede nella città di Česke Budějovice (Repubblica ceca), in merito all’etichettatura con la quale quest’ultima distribuisce la sua birra in Finlandia e che, secondo la Anheuser-Busch, costituisce una violazione dei marchi Budweiser, Bud, Bud Light e Budweiser King of Beers, di cui quest’ultima è titolare nel detto Stato membro.


Contesto normativo

Il diritto internazionale

3
L’art. 8 della Convenzione di Parigi 20 marzo 1883 per la protezione della proprietà industriale, modificata da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 828, n. 11847, pag. 108; in prosieguo: la «Convenzione di Parigi»), dispone quanto segue:

«Il nome commerciale sarà protetto in tutti i paesi dell’Unione senza obbligo di deposito o di registrazione, anche se non costituisce parte di un marchio di fabbrica o di commercio».

4
L’accordo OMC e l’accordo ADPIC, che ne fa parte integrante, sono entrati in vigore il 1° gennaio 1995. Tuttavia, ai sensi dell’art. 65, n. 1, dell’accordo ADPIC, i membri non erano obbligati ad applicare le disposizioni di quest’ultimo prima della scadenza di un periodo generale di un anno, ossia prima del 1° gennaio 1996 (in prosieguo: la «data d’applicazione»).

5
L’art. 1, n. 2, dell’accordo ADPIC, intitolato «Natura e ambito degli obblighi», così recita:

«Ai fini del presente accordo, l’espressione “proprietà intellettuale” comprende tutte le categorie di proprietà intellettuale di cui alla parte II, sezioni da 1 a 7».

6
L’art. 2 del detto accordo, intitolato «Convenzioni in materia di proprietà intellettuale», stabilisce quanto segue:

«1.     In relazione alle parti II, III e IV del presente accordo, i membri si conformano agli articoli da 1 a 12 e all’articolo 19 della Convenzione di Parigi (1967).

2.       Nessuna disposizione delle parti da I a IV del presente accordo pregiudica gli eventuali obblighi reciproci incombenti ai membri in forza della Convenzione di Parigi, della Convenzione di Berna, della Convenzione di Roma e del Trattato sulla proprietà intellettuale in materia di semiconduttori».

7
L’art. 15 dell’accordo ADPIC, intitolato «Oggetto della protezione», che figura nella sezione 2 della parte II di questo accordo, vertente sulle norme relative all’esistenza, all’ambito e all’esercizio dei diritti di marchio, al suo n. 1 dispone che:

«Qualsiasi segno, o combinazione di segni, che consenta di contraddistinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese, può costituire un marchio d’impresa. Tali segni, in particolare parole, compresi i nomi di persone, lettere, cifre, elementi figurativi e combinazioni cromatiche, nonché qualsiasi combinazione di tali segni, sono idonei ad essere registrati come marchi d’impresa (…)».

8
L’art. 16, n. 1, del detto accordo, recante il titolo «Diritti conferiti», recita quanto segue:

«Il titolare di un marchio registrato ha il diritto esclusivo di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio segni identici o simili per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato, qualora tale uso possa comportare un rischio di confusione. In caso di uso di un segno identico per prodotti o servizi identici si presume che vi sia un rischio di confusione. I diritti di cui sopra non pregiudicano eventuali diritti anteriori, né compromettono la facoltà dei membri di concedere diritti in base all’uso».

9
Ai sensi dell’art. 17 dell’accordo ADPIC, intitolato «Eccezioni»:

«I membri possono prevedere limitate eccezioni ai diritti conferiti da un marchio, come il leale uso di termini descrittivi, purché tali eccezioni tengano conto dei legittimi interessi del titolare del marchio e dei terzi».

10
L’art. 70 di tale accordo, recante il titolo «Protezione di oggetti esistenti», dispone quanto segue:

«1.     Il presente accordo non crea obblighi in relazione ad atti che hanno avuto luogo prima della data di applicazione dell’accordo per il membro in questione.

2.       Salvo disposizione contraria in esso contenuta, il presente accordo crea obblighi in relazione a tutti gli oggetti esistenti alla data della sua applicazione per il membro in questione e che sono protetti in detto membro a tale data o che sono o saranno successivamente conformi ai criteri di protezione di cui al presente accordo (…).

(…)

4.       Per quanto riguarda atti relativi a specifici oggetti incorporanti elementi oggetto di protezione, che diventino atti costituenti violazione in virtù di norme conformi al presente accordo e che siano iniziati, o per i quali sia stato effettuato un investimento significativo, prima della data di accettazione dell’accordo OMC da parte del membro in questione, qualsiasi membro può prevedere una limitazione dei rimedi dei quali può avvalersi il titolare del diritto in ordine alla continuazione degli atti in questione dopo la data di applicazione del presente accordo per il medesimo membro. In tali casi, tuttavia, il membro prevede almeno il pagamento di un equo compenso.

(…)».

Il diritto comunitario

11
La prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1) ha, secondo il suo primo ‘considerando’, lo scopo di ravvicinare le legislazioni nazionali sui marchi onde eliminare le disparità esistenti idonee ad ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi e a falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune.

12
Tuttavia, come emerge dal terzo ‘considerando’ di tale direttiva, essa non mira ad un ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in tema di marchi di impresa.

13
L’art. 5 della direttiva 89/104, volto essenzialmente a determinare la portata della tutela che deve conferire il diritto dei marchi, ai nn. 1, 2, 3 e 5 stabilisce quanto segue:

«1.     Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)       un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)       un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2.       Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3.       Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

(…)

5.       I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

14
L’art. 6 della direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al n. 1 recita quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

a) del loro nome e indirizzo;

(…)

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

Diritto nazionale

Il diritto dei marchi

15
Ai sensi dell’art. 3, primo comma, della tavaramerkkilaki (legge relativa ai marchi) 10 gennaio 1964, n. 7:

«Ognuno può utilizzare, nell’ambito delle proprie attività commerciali, il suo cognome, il suo indirizzo o il suo nome commerciale [in prosieguo anche «ditta»] quale simbolo commerciale dei suoi prodotti, a meno che l’uso di tale simbolo non sia idoneo a causare confusione con il marchio tutelato di un terzo, o con un nome, una ditta o un indirizzo legalmente utilizzato da un terzo nelle sue attività commerciali».

16
L’art. 4, primo comma, della tavaramerkkilaki dispone quanto segue:

«Il diritto, previsto agli artt. 1‑3 della presente legge, di utilizzare un segno distintivo sulle proprie merci implica che nessuna persona diversa dal titolare del segno possa, nel commercio, usare come segno distintivo delle proprie merci un segno idoneo a dar luogo a confusione, apponendolo sul prodotto o sulla sua confezione, utilizzandolo nella propria pubblicità o in documenti commerciali o in altri modi, ivi compresa la menzione orale (…)».

17
L’art. 6, primo comma, della tavaramerkkilaki stabilisce quanto segue:

«Ai sensi della presente legge i segni distintivi sono ritenuti confondibili l’uno con l’altro solo quando si riferiscono a tipi di merci identici o simili».

18
A norma dell’art. 7 della tavaramerkkilaki, quando più soggetti invochino un diritto esclusivo di utilizzare sulle proprie merci segni suscettibili di essere confusi, la prevalenza viene riconosciuta a chi possa vantare il titolo anteriore, nei limiti in cui il diritto reclamato non sia venuto meno a causa, ad esempio, dell’inerzia del suo titolare.

19
In virtù dell’art. 14, primo comma, punto 6, della tavaramerkkilaki, non è ammessa la registrazione dei marchi idonei ad essere confusi con la ditta tutelata, il segno secondario o il marchio di un altro operatore economico.

20
Il giudice del rinvio rileva che il legislatore nazionale ha considerato la tavaramerkkilaki conforme all’accordo ADPIC e quindi non passibile di modifiche per adeguarla ad esso. Analogamente, il legislatore nazionale avrebbe ritenuto che le disposizioni della tavaramerkkilaki relative al rischio di confusione dei marchi per tipi di merci identiche o simili siano compatibili con la direttiva 89/104 così da poter restare inalterate.

Il diritto in materia di ditte

21
Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della toiminimilaki (legge sulle ditte) 2 febbraio 1979, n. 128, il diritto esclusivo di utilizzare una ditta si acquisisce mediante registrazione, o in forza dell’uso.

22
L’art. 2, n. 3, della toiminimilaki così dispone:

«Una ditta si considera sancita dall’uso quando è conosciuta in maniera generale nel campo di attività dell’operatore economico che la utilizza».

23
Il giudice del rinvio osserva che, nella sua giurisprudenza, l’art. 8 della convenzione di Parigi è stato interpretato nel senso che la detta disposizione tutela, oltre alle ditte registrate in Finlandia o ivi consolidatesi in base all’uso, anche le ditte estere che siano registrate in un altro Stato aderente alla detta convenzione così come i segni sussidiari inclusi in tali ditte. In virtù di tale giurisprudenza, la tutela di siffatte ditte straniere sarebbe tuttavia subordinata alla condizione che l’elemento caratterizzante della ditta straniera risulti noto in Finlandia, almeno in una certa misura, agli operatori economici del settore.


Controversia oggetto della causa principale e questioni pregiudiziali

24
La Anheuser-Busch è titolare in Finlandia dei marchi di birra Budweiser, Bud, Bud Light e Budweiser King of Beers, registrati tra il 5 giugno 1985 e il 5 agosto 1992. La prima domanda di registrazione di tali marchi, nello specifico di quello della Budweiser, risale al 24 ottobre 1980.

25
Il 1° febbraio 1967, la Budvar ha iscritto la sua ditta nel registro di commercio cecoslovacco. Tale registrazione è stata effettuata in lingua ceca («Budějovický Budvar národní podnik»), inglese («Budweiser Budvar, National Corporation») e francese («Budweiser Budvar, Entreprise nationale»). La Budvar era peraltro titolare in Finlandia dei marchi Budvar e Budweiser Budvar, relativi a birre, registrati rispettivamente il 21 maggio 1962 e il 13 novembre 1972, ma i giudici finlandesi l’hanno dichiarata decaduta da tali diritti per mancato utilizzo.

26
Con ricorso proposto l’11 ottobre 1996 presso l’Helsingin käräjäoikeus (Tribunale di primo grado di Helsinki) (Finlandia), l’Anheuser-Busch ha chiesto che fosse fatto divieto alla Budvar di mantenere o di rinnovare l’uso in Finlandia dei marchi Budĕjovický Budvar, Budweiser Budvar, Budweiser, Budweis, Budvar, Bud e Budweiser Budbraü quali segni per la commercializzazione e la vendita di birra prodotta dalla Budvar. La Anheuser-Busch ha inoltre richiesto la soppressione di tutte le denominazione incompatibili con tale divieto, nonché la condanna della Budvar al risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dei suoi diritti in materia di marchi.

27
Al riguardo, la Anheuser-Busch ha affermato che i segni utilizzati dalla Budvar possono essere confusi, ai sensi della tavaramerkkilaki, con i suoi marchi, dato che i detti segni e marchi designano tipi di merci identiche o simili.

28
Con lo stesso ricorso, la Anheuser-Busch ha inoltre chiesto che alla Budvar sia vietato, sotto pena di ammenda in forza della toiminimilaki, di usare in Finlandia le ditte «Budĕjovický Budvar, národni podnik», «Budweiser Budvar», «Budweiser Budvar, national enterprise», «Budweiser Budvar, Entreprise nationale» e «Budweiser Budvar, National Corporation», in quanto essi rischierebbero di essere confusi con i suoi marchi registrati.

29
La Budvar ha affermato, a sua difesa, che i segni utilizzati in Finlandia per la commercializzazione della sua birra non possono essere confusi con i marchi dell’Anheuser-Busch. La Budvar ha inoltre fatto valere che, per quanto riguarda il segno «Budweiser Budvar», la registrazione della sua ditta sia in ceco, sia in inglese e in francese le conferirebbe, in conformità all’art. 8 della Convenzione di Parigi, un diritto anteriore in Finlandia rispetto ai marchi dell’Anheuser-Busch e che tale diritto era quindi tutelato in forza della detta disposizione.

30
Nella sentenza 1° ottobre 1998, l’Helsingin käräjäoikeus ha concluso che le etichette delle bottiglie di birra utilizzate dalla Budvar in Finlandia, e soprattutto il segno predominante «Budĕjovický Budvar» che vi compare, segnatamente alla luce di una valutazione globale, erano talmente differenti dai marchi registrati e dalle etichette della Anheuser-Busch che i prodotti in questione non potevano essere confusi.

31
Esso ha inoltre statuito che il segno «BREWED AND BOTTLED BY THE BREWERY BUDWEISER BUDVAR national enterprise», riportato sulle etichette sotto il detto segno predominante e in caratteri notevolmente più piccoli, non era usato come marchio commerciale, ma semplicemente come menzione della ditta della birreria. In proposito, esso ha considerato che la Budvar aveva il diritto di utilizzare tale segno dato che si tratta della versione inglese della sua ditta, registrata come tale, che era nota, come risulta dalle deposizioni di testimoni, almeno in una certa misura, agli operatori del settore quando la Anheuser-Busch fece registrare i propri marchi commerciali, cosicché esso è tutelato anche in Finlandia ai sensi dell’art. 8 della Convenzione di Parigi.

32
In sede d’appello, l’Helsingin hovioikeus (Corte d’appello di Helsinki) (Finlandia) ha statuito, con sentenza 27 giugno 2000, che le deposizioni dei testimoni di cui sopra non erano sufficienti a dimostrare che la versione inglese della ditta della Budvar fosse conosciuta, almeno in una certa misura, nell’ambito degli operatori commerciali interessati in Finlandia prima della registrazione dei marchi commerciali della Anheuser-Busch. Esso ha pertanto annullato la sentenza dell’Helsingin käräjäoikeus nella parte in cui quest’ultimo ha dichiarato che la versione inglese della ditta Budvar godeva in Finlandia della tutela prevista dall’art. 8 della Convenzione di Parigi.

33
La Anheuser-Busch e la Budvar hanno entrambe impugnato la sentenza dell’Helsingin hovioikeus dinanzi al Korkein oikeus (Corte suprema), fondandosi sostanzialmente sugli argomenti già fatti valere in primo grado e in appello.

34
Nella decisione di rinvio, il Korkein oikeus ha dichiarato che, dal punto 35 della sentenza 14 dicembre 2000, cause riunite C‑300/98 e C‑392/98, Dior e a. (Racc. pag. I‑11307), emerge che la Corte è competente ad interpretare le disposizioni dell’accordo ADPIC che possono trovare applicazione sia per situazioni che rientrano nel diritto nazionale sia per situazioni che rientrano nel diritto comunitario, come avviene in materia di marchi.

35
Il giudice del rinvio ha aggiunto che, ai punti 47-49 della stessa sentenza, la Corte ha statuito che, per quanto riguarda i settori cui si applica l’accordo ADPIC, si è in presenza di una situazione che ricade sotto il diritto comunitario se si tratta di un settore nel quale la Comunità ha già legiferato, ma così non è quando si tratta di un settore nel quale la Comunità non ha ancora legiferato e che pertanto rientra nella competenza degli Stati membri.

36
Secondo il Korkein oikeus, le disposizioni dell’accordo ADPIC concernenti i marchi riguardano un settore per il quale la Comunità ha già legiferato e che ricade quindi nell’ambito del diritto comunitario. La Comunità non ha invece ancora adottato, per il momento, norme che disciplinino le ditte.

37
Per quanto riguarda l’applicabilità ratione temporis dell’accordo ADPIC alla causa principale, il giudice del rinvio osserva che dai punti 49 e 50 della sentenza 13 settembre 2001, causa C‑89/99, Schieving-Nijstad e a. (Racc. pag. I‑5851), risulta che l’accordo ADPIC, ai sensi del suo art. 70, n. 1, si applica in quanto la violazione dei diritti di proprietà intellettuale continui oltre la data in cui le disposizioni dell’accordo ADPIC sono divenute applicabili nei confronti della Comunità e degli Stati membri.

38
Il giudice del rinvio constata inoltre che l’art. 70, n. 2, dell’accordo ADPIC dispone che, salvo disposizione contraria in esso contenuta, il detto accordo crea obblighi in relazione a tutti gli oggetti esistenti alla data della sua applicazione per il membro in questione e che sono protetti in detto membro a tale data o che sono o saranno successivamente conformi ai criteri di protezione di cui al suddetto accordo.

39
Ciò considerato, il Korkein oikeus ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)
Qualora il conflitto tra un marchio commerciale e un segno che si assume violare il suddetto marchio avvenga in un momento anteriore all’entrata in vigore dell’accordo ADPIC, se le disposizioni di tale accordo si applichino alla questione della priorità del fondamento legale di uno dei due diritti, quando si faccia valere che l’asserita violazione del marchio commerciale continua oltre la data in cui l’accordo ADPIC è divenuto applicabile nella Comunità e nei suoi Stati membri.

2)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 1):

a)
Se la ditta di un’impresa possa essere anch’essa considerata come un segno distintivo di beni o servizi ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo ADPIC.

b) In caso di soluzione affermativa della questione sub 2 a), a quali condizioni la ditta possa essere considerata come un segno distintivo di beni o di servizi ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo ADPIC.

3)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 2 a):

a)
Come si debba interpretare il riferimento ai diritti anteriori che figura all’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC. Se anche il diritto alla ditta possa essere considerato come un diritto anteriore ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase.

b)
Qualora la questione sub 3 a) vada risolta in senso affermativo, come vada interpretato il detto riferimento ad un diritto anteriore, che figura all’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC, quando si tratta di una ditta, non registrata né tradizionalmente usata nello Stato in cui il marchio è stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela contro la ditta in questione, tenendo presenti l’obbligo, che deriva dall’art. 8 della Convenzione di Parigi, di tutelare la ditta indipendentemente dalla registrazione ed il fatto che, secondo l’organo d’appello dell’OMC, il riferimento all’art. 8 della Convenzione di Parigi contenuto nell’art. 2, n. 1, dell’accordo ADPIC significa che i membri dell’OMC hanno, ai sensi del detto accordo, un obbligo di tutelare la ditta conformemente al predetto articolo. Nel valutare, in un caso di questo genere, se la ditta abbia un fondamento giuridico prioritario rispetto a un marchio commerciale ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC, se sia determinante:

i)
che la ditta fosse nota, almeno in una certa misura, agli ambienti commerciali del settore nel paese in cui è stato registrato il marchio commerciale ed in cui si chiede la sua tutela, prima del momento in cui nel suddetto Stato è stata presentata domanda di registrazione del marchio;

oppure

ii)
che la ditta sia stata usata in operazioni commerciali dirette verso il paese nel quale il marchio è stato registrato ed in cui si chiede la sua tutela, prima del momento in cui nel suddetto Stato è stata chiesta la registrazione del marchio;

oppure

iii)
qualsiasi altra circostanza che consenta di determinare se la ditta vada considerata come un diritto anteriore ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC».


Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

40
Secondo la Anheuser-Busch, la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile nella sua interezza, in quanto l’accordo ADPIC non sarebbe applicabile alla causa principale né ratione temporis, né ratione materiae. Pertanto, nel caso di specie, la Corte non sarebbe competente ad interpretare le disposizioni in questione del detto accordo.

41
Dalla giurisprudenza della Corte emerge che essa è competente ad interpretare una disposizione dell’accordo ADPIC al fine di rispondere alle esigenze delle autorità giudiziarie degli Stati membri quando esse sono chiamate ad applicare le loro norme nazionali per disporre misure per la tutela di diritti derivanti da una normativa comunitaria che rientra nel campo d’applicazione di tale accordo (v., in questo senso, sentenza Dior e a., cit., punti 35 e 40 e giurisprudenza ivi citata).

42
Poiché la Comunità è parte contraente dell’accordo ADPIC, essa è in effetti tenuta ad interpretare la sua legislazione sui marchi, nella misura del possibile, alla luce della lettera e della finalità di detto accordo (v., per quanto riguarda una situazione che rientra contemporaneamente in una disposizione dell’accordo ADPIC e della direttiva 89/104, sentenza 24 giugno 2004, causa C‑49/02, Heidelberger Bauchemie, Racc. pag. I‑0000, punto 20).

43
La Corte è quindi competente ad interpretare l’art. 16, n. 1, dell’accordo ADPIC, disposizione che forma oggetto della seconda e della terza questione pregiudiziale.

44
La questione della rilevanza dell’accordo ADPIC, e in particolare del suo art. 16, ai fini della soluzione della controversia oggetto della causa principale dipende dall’interpretazione di tale disposizione, che è proprio l’oggetto della seconda e della terza questione pregiudiziale. Ne consegue che la questione dell’applicabilità ratione materiae dell’accordo ADPIC è un tutt’uno con le due ultime questioni pregiudiziali e sarà affrontata nel quadro della soluzione fornita a tali questioni.

45
La questione dell’applicabilità ratione temporis è oggetto della prima questione pregiudiziale.

46
Ciò considerato, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev’essere dichiarata ricevibile.

Sulla prima questione

47
Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’accordo ADPIC si applichi in caso di conflitto tra un marchio ed un segno che si assume violare il suddetto marchio, quando il detto conflitto abbia avuto inizio prima della data di applicazione dell’accordo ADPIC, ma sia poi proseguito dopo tale data.

48
Ai punti 49 e 50 della citata sentenza Schieving-Nijstad e a., la Corte ha già statuito che, se l’asserita violazione di un marchio è iniziata prima della data di applicazione dell’accordo ADPIC per quanto riguarda la Comunità e gli Stati membri – vale a dire prima del 1° gennaio 1996 –, questo non significa necessariamente che tali atti «abbiano avuto luogo», ai sensi dell’art. 70, n. 1, dell’accordo ADPIC, prima di tale data. Essa ha precisato che, se gli atti contestati al terzo sono continuati fino alla data in cui il giudice si è pronunciato – ossia, nella causa che ha dato origine alla detta sentenza, dopo la data di applicazione dell’accordo ADPIC –, la disposizione in questione del detto accordo era rilevante ratione temporis ai fini della soluzione della controversia oggetto della causa principale.

49
L’art. 70, n. 1, dell’accordo ADPIC produce solo l’effetto che il detto accordo non impone obblighi in relazione ad «atti che hanno avuto luogo» prima della sua data di applicazione, ma non esclude tali obblighi per le situazioni che persistono dopo tale data. Per contro, l’art. 70, n. 2, del detto accordo precisa che esso crea obblighi per un membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (in prosieguo: «l’OMC») per quanto riguarda, in particolare, «tutti gli oggetti esistenti (…) e che sono protetti» alla data della sua applicazione, cosicché, a partire da tale data, tale membro è tenuto ad adempiere tutti gli obblighi risultanti dall’accordo ADPIC per quanto concerne gli oggetti esistenti [v. anche, in tal senso, la relazione dell’organo d’appello istituito nell’ambito dell’OMC, resa il 18 settembre 2000, Canada – Durata della tutela conferita da un brevetto (AB‑2000‑7), WT/DS170/AB/R, punti 69, 70 e 71].

50
L’art. 70, n. 4, dell’accordo ADPIC riguarda inoltre gli atti relativi a specifici oggetti incorporanti elementi oggetto di protezione che diventino atti costituenti violazione in virtù di norme conformi al presente accordo e che siano iniziati, o per i quali sia stato effettuato un investimento significativo, prima della data di accettazione dell’accordo OMC. In una situazione del genere, la detta disposizione consente ai membri di prevedere limitazioni per quanto attiene ai rimedi dei quali può avvalersi il titolare del diritto in ordine alla continuazione di detti atti dopo la data di applicazione di tale accordo per il membro dell’OMC in questione.

51
Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio si evince che gli atti addebitati alla Budvar in Finlandia hanno sicuramente avuto inizio prima della data di applicazione dell’accordo ADPIC, ma anche che essi sono proseguiti dopo tale data. Inoltre, è pacifico che il procedimento per violazione riguarda segni tutelati come marchi in Finlandia alla data di applicazione dell’accordo ADPIC – vale a dire, per quanto riguarda il detto Stato membro, il 1° gennaio 1996 – e che tale procedimento è stato avviato l’11 ottobre 1996, quindi dopo tale data.

52
Da quanto precede risulta che, in forza dei nn. 1 e 2 dell’art. 70 dell’accordo ADPIC, il detto accordo va applicato ad una situazione di questo tipo.

53
Pertanto, la prima questione va risolta nel senso che l’accordo ADPIC si applica in caso di conflitto tra un marchio ed un segno che si assume violare il suddetto marchio, quando il detto conflitto abbia avuto inizio prima della data di applicazione dell’accordo ADPIC, ma sia poi proseguito dopo tale data.

Sulla seconda e sulla terza questione

Osservazioni preliminari

54
La Corte ha già statuito che le disposizioni dell’accordo ADPIC, tenuto conto della loro natura e della loro economia, non hanno effetto diretto. Esse non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla gli atti delle istituzioni comunitarie ai sensi dell’art. 230, primo comma, CE, e non sono neppure idonee a creare in capo ai singoli diritti che questi possano invocare direttamente dinanzi al giudice ai sensi del diritto comunitario (v., in questo senso, sentenza Dior e a., cit., punti 42‑45).

55
Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, ai sensi del diritto comunitario, quando i giudici nazionali sono chiamati ad applicare le loro norme nazionali per disporre misure a tutela dei diritti rientranti in un settore al quale si applica l’accordo ADPIC, e nel quale – come avviene nel settore del marchio – la Comunità ha già legiferato, essi sono tenuti a farlo, nei limiti del possibile, alla luce del testo e della finalità delle pertinenti disposizioni dell’accordo ADPIC (v., in questo senso, in particolare, sentenza Dior e a., cit., punti 42-47).

56
Occorre inoltre ricordare che, ai sensi della detta giurisprudenza, le autorità competenti chiamate ad applicare e interpretare il diritto nazionale rilevante sono ugualmente tenute a farlo, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo della direttiva 89/104, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE (v., in particolare, sentenze 12 febbraio 2004, causa C‑218/01, Henkel, Racc. pag. I‑0000, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

57
Di conseguenza, nella fattispecie, le disposizioni rilevanti del diritto nazionale dei marchi vanno applicate ed interpretate, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo delle pertinenti disposizioni sia della direttiva 89/104, sia dell’accordo ADPIC.

Sulla seconda questione

58
Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, ed eventualmente a quali condizioni, una ditta possa rappresentare un segno ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo ADPIC cosicché, in forza di tale disposizione, il titolare di un marchio abbia il diritto esclusivo di vietarne l’uso a terzi che agiscano senza il suo consenso.

59
In primo luogo, per quanto riguarda la direttiva 89/194, dalla giurisprudenza della Corte relativa alla nozione di uso da parte di un terzo, di cui all’art. 5, n. 1, della direttiva, emerge che il diritto esclusivo che il marchio comporta è stato concesso al fine di consentire al suo titolare di tutelare i propri interessi specifici quale titolare del marchio, ossia garantire che quest’ultimo possa adempiere le sue proprie funzioni e che, di conseguenza, l’esercizio di tale diritto deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto (v. sentenza 12 novembre 2002, causa C‑206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I‑10273, punti 51 e 54).

60
Ciò è vero, in particolare, quando l’uso del segno che si contesta al terzo è tale da rendere credibile l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti del terzo e l’impresa di provenienza di tali prodotti. Al riguardo, occorre verificare se i consumatori interessati, compresi quelli ai quali i prodotti vengono presentati dopo che tali prodotti hanno lasciato il punto vendita del terzo, possano interpretare il segno quale utilizzato dal terzo come indicante, o come tendente ad indicare, l’impresa da cui provengono i prodotti del terzo (v., in questo senso, sentenza Arsenal Football Club, cit., punti 56 e 57).

61
Spetta al giudice del rinvio il compito di effettuare tale verifica, alla luce delle circostanze concrete nelle quali viene usato il segno contestato al terzo nella causa principale, ossia, nel caso di specie, alla luce dell’etichettatura utilizzata dalla Budvar in Finlandia.

62
Spetta parimenti al giudice del rinvio confermare se, nella fattispecie, l’uso avvenga effettivamente «nel commercio» e sia fatto «per prodotti» ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 (v., in particolare, sentenza Arsenal Football Club, cit., punti 40 e 41).

63
Qualora tali requisiti siano soddisfatti, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, in caso di identità dei segni e dei marchi, nonché dei prodotti e dei servizi, la tutela conferita dall’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 è assoluta, mentre nell’ipotesi di cui al detto art. 5, n. 1, lett. b), per la tutela del titolare è necessaria anche la prova dell’esistenza, presso il pubblico, di un rischio di confusione dovuto all’identità o alla somiglianza tra segni e marchi d’impresa e tra prodotti o servizi designati (v., in questo senso, sentenze 9 gennaio 2003, causa C‑292/00, Davidoff, Racc. pag. I‑389, punto 28, e 20 marzo 2003, causa C‑291/00, LTJ Diffusion, Racc. pag. I‑2799, punti 48 e 49).

64
Tuttavia, se dalle verifiche che il giudice del rinvio deve svolgere, menzionate all’art. 60 di questa sentenza, emerge che l’uso del segno di cui alla causa principale è stato fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti in questione - in particolare come ditta o come denominazione sociale - ci si deve riferire, in conformità all’art. 5, n. 5, della direttiva 89/104, all’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato per determinare la portata e, se del caso, il contenuto della tutela concessa al titolare del marchio d’impresa che sostiene di aver subito un danno derivante dall’uso di tale segno come ditta o denominazione sociale (v. sentenza 21 novembre 2002, causa C‑23/01, Robelco, Racc. pag. I‑10913, punti 31 e 34).

65
In secondo luogo, per quanto riguarda l’accordo ADPIC, occorre ricordare che il suo obiettivo primario è di rafforzare ed armonizzare la tutela della proprietà intellettuale su scala mondiale (v. sentenza Schieving-Nijstad, cit., punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

66
Ai sensi del suo preambolo, l’accordo ADPIC ha lo scopo «di ridurre le distorsioni e gli impedimenti nel commercio internazionale», «tenendo conto della necessità di promuovere una protezione sufficiente ed efficace dei diritti di proprietà intellettuale», facendo in modo che «le misure e le procedure intese a tutelare i diritti di proprietà intellettuale non diventino esse stesse ostacoli ai legittimi scambi».

67
L’art. 16 dell’accordo ADPIC conferisce al titolare di un marchio registrato un livello minimo di diritti esclusivi convenuto su scala internazionale e che tutti i membri dell’OMC devono garantire nelle loro normative nazionali. Tali diritti esclusivi tutelano il titolare dai pregiudizi che terzi non autorizzati potrebbero arrecare al marchio registrato [v. anche la relazione dell’organo d’appello dell’OMC, resa il 2 gennaio 2002, Stati Uniti – art. 211 della legge generale del 1998 relativa all’apertura di crediti (AB‑2001‑7), WT/DS/176/AB/R, punto 186].

68
L’art. 15 dell’accordo ADPIC dispone, in particolare, che qualsiasi segno, o combinazione di segni, che consenta di contraddistinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese può costituire un marchio d’impresa.

69
In questo modo, questa disposizione dell’accordo ADPIC consacra, come l’art. 2 della direttiva 89/104, la garanzia della provenienza, che costituisce la funzione essenziale del marchio (v., quanto a tale direttiva, segnatamente la sentenza Arsenal Football Club, cit., punto 49).

70
Da questi elementi si evince che l’interpretazione, per quanto possibile, delle disposizioni rilevanti del diritto nazionale dei marchi alla luce del testo e dello scopo delle pertinenti disposizioni del diritto comunitario, nella fattispecie la direttiva 89/104, non è rimessa in discussione da un’interpretazione alla luce del testo e dello scopo delle disposizioni in questione dell’accordo ADPIC (v. punto 57 della presente sentenza).

71
Le disposizioni rilevanti del diritto nazionale dei marchi vanno quindi applicate ed interpretate nel senso che l’esercizio del diritto esclusivo conferito al titolare del marchio di vietare l’uso del segno che tale marchio costituisce o di un segno simile ad esso deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio, in particolare la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.

72
Siffatta interpretazione sarebbe peraltro confermata dallo scopo generale dell’accordo ADPIC, ricordato al punto 66 della presente sentenza, che consiste nel garantire un equilibrio tra l’obiettivo di ridurre le distorsioni e gli impedimenti nel commercio internazionale e quello di promuovere una protezione sufficiente ed efficace dei diritti di proprietà intellettuale in modo che le misure e le procedure intese a tutelare i diritti di proprietà intellettuale non diventino esse stesse ostacoli ai legittimi scambi (v., in questo senso, sentenza Schieving-Nijstad e a., cit. punto 38). Tale distinzione sembra adeguata anche alla luce dello specifico obiettivo dell’art. 16 dell’accordo ADPIC, ricordato al punto 67 della presente sentenza, di garantire un livello minimo di diritti esclusivi convenuto su scala internazionale.

73
Inoltre, i requisiti stabiliti dall’art. 16 dell’accordo ADPIC, in base ai quali, nelle versioni francese, inglese e spagnola, facenti fede, l’uso deve essere fatto «nel commercio» [in francese, «au cours d’opérations commerciales»] («in the course of trade», «en el curso de operaciones comerciales») e «per prodotti» [in francese «pour des produits»] («for goods», «para bienes») sembrano corrispondere a quelli previsti dall’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, secondo i quali l’uso deve avere luogo «nel commercio» [in francese, «dans la vie des affaires»] (nelle versioni inglese e spagnola, rispettivamente, «in the course of trade» e «en el tráfico económico») e «per prodotti» [in francese, «pour des produits»] (nelle dette versioni, rispettivamente, «in relation to goods» e «para productos»).

74
Occorre aggiungere che, se dalle verifiche spettanti al giudice del rinvio emerge che, nel caso di specie, il titolare del marchio può far valere i suoi diritti esclusivi di cui all’art. 16, n. 1, dell’accordo ADPIC per vietare ai terzi l’uso contestato, il detto accordo contiene un’altra disposizione che potrebbe rilevare per dirimere la controversia oggetto della causa principale.

75
Si deve ricordare, a questo proposito, che tocca alla Corte fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione del diritto comunitario che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni (v. sentenza 7 settembre 2004, causa C‑456/02, Trojani, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

76
Nell’ambito della causa in esame, occorre in particolare valutare l’eventuale rilevanza dell’art. 17 dell’accordo ADPIC, il quale permette agli Stati membri dell’OMC di prevedere limitate eccezioni ai diritti conferiti da un marchio, ad esempio per quanto riguarda il leale uso di termini descrittivi, purché tali eccezioni tengano conto dei legittimi interessi del titolare del marchio e dei terzi. Tale eccezione potrebbe includere un uso in buona fede del segno da parte di un terzo, segnatamente se si tratta dell’indicazione del suo nome o del suo indirizzo.

77
Ora, per quanto concerne la Comunità, siffatta eccezione è prevista dall’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 che, in sostanza, consente ai terzi di usare il segno per indicare il loro nome o indirizzo, purché tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

78
Certo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione delle Comunità europee hanno presentato una dichiarazione congiunta, riportata nel verbale del Consiglio in occasione dell’adozione della direttiva 89/104, secondo la quale tale disposizione copre solo i nomi delle persone fisiche.

79
Ciononostante, l’interpretazione data in una dichiarazione di tal genere non può essere presa in considerazione quando il suo contenuto non trova alcun riscontro nel testo della disposizione di cui trattasi e non possiede, pertanto, portata giuridica. Il Consiglio e la Commissione hanno d’altronde espressamente riconosciuto tale limite nel preambolo della loro dichiarazione, a termini del quale «le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione riportate in prosieguo non costituiscono parte integrante del testo legislativo, non pregiudicandone l’interpretazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee» (v. sentenza Heidelberger Bauchemie, cit., punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

80
Orbene, la significativa limitazione alla nozione di «nome», come risulta dalla dichiarazione citata al punto 78 di questa sentenza, non trova alcun riscontro nel dettato dell’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104. Di conseguenza, detta dichiarazione non ha valore giuridico.

81
L’eccezione prevista dall’art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 può, in linea di principio, essere fatta valere da un terzo per usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la sua ditta benché si tratti di un uso rientrante nell’art. 5, n. 1, della detta direttiva che il titolare del marchio potrebbe, in generale, vietare in forza dei diritti esclusivi che tale disposizione gli conferisce.

82
È necessario poi che tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, unico criterio di valutazione indicato dall’art. 6, n. 1, della direttiva 89/104. La condizione relativa agli «usi di lealtà» costituisce, in sostanza, l’espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare del marchio (v. sentenza 7 gennaio 2004, causa C‑100/02, Gerolsteiner Brunnen, Racc. pag. I‑0000, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). Si tratta quindi, in sostanza, della stessa condizione posta dall’art. 17 dell’accordo ADPIC.

83
In proposito, occorre far presente che l’osservanza della detta condizione relativa agli usi di lealtà va valutata tenendo conto della misura in cui, da una parte, l’uso della ditta del terzo verrebbe inteso dal pubblico interessato, o per lo meno da una parte significativa di esso, come sintomatico di un collegamento tra i prodotti del terzo e il titolare del marchio o una persona autorizzata ad usare il marchio, nonché, dall’altra, della misura in cui il terzo avrebbe dovuto esserne consapevole. Un ulteriore elemento da considerare nel procedere a tale valutazione è rappresentato dal fatto che si tratta di un marchio che gode di una certa notorietà nello Stato membro in cui è registrato ed in cui è richiesta la sua tutela e dal quale il terzo potrebbe trarre vantaggio per la commercializzazione dei suoi prodotti.

84
Spetta al giudice nazionale procedere ad una esame globale di tutte le circostanze pertinenti, tra le quali figura, in particolare, l’etichettatura della bottiglia, al fine di valutare, più specificamente, se si possa ritenere che il produttore della bevanda recante la ditta eserciti concorrenza sleale nei confronti del titolare del marchio (v., in questo senso, sentenza Gerolsteiner Brunnen, cit., punti 25 e 26).

85
Occorre pertanto risolvere la seconda questione nei seguenti termini:

Una ditta può rappresentare un segno ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo ADPIC. Tale disposizione è diretta ad attribuire al titolare di un marchio il diritto esclusivo di vietare che un terzo ne faccia uso se tale uso pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.

Le eccezioni stabilite dall’art. 17 dell’accordo ADPIC sono dirette, in particolare, a consentire ai terzi di usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la loro ditta, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

Sulla terza questione

86
Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, ed eventualmente a quali condizioni, una ditta non registrata né tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio è stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela nei confronti della ditta in questione possa essere considerata un diritto anteriore ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC, alla luce, in particolare, degli obblighi di tutelare la ditta che incombono a tale Stato membro in forza dell’art. 8 della Convenzione di Parigi e dell’art. 2, n. 1, dell’accordo ADPIC.

87
Se dalle verifiche che il giudice del rinvio deve svolgere, conformemente ai principi esposti al punto 60 di questa sentenza in risposta al secondo quesito, emerge che l’uso di una ditta rientra nell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo ADPIC, il titolare di un marchio ha il diritto esclusivo di vietare siffatto uso, fatte salve le disposizioni dell’art. 17 del detto accordo.

88
L’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC dispone tuttavia che tale diritto esclusivo non pregiudica alcun «eventual[e] diritt[o] anterior[e]».

89
Tale disposizione va intesa nel senso che, se il titolare di una ditta dispone di un diritto rientrante nell’ambito di applicazione dell’accordo ADPIC sorto prima di quello relativo al marchio con il quale si afferma esso sia in conflitto e che gli consente di usare un segno identico o simile a tale marchio, siffatto uso non può essere vietato in forza del diritto esclusivo che il marchio conferisce al suo titolare ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, del detto accordo.

90
Se la si intende in questo senso, affinché la detta disposizione si applichi è necessario innanzi tutto che il terzo possa far valere un diritto rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae dell’accordo ADPIC.

91
In proposito, va ricordato che la ditta costituisce un diritto che rientra nell’espressione «proprietà intellettuale» ai sensi dell’art. 1, n. 2, dell’accordo ADPIC. Inoltre, dall’art. 2, n. 1, di tale accordo risulta che la tutela delle ditte, specificamente prescritta dall’art. 8 della Convenzione di Parigi, è espressamente inclusa nel detto accordo. La tutela delle ditte è quindi imposta ai membri dell’OMC in forza dell’accordo ADPIC (v. anche la relazione dell’organo d’appello istituito nell’ambito dell’OMC, Stati Uniti – art. 211 della legge generale del 1998 relativa all’apertura di crediti, cit., punti 326-341).

92
Ne consegue che la ditta in esame, nei limiti in cui costituisce un oggetto esistente ai sensi dell’art. 70, n. 2, dell’accordo ADPIC, come illustrato al punto 49 di questa sentenza, deve essere tutelata in forza dell’accordo ADPIC.

93
Pertanto, la ditta costituisce un diritto che rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae dell’accordo ADPIC di modo che tale prima condizione posta dall’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC risulta soddisfatta.

94
Deve trattarsi poi di un diritto esistente. L’espressione «esistente» significa che il diritto in questione deve rientrare nell’ambito di applicazione ratione temporis dell’accordo ADPIC ed essere ancora protetto nel momento in cui è fatto valere dal suo titolare per opporsi alle pretese avanzate dal titolare del marchio con cui si ritiene che tale diritto sia confliggente.

95
Nella fattispecie, quindi, occorre capire se la ditta in esame, che pacificamente non è registrata né tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio è registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela contro la detta ditta, soddisfi i criteri citati al punto precedente di questa sentenza.

96
In proposito, dall’art. 8 della Convenzione di Parigi – disposizione la cui osservanza è imposta in forza dell’accordo ADPIC, come illustrato al punto 91 di questa sentenza – deriva che la tutela della ditta deve essere garantita senza che la si possa subordinare ad alcuna condizione relativa alla registrazione.

97
Quanto ad eventuali condizioni relative ad un uso minimo o ad una conoscenza minima della ditta, alle quali, secondo il giudice del rinvio, sarebbe subordinata la sua esistenza in forza del diritto finlandese, occorre rilevare che, in linea di principio, né l’art. 16, n. 1, dell’accordo ADPIC, né l’art. 8 della Convenzione di Parigi ostano a siffatte condizioni.

98
Infine, quanto alla nozione di anteriorità del diritto in causa ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC, essa significa che il fondamento del diritto in esame deve precedere nel tempo l’ottenimento del marchio con il quale tale diritto è ritenuto confliggente. Come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 95 delle conclusioni, si tratta dell’espressione del principio della prevalenza del titolo di esclusiva anteriore, che rappresenta uno dei fondamenti del diritto dei marchi e, più in generale, dell’intero diritto della proprietà industriale.

99
A tale riguardo, occorre aggiungere che detto principio di anteriorità è contenuto anche nella direttiva 89/104, in particolare negli artt. 4, n. 2, e 6, n. 2.

100
Alla luce di quanto precede, la terza questione va risolta nel senso che una ditta non registrata né tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio commerciale è stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela nei confronti della ditta in questione può essere considerata un diritto anteriore ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo ADPIC se il titolare della ditta dispone di un diritto rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis dell’accordo ADPIC sorto prima di quello relativo al marchio con il quale si ritiene che tale diritto sia in conflitto e che gli consente di usare un segno identico o simile a tale marchio.


Sulle spese

101
Le spese sostenute dal governo finlandese e dalla Commissione per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)
L’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC), che figura all’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, approvato a nome della Comunità, per le materie di sua competenza, con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, si applica in caso di conflitto tra un marchio ed un segno che si assume violare il suddetto marchio, quando il detto conflitto abbia avuto inizio prima della data di applicazione dell’accordo ADPIC, ma sia poi proseguito dopo tale data.

2)
Una ditta può rappresentare un segno ai sensi dell’art. 16, n. 1, prima frase, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC). Tale disposizione è diretta ad attribuire al titolare di un marchio il diritto esclusivo di vietare che un terzo ne faccia uso se tale uso pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio, in particolare la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.

Le eccezioni stabilite dall’art. 17 dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC) sono dirette, in particolare, a consentire ai terzi di usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la loro ditta, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

3)
Una ditta non registrata né tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio commerciale è stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela nei confronti della ditta in questione può essere considerata un diritto anteriore ai sensi dell’art. 16, n. 1, terza frase, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC) se il titolare della ditta dispone di un diritto rientrante nell’ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis del detto accordo sorto prima di quello relativo al marchio con il quale si ritiene che tale diritto sia in conflitto e che gli consente di usare un segno identico o simile a tale marchio.

Firme


1
Lingua processuale: il finlandese.

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