ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 345

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

60° anno
13 ottobre 2017


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

527a sessione plenaria del CESE dei giorni 5 e 6 luglio 2017

2017/C 345/01

Risoluzione su: Il contributo del Comitato economico e sociale europeo al programma di lavoro della Commissione europea per il 2018

1

2017/C 345/02

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa e oltre

11

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

527a sessione plenaria del CESE dei giorni 5 e 6 luglio 2017

2017/C 345/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Migliorare l’efficacia delle politiche dell’UE a favore delle PMI (parere d’iniziativa)

15

2017/C 345/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’industria dei prodotti contraffatti e usurpativi (parere d’iniziativa)

25

2017/C 345/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: Le trasformazioni industriali nel settore UE dello zucchero da barbabietola (parere d’iniziativa)

32

2017/C 345/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: Dalla dichiarazione di Cork 2.0 a iniziative concrete (parere d’iniziativa)

37

2017/C 345/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: L’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato per compensare la fornitura di servizi di interesse economico generale (decisione 2012/21/UE e quadro UE) (parere d’iniziativa)

45

2017/C 345/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulle Conseguenze della digitalizzazione e della robotizzazione dei trasporti per l’elaborazione delle politiche dell’UE (parere d’iniziativa)

52

2017/C 345/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione esterna dell’economia sociale (parere d’iniziativa)

58


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

527a sessione plenaria del CESE dei giorni 5 e 6 luglio 2017

2017/C 345/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2010/40/UE per quanto riguarda il periodo per l’adozione di atti delegati[COM(2017) 136 final – 2017/0060 (COD)]

67

2017/C 345/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno[COM(2017) 142 final – 2017/0063 (COD)]

70

2017/C 345/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla scambio transfrontaliero tra l’Unione e i paesi terzi di copie in formato accessibile di determinate opere e altro materiale protetto da diritto d’autore e da diritti connessi, a beneficio delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa[COM(2016) 595 final — 2016/0279 (COD)]

76

2017/C 345/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto[COM(2016) 755 final – 2016/0371 (CNS)] sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE e la direttiva 2009/132/CE per quanto riguarda taluni obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni[COM(2016) 757 final – 2016/0370 (CNS)] sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto applicate a libri, giornali e periodici[COM(2016) 758 final – 2016/0374 (CNS)]

79

2017/C 345/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e il regolamento (CE) n. 987/2009 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004[COM(2016) 815 final — 2016/0397 (COD)]  ( 1 )

85

2017/C 345/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe – L’azione europea a favore della sostenibilità[COM(2016) 739 final]

91

2017/C 345/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Comunicazione della Commissione — Piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019[COM(2016) 773 final]

97

2017/C 345/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare[COM(2017) 34 final]

102

2017/C 345/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/65/UE sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche[COM(2017) 38 final – 2017/0013 (COD)]

110

2017/C 345/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo su: La comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE: sfide comuni e indicazioni su come unire gli sforzi per conseguire risultati migliori[COM(2017) 63 final]

114

2017/C 345/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — I prezzi e i costi dell’energia in Europa[COM(2016) 769 final]

120

2017/C 345/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1008/2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità[COM(2016) 818 final — 2016/0411 (COD)]

126

2017/C 345/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Costruire un’economia dei dati europea[COM(2017) 9 final]

130

2017/C 345/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche e che abroga la direttiva 2002/58/CE (regolamento sulla vita privata e le comunicazioni elettroniche)[COM(2017) 10 final – 2017/0003 (COD)]

138


 


 

(1)   Testo rilevante ai fini del SEE e per la Svizzera.

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo

527a sessione plenaria del CESE dei giorni 5 e 6 luglio 2017

13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/1


Risoluzione su: «Il contributo del Comitato economico e sociale europeo al programma di lavoro della Commissione europea per il 2018»

(2017/C 345/01)

Nella sessione plenaria del 5 e 6 luglio 2017 (seduta del 5 luglio) il Comitato economico e sociale europeo ha adottato la seguente risoluzione con 191 voti favorevoli, 6 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Creare una narrazione positiva per l’UE

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea l’importanza dell’anno 2018, che sarà l’ultimo anno pienamente operativo per l’attuale Commissione, nonché per il Parlamento europeo, e invita pertanto la Commissione a elaborare un programma di lavoro ambizioso ma al tempo stesso pragmatico, che consenta di affrontare in modo adeguato le sfide poste all’Unione europea in questo momento cruciale. Considerate le incertezze sulla Brexit e alla luce degli sviluppi globali, risulta oggi più che mai necessario un dibattito ampio, partecipativo e strutturato sul futuro dell’Europa. E al riguardo è importante riscoprire le nostre radici e richiamarsi al progetto europeo originario, ai valori e agli obiettivi fondamentali dell’Unione così come sono sanciti nei suoi Trattati.

1.2.

Innanzitutto si può e si deve far leva sui risultati positivi finora raggiunti. Tuttavia, la comparsa di fenomeni e movimenti nazionalisti, protezionisti, autoritari e populisti dovrebbe essere considerata un campanello d’allarme per i leader delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri, rendendo necessario e urgente esaminare quali passi occorra intraprendere per riconquistare la fiducia dei cittadini e garantire il futuro successo del progetto europeo.

1.3.

A tal fine, il CESE invita la Commissione ad adoperarsi per un’Unione forte, solida e coesa, in grado di generare crescita sostenibile, occupazione di qualità, benessere e pari opportunità per tutti i cittadini europei, sulla base di una visione condivisa e di una narrazione positiva che affondino le radici nel coinvolgimento e nella partecipazione dei cittadini. Un’Unione unita e coesa, fondata sull’impegno degli Stati membri per la causa, è estremamente necessaria per reagire alle sfide economiche, sociali e ambientali che l’UE si trova ad affrontare. Anche la coesione interna è un requisito preliminare affinché l’UE possa essere un attore globale forte in ambiti quali il commercio internazionale, la sicurezza, l’energia, la politica per il clima e la protezione dei diritti umani.

1.4.

Il CESE riconosce che i negoziati sulla Brexit faranno del 2018 un anno particolarmente impegnativo. Nondimeno, è importante che la Commissione continui ad attuare le misure già approvate, in particolare quelle riguardanti le iniziative per il mercato unico. Nel contempo, è necessario prepararsi per il futuro a lungo termine dell’UE, e in proposito il CESE rinvia al proprio parere in merito al Libro bianco sul futuro dell’Europa. Il CESE adotterà inoltre pareri specifici sui documenti di riflessione connessi al Libro bianco, ragion per cui nel presente contributo i relativi argomenti vengono soltanto accennati.

1.5.

Dato che esiste una stretta connessione tra economia, occupazione, benessere delle persone e ambiente, il CESE invita la Commissione a impostare il suo programma di lavoro sul concetto orizzontale di sviluppo sostenibile, e impernia quindi questo suo contributo sui tre «pilastri» della sostenibilità, ossia:

a)

rafforzare i fondamenti economici dell’Europa;

b)

dare impulso alla sua dimensione sociale; e

c)

agevolare la transizione verso un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio.

1.6.

Il CESE sottolinea che questi tre pilastri sono universali, indivisibili e interdipendenti. L’UE dovrebbe essere ambiziosa e sforzarsi di trovare soluzioni vantaggiose per tutte le parti, in termini di benefici economici, sociali e ambientali.

1.7.

In quest’ottica, il CESE invita la Commissione a sviluppare le sue politiche in modo integrato e ad applicare un approccio coerente e solido, che coinvolga tutte le componenti della Commissione stessa e abbatta i compartimenti stagni nella definizione delle politiche e della legislazione. Il CESE invita inoltre la Commissione a continuare, conformemente ai principi per legiferare meglio, a migliorare la qualità della legislazione europea, nonché a semplificarla e renderla più chiara, in modo tale da apportare vantaggi concreti per tutti i soggetti interessati.

1.8.

Il CESE rilancia altresì il suo appello per la messa a punto di una strategia generale volta a integrare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite in tutte le politiche pertinenti dell’UE, e invita la Commissione a preparare una visione e una strategia di lungo periodo in materia di sostenibilità, ispirandosi al parere del CESE sul tema La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050.

1.9.

Il CESE sottolinea la cruciale importanza di una partecipazione strutturata della società civile alla progettazione, all’attuazione e al monitoraggio delle politiche, dei programmi e delle altre iniziative dell’UE, al fine di raggiungere risultati concreti, conquistare il consenso dei cittadini e promuovere la coesione in seno alla società. Le parti sociali hanno un ruolo specifico da svolgere nella concezione e nell’attuazione delle politiche che interessano direttamente o indirettamente i mercati dell’occupazione e del lavoro.

1.10.

Le proposte di azioni concrete sono presentate in modo più particolareggiato nelle sezioni successive (da 2 a 5); nondimeno, il CESE riassume qui di seguito quelle che, a suo avviso, dovrebbero essere le principali priorità strategiche per il programma di lavoro della Commissione per il 2018, e segnatamente:

invita la Commissione a proseguire nell’attuazione delle strategie e dei programmi diretti all’ulteriore sviluppo del mercato unico, tenendo conto anche delle sue dimensioni economiche e sociali nel quadro dello sviluppo sostenibile. Pur riconoscendo che l’UEM è il fulcro del mercato unico, è particolarmente necessario adottare misure nel campo dei mercati dei capitali e dei mercati digitali, dell’energia e dei trasporti. Inoltre, il CESE chiede una politica commerciale attiva, che tenga conto della necessità di garantire la trasparenza e il pieno coinvolgimento della società civile;

esorta la Commissione ad adottare una strategia complessiva per la promozione dell’imprenditorialità, dell’innovazione e dello sviluppo industriale, che tenga conto delle opportunità e delle sfide implicate dalle grandi tendenze globali come i rapidi progressi nella digitalizzazione e l’Internet degli oggetti, nonché la transizione verso un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio,

invita la Commissione a sviluppare la dimensione sociale dell’UE, con l’obiettivo di promuovere la creazione di posti di lavoro di qualità, migliorare le capacità e le competenze, accrescere gli investimenti sociali, rafforzare lo sviluppo dell’economia sociale e prevenire la povertà, le disuguaglianze, la discriminazione e l’esclusione sociale, con un accento particolare sull’inclusione dei giovani nella società. Inoltre, un’attenzione specifica dovrebbe essere dedicata alla risposta ai profondi cambiamenti indotti dalla digitalizzazione nell’intera società,

chiede che siano adottate misure per concentrare le risorse finanziarie pubbliche in modo efficiente e rispondere alle sfide future poste dall’uscita del Regno Unito dall’UE e dalla necessità di garantire la crescita sostenibile, l’innovazione, l’occupazione e la coesione. Oltre agli investimenti pubblici, occorre altresì incoraggiare gli investimenti privati per far fronte al notevole fabbisogno di investimenti,

esorta la Commissione a proseguire l’attuazione delle misure, quali il controllo efficace delle frontiere esterne, intese a proteggere gli europei dalle minacce alla sicurezza, nonché a potenziare le misure volte a permettere all’UE di agire in modo più efficace sulla scena mondiale attraverso la cooperazione multilaterale e la prevenzione attiva dei conflitti. Il CESE considera inoltre necessario rafforzare la cooperazione in materia di difesa,

invita la Commissione a sviluppare una strategia tesa a instaurare un dialogo civile strutturato che sia organizzato in modo efficiente e su base permanente, e a tal fine le offre il proprio sostegno.

2.   Rafforzare i fondamenti economici dell’Europa

2.1.    Il semestre europeo e l’UEM

2.1.1.

Il processo del semestre europeo dovrebbe rafforzare il ruolo di coordinamento della Commissione al fine di assicurare il rispetto, da parte degli Stati membri, degli obiettivi e delle raccomandazioni della strategia Europa 2020 e l’attuazione delle riforme strutturali necessarie alla crescita economica sostenibile a lungo termine, alla creazione di posti di lavoro di qualità e al progresso sociale. Un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e di altre organizzazioni rappresentative della società civile e una loro maggiore titolarità nell’elaborazione e nell’attuazione di programmi di riforma costituiscono fattori chiave per il successo di tale processo, riconoscendo che le parti sociali hanno un ruolo specifico da svolgere, in considerazione delle loro competenze, responsabilità e funzioni esclusive.

2.1.2.

Il CESE chiede un adeguamento macroeconomico simmetrico condiviso sia dagli Stati membri con disavanzi che da quelli con avanzi, ivi compreso un orientamento positivo della politica di bilancio aggregata per l’intera zona euro.

2.1.3.

L’Unione economica e monetaria è un elemento centrale dell’integrazione europea. Il CESE rimanda ai suoi precedenti pareri e chiede iniziative per il completamento dell’UEM, ivi compresi lo sviluppo della sua governance, il controllo democratico e il dialogo macroeconomico.

2.2.    Risorse finanziarie e investimenti

2.2.1.

Con il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP), la Commissione dovrebbe gettare le basi per la concentrazione efficiente delle risorse, la risposta alle future sfide causate dall’uscita del Regno Unito dall’UE e la necessità di crescita sostenibile, competitività, innovazione, occupazione e coesione sociale, attraverso un approccio basato sulle prestazioni e orientato ai risultati. Il CESE invita la Commissione ad allineare la durata dei prossimi QFP al ciclo politico della Commissione e del Parlamento, ed esorta ad avviare i preparativi per l’introduzione di nuovi tipi di risorse proprie dell’UE.

2.2.2.

Il CESE plaude alla seconda fase del FEIS (Fondo europeo per gli investimenti strategici) per dare impulso agli investimenti coinvolgendo sempre più capitali privati assieme al capitale pubblico proveniente da fonti sia nazionali che regionali. A tal fine, il campo di applicazione del FEIS dovrebbe riguardare anche altre fonti di finanziamento oltre alle banche.

2.2.3.

Il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di utilizzare i fondi europei in modo efficace ed efficiente. Deve essere data la priorità agli investimenti nell’innovazione, nell’imprenditorialità, nello sviluppo delle competenze, nelle politiche attive del mercato del lavoro e nei sistemi digitali, energetici e di trasporto, garantendo un livello di finanziamento adeguato ai progetti con grande impatto sociale.

2.2.4.

Il CESE evidenzia l’esigenza di un’ulteriore attuazione dell’Unione dei mercati dei capitali per migliorare l’accesso ai finanziamenti privati, dedicando particolare attenzione alle esigenze delle PMI. Occorre inoltre promuovere un maggior ricorso al finanziamento attraverso i fondi propri e il mercato dei capitali.

2.2.5.

Riguardo al completamento dell’Unione bancaria, il CESE pone l’accento sulla necessità che un’ulteriore ripartizione dei rischi si accompagni a ulteriori proposte in materia di riduzione dei rischi. In occasione delle prossime riforme della regolamentazione bancaria, la Commissione dovrebbe prestare la dovuta attenzione alle specificità e alle possibilità delle banche meno complesse e di piccole dimensioni.

2.2.6.

Il CESE sollecita l’adozione di misure per ridurre la frode fiscale, l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva. È necessario cambiare l’attuale propensione dei sistemi fiscali a favorire il finanziamento delle imprese tramite il debito. Per quanto riguarda l’IVA, il CESE torna a raccomandare di abbandonare l’attuale regime transitorio a favore di un regime definitivo dell’IVA adeguato al mercato unico europeo.

2.3.    Sistemi digitali, energetici e di trasporto

2.3.1.

Il CESE mette in risalto l’importanza del mercato unico digitale per l’intera società. Le competenze digitali, un ambiente imprenditoriale propizio e la fiducia dei consumatori sono alcune delle condizioni più essenziali per il pieno sfruttamento del potenziale della digitalizzazione. Dal momento che i dati sono un fattore di produzione e una materia prima per la creazione di valore aggiunto economico, l’accessibilità e il libero flusso dei dati rivestono un’importanza estrema. Nel contempo, è necessario garantire l’adeguata protezione dei dati privati e commerciali, prestando particolare attenzione ai dati generati dalle singole imprese. Il CESE esorta altresì la Commissione a proseguire i suoi sforzi per accrescere le capacità e la cooperazione in materia di cibersicurezza. Inoltre, il CESE sollecita una cooperazione internazionale in ambito digitale, ad esempio nel quadro dell’OCSE.

2.3.2.

Si deve continuare lo sviluppo dell’infrastruttura digitale, ivi compresi le connessioni a banda larga e senza fili, i sistemi energetici e di trasporto digitali, nonché le comunità e gli edifici «intelligenti». Analogamente, occorre promuovere il ricorso alla digitalizzazione nei settori dell’istruzione, sanitario e sociale, nonché allo scopo di rendere più snelle le procedure amministrative. Si dovrebbe porre un particolare accento sulla fornitura della copertura alle zone isolate e dell’accesso digitale minimo per tutti, rafforzando inoltre l’inclusione dei gruppi vulnerabili della società.

2.3.3.

Tenuto conto dell’importanza orizzontale dei servizi di interesse economico generale (SIEG), il CESE invita la Commissione a migliorare tanto le regole sulla compensazione pubblica per la fornitura di tali servizi quanto la loro applicazione, definendo orientamenti ed elaborando un compendio delle migliori pratiche.

2.3.4.

Il CESE è stato fin dall’inizio un risoluto sostenitore dell’iniziativa per l’Unione dell’energia, e invita la Commissione a perseguire l’attuazione della strategia per l’Unione dell’energia, assicurando l’esistenza di un’adeguata infrastruttura energetica e di mercati energetici ben funzionanti che garantiscano ai cittadini e alle imprese la disponibilità di energia sicura, economicamente accessibile e rispettosa del clima. Il CESE pone in luce la rilevanza che il dialogo energetico ha a livello europeo, nazionale e locale con il pieno coinvolgimento della società civile. Esprimerà con regolarità i suoi punti di vista sullo stato dell’Unione dell’energia e sulle singole iniziative.

2.3.5.

I trasporti sono strettamente collegati all’Unione dell’energia. Essendo uno degli elementi basilari che consentono e favoriscono le attività dell’intera società, essi meritano un ruolo d’alto profilo nel programma di lavoro della Commissione. Il principale obiettivo delle misure dovrebbe consistere nell’assicurare ai cittadini e alle imprese una mobilità e dei trasporti accessibili, funzionanti, sicuri, abbordabili e rispettosi del clima. A tal fine sono necessari consistenti investimenti pubblici e privati nei sistemi di trasporto e lo sviluppo del trasporto pubblico. Le tematiche energetiche e climatiche legate ai trasporti, e l’introduzione di nuove tecnologie, non dovrebbero, pertanto, essere sviluppate separatamente dalle tematiche del mercato dei trasporti.

2.3.6.

Il CESE riconosce il ruolo svolto sia dalle città che dalle zone rurali nello sviluppo e nella coesione economici, sociali e territoriali dell’UE. Nel sottolineare il ruolo delle città, l’UE dovrebbe continuare a lavorare a un’agenda urbana ben definita e correttamente attuata. Nel nuovo approccio della Commissione allo sviluppo territoriale integrato si dovrebbe utilizzare il considerevole potenziale delle zone rurali, montane e insulari.

2.4.    Sviluppo della produzione e dei servizi

2.4.1.

Il CESE invita la Commissione ad adottare un approccio e una strategia complessivi in materia di sviluppo industriale, dedicando un’attenzione particolare alle opportunità e alle sfide implicate dalle grandi tendenze globali come i rapidi progressi della digitalizzazione e dell’Internet degli oggetti, all’interazione tra il settore produttivo e quello dei servizi e alla transizione verso un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio.

2.4.2.

Occorre inoltre liberare il potenziale di crescita dei servizi, compreso il settore del commercio al dettaglio, salvaguardando al tempo stesso i diritti dei consumatori e dei lavoratori e senza peraltro dimenticare che esistono ancora barriere nel mercato unico.

2.4.3.

La politica a favore dell’innovazione, compresa l’innovazione sociale, è cruciale per la competitività e il rinnovamento economici, come pure per il conseguimento di benefici per la società. Il CESE chiede la promozione di reti sovranazionali e di reti trasversali tra le università, le imprese e le organizzazioni della società civile nel quadro del programma Orizzonte 2020, e raccomanda la semplificazione delle norme amministrative sui finanziamenti e sugli aiuti di Stato.

2.4.4.

È necessaria una strategia per l’industria 4.0 e la società 4.0 a livello di UE, che si concentri sulle tecnologie e le piatteforme, sulle norme e le architetture di riferimento, sulle reti di poli regionali dell’innovazione e le competenze a tutti i livelli.

2.4.5.

Riguardo alle sfide poste dalle grandi tendenze globali a singoli comparti quali l’industria automobilistica, siderurgica e del carbone, il CESE invoca una corretta gestione del cambiamento strutturale mediante quadri di transizione equi e appropriati e un dialogo con le parti sociali sulle questioni specifiche ai singoli settori. D’altro canto, si devono cogliere e volgere a proprio vantaggio le opportunità emergenti in settori quali l’industria spaziale e della difesa, garantendo nel contempo condizioni favorevoli per lo sviluppo dei settori industriali in genere e buone condizioni di lavoro.

2.4.6.

In particolare si dovrebbero concentrare gli sforzi sul potenziamento dei finanziamenti, dell’innovazione e dell’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese; ed è necessario dare piena attuazione allo «Small Business Act» per l’Europa. Le politiche per le PMI dovrebbero essere adattate alle differenti esigenze delle varie forme di impresa, quali le imprese familiari, le piccole e microimprese tradizionali, le start-up e le imprese in fase di espansione, considerando anche le imprese dell’economia sociale. Il CESE invita altresì la Commissione ad avviare una consultazione sulla definizione di PMI.

2.4.7.

Il CESE giudica importante adottare un punto di vista d’insieme sulle nuove tendenze nei modelli di produzione e di consumo, quali i modelli economici collaborativo, circolare, della condivisione e funzionale, nonché sulle opportunità di sviluppo come l’economia sociale. Sono necessarie misure per agevolare l’introduzione di questi modelli nuovi e differenziati, assicurando al tempo stesso la parità di condizioni e il rispetto di norme pertinenti e appropriate, per garantire la protezione dei cittadini e dei consumatori, nonché i diritti dei lavoratori.

2.4.8.

Tenuto conto del ruolo specifico svolto dall’economia sociale, il CESE rilancia la sua richiesta di varare un piano d’azione globale per l’economia sociale in linea con le conclusioni del Consiglio del dicembre 2015 sulla promozione dell’economia sociale quale fattore essenziale dello sviluppo economico e sociale in Europa.

2.4.9.

Nell’affrontare le esigenze di finanziamento, modernizzazione e semplificazione della politica agricola comune (PAC) nell’ambito del prossimo QFP, si dovrebbero mantenere al centro della questione la multifunzionalità, la diversità dei modelli agricoli e la sostenibilità. Sono necessari maggiori sforzi anche in materia di ricerca e digitalizzazione nel settore agricolo.

2.4.10.

Il CESE esorta la Commissione a passare a una politica agricola e alimentare più integrata, che tenga altresì conto della necessità di orientarsi verso un’economia circolare e di ridurre drasticamente gli sprechi alimentari. La Commissione dovrebbe inoltre adottare una normativa per l’eliminazione delle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare.

2.4.11.

Per consentire un corretto sviluppo e rinnovamento delle industrie e dell’agricoltura, il quadro politico e normativo deve offrire un ambiente stabile e prevedibile per gli investimenti e il funzionamento, nonché attenersi ai principi del «legiferare meglio», tutto ciò per il benessere dei cittadini.

2.5.    Il commercio internazionale

2.5.1.

Il CESE chiede negoziati commerciali attivi ed equi con partner quali il Giappone, il Mercosur e l’ASEAN, nonché un’attuazione efficiente degli accordi già conclusi, che tenga conto delle questioni già sollevate nei suoi precedenti pareri. Sulla scorta della comunicazione della Commissione sul tema Commercio per tutti, il CESE reputa importante concludere i negoziati in modo equilibrato e trasparente, apportando benefici alle imprese e ai cittadini, salvaguardando nel contempo le norme in materia ambientale, sociale, di lavoro, di protezione dei consumatori ecc., come pure i servizi pubblici. Nel complesso, il CESE sottolinea l’importanza della trasparenza e del coinvolgimento della società civile sin dalle prime fasi della negoziazione, dell’attuazione e del monitoraggio degli accordi commerciali.

2.5.2.

Il CESE accoglie con favore i miglioramenti apportati al meccanismo della risoluzione delle controversie investitore-Stato, grazie all’introduzione di un nuovo sistema in sostituzione dell’ISDS (Investor-state dispute settlement), ma chiede alla Commissione di adottare ulteriori misure in modo che l’ICS (Investment Court System — Sistema giurisdizionale per gli investimenti) possa effettivamente funzionare come un organo giurisdizionale internazionale indipendente.

2.5.3.

Lo svolgimento di negoziati commerciali bilaterali non dovrebbe indebolire l’impegno dell’UE nei confronti dell’OMC e di un forte accordo globale multilaterale. Il CESE auspica che si dia un seguito attivo alla conferenza ministeriale dell’OMC 2017 in settori quali l’agricoltura e il commercio elettronico. Esiste inoltre una pressante necessità di valutare rischi e opportunità, nell’ottica della società civile, al fine di decidere la strada da seguire nei negoziati multilaterali in corso per l’accordo sugli scambi di servizi (TiSA) e l’accordo sui beni ambientali (EGA). Il CESE chiede altresì una celere adozione e attuazione delle riforme della politica di difesa commerciale dell’UE.

2.5.4.

Il CESE reputa importante assicurare la coerenza tra la politica commerciale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e la politica di sviluppo dell’UE. A tal fine, occorre che negli accordi commerciali figurino capitoli ambiziosi sul commercio e sullo sviluppo sostenibile, che prevedano robusti meccanismi di monitoraggio da parte della società civile.

2.5.5.

Oltre a ciò, il CESE chiede il monitoraggio da parte della società civile su tutti gli aspetti degli accordi, compresi quelli le cui disposizioni non prevedano specificamente alcun organo di monitoraggio comune che coinvolga la società civile. Le competenze specifiche che il CESE è in grado di mettere a disposizione fanno sì che il suo apporto a un lavoro di questo tipo rechi un valore aggiunto unico.

2.5.6.

Il CESE chiede altresì che si discuta con la società civile in merito alla valutazione dell’impatto e all’attuazione pratica del Tribunale multilaterale per gli investimenti proposto.

3.   Sviluppo della dimensione sociale dell’Europa

3.1.    Il pilastro europeo dei diritti sociali

3.1.1.

Il CESE prende atto della comunicazione della Commissione sul pilastro europeo dei diritti sociali e della proposta relativa alla Proclamazione di tale pilastro, nonché delle iniziative legislative e non legislative che l’accompagnano. Il Comitato sta lavorando su questo pacchetto ed esprimerà il proprio parere a tempo debito.

3.1.2.

Per il momento, il CESE fa riferimento al suo precedente parere sul tema (1), nel quale ha presentato i suoi obiettivi generali per lo sviluppo del pilastro attraverso una combinazione di strumenti giuridici e non giuridici collegati ad ambiti quali il futuro del lavoro, condizioni di lavoro eque, l’occupazione, l’attuazione dell’attuale acquis sociale dell’UE e gli investimenti sociali. Nel suddetto parere, il Comitato affermava che il pilastro dovrebbe valere per l’insieme degli Stati membri, riconoscendo la possibilità che la zona euro richieda strumenti o meccanismi specifici. Il Comitato sosteneva inoltre che il semestre europeo e i programmi nazionali di riforma sarebbero dovuti diventare gli strumenti principali per l’attuazione e il monitoraggio del pilastro e chiedeva di definire parametri di riferimento concreti nel quadro del semestre europeo.

3.1.3.

Le condizioni quadro nei mercati del lavoro devono sostenere percorsi professionali nuovi e più diversificati. Nella vita lavorativa sono necessarie forme diverse di assunzione della forza lavoro e diverse forme di lavoro. Ciò esige che vi sia un ambiente legislativo di protezione dell’occupazione adatto per fornire un quadro per condizioni di lavoro eque e per incoraggiare assunzioni a titolo di tutti i contratti di lavoro.

3.1.4.

Al fine di rispondere alla mutevole domanda di qualifiche e competenze, il CESE sottolinea la necessità di migliorare il sistema di istruzione basato sul lavoro, l’istruzione e la formazione professionali, l’apprendimento permanente, così come il miglioramento delle competenze e la riconversione professionale. Vanno sviluppate inoltre le modalità per garantire transizioni più agevoli da un posto di lavoro e un altro, come pure dalla disoccupazione e dall’istruzione all’occupazione, allo scopo di conseguire un mercato del lavoro inclusivo.

3.1.5.

Consapevole che il futuro dell’UE è strettamente legato alla fiducia delle generazioni più giovani nel progetto europeo, il CESE sottolinea che la Commissione dovrebbe moltiplicare gli sforzi per affrontare efficacemente le cause profonde della disoccupazione e dell’esclusione giovanile.

3.1.6.

Al fine di rafforzare la crescita inclusiva e la coesione sociale, il CESE invita ad adottare misure per soddisfare le necessità di investimenti sociali, nel senso di investire sia nelle persone che nelle infrastrutture e nei servizi sociali. È necessario valutare ulteriormente in che modo collegare il «piano Juncker 2» con gli obiettivi del pacchetto di investimenti sociali, anche attraverso il FEIS. Inoltre, il CESE invoca un Patto europeo per gli investimenti sociali che dovrebbe sostenere le riforme sociali e gli investimenti sociali e contribuire alla convergenza economica, sociale e territoriale rinnovata. Anche l’Analisi annuale della crescita dovrebbe focalizzare l’attenzione sugli investimenti sociali.

3.1.7.

Il Fondo sociale europeo dovrebbe continuare a costituire un elemento chiave dei fondi SIE, dedicando specifica attenzione a promuovere la formazione e l’integrazione sul lavoro dei gruppi vulnerabili della popolazione (ad esempio i giovani, gli immigrati e i rifugiati e le persone con disabilità). Occorre rendere più sistematici e inclusivi il consolidamento e l’attuazione dei nuovi processi Erasmus. Il CESE rilancia inoltre la propria richiesta di dare a tutti i giovani l’opportunità di beneficiare degli scambi europei.

3.1.8.

Pur riconoscendo che la riduzione della povertà rientra in primo luogo tra le competenze degli Stati membri, il CESE sottolinea che: tale obiettivo dovrebbe essere affrontato sistematicamente attraverso il processo del semestre europeo; occorre continuare a sostenere la ricerca accademica sui «bilanci di riferimento» che consentono un’esistenza dignitosa; dovrebbero esistere indicatori comparabili e comuni, quali ad esempio quelli in materia di povertà e di disuguaglianza, nonché valutazioni d’impatto sociale obbligatorie di tutti i pacchetti di riforme proposti nei programmi nazionali di riforma e nelle raccomandazioni specifiche per paese. Il CESE si è anche detto favorevole alla creazione di un fondo europeo integrato per la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, sulla base delle esperienze acquisite con l’attuazione del FEAD e del FSE. Oltre a ciò, la strategia Europa 2020 dovrebbe essere collegata all’attuazione dell’Agenda 2030.

3.2.    I diritti dei cittadini e dei consumatori

3.2.1.

Il CESE invita la Commissione a monitorare con attenzione il rispetto, da parte degli Stati membri, dei valori e dei principi fondamentali dell’UE, nonché a rafforzare le procedure volte a proteggere e difendere la democrazia, lo stato di diritto, i diritti fondamentali, i diritti umani e l’accesso alla giustizia.

3.2.2.

La politica dei consumatori è un argomento che sta molto a cuore ai cittadini e che può, di conseguenza, influenzare la loro adesione al processo di integrazione dell’UE. Il CESE invita la Commissione a garantire l’attuazione e il rispetto dei diritti dei consumatori in relazione al processo REFIT, al mondo digitale e alla sicurezza di prodotti e servizi. La Commissione dovrebbe rafforzare le misure volte a eliminare la povertà energetica e la povertà dei consumi, nonché a migliorare l’accesso di tutti gli europei agli alimenti e ai servizi. Dovrebbe altresì promuovere i diritti dei consumatori all’informazione, all’istruzione e alla partecipazione, nonché il loro diritto a organizzarsi autonomamente, in modo che i loro interessi siano rappresentati allorché si concepiscono le norme che li riguardano.

3.2.3.

Il CESE invita la Commissione ad adottare tutte le opportune misure per contrastare la discriminazione di genere sul mercato del lavoro, nell’istruzione e nei processi decisionali, come pure la violenza di genere. Il CESE invita la Commissione a redigere un’agenda per la protezione delle minoranze e dei gruppi vulnerabili, promuovendo il pieno rispetto dei diritti fondamentali e la non discriminazione. La Commissione dovrebbe altresì intensificare gli sforzi per lo sblocco della direttiva sull’attuazione dei principi della parità di trattamento e intervenire sulle condizioni dei minori e delle donne in situazioni vulnerabili, nonché sulle nuove forme di vulnerabilità.

3.2.4.

La Commissione dovrà concludere la revisione dei principali strumenti giuridici e non giuridici della politica europea per i consumatori in quanto politica di cittadinanza a carattere trasversale e orizzontale e presentare un nuovo piano d’azione per la tutela e la difesa dei consumatori per i prossimi 10 anni.

3.2.5.

La Commissione dovrebbe potenziare la strategia europea per la disabilità, in linea con le raccomandazioni della commissione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità. Inoltre, nelle sue politiche esterne e nei suoi programmi esterni, dovrebbe attuare la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ivi compreso il lancio di una tessera di disabilità dell’UE riconosciuta in tutti gli Stati membri. Si dovrebbero altresì avviare i preparativi per un’agenda europea dei diritti delle persone con disabilità 2020-2030 e si dovrebbe dichiarare il 2021 Anno europeo dei diritti delle persone con disabilità.

3.2.6.

L’accessibilità per tutti dovrebbe essere integrata nelle iniziative per il mercato unico digitale. A tal fine, la Commissione dovrebbe intensificare i suoi sforzi per la conclusione dei negoziati con le altre istituzioni relativi all’atto europeo sull’accessibilità. Si dovrebbero inoltre rafforzare i diritti dei passeggeri, ponendo particolare attenzione alle persone con disabilità e a mobilità ridotta.

3.2.7.

Inoltre, il CESE incoraggia la Commissione a sostenere le attività degli istituti di istruzione di ogni ordine e grado tese ad aiutare gli studenti a distinguere tra le notizie false e i fatti dotati di fondamento scientifico.

3.3.    Migrazione

3.3.1.

Il CESE sottolinea la necessità di assistere e integrare i profughi e i richiedenti asilo, ed è favorevole a un’efficiente riforma del sistema europeo comune di asilo, rispettosa dei diritti umani, e l’istituzione di un sistema autenticamente comune per tutti gli Stati membri. Raccomanda altresì che si compiano progressi in fatto di visti umanitari e di reinsediamento per i profughi, al fine di soddisfare le esigenze reali. Invita la Commissione a vigilare sull’attuazione dell’accordo sulla distribuzione dei profughi tra gli Stati membri.

3.3.2.

Chiede inoltre un riesame degli accordi di partenariato con i paesi terzi di transito e di origine dei flussi migratori affinché rispettino i diritti umani e il diritto internazionale e mettano a punto gli strumenti finanziari per affrontare le cause profonde della migrazione.

3.3.3.

Pur apprezzando il lavoro svolto dalla Commissione sui canali legali di migrazione attraverso la valutazione delle direttive esistenti, il CESE chiede una governance a più lungo termine della migrazione dei lavoratori, la pianificazione di canali aggiornati per la mobilità legale e lo scambio di informazioni sulle opportunità offerte dal mercato del lavoro. Tenuto conto della struttura demografica dell’Europa, il CESE sottolinea la necessità di trasformare la sfida dell’integrazione dei profughi e dei migranti nel mercato del lavoro in un’opportunità. Gli investimenti nella formazione e in sistemi adeguati di sostegno saranno un fattore chiave per facilitare l’inserimento dei migranti nel mercato del lavoro e per aiutarli a realizzare il loro potenziale, utilizzando le loro competenze, il loro spirito imprenditoriale e il loro dinamismo, pur riconoscendo il valore della diversità e delle differenti culture nella nostra società in generale.

3.3.4.

Il CESE reputa che il 2018, in quanto Anno europeo del patrimonio culturale, offra un’opportunità unica per mobilitare tutti gli attori per il contrasto del populismo e del nazionalismo e la promozione di una narrazione positiva per il futuro dell’Europa. In tale contesto, si potrebbe anche migliorare la sensibilizzazione alla necessità della comprensione interculturale in merito ai rifugiati e ai migranti.

3.4.    Sicurezza interna e politica esterna

3.4.1.

Il CESE invita la Commissione a proseguire l’attuazione di misure, compreso il controllo efficace delle frontiere esterne, per proteggere gli europei dalle minacce alla sicurezza quali il terrorismo, la criminalità organizzata e la criminalità informatica.

3.4.2.

Considera inoltre necessario potenziare la cooperazione in materia di difesa. A tal fine, il CESE approva la creazione di un’Unione europea della difesa e plaude al piano d’azione europeo in materia di difesa.

3.4.3.

Tenuto conto delle sfide poste dall’imprevedibilità della politica degli Stati Uniti e considerato il rischio di un rafforzamento del protezionismo e dell’unilateralismo, il CESE incoraggia l’UE a continuare a operare in linea con la sua Strategia globale, sostenendo il multilateralismo nel quadro delle Nazioni Unite e adoperandosi proattivamente per prevenire i conflitti e risolvere le crisi internazionali. Il CESE sottolinea inoltre la necessità di un più stretto coordinamento, tra gli Stati membri, degli obiettivi, delle politiche e delle risorse affinché l’UE sia un attore più efficace sulla scena mondiale.

3.4.4.

L’attuazione dell’Agenda 2030 dovrebbe costituire la base della cooperazione allo sviluppo dell’UE. Per dar prova di leadership, l’UE dovrebbe presentare un riesame volontario delle sue attività interne ed esterne sugli OSS al forum politico ad alto livello delle Nazioni Unite.

3.4.5.

Il CESE sostiene l’istituzione di una piattaforma per il dialogo con le parti sociali nel contesto della politica europea di vicinato, al fine di valutare meglio il mercato del lavoro e invita gli Stati membri dell’UE a elaborare un approccio europeo comune al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale tra l’UE e i paesi limitrofi meridionali. La politica di vicinato deve fare chiarezza sul legame tra instabilità e povertà da un lato, e disuguaglianza e mancanza di opportunità dall’altro, che può accrescere la vulnerabilità alla radicalizzazione e intralciare il processo di democratizzazione.

3.4.6.

Il CESE mette in risalo la rilevanza delle relazioni economiche esterne e della diplomazia internazionale per la salvaguardia e il consolidamento della stabilità e della sicurezza, e incoraggia l’UE ad avvalersi appieno del ruolo che la cultura può svolgere nelle relazioni internazionali.

4.   Agevolare la transizione verso un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio

4.1.

Il piano d’azione sull’economia circolare dovrebbe essere attuato in modo integrato e coerente, valendosi di ogni opportunità per conciliare tra loro gli aspetti economici, sociali e ambientali. Il CESE invita la Commissione a incoraggiare le attività orientate al mercato promuovendo l’innovazione, agevolando le iniziative d’avanguardia, anche nelle aree più remote e nelle zone urbane, rafforzando la loro espansione e fornendo un quadro normativo favorevole; e sottolinea altresì i legami tra l’economia circolare e altri «nuovi modelli economici».

4.2.

Si dovrebbe inoltre prestare la dovuta attenzione ad attuare la politica e la normativa ambientali «tradizionali», in cui rientrano la gestione dei rifiuti e la protezione dell’aria, dell’acqua, del suolo e della biodiversità. Il CESE esorta la Commissione a proseguire tale lavoro nell’ambito del processo europeo di verifica ambientale.

4.3.

Gli obiettivi in materia di clima per il 2030 dovrebbero essere attuati con la massima efficienza possibile sotto il profilo dei costi. A tal fine, il CESE invita la Commissione ad effettuare una valutazione globale degli attuali strumenti della politica volta a ridurre le emissioni di carbonio e a garantire che gli strumenti siano adeguati e utilizzati nel modo più efficiente possibile.

4.4.

La Commissione dovrebbe inoltre considerare le questioni climatiche dal punto di vista della giustizia climatica, vale a dire nell’ottica di questioni quali l’uguaglianza, i diritti umani e la povertà.

4.5.

Nella lotta ai cambiamenti climatici, la diplomazia climatica rimane per l’UE un’importante missione. È necessario portare tutti i maggiori produttori di emissioni a impegnarsi per obiettivi ambiziosi almeno quanto quelli dell’UE. Il CESE incoraggia inoltre la Commissione ad adoperarsi per una tariffazione globale del carbonio, al fine di creare la parità di condizioni in relazione ai concorrenti esterni all’UE.

4.6.

Il CESE invita la Commissione a preparare una strategia volta a incrementare l’impatto positivo globale («handprint») dell’UE sul clima e sull’ambiente. Per far ciò sono necessari un contesto propizio all’innovazione e agli investimenti e condizioni commerciali favorevoli all’esportazione di soluzioni per il clima e di prodotti a basse emissioni di carbonio. In questo modo, infatti, l’UE può recare un contributo efficace alle sfide relative all’ambiente e ai cambiamenti climatici, e produrre un impatto molto maggiore di quanto farebbe operando soltanto all’interno delle sue frontiere.

5.   Responsabilizzare, coinvolgere e consultare la società civile

5.1.

Il CESE sottolinea il ruolo centrale che le organizzazioni della società civile sono chiamate a svolgere nella concezione, nell’attuazione e nel monitoraggio delle politiche, in tutte le fasi e a tutti i livelli, compreso quello locale. Ciò presuppone un cambiamento della cultura e un riconoscimento del valore della società civile al livello dell’Unione e degli Stati membri, già sancito all’articolo 11 del TUE, secondo il quale le istituzioni dell’UE promuovono e agevolano il dialogo civile orizzontale e verticale, procedono ad ampie consultazioni e gettano le basi per le iniziative dei cittadini europei. Si tratta di processi complementari, che hanno luogo senza pregiudicare la consultazione del CESE e il dialogo sociale.

5.2.

Il CESE segue da vicino e partecipa attivamente al dialogo strutturato o ai forum consultivi (ad esempio, la piattaforma delle parti interessate per l’economia circolare, il Forum europeo sulla migrazione), che riuniscono e coinvolgono le organizzazioni della società civile e altri attori delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri, e invita a sostenere le sue iniziative per la creazione di una piattaforma per il cambiamento (parità di genere nel settore dei trasporti) e di un forum istituzionale sulla partecipazione dei cittadini (nel quadro dell’iniziativa dei cittadini). Nel costituire piattaforme quali la piattaforma REFIT, la Commissione dovrebbe considerare la possibilità che vi sia rappresentato il CESE, conformemente al mandato ad esso conferito dai Trattati, e, in questo quadro, dovrebbe garantire che ciò rispecchi la composizione del Comitato nella sua articolazione in tre gruppi.

5.3.

A integrazione delle suddette iniziative, la Commissione ha istituito di recente un apposito portale Internet intitolato Contribuire al processo legislativo per raccogliere le opinioni del pubblico in generale, compresi quindi sia le organizzazioni che i singoli. Il CESE raccomanda alla Commissione di fare una distinzione tra i contributi ricevuti dalle organizzazioni della società civile e quelle provenienti dai singoli cittadini. A tal fine, la Commissione dovrebbe procedere a una mappatura dei soggetti interessati in cooperazione con il CESE per individuare gruppi obiettivo rappresentativi ed equilibrati dal punto di vista geografico, basandosi sul registro per la trasparenza. Inoltre, la Commissione dovrebbe far sì che le risposte siano ponderate sul piano quantitativo e qualitativo. Infine, la Commissione dovrebbe adoperarsi costantemente per il miglioramento della trasparenza, dell’accessibilità, del feedback e della responsabilità, dei partecipanti.

5.4.

Il CESE invita la Commissione a mettere a punto un approccio più strategico a dette pratiche, strutturandole meglio soprattutto su base istituzionale e rappresentativa, attingendo alle risorse degli organi consultivi rappresentativi o dei loro omologhi già esistenti sia a livello europeo che negli Stati membri e nelle regioni. A tal fine, la Commissione dovrebbe collaborare strettamente con il CESE, invitandolo a elaborare un parere esplorativo sulle possibilità di organizzare efficacemente e su base permanente il dialogo civile, in vista di una specifica comunicazione della Commissione.

5.5.

Il CESE sottolinea la necessità di potenziare l’efficacia dell’iniziativa dei cittadini europei, in linea con l’annuncio della revisione del regolamento ICE da parte del primo vicepresidente Timmermans, e di esplorare nuove modalità, quali l’utilizzo di strumenti digitali, per accrescere la partecipazione dei giovani e delle persone appartenenti a gruppi vulnerabili in particolare.

5.6.

Infine, il CESE prende atto di come la Commissione abbia tenuto conto di molti elementi del contributo del Comitato stesso al programma di lavoro per il 2017. Esistono tuttavia anche questioni che non sono state incluse e sono pertanto state risollevate nel presente documento. Per quanto concerne l’attuazione del programma di lavoro della Commissione europea per il 2018, il CESE è pronto a presentare le sue opinioni e a partecipare ai lavori sulle iniziative specifiche nell’arco del prossimo anno.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del 25 gennaio 2017 in merito alla comunicazione della Commissione Avvio di una consultazione su un pilastro europeo dei diritti sociali (GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10).


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/11


Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul «Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa e oltre»

(2017/C 345/02)

Nella sessione plenaria del 5 e 6 luglio 2017 (seduta del 5 luglio) il Comitato economico e sociale europeo ha adottato la seguente risoluzione con 226 voti favorevoli, 16 voti contrari e 15 astensioni.

Verso una visione comune

Il punto di vista del CESE sul futuro dell’Europa  (1)

1.

La società e i cittadini d’Europa chiedono un’Unione europea credibile, dotata di legittimità democratica e resiliente. Da più di dieci anni a questa parte l’UE deve far fronte ad una serie di shock politici, economici e sociali, che mettono l’Unione a dura prova e suscitano incertezza fra i cittadini inducendoli al pessimismo. L’UE ha bisogno di strategie globali per promuovere il benessere dei suoi cittadini, investimenti robusti e sostenibili, creatività e imprenditorialità, e per affrontare il crescente divario tra ricchi e poveri, la povertà e l’ineguale distribuzione della ricchezza. Il fatto che oggi si registri una ripresa economica non dovrebbe assolutamente costituire un pretesto per rimanere passivi. Per contro, il CESE esorta a trovare il modo di procedere in maniera ponderata e compatta al fine di ripristinare e rafforzare la fiducia, nonché a concentrarsi su risultati tangibili per i cittadini e sul considerevole potenziale dell’Europa.

2.

Nel contempo, però, occorre evitare di alimentare false aspettative. Prima di ogni altra cosa, lo scopo dovrebbe essere quello di dar vita a un’Unione europea in grado di offrire realmente pari opportunità per tutti. I fattori economici, sociali e ambientali sono tra loro strettamente interconnessi. È essenziale porre il continente europeo nelle condizioni di adattarsi alle profonde trasformazioni e all’agguerrita concorrenza in atto in tutto il mondo e di plasmare effettivamente la globalizzazione secondo i valori dell’Unione europea.

3.

Il gioco dello «scaricabarile su Bruxelles», in cui troppi ancora continuano a indulgere, deve avere fine. È indispensabile un impegno comune da parte delle istituzioni dell’UE e di un ampio spettro di portatori di interesse — comprese le parti sociali e le organizzazioni della società civile — a livello sia nazionale che europeo. Il CESE sottolinea che la legittimità delle decisioni dell’UE dipende in ultima analisi dalla qualità del processo democratico.

4.

Il cammino che si apre dinanzi a noi può essere percorso con successo soltanto se l’Unione è ispirata dalla medesima visione comune che esprimeva il convincimento dei padri fondatori e ha poi trovato riscontro in ogni grande passo avanti dell’Europa. L’UE dovrebbe mobilitare gli strumenti legislativi e di orientamento, finanziamento e cooperazione a sua disposizione per consentire all’Europa di progredire in tutte le dimensioni volute. E il trattato di Lisbona è la bussola che indica la direzione da seguire.

Gli scenari prospettati nel Libro bianco

5.

Il CESE non ritiene che compiere una scelta tra i diversi scenari (2) sia un metodo efficace per promuovere una visione comune o per tracciare il nostro percorso futuro. In primo luogo, infatti, l’UE non parte da zero, ragion per cui la CE dovrebbe basare le sue proposte su un’analisi approfondita della storia dell’integrazione europea — delle sue conquiste e delle sue occasioni mancate — in quanto si tratta di una fonte preziosa per progettare il futuro. E in tal senso gli impegni assunti dagli Stati membri nella dichiarazione di Roma sono un valido e solido punto di partenza (3). In secondo luogo, i cinque scenari prospettati si rivolgono agli Stati membri, ponendo l’accento sui cambiamenti istituzionali, e non hanno pertanto una rilevanza diretta per i cittadini europei. Tali scenari, inoltre, appaiono artificiosi.

6.

Lo scenario 1, che a giudizio del CESE sarebbe un semplice navigare a vista evitando alla meno peggio gli scogli, non è un’opzione che si possa prendere in considerazione. Lo scenario 5 risulta attraente per un certo numero di persone, ma allo stato attuale non è realistico. Lo scenario 2, con il suo concentrarsi esclusivamente sul mercato comune, è veramente troppo limitato. Lo scenario 4 presuppone un accordo tra 27 Stati membri, il che potrebbe provocare la paralisi dell’UE e favorire le tendenze centrifughe, mettendo a repentaglio gli obiettivi e i valori dell’Unione. I meccanismi di integrazione differenziata — quali la cooperazione rafforzata — previsti dallo scenario 3 potrebbero essere strumenti utili per superare i veti posti in determinati ambiti e stimolare una dinamica positiva nel processo d’integrazione dell’UE; ma si tratta, appunto, di una serie di strumenti per conseguire gli obiettivi delle politiche piuttosto che di un obiettivo in sé. Se il ricorso a tali strumenti si raccomanda senz’altro come un modo di superare situazioni di stallo oppure ostacoli che si frappongano all’adozione di misure legislative auspicabili a livello europeo, tuttavia il CESE sottolinea anche la necessità di promuovere la convergenza all’interno dell’UE e di contrastare la frammentazione e le divisioni. Di conseguenza, ogni eventuale accordo tra i paesi in prima linea o catalizzatori dovrebbe sempre essere aperto all’adesione dei volenterosi, fermo restando che, in ogni caso, a prevalere dovrebbe essere una visione comune.

Il punto di vista del CESE sulla questione del futuro dell’Europa

A.    Metodo

7.

I temi strategici dovrebbero essere collocati in una prospettiva comune, per scongiurare la minaccia di un’Europa à la carte o attraversata da tendenze centrifughe. Il CESE raccomanda che, nell’Europa del futuro, siano stabilite le condizioni per una migliore ripartizione del potere politico in tutti i campi e a tutti i livelli. Tutto questo, però, è uno sviluppo che dipende principalmente dalla volontà politica e, in quanto tale, dovrebbe essere al centro di un dibattito autentico sul nostro futuro.

8.

La tradizionale distinzione tra il livello nazionale e quello europeo dovrebbe venire meno. Il fatto che in tutto il continente si sia confrontati a sfide comuni e le diverse realtà siano interconnesse rende evidente la necessità di una missione comune, nonché del riconoscimento di una cittadinanza europea accanto a quella nazionale. Il processo di definizione delle politiche deve includere e coinvolgere tutti i livelli della società. Occorre che gli obiettivi siano condivisi e che l’impatto delle decisioni e delle politiche sia valutato sistematicamente anche a livello nazionale, regionale e locale per ottenere il sostegno dei cittadini.

9.

Il Parlamento europeo (PE) deve svolgere un ruolo centrale nel definire la direzione futura dell’Europa. Inoltre, vi è un’assoluta necessità di promuovere la partecipazione dei parlamenti nazionali, nonché la loro interazione con il PE.

10.

Gli obiettivi essenziali devono essere accompagnati da un accordo tra gli Stati membri su:

traguardi, scadenze e strumenti comuni; e al riguardo la cosa più necessaria è una narrazione comune, basata sulla coerenza, la trasparenza, la visibilità e, soprattutto, una comunicazione condivisa,

un’auspicata riforma del Consiglio che ne assicuri l’efficacia e la trasparenza, garantendo al tempo stesso l’indipendenza della CE sia nelle materie di competenza esclusiva che in quelle di competenza concorrente, con un forte accento sul metodo comunitario,

la necessità di meccanismi ben regolati di consultazione di tutte le parti interessate, nonché di un’attuazione effettiva e corretta e del rispetto dello Stato di diritto.

B.    Politiche

11.

Quale che sia l’opzione che si sceglierà di adottare per il futuro dell’Europa, il CESE auspica vivamente un’Unione europea coerente e coesa. Molte delle attuali politiche rientrano nell’approfondimento dell’integrazione europea, un processo a lungo termine che il CESE sostiene pienamente. Su quasi tutte queste politiche, il CESE ha formulato di recente osservazioni e proposte dettagliate per il futuro.

12.

Il mercato unico, in tutte le sue dimensioni economiche e sociali e nel quadro di un modello di sviluppo sostenibile, è il cemento imprescindibile della costruzione europea. Esso dovrebbe garantire condizioni di concorrenza realmente eque. Nello stesso ordine di idee, nell’Unione economica e monetaria (UEM) si è voluto scorgere un passo in avanti decisivo; eppure, malgrado gli enormi progressi compiuti, la sua architettura è ancora fragile. L’UEM è al centro di ogni evoluzione futura dell’UE, ragion per cui il suo approfondimento riveste un’importanza cruciale. Il CESE è favorevole a intraprendere un percorso graduale verso un’unione politica, con una gamma di misure e disposizioni macro- e microeconomiche e con una forte dimensione sociale. Il completamento dell’UEM richiede un’autentica governance economica, compresa la gestione del settore finanziario dell’Unione europea, riforme ben concepite negli Stati membri interessati e impostazioni condivise delle politiche del mercato del lavoro. Una governance migliorata deve rafforzare le fondamenta di una maggiore convergenza e solidarietà in tutta l’area dell’euro. E al riguardo la grande competenza dei servizi pubblici dell’UE può svolgere un ruolo di sostegno. I paesi dell’area dell’euro dovrebbero avviare tra loro una più stretta cooperazione anche in altri settori.

13.

Il CESE sottolinea inoltre la necessità di una governance più coerente, di un’integrazione più profonda e di un impegno senza riserve degli Stati membri nei seguenti ambiti:

una politica industriale europea coordinata, fondata sulla concorrenza equa (tale da scoraggiare altresì l’evasione fiscale) e garante di un approccio condiviso che rimpiazzi le impostazioni nazionali migliorando, in tutta Europa, le condizioni atte a stimolare la competitività in un’economia sociale di mercato, con la partecipazione e l’impegno a dialoghi consensuali di tutte le parti interessate, nonché agevolando gli investimenti (programmi) e sostenendo le piccole e medie imprese,

la promozione di una convergenza sociale verso l’alto — in linea con la convergenza economica — in termini di risultati occupazionali e sociali, attraverso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali e nel rispetto delle competenze nazionali,

un’Unione dell’energia dotata di una governance adeguata, indispensabile per realizzare un autentico mercato comune e garantire la sicurezza energetica,

una strategia e un quadro normativo europei lungimiranti per lottare contro i cambiamenti climatici sulla base dell’accordo di Parigi, contribuire agli accordi internazionali sul clima e integrare la promozione dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile in tutte le politiche dell’UE,

un mercato unico digitale inteso come un elemento importante della competitività futura e che promuova la creazione di posti di lavoro di qualità, anticipando nel contempo gli effetti della trasformazione digitale sull’occupazione e sui mercati del lavoro,

una strategia europea rafforzata in materia di tecnologia, ricerca e innovazione,

una politica commerciale (multilaterale) che, nel quadro di negoziati trasparenti, assicuri l’apertura dei mercati e la sostenibilità sociale e ambientale, prestando inoltre un’attenzione specifica alla parità nelle relazioni commerciali per salvaguardare gli interessi europei in un mondo in cui le tendenze protezionistiche sono sempre più forti,

una politica europea per i consumatori in quanto politica di cittadinanza.

14.

A giudizio del CESE, anche le questioni sociali e dell’istruzione dovrebbero essere affrontate in maniera più sistematica a livello europeo, allo scopo di elaborare soluzioni convincenti. La sicurezza sociale e l’istruzione sono per lo più soggette al principio di sussidiarietà, rientrando nel campo di applicazione delle normative e dei processi decisionali dei singoli Stati membri, spesso con la partecipazione attiva delle parti sociali. In materia di affari sociali, le competenze concorrenti dell’UE e degli Stati membri devono essere applicate meglio. Considerate le crescenti tensioni indotte sui mercati del lavoro dalla rivoluzione digitale, le carenze strutturali di tali mercati e la globalizzazione, il CESE invoca un impulso europeo visibile che spinga per una maggiore convergenza su determinate condizioni sociali e lavorative, contribuendo nel contempo a promuovere la creazione di posti di lavoro di qualità, una mobilità equa e un impegno proattivo da parte dei cittadini. E una particolare attenzione deve essere dedicata ai giovani e alla disoccupazione giovanile. Il ruolo delle parti sociali, e in generale della società civile, e quello del dialogo sociale rivestono un’importanza fondamentale.

15.

Nell’UE vi è bisogno di più convergenza economica e di più convergenza sociale. Il che non toglie, beninteso, che si debba tener conto delle differenze tra le economie, le culture e le tradizioni dei sistemi sociali dei singoli Stati membri. Il CESE sottolinea che l’UE non dovrebbe restare in disparte come un osservatore passivo, bensì assumersi una responsabilità ben precisa. Prima di poter definire un percorso comune per il futuro, sono necessarie discussioni appropriate tra le parti sociali (e gli altri soggetti interessati). Inoltre, il CESE richiama l’attenzione sull’importanza che le direttive UE in campo sociale siano attuate correttamente dagli Stati membri.

16.

Come si è già ricordato, anche l’istruzione è soggetta al principio di sussidiarietà. Tuttavia, è innegabile che il futuro della società e dell’economia europee e l’impegno dei cittadini siano strettamente legati all’aggiornamento dei sistemi di istruzione e di formazione a tutti i livelli. Il futuro delle giovani generazioni dipende fortemente dall’istruzione, e le competenze che essa fornisce sono cruciali sia per i giovani che per i meno giovani. L’Unione europea deve pertanto assumere un ruolo attivo nel processo di modernizzazione oggi in corso. L’istruzione, inoltre, svolge un ruolo importante nel «comunicare l’Europa»; e in merito il CESE sottolinea la necessità di garantire, nelle scuole primarie e secondarie, un’informazione e un’istruzione adeguate sull’Unione europea, in particolare in materia di valori europei e cittadinanza europea.

17.

Deve essere ripristinata la libera circolazione delle persone all’interno dello spazio Schengen, e ciò implica necessariamente che le frontiere comuni debbano essere controllate in modo più efficace. Parallelamente, si deve combattere il deplorevole aumento del terrorismo internazionale — responsabile di delitti di sangue ma anche di crimini informatici — che rappresenta un grave motivo di insicurezza per i cittadini. Oggi più che mai, dunque, è necessario che le forze di polizia e le autorità giudiziarie dei vari paesi cooperino tra loro.

18.

I temi summenzionati sono direttamente connessi alla politica estera e al grave problema degli Stati in disfacimento e delle guerre civili in paesi vicini all’Europa, nonché dei conseguenti flussi migratori che stanno attualmente mettendo in ombra tutte le altre questioni europee. Il CESE è decisamente a favore di una politica migratoria congiunta che garantisca ai rifugiati la protezione prevista dal diritto internazionale, di un sistema comune di asilo, di un’azione volta a combattere la migrazione illegale e la tratta di esseri umani, e della promozione di vie di accesso legali all’Unione europea. In quest’ottica, l’UE deve istituire partenariati adeguati con i paesi vicini, e in particolare deve rilanciare un’autentica politica euromediterranea.

19.

Come mai prima dal 1945, oggi l’Europa si trova ad affrontare la sfida di occuparsi di se stessa. Tanto le relazioni con la NATO e gli Stati Uniti quanto una gestione comune europea efficace dei problemi insorti all’interno dell’ampia area geografica intorno all’UE richiedono con urgenza un approfondimento della politica estera e di sicurezza comune europea, da cui dipenderà necessariamente la capacità di garantire un’effettiva sicurezza interna ed esterna.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  La presente risoluzione, adottata dal Comitato economico e sociale europeo (CESE) nella sessione plenaria del 5 luglio 2017, dà seguito a una richiesta del presidente della Commissione europea (CE) Jean-Claude Juncker, trasmessa il 4 aprile 2017, che invitava il CESE ad indicare — sulla base del Libro bianco sul futuro dell’Unione europea — le proposte e le priorità della società civile organizzata europea per lo sviluppo futuro dell’UE.

(2)  Cfr. il Libro bianco sul futuro dell’Europa, pubblicato nel marzo 2017.

(3)  Dichiarazione dei leader di 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea, adottata il 25 marzo 2017:

http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2017/03/25-rome-declaration/.


PARERI

Comitato economico e sociale europeo

527a sessione plenaria del CESE dei giorni 5 e 6 luglio 2017

13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «Migliorare l’efficacia delle politiche dell’UE a favore delle PMI»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/03)

Relatrice:

Milena ANGELOVA

Decisione dell’Assemblea plenaria

21.1.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

7.6.2017

Adozione in sessione plenaria

6.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/1/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE si compiace del fatto che le piccole e medie imprese (PMI) vengano riconosciute come fulcro delle politiche economiche nell’UE. Esso ha apprezzato, nell’ultimo decennio, l’adozione di numerosi atti legislativi e lo stanziamento di fondi considerevoli per sostenere tali imprese. Condivide tuttavia il giudizio espresso frequentemente dalla comunità delle PMI, secondo cui sia l’elaborazione che l’attuazione delle politiche per le PMI continuano a risentire di significative inefficienze, che ostacolano seriamente l’effetto delle misure di sostegno.

1.2.

Recenti studi del CESE (1) hanno appurato che le politiche dell’UE per le PMI e l’attuale meccanismo di sostegno trattano il gran numero di PMI presenti in Europa come un gruppo omogeneo, e non distinguono, purtroppo, tra le differenti esigenze dei numerosi sottogruppi di imprese che rientrano nella definizione di PMI. Gli esempi di meccanismi di sostegno su misura sono piuttosto rari. L’applicazione di un approccio indifferenziato allo sviluppo delle politiche dell’UE per le PMI costituisce un problema cruciale, che impedisce alle politiche di avere sulle PMI gli effetti desiderati (2). Si raccomanda fortemente, pertanto, una migliore commercializzazione delle politiche a favore delle PMI, e un orientamento più preciso alle specifiche esigenze delle PMI, nel quadro della prossima consultazione pubblica sulla pertinenza della definizione di PMI.

1.3.

Il CESE fa presente che nelle politiche dell’UE per le PMI e nell’attuale meccanismo di sostegno continuano a prevalere un approccio burocratico e regole amministrative complesse, malgrado gli sforzi costanti a livello dell’UE per minimizzare l’onere amministrativo. Le PMI dell’UE hanno spesso la percezione che i funzionari responsabili non abbiano idea del funzionamento effettivo delle loro imprese. I meccanismi di sostegno dell’UE sembrano in maggior parte inadeguati a rispondere alle pressanti esigenze, da parte delle PMI, di soluzioni tempestive, chiare ed efficaci.

1.4.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la maggior parte delle PMI, in special modo le piccole imprese e le microimprese, non sono a conoscenza di tali strumenti e reti di sostegno, a causa di carenze di comunicazione. Si può affrontare questa situazione intensificando gli sforzi di sensibilizzazione, accrescendo il sostegno onde consentire a un numero maggiore di PMI di accedere alle informazioni pertinenti, rafforzando l’impegno degli organi ufficiali con importanti intermediari locali di livello nazionale e regionale, specializzati nel lavoro con le PMI (organizzazioni imprenditoriali e delle PMI, camere di commercio), e fornendo un sostegno più semplice da usare e adattato alle esigenze delle imprese. Gli strumenti disponibili sono per lo più troppo complessi, oscuri e burocratici nel disegno e nel contenuto per rispondere alle esigenze delle PMI. Per far fronte a questo problema, il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri a fare il miglior uso possibile del semestre europeo, ad applicare sistematicamente ed ovunque il principio del partenariato (3) e a coinvolgere in maniera obbligatoria le organizzazioni rappresentative delle PMI a livello europeo, nazionale e regionale nell’elaborazione, nell’attuazione e nel monitoraggio delle politiche e delle misure di sostegno a favore delle PMI. Le raccomandazioni specifiche per paese dovrebbero concentrarsi in maniera coerente sulle politiche di sostegno alle PMI, per garantire una formulazione pertinente, un’attuazione efficace e misure qualitative e quantitative dei risultati.

1.5.

Il CESE si rammarica del fatto che il monitoraggio dell’avanzamento delle politiche dell’UE per le PMI rimanga frammentario. Mentre le attività d’affari delle PMI sono comprensibilmente registrate, l’impatto delle misure di sostegno dell’UE su tali attività, e la misura in cui i cambiamenti nello sviluppo delle PMI possono essere attribuiti a tali misure, non sono stati rilevati. Le informazioni disponibili sono prevalentemente quantitative e non forniscono un quadro qualitativo; esse pertanto non offrono un fondamento per un’adeguata valutazione dell’efficacia e dell’efficienza delle politiche e degli strumenti di supporto (4).

1.6.

In linea con i suoi precedenti pareri, il CESE esprime la preoccupazione che l’attuazione dello Small Business Act per l’Europa sia lungi dall’essere completa (5). I risultati in differenti campi sono ineguali, peggiori per quanto riguarda l’imprenditorialità, il mercato unico e l’accesso ai finanziamenti. Le competenze, l’innovazione e gli appalti pubblici hanno effettivamente subito un deterioramento dal 2008 ad ora (6). È chiaro che bisognerebbe incoraggiare gli Stati membri a prendere le misure del caso e ad adottare lo Small Business Act nella concezione e nell’attuazione di politiche e di atti legislativi che si ripercuotono sulle PMI.

1.7.

Raccomandazioni specifiche

1.7.1.

Le politiche dell’UE per le piccole e medie imprese dovrebbero riconoscere l’eterogeneità e la diversità delle PMI europee. Esse dovrebbero esplorare le specifiche esigenze delle microimprese, delle aziende familiari e «tradizional», delle imprese sociali, delle libere professioni, del lavoro autonomo e di tutti gli altri specifici sottogruppi caratterizzati da forme e modelli giuridici del tutto differenti fra loro, in modo da poter fornire una gamma adeguata di politiche volte a promuovere la loro crescita.

1.7.2.

Il CESE propone che la Commissione valuti se l’attuale definizione di PMI corrisponde all’eterogeneità, alle dinamiche settoriali, alle specificità e alla diversità che le hanno caratterizzate nell’ultimo decennio (7). Il CESE chiede una politica visibile, coerente, coordinata e orizzontale per le PMI, basata su un piano d’azione pluriennale.

1.7.3.

Gli strumenti dell’UE per il sostegno delle PMI dovrebbero essere tradotti nel linguaggio degli affari, in modo da poter servire al loro scopo, che è quello di promuovere la crescita e l’occupazione. Per far fronte all’eccessiva complessità dei meccanismi di sostegno che è stata riscontrata, è importante ricorrere all’aiuto e alla consulenza delle organizzazioni di PMI maggiormente in sintonia con le esigenze di tali imprese, in modo che le politiche dell’UE per le PMI parlino il linguaggio degli affari. In tale contesto le PMI attualmente fanno affidamento sulle parti sociali nazionali, in quanto importante fattore positivo nel fare da tramite alle loro opinioni su come migliorare le politiche di promozione delle PMI, e chiedono loro di coinvolgersi più attivamente nel programma nazionale di riforma. Occorrerebbe quindi rafforzare il loro ruolo, insieme a quelli delle associazioni di PMI, delle camere di commercio e industria e di altre organizzazioni intermediarie delle PMI.

1.7.4.

Le politiche dell’UE per le PMI dovrebbero dedicare sforzi maggiori a informare le PMI, e in particolare i loro sottogruppi più vulnerabili, come le imprese individuali e le microimprese, le aziende tradizionali a basso potenziale di innovazione, le imprese di regioni remote ecc. (8), in merito al sostegno disponibile. Si dovrebbero mantenere e far conoscere le principali reti di sostegno, rendendole inoltre più facilmente accessibili e più inclusive per le PMI. La Commissione dovrebbe considerare attentamente le possibilità di garantire il coordinamento delle attuali reti di sostegno in un sistema comune di sportello unico che rispetti la situazione prevalente in ciascuno Stato membro.

1.7.5.

È essenziale costituire un forte partenariato multilaterale, piattaforme per le PMI, con le parti sociali e i soggetti pubblici e privati impegnati ad affrontare i problemi delle PMI, a livello nazionale e regionale. Per superare la carenza di comunicazione tra le PMI e i meccanismi di sostegno dell’UE è essenziale rafforzare l’interazione con le organizzazioni delle PMI, che sono più in sintonia con le esigenze delle PMI, in particolare a livello nazionale e regionale. In tal modo si può anche creare un nuovo ed efficace canale per prendere contatto con le PMI attraverso le sedi locali delle organizzazioni imprenditoriali, le camere di commercio e l’economia, le associazioni di PMI e le organizzazioni professionali e settoriali, in quanto intermediarie fondamentali nella divulgazione e nella fornitura degli strumenti di sostegno.

1.7.6.

I migliori risultati per le PMI si realizzano quando gli enti locali cooperano con le organizzazioni delle PMI nella formulazione e nell’applicazione delle politiche. La tendenza attuale, in base alla quale la mediazione viene organizzata prevalentemente intorno alle banche, non costituisce l’opzione migliore. Le banche dovrebbero essere intermediari finanziari ma in tutti gli altri aspetti (elaborazione delle politiche, informazione, promozione ecc.), le organizzazioni rappresentative delle PMI sono soggetti più adeguati. Il CESE invita quindi la Commissione a definire misure volte a sostenere, anche mediante un sostegno finanziario, le organizzazioni delle PMI nell’attuazione di politiche a favore delle PMI e nella diffusione di informazioni pertinenti per le PMI.

1.7.7.

Il CESE chiede che lo Small Business Act, con i suoi due principi pensare anzitutto in piccolo e una tantum, sia reso giuridicamente vincolante. Tuttavia l’applicazione del principio una tantum non dovrebbe interferire con la verifica, da parte degli Stati ospitanti, delle competenze giuridiche e professionali necessarie per l’attività d’affari. Il principio di partenariato dovrebbe essere esteso a tutte le procedure legislative che interessano direttamente o indirettamente le PMI. In termini pratici, è fortemente auspicabile che vengano tenute riunioni annuali delle piattaforme per le PMI a livello dell’UE e degli Stati membri.

2.   PMI: un obiettivo fondamentale delle politiche economiche nell’UE

2.1.

Le politiche dell’UE a sostegno delle PMI (9) sono necessarie perché, a differenza che in altre zone del mondo, in Europa le PMI devono conformarsi a disposizioni sia nazionali che europee, spesso decise senza un’effettiva consultazione con le loro organizzazioni rappresentative, in contraddizione con l’approccio pensare anzitutto in piccolo. Ciò accresce considerevolmente gli sforzi e i costi necessari per condurre l’attività, malgrado le limitate risorse umane e tecniche delle PMI.

2.2.

Nel 2008 la Commissione ha lanciato i principi pensare anzitutto in piccolo e una tantum, come passo decisivo per promuovere la competitività e migliorare il contesto operativo di 23 milioni di PMI in Europa (10). Il CESE sostiene appieno quest’iniziativa (11), ma fa osservare che lo Small Business Act rimarrà una mera dichiarazione politica se non sarà reso giuridicamente vincolante e se tutti i livelli di governance (UE, Stati membri e regioni) non saranno tenuti ad applicarlo.

2.3.

L’attuazione dello Small Business Act è stata valutata e aggiornata nel 2011 (12), ma le conclusioni sul suo impatto reale erano poco entusiastiche e facevano appello a sforzi ulteriori (13). Il CESE ha ripetutamente avanzato proposte volte a migliorare l’efficacia delle politiche per le PMI (14). Oggigiorno le PMI sono interessate da tutte le politiche dell’UE, e richiedono quindi che vengano elaborate e attuate in maniera efficace ed efficiente politiche realmente orizzontali, visibili, coordinate e coerenti (15).

2.4.

Le politiche per le PMI non tengono conto delle differenti esigenze delle varie categorie di PMI. Per rendere più efficaci la loro elaborazione e la loro attuazione è necessario uno sforzo di sensibilizzazione che consenta di differenziare i loro destinatari in modo più preciso e obiettivo e di adattare l’offerta di soluzioni alle loro esigenze specifiche. I criteri di segmentazione potrebbero basarsi non solo sulle dimensioni (ad esempio, in genere quanto più un’impresa è piccola tanto maggiori sono le sue difficoltà di accedere ai finanziamenti e le sue esigenze di consulenza, formazione e tutoraggio), ma anche sulla localizzazione (città, piccoli centri o aree rurali remote), sulla fase del loro ciclo di vita (avviamento, espansione), sul settore (industria, commercio, agricoltura, turismo o altro) ecc.

2.5.

È stato condotto a termine un lavoro considerevole in vista di uno Small Business Act riveduto. Il programma REFIT ha assunto il compito di apportare indispensabili miglioramenti al quadro legislativo dell’UE e di ridurre le barriere amministrative. Nel corso degli anni la legislazione dell’UE in vigore è arrivata a contare 19 875 documenti (16), dei quali 1 527 contengono disposizioni relative alle PMI, per lo più riguardanti i seguenti temi: aiuti di Stato (343), concorrenza (293), mercato interno (217), ricerca e sviluppo tecnologico (133) e bilancio (117).

2.6.

Recenti studi del CESE dimostrano che, malgrado le numerose iniziative che sono state avviate, le politiche dell’UE per le PMI hanno bisogno di una estesa revisione volta a diversificare le misure di sostegno, semplificare le regole applicabili e ottimizzare la comunicazione e la collaborazione con le PMI e le loro organizzazioni, per poter affrontare efficacemente la varietà di PMI e le loro differenti esigenze. Il ruolo delle regioni e dei territori nell’attuazione delle politiche e della legislazione dell’UE, e in particolare di quelle che interessano le PMI, è in forte crescita (17).

3.   Politiche di sostegno alle PMI — sfide e opportunità

3.1.

Le PMI fanno fronte a sfide sempre più importanti, di vario tipo:

concorrenza sempre più accesa e mercati globalizzati,

nuovi modelli di attività in seguito allo sviluppo di nuove tecnologie, quali la diffusa digitalizzazione (industria 4.0), l’economia circolare e l’economia della condivisione,

carenza di risorse umane dotate delle necessarie competenze e qualifiche professionali, a causa della crisi demografica in Europa, dell’invecchiamento demografico e della migrazione.

3.2.

Le PMI costituiscono un gruppo eterogeneo e diversificato. Possono essere distinte in base alle dimensioni, alla fase del loro ciclo di vita, alla localizzazione, al tipo di proprietà, al settore di attività e altro ancora. Le loro esigenze in termini di sostegno variano considerevolmente in funzione del loro segmento di appartenenza. Un gruppo a parte, che richiede un trattamento specifico, è quello delle imprese individuali, che rappresentano quasi il 50 % delle PMI e sono pressoché escluse dall’ambito di applicazione delle misure di sostegno. Per aiutare questo gruppo molto vulnerabile di PMI a prosperare occorrerebbe anche affrontare adeguatamente il fenomeno dei falsi lavoratori autonomi.

3.3.

In un contesto simile, elaborare politiche di promozione basate solo sulle dimensioni delle imprese beneficiarie potrebbe essere superato e poco mirato, oltre a non tenere conto delle differenti esigenze di differenti gruppi di PMI. Nei suoi pareri il CESE ha costantemente sottolineato l’esigenza, in Europa, di politiche di promozione delle PMI maggiormente mirate e meglio definite (18), come pure la necessità di rivedere la definizione di PMI per riflettere meglio la varietà di tali imprese e le differenze che intercorrono tra Stati membri (19). Il CESE invita la Commissione a lanciare una consultazione sulla definizione delle PMI, comprendente una valutazione del modo in cui la definizione è applicata nell’attuazione delle misure per le PMI dirette alle microimprese, alle piccole e alle medie imprese.

3.4.    L’adeguatezza degli strumenti di sostegno alle esigenze delle PMI

3.4.1.

Gli strumenti di sostegno alle PMI devono essere valutati in base al miglioramento effettivo che apportano alla situazione delle PMI e alla loro conformità, in particolare, ai principi sanciti dallo Small Business Act. Il CESE ravvisa l’esigenza di una valutazione qualitativa e approfondita dell’efficacia e dell’efficienza degli investimenti di fondi europei, e constata la necessità di un maggiore impegno degli Stati membri per attuare a livello nazionale e regionale i principi pensare anzitutto in piccolo e una tantum  (20), che dovrebbero essere obbligatori a tutti i livelli.

3.4.2.

Il principio pensare anzitutto in piccolo e lo Small Business Act non sono espressamente presenti nel piano Juncker. Essi figurano in certa misura nei programmi Orizzonte 2020 e COSME, ma dovrebbero essere attuati meglio nella pratica. Il CESE invita i responsabili politici europei a tenere conto dei principi dello Small Business Act in tutti i testi legislativi dell’UE che possano avere un impatto diretto o indiretto sulle PMI.

3.4.3.

I costi del credito, delle costruzioni e degli affitti sono scesi negli ultimi anni a causa della crisi. Tale circostanza, insieme ad alcuni nuovi strumenti digitali mirati, ha creato buone opportunità per le imprese di nuova costituzione, ma nella fase di crescita le aziende continuano a risentire di una grave mancanza di sostegno. Sotto questo profilo, il CESE accoglie favorevolmente la nuova iniziativa della Commissione europea rivolta ad affrontare questo problema (21).

3.4.4.

I prestiti bancari rimangono la principale fonte di finanziamento per le PMI, ma l’accesso ai finanziamenti bancari continua a non essere facile per molte PMI, a causa della debolezza dei bilanci bancari, della mancata trasmissione delle politiche monetarie della BCE in taluni paesi e delle barriere relativamente elevate costituite dai requisiti in materia di garanzie. Acquisisce progressivamente importanza il finanziamento basato sul mercato, attraverso fondi di private equity, capitale di rischio, emissione di obbligazioni, strumenti di capitale in segmenti specializzati del mercato, e microfinanziamento diffuso; ma la maggior parte delle PMI non è ancora in grado di cogliere queste opportunità (22). Esse hanno bisogno di orientamenti adeguati in materia di tempistica, informazioni particolareggiate e sostegno, per essere in grado di esplorarle. Secondo il sondaggio del CESE, una quota estremamente elevata di PMI non è consapevole delle opportunità di sostegno attraverso i regimi di sovvenzione dei fondi SIE, o delle possibilità di finanziarsi attraverso un fondo di investimento sostenuto dai fondi dell’UE.

3.4.5.

Un sondaggio lampo mostra che gli obiettivi e le priorità degli strumenti di sostegno non corrispondono sempre alle esigenze prioritarie delle PMI (23), a causa tra l’altro del mancato riconoscimento delle considerevoli differenze che permangono tra gli Stati membri. Ad esempio, sono soprattutto le imprese dell’Europa meridionale quelle che individuano nell’accesso a nuovi mercati la sfida principale per le PMI, mentre le imprese dell’Europa del nord ricevono per lo più un sostegno per il miglioramento dell’accesso ai mercati, compresi quelli internazionali. È evidente che le esigenze delle PMI differiscono in particolare a livello nazionale, e ciò induce a chiedersi se non si dovrebbero definire in maniera più dettagliata gli strumenti paneuropei. Questo giudizio è inoltre pienamente confermato dalla Relazione annuale sulle PMI europee 2014/2015 (24), secondo cui il gruppo di paesi con il punteggio minimo si colloca per lo più nell’Europa del sud. Tali paesi riportano tassi estremamente bassi di riuscita dei progetti, anche nella componente PMI di Orizzonte 2020 (25).

3.4.6.

Le grandi aspettative riposte nell’Ufficio dell’ambasciatore delle PMI sono finora risultate, purtroppo, ingiustificate. Pochi rappresentanti delle PMI sono al corrente di chi svolga tale funzione nel loro paese. Molte PMI affermano che l’ambasciatore delle PMI riveste esclusivamente funzioni formali e cerimoniali, piuttosto che un ruolo connesso a misure concrete di promozione delle PMI. Mentre l’obiettivo principale di questa rete è fungere da interfaccia tra Commissione e autorità nazionali e promuovere efficacemente gli interessi delle PMI presso le autorità nazionali e nella normativa nazionale, le PMI si attendono da essa consulenza e informazioni reali sulle politiche dell’UE, in cooperazione con le organizzazioni di PMI.

3.4.7.

La promozione dell’imprenditorialità è collegata alla creazione di condizioni appropriate per: aumentare la quota di imprese in fase di avviamento; accrescere la quota di nuove imprese che sopravvivono e hanno successo; aiutare le nuove imprese ad aumentare la propria competitività e a crescere più rapidamente e più efficacemente; accelerare le procedure di liquidazione e lo sviluppo e il rafforzamento dei trasferimenti di imprese (26). Sebbene nell’UE siano stati compiuti importanti passi avanti nella semplificazione della tecnologia e delle procedure di registrazione, occorre fare di più per realizzare il secondo e il terzo obiettivo. Il principio della seconda opportunità, è quello che sembra avere i risultati peggiori in tutti gli Stati membri, e la stessa Commissione europea non aggiudica appalti a imprenditori che hanno avuto un fallimento.

3.4.8.

Inoltre le procedure di liquidazione (in caso sia di insolvenza che di scioglimento volontario), di ristrutturazione e di successione sono difficili, in termini puramente procedurali, in numerosi paesi. Il CESE sottolinea la necessità di semplificare e armonizzare la normativa in materia di insolvenza (27).

3.4.9.

L’audizione pubblica e i recenti studi del CESE offrono anche importanti prospettive in merito alle principali sfide cui le PMI dell’UE devono far fronte in tutti i principali settori prioritari.

3.4.9.1.   Riduzione/semplificazione degli oneri:

il numero di iniziative di esenzione/semplificazione legate alle PMI, nel programma REFIT, è limitato,

non è stata ancora affrontata la questione della definizione superata di PMI,

il test PMI, non ancora obbligatorio, è applicato in maniera parziale e diseguale dagli Stati membri,

le consultazioni pubbliche sulle valutazioni di impatto e sulle tabelle di marcia sono ostacolate da un approccio istituzionale burocratico e dal fatto che non sono accessibili in tutte le lingue dell’UE,

tutte le PMI segnalano che la corruzione e l’inefficienza dell’amministrazione statale costituiscono gravi problemi, con ripercussioni fortemente negative sulla loro attività,

i ritardi di pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche e dei grandi clienti continuano a costituire un fattore di indebolimento in alcuni Stati membri, nonostante l’introduzione di requisiti più rigorosi nella revisione della direttiva relativa ai ritardi di pagamento (28).

3.4.9.2.   Promozione dell’imprenditorialità:

l’imprenditorialità non è ancora stata inserita in maniera coerente nei sistemi nazionali di istruzione della maggior parte degli Stati membri,

la formazione degli insegnanti in materia di imprenditorialità è sporadica e per lo più condotta facendo riferimento a singoli progetti; in questo settore esistono poche iniziative transeuropee (29),

i programmi per la gioventù incentrati sull’imprenditorialità, benché caratterizzati da successo, rischiano di deviare dal loro obiettivo originario di promuovere l’imprenditorialità,

campagne promozionali come la Settimana europea delle PMI hanno un impatto modesto in termini di incoraggiamento dei partecipanti a prendere seriamente in considerazione l’imprenditorialità,

i costi di avviamento di una nuova impresa sono tre volte superiori al parametro di riferimento annunciato.

3.4.9.3.   Migliorare l’accesso ai mercato e l’internazionalizzazione:

il fatto che il mercato unico non sia ancora completo ostacola l’accesso delle PMI ai mercati, anche per quanto riguarda la prestazione transfrontaliera di servizi,

procedure amministrative complicate ed alti costi di distribuzione per importazioni ed esportazioni,

i regimi di sostegno dell’internazionalizzazione delle PMI mancano di un approccio su misura,

le normative e i diritti di proprietà intellettuale continuano a non essere attraenti per le PMI, anzitutto perché i relativi vantaggi non sono stati comunicati loro, i costi sono elevati, e le regole sono troppo complicate.

3.4.9.4.   Agevolare l’accesso ai finanziamenti:

il modello di finanziamenti tipico è costituito da prestiti bancari, seguiti a distanza da sovvenzioni e sostenuti da strumenti finanziari,

le sovvenzioni non sono orientate al mercato e non sono concepite su misura per specifici sottogruppi di PMI, il loro orientamento strategico corrisponde raramente alle esigenze delle PMI,

gli strumenti finanziari sono più adeguati alle esigenze immediate delle PMI in materia di capitale di esercizio. Purtroppo solo una quota molto modesta di PMI è ben informata in materia, un approccio su misura alla loro applicazione rimane raro, la loro disponibilità dipende fortemente dall’effettiva collaborazione tra istituti finanziatori, intermediari e destinatari finali, e mancano dati e analisi sul loro effetto reale; maggiori complementarità e sinergie tra gli strumenti e i soggetti attuali a livello regionale, nazionale e sovranazionale, compresa la promozione di strumenti finanziari più efficienti, come ad esempio le controgaranzie,

nonostante i notevoli progressi compiuti nel fornire canali di finanziamento innovativi non basati sul prestito, come i fondi di private equity, il capitale di rischio e altro, essi rimangono poco sviluppati nella maggior parte degli Stati membri (30),

una parte significativa delle PMI considera con timore la richiesta di beneficiare di strumenti finanziari dei programmi europei, ritenendo che l’ottenimento di finanziamenti appaia troppo complicato.

3.4.9.5.   Sostenere la competitività e l’innovazione:

pur assegnando finanziamenti speciali alle PMI, Orizzonte 2020 non può risolvere tutti i problemi delle PMI mediante l’accesso al capitale di rischio per l’innovazione, e i progetti degli Stati membri più nuovi sono sfortunatamente pochi,

l’interesse delle PMI nel programma rimane insufficiente, a causa delle norme di ammissibilità e di applicazione ardue e non eque,

le regole vigenti potrebbero dissuadere le PMI dal partecipare a consorzi economicamente validi per l’attuazione di progetti innovativi,

il costo della richiesta di partecipazione a strumenti volontari sviluppati dalla Commissione europea (31) rimane relativamente elevato per le PMI, e quindi solo un numero limitato di imprese è in grado di avvalersi di tali strumenti.

3.4.9.6.   Fornitura di reti principali di sostegno:

le informazioni fornite continuano a non avere la qualità richiesta,

la struttura, il contenuto e l’impostazione non risultano molto intuitivi,

l’approccio all’offerta di informazioni è spesso burocratico,

gli ostacoli linguistici sono comuni, dato che le informazioni vengono offerte prevalentemente in inglese.

3.5.    La coerenza delle politiche

3.5.1.

Per essere coerenti, le politiche di promozione delle PMI devono tener conto della diversità delle PMI, raccogliendo microdati ed analisi a livello microeconomico. Questo è l’unico modo per migliorare la comprensione delle esigenze delle PMI in linea con le loro peculiarità.

3.5.2.

Attualmente i mercati bancari e dei capitali, in Europa, rimangono frammentati. Il progetto relativo all’Unione dei mercati dei capitali, lanciato per rimediare a questa situazione, può essere attuato solo a condizione di essere coerente con altre politiche di sostegno delle PMI. La scarsa conoscenza e comprensione dei diversi strumenti finanziari da parte della maggior parte delle PMI limiterebbe lo sviluppo dell’Unione dei mercati dei capitali. Pertanto il sostegno delle PMI dovrebbe comprendere l’elaborazione di un approccio sostenibile e a lungo termine al finanziamento, la comprensione dei differenti strumenti, le possibilità di complementarità e i vantaggi e i rischi associati ai differenti strumenti.

3.5.3.

Nella maggior parte dei casi, le relazioni tra la proprietà, la direzione e i dipendenti delle PMI sono più ravvicinate che nelle grandi aziende, e il dialogo sociale costituisce quindi una situazione vantaggiosa per tutti, poiché getta le basi per una forza lavoro impegnata con posti di lavoro di alta qualità. Per consentire a tutte le parti in causa di beneficiare di una tale situazione e rafforzare l’accumulo di capitale sociale nelle PMI, occorrerebbe dare alle PMI un sostegno sistematico, rendendole consapevoli dell’importanza del dialogo sociale, della salute e della sicurezza, delle condizioni di lavoro, delle forme innovative di organizzazione del lavoro, dell’apprendimento basato sul lavoro, e dello sviluppo delle competenze. In questo contesto è essenziale il ruolo delle parti sociali e delle ONG.

3.6.    Raccomandazioni specifiche riguardo i settori prioritari delle politiche dell’UE per le PMI

3.6.1.   Riduzione/semplificazione degli oneri:

evitare la sovraregolamentazione fornendo una traduzione più chiara della legislazione UE, predisponendo sistemi di risoluzione delle controversie e degli errori di interpretazione di tali testi, ed elaborando delle note su misura per le PMI e un vademecum che riassume e spiega le informazioni pertinenti per le PMI,

rendere il test PMI obbligatorio per le nuove proposte legislative e garantire la sua effettiva applicazione da parte di tutti gli Stati membri e, in maniera sistematica, in tutti i servizi della Commissione europea (32),

garantire in maniera strutturata un’inclusione più efficace delle PMI e delle loro organizzazioni nelle valutazioni d’impatto della nuova legislazione, semplificando il formato e il contenuto di tali valutazioni, mettendo a disposizione informazioni in tutte le lingue dell’UE e valutando l’impatto sui differenti gruppi di PMI,

eseguire regolarmente un controllo completo dell’adeguatezza della legislazione dell’UE sulle politiche dell’UE,

coinvolgere più efficacemente (su base obbligatoria) le organizzazioni nazionali e regionali delle PMI, in veste di partner, nel dibattito interistituzionale sulla nuova legislazione che interessa le PMI,

garantire un efficace monitoraggio dei risultati realizzati nel quadro del programma REFIT in termini di riduzione del carico per le PMI.

3.6.2.   Promozione dell’imprenditorialità:

sostenere le azioni delle organizzazioni di PMI dell’UE, nazionali e regionali, volte a fornire informazioni, formazione, consulenza e tutoraggio alle imprese,

accrescere gli strumenti attuali volti a sostenere il rafforzamento di una mentalità imprenditoriale tra i giovani, e garantire che i programmi di sostegno rimangano concentrati sullo sviluppo delle principali competenze imprenditoriali,

inserire l’imprenditorialità nel programma di studio a tutti i livelli di istruzione (33),

semplificare e ridurre ulteriormente il costo delle procedure di avviamento di un’impresa, semplificare l’accesso alla finanza e motivare un numero maggiore di persone a sviluppare i loro sforzi imprenditoriali,

mettere a disposizione procedure semplici e agevoli di trasferimento e di liquidazione di un’impresa, e opzioni per una seconda opportunità.

3.6.3.   Migliorare l’accesso ai mercati e l’internazionalizzazione:

ottimizzare il funzionamento del mercato unico per evitare la sovraregolamentazione, la non applicazione e altre pratiche degli Stati membri che distorcono la competitività, senza ridurre i diritti dei lavoratori e dei consumatori,

accrescere la visibilità delle attuali reti di sostegno all’internazionalizzazione grazie a una migliore collaborazione con le organizzazioni di PMI a livello nazionale e regionale,

fornire strumenti per aiutare le PMI a partecipare a mostre, convegni e fiere all’estero,

incoraggiare la creazione di cluster settoriali regionali e nazionali delle PMI con un certificato di qualità garantita,

ridurre ulteriormente i costi delle norme e dei diritti di proprietà intellettuale per le PMI e promuovere i loro vantaggi in termini di competitività.

3.6.4.   Agevolare l’accesso delle PMI ai finanziamenti:

riduzione delle formalità, del monitoraggio e del controllo al minimo assoluto necessario: applicazione obbligatoria del principio una tantum, uso di modulistica elettronica, semplificazione dell’applicazione del criterio de minimis,

elaborare programmi basati su sovvenzioni alle PMI in funzione di attente valutazioni delle esigenze, evitare la pratica dannosa di attuare progetti solo per acquisire finanziamenti a fondo perduto, senza avere alcuna strategia di sviluppo imprenditoriale,

rafforzare la collaborazione tra Fondo europeo per gli investimenti, intermediari finanziari e organizzazioni delle PMI, per mettere a punto strumenti finanziari altamente efficaci, che rispondano alle esigenze delle PMI in termini di capitale di esercizio, prestiti e garanzie, ed eseguire con l’aiuto di indicatori quantitativi una valutazione degli effetti prodotti,

creare un portafoglio diversificato di misure di sostegno tagliate su misura e innovative per coinvolgere efficacemente il gruppo eterogeneo delle PMI (34),

fornire sostegno alle PMI che sono preparate per l’emissione di obbligazioni e strumenti di capitale in segmenti di mercato specializzati,

assegnare allo strumento di garanzia dei prestiti del programma COSME risorse sufficienti per consentirgli di realizzare i suoi obiettivi, tenendo conto dell’impatto finanziario della Brexit,

studiare modi per rafforzare i canali di finanziamento innovativi non basati su prestiti, quali i fondi di private equity, il capitale di rischio, gli investitori informali, il microfinanziamento diffuso e il ricorso efficace agli organismi di garanzia.

3.6.5.   Sostenere la competitività e l’innovazione:

fornire strumenti per migliorare l’accesso delle PMI al capitale di rischio per l’introduzione di innovazioni,

sostenere la cooperazione tra PMI e istituti di ricerca e di istruzione e facilitare lo scambio di informazioni tra tali soggetti,

creare condizioni favorevoli per la realizzazione di consorzi economicamente validi nei quali le PMI e le loro idee innovative guidate dal mercato svolgono un ruolo centrale,

sostenere la competitività delle PMI attraverso la consulenza e il tutoraggio per: contribuire alla creazione di capacità e fornire assistenza tecnica, diffondere buone pratiche; sostenere la cooperazione tra organizzazioni delle PMI.

3.6.6.   Fornitura di reti principali di sostegno:

promuovere organizzazioni di PMI a livello di UE, nazionale e regionale, come il principale «centro di gravità», predisponendo strategie che consentano loro di rafforzare le proprie capacità e mettendo in atto e applicando nel processo legislativo il principio della governance multilivello e multifattoriale a livello UE, nazionale e regionale,

considerare l’opzione di creare un portale unico per tutte le iniziative di sostegno delle PMI, con uno schema chiaro e facile da usare, ampi contenuti digitali, pochi rinvii interni e un linguaggio comprensibile.

3.6.7.   Sviluppo di adeguate competenze professionali:

adattare i sistemi di formazione professionale alle esigenze dei mercati del lavoro; creare sistemi per il monitoraggio e la previsione delle esigenze dei mercati del lavoro,

rafforzare il sostegno agli Stati membri per facilitare la partecipazione delle PMI a programmi di apprendistato,

fornire programmi di formazione di breve termine; incoraggiare la cooperazione tra le associazioni imprenditoriali e gli istituti di istruzione.

Bruxelles, 6 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Studio del CESE Assessment of the effectiveness of the EÙs SMEs policies 2007-2015 [Valutazione dell’efficacia delle politiche dell’UE relative alle PMI per il periodo 2007-2015] (gennaio 2017). Studio del CESE Access to finance for SMEs and midcaps in the period 2014-2020: opportunities and challenges [Accesso ai finanziamenti per le PMI e le società a media capitalizzazione nel periodo 2014-2020: opportunità e sfide] (maggio 2015), nel seguito denominati «studi del CESE».

(2)  Lo strumento di garanzia dei prestiti e tutti gli strumenti finanziari del COSME costituiscono buoni esempi di meccanismi di sostegno mirati.

(3)  A norma dell’articolo 5 del regolamento (UE) n. 1303/2013, ulteriormente sviluppato nel regolamento (UE) 240/2014.

(4)  Cfr. http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/evaluation/pdf/expost2013/wp2_final_en.pdf pag. 31.

(5)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 49, e GU C 181 del 21.6.2012, pag. 125

(6)  Scheda informativa SBA (Small Business Act) del 2016. SBA Profile [Profilo dello Small Business Act]. Performance measured by the SBA indicators [Prestazioni misurate sulla base degli indicatori dello Small Business Act].

(7)  Ad esempio, negli USA, la Small Business Administration (amministrazione competente per le piccole imprese) elabora i propri criteri basandosi non solo sulla struttura proprietaria, sulle entrate e sul numero di dipendenti, ma anche sull’attività economica dell’impresa. Così facendo si facilita l’applicazione delle pertinenti politiche industriali.

(8)  Le diverse dimensioni delle PMI sono molto ben descritte nel rapporto http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/evaluation/pdf/expost2013/wp2_final_en.pdf pag. 20.

(9)  Carta europea per le piccole imprese (2000)

(10)  COM(2008) 394 final.

(11)  GU C 27, del 3.2.2009, pag. 7, GU C 224, del 30.8.2008, pag. 32, GU C 182, del 4.8.2009, pag. 30

(12)  COM(2011) 78 final.

(13)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 51

(14)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 49 e GU C 181 del 21.6.2012, pag. 125

(15)  http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/final-joint-declaration---horizontal-sme-policy.pdf

(16)  Tra accordi, direttive, regolamenti e decisioni.

(17)  Secondo il Comitato europeo delle regioni, oltre l’85 % della legislazione dell’UE si applica a livello territoriale.

(18)  ECO/372, relazione informativa non pubblicata nella Gazzetta ufficiale (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 8) e (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 64).

(19)  La definizione comune di PMI figura nella raccomandazione 2003/361 dell’UE. Un’altra definizione di PMI è fornita nella direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, e nella direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 64).

(20)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 94.

(21)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=COM:2016:733:FIN

(22)  GU C 388 del 31.12.1994, pag. 14.

(23)  Il sondaggio è stato condotto da aprile a maggio del 2016 presso membri del CESE, dell’Unione europea artigianato e piccole e medie imprese (UEAPME), del Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese o organizzazioni che offrono servizi di interesse generale (CEEP) e dell’Associazione bulgara del capitale industriale (BICA). I risultati sono stati analizzati suddividendo gli Stati membri in due gruppi in base alla classificazione utilizzata nel saggio Industry 4.0 — The new industrial revolution. How Europe will succeed. (Industria 4.0 — La nuova rivoluzione industriale. Ecco come l’Europa potrà farcela), Roland Berger Strategy Consultants, marzo 2014. I paesi del gruppo 1, Austria, Belgio, Svezia e Germania, hanno un grado elevato di preparazione per l’industria 4.0 e sono definiti «potenzialisti» e «pionieri». Il gruppo 2 comprende Bulgaria, Romania, Ungheria, Spagna e Cipro, paesi definiti «esitanti» e «tradizionalisti». Questa suddivisione rende i risultati dell’indagine lampo paragonabili a quelli di ricerche effettuate dal CESE in precedenza (cfr. ECO/372).

(24)  http://ec.europa.eu/DocsRoom/documents/16341/attachments/2/translations/en/renditions/pdf

(25)  C’è un nesso tra le conclusioni della relazione e il numero di progetti approvati nell’ambito dello strumento Orizzonte 2020 a fine 2015:

Austria (25), Belgio (12), Germania (88), Francia (67), Svezia (46) e Regno Unito (139). In questi paesi a fine 2014 l’occupazione e il valore aggiunto nelle PMI erano migliorati, raggiungendo i livelli del 2008;

Bulgaria (1), Repubblica ceca (6), Croazia (1), Cipro (2), Danimarca, Grecia (11), Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania (5), Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia e Spagna. Questi paesi non hanno ancora raggiunto il livello del 2008.

(26)  Lichtenstein, G. A; Lyons, T. S. Incubating New Enterprises: A Guide to Successful Practice [Incubazione di nuove imprese: guida a una pratica di successo], The Aspen Institute, Rural Economic Policy Programme, USA, 1996.

(27)  GU C 209 del 30.6.2017, pag. 21.

(28)  Direttiva 2011/7/UE.

(29)  https://ec.europa.eu/growth/smes/promoting-entrepreneurship/support/education/projects-studies_en

(30)  GU C 388 del 31.12.1994, pag. 14.

(31)  Ad esempio il sistema di ecogestione e audit dell’UE, il marchio UE di qualità ecologica, la verifica delle tecnologie ambientali o l’impronta ambientale dei prodotti.

(32)  La prova PMI è già inclusa nella valutazione d’impatto della Commissione - https://ec.europa.eu/growth/smes/business-friendly-environment/small-business-act/sme-test_en

(33)  GU C 332 dell' 8.10.2015, pag. 20.

(34)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 45; GU C 34 del 2.2.2017, pag. 66; GU C 303 del 19.8.2016, pag. 94.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’industria dei prodotti contraffatti e usurpativi»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/04)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Correlatore:

Hannes LEO

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

22.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

119/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’economia europea si basa sempre più sulla creatività e sull’innovazione. Le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale (DPI) rappresentano il 39 % del PIL e il 26 % dell’occupazione nell’UE (1). Il CESE ritiene che le imprese debbano godere di una serie di condizioni che favoriscano l’innovazione, gli investimenti e l’occupazione.

1.2.

Secondo le stime dell’ONU (2) e dell’OCSE, i prodotti contraffatti rappresentano il 5-7 % (ONU) o fino al 2,5 % (OCSE) del commercio mondiale. La maggior parte dei prodotti contraffatti in Europa sono fabbricati al di fuori dell’UE, ma la produzione è in aumento anche negli Stati membri. Internet ha notevolmente semplificato e ampliato massicciamente le possibilità di vendita di prodotti contraffatti online, mentre il rischio di essere perseguiti penalmente resta molto basso.

1.3.

L’industria dei prodotti contraffatti, approfittando sia della differenza di efficacia dei controlli doganali in punti di entrata chiave del mercato unico, sia della frammentazione e disomogeneità dell’attuazione a livello nazionale delle norme e degli standard UE, favorisce l’ingresso nell’UE di prodotti che mettono a rischio la salute dei consumatori, la sicurezza pubblica e la competitività delle aziende.

1.4.

Di conseguenza, un’Unione doganale pienamente funzionante e interoperativa deve assicurare un’attuazione efficiente del nuovo sistema istituito dal codice doganale, che protegga le imprese dalla concorrenza sleale, in particolare da parte dell’industria mondiale dei prodotti contraffatti e usurpativi — non soltanto nell’interesse delle imprese, ma in considerazione delle ripercussioni dirette di tale fenomeno sulla salute e sulla sicurezza globali, come pure sulla crescita economica.

1.5.

A giudizio del CESE, dato che bisogna distinguere tra due tipi di contraffazione — la «contraffazione» come violazione dei diritti di proprietà intellettuale, ossia semplice concorrenza sleale, senza alcuna minaccia per la sicurezza e la salute pubblica, e il «reato di contraffazione» in quanto atto criminale, come definito dalla convenzione Medicrime (3) — la lotta alla contraffazione e alla pirateria deve rappresentare una priorità fondamentale dell’UE non solo per assicurare una crescita sana e senza protezionismi del libero commercio mondiale, ma anche in considerazione della professionalizzazione della criminalità organizzata nel commercio di prodotti contraffatti e usurpativi e dei rischi che ciò crea per i consumatori. Ciò potrebbe comportare la necessità di introdurre procedimenti penali adeguati per scoraggiare le attività che ricadono nel «reato di contraffazione».

1.6.

Per ridurre gli effetti negativi della massa crescente di prodotti contraffatti ed usurpativi sul mercato, occorre adottare misure a livello settoriale, nazionale, europeo e multilaterale per contrastare:

il mancato sviluppo di produzione e di investimenti,

i danni di immagine e di qualità, compresa la non conformità tecnica, i certificati e i marchi di conformità falsi e l’uso indebito di tali certificati e marchi,

i rischi per la salute, la sicurezza e l’ambiente,

l’assenza di qualsiasi tipo di certificazione, di norme e di controlli di qualità per le merci contraffatte,

le perdite di occupazione e di nuove imprese,

i mancati introiti fiscali e parafiscali,

le problematiche crescenti in tema di sicurezza e di contrasto alla criminalità organizzata, tra cui il finanziamento del terrorismo.

1.7.

Il CESE è convinto che sia necessario uno sforzo congiunto di tutti gli attori pubblici e privati nell’individuazione e messa in opera di una strategia congiunta di azioni coordinate che mirino alla prevenzione, rilevazione e contrasto del fenomeno, accompagnate da un quadro comune tecnico-normativo adeguato.

1.8.

Il CESE ritiene però che l’iniziativa spetti in primis al settore privato UE delle industrie e degli intermediari dei servizi maggiormente interessati — così come tutta la catena del valore con la partecipazione dei titolari di diritti e delle PMI — mentre la Commissione europea deve aggiornare il quadro normativo relativo ai diritti di proprietà intellettuale al fine di modernizzare le norme attuali e adeguare le opzioni di diritto penale attualmente disponibili nell’UE e negli Stati membri. Insieme, essi dovrebbero sviluppare una vigorosa azione propulsiva congiunta, dalla fonte fino a tutta la catena della fornitura, individuando meccanismi interoperativi di cooperazione internazionale e di monitoraggio dei fornitori/clienti, per minimizzare i rischi di contraffazioni nella catena di fornitura.

1.9.

Un’azione congiunta rafforzata del settore privato è fondamentale, secondo il CESE, per assicurare partenariati efficaci con i provider di siti Internet, i produttori di contenuti, i proprietari di marchi, gli operatori di pagamenti elettronici, gli inserzionisti e le reti pubblicitarie, i registri di domini Internet, nonché per garantire memorandum volontari d’azione comune, in grado di generare rapidi adattamenti ai repentini cambiamenti di mercato.

1.10.

Una forte azione di stimolo del settore privato dovrebbe essere accompagnata da misure pubbliche quali:

sviluppo di nuove tecniche paragiudiziarie per ridurre il crescente commercio di prodotti contraffatti, consentendo una collaborazione privato/pubblico volta ad ottimizzare l’intervento delle dogane tramite marcatura e tracciabilità,

sistemi di rilevazione interoperativi e intercomunicanti con sistemi automatici di gestione del rischio basati su tecnologie appropriate, che consentano ai proprietari dei siti di e-commerce e ai proprietari di diritti di identificare e impedire attività in violazione,

lancio di un nuovo piano strategico 2018-2021 con un quadro d’azione rinnovato e maggiormente coordinato, con risorse finanziarie adeguate, più trasparenza e capacità predittive, maggiori e raffinate tecniche d’intelligence, per una «EU Notorious Countries List», e l’attivazione di IPR-Desk in loco rafforzati, accompagnata da sforzi volti a combattere il reato di contraffazione, e strumenti più avanzati di sorveglianza del mercato (banca dati interattiva), con una dogana veramente comune in linea con la proposta di direttiva sul quadro giuridico dell’Unione relativo alle infrazioni e alle sanzioni doganali (4),

iniziative per fornire statistiche ed analisi migliori su dimensioni e impatto della contraffazione.

1.11.

Il CESE ritiene debba essere finanziata una campagna europea di lotta alla contraffazione — con l’adozione di una Giornata europea del falso e la creazione di una speciale linea telefonica diretta — che evidenzi:

i grossi danni che l’immissione sul mercato di prodotti contraffatti e usurpati ed il loro acquisto comporta per interi settori dell’economia, per la salute, l’ambiente, l’innovazione e la creatività europea, come per l’occupazione, le entrate pubbliche e la crescita economica nel suo complesso,

la necessità di adoperarsi a fondo per migliorare la banca dati sui prodotti contraffatti e la valutazione delle conseguenti perdite di produzione e posti di lavoro al fine di elaborare politiche adeguate. La base statistica e le stime econometriche attuali devono essere più accurate, affidabili e comparabili.

1.12.

Il CESE ritiene essenziale un maggior coordinamento dei molteplici servizi della Commissione europea e delle agenzie europee che sono interessate dal fenomeno con i loro omologhi a livello di Stati membri. Tale obiettivo può essere conseguito mettendo a disposizione risorse sufficienti per la cooperazione in tutta Europa e adoperandosi per creare una vera cultura della cooperazione. La creazione di una task force centralizzata della contraffazione per un periodo di tempo adeguato dovrebbe contribuire al raggiungimento efficace di tale obiettivo.

1.13.

Il CESE chiede al Consiglio e al PE di insistere con la massima priorità con la Commissione, perché:

dia rapido seguito alle misure tecnologiche e strutturali e al nuovo piano d’azione di lotta ai prodotti contraffatti e usurpativi 2018-2021,

sostenga azioni congiunte e rafforzate del settore privato, con norme e strutture che assicurino lo sviluppo del libero commercio internazionale su basi eque e proattive.

2.   Introduzione: natura e caratteristiche quali-quantitative del fenomeno

2.1.

Per delineare tali ambiti del presente parere si prendono in considerazione le nozioni di contraffazione che risultano dal regolamento (UE) n. 608/2013. La «pirateria elettronica e digitale», il commercio e la diffusione di supporti informatici o di file illegali, in violazione dei relativi diritti di proprietà intellettuale, non rientrano nella sfera di questo parere in quanto strettamente collegati all’Agenda digitale per la quale il CESE ha creato un gruppo permanente ad hoc.

2.2.

Quantificare il fenomeno della contraffazione è un’operazione complessa in quanto i dati a disposizione, come in ogni ambito di attività illegali, sono eccessivamente basati su stime e approssimazioni, dato che le filiere della contraffazione sono, nella maggior parte dei casi, nelle mani della criminalità organizzata, che ha intuito con lucidità l’ampio potenziale di questa tipologia di illecito a fronte di modesti rischi repressivi.

2.3.

Negli ultimi anni la gamma dei beni contraffatti si è estesa al punto che ormai non esiste bene che non possa essere imitato e venduto: si copia tutto, dagli accessori di abbigliamento ai pezzi di ricambio e agli strumenti meccanici, ai materiali e alle attrezzature da costruzione, ai gioielli, alle calzature, agli oggetti di design, ai giocattoli, ai cosmetici e ai medicinali; e quello del falso sembra ormai essere diventato un settore economico parallelo, un vero e proprio competitor con il quale le aziende debbono confrontarsi e rispetto al quale devono tutelare la propria fetta di mercato.

2.4.

La semplicità dell’acquisto spinge spesso il consumatore a preferire il contraffatto, con gravi conseguenze per le imprese, in particolare le PMI; l’e-commerce e le aste online rappresentano un mezzo utile e sicuro — perché poco regolamentato e difficilmente controllabile — per raggiungere un ampio numero di consumatori e commercializzare merce contraffatta a basso costo.

2.5.

La contraffazione è divenuta uno dei principali promotori e finanziatori della criminalità organizzata. L’inserimento della criminalità organizzata ha determinato un drastico aumento del livello di professionalità del business della contraffazione: le organizzazioni criminali hanno costruito le relazioni necessarie su scala planetaria per ottimizzarne i risultati.

2.6.

La produzione di merci contraffatte è ritenuta in genere un fenomeno esterno: le statistiche doganali indicano chiaramente che la maggior parte dei paesi di origine delle merci contraffatte non appartiene all’UE. La Cina resta uno dei principali paesi di provenienza di tali merci, nonostante il maggiore impegno mostrato verso la lotta alla contraffazione.

2.7.

L’ascesa di Internet ha creato nuovi canali di distribuzione per prodotti contraffatti a basso rischio per il venditore, per le difficoltà di procedimento d’accusa nei confronti degli intermediari nella catena del valore. È necessaria una maggiore cooperazione lungo tutta la catena del valore per combattere efficacemente il commercio di prodotti contraffatti online.

2.8.

Le industrie ad alta intensità di DPI rappresentano il 39 % del PIL e il 26 % dell’occupazione nell’UE (5). Secondo studi recenti (6), i beni contraffatti rappresentano tra il 5 e il 7 % del commercio mondiale pari a circa 600 mld di EUR all’anno, mentre secondo l’OCSE (7) si tratterebbe nel 2013 del 2,5 % del commercio internazionale, equivalente a 338 mld di EUR, e si stima che fino al 5 % delle importazioni di beni nell’UE, il che equivale a circa 85 mld di EUR, sia costituito da prodotti contraffatti o usurpativi, cifra da cui sono escluse le merci prodotte e vendute all’interno dello stesso paese, quelle acquistate via Internet e le attività economiche indirette.

2.9.

Secondo altre statistiche internazionali del 2017 (8), il commercio globale di merci contraffatte e usurpative genererebbe tra 923 e 1,13 mila miliardi di USD l’anno.

2.10.

La produzione, anche su larga scala, di merci contraffatte nel mercato interno è in netto aumento in vari Stati membri, per evitare i controlli doganali alle frontiere esterne all’Unione.

2.11.

L’immissione sul mercato di prodotti contraffatti e usurpativi procura danni enormi all’economia, facilitando una «economia sommersa» che sottrae delle entrate (9) per i servizi pubblici essenziali e costringe ad oneri più elevati in materia fiscale i contribuenti, con perdite di posti di lavoro regolari.

2.12.

Nell’UE, le perdite di posti di lavoro si collocherebbero intorno alle 800 mila unità all’anno e la perdita annua di gettito fiscale è stimata intorno ai 14,3 mld di EUR, in termini di entrate fiscali, IVA e accise (10).

2.13.

Il PE ha adottato una serie di risoluzioni in materia, tra le quali, in particolare la risoluzione del 9 giugno 2015 (11) in cui ha raccomandato un approccio che associ tutti gli attori nella lotta alla contraffazione, una maggiore informazione e sensibilizzazione dei consumatori, lo sviluppo di nuovi modelli commerciali, il miglioramento delle misure di difesa per le PMI, la creazione di un contesto di convergenza tra gli interessi degli Stati membri e quelli dei paesi terzi, un maggiore sfruttamento dei dati raccolti dall’Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale (EUIPO).

2.14.

Il 19 marzo 2013 il Consiglio ha adottato una risoluzione sul piano d’azione dell’UE per il periodo 2013-2017 in materia di dogane per combattere le violazioni dei DPI; il piano ha obiettivi chiari, risorse appropriate ed indicatori in materia di risultati e rendimento secondo una tabella di marcia ben definita in tema di:

attuazione e monitoraggio della nuova legislazione di tutela dei diritti di proprietà intellettuale,

lotta alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale nel commercio di beni e servizi,

cooperazione con i principali paesi d’origine, transito e destinazione per combattere il commercio illecito lungo l’intera catena d’approvvigionamento internazionale,

rafforzamento della cooperazione con l’Osservatorio EUIPO e le autorità di contrasto.

2.15.

Il 18 maggio 2017, nelle conclusioni del Consiglio che fissano le priorità dell’UE nella lotta alla criminalità organizzata e alle forme gravi di criminalità internazionale nel periodo 2018-2021, viene sottolineato che «i mercati criminali sono sempre più complessi e dinamici […]. […] occorre pertanto prestare particolare attenzione al commercio elettronico di beni e servizi illeciti, […] comprese le merci contraffatte».

3.   Panoramica internazionale

3.1.

Le statistiche doganali indicano chiaramente che la maggior parte dei paesi di origine delle merci contraffatte non appartiene all’Unione europea, dato che i principali paesi coinvolti comprendono non solo la Cina e Hong Kong, ma anche altri paesi asiatici specializzati in determinati settori, quali l’India in prodotti farmaceutici, l’Egitto in prodotti alimentari e la Turchia in profumi, cosmetici e calzature, la Malesia, la Bielorussia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Indonesia, la Thailandia e le Filippine.

3.2.

Dalle statistiche delle dogane dell’Unione europea per il 2014 è emerso che oltre il 66 % dei prodotti tessili e di abbigliamento contraffatti provenivano da paesi terzi.

3.3.

Una rilevanza particolare acquistano i punti di transito per il trasporto di merci dall’Asia all’Europa, che fungono da principali centri per il traffico di container della rete di 3 000 zone di libero scambio dislocate in 135 paesi, che vengono utilizzate come luoghi per scambiare, documentare e ri-etichettare i carichi dei container.

3.4.

Un altro elemento di rilievo è costituito dall’aumento considerevole che ha assunto la produzione domestica di merci contraffatte o usurpative nell’UE, attività che sta diventando secondo Europol sempre più redditizia per gruppi e organizzazioni della criminalità organizzata e che presenta rischi assai minori e collegamenti ad altre forme di criminalità come la frode, la falsificazione di documenti, l’evasione fiscale e la tratta di esseri umani.

3.5.

Sembra così emergere di un nuovo modello, con lo spostamento della produzione di merci contraffatte e usurpative all’interno dell’UE, con costi di trasporto più contenuti e minori rischi di intercettazione e con reti criminali dotate di risorse adeguate e ben organizzate: la prevista crescita della zona franca di Tangeri Med, in Marocco, a soli 15 km dall’UE, potrebbe offrire alle reti della criminalità ulteriori opportunità per immettere sul mercato europeo più ingenti quantitativi di merci contraffatte.

3.6.

I Paesi le cui imprese sono state maggiormente interessate dal fenomeno della contraffazione tra il 2011 e il 2013 sono gli Stati Uniti d’America per il 20 %, seguiti dall’Italia con il 15 %, la Francia e la Svizzera con il 12 %, il Giappone e la Germania con l’8 %, e il Regno Unito e il Lussemburgo. Non si devono sottovalutare neppure le perdite indirette e i costi aggiuntivi sostenuti per creare nuove soluzioni progettuali/innovative come risposta alle attività di contraffazione.

4.   La lotta alla contraffazione e alla pirateria nel mercato interno

4.1.

Il CESE chiede con forza agli Stati membri di adottare misure intese a:

rafforzare la legislazione e i provvedimenti nazionali in materia di lotta contro la contraffazione, puntare alla loro armonizzazione a livello europeo, sviluppare quadri efficienti per l’ispezione amministrativa delle merci contraffatte e adeguare le opzioni di diritto penale disponibili negli Stati membri,

assicurare livelli elevati comuni di implementazione a livello nazionale delle normative europee con scambi delle migliori prassi,

incaricare le autorità competenti di raccogliere dati statistici comparabili anche sui collegamenti tra prodotti contraffatti e decessi o incidenti, ad esempio per gruppi di prodotti,

elaborare politiche per monitorare, controllare e prevenire più efficacemente i rischi per la salute pubblica derivanti dai prodotti contraffatti,

fornire ai consumatori, grazie alla tecnologia degli smartphone, gli strumenti per giudicare autonomamente dell’autenticità delle merci e per verificare e controllare le caratteristiche, il valore e la sicurezza dei loro acquisti,

migliorare la comunicazione con i consumatori, mettendoli in guardia contro i rischi derivanti dai prodotti contraffatti e indicando loro come riconoscere tali prodotti facilmente con metodiche nuove: è necessario sensibilizzare i consumatori e lanciare campagne di informazione e di educazione a livello nazionale,

coinvolgere più attivamente gli attori locali, i gruppi interprofessionali e le associazioni di consumatori nella lotta alla contraffazione a livello nazionale, in particolare mediante campagne di informazione,

fornire ai doganieri mezzi e risorse sufficienti e una formazione adeguata in materia di metodi e politiche per l’individuazione di prodotti contraffatti,

agevolare la registrazione di marchi, modelli e altri diritti di proprietà intellettuale per le PMI, sempre mantenendo un livello elevato di standard tecnici e DPI.

4.2.

Il CESE esorta ad adottare un nuovo quadro dell’UE per il periodo 2018-2021 che comprenda un piano d’azione interamente finanziato e coordinato al fine di rafforzare la legislazione e i provvedimenti nazionali in materia di lotta alla contraffazione tramite misure quali:

accelerare il completamento della Dogana unica europea, con procedure, strumenti, banche dati unificate e immediatamente percorribili,

adottare criteri comuni per la raccolta di dati statistici, ponendo l’accento sulle iniziative settoriali in quanto non esiste una soluzione valida per tutti,

promuovere applicazioni innovative di tracciabilità e monitoraggio,

attuare un più forte coordinamento europeo così da portare gli standard di lotta alla contraffazione agli stessi livelli in tutti gli Stati membri,

incrementare l’attività di intelligence e gli accordi bilaterali di contrasto lungo l’intera catena di contraffazione anche con l’aiuto e l’ampliamento della rete di EU-IPR DESK in loco,

potenziare da subito il quadro UE semplificato di sostegno e assistenza alle PMI europee,

inserire clausole anticontraffazione nei nuovi accordi di libero scambio,

attivare misure preventive coordinate internazionalmente di monitoraggio delle 3 000 zone franche e dell’intera catena di approvvigionamento,

chiedere alle autorità competenti dell’UE di raccogliere dati statistici interamente comparabili sui collegamenti tra prodotti contraffatti e decessi o incidenti,

definire misure comuni a livello UE per controllare e prevenire più efficacemente i rischi per la salute pubblica derivanti dai prodotti contraffatti,

migliorare la comunicazione dell’UE nei confronti dei consumatori, mettendoli in guardia e indicando loro come riconoscere tali prodotti (modello CCR),

incoraggiare i professionisti dell’UE a condividere ulteriormente le informazioni sui problemi legati alla contraffazione e a rafforzare le misure concrete di lotta alla contraffazione, come l’attivazione di linee telefoniche dirette per i consumatori e il miglioramento dei sistemi di gestione dei dati,

agire in modo coordinato sull’e-commerce (metodi di pagamento e pubblicità) e adottare norme comuni specifiche per monitorare la vendita di farmaci e altri prodotti sensibili su Internet coinvolgendo i soggetti interessati, i gruppi interprofessionali e le associazioni di consumatori,

sviluppare l’approccio relativo al reato di contraffazione contro le organizzazioni criminali e il loro impatto sulla sicurezza e la salute pubblica, adottando principi giuridici stabiliti connessi con la convenzione Medicrime ed estendendoli a prodotti industriali contraffatti che pongano problemi di sicurezza e rischi per la salute pubblica,

in collaborazione con l’EMA, Europol, l’EFSA e l’ENISA, adottare norme specifiche per monitorare la vendita di medicinali, alimenti e altri prodotti sensibili su Internet,

valutare il ruolo che gli intermediari possono svolgere per la tutela dei DPI, anche per quanto riguarda le merci contraffatte, e considerare la possibilità di modificare il quadro normativo specifico UE per l’applicazione delle norme (12),

sviluppare e sostenere una forte campagna europea di lotta alla contraffazione all’interno e all’esterno del mercato interno, parallelamente alle campagne nazionali,

promuovere un’iniziativa tecnologica congiunta (ITC) in materia di contraffazione nell’ambito di Orizzonte 2020,

attrezzare le misure adottate con una adeguata dotazione finanziaria nel quadro del nuovo piano d’azione 2018-2021.

5.   Assicurare una governance ottimale

5.1.

È indispensabile, secondo il CESE, un maggior coordinamento dei molteplici servizi della Commissione e delle agenzie europee che sono interessate dal fenomeno, con la creazione di una task force alle dirette dipendenze del presidente della Commissione, che possa interagire: con i vari comparti del settore privato interessati, con gli organismi internazionali e con le autorità nazionali competenti degli Stati membri.

5.2.

Tale task force della contraffazione dovrebbe presentare un rapporto annuale esaustivo dei progressi realizzati sul piano tecnologico, strutturale e normativo, soprattutto a livello internazionale.

5.3.

Occorre rafforzare il coordinamento internazionale della Commissione europea e delle agenzie europee, specie l’EUIPO, Europol e l’OLAF, così come delle organizzazioni non governative impegnate nella lotta alla contraffazione, organizzando conferenze internazionali annuali.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Relazione comune EPO-OHIM sulle industrie a forte intensità di DPI nell’UE, settembre 2013.

(2)  http://www.springer.com/978-1-4614-5567-7 — Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC).

(3)  http://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/211

(4)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.C_.2016.487.01.0057.01.ITA&toc=OJ:C:2016:487:TOC.

(5)  Relazione comune EPO-OHIM sulle industrie a forte intensità di DPI nell’UE, settembre 2013.

(6)  Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, The Globalization of Crime. A Transnational Crime Threat Assessment (La globalizzazione del crimine — Una valutazione della minaccia posta dalla criminalità organizzata transnazionale).

(7)  OECD/EUIPO (2016), Trade in Counterfeit and Pirated Goods: Mapping the Economic Impact (Il commercio delle merci contraffatte e usurpative: mappatura dell’impatto economico).

(8)  Global Financial Integrity, Transnational Crime and the Developing World (La criminalità organizzata transnazionale e i paesi in via di sviluppo), del marzo 2017 (statistiche confermate dalla fondazione WAITO — aprile 2017).

(9)  Si tratta di mancate entrate fiscali stimate, nel 2013, tra i 90 e i 120 mld di EUR — Frontier Economics — 2016.

(10)  Studi settoriali riguardanti nove settori colpiti: cosmetici e cura della persona; abbigliamento, calzature e accessori; articoli sportivi; giocattoli e giochi; gioielleria e orologi; borse; musica registrata; vini e alcolici; prodotti farmaceutici.

(11)  Europarl P8_TA(2015)0219 — 09/06/2015 — http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P8-TA-2015-0219&language=IT&ring=A8-2015-0161.

(12)  Cfr. COM(2016) 288 final.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «Le trasformazioni industriali nel settore UE dello zucchero da barbabietola»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/05)

Relatore:

Jose Manuel ROCHE RAMO

Correlatrice:

Estelle BRENTNALL

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

22.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

111/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il settore europeo dello zucchero da barbabietola si sta preparando a far fronte ad uno dei più importanti cambiamenti nella sua storia: la fine delle quote di produzione, prevista il 1o ottobre 2017. La fine del regime di quote offre una serie di opportunità ai fabbricanti europei di zucchero da barbabietola, in particolare la possibilità di produrre di più per uso alimentare e di esportare senza limiti. Per trarre vantaggio da tali opportunità, l’industria dello zucchero da barbabietola dell’UE ha lavorato duramente per aumentare la propria competitività. Tuttavia, la fine delle quote di produzione crea anche ulteriori rischi e incertezze e potrebbe mettere sotto pressione il settore. La concorrenza si intensificherà, esercitando una pressione sui prezzi sia per i coltivatori che per i trasformatori, mentre è previsto un aumento della quota di mercato per l’isoglucosio. I fabbricanti e i coltivatori europei potranno, se meno competitivi, dover lottare per sopravvivere in un ambiente di mercato più volatile e più duro. Ciò potrebbe avere conseguenze gravi per i lavoratori, le imprese, gli agricoltori e le comunità rurali. È essenziale che i responsabili politici restino vigili per quanto riguarda il futuro del settore.

1.2.

Gli aiuti all’ammasso privato di zucchero saranno l’unico strumento specifico possibile a sostegno dell’industria europea dello zucchero da barbabietola dopo la fine delle quote di produzione. Tuttavia, nel caso di una crisi di mercato nel settore dello zucchero di barbabietola dell’UE non è chiaro in quali circostanze tali aiuti potrebbero essere introdotti. Le condizioni di attivazione dell’aiuto all’ammasso privato devono essere definite meglio, in modo che il sistema risulti adeguato allo scopo. La Commissione europea potrebbe prendere in considerazione la possibilità di definire una soglia obiettiva di prezzo che faccia scattare il processo decisionale per l’attivazione dell’aiuto all’ammasso privato. Ciò renderebbe la procedura meno soggettiva e promuoverebbe l’introduzione rapida e uniforme di questo strumento di assistenza in tempi di crisi. Le disposizioni anticrisi di carattere generale, come l’articolo 222 del regolamento unico OCM, dovrebbero essere altresì valutate come possibili opzioni alternative. Il Comitato accoglie con favore la creazione dell’Osservatorio del mercato dello zucchero, a condizione che la sua composizione sia equilibrata e che si riunisca tempestivamente qualora il mercato si trovi in difficoltà.

1.3.

La PAC dovrebbe includere meccanismi di mercato volti a sostenere la produzione costante di zucchero negli Stati membri dell’UE. L’industria europea dello zucchero da barbabietola contribuisce in modo decisivo alla creazione di posti di lavoro e all’attività economica, nonché alla competitività dell’industria alimentare e delle bevande. Attualmente la PAC consente agli Stati membri di concedere un aiuto accoppiato ai settori o alle regioni che incontrano difficoltà in determinati tipi di coltivazioni o in taluni settori agricoli che rivestono particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali. È il caso della coltivazione di barbabietole da zucchero nelle regioni vulnerabili. I pagamenti diretti accoppiati dovrebbero essere volti a ridurre il rischio di un calo e/o di un abbandono della produzione di zucchero di barbabietola in tali regioni, al fine di evitare la desertificazione rurale e preservare la biodiversità. In un contesto di maggiore volatilità, il sostegno diretto agli agricoltori dovrebbe essere integrato da un migliore accesso agli strumenti di gestione dei rischi. L’interdipendenza fra i trasformatori e gli agricoltori è il motivo per cui esiste il quadro contrattuale specifico che disciplina i rapporti tra coltivatori e trasformatori nel settore.

1.4.

In caso di sviluppi sfavorevoli del mercato dello zucchero dell’UE, dal 1o ottobre 2017 si potrebbero avere degli esuberi. La Commissione europea dovrebbe valutare l’idoneità dei diversi fondi strutturali e di investimento europei (Fondi ESI) al fine di sostenere l’occupazione regionale o locale, in particolare per i lavoratori e gli agricoltori interessati dall’eventuale chiusura di taluni servizi. Può essere necessario prevedere eccezioni per quanto riguarda i criteri d’introduzione per alcuni di questi fondi.

1.5.

A partire dal 1o ottobre 2017, i fabbricanti di zucchero da barbabietola dell’UE saranno tenuti a notificare sia il prezzo di vendita del loro principale prodotto sia il prezzo di acquisto dei fattori produttivi primari. Questo livello di trasparenza del mercato non è compensato da maggiore trasparenza lungo la catena di approvvigionamento e da parte dei produttori di isoglucosio. La Commissione europea dovrebbe prendere in considerazione le raccomandazioni della Task Force Mercati agricoli, la quale consiglia di estendere la trasparenza del mercato agli utilizzatori dello zucchero, allo scopo di fornire un quadro più preciso di come il valore aggiunto è condiviso lungo la catena di approvvigionamento. La trasparenza del mercato, sia per i produttori di zucchero e di isoglucosio che per gli utilizzatori di zucchero, deve essere tale da non pregiudicare la posizione concorrenziale delle imprese interessate.

1.6.

Un aumento delle esportazioni di zucchero sarà di cruciale importanza per l’industria UE dello zucchero dopo la fine delle quote. La Commissione europea dovrebbe promuovere le esportazioni di zucchero dell’UE e contestare l’imposizione arbitraria di strumenti di difesa commerciale da parte di paesi terzi importatori. La CE dovrebbe altresì essere cauta nel perseguire la liberalizzazione commerciale nell’ambito dei negoziati per gli accordi di libero scambio dell’UE. Dovrebbe infine contestare in modo più deciso le politiche di sostegno distorsive degli scambi portate avanti dai grandi produttori ed esportatori mondiali di zucchero, sia in sede di OMC che durante i negoziati commerciali bilaterali.

1.7.

Promuovere sbocchi alternativi per le barbabietole da zucchero, come il bioetanolo, i mangimi, le bioplastiche e i prodotti chimici di origine biologica, sarà essenziale per la competitività futura del settore. La Commissione europea dovrebbe mantenere al 7 per cento il limite massimo relativo ai biocarburanti che può essere contabilizzato ai fini del conseguimento dell’obiettivo del 10 per cento per le energie rinnovabili nei trasporti. L’allegato IX alla direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (2009/28/CE), che classifica le melasse come materie prime per i biocarburanti avanzati, dovrebbe rimanere invariato. La Commissione europea e la Banca europea per gli investimenti dovrebbero agire per stimolare e migliorare l’innovazione nel settore degli altri coprodotti di origine biologica. Ciò potrebbe avvenire sotto forma di un fondo per l’innovazione dell’UE e di un programma di prestiti a basso tasso di interesse.

2.   L’importanza della produzione di zucchero da barbabietola per le zone rurali e l’ambiente

2.1.

L’Unione europea è il primo produttore mondiale di zucchero da barbabietola. In media, 17,2 milioni di tonnellate sono state prodotte ogni anno tra la campagna 2011/12 e quella 2015/16. Le imprese produttrici di zucchero acquistano ogni anno circa 107 milioni di tonnellate di barbabietole da zucchero da 137 000 coltivatori europei. Le barbabietole da zucchero vengono principalmente trasformate in zucchero, ma una notevole quantità si converte in altri prodotti, ad esempio alimenti per animali, etanolo rinnovabile e bioprodotti. Tali prodotti possono svolgere un importante ruolo di ammortizzatore in caso di eccedenza dell’offerta.

2.2.

Gli zuccherifici si trovano per la maggior parte in zone rurali caratterizzate da un basso livello di attività industriale. Essi spesso costituiscono la spina dorsale dell’economia nelle regioni in cui si trovano, con poche alternative industriali esistenti. Il settore dello zucchero dell’UE fornisce circa 28 000 posti di lavoro diretti, concentrati principalmente nelle regioni più competitive nella produzione di barbabietole da zucchero. Questi posti di lavoro tendono ad essere altamente qualificati, e i lavoratori dell’industria dello zucchero ottengono retribuzioni più elevate rispetto alla maggior parte degli altri settori agricoli. Oltre all’occupazione diretta, l’attività economica generata da tale settore crea altri 150 000 posti di lavoro indiretti, ad esempio nei settori dei trasporti, della logistica e della costruzione.

2.3.

Solo in circostanze del tutto eccezionali è possibile riavviare la produzione di zucchero una volta che un impianto è stato chiuso. Ciò è dovuto al fatto che la costruzione di uno zuccherificio comporta elevati costi di investimento, in genere varie centinaia di milioni di EUR. Nella maggior parte dei casi, la chiusura di un impianto comporta la perdita definitiva di un’attività industriale essenziale e la conseguente scomparsa di centinaia di posti di lavoro diretti e indiretti. La ricerca di un’occupazione alternativa nell’industria può portare alla migrazione rurale e allo spopolamento.

2.4.

La situazione è analoga per i coltivatori. La barbabietola da zucchero deve essere coltivata nelle vicinanze geografiche degli stabilimenti chiamati poi a trasformarla. Ciò è dovuto ai costi abbastanza elevati del trasporto, infatti ci vogliono da sei a sette tonnellate di barbabietole per produrre una tonnellata di zucchero. Se uno zuccherificio cessa la propria attività, i coltivatori sono privi di uno sbocco per la loro produzione di barbabietole da zucchero. A meno che non vi sia un altro zuccherificio ad una distanza economicamente praticabile, essi sono obbligati a passare ad altre colture. Questo ha un notevole impatto negativo sul rendimento finanziario degli agricoltori interessati, molti dei quali hanno compiuto notevoli investimenti in attrezzature specifiche, ad esempio per la raccolta delle barbabietole, che non possono essere utilizzate per altre colture. Inoltre, l’improvvisa riconversione ad altre colture da parte di un gran numero di agricoltori può esercitare una considerevole pressione sui mercati agricoli locali.

2.5.

La produzione di zucchero da barbabietola è sostenibile dal punto di vista ambientale. La barbabietola da zucchero è sempre coltivata in avvicendamento con altre coltivazioni agricole. La rotazione delle colture contribuisce a preservare la fertilità del suolo e a diminuire i livelli di agenti patogeni e parassiti nel suolo stesso, riducendo pertanto l’obbligo di prodotti fitosanitari. Lo sviluppo e la diffusione di buone prassi sono frequenti nelle regioni dell’UE dove viene coltivata la barbabietola. Il settore incoraggia l’utilizzo di concime organico e una minore coltivazione per promuovere la fertilità del suolo e ridurre l’erosione. Negli stabilimenti, il consumo di energia è ridotto al minimo grazie all’utilizzo di sistemi di produzione combinata di calore ed elettricità (CHP), al recupero del calore e alla conservazione delle risorse idriche.

3.   La posizione concorrenziale del settore UE della produzione di zucchero da barbabietola

3.1.

Il settore dello zucchero dell’UE ha investito ingenti risorse in interventi di miglioramento e di riduzione dei costi, nonché in risorse umane, ricerca, istruzione e formazione. Negli ultimi 26 anni, il costo di produzione medio nell’UE per quota di zucchero è aumentato solo dello 0,4 % l’anno, rispetto a un tasso di inflazione annuo del 2,2 %. Questo si traduce in una costante riduzione dei costi rispetto all’inflazione da oltre due decenni (1). Questi vantaggi hanno contribuito all’aumento della competitività dell’industria UE del settore alimentare e delle bevande che utilizza lo zucchero.

3.1.1.

I raccolti di barbabietola da zucchero sono aumentati notevolmente negli ultimi anni, grazie ad una combinazione di miglioramenti a livello tecnico e nella varietà di sementi dovuti alla cooperazione tra l’industria, i coltivatori, i ricercatori e i commercianti di sementi. Il rendimento medio di zucchero di barbabietola (tonnellate di zucchero per ettaro) è aumentato del 2,4 % l’anno negli ultimi 26 anni, e tale tendenza dovrebbe continuare nel periodo successivo al 2017. Il rendimento per ettaro nell’UE è superiore a quello dell’Australia o delle regioni centro-meridionali del Brasile, che figurano fra le zone più competitive al mondo. Quattro delle prime dieci imprese produttrici di zucchero a livello mondiale hanno sede nell’Unione europea (2).

3.2.

Tali vantaggi competitivi sono dovuti in parte a una notevole ristrutturazione del settore che ha avuto luogo tra il 2006 e il 2009. Dopo la riforma del 2006, l’industria europea dello zucchero da barbabietola ha quasi dimezzato i suoi stabilimenti, perdendo 4,5 milioni di tonnellate di capacità di produzione, oltre 24 000 posti di lavoro diretti e 165 000 fornitori agricoli (3). Questa trasformazione ha reso il settore dello zucchero da barbabietola dell’UE economicamente più sostenibile, sebbene a un costo sociale elevato. Dalla campagna di commercializzazione 2008/2009, l’occupazione è rimasta relativamente stabile, così come il numero di stabilimenti.

3.3.

Le intense relazioni fra i trasformatori e i dipendenti sono state sostenute da un dialogo sociale di lunga durata a livello nazionale ed europeo. Il dialogo sociale nel settore UE dello zucchero esiste dal 1968 ed è stato fondamentale per garantire una transizione senza sconvolgimenti sociali anche in tempi difficili, come quelli successivi alla riforma della politica dello zucchero dell’UE del 2006. Contribuendo a un senso di co-titolarità, il dialogo sociale promuove la competitività dell’industria.

3.4.

Ulteriori miglioramenti in termini di competitività si avranno a partire dal 2017, soprattutto perché i fabbricanti tenteranno di ridurre i costi fissi facendo funzionare gli stabilimenti a piena capacità. Questo potrebbe comportare campagne più lunghe di lavorazione della barbabietola e, pertanto, maggiori rischi per i trasformatori e i coltivatori, a causa delle incertezze legate alla raccolta e allo stoccaggio delle barbabietole durante l’inverno.

3.5.

Per evitare sprechi, i trasformatori utilizzano tutte le parti della barbabietola da zucchero per ottenere una serie di prodotti in aggiunta allo zucchero, ad esempio: le pietre e il suolo che si ricavano dalla pulitura delle barbabietole vengono venduti all’industria della costruzione; il materiale fibroso (polpa) presente nella barbabietola e le melasse vengono estratti e trasformati in alimenti per animali; le melasse e altri sciroppi che si ricavano dalla produzione di zucchero possono essere utilizzati per produrre etanolo rinnovabile. Inoltre, i produttori di zucchero si stanno sempre più diversificando nella produzione di ingredienti per prodotti biologici destinati ad industrie quali la plastica, l’industria tessile, i prodotti farmaceutici e quelli chimici.

4.   Le relazioni all’interno della catena di approvvigionamento dello zucchero

4.1.

I coltivatori e i trasformatori di barbabietole da zucchero dipendono gli uni dagli altri. Gli agricoltori dipendono dalle imprese di produzione dello zucchero per la messa a disposizione del capitale fisso e delle competenze necessarie per estrarre lo zucchero dalle loro barbabietole, e i trasformatori dipendono dagli agricoltori che forniscono loro il raccolto. Al fine di ridurre al minimo i costi di trasporto delle barbabietole, gli agricoltori devono inoltre operare nelle vicinanze geografiche dello zuccherificio che essi riforniscono. Inoltre, molte delle principali imprese produttrici di zucchero sono cooperative che consentono agli agricoltori di avere una partecipazione diretta alle loro attività.

4.1.1.

L’interdipendenza fra i trasformatori e gli agricoltori richiede uno specifico quadro contrattuale per equilibrare diritti e obblighi tra i due partner. Dal 2017, le relazioni contrattuali tra i coltivatori di barbabietole e i trasformatori di zucchero sono disciplinate dall’articolo 125 e dall’allegato X del regolamento unico OCM. Queste norme sono state recentemente integrate da un regolamento delegato, che consente alle clausole di condivisione del valore di continuare ad essere incluse nei contratti su base volontaria (4). La maggior parte degli zuccherifici hanno recentemente siglato, per il 2017-18 e oltre, contratti che prevedono qualche forma di collegamento tra i prezzi della barbabietola da zucchero e i prezzi di mercato dello zucchero.

4.1.2.

I fabbricanti di zucchero da barbabietola sono stati per molto tempo tenuti a presentare una relazione mensile sui prezzi, la produzione e gli stock, e tale obbligo rimarrà nel periodo post-quote. A decorrere dal 1o ottobre 2017, i prezzi della barbabietola da zucchero devono inoltre essere notificati alla Commissione europea e pubblicati su base annuale. Questo livello di trasparenza del mercato che caratterizza il settore della trasformazione dello zucchero non è compensato dalla trasparenza lungo la catena di approvvigionamento e da parte dei produttori di isoglucosio. Da una serie di elementi risulta che la trasmissione dei prezzi lungo la filiera dello zucchero è bassa (5), e potrebbe essere utile valutare la possibilità di una maggiore trasparenza per gli utilizzatori dello zucchero da barbabietola dell’UE.

4.2.

Sul mercato UE dello zucchero sono attivi anche i raffinatori di zucchero di canna. Questi ultimi, pur non trasformando la barbabietola da zucchero dipendono dalle importazioni di zucchero greggio di canna destinato alla raffinazione. L’UE autorizza importazioni di zucchero illimitate ed esenti da dazi dai paesi meno sviluppati nell’ambito dell’iniziativa «Tutto tranne le armi» (Everything But Arms EBA) e dai paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico che hanno concluso un accordo di partenariato economico (APE) con l’UE. I raffinatori europei di zucchero greggio di canna beneficiano di un accesso al mercato esente da dazi nel quadro di accordi bilaterali con l’America centrale, la Colombia, il Perù, l’Ecuador e il Sud Africa, per un totale attuale di 420 000 tonnellate l’anno. La disponibilità annuale di zucchero greggio destinato alla raffinazione a dazio ridotto nell’ambito del contingente CXL, che è suddivisa tra il Brasile, l’Australia, Cuba e tutti i paesi terzi («Erga omnes»), ammonta a oltre 700 000 tonnellate ed è destinata ad aumentare fino a quasi 800 000 tonnellate nel 2017/18. Nei negoziati di libero scambio, siano essi conclusi di recente o ancora in corso, l’UE offre ai paesi terzi un ulteriore accesso al proprio mercato dello zucchero.

5.   La fine delle quote di produzione

5.1.

Dal 1968, la produzione UE di zucchero e di isoglucosio per uso alimentare è stata limitata dalle quote di produzione. Queste ultime non esisteranno più a partire dal 1o ottobre 2017, cioè all’inizio della campagna di commercializzazione 2017/2018 dello zucchero dell’UE. I produttori di zucchero e di isoglucosio dell’UE saranno allora liberi di produrre quantità illimitate di zucchero e di isoglucosio per uso alimentare. Il nuovo regime prevede inoltre di abolire il massimale all’esportazione attualmente in vigore (6). Di conseguenza, coloro che operano nel settore dello zucchero dell’UE saranno liberi di esportare zucchero senza limiti a partire dal 1o ottobre 2017.

5.2.

Nel 2017/2018 è previsto un aumento della produzione di zucchero. Quest’ultimo dovrebbe essere di natura strutturale. Inoltre, l’isoglucosio dovrebbe occupare una quota maggiore del mercato europeo dei dolcificanti: i produttori mirano a produrre «nel tempo» 2-3 milioni di tonnellate di isoglucosio, gran parte del quale può essere utilizzato per la produzione di bevande analcoliche (7). A titolo di confronto, il consumo di zucchero nell’UE è in lieve calo.

5.3.

L’aumento della produzione interna di zucchero e una più ampia quota di mercato per l’isoglucosio potrebbero incidere sui prezzi dello zucchero bianco dell’UE nel periodo post-quote. Le prospettive a medio termine della Commissione europea per i mercati agricoli nel periodo 2016-2026 suggeriscono che i prezzi dello zucchero bianco dell’UE saranno inferiori alla soglia di riferimento di 404 EUR per tonnellata per la maggior parte del periodo successivo al regime delle quote, ossia al di sotto dei costi medi di produzione dello zucchero e di coltivazione delle barbabietole da zucchero.

5.3.1.

Nel 2015, il prezzo dello zucchero bianco dell’UE ha raggiunto il livello più basso da quando è stato adottato il sistema di comunicazione dei prezzi, nel 2006 (8). Tale situazione ha avuto gravi ripercussioni sui risultati finanziari illustrati dai produttori di zucchero dell’UE, molti dei quali non sono stati in grado di produrre utili nel corso dell’esercizio finanziario 2015/16. I produttori italiani di zucchero hanno subito una particolare pressione e un produttore ha deciso di non produrre durante la campagna di commercializzazione 2015/16. L’unica impresa di produzione di zucchero esistente in Grecia è anch’essa in gravi difficoltà.

5.4.

A decorrere dal 1o ottobre 2017, i produttori di zucchero dell’Unione europea saranno liberi di esportare quantità illimitate. Potrà essere l’occasione per aumentare le entrate e per compensare la diminuzione dei prezzi dello zucchero nell’UE. Le proiezioni indicano un aumento del consumo mondiale di zucchero a un tasso dell’1,5-2 % l’anno (circa 2-3 milioni di tonnellate l’anno); in altre parole vi dovrebbe essere una domanda sufficiente per un aumento delle esportazioni di zucchero dell’UE.

5.4.1.

Tuttavia, un aumento delle esportazioni di zucchero europee dipende da un accesso sufficiente ai mercati dei paesi terzi. La Commissione europea dovrebbe lavorare per aprire i mercati dello zucchero degli importatori netti di zucchero nei negoziati sul libero scambio, sia attraverso la riduzione/soppressione dei dazi doganali sia mediante l’apertura di contingenti tariffari. Dovrebbe inoltre continuare a eliminare i dazi sulle esportazioni di prodotti UE ad elevato tenore di zucchero, e a sostenere regole rigorose in materia di origine per tali prodotti, al fine di garantire che i produttori di zucchero dell’UE possano beneficiare dell’aumento delle esportazioni.

5.4.2.

Le esportazioni di zucchero dell’UE sono a volte ostacolate dagli strumenti di difesa commerciale imposti dai paesi terzi. La Commissione europea dovrebbe fare tutto il possibile per lottare contro queste misure una volta che il settore sarà liberalizzato a partire dal 1o ottobre 2017 e il settore dovrà offrire il necessario sostegno a qualsiasi procedura concordata.

5.5.

Nei negoziati di libero scambio, siano essi conclusi di recente o ancora in corso, l’UE offre ai paesi terzi un ulteriore accesso al proprio mercato dello zucchero. L’apertura del mercato sottopone i prezzi dello zucchero bianco dell’UE ad una pressione al ribasso e ad una crescente volatilità. L’attuale mercato mondiale è un mercato residuale dove si assiste a pratiche di dumping, soggetto a un’elevata instabilità e nel quale le merci vengono spesso scambiate al di sotto dei costi medi di produzione persino delle industrie più efficienti a livello mondiale. Ciò è dovuto in gran parte alle misure di sostegno distorsive degli scambi adottate da alcuni tra i principali produttori ed esportatori di zucchero, come il Brasile e la Thailandia. Il risultato è che l’industria dello zucchero da barbabietola dell’UE non è in grado di competere in condizioni di parità con i produttori di zucchero nei paesi terzi. Nei suoi negoziati di libero scambio, la Commissione deve considerare lo zucchero come un prodotto sensibile, mantenendo i dazi dell’UE su questo prodotto. I negoziati in corso con il Mercosur rappresentano un grave rischio per il settore, dato che il Brasile è il principale produttore ed esportatore mondiale. La Commissione deve essere pronta a sfidare i principali sovvenzionatori di zucchero nell’organo di composizione delle controversie dell’OMC e nel corso dei negoziati commerciali.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Dati tratti dall’indagine annuale condotta dal CEFS (Comitato europeo dei fabbricanti di zucchero) sui costi annuali di fabbricazione, che viene effettuata su base annua per calcolare un costo medio di produzione per quota di zucchero da barbabietola nell’UE.

(2)  F.O. Licht. International Sugar and Sweetener Report («Relazione internazionale sullo zucchero e i dolcificanti»), 18 maggio 2017, vol. 149, n. 14. Le quattro imprese produttrici di zucchero sono: Südzucker, Tereos, ABSugar e Nordzucker.

(3)  Statistiche del CEFS.

(4)  Regolamento delegato (UE) 2016/1166 della Commissione del 17 maggio 2016 che modifica l’allegato X del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le condizioni di acquisto della barbabietola nel settore dello zucchero a decorrere dal 1o ottobre 2017.

(5)  Arrêté, ottobre 2012. Studio sulla trasmissione dei prezzi nel settore dello zucchero. Relazione finale Commissione europea, direzione generale Agricoltura e sviluppo rurale. Gara N. AGRI-2011-EVAL-03.

(6)  Cf. DS266. L’UE può attualmente esportare circa 1,35 milioni di tonnellate di zucchero per campagna di commercializzazione, vale a dire il 10 per cento della quota di produzione di zucchero.

(7)  Dati forniti da StarchEurope, l’associazione dell’industria europea dell’amido.

(8)  Nel febbraio e nel giugno 2015, i prezzi sono scesi a 414 EUR per tonnellata.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema: «Dalla dichiarazione di Cork 2.0 a iniziative concrete»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/06)

Relatrice:

Sofia BJÖRNSSON

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

15.6.2017

Adozione in sessione plenaria

6.7.2017

Sessione plenaria n.

526

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

123/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la dichiarazione di Cork 2.0 e la conferenza che, nel settembre 2016, è sfociata in questa dichiarazione, con la quale viene rinnovato un forte sostegno a una politica rurale dell’UE.

1.2.

Le aree rurali dell’UE sono eterogenee e presentano caratteristiche differenti tra gli Stati membri e all’interno degli stessi. Il CESE ritiene che tali differenze rendano necessario stabilire delle priorità e seguire un approccio strategico nell’utilizzo dei fondi dell’UE disponibili. A tal riguardo occorre basarsi sulle priorità degli Stati membri e delle loro regioni, e, cosa ancora più importante, sulle iniziative delle popolazioni che vivono nelle aree rurali. Un meccanismo di verifica obbligatoria delle decisioni e delle strategie politiche può inoltre costituire uno strumento per tener conto delle condizioni specifiche delle zone rurali e per rispettarle.

1.3.

Lo sviluppo rurale è una questione orizzontale che riguarda quasi tutti i settori di intervento. Vi è bisogno di una politica più coerente per le aree rurali e lo sviluppo regionale, e questo richiede a sua volta un solido bilancio per i fondi SIE (Fondi strutturali e d’investimento europei). Il CESE osserva che il fondo SIE che effettua i maggiori investimenti nello sviluppo rurale è il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e sottolinea che gli altri fondi SIE, quali il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE), dovrebbero aumentare la loro quota.

1.4.

I margini di semplificazione di tale politica sono significativi. Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che la semplificazione del quadro normativo dei fondi SIE è una necessità per l’attuazione delle politiche sia a livello di UE che a livello nazionale e regionale. Il sistema attuale è talmente complesso che alcuni potenziali richiedenti evitano di richiedere sostegno.

1.5.

In molte parti d’Europa, specie nelle zone rurali, mancano tuttora delle soluzioni stabili per quanto riguarda la connessione ad Internet; una situazione, questa, che il CESE deplora in modo particolare. Le aree rurali hanno bisogno della banda larga (ad esempio, per disporre di collegamenti telefonici funzionanti) per motivi di sicurezza e anche per il loro tenore di vita. L’accesso alla banda larga può costituire un fattore che incide sulla decisione, soprattutto dei giovani, se rimanere nelle aree rurali o trasferirsi altrove. Per le imprese e gli imprenditori, poi, la banda larga è uno strumento semplicemente indispensabile.

1.6.

Per via del suo forte legame con il suolo, l’agricoltura riveste un’importanza molto particolare per le aree rurali. Nelle aree rurali la produzione agricola costituisce sia un elemento essenziale per soddisfare la domanda da parte della società di prodotti alimentari sostenibili sia un motore per lo sviluppo rurale. A giudizio del CESE è pertanto ovvio che gran parte dei finanziamenti a titolo del FEASR siano destinati alle attività agricole. Per i giovani agricoltori il fatto di godere di condizioni favorevoli è fondamentale per assicurare una produzione agricola sostenibile a lungo termine.

1.7.

Il CESE sottolinea che per realizzare uno sviluppo sostenibile vi è bisogno di un ambiente propizio all’innovazione.

1.8.

Il CESE sottolinea che i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21) sono obiettivi generali che riguardano tutte le politiche dell’UE, comprese quelle in materia di sviluppo rurale. Gli enti regionali e locali che amministrano zone rurali devono poter partecipare attivamente all’attuazione di tali accordi internazionali.

2.   Osservazioni generali

Dichiarazione di Cork 2.0

2.1.

Nel 1996 la Commissione europea ha organizzato una conferenza nella città irlandese di Cork, la quale è sfociata nella dichiarazione di Cork, che ha gettato le basi del secondo pilastro della politica agricola comune (PAC) e dei programmi di sviluppo rurale (PSR). Nell’autunno del 2016 la Commissione ha organizzato, sempre a Cork, una conferenza di follow-up, conclusasi con l’adozione della dichiarazione di Cork 2.0.

2.2.

Tale dichiarazione è stata elaborata sulla base di un ampio consenso nel corso di una conferenza organizzata dalla direzione generale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, alla quale hanno preso parte circa 340 partecipanti provenienti dalla maggioranza degli Stati membri dell’UE, in rappresentanza della società civile e delle autorità a livello nazionale, regionale ed europeo, tra cui anche il CESE. La dichiarazione, intitolata Una vita migliore nelle aree rurali, è stata presentata durante la sessione conclusiva, dove è stata tacitamente adottata dai partecipanti.

2.3.

La dichiarazione prende le mosse dalla politica agricola e di sviluppo rurale dell’UE, ma in una certa misura adotta anche un approccio più ampio, facendo riferimento agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Agenda 2030) (1) e all’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21) (2).

2.4.

La dichiarazione si apre con una presentazione delle ragioni alla base del documento, per poi mettere a fuoco dieci punti relativi agli orientamenti politici:

Punto 1: Promuovere la prosperità delle aree rurali,

Punto 2: Rafforzare le catene di valore rurali,

Punto 3: Investire nella redditività e nella vitalità delle aree rurali,

Punto 4: Preservare l’ambiente rurale,

Punto 5: Gestire le risorse naturali,

Punto 6: Incoraggiare gli interventi a favore del clima,

Punto 7: Stimolare la conoscenza e l’innovazione,

Punto 8: Potenziare la governance rurale,

Punto 9: Incentivare l’attuazione e la semplificazione delle politiche,

Punto 10: Migliorare le prestazioni e aumentare la responsabilità.

2.5.

La dichiarazione adotta un approccio di ampio respiro allo sviluppo rurale, e la sua forza sta nell’ambito di applicazione e nel contenuto, dato che copre tutti gli elementi indispensabili a realizzare un ambiente rurale vitale e sostenibile nell’UE. Il CESE constata, tuttavia, che il suo campo d’applicazione costituisce anche il suo punto debole, poiché crea una complessità che non lascia alcun margine per stabilire delle priorità a livello di UE. In considerazione delle notevoli sfide che si trovano ad affrontare le aree rurali, il CESE sottolinea che le risorse disponibili devono essere utilizzate in maniera mirata al fine di garantire risultati concreti. Nella definizione delle priorità occorre basarsi sui settori prioritari di ciascuno Stato membro o delle regioni in questione e, soprattutto, sulle iniziative della popolazione rurale.

2.6.

Sul piano dei contenuti, la dichiarazione di Cork 2.0 assomiglia a quella del 1996, ma a differenza di quest’ultima comprende anche i cambiamenti climatici e la digitalizzazione.

2.7.

Il CESE si considera parte integrante dell’attuazione della dichiarazione e invita la Commissione a presentare in futuro relazioni sui progressi compiuti in tale senso.

Fondi UE per lo sviluppo rurale

2.8.

Tutti i paesi dell’UE dispongono di programmi di sviluppo rurale a livello nazionale o regionale, finanziati in parte dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e in parte dai fondi nazionali (pubblici e privati). Questi programmi prevedono misure volte a contribuire allo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni: ambientale, sociale ed economica. Essi vengono definiti dagli Stati membri o dalle regioni competenti, per essere poi approvati dalla Commissione.

2.9.

Il FEASR fa parte dei cosiddetti fondi SIE (fondi strutturali e d’investimento europei), assieme al Fondo di coesione, al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), al Fondo sociale europeo (FSE) e al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP). Gli aspetti tecnici dell’attuazione dei fondi SIE sono disciplinati da un quadro normativo comune (3). Inoltre, ogni paese ha concluso accordi di partenariato congiunti per i fondi, in cui vengono fissate le priorità per l’attuazione delle politiche. Queste rientrano nel quadro della realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020. Esiste quindi uno stretto collegamento tra i fondi e una strategia per la cooperazione in questo ambito.

2.10.

Nel quadro del FEASR esistono delle reti rurali che operano a livello dell’UE, come la rete europea per lo sviluppo rurale, o a livello nazionale e regionale. Tali reti costituiscono delle piattaforme per i contatti e lo scambio di esperienze e migliorano le condizioni necessarie per la corretta attuazione dei programmi di sviluppo rurale e per la realizzazione dei loro obiettivi.

2.11.

Il Comitato delle regioni ha commissionato uno studio sulla misura in cui i fondi SIE vengono impiegati ai fini dello sviluppo rurale (4). Non sorprende che la maggior parte dei finanziamenti utilizzati a tal fine siano provenuti e provengano dal FEASR. La quota proveniente dagli altri fondi è, in proporzione, da bassa a molto bassa. Il CESE raccomanda di elevare tale quota, dal momento che lo sviluppo rurale è una questione trasversale di fondamentale importanza per la coesione dell’Unione.

2.12.

I fondi SIE sono stati e continueranno a essere lo strumento principale dell’UE per tradurre nella pratica gli intenti espressi nella dichiarazione di Cork. Il prossimo periodo di programmazione finanziaria dell’UE inizierà nel 2021 e la formulazione delle politiche per tale periodo determinerà la misura in cui gli obiettivi della dichiarazione di Cork 2.0 potranno essere realizzati. Inoltre, il CESE fa notare che, per attuare la dichiarazione e conseguire gli obiettivi delle politiche, i fondi SIE devono disporre di un bilancio solido.

3.   Ulteriori misure

Un meccanismo di verifica per le aree rurali

3.1.

Al punto 1 della dichiarazione viene chiesta l’introduzione di un meccanismo di verifica per le aree rurali atto a garantire che le politiche e le strategie dell’Unione tengano conto del potenziale delle zone rurali. Le politiche agricole e rurali devono attingere all’identità e al dinamismo delle aree rurali attraverso l’attuazione di approcci multisettoriali e devono rafforzare la sostenibilità, l’inclusione sociale e lo sviluppo locale.

3.2.

Un meccanismo di verifica per le aree rurali consente di tener conto delle condizioni specifiche delle zone rurali e di rispettarle in maniera consapevole, oggettiva e sistematica. Può costituire uno strumento per stabilire l’impatto delle decisioni politiche sulle zone rurali, al fine di evitare conseguenze negative.

3.3.

Questo meccanismo di verifica viene applicato, ad esempio, in Finlandia, nel Regno Unito e in Canada. La sua applicazione può essere obbligatoria o volontaria. Nell’Irlanda del Nord, dal 2016 esiste l’obbligo giuridico di applicare questo meccanismo. I diversi sistemi nazionali presentano alcune analogie.

3.4.

Al fine di ottenere risultati concreti, l’applicazione di tale meccanismo deve essere obbligatoria. Deve consentire ai responsabili politici di adottare decisioni sulla base di dati adeguati. Un meccanismo di verifica che si limiti a indagini e osservazioni senza incidere sulle decisioni da adottare sarebbe privo di senso.

3.5.

Occorre inoltre tener conto del fatto che l’UE e i diversi Stati membri non formano un’area rurale unica: essi sono costituiti da numerose realtà rurali differenti, ognuna con possibilità e caratteristiche proprie. Questo fatto deve trovare riscontro anche nel meccanismo di verifica e nelle politiche sia a livello dell’UE che degli Stati membri, se si vuole che lo sviluppo rurale produca risultati positivi. La popolazione rurale svolge anche un ruolo nella costruzione di un’identità locale e nell’impegno a favore dello sviluppo della stessa, nonché nella discussione e decisione sulla misura in cui preservare il carattere rurale.

L’approccio Leader e lo sviluppo locale di tipo partecipativo

3.6.

Al punto 8 della dichiarazione si afferma che occorre ispirarsi al successo dell’iniziativa Leader e al suo approccio dal basso. Il CESE ha espresso in numerosi documenti il suo punto di vista sulla politica di coesione dell’UE e sui relativi partenariati, sull’approccio Leader e sul nuovo metodo di sviluppo locale di tipo partecipativo (Community-Led Local Development — CLLD).

3.7.

Il CESE ha condiviso l’analisi formulata dalla Commissione nella sua Terza relazione sulla coesione economica e sociale del 2004, in cui essa osservava che in termini di misure politiche l’obiettivo è raggiungere uno sviluppo maggiormente equilibrato riducendo le disparità esistenti, prevenendo gli squilibri territoriali e rendendo più coerenti le politiche regionali e settoriali (5).

3.8.

Il CESE constata, tuttavia, che questo obiettivo non è stato conseguito e che vi è bisogno di una politica più coerente per le aree rurali e lo sviluppo regionale.

3.9.

Il CESE ha inoltre accolto favorevolmente il principio di partenariato quale strumento efficace per promuovere i programmi dei fondi SIE. Tale principio prevede la partecipazione non soltanto degli attori economici e sociali tradizionali, bensì anche delle organizzazioni della società civile, dei partner ambientali, delle organizzazioni non governative e degli organismi di promozione della parità tra uomini e donne.

3.10.

L’approccio Leader costituisce uno strumento di sviluppo collaudato che consente agli attori pubblici e alla società civile di partecipare a un partenariato locale. Il CESE ha osservato già nel 2011 che questo approccio dovrebbe anche consentire di accedere alle risorse previste da tutti i fondi SIE. Tale metodo incide inoltre in maniera positiva sul collegamento tra le aree rurali e quelle urbane (6). L’approccio Leader può essere utilizzato anche nelle aree urbane, ma il CESE fa presente che questo non dovrebbe andare a scapito dello sviluppo rurale.

3.11.

Nel periodo di programmazione 2014-2020, lo sviluppo locale di tipo partecipativo previsto dall’approccio Leader è diventato un nuovo strumento al quale contribuiscono congiuntamente i quattro fondi SIE. Lo sviluppo locale può essere realizzato nel modo più efficace da coloro che vivono e lavorano in un determinato luogo e lo conoscono.

3.12.

Almeno il 5 % dei finanziamenti del FEASR deve essere utilizzato per iniziative CLLD. La struttura stessa di tale strumento, in base alla quale per l’impiego di un fondo occorre seguire i quattro quadri normativi diversi, limita le possibilità di utilizzarlo in maniera razionale e semplice. In vista del prossimo periodo di programmazione, la Commissione dovrebbe presentare proposte per una semplificazione sostanziale e per una quota minima di finanziamenti destinati al CLLD, in modo da consentire a tale metodo di sviluppare pienamente il suo potenziale come strumento per le zone sia rurali che urbane.

Servizi e occupazione

3.13.

I servizi e l’occupazione sono fattori che determinano la misura in cui i cittadini sono disposti o in grado di continuare a vivere nelle aree rurali o di trasferirvisi. In generale, nell’UE si registra una tendenza all’esodo dalle campagne verso le città, la quale innesca una spirale verso il basso e riduce le possibilità di realizzare gli obiettivi dell’UE e delle Nazioni Unite in materia di sviluppo sostenibile. Gli sviluppi demografici possono trasformarsi in una sfida e sia i giovani che gli anziani che vivono nelle zone rurali devono disporre di condizioni adeguate per una buona qualità della vita.

3.14.

L’accesso ai servizi pubblici e commerciali di base nei settori dell’istruzione, della sanità, delle poste, dei negozi di generi alimentari, dei trasporti pubblici ecc. può variare a seconda che si tratti di aree urbane o rurali. Questo fattore può essere determinante nella decisione di dove si voglia o si possa vivere. Per una famiglia con bambini, ad esempio, l’accesso a servizi di assistenza all’infanzia influenzerà la misura in cui i genitori possono esercitare un’attività professionale. In certe zone d’Europa, la disponibilità di servizi è in genere meno buona nelle zone rurali rispetto a quelle urbane. Il processo di pianificazione degli spazi dovrebbe tenere conto di questo problema al fine di garantire che la qualità di vita nelle zone rurali non sia penalizzata.

3.15.

In diversi paesi dell’UE, i tassi di disoccupazione sono più elevati nelle zone rurali di quanto non lo siano in quelle urbane. Al riguardo vi sono tuttavia notevoli differenze, come emerge dalle statistiche di Eurostat (7). Al tempo stesso, alcune imprese lamentano difficoltà nel reperire personale qualificato nelle aree rurali. Lo squilibrio tra la domanda e l’offerta è quindi presente su entrambi i fronti. I giovani intenzionati ad acquisire una formazione professionale tendono a trasferirsi nei centri con un’università e a non tornare più a vivere nei luoghi di provenienza.

3.16.

Assicurare l’accoglienza ai migranti, e in particolare alle loro famiglie, è e continuerà ad essere una sfida per gli abitanti delle zone rurali nei prossimi anni. Bisognerebbe promuovere il perseguimento e il mantenimento della considerazione e del rispetto reciproci. Le zone rurali potrebbero offrire buone condizioni di vita alle famiglie di migranti. Nei paesi con un livello elevato di immigrazione, ad esempio, di rifugiati e migranti e di manodopera migrante, può essere difficile trovare posti di lavoro, ma l’immigrazione può anche creare opportunità di assunzione.

3.17.

Le questioni relative all’occupazione e alla formazione sono trattate in particolare nei punti 3 e 7 della dichiarazione. La questione dei servizi viene affrontata in maniera piuttosto indiretta. Il CESE ritiene che le iniziative dell’Unione abbiano ricadute sia dirette che indirette sullo sviluppo, e non da ultimo sulla creazione di posti di lavoro attraverso incentivi alle imprese. L’accesso ai servizi è una questione che rientra maggiormente nella sfera di competenza nazionale, anche se, ad esempio, i fondi SIE possono esercitare una funzione di stimolo.

Agricoltura e sviluppo rurale

3.18.

Il territorio dell’UE è costituito per circa l’85 % da superfici agricole e forestali, con notevoli differenze tra i diversi paesi e le diverse regioni. Il paesaggio agricolo offre i presupposti per la produzione di alimenti, mangimi, energia e fibre, ma costituisce anche una risorsa per la conservazione e la messa a disposizione di beni pubblici come una flora e fauna variegate. Il paesaggio è un fattore che consente di operare una distinzione tra le zone rurali e quelle urbane e rappresenta un aspetto unico delle aree rurali dell’UE. Per via del suo forte legame con il suolo, l’agricoltura riveste un’importanza molto particolare per le aree rurali. Le questioni relative alla conservazione dell’ambiente rurale e alla gestione delle risorse naturali vengono affrontate nei punti 4 e 5 della dichiarazione. I presupposti per uno sfruttamento e una gestione sostenibili sono essenziali per i «valori intrinseci» del paesaggio, la qualità delle risorse idriche e la biodiversità.

3.19.

Alla produzione agricola viene sì fatto riferimento nella dichiarazione, ma sostanzialmente solo in maniera indiretta: il testo fa desumere che la produzione agricola (di derrate alimentari) viene data, in una certa misura, per scontata. Come già osservato, nel documento vengono trattati in maniera più esplicita gli aspetti della conservazione e della gestione dell’ambiente e delle risorse naturali. Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che nelle aree rurali la produzione agricola costituisce, da un lato, un elemento essenziale per soddisfare la domanda da parte della società di prodotti alimentari sostenibili e, dall’altro, un motore per lo sviluppo rurale. Gli addetti occupati nel settore agricolo e forestale rappresentano una parte significativa della popolazione rurale, creano posti di lavoro e generano domanda di servizi. Un aspetto importante in questo contesto è rappresentato dal fatto che coloro che scelgono l’agricoltura come mestiere, in particolare i più giovani, devono avere l’opportunità di rilevare l’azienda agricola e di espanderne l’attività. La quota di giovani agricoltori è bassa, e occorre agevolare il ricambio generazionale.

3.20.

Per garantire la sostenibilità della produzione agricola è necessario che le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, ossia quella economica, quella sociale e quella ambientale, siano in equilibrio. Gli aspetti economici possono talvolta essere decisivi ai fini della gestione. Si pensi, ad esempio, ai prati e ai pascoli ricchi di specie che stanno scomparendo poco a poco perché l’allevamento del bestiame diventa sempre meno redditizio, il che, a sua volta, ha un impatto negativo sulla biodiversità. Questa è un’indicazione del fatto che l’assenza di sostenibilità economica di un’azienda si ripercuote negativamente sull’ambiente circostante e che gli agricoltori devono ricevere un compenso per i servizi ambientali che prestano.

3.21.

Il CESE ritiene che il settore agricolo rappresenti un ambito di sviluppo rurale in cui il FEASR svolge e dovrebbe continuare a svolgere un ruolo determinante. Gran parte dei finanziamenti a titolo del FEASR sono giustamente destinati alle attività agricole, ad esempio sotto forma di pagamenti ambientali, sviluppo delle competenze, sostegno alle zone che presentano svantaggi naturali e aiuti agli investimenti. Altri settori del FEASR, come l’energia, le connessioni a banda larga e il sostegno all’innovazione, hanno ricadute positive sulle zone rurali in termini più generali. L’agricoltura costituisce al tempo stesso un’attività imprenditoriale come tante altre, per cui questo gruppo di destinatari non dovrebbe essere escluso da altri fondi SIE.

3.22.

Gli agricoltori e gli operatori forestali possono essere considerati sia artefici del paesaggio d’oggi che custodi di quello creato dalle generazioni precedenti. Per molte persone, il paesaggio agricolo costituisce un fattore essenziale per una migliore qualità di vita, e la sua importanza per le attività ricreative e di svago all’aperto come anche per il settore turistico non va sottovalutata. Il valore intrinseco dei paesaggi e delle risorse del suolo può, in vari modi, creare opportunità imprenditoriali e costituire una fonte di reddito.

3.23.

Per uno sviluppo più equilibrato del territorio bisognerebbe anche passare a sistemi alimentari sostenibili (8). La definizione di un approccio globale in materia di sistemi alimentari è essenziale per far fronte alle sfide economiche, ambientali e sociali collegate alla produzione e al consumo di alimenti e per garantire una buona governance delle iniziative a vari livelli e in un’ampia gamma di settori. Tali iniziative comprendono, ad esempio, la promozione di filiere corte, allo scopo di sostenere lo sviluppo rurale, che consentono ai consumatori di accedere ad alimenti sani e freschi (9) e recano così benefici anche all’economia locale e alla produzione agricola.

Innovazione

3.24.

L’importanza dell’innovazione per lo sviluppo rurale, al fine di generare e realizzare nuove idee, non può essere sottolineata a sufficienza. Le soluzioni innovative creano i presupposti per una società sostenibile, in modo che, ad esempio, le zone rurali possano contribuire a rendere l’economia più circolare e più ecologica e a mettere a punto sistemi intelligenti sotto il profilo climatico e si possa produrre di più impiegando meno risorse. Il trasferimento delle conoscenze e l’accesso ad esse costituiscono un fattore chiave per realizzare idee innovative.

3.25.

Le nuove tecnologie e i nuovi metodi di produzione innovativi offrono le condizioni idonee a rendere la produzione agricola più sostenibile, il che contribuisce a migliorare gli standard di benessere animale e a produrre di più impiegando meno risorse, grazie ad esempio a un minore utilizzo di fertilizzanti e di prodotti fitosanitari. In molti casi, l’applicazione delle nuove tecnologie e delle innovazioni richiede investimenti cospicui, che possono comportare notevoli rischi per le singole aziende agricole. Spesso un imprenditore non può farsi carico da solo di tali rischi. Per sostenere le tecnologie e i metodi che la società chiede, bisognerebbe mettere a disposizione degli aiuti all’investimento, ad esempio nel quadro del programma di sviluppo rurale. In questo contesto si può creare un conflitto intrinseco tra lo sviluppo tecnologico e l’offerta occupazionale, perché in molti casi la meccanizzazione crescente e lo sviluppo strutturale portano alla perdita di posti di lavoro; tuttavia, questa evoluzione può anche creare posti di lavoro economicamente più stabili.

3.26.

Le strategie per l’innovazione e la relativa attuazione devono essere fondate sulle esigenze piuttosto che sui finanziamenti disponibili. Al punto 7 della dichiarazione si sottolinea la necessità di maggiori conoscenze e di innovazioni tecnologiche e sociali, nonché di cooperazione tra i diversi attori nell’utilizzo e nella condivisione delle informazioni. Grazie al loro approccio dal basso, le iniziative comunitarie, quali il partenariato europeo per l’innovazione (PEI), in particolare quello su «Produttività e sostenibilità dell’agricoltura» (PEI-AGRI), possono essere utili in tal senso, in quanto favoriscono la comunicazione in rete e lo scambio tra gli attori ai diversi livelli, specie nell’ottica anche delle pratiche imprenditoriali. Al fine di promuovere ulteriormente l’innovazione nelle zone rurali, può essere opportuno sostenere gli «intermediari dell’innovazione».

Digitalizzazione

3.27.

Al giorno d’oggi, l’accesso ai servizi a banda larga ad alta velocità rappresenta una componente essenziale delle infrastrutture, costituisce una premessa indispensabile per il funzionamento della società sia nelle aree urbane che in quelle rurali e influenza sia la disponibilità di forza lavoro che l’accesso all’occupazione. Secondo la tendenza attuale, gli sviluppi avvengono sempre più spesso online. In molte parti d’Europa, specie nelle zone rurali, mancano tuttora delle soluzioni stabili, una situazione, questa, che il CESE deplora in modo particolare. Le aree rurali hanno bisogno della banda larga per la loro sicurezza (ad esempio, collegamenti telefonici funzionanti) e per il loro tenore di vita (ad esempio, servizi televisivi funzionanti). L’accesso alla banda larga può costituire un fattore che incide sulla decisione, soprattutto dei giovani, se rimanere nelle aree rurali o trasferirsi altrove. Per le imprese la banda larga è uno strumento indispensabile dato che nella maggior parte dei casi esse non sono in grado di operare senza una buona connessione a banda larga. Si pensi, ad esempio, alle soluzioni di pagamento in una società basata sempre meno sul denaro contante, alla contabilità, al commercio elettronico o alla comunicazione con i clienti. L’imprenditoria agricola è l’esempio di un ambito in cui le TIC svolgono un ruolo sempre più rilevante nelle nuove tecnologie.

3.28.

La dichiarazione mette in evidenza la necessità della digitalizzazione e le opportunità che essa offre. Nei casi in cui le forze di mercato non siano sufficienti per assicurare la diffusione della banda larga, come spesso accade nelle zone rurali, il CESE ritiene che sia necessario intervenire mediante sovvenzioni. Secondo il CESE, il FESR dovrebbe costituire la principale fonte di sostegno alle infrastrutture, mentre il FEASR dovrebbe poter essere utilizzato per progetti più puntuali e mirati. La Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti strategici possono fornire assistenza, ad esempio attraverso strumenti finanziari innovativi.

L’importanza delle aree rurali in relazione all’economia circolare e ai cambiamenti climatici

3.29.

Le aree rurali svolgono un ruolo importante nel quadro dell’economia circolare. Nella dichiarazione, l’economia circolare è menzionata al punto 6, intitolato Incoraggiare gli interventi a favore del clima, ma essa offre vantaggi anche in altri ambiti (che sono esaminati nel parere del CESE in merito al pacchetto sull’economia circolare (10)). Vi è bisogno di un ciclo sostenibile tra città e campagna non soltanto dal punto di vista delle risorse ma anche perché esso contribuisce a rafforzare l’agricoltura e a ridurre le importazioni di materie prime. Pertanto le zone rurali possono fornire un notevole contributo nell’orientare maggiormente la società verso l’economia circolare, da un lato grazie alla loro capacità di utilizzare i residui come risorse, ad esempio come fertilizzanti e ammendanti, e dall’altro attraverso la produzione di energie rinnovabili e biomateriali.

3.30.

Un passo verso la diminuzione delle emissioni dei gas a effetto serra consiste nel ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili e nell’accrescere l’impiego delle energie rinnovabili. Anche in questo caso, le aree rurali presentano un importante potenziale: attraverso la produzione di energia solare, eolica e idrica, ma anche di bioenergia. Tuttavia, la produzione di energia da fonti rinnovabili può avere un impatto significativo sia sugli abitanti che sull’ambiente, per cui è necessario tener conto di tutti gli aspetti dello sviluppo sostenibile.

3.31.

In relazione ai cambiamenti climatici, occorre sia ridurne gli effetti che adattarvisi. Le aree rurali, con le loro vaste distese di terreni agricoli e foreste, possiedono un elevato potenziale per lo stoccaggio del carbonio e possono quindi contribuire alla riduzione delle emissioni dannose per il clima, mentre la produzione di per sé contribuisce ad accrescere tali emissioni. Se si vogliono ridurre al minimo le emissioni nella fase di produzione occorre adottare le migliori tecnologie disponibili. A tutti i livelli, da quello dei produttori a quello dei responsabili politici, va promosso lo sviluppo delle competenze, tenendo costantemente sotto controllo le possibilità di investimento.

3.32.

In sintesi, come si evince chiaramente dalla dichiarazione di Cork 2.0, le aree rurali presentano un notevole potenziale per contribuire a realizzare una società sostenibile e quindi anche gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Agenda 2030) e l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21). Tuttavia, le sfide sono enormi e per farvi fronte è necessario mettere in campo un grande impegno sia in senso concreto che figurato.

Semplificazione

3.33.

Nelle discussioni sul sostegno attraverso i finanziamenti dell’UE si lamenta fin troppo spesso che si tratta di meccanismi complessi sia per i beneficiari che per le autorità. La questione della complessità delle politiche viene trattata al punto 9 della dichiarazione. Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che la semplificazione è una necessità per l’attuazione delle politiche sia a livello di UE che a livello nazionale e regionale. Il sistema attuale è talmente complesso che alcuni evitano di richiedere sostegno; pertanto tale complessità compromette l’attuazione delle politiche e il conseguimento dei loro obiettivi. In genere, determinati tipi di domande non possono essere compilati correttamente senza l’assistenza di un consulente. È necessario porre l’accento sulla certezza del diritto per tutti.

3.34.

Per il periodo di programmazione in corso 2014-2020, le disposizioni amministrative relative ai fondi SIE sono riunite in un unico regolamento (11). In linea di principio, si tratta di un’iniziativa valida dato che un migliore coordinamento può tradursi in guadagni di efficienza, soprattutto per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità pubblica, mentre i vantaggi per i singoli richiedenti potrebbero essere limitati, anche perché è raro che uno stesso beneficiario richieda finanziamenti da fondi diversi. I benefici potrebbero eventualmente essere maggiori per lo sviluppo locale di tipo partecipativo in quei paesi in cui tale iniziativa viene realizzata avvalendosi di più fondi. Gli effetti prodotti dal regolamento comune dovrebbero essere ulteriormente approfonditi.

3.35.

L’attuale politica di sviluppo rurale viene attuata nel quadro del FEASR mediante programmi a favore dello sviluppo rurale, con la definizione di priorità e di settori prioritari. Questo ha creato un sistema in cui il bilancio del programma risulta estremamente frammentato, dato che la suddivisione in misure, settori prioritari e priorità prevede linee di bilancio distinte. La trasparenza dei programmi ne ha risentito e la loro struttura ha determinato maggiori oneri amministrativi per le autorità; questo va a scapito delle risorse destinate all’attuazione dei programmi stessi e di conseguenza riduce le possibilità di conseguirne gli obiettivi.

3.36.

Il punto 10 della dichiarazione contiene una riflessione sulla necessità di migliorare le prestazioni e aumentare la responsabilità. Tale necessità costituisce anche uno dei principi guida delle procedure di bilancio della Commissione che nel 2015 ha lanciato l’iniziativa Un bilancio dell’UE incentrato sui risultati. I cittadini e i contribuenti devono poter essere informati riguardo ai risultati delle politiche e alla misura in cui gli obiettivi da esse perseguiti vengono realizzati.

Bruxelles, 6 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. il parere sul tema Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe (cfr. pagina 15 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  Cfr. il parere sul tema Dopo Parigi (GU C 75 del 10.3.2017, pag. 103).

(3)  Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013.

(4)  http://cor.europa.eu/en/documentation/studies/Documents/Evolution-Budget-Dedicated-Rural-Development-Policy.pdf

(5)  Cfr. il parere sul tema Coesione territoriale (GU C 228 del 22.9.2009, pag. 123).

(6)  Cfr. il parere sul tema Leader in quanto strumento di sviluppo locale (GU C 376 del 22.12.2011, pag. 15).

(7)  http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Unemployment_statistics_at_regional_level

(8)  Cfr. il parere sul tema Sistemi alimentari più sostenibili (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 64).

(9)  Questo argomento è l’oggetto di un parere di iniziativa del CESE sul tema Il contributo della società civile allo sviluppo di una politica alimentare globale nell’UE, la cui adozione è prevista per il dicembre 2017.

(10)  Cfr. il parere sul tema Pacchetto sull’economia circolare (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(11)  Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1489147469173&uri=CELEX:32013R1303.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «L’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato per compensare la fornitura di servizi di interesse economico generale»

(decisione 2012/21/UE e quadro UE)

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/07)

Relatrice:

Milena ANGELOVA

Decisione dell’Assemblea plenaria

22.9.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

14.6.2017

Adozione in sessione plenaria

6.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

116/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) apprezza il fatto che si sia data attuazione al pacchetto sui servizi di interesse economico generale (SIEG), che apporta certezza del diritto per i prestatori di servizi pubblici. Il pacchetto, infatti, assicura il giusto equilibrio tra la necessità di promuovere e sostenere i SIEG e l’obiettivo di evitare potenziali distorsioni della concorrenza. Tuttavia, le parti interessate a livello regionale e locale — e in particolare i fornitori di SIEG di proprietà pubblica (come emerso dallo studio del CESE intitolato Review of Member States’ reports on the implementation of the European Commission Decision on the provision of State aid to the provision of services of general economic interest [«Esame delle relazioni degli Stati membri in merito all’attuazione della decisione della Commissione europea in materia di aiuti di Stato per la prestazione di servizi di interesse economico generale»]) — esprimono preoccupazioni riguardo al fatto che, su questioni cruciali, le norme attuali creano inutili ostacoli o una mancanza di certezza del diritto. Pertanto, il CESE invita la Commissione ad adottare le misure necessarie per migliorare le norme vigenti e la loro applicazione pratica, fornire orientamenti, creare un compendio di buone pratiche e, ove necessario, valutare la necessità di aggiornare e modificare il pacchetto.

1.2.

Esaminando le prime due serie di relazioni degli Stati membri sull’attuazione del pacchetto sui SIEG, il CESE rileva con preoccupazione che esse non affrontano la questione essenziale dei requisiti di compatibilità, una questione trattata in modo approfondito dalla comunicazione della Commissione sulla disciplina UE degli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico (2011).

1.3.

Il CESE osserva che, nella maggior parte dei casi, la mancanza di certezza o l’ingenza dei costi di conformità costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono indebitamente alle autorità di dare piena attuazione alla politica in materia di SIEG. Tali ostacoli sono particolarmente gravi per gli enti regionali e locali, dal momento che il dialogo tra gli Stati membri e la Commissione sui casi di aiuti di Stato è intrapreso dal governo centrale, mentre gli altri livelli amministrativi non godono di un accesso diretto a questo processo.

1.4.

Il fatto che sia menzionato (nello studio di cui sopra) soltanto un numero ristretto di SIEG a livello regionale o locale mostra come la mancanza di canali diretti con la Commissione ostacoli un adeguato finanziamento dei servizi pubblici, il che rende le autorità competenti più restie a fare pieno uso della decisione 2012/21/UE e a chiarire i dubbi in merito alla sua attuazione.

1.5.

Il CESE invita la Commissione europea a esaminare le possibilità di potenziare la suddetta decisione e di ampliarne l’ambito di applicazione al fine di includervi gli elementi in appresso indicati.

1.5.1.

Il CESE suggerisce alla Commissione di eliminare la soglia di esenzione e di estendere il campo di applicazione di tale decisione a tutti i SIEG, a prescindere dall’importo compensativo annuale. Un attento esame dell’attuale applicazione della decisione, infatti, dimostra che così facendo si ridurrebbero i costi e le complessità amministrativi cui le autorità dovrebbero altrimenti far fronte, in particolare a livello locale, e ciò senza distorcere in alcun modo la concorrenza.

1.5.2.

Considerate la situazione del mercato del lavoro e le sfide sempre più ardue poste dagli squilibri tra domanda e offerta di competenze, il CESE invita la Commissione a esaminare la possibilità di ampliare l’ambito di applicazione della decisione considerando ammissibili anche i servizi volti ad accrescere le conoscenze e le qualifiche delle persone e quindi ad aiutarle a migliorare le loro prospettive professionali.

1.5.3.

Il CESE esorta la Commissione a esaminare attentamente ed eventualmente modificare le disposizioni specifiche della decisione, in particolare riguardo alla durata del periodo di conservazione di tutte le informazioni necessarie per stabilire la compatibilità della compensazione concessa; a chiarire che la durata del periodo di incarico non dovrebbe avere alcun effetto sostanziale sul rinnovo o sulla proroga dell’incarico stesso o sull’ammissibilità dei fornitori del servizio designati; a stabilire un metodo facilmente accessibile per calcolare il margine di utile ragionevole; a fornire maggiori chiarimenti quanto al requisito della ripartizione equilibrata degli incrementi di efficienza produttiva tra le imprese; e a garantire un approccio più flessibile nei confronti degli «sforamenti» di minore entità — che non eccedano il 10 % della compensazione media annua — grazie all’esenzione dall’obbligo di aggiornare i parametri.

1.6.

Il CESE reputa che sia necessario chiarire ulteriormente le condizioni di compatibilità ai sensi della comunicazione della Commissione intitolata Disciplina dell’Unione europea relativa agli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico (2011), e in particolare:

specificare meglio le modalità alternative con cui è possibile rispettare l’obbligo di assicurare la compatibilità ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), modalità già ampiamente utilizzate nella pratica,

evitare requisiti obbligatori che possano incidere sulle procedure legislative nazionali, creando difficoltà ingiustificate,

tenere debito conto dei nuovi requisiti giuridici in materia di appalti e concessioni,

combinare la metodologia di calcolo ex ante con il pieno utilizzo del calcolo dei costi netti ex post, a meno che l’autorità competente non preferisca fissare la compensazione in misura forfettaria al momento dell’incarico,

approvare entrambi gli approcci utilizzabili per il calcolo della compensazione (costi aggregati netti e costo evitato netto) e fornire ulteriori orientamenti in merito nella suddetta comunicazione, che attualmente non contiene alcuna indicazione sui modi in cui stabilire le ipotesi controfattuali pertinenti,

tracciare una distinzione tra i diritti speciali o esclusivi, che comportano un vantaggio, per cui gli utili che ne derivano dovrebbero essere presi in considerazione nel finanziamento degli obblighi di servizio pubblico, e la copertura universale, che invece comporta uno svantaggio per il fornitore designato,

fornire ulteriori chiarimenti riguardo ai principi in materia di redditività e consentire il ricorso a principi differenti anziché imporre agli Stati membri di attenersi a uno in particolare,

chiarire ulteriormente le modalità alternative per il calcolo degli incentivi all’efficienza, modalità che, data la complessità del loro impiego, non dovrebbero essere vincolanti.

1.7.

Il CESE osserva che il Parlamento europeo e il Consiglio non hanno ancora provveduto ad adottare i regolamenti che stabiliscano i principi e fissino le condizioni, in particolare economiche e finanziarie, del funzionamento dei servizi di interesse economico generale; e invita pertanto la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a valutare in che modo adempiere a tale mandato, conferito loro dall’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione europeo, fatte salve le competenze degli Stati membri e le norme del trattato cui tale articolo fa riferimento.

2.   Oggetto del parere d’iniziativa

2.1.

Nel suo piano d’azione per il 2017, il CESE ha posto l’accento sull’importanza dei servizi di interesse economico generale in quanto elementi essenziali del nostro modello sociale ed economico europeo, sanciti come tali dall’articolo 14 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

2.2.

Ai sensi di tale articolo, infatti, l’Unione e gli Stati membri provvedono, nell’ambito delle rispettive competenze, «affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti». Inoltre, lo stesso articolo dispone che «il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi». Tale mandato, tuttavia, non è finora stato tradotto in specifiche iniziative legislative. Per contro, la Commissione europea ha elaborato un insieme di norme di ampia portata in materia di aiuti di Stato applicabili ai SIEG, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

2.3.

Le condizioni di compatibilità con le regole sugli aiuti di Stato dettate dai Trattati e con l’articolo 106, paragrafo 2, del TFUE sono oggetto di controversia fin da quando, nel 1997, il Tribunale dell’Unione europea ha statuito (1) che la compensazione accordata alle imprese incaricate di adempiere una missione di servizio pubblico va considerata alla stregua di un aiuto di Stato. Fino ad allora, infatti, si riteneva concordemente che la compensazione dei costi supplementari derivanti dagli obblighi più gravosi associati ai SIEG non conferisse di per sé alcun vantaggio. La Corte di giustizia ha poi cambiato tale posizione nel 2001 (2), statuendo che la compensazione può essere considerata un aiuto di Stato soltanto se il suo importo è superiore a quello dei costi supplementari sostenuti dal fornitore designato. Nel 2003, infine, la sentenza Altmark (3) ha stabilito i criteri che un regime di compensazioni deve soddisfare per non rientrare nel campo d’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato.

2.4.

La Commissione europea accerta la compatibilità dei SIEG con le norme sugli aiuti di Stato attenendosi ai tre criteri preliminari indicati nella sentenza Altmark, ovverosia:

una definizione chiara degli obblighi di servizio pubblico e il conferimento di un incarico specifico al fornitore designato mediante atto pubblico,

la determinazione ex ante, in modo obiettivo e trasparente, dei parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione,

una compensazione di importo non superiore a quello delle spese sostenute per l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti e di un margine di utile ragionevole,

la selezione del fornitore da designare:

attraverso una procedura di appalto pubblica,

determinando il livello della compensazione sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente attrezzata, dovrebbe sostenere per fornire il servizio, tenendo conto dei relativi introiti e di un margine di utile ragionevole.

2.5.

Nel 2005 la Commissione ha adottato il «pacchetto Monti-Kroes», poi aggiornato nel 2011 (con il «pacchetto Almunia»), contenente norme fondamentali per il finanziamento dei servizi di interesse generale. Il pacchetto comprende una comunicazione della Commissione (4) che indica le condizioni di compatibilità per i SIEG e una decisione della Commissione (5) che esonera dall’obbligo di notifica i regimi di aiuti meno suscettibili di falsare la concorrenza in ragione del limitato importo della compensazione (l’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione fissa la soglia annua a 15 milioni di EUR) o del fatto di riguardare servizi rispondenti a determinate esigenze sociali (ossia cure mediche ospedaliere, assistenza sanitaria, assistenza di lunga durata, servizi per l’infanzia, accesso e reintegrazione nel mercato del lavoro, edilizia sociale, assistenza e inclusione sociale di categorie vulnerabili, collegamenti aerei o marittimi verso le isole con un traffico limitato di passeggeri). La Commissione ha dichiarato la sua intenzione di procedere a un riesame di tale disciplina cinque anni dopo la sua entrata in vigore.

2.6.

Nell’ambito del suo Programma per l’Europa, con il presente parere d’iniziativa il CESE si prefigge l’obiettivo di contribuire a questo imminente riesame da parte della Commissione, analizzando in modo approfondito l’esperienza acquisita con l’attuazione del pacchetto SIEG. A tal fine, il CESE ha commissionato uno studio sull’applicazione delle norme in materia di SIEG alla compensazione degli obblighi di servizio pubblico (Review of Member States' reports on the implementation of the European Commission Decision on the provision of State aid to the provision of services of general economic interest).

2.7.

Le compensazione degli obblighi di SIEG raramente incidono sulla concorrenza, nella misura in cui coprono i costi supplementari sostenuti dai fornitori designati nell’esecuzione dei compiti di servizio pubblico. Pertanto, imporre per loro l’obbligo di notifica previsto per gli aiuti di Stato sembra costituire un eccesso di zelo, giustificato soltanto nei casi in cui altri operatori possano subire un danno incontestato, quando invece a comportamenti che compromettono gravemente le condizioni di mercato, come il dumping praticato da paesi terzi o la fissazione di prezzi ingiustificatamente bassi, non corrisponde una reazione adeguata da parte dell’Unione europea. Per far sì che le disposizioni del trattato che favoriscono i SIEG siano attuate in maniera appropriata, sembra quindi essenziale estendere l’ambito di applicazione della decisione di esenzione di tali servizi dall’obbligo di notifica, nonché accrescere la certezza del diritto e garantire una flessibilità ancora maggiore nell’applicazione delle norme.

3.   Potenziare la decisione ed estenderne il campo d’applicazione

3.1.

Il CESE reputa che la decisione in esame assicuri il giusto equilibrio tra la necessità di promuovere e sostenere i SIEG e l’obiettivo di evitare potenziali distorsioni della concorrenza. L’esenzione dall’obbligo di notifica riduce i costi e le complessità amministrativi per le autorità competenti, e in particolare per quelle locali. Poiché i SIEG non ammissibili ai sensi della decisione sono soggetti a norme più severe, a esulare dall’ambito di applicazione della stessa dovrebbero essere solo i casi che destano preoccupazioni particolari in termini di concorrenza, in linea con l’obiettivo di concentrare le risorse a livello UE per il controllo degli aiuti di Stato. L’esperienza dimostra che la Commissione autorizza la stragrande maggioranza dei regimi di SIEG da essa esaminati. Da quando sono state adottate la decisione 2012/21/UE e la comunicazione del 2011, soltanto in tre casi i SIEG notificati sono stati oggetto di un procedimento di esame approfondito ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, del TFUE. Due di questi casi riguardavano servizi postali (aiuto di Stato SA.35608 relativo alle Poste elleniche (ELTA) e aiuto di Stato SA. 37977 relativo alle Poste spagnole), mentre il terzo riguardava degli ospedali (aiuto di Stato SA.19864 riguardante il finanziamento degli ospedali IRIS nella regione di Bruxelles Capitale) e faceva seguito a una sentenza della Corte che annullava una decisione di nullaosta della Commissione dato che la complessità del caso esigeva un esame formale. In tutti i casi esaminati dalla Commissione, le denunce delle imprese concorrenti svolgono un ruolo cruciale, garantendo un controllo completo senza rendere necessaria la notifica sistematica dei regimi di aiuti a SIEG. Inoltre, la giurisprudenza della Corte e la prassi della Commissione forniscono ai soggetti interessati indicazioni sufficienti per valutare se sia possibile applicare tranquillamente la decisione 2012/21/UE senza bisogno di notificare i regimi di aiuti a SIEG, garantendo così la piena certezza del diritto. Il CESE suggerisce pertanto alla Commissione di eliminare la soglia di esenzione e di estendere l’ambito di applicazione della decisione 2012/21/UE a tutti i SIEG, a prescindere dall’importo compensativo annuo, sull’esempio dei regimi di compensazione in materia di servizi di trasporto passeggeri (6).

3.2.

La fissazione di una soglia minima per l’obbligo di notifica in base al volume dell’aiuto potrebbe essere rilevante ai fini del controllo sugli aiuti effettuato a livello di Unione europea, in particolare nei casi in cui la concessione dell’aiuto abbia luogo con modalità non trasparenti, ad esempio mediante sgravi o esenzioni fiscali, prestiti agevolati o garanzie pubbliche. Inoltre, la decisione 2012/21/UE dispone che determinate attività possano dover essere oggetto di controllo in quanto suscitano preoccupazioni sotto il profilo della concorrenza, permettendo così di imporre un obbligo di notifica al fine di affrontare questi casi. In ogni caso, mantenere la soglia di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2012/21/UE a livelli estremamente bassi come quelli attuali significa imporre un onere eccessivo sulle autorità competenti, senza alcun beneficio concreto ai fini del rispetto delle regole di concorrenza. Di conseguenza, il CESE chiede alla Commissione di limitare l’obbligo di notifica alle forme di aiuto o alle attività specifiche per le quali il rischio di una distorsione della concorrenza possa giustificare un esame più approfondito al fine di garantire parità di condizioni.

3.3.

Il CESE invita la Commissione a esaminare la possibilità di ampliare l’ambito di applicazione della decisione in modo da rendere ammissibili anche i servizi volti ad accrescere le conoscenze e le qualifiche delle persone e a migliorare così le loro prospettive professionali. Inoltre, vi è la necessità di fare chiarezza riguardo a taluni aspetti della partecipazione del settore privato che costituiscono oggi delle «zone grigie» e in merito ai quali sarebbero necessari ulteriori orientamenti.

3.4.

La decisione 2012/21/UE dovrebbe garantire la piena compatibilità con il diritto dell’UE di rango superiore ed evitare oneri eccessivi per gli enti regionali e locali. In particolare, l’articolo 8 della decisione impone agli Stati membri di mettere a disposizione, durante il periodo di incarico e per almeno dieci anni dalla fine di tale periodo, tutte le informazioni necessarie per determinare la compatibilità della compensazione concessa. Questa norma è contraria al disposto dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, secondo il quale, alla scadenza di un periodo di dieci anni, qualsiasi aiuto concesso non può più essere recuperato, ragion per cui la Commissione — come mostra la sua prassi abituale — si astiene dal verificarne la compatibilità. Conservare le informazioni per più di dieci anni non ha alcuna utilità ai fini del controllo sugli aiuti di Stato, rappresenta un onere eccessivo per le autorità competenti e viola i principi di proporzionalità e di buona amministrazione sanciti dal trattato.

3.5.

L’articolo 2, paragrafo 2, della decisione stabilisce che quest’ultima si applica soltanto agli incarichi conferiti per un massimo di dieci anni, eccezion fatta per i SIEG che richiedano investimenti significativi, tali da giustificare un periodo di incarico più lungo. Mentre la prassi interpretativa della Commissione, basata sulla comunicazione del 2011, considera tale norma come un divieto generale di incarichi di durata superiore a detto termine, dalla formulazione della norma si potrebbe dedurre che le imprese che gestiscono un servizio pubblico per un periodo più lungo potrebbero non rientrare nel suo ambito di applicazione. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di chiarire che la durata del periodo di incarico non dovrebbe avere alcun effetto sostanziale sul rinnovo o sulla proroga dell’incarico o sull’ammissibilità dei fornitori del servizio designati. La questione diviene particolarmente delicata nel caso di imprese fornitrici di proprietà pubblica incaricate dagli enti che ne sono proprietari, dato che il loro unico scopo consiste nel fornire il servizio pubblico in questione.

3.6.

Le disposizioni dei paragrafi 5, 7 e 8 dell’articolo 5 della decisione, riguardanti il margine di utile ragionevole, dovrebbero stabilire un metodo facilmente accessibile per calcolare tale margine. L’approccio attuale, analogo a quello accolto nella comunicazione del 2011, prevede l’uso di metodi quali il tasso di rendimento interno che risultano fin troppo complessi per dei SIEG locali, finendo quindi per scoraggiarne l’impiego ai fini del calcolo della compensazione. Lo sviluppo di parametri di riferimento della redditività richiede costosi servizi di consulenza che sono fuori dalla portata della maggior parte dei SIEG. Il CESE invita la Commissione a chiarire la questione, in quanto la stessa prassi della Commissione approva il confronto diretto con la redditività dei settori correlati sulla base dei dati disponibili forniti da fonti ufficiali o private ampiamente riconosciute come pienamente rappresentative.

3.7.

Pur non essendo definiti in alcun modo, i cosiddetti incentivi all’efficienza rilevano ai fini dell’articolo 5, paragrafo 6, ragion per cui in merito ad essi si richiedono ulteriori chiarimenti, in particolare quando si tratta di soddisfare il requisito della «ripartizione equilibrata» degli incrementi di efficienza produttiva tra l’impresa e lo Stato membro e/o gli utenti. Il CESE chiede alla Commissione di fugare ogni dubbio circa l’interpretazione di questo requisito.

3.8.

L’articolo 6, paragrafo 2, della decisione stabilisce che ogni eventuale sovracompensazione renda necessario un aggiornamento dei parametri di calcolo per il futuro, ma anche che, se l’importo della sovracompensazione non supera il 10 % di quello della compensazione media annua, la sovracompensazione possa essere riportata al periodo successivo. Ebbene, una piena coerenza imporrebbe che, in quest’ultimo caso, i parametri non dovessero essere aggiornati, evitando così una nuova valutazione che sarebbe fonte di incertezza giuridica per i fornitori designati in casi che non incidono sulla concorrenza. Il CESE raccomanda alla Commissione di garantire un approccio più flessibile nei confronti delle sovracompensazioni che non eccedano il 10 % della compensazione media annua, escludendo questi casi dall’obbligo di aggiornare i parametri di calcolo.

3.9.

Qualsiasi trattamento discriminatorio nei confronti degli enti locali e regionali, e quindi dei servizi di interesse economico generale forniti a tali livelli, dovrebbe essere evitato. Attualmente, gli enti locali e regionali devono presentare le loro richieste, risposte e dubbi tramite il canale ufficiale del rispettivo Stato membro, dato che solo quest’ultimo ha la possibilità di stabilire un dialogo formale con la Commissione sulle disposizioni in materia di aiuti di Stato. In pratica, le informazioni fornite dagli enti locali e regionali all’attenzione della Commissione devono essere prese in considerazione dal rispettivo Stato membro. Il CESE invita pertanto la Commissione a instaurare un dialogo più strutturato con le amministrazioni locali e regionali sulle questioni e le procedure relative agli aiuti di Stato. Le norme e i requisiti in materia di aiuti di Stato, inoltre, dovrebbero essere adattate alle esigenze specifiche e ai mezzi a disposizione degli enti regionali e locali, in modo da garantire anche sul piano pratico un trattamento equo e paritario.

4.   Chiarire le condizioni di compatibilità ai sensi della comunicazione della Commissione

4.1.

La comunicazione del 2011 indica in dettaglio i diversi requisiti da soddisfare per garantire la compatibilità degli aiuti con l’articolo 106, paragrafo 2, del TFUE e l’interpretazione di tale norma fornita dalla giurisprudenza. Pur fornendo ampie spiegazioni circa i criteri applicati, in molti casi la Commissione adotta una posizione eccessivamente cauta, che è fonte di problemi evitabili e di una certa incertezza giuridica. La prassi della Commissione dimostra che, in molti ambiti, questi problemi sono stati superati mediante un’interpretazione pragmatica della comunicazione in questione. Facendo esplicito riferimento a tali soluzioni, si accrescerebbe la certezza del diritto e si garantirebbe efficacemente una maggiore parità di trattamento, fermo restando il principio che ciascun caso dovrebbe essere esaminato nel merito. Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione di specificare meglio le modalità alternative con cui è possibile soddisfare tale requisito, modalità già ampiamente utilizzate nella pratica. Tale chiarimento consentirebbe di dissipare molti dei dubbi cui sono oggi confrontate le autorità competenti e le imprese fornitrici.

4.2.

A norma del trattato, il conferimento e la definizione di un incarico di servizio pubblico rientrano fondamentalmente nella competenza degli Stati membri. Di conseguenza, i riferimenti — nel punto 13 della comunicazione del 2011 — alle condizioni che i servizi di interesse generale/servizi pubblici dovrebbero soddisfare possono fungere soltanto da utile orientamento. Nondimeno, la stessa inclusione di tali riferimenti in un atto dell’UE potrebbe destare legittime preoccupazioni circa una potenziale limitazione delle competenze degli Stati membri. Spetta infatti agli Stati membri decidere, nell’interesse pubblico, in merito ai livelli di «qualità, sicurezza e accessibilità economica», nonché alla «parità di trattamento e […] promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente», che ciascun servizio essenziale dovrebbe garantire, a prescindere dalla sua copertura da parte del mercato o di un incarico. Di conseguenza, gli Stati membri hanno anche la facoltà di decidere se, per garantire tali livelli, sia necessario un SIEG/servizio pubblico. Le condizioni di mercato, pur essendo molto importanti, non possono annullare o limitare la potestà delle autorità competenti di tutelare l’interesse pubblico. Il CESE suggerisce pertanto alla Commissione di circoscrivere la sua azione in questo campo a un riferimento alla sua comunicazione orientativa, limitando l’ambito della sua valutazione alla verifica dell’eventuale esistenza di un errore manifesto, una questione che, in ultima analisi, rientra nella sfera di competenza della Corte di giustizia.

4.3.

Il punto 14 della comunicazione del 2011 condiziona indebitamente il potere degli Stati membri di conferire un incarico alla conduzione, da parte degli stessi, di consultazioni pubbliche volte a garantire che si tenga conto degli interessi di utenti e fornitori, e così facendo interferisce su questioni di competenza nazionale che esulano dall’ambito di intervento della Commissione. Se è pacifico che le autorità debbano sempre prestare la dovuta attenzione per gli interessi delle parti interessate, chiedere loro di giustificare la necessità di un incarico e condurre consultazioni pubbliche o impiegare «altri strumenti adeguati» alternativi non è in linea con le disposizioni e i principi del trattato. La prassi della Commissione mostra peraltro che essa presta scarsa attenzione a tale requisito, specialmente se gli Stati membri incontrano difficoltà nella sua attuazione. Il CESE propone pertanto alla Commissione di riformulare questo punto della comunicazione in modo da evitare requisiti obbligatori che potrebbero interferire nelle procedure legislative nazionali, generando problemi ingiustificati.

4.4.

Il requisito — di cui al punto 19 della comunicazione — che gli incarichi rispettino le norme dell’Unione applicabili in materia di appalti pubblici non tiene conto del fatto che il diritto derivato in materia è stato oggetto di una completa revisione in seguito al pacchetto appalti del 2014. L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sugli appalti pubblici dispone che essa si applichi soltanto agli acquisti effettuati da amministrazioni aggiudicatrici e non può imporre una disciplina vincolante in materia di SIEG, dato che questi consistono in compiti eseguiti da un’impresa per conto di un’autorità pubblica. Di conseguenza, qualsiasi obbligo relativo ai SIEG ai sensi del diritto degli appalti sarebbe in contrasto con la direttiva che disciplina tale materia. Il pacchetto appalti del 2014, inoltre, disciplina per la prima volta anche la materia delle concessioni. Tuttavia, sarebbe del tutto fuorviante dedurne che i SIEG possano essere soggetti a quest’ultima disciplina: l’impresa che opera in regime di concessione, infatti, una volta aggiudicatasi il contratto assume tutti i rischi che ne derivano, in netto contrasto con i SIEG nei quali l’autorità competente copre i costi supplementari che la gestione del servizio comporta, riducendo così al minimo i rischi per l’impresa fornitrice. Solo nel caso in cui l’autorità competente decida di affidare un SIEG in regime di concessione si applicherebbe la relativa disciplina; senonché in tal caso non vi sarebbe alcun elemento di aiuto, dato che il fornitore designato dovrebbe sostenere tutti i rischi. Di conseguenza né le norme in materia di appalti né quelle in materia di concessioni dovrebbero applicarsi ai SIEG. Sul piano giuridico, la comunicazione del 2011 può soltanto invitare gli Stati membri ad applicare, se del caso, i principi di trasparenza e di parità di trattamento alla selezione dei fornitori, in particolare privati, senza che tale richiesta comporti alcun obbligo vero e proprio. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di rivedere il punto 19 della comunicazione per tener debito conto dei nuovi obblighi giuridici in materia di appalti e concessioni.

4.5.

Se il punto 22 della comunicazione prevede che l’importo della compensazione possa essere fissato sulla base dei costi e delle entrate previsti o effettivi, fin troppo spesso però nella prassi la Commissione chiede che tale importo venga determinato ex ante. Un tale metodo di calcolo, che impedisce alle autorità di fissare la compensazione ex post in base al costo netto effettivo, appare un’indebita interferenza suscettibile di generare problemi irrisolvibili, dato che, qualora gli importi fissati ex ante non coprano tale costo, il fornitore dovrebbe far fronte a un sistematico sottofinanziamento; e, qualora l’autorità fornisca un sostegno supplementare per colmare tale differenza, essa sarebbe, in linea di principio, esposta al rischio di sanzioni per il mancato rispetto delle condizioni stabilite nella decisione di autorizzazione. La prassi della Commissione ha ampiamente ignorato questa incoerenza, tranne nei casi in cui il problema è stato sollevato da un ricorrente. Se quella di fissare ex ante la metodologia di calcolo della compensazione sembra una scelta appropriata, gli importi così calcolati dovrebbero però avere carattere indicativo e non vincolante. Solo una volta che saranno disponibili i risultati annui sarà possibile procedere al calcolo del costo netto e della compensazione corrispondente. Il CESE invita pertanto la Commissione a garantire la piena coerenza e compatibilità con il secondo criterio Altmark abbinando la metodologia di calcolo ex ante al pieno utilizzo del calcolo ex post del costo netto, a meno che l’autorità competente non preferisca fissare la compensazione all’atto del conferimento dell’incarico.

4.6.

Il metodo del costo evitato netto (NAC) per il calcolo della compensazione si basa sul presupposto che, in assenza di un obbligo di servizio pubblico, il fornitore designato ridurrebbe le sue attività e punterebbe a massimizzare le entrate. Convenzionalmente, tale metodo presuppone che il fornitore cessi di esercitare tutte le attività in perdita. La differenza tra questo scenario controfattuale e i risultati di esercizio effettivi del prestatore di servizi determina l’importo della compensazione. La Commissione ha di recente propugnato l’uso del metodo del costo redditività (PC), secondo cui lo scenario controfattuale sarebbe la cessazione delle attività che impediscono all’impresa di massimizzare gli utili. In tal caso, quindi, l’importo della compensazione comprende non solo i costi aggiuntivi del SIEG, ma anche quelli connessi con le attività meno efficienti, anche se redditizie. Per ridurre l’importo della compensazione, peraltro, la Commissione chiede che i benefici di mercato e non materiali che il fornitore trae dal SIEG siano dedotti da tale importo. La preferenza per il metodo PC fa sì che, di fatto, vi siano divergenze nell’applicazione dello stesso principio, compromettendo così la certezza del diritto. Il CESE raccomanda alla Commissione di approvare entrambi gli approcci utilizzabili e fornire ulteriori orientamenti in merito nella comunicazione, che attualmente non contiene alcuna indicazione sui modi in cui stabilire le ipotesi controfattuali pertinenti.

4.7.

Il metodo di imputazione dei costi sembra il più appropriato per la maggior parte dei SIEG, dato che in tal caso il calcolo si basa sulla differenza tra i costi di adempimento dell’obbligo di servizio pubblico e le entrate corrispondenti. Ciò nonostante, gli Stati membri che intendono utilizzare questo metodo devono indicare i motivi per i quali hanno scartato il metodo del costo evitato netto, che è altrimenti considerato obbligatorio. Dal momento che l’uso del metodo NAC richiede un’analisi complessa e costosa, e rende spesso necessario ricorrere a servizi di consulenza esterni, il CESE raccomanda alla Commissione di riconoscere la piena validità del metodo PC, sullo stesso piano del NAC, salvo che per le attività specifiche per le quali la metodologia NAC rimane vincolante (come ad esempio i servizi postali ai sensi della terza direttiva in materia).

4.8.

Il punto 32 della comunicazione, dedicato alle entrate, include giustamente tra di esse anche «gli utili in eccesso derivanti da diritti speciali o esclusivi». Nella prassi recente, tuttavia, in questa categoria si sono fatti rientrare anche gli utili ricavati dalla prestazione del servizio universale che non derivavano da tali diritti, il che ha condotto a valutazioni fuorvianti. Va sottolineato che la copertura universale comporta uno svantaggio in quanto il fornitore designato è tenuto a servire un determinato territorio a prescindere dai costi sostenuti. Pertanto, qualora il fornitore presti tale servizio in maniera redditizia, si violerebbero i principi del trattato se tale eccedenza dovesse finanziare obbligatoriamente altre attività anch’esse svolte in adempimento di obblighi di servizio pubblico ma esercitate in perdita. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di chiarire questo punto e tracciare una distinzione tra i diritti speciali o esclusivi, che comportano un vantaggio, per cui gli utili che ne derivano dovrebbero essere presi in considerazione nel finanziamento degli obblighi di servizio pubblico, e la copertura universale, che invece comporta uno svantaggio per il fornitore designato;

4.9.

Il concetto di «margine di utile ragionevole», così come delineato nella comunicazione del 2011, solleva alcune questioni che devono essere chiarite meglio. La comunicazione del 2011 raccomanda il ricorso al metodo del tasso di rendimento interno, pur riconoscendo nel contempo la sua intrinseca difficoltà di applicazione. Nella pratica, quindi, la Commissione mette a confronto le imprese dello stesso settore o di un settore connesso utilizzando criteri di redditività standard quali la remunerazione del capitale proprio (ROE) o la redditività delle vendite (ROS). Tuttavia, la mancanza di certezza del diritto in merito alla questione conduce spesso a risultati divergenti. Il CESE suggerisce pertanto alla Commissione di riconoscere la legittimità di tutti i criteri di redditività ormai sperimentati e consolidati, anziché rendere obbligatorio il ricorso ad uno di essi in particolare. Il CESE chiede alla Commissione di fornire ulteriori chiarimenti riguardo ai principi in materia di redditività e consentire il ricorso a principi differenti anziché imporre agli Stati membri di attenersi ad uno in particolare.

4.10.

Il requisito obbligatorio di efficienza di cui ai punti da 39 a 46 della comunicazione si sta rivelando un temibile ostacolo sia per le parti interessate che per le autorità competenti. Dato che la comunicazione non fornisce alcuna indicazione sui modi di calcolare gli incentivi all’efficienza, la prassi della Commissione consente di fatto valutazioni ampiamente divergenti, compromettendo così i principi di certezza del diritto e parità di trattamento. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di chiarire ulteriormente le modalità alternative per il calcolo di tali incentivi — modalità che, data la complessità del loro impiego, non dovrebbero essere vincolanti.

Bruxelles, 6 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Causa T-106/95.

(2)  Causa C-53/00.

(3)  Causa C-280/00.

(4)  GU C 8 dell'11.1.2012, pag. 15.

(5)  GU L 7 dell'11.1.2012, pag. 3.

(6)  GU L 315 del 3.12.2007, pag. 1.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulle «Conseguenze della digitalizzazione e della robotizzazione dei trasporti per l’elaborazione delle politiche dell’UE»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/08)

Relatrice:TBL

Tellervo KYLÄ-HARAKKA-RUONALA

Decisione dell’assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

14.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La digitalizzazione e l’automazione nel settore della mobilità delle persone e del trasporto delle merci offrono alla società una serie di vantaggi potenziali, quali una migliore accessibilità e comodità per i passeggeri, efficienza e produttività per la logistica, una maggiore sicurezza del traffico e la riduzione delle emissioni. Nel contempo, sussistono motivi di preoccupazione che riguardano la sicurezza in tutte le sue accezioni, il rispetto della vita privata, il lavoro e l’ambiente.

1.2.

Se è vero che la tecnologia offre opportunità infinite, il progresso non deve essere unicamente orientato alla tecnologia, ma deve avere come obiettivo la creazione di valore aggiunto per la società. È pertanto necessario un dibattito politico, accompagnato da un adeguato coinvolgimento della società civile nei processi di pianificazione dei trasporti, in particolare nelle grandi aree urbane.

1.3.

La realizzazione dei trasporti digitali richiede soluzioni per le strozzature esistenti, nonché investimenti integrati nei sistemi di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia lungo la rete TEN-T, ivi compresa la diffusione del 5G. Queste iniziative dovrebbero essere sostenute dai strumenti di finanziamento dell’UE, quali il meccanismo per collegare l’Europa, il FEIS e Orizzonte 2020.

1.4.

La digitalizzazione e l’automazione dei trasporti presentano nuove opportunità commerciali sia per il settore manifatturiero che per quello dei servizi, comprese le PMI, e potrebbero costituire un campo in cui l’UE gode di un vantaggio competitivo. A tal fine, il CESE chiede un contesto stimolante e favorevole per le imprese, che preveda l’apertura verso nuovi modelli d’impresa e promuova lo sviluppo di piattaforme digitali europee.

1.5.

La digitalizzazione e l’automazione dei trasporti comporteranno profondi cambiamenti sul piano della natura del lavoro e della domanda di competenze. Il CESE sottolinea l’importanza di affrontare questi cambiamenti strutturali favorendo una transizione equa e senza scosse e rimediando alla carenza di competenze, nonché garantendo un monitoraggio adeguato dei progressi compiuti. Il dialogo sociale, l’informazione e la consultazione dei lavoratori svolgono un ruolo fondamentale nel processo di transizione. Gli Stati membri dovranno anche adattare i loro sistemi d’istruzione per rispondere alla nuova domanda di competenze.

1.6.

La digitalizzazione e l’automazione dei trasporti richiedono un’adeguata disponibilità e accessibilità e il libero flusso dei dati. Occorre nel contempo garantire un’adeguata protezione dei dati. Per rispondere ai nuovi sviluppi è inoltre necessario incrementare le capacità di cibersicurezza e risolvere le questioni in sospeso in materia di responsabilità.

1.7.

Il CESE sottolinea il carattere intermodale dei trasporti digitali e tale intermodalità è al centro della strategia dell’UE in materia di trasporti, implicando inoltre strette connessioni con altri ambiti di intervento come quelli relativi al mercato unico digitale, all’energia, allo sviluppo industriale, all’innovazione e alle competenze. Poiché gli obiettivi e gli obblighi in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici costituiscono uno dei fattori che promuovono il trasporto digitale, vi è anche uno stretto legame con la sostenibilità ambientale.

2.   Contesto e tendenze attuali

2.1.

La digitalizzazione è in espansione in tutti gli ambiti dell’economia e della società, e quello dei trasporti è un settore che spesso viene portato ad esempio. L’obiettivo del presente parere di iniziativa è quello di esaminare l’evoluzione e le implicazioni della digitalizzazione e dell’automazione dei trasporti dal punto di vista dell’intera società, ivi compresi le imprese, i lavoratori, i consumatori e i cittadini in generale, e di presentare il punto di vista del CESE su come questi sviluppi dovrebbero essere presi in considerazione nella definizione delle politiche dell’UE, al fine di cogliere le opportunità e gestire i rischi in modo appropriato.

2.2.

Molti cambiamenti sono già in atto, tanto nei mercati quanto in diversi ambiti di intervento a livello nazionale e dell’UE. Anche il CESE ha affrontato questo tema nei suoi pareri, ad esempio in quelli riguardanti il futuro dell’industria automobilistica europea (1) e la strategia europea nel settore dei sistemi di trasporto intelligenti cooperativi C-ITS (2), nonché l’intelligenza artificiale (3).

2.3.

La digitalizzazione dei trasporti assume varie forme. Attualmente i veicoli, gli aeromobili e le navi già utilizzano informazioni digitali in molti modi, tra cui tecnologie e servizi a sostegno della guida delle automobili, del controllo del traffico dei treni e della gestione del traffico aereo e marittimo. La digitalizzazione delle informazioni riguardanti i passeggeri e le merci è un altro settore di applicazione quotidiana. In terzo luogo, i robot sono comunemente utilizzati nelle operazioni di terminal nel settore della logistica del trasporto merci.

2.4.

L’ulteriore automazione e robotizzazione aprono nuove opportunità per il trasporto di merci e persone, nonché per vari tipi di monitoraggio e sorveglianza. I robot virtuali, vale a dire robot basati sui software, svolgono un ruolo centrale perché rendono possibile un maggiore utilizzo e il collegamento di diversi sistemi di informazione, che consente loro di funzionare come una singola unità interoperabile.

2.5.

L’automazione dei trasporti comporta lo sviluppo di mezzi di trasporto che prevedano un’interazione con gli esseri umani, nonché con l’infrastruttura e con altri sistemi esterni. Veicoli, navi e sistemi aerospaziali senza conducente e senza equipaggio che siano pienamente autonomi, ossia che funzionino in modo indipendente, rappresentano l’ultima fase di questo sviluppo.

2.6.

Attualmente diverse case automobilistiche stanno sviluppando e collaudando automobili senza conducente. Metropolitane senza conducente sono già state introdotte in molte città, e sono in fase di collaudo gli autobus e i convogli di autocarri senza conducente. L’utilizzo di sistemi aeromobili senza pilota o droni è in rapido aumento e sono attualmente in fase di sviluppo persino navi telecomandate e autonome. Oltre ai veicoli, agli aeromobili e alle navi, sono attualmente allo studio anche soluzioni di nuovo tipo per le infrastrutture e per i sistemi di controllo del traffico.

2.7.

Nonostante si stia avanzando in direzione di mezzi di trasporto autonomi e senza equipaggio, le strutture di base poggiano ancora sugli esseri umani che restano protagonisti. Le implicazioni più significative si renderanno manifeste quando il trasporto pienamente autonomo e senza intervento umano diventerà una realtà. Le previsioni sul momento in cui ciò si verificherà variano notevolmente, tuttavia è importante prepararsi per il futuro e prendere le decisioni necessarie in tempo utile.

2.8.

La digitalizzazione consente inoltre ai passeggeri e agli altri utenti dei trasporti di beneficiare di un nuovo concetto di mobilità in quanto servizio (Mobility as a Service, MaaS) attraverso le piattaforme digitali.

2.9.

Lo sviluppo della MaaS attualmente in corso mira a rispondere meglio alla domanda del mercato combinando i sistemi di prenotazione, acquisto e pagamento delle catene di trasporto e fornendo informazioni in tempo reale sugli orari, le condizioni meteo e la situazione del traffico, nonché sulle capacità e le soluzioni di trasporto disponibili. La MaaS è quindi l’interfaccia di trasporto digitalizzata dell’utente, che nel contempo mira a ottimizzare l’uso delle capacità di trasporto.

2.10.

Il rapido sviluppo di tecnologie quali i megadati (big data), il cloud computing, le reti mobili 5G, i sensori, la robotica e l’intelligenza artificiale — in particolare con le sue capacità di apprendimento quali l’apprendimento automatico e l’apprendimento profondo — costituisce il principale fattore dell’evoluzione del trasporto digitale e automatizzato.

2.11.

È tuttavia evidente che non si può procedere con successo se il progresso è esclusivamente orientato alla tecnologia. Idealmente, lo sviluppo dovrebbe basarsi sulla domanda proveniente dalla società. D’altro canto, è spesso difficile per i cittadini rendersi conto delle opportunità offerte dai nuovi sviluppi.

3.   Implicazioni per il sistema dei trasporti

3.1.

Lo sviluppo digitale crea le condizioni per l’intermodalità e contribuisce così all’affermarsi dell’approccio sistemico nel settore dei trasporti; esso significa anche il sistema dei trasporti dispone di vari nuovi elementi in aggiunta alle tradizionali infrastrutture.

3.2.

Gli elementi fondamentali del sistema, tuttavia, rimangono: strade, ferrovie, porti e aeroporti. Oltre a questi elementi di base, occorre un’infrastruttura digitale avanzata, che comprenda sistemi di mappatura e di posizionamento, diversi tipi di sensori per la generazione di dati, l’hardware e il software per l’elaborazione dei dati, e connessioni mobili e a banda larga per la loro distribuzione. Dell’infrastruttura digitale fanno parte inoltre i sistemi automatizzati di gestione e controllo del traffico.

3.3.

Poiché l’infrastruttura, sia digitale che digitalizzata, necessita di energia elettrica, e data l’interazione tra le reti elettriche intelligenti e i veicoli elettrici, anche l’infrastruttura elettrica costituisce un elemento essenziale del sistema di trasporto. Infine, sono necessari nuovi servizi e nuove infrastrutture per consentire l’accesso alle informazioni sul traffico, nonché per la prenotazione e il pagamento dei servizi di mobilità. Il sistema, dall’infrastruttura fisica ai servizi di trasporto fisico, è quindi connesso attraverso diversi tipi di elementi digitali.

3.4.

Nonostante gli sviluppi siano rapidi, sussistono diverse strozzature che occorre eliminare in quanto ostacolano il progresso verso sistemi di trasporto digitali, tra le quali, ad esempio, le carenze nella disponibilità e accessibilità dei dati, la mancanza di connessioni Internet ad alta velocità e le limitazioni tecniche relative ai sensori e al posizionamento in tempo reale.

3.5.

Il CESE chiede investimenti nelle tecnologie e nelle infrastrutture sulle quali si può costruire il trasporto digitale, e in particolare nei sistemi di gestione e controllo del traffico: il programma di ricerca sulla gestione del traffico aereo nel cielo unico europeo (Single European Sky ATM Research, SESAR) e il sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (European Railway Traffic Management System, ERTMS) sono progetti già in fase avanzata ma che non dispongono di risorse finanziarie consistenti. Il sistema di informazione e di gestione del traffico marittimo (Vessel Traffic Management and Information System, VTMIS) e i sistemi di trasporto intelligente cooperativi (C-ITS) devono essere ulteriormente sviluppati. Devono inoltre essere messe a disposizione connessioni 5G lungo la rete centrale TEN-T. Gli strumenti di finanziamento dell’UE, quali il meccanismo per collegare l’Europa, il Fondo europeo per gli investimenti strategici e Orizzonte 2020 dovrebbero dare la priorità a queste iniziative.

3.6.

È necessario inoltre rendere interoperabili i sistemi digitali per consentire la connettività transfrontaliera, sia all’interno dell’UE che a livello internazionale, e l’UE dovrebbe cercare di avere un ruolo di guida e di fonte principale delle norme in questo settore.

3.7.

Il CESE sottolinea che la digitalizzazione, pur ottimizzando l’uso delle capacità esistenti, non elimina la necessità di investire nelle infrastrutture di trasporto di base. Inoltre, durante il periodo di transizione, i veicoli e le navi parzialmente automatizzati e completamente autonomi si muovono insieme, e di ciò occorre tenere conto nelle infrastrutture stradali e marittime. Si profilano nuove sfide anche nell’aviazione grazie all’impiego di droni.

3.8.

Il CESE incoraggia lo sviluppo dei sistemi di gestione del traffico e di regole comuni per i droni al livello dell’UE e a livello internazionale in seno all’ICAO. È inoltre necessario sviluppare norme in seno all’IMO al fine di consentire lo sviluppo e l’introduzione delle navi telecomandate e autonome, anche nei porti.

4.   Le implicazioni per le imprese e l’innovazione

4.1.

La digitalizzazione e l’automazione consentono una maggiore efficienza, produttività e sicurezza per il trasporto merci e la logistica. Emergono anche nuove opportunità commerciali per le industrie manifatturiere e dei servizi per quanto riguarda l’automazione e la robotica, i servizi per la mobilità dei cittadini, le soluzioni per una logistica più efficiente o la digitalizzazione dell’intero sistema dei trasporti. Ciò vale sia per le grandi imprese che per le piccole e medie imprese, ivi comprese le start-up.

4.2.

Tenendo conto del fatto che le imprese dell’UE sono all’avanguardia in molti settori connessi al trasporto digitale, questo potrebbe costituire un settore in cui si avrebbe la possibilità di sviluppare un vantaggio concorrenziale. Per quanto concerne lo sviluppo dei trasporti autonomi e digitali, molte innovazioni nascono al di fuori dell’Unione europea, e anche l’UE deve intensificare i propri sforzi nei settori dell’innovazione, delle infrastrutture e del completamento del mercato unico, ivi compreso l’adattamento del quadro giuridico alle nuove condizioni di impiego.

4.3.

È necessaria inoltre un’apertura verso lo sviluppo e l’introduzione di nuovi tipi di modelli aziendali, basati sulle piattaforme digitali. Al fine di favorire la creazione di piattaforme europee occorre garantire condizioni adeguate e favorevoli e un quadro normativo che assicuri alle imprese condizioni di concorrenza eque.

4.4.

Come in qualsiasi altro settore, anche in quello dei trasporti la digitalizzazione e l’automazione si basano principalmente sulla gestione dei dati. Dal punto di vista delle imprese, i dati possono essere considerati un fattore di produzione o una materia prima da trasformare e raffinare al fine di creare valore aggiunto. A tal fine, è essenziale la libera circolazione dei dati. Pertanto, il CESE chiede soluzioni efficaci che eliminino i problemi legati all’accessibilità, all’interoperabilità e al trasferimento dei dati, garantendo nel contempo un’adeguata protezione dei dati stessi e della vita privata.

4.5.

Il CESE considera importante rendere disponibili e accessibili a tutti gli utenti i dati di massa generati dal settore pubblico e riguardanti i trasporti e l’infrastruttura. Sono inoltre necessari chiarimenti e regole per la gestione di dati non personali, e in particolare dei dati generati da sensori e dispositivi intelligenti. Nel valutare la questione dell’accessibilità e del riutilizzo dei dati, è utile notare che, in generale, non sono i dati in quanto tali ad apportare un vantaggio competitivo, ma piuttosto gli strumenti, le risorse e la posizione di mercato per la loro raffinazione.

4.6.

Per sviluppare e acquisire esperienze in materia di trasporto digitale e autonomo occorre agevolare la sperimentazione e il lancio di nuove tecnologie e nuovi concetti. A tal fine sono necessari ecosistemi dell’innovazione e delle imprese funzionanti, banchi di prova adeguati e un quadro normativo favorevole. Il CESE invita le autorità ad adottare un approccio che stimoli l’innovazione invece di applicare regole e requisiti particolareggiati che ostacolano lo sviluppo.

5.   Implicazioni per l’occupazione, il lavoro e le competenze

5.1.

Le implicazioni della digitalizzazione e dell’automazione dei trasporti per il lavoro sono ovviamente uguali a quelle che interessano gli altri ambiti È possibile che i nuovi concetti e processi comportino perdite di posti di lavoro, ma a loro volta i nuovi prodotti e servizi possono generare nuovi posti di lavoro.

5.2.

I cambiamenti più significativi possono verificarsi nello stesso settore dei trasporti e della logistica, ma vi possono essere implicazioni per l’occupazione anche nei settori manifatturieri connessi, nonché nelle catene di approvvigionamento e nei poli regionali.

5.3.

Con la diffusione del trasporto senza equipaggio, la domanda di personale nel settore dei trasporti è destinata a diminuire. Lo stesso vale per le implicazioni del crescente utilizzo della robotica per il lavoro fisico nelle operazioni nei terminal. Alcuni dei posti di lavoro potranno essere sostituiti da compiti di controllo e di monitoraggio, ma nel tempo anche queste mansioni potrebbero diminuire. Nel contempo, si creeranno nuovi posti di lavoro in altri settori, in particolare in quelli legati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ai servizi digitali, all’elettronica e alla robotica. Inoltre, a fronte della diminuzione del lavoro fisico e dei compiti di routine, si sviluppa ulteriormente il ruolo dei compiti relativi alla risoluzione dei problemi e delle funzioni creative.

5.4.

Questa evoluzione delle mansioni implica altresì un notevole cambiamento nelle competenze richieste dal mercato: vi è una domanda crescente di professionisti dell’informatica altamente qualificati, come gli sviluppatori di software. D’altro canto, vi è un crescente bisogno di abilità pratiche collegate all’uso della robotica e al lavoro nei sistemi di cooperazione tra esseri umani e robot. È destinata a crescere, inoltre, l’importanza di professionisti con un’ampia base di competenze.

5.5.

Il CESE sottolinea l’importanza di affrontare questi cambiamenti strutturali in modo appropriato, attraverso l’elaborazione di strategie volte a garantire una transizione equa e senza intoppi, ridurre le ripercussioni sociali negative e rispondere alla carenza di competenze, garantendo nel contempo un monitoraggio adeguato dei progressi compiuti. Il dialogo sociale, l’informazione e la consultazione dei lavoratori a tutti i livelli svolgono un ruolo fondamentale nel processo di transizione.

5.6.

Sussistono necessità di istruzione e formazione sia immediate che a lungo termine. Gli Stati membri hanno un ruolo determinante nel rispondere alla domanda di nuove competenze adeguando i loro sistemi di istruzione, e le buone pratiche devono essere condivise a livello europeo. Occorre dedicare un’attenzione particolare alla scienza, alla tecnologia, all’ingegneria e alla matematica, pur considerando che la domanda di produzione di nuove soluzioni richiede competenze ampie con una formazione anche nelle materie umanistiche e nelle scienze sociali.

6.   Implicazioni per la sicurezza, la protezione e la riservatezza

6.1.

Sembra che i cittadini non siano molto informati delle opportunità offerte dalla digitalizzazione e dall’automazione, ad esempio sul piano dell’accessibilità e della comodità della mobilità, e le principali preoccupazioni riguardano la percezione della sicurezza e della protezione della vita privata. Occorrono quindi maggiori conoscenze e più comunicazione circa i vantaggi e gli svantaggi, nonché un adeguato coinvolgimento della società civile nei processi di pianificazione dei trasporti a livello locale, in particolare nelle grandi aree urbane.

6.2.

L’automazione avanzata aumenta, ovviamente, la sicurezza dei trasporti, grazie alla riduzione degli errori umani. D’altro canto, i limiti esistenti nella capacità dei sensori di riconoscere le forme, i potenziali malfunzionamenti dei dispositivi, le interruzioni della connessione Internet e nuovi tipi di errori umani quali i bachi informatici possono generare nuovi rischi per la sicurezza. Si ritiene, tuttavia che il bilancio sia chiaramente positivo.

6.3.

Con l’emergere di crescenti preoccupazioni in materia di sicurezza informatica, questo sarà uno degli elementi essenziali della sicurezza dei trasporti. La sicurezza informatica interessa veicoli, aeromobili e navi, ma anche la loro infrastruttura di sostegno, gestione e controllo.

6.4.

L’introduzione e la diffusione di mezzi di trasporto senza equipaggio e autonomi solleva inoltre la questione delle norme di circolazione, in particolare quelle connesse agli aspetti etici. Poiché quella dei trasporti è una funzione transfrontaliera, sarebbe opportuno armonizzare la normativa stradale nel mercato interno, con l’obiettivo di un’ulteriore armonizzazione a livello internazionale.

6.5.

Con il diffondersi dei mezzi di trasporto completamente autonomi si pongono anche nuove questioni in materia di responsabilità, il che si riflette nell’evoluzione dei sistemi di assicurazione. La difficoltà principale potrebbe consistere nell’effettivo accertamento della responsabilità in caso di incidente, dato il ruolo dei sistemi digitali e il coinvolgimento di diversi soggetti, quali i costruttori e i proprietari di veicoli e i gestori dell’infrastruttura. Ciò potrebbe richiedere la capacità di conservare una maggiore quantità di dati al fine di determinare le circostanze dell’incidente. Il CESE invita pertanto la Commissione a esaminare i possibili quadri e obblighi in materia di raccolta dei dati a fini di responsabilità, tenendo sempre presente la necessità di proteggere la vita privata.

6.6.

Per quanto riguarda il rispetto della vita privata e le crescenti esigenze in termini di dati, i cittadini esprimono preoccupazione riguardo al rischio di essere sottoposti a un controllo costante. Anche l’uso del riconoscimento delle forme suscita preoccupazioni in materia di riservatezza. Per quanto riguarda la protezione dei dati personali, a partire dal 2018 sarà d’applicazione il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) con l’obiettivo di introdurre un’unica serie di norme per l’intera UE. Il CESE, che ha richiamato l’attenzione sull’importanza del rispetto della vita privata e della protezione dei dati nei suoi precedenti pareri, sottolinea che i dati dovrebbero essere utilizzati esclusivamente per le finalità connesse con il funzionamento del sistema, e non essere conservati per altri fini.

7.   Implicazioni per il clima e l’ambiente

7.1.

Gli impatti climatici e ambientali dei trasporti dipendono da numerosi fattori. Il miglioramento dell’efficienza energetica di veicoli, aeromobili e navi costituisce una delle misure fondamentali per ridurre le emissioni. L’efficienza energetica in generale va di pari passo con l’automazione del funzionamento e dei sistemi di controllo.

7.2.

La sostituzione dei combustibili fossili con combustibili a basse emissioni di carbonio, a energia elettrica o a idrogeno costituisce un altro strumento importante per ridurre le emissioni. Anche se si tratta di un processo distinto, la diffusione di veicoli elettrici e l’installazione di reti elettriche intelligenti sono strettamente connesse all’automazione dei sistemi di trasporto.

7.3.

Anche alle misure volte ad aumentare i flussi di traffico spetta un ruolo importante da svolgere nella riduzione delle emissioni. La digitalizzazione e l’automazione consentono trasporti agevoli e catene di trasporto multimodali efficienti, con un incremento dell’efficienza dei trasporti e dell’efficienza energetica e una riduzione del consumo di carburanti e delle emissioni. A tal fine, rivestono la massima importanza infrastrutture di elevata qualità e un attraversamento agevole delle frontiere. Inoltre, l’utilizzo del suolo e la pianificazione urbanistica incidono sulle esigenze e sui flussi di traffico.

7.4.

Gli impatti ambientali non sono solo relativi ai trasporti, ma anche al ciclo di vita di veicoli, aeromobili e navi, dalla fabbricazione alla fine del ciclo di vita. Il rimpatrio delle attività produttive e la diffusione dell’approccio basato sull’economia circolare sono fenomeni che contribuiscono a ridurre l’impatto del ciclo di vita.

7.5.

Il trasporto autonomo può portare a un maggiore uso delle automobili private grazie alla maggiore comodità per i passeggeri. D’altro canto, il car-sharing — assieme all’uso dei mezzi pubblici — dovrebbe contribuire a diminuire la quantità di veicoli privati. Le preferenze dei consumatori svolgono pertanto un ruolo decisivo per il futuro della mobilità e possono essere influenzate mettendo a loro disposizione strumenti accessibili di pianificazione della mobilità che li incoraggino a fare scelte rispettose dell’ambiente. Anche gli incentivi tariffari adeguati, infine, possono contribuire a influenzare il comportamento dei consumatori.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Relazione informativa della commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del CESE sul tema L’industria automobilistica, CCMI/148, adottata dalla CCMI il 30/01/2017.

(2)  Cfr. parere del CESE sul tema Sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, TEN/621 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(3)  Cfr. parere del CESE sul tema L’intelligenza artificiale, INT/806 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La dimensione esterna dell’economia sociale»

(parere d’iniziativa)

(2017/C 345/09)

Relatore:

Miguel Ángel CABRA DE LUNA

Decisione dell’Assemblea plenaria

22.9.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

REX

Adozione in sezione

8.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

129/1/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’economia sociale rappresenta un attore di rilievo che contribuisce a conseguire gli obiettivi di tutte le politiche europee che hanno una dimensione esterna, vale a dire, la politica esterna e di sicurezza e la politica commerciale, oltre che le politiche in materia di vicinato, cambiamenti climatici, cooperazione allo sviluppo e sviluppo sostenibile. Tuttavia, la mancanza di un contesto normativo adeguato, a livello sia europeo che nazionale, impedisce a questo settore di sviluppare tutto il suo potenziale e di massimizzare il suo impatto.

1.2.

Dal canto suo, lo strumento di partenariato (1) per la cooperazione con i paesi terzi, rivolto sia a paesi sviluppati che in via di sviluppo, può costituire un’opportunità per l’economia sociale dell’Unione europea (UE) nel suo processo di internazionalizzazione attraverso la promozione della competitività, dell’innovazione e della ricerca.

1.3.

L’UE svolge un ruolo di rilievo nella lotta volta a eliminare la povertà e a stimolare lo sviluppo economico e sociale a livello mondiale, lotta che è testimoniata dall’agenda post 2015 dell’UE e dalla sua adesione all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

1.4.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione l’importanza che il Consiglio attribuisce, nel quadro dell’agenda post 2015, alla «economia sociale per la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo sostenibile»; ciò apre nuove prospettive per stimolare l’economia sociale nella sua dimensione esterna (punto 43 dell’agenda post 2015). Il CESE si rammarica tuttavia che la Commissione non abbia tenuto conto dell’economia sociale nella sua proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo.

1.5.

I successi osservabili in vari paesi terzi sono la prova che l’economia sociale, nelle sue varie manifestazioni imprenditoriali, è presente in modo rilevante nella vita quotidiana e nell’attività produttiva di estese regioni dell’Africa, dell’America e dell’Asia, e contribuisce in modo decisivo a migliorare le condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone.

1.6.

Tra le diverse forme imprenditoriali dell’economia sociale presenti in queste regioni, emerge la posizione di primo piano detenuta anche dalle cooperative e dalle mutue, molto numerose e attive nella produzione agricola, nel settore finanziario (compresa la micro-finanza), nella fornitura di acqua potabile, nell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, nella riduzione dell’occupazione sommersa tramite iniziative di imprenditoria collettiva nel settore dell’economia sociale, nell’inserimento lavorativo dei giovani e nell’emancipazione delle donne, le quali svolgono un ruolo sempre più significativo nell’attività produttiva di cooperative e mutue.

1.7.

Oltre all’attività delle cooperative, delle società di mutuo soccorso e di altre imprese simili dell’economia sociale che hanno la loro base nell’associazionismo, emerge l’importante funzione svolta dagli enti senza scopo di lucro, nonché dalle associazioni e fondazioni note comunemente con il nome di ONG, che fanno tutte parte integrante dell’economia sociale, nel quadro del terzo settore orientato all’azione sociale, e gestiscono servizi in materia di assistenza sociale, salute, istruzione e di altro tipo, oltre a promuovere tra la popolazione locale iniziative di imprenditoria riconducibili all’economia sociale.

1.8.

La Commissione ha riconosciuto l’importante funzione che possono svolgere le imprese dell’economia sociale (IES) nello sviluppo dell’economia circolare, a cui possono apportare un «contributo essenziale» (2). In Europa esistono numerosi esempi di buone pratiche in questo settore, nel cui ambito le imprese dell’economia sociale possono svolgere un ruolo di rilievo per quel che concerne gli investimenti nelle energie rinnovabili, previsti nel quadro del piano europeo per gli investimenti esterni, in Africa. Le IES contribuiscono in misura considerevole a una crescita economica sostenibile, riducendo al tempo stesso gli impatti negativi sull’ambiente.

1.9.

Gli strumenti finanziari tradizionali non funzionano per le IES, ad eccezione delle operazioni delle banche etiche, dato che le IES hanno bisogno di strumenti appositamente concepiti. Per questo motivo il CESE deplora che, malgrado l’indiscutibile ruolo di primo piano nel conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e la loro presenza socioeconomica, le imprese dell’economia sociale non siano sistematicamente considerate un attore con un riconoscimento specifico nel quadro dei programmi dell’UE per la promozione dell’internazionalizzazione e dell’imprenditoria all’estero, oltre che per la cooperazione allo sviluppo. Neanche il piano europeo per gli investimenti esterni e il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD) prendono in considerazione una linea di finanziamento specifica per le IES.

1.10.

Ad esempio, il rinnovo dell’accordo di partenariato di Cotonou (APC) riguarderà più di 100 paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), con una popolazione complessiva di 1 500 milioni di persone. Il rinnovo dell’APC avverrà nel 2020 e i negoziati devono iniziare al più tardi nell’agosto del 2018. Desta sorpresa il fatto che nella suddetta comunicazione, basata sull’Agenda 2030 dell’ONU e sulla strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza, non venga menzionata, tra gli attori non statali coinvolti nel partenariato, l’economia sociale, che è inglobata nella generica formulazione «le organizzazioni della società civile, i partner economici e sociali e il settore privato» (punto 4.3.3 della comunicazione).

Alla luce di quanto precede:

1.11.

La politica commerciale è uno dei pilastri dell’azione esterna dell’UE. La società civile organizzata prende parte ai diversi accordi (commerciali, di associazione o di partenariato economico) conclusi dall’UE con altri paesi o regioni del mondo per il tramite dei comitati consultivi misti (CCM) e dei gruppi consultivi interni (GCI) creati in virtù dei suddetti accordi. Il CESE raccomanda che la presenza dell’economia sociale, le cui organizzazioni rappresentative già partecipano a vari accordi di questo tipo, si generalizzi e diventi una componente fissa di tutti gli accordi.

1.12.

Sia l’EFSD che la BEI devono collaborare alla creazione di un ecosistema finanziario specifico per le IES, come il CESE ha chiesto in un suo parere (3). Inoltre, i programmi di assistenza tecnica e di cooperazione allo sviluppo del PIE devono prevedere incentivi allo sviluppo di piattaforme digitali cooperative. L’economia digitale apre nuovi spazi di intervento e sviluppo per le IES. L’economia collaborativa permette per esempio di creare piattaforme not-for-profit (platform cooperativism) e di realizzare attività di grande interesse per la dimensione esterna dell’economia sociale, come la produzione collaborativa, i finanziamenti collettivi (crowdfunding o peer-to-peer lending), la governance collaborativa o l’apprendimento collaborativo (learning). In quest’ultimo caso, l’apprendimento attraverso piattaforme cooperative può essere importante per formare in loco — ossia, nei paesi vicini e del sud — imprenditori dell’economia sociale, rafforzando il capitale umano strutturale in tali paesi.

1.13.

Il CESE appoggia la raccomandazione del gruppo di esperti della Commissione sull’imprenditoria sociale (GECES) per il rafforzamento del ruolo delle IES nel quadro della politica esterna dell’UE. In quest’ottica, la Commissione e il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) devono coordinare le loro politiche e iniziative per:

assegnare un finanziamento diretto e indiretto alle imprese dell’economia sociale (IES) nei paesi terzi, assieme ai governi coinvolti e alle organizzazioni di sostegno all’economia sociale,

stabilire rapporti di cooperazione concreta con altri partner mondiali e fondi per l’innovazione e gli investimenti, allo scopo di potenziare l’impatto dei rispettivi programmi.

1.14.

La Commissione e le organizzazioni rappresentative dell’economia sociale devono favorire il coinvolgimento del G20 e del G7 nella promozione di politiche specifiche di sostegno all’economia sociale (come indicato nel quadro per l’imprenditoria inclusiva del G20) che tengano conto delle differenze — sul piano dei valori, dei principi e delle motivazioni di fondo — di queste organizzazioni (raccomandazione n. 12 del GECES).

1.15.

Facendo leva sulla diplomazia economica, bisogna promuovere il ruolo dell’economia sociale nei consessi internazionali (UN-TFSSE, ILG-SSE, G20, G7, OIL ecc.) e la cooperazione con le organizzazioni finanziarie internazionali.

1.16.

L’UE deve garantire che, in fase di negoziazione degli accordi commerciali, le IES non siano discriminate rispetto ad altre imprese e, quindi, che vengano eliminate le barriere non tariffarie che, di fatto, provocano tale discriminazione.

1.17.

Sia lo strumento europeo di vicinato (ENI) che altri strumenti finanziari devono sistematicamente contribuire alla promozione dell’economia sociale nel quadro dei negoziati riguardanti tanto i paesi candidati all’adesione all’UE quanto altri paesi vicini che beneficiano di accordi preferenziali.

1.18.

La Commissione deve consolidare il suo ruolo di guida sia nella cooperazione internazionale che nella promozione e nel riconoscimento delle IES come soggetti cruciali del settore privato per il raggiungimento degli OSS, oltre che come componenti dell’agenda esterna dell’UE. A tal fine sarà necessario coordinare le attività dei vari servizi della Commissione e del SEAE, nonché varare programmi di azione congiunta per la cooperazione allo sviluppo con altre istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca mondiale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), la Banca africana di sviluppo, la Banca asiatica di sviluppo e altri enti pubblici e privati alla ricerca di investimenti multilaterali, anche a livello locale, creando incentivi affinché tali canali di finanziamento funzionino. È urgente che le IES prendano parte alla «diplomazia economica» dell’UE in modo effettivo e generale. La Commissione deve rafforzare i legami di cooperazione esistenti con le organizzazioni internazionali (ONU, OIL, OCSE ecc.) nel campo dell’economia sociale.

1.19.

La Commissione deve esplicitamente integrare il settore dell’economia sociale come attore imprenditoriale dell’UE nelle iniziative di accesso a mercati di paesi terzi, oltre che in tutti i programmi di cooperazione allo sviluppo e nell’attuazione dell’agenda post 2015, stabilendo indicatori e obiettivi specifici per le cooperative e le altre imprese simili dell’economia sociale. Concretamente, è importante che la Commissione e l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri includano esplicitamente l’economia sociale tra gli attori non statali del prossimo APC e stabiliscano, nel quadro del piano europeo per gli investimenti esterni e dell’EFSD, linee di finanziamento specifiche per le IES.

1.20.

Per contribuire al monitoraggio e alla revisione degli OSS, occorre prevedere la stesura di una relazione periodica sulle politiche di partenariato tra gli Stati, e altre autorità pubbliche, e l’economia sociale, comprese le cooperative, che sono degli strumenti cruciali per l’attuazione degli OSS. Inoltre gli Stati dovrebbero essere incoraggiati a produrre dati e statistiche.

1.21.

La Commissione deve facilitare l’inclusione dell’economia sociale nel dialogo strutturato che promuoverà con il settore privato europeo e africano, nel quadro di una piattaforma di imprese sostenibili per l’Africa.

1.22.

La Commissione deve favorire il sostegno preferenziale alle IES legate al settore dell’economia circolare che hanno riscosso considerevoli successi in Europa e che possono essere attori di rilievo della crescita sostenibile nei paesi extraeuropei, creando molti posti di lavoro per i giovani e le donne a livello locale.

1.23.

La Commissione e gli Stati membri devono promuovere, nel quadro del loro impegno in azioni imprenditoriali all’estero e di cooperazione allo sviluppo, la partecipazione e la consultazione delle organizzazioni rappresentative dell’economia sociale europee, nazionali e dei paesi partner, oltre che di quelle associazioni internazionali dell’economia sociale operanti in paesi dell’asse nord-sud e sud-sud, e inoltre promuovere il coordinamento con tali organizzazioni. Il CESE rinnova la propria richiesta (4) relativa alla creazione di un Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile, volto a promuovere e monitorare l’attuazione dell’Agenda 2030; i suoi attori principali dovrebbero essere il Consiglio, la Commissione, il Parlamento, gli enti rappresentativi dell’economia sociale europea e il resto della società civile.

1.24.

I programmi di assistenza tecnica e sviluppo della Commissione devono prevedere la partecipazione delle reti e delle organizzazioni rappresentative dell’economia sociale in veste di intermediari e attori strategici nell’attuazione dei programmi di investimento e cooperazione nei paesi vicini e in via di sviluppo, nonché appoggiare i governi interessati affinché promuovano un ambiente istituzionale favorevole alle IES. I paesi della sponda meridionale del Mediterraneo e dei Balcani sono una priorità assoluta.

1.25.

La Commissione e il SEAE devono promuovere nei paesi terzi un processo di individuazione delle differenti categorie di enti dell’economia sociale, oltre che l’introduzione di un quadro giuridico adeguato che permetta di avere una visione d’insieme degli enti dell’economia sociale. Poiché si tratta di un processo complesso da attuare nel medio/lungo termine, occorre porre l’accento sulle cooperative e sulle mutue, che sono attori operanti in tutto il mondo, dispongono di quadri giuridici di riferimento ben definiti, hanno una presenza di rilievo in tutti i rami dell’attività produttiva e sono caratterizzate da un sistema di valori e di governance che ha costituito la fonte d’ispirazione per l’intera economia sociale e ne fa la colonna portante della stessa economia sociale.

1.26.

Alla luce delle finalità perseguite dal presente parere, il CESE esorta la Commissione europea a dare rapida attuazione al suo impegno di sensibilizzare in misura maggiore i servizi interni all’economia sociale organizzando sessioni informative rivolte alle direzioni generali pertinenti e alle delegazioni dell’Unione europea in paesi terzi.

2.   Introduzione

2.1.

La strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza ha due massime priorità, ossia provvedere alla sicurezza dell’Unione e investire nella resilienza degli Stati e delle società che si trovano a est dell’Europa e nel sud, fino all’Africa centrale. Nel perseguimento di tali priorità e della Politica europea di vicinato (PEV), l’economia sociale può svolgere compiti di rilievo per stimolare i processi di sviluppo inclusivo e di crescita sostenibile.

2.2.

La PEV, che si rivolge a paesi situati a est e a sud dell’Europa, e il suo strumento finanziario, lo strumento europeo di vicinato (ENI), costituiscono un elemento cruciale per incoraggiare le relazioni con i 16 paesi a cui la PEV è diretta (6 a est e 10 sulla sponda meridionale del Mediterraneo), sulla base dei 15,4 miliardi di euro stanziati dall’UE per lo sviluppo di tali paesi nel periodo 2014-2020.

2.3.

Il piano europeo per gli investimenti esterni, per il tramite del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD), favorirà — in Africa e nei paesi vicini dell’UE — investimenti per un ammontare compreso tra 44 e 88 miliardi di euro nel periodo 2016-2020, e le controparti ammissibili per i progetti d’investimento dovranno essere organismi del settore pubblico e investitori del settore privato.

2.4.

Il commercio internazionale è uno dei pilastri della nuova strategia Europa 2020 volta a rendere l’UE più competitiva e rispettosa dell’ambiente. Gli accordi di libero scambio e d’investimento promossi dall’UE possono contribuire a una crescita economica più dinamica nell’Unione stessa, se si considera che il 90 % della futura crescita mondiale avverrà al di fuori dell’Europa. L’UE dovrebbe garantire che, in fase di negoziazione degli accordi commerciali, le IES non siano discriminate rispetto ad altre imprese e, quindi, che vengano eliminate le barriere non tariffarie che, di fatto, provocano tale discriminazione. L’economia sociale europea deve avvalersi di tali accordi per stimolare l’internazionalizzazione delle sue imprese, sia nei paesi del vicinato orientale e meridionale che nel resto del mondo.

2.5.

L’UE svolge una funzione di rilievo nella lotta per eliminare la povertà e stimolare lo sviluppo economico e sociale a livello mondiale. L’aiuto pubblico allo sviluppo che l’UE e gli Stati membri forniscono è arrivato a 68 miliardi di euro nel 2015 (5), ossia più del 50 % dell’aiuto fornito da tutti gli altri donatori a livello mondiale.

2.6.

Il Consiglio, nella riunione del 26 maggio 2015, ha adottato la posizione dell’UE in rapporto alla nuova agenda per lo sviluppo post 2015 (Un nuovo partenariato mondiale per l’eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile dopo il 2015). Nel settembre 2015 l’UE ha sostenuto le ragioni di tale agenda post 2015 in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la quale ha adottato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Nella suddetta agenda post 2015 il Consiglio ha sottolineato «l’importanza delle micro, piccole e medie imprese e delle imprese dell’economia sociale per la creazione di occupazione e per lo sviluppo sostenibile» (punto 43).

3.   Le imprese e organizzazioni dell’economia sociale (IES)

3.1.

Le IES si compongono di una miriade di attori che possiedono un nucleo identitario comune, con principi e valori comportamentali che le caratterizzano come enti di natura libera e volontaria, con sistemi di governance democratici e partecipativi, creati dalla società civile con l’obiettivo principale di soddisfare e risolvere — secondo criteri di solidarietà — le necessità delle persone e dei gruppi sociali da cui sono formati, invece di remunerare il capitale degli investitori (6). Un esempio in questo senso è dato dal riconoscimento conferito dall’Unesco alle cooperative tedesche, considerate patrimonio immateriale dell’umanità.

3.2.

Il perimetro dei soggetti che compongono l’economia sociale è stato ben delimitato non solo dall’Unione europea, ma anche dai suoi stessi protagonisti e dalla letteratura scientifica. In proposito, vanno ricordati la risoluzione del Parlamento europeo sull’economia sociale (2008/2250(INI)], del 25 gennaio 2009, il Manuale per la compilazione dei conti satelliti delle imprese dell’economia sociale: cooperative e mutue, promosso dalla Commissione europea (2006), i pareri del CESE (7) e la relazione del CESE sul tema L’economia sociale nell’Unione europea  (8). Tutti questi documenti concordano nel considerare l’economia sociale un settore formato da una molteplicità di imprese e organizzazioni che sono «basate sul primato delle persone sul capitale e comprendono forme organizzative quali cooperative, mutue, fondazioni e associazioni nonché nuove forme di imprese sociali» (conclusioni del Consiglio dell’Unione europea, del 7 dicembre 2015, sul tema La promozione dell’economia sociale quale fattore essenziale dello sviluppo economico e sociale in Europa) (9).

4.   Economia sociale, politica europea di vicinato e strategia globale in materia di politica estera e di sicurezza

4.1.

L’economia sociale può svolgere un ruolo molto importante nell’azione esterna dell’UE. La storia dell’economia sociale è costellata di successi, non solo in Europa, ma anche in numerosi paesi del vicinato meridionale e in vaste regioni dell’Africa. Questo dato di fatto è stato messo in evidenza dall’OIL nella raccomandazione n. 193, del 20 giugno 2002, sulla promozione delle cooperative, che sono considerate uno dei pilastri dello sviluppo economico e sociale e che, per i loro valori e sistemi di governance, favoriscono la massima partecipazione di tutta la popolazione a questo sviluppo, rafforzando la stabilità, la fiducia e la coesione sociale.

4.2.

In svariate occasioni la Commissione e il Consiglio hanno messo in evidenza l’importanza delle cooperative e dell’economia sociale nell’azione esterna dell’UE. Difatti, la comunicazione della Commissione del 12 settembre 2012 (Le radici della democrazia e dello sviluppo sostenibile: l’impegno dell’Europa verso la società civile nell’ambito delle relazioni esterne) sottolinea il ruolo delle cooperative quali attori di rilievo della società civile «particolarmente attivi nel promuovere l’imprenditoria e l’occupazione, mobilitando le collettività». Inoltre, nel quadro dell’agenda post 2015 il Consiglio attribuisce all’economia sociale un ruolo significativo per la creazione di posti di lavoro e la realizzazione di uno sviluppo sostenibile (punto 43 dell’agenda post 2015).

4.3.

La strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza ha due massime priorità, ossia provvedere alla sicurezza dell’Unione e investire nella resilienza degli Stati e delle società che si trovano a est dell’Europa e nel sud, fino all’Africa centrale.

4.4.

La PEV è un elemento cruciale per assicurare il conseguimento delle priorità indicate nella strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea. Secondo questa strategia, una delle priorità dell’azione esterna consiste nell’investire nella resilienza degli Stati e delle società situati a est e a sud dell’Europa, fino all’Africa centrale, indipendentemente dal fatto che questi paesi rientrino o meno nella PEV.

4.5.

Il consolidamento di Stati resilienti nel vicinato dell’Europa, che costituisce una priorità dell’azione esterna dell’UE, non può essere garantito in assenza di società forti, coese e resilienti. L’economia sociale, che è basata su imprese create da persone per le persone, costituisce una vivida espressione della società civile. Le IES sono il risultato di iniziative civiche di imprenditoria collettiva che integrano obiettivi sia economici che sociali in un progetto comune e rendono le persone responsabili e protagoniste del loro destino, permettendo loro di migliorare le condizioni di vita e di nutrire speranze per il futuro. Questo rappresenta la migliore garanzia per il consolidamento di Stati resilienti a est e a sud dell’Europa, oltre che in altri paesi, siano essi inquadrabili o meno nella PEV, come indica la strategia globale dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza. È anche la migliore garanzia per la sostenibilità e il successo a lungo termine della prima delle cinque grandi priorità dell’UE in materia di azione esterna, ossia la sicurezza dell’Europa, la nostra casa comune e, quindi, per prevenire i processi di radicalizzazione.

4.6.

Infine, la dimensione esterna dell’economia sociale può essere di grande utilità nella creazione di posti di lavoro con diritti in paesi in cui l’economia sommersa assume proporzioni notevoli, oppure nei paesi il cui modello economico è in fase di transizione, anche allo scopo di evitare la chiusura di imprese che vengono invece rilevate dagli stessi lavoratori, attraverso la forma giuridica e organizzativa della cooperativa.

5.   L’economia sociale e la politica commerciale e d’investimento dell’UE

5.1.

La politica commerciale è uno dei pilastri dell’azione esterna dell’UE. La società civile organizzata prende parte ai diversi accordi (commerciali, di associazione o di partenariato economico) conclusi dall’UE con altri paesi o regioni del mondo per il tramite dei comitati consultivi misti (CCM) e dei gruppi consultivi interni (GCI) creati in virtù dei suddetti accordi. Il CESE raccomanda che la presenza dell’economia sociale, le cui organizzazioni rappresentative già partecipano a vari accordi di questo tipo, si generalizzi e diventi una componente fissa di tutti gli accordi. Propone pertanto che questo serva per mettere a profitto, nel quadro dei capitoli dedicati allo sviluppo sostenibile di questi accordi, l’esperienza dell’economia sociale nella creazione di imprese con valori e caratteristiche tipici dell’economia sociale, e che le organizzazioni dell’economia sociale entrino regolarmente a far parte dei GCI della società civile previsti da questi capitoli e delle missioni commerciali promosse dalla Commissione in paesi terzi.

5.2.

La presenza dell’economia sociale nei CCM e CGI può contribuire a rafforzare la conoscenza, i legami e la cooperazione tra le diverse regioni nel quadro della stessa economia sociale, come già avviene, ad esempio, tra l’economia sociale dell’UE e le sue controparti in America Latina e sulla sponda meridionale del Mediterraneo.

5.3.

La dotazione a disposizione della PEV per il conseguimento dei suoi obiettivi, tramite L’ENI, nel periodo 2014-2016 ammonta a 15,4 miliardi di euro. Il piano europeo per gli investimenti esterni (10), che offre un quadro globale per aumentare gli investimenti in Africa e nei paesi vicini dell’UE, può rappresentare uno strumento adeguato per promuovere l’economia sociale in queste aree geografiche.

5.4.

Nel novembre del 2017 si terrà il quinto vertice UE-Africa che riformulerà e approfondirà il partenariato tra le due regioni (11). La Commissione deve facilitare l’inclusione dell’economia sociale nel dialogo strutturato che promuoverà con il settore privato europeo e africano, nel quadro di una piattaforma di imprese sostenibili per l’Africa.

5.5.

La Commissione ha riconosciuto l’importante funzione che possono svolgere le IES nello sviluppo dell’economia circolare, a cui possono apportare un «contributo essenziale» (12). In Europa esistono numerosi esempi di buone pratiche in questo settore, soprattutto nel settore delle energie rinnovabili.

5.6.

Per le loro caratteristiche e i loro valori, le IES possono svolgere un ruolo di rilievo per quel che concerne gli investimenti nelle energie rinnovabili — previsti nel quadro del piano europeo per gli investimenti esterni — in Africa, sulla base di vantaggi concorrenziali — derivanti da una migliore gestione delle risorse e delle materie prime, oltre che da un maggiore radicamento nel territorio — che permettono di creare nuovi posti di lavoro a livello locale, specialmente per i giovani e le donne. Il sostegno preferenziale alle IES legate al settore dell’economia circolare faciliterà una maggiore sostenibilità della crescita economica, riducendo al tempo stesso l’impatto negativo sull’ambiente attraverso una migliore gestione delle risorse e la diminuzione delle attività estrattive e dell’inquinamento.

5.7.

Lo strumento di partenariato (13) per la cooperazione con i paesi terzi, rivolto sia a paesi sviluppati che in via di sviluppo, può costituire un’opportunità per l’economia sociale dell’UE nel suo processo di internazionalizzazione attraverso la promozione della competitività, dell’innovazione e della ricerca.

5.8.

Come è stato ripetutamente indicato, la logica del mercato finanziario non è concepita per sostenere lo sviluppo delle IES. Gli strumenti finanziari tradizionali non funzionano per le IES, che hanno bisogno di strumenti ad hoc. Pertanto, il potenziale reale delle IES può essere realizzato solo se l’accesso ai finanziamenti è inserito in un ecosistema finanziario su misura e pienamente integrato (14).

5.9.

Il gruppo di esperti della Commissione sull’imprenditoria sociale (GECES) ha anche segnalato la necessità che la Commissione destini risorse dedicate, dirette e indirette, alle associazioni dell’economia sociale, comprese le imprese sociali, nei paesi terzi, in collaborazione con i governi e con organizzazioni di assistenza e finanziamento delle imprese sociali (raccomandazione 13 della relazione del GECES sul tema Il futuro delle imprese sociali e dell’economia sociale (Social enterprises and the social economy going forward)].

5.10.

In quest’ottica, sia lo strumento europeo di vicinato (ENI) che altri strumenti finanziari dovrebbero contribuire in modo sistematico alla promozione dell’economia sociale nel quadro dei negoziati riguardanti tanto i paesi candidati quanto altri paesi vicini che beneficiano di accordi preferenziali.

5.11.

Recentemente la Commissione ha attuato qualche iniziativa esterna, come l’accordo di partenariato tra la Commissione europea e l’Alleanza cooperativa internazionale per promuovere il settore delle cooperative a livello mondiale, da realizzare tra il 2016 e il 2020 attraverso un programma la cui dotazione ammonta a 8 milioni di EUR. Tuttavia, sia la PEV che la strategia globale per la politica estera e di sicurezza ignorano le IES, non considerandole esplicitamente come attori imprenditoriali nel quadro delle politiche e dei programmi esterni dell’UE, e non prevedono nessuna linea specifica di finanziamento per le IES, malgrado le considerevoli risorse assegnate al piano europeo per gli investimenti esterni e all’EFSD, né si tiene conto delle IES nelle azioni a favore dell’internazionalizzazione delle imprese europee.

5.12.

La Commissione e l’economia sociale devono favorire il coinvolgimento del G20 e del G7 nella promozione di politiche specifiche di sostegno all’attività imprenditoriale e alle IES inclusive (come indicato nel quadro per l’imprenditoria inclusiva del G-20) che mettano meglio in evidenza le differenze tra queste organizzazioni sul piano dei valori, dei principi e della loro ragion d’essere, come raccomandato dal GECES (raccomandazione n. 12).

5.13.

Facendo leva sulla diplomazia economica, bisogna promuovere il ruolo dell’economia sociale nei consessi internazionali (UN-TFSSE, ILG-SSE, G20, G7, OIL ecc.) e la cooperazione con le organizzazioni finanziarie internazionali, come il GSG (gruppo direttivo sugli investimenti a impatto sociale a livello globale), partecipando — ad esempio — a eventi sul tema del finanziamento organizzati dall’ILG-SSE.

6.   L’importanza dell’economia sociale per il raggiungimento degli OSS

6.1.

L’Agenda 2030 dell’ONU comprende 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) basati su tre pilastri riguardanti la dimensione economica, sociale e ambientale. L’economia sociale sta svolgendo un ruolo significativo nel conseguimento di tutti questi obiettivi. La molteplicità degli attori che compongono l’economia sociale e la trasversalità delle forme giuridiche presenti ostacolano la raccolta di dati aggregati sugli interventi dell’economia sociale, anche se i dati disponibili riguardanti le cooperative, le società di mutuo soccorso e altri enti simili permettono di affermare che l’economia sociale e le cooperative in particolare costituiscono fattori cruciali per il conseguimento degli OSS dell’Agenda 2030.

6.2.

A questo riguardo, per contribuire al monitoraggio e alla revisione degli OSS, occorre prevedere la stesura di una relazione periodica sulle politiche di partenariato tra gli Stati, e altre autorità pubbliche, e l’economia sociale, comprese le cooperative, che rappresentano strumenti cruciali per l’attuazione degli OSS. Inoltre gli Stati dovrebbero essere incoraggiati a produrre dati e statistiche.

6.3.

In rapporto all’obiettivo della riduzione della povertà e della realizzazione di uno sviluppo sostenibile, le cooperative svolgono un ruolo fondamentale in vaste regioni dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe; si tratta principalmente delle cooperative di risparmio e di credito e delle cooperative agroalimentari e di produzione, approvvigionamento e commercializzazione (ruolo evidenziato dalla FAO). In paesi come la Tanzania, l’Etiopia, il Ghana, il Ruanda o lo Sri Lanka, le cooperative di risparmio e di credito sono molto importanti per finanziare l’acquisto, da parte di persone prive di mezzi, degli strumenti di lavoro, del capitale circolante, oppure di beni di consumo durevoli. Nei suddetti paesi le cooperative assumono un ruolo guida anche in rapporto ai processi di emancipazione femminile (15). In Africa si contano 12 000 cooperative di risparmio e credito che servono 15 milioni di persone in 23 paesi (16).

6.4.

In materia di salute, le cooperative e le mutue sono molto importanti in tutto il mondo, sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti. In tutto il mondo più di 100 milioni di famiglie si rivolgono a cooperative per i servizi sanitari (17).

6.5.

Un settore in cui le cooperative contribuiscono in modo decisivo a uno degli OSS è quello dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. In Bolivia (Santa Cruz de la Sierra) esiste la più grande cooperativa del mondo per l’erogazione di servizi idrici, la quale fornisce acqua potabile di altissima qualità a 1,2 milioni di persone. Nelle Filippine, in India e in vari paesi africani, le cooperative per l’erogazione di servizi idrici forniscono acqua potabile a decine di migliaia di famiglie. In qualche caso sono stati gli stessi membri delle cooperative a scavare pozzi e a creare gruppi locali per la loro manutenzione. Negli Stati Uniti esistono circa 3 300 cooperative che erogano acqua per il consumo umano, la protezione antincendio, l’irrigazione e i servizi di smaltimento delle acque reflue (18).

6.6.

Le attività volte a fornire alloggi dignitosi e a riqualificare i quartieri insalubri trovano nelle cooperative uno strumento molto efficace. In India la Federazione nazionale delle cooperative edilizie ha promosso, tra le famiglie povere delle zone urbane, 92 000 cooperative edilizie con 6,5 milioni di soci e 2,5 milioni di abitazioni, la maggior parte delle quali per famiglie a basso reddito. In Kenya l’Unione nazionale delle cooperative edilizie ha incoraggiato un programma di riqualificazione dei quartieri insalubri con cui ha aiutato i residenti a organizzarsi in cooperative per accedere ad alloggi dignitosi (19).

6.7.

Le cooperative rappresentano uno strumento prezioso per ridurre gli alti tassi di lavoro sommerso (il 50 % dell’occupazione complessiva nel mondo), sempre associati a condizioni di vita e di lavoro non dignitose. Le iniziative di imprenditoria collettiva riconducibili alle cooperative apportano un grande valore sociale, che accresce la dignità e migliora le condizioni di vita delle persone (lavoro dignitoso), oltre a controbattere un modello che genera precarietà e disuguaglianze. Le IES svolgono una funzione di rilievo nell’emancipazione dei gruppi più vulnerabili, in particolare le donne, i giovani e le persone con disabilità, e generano inoltre entrate economiche durature, oltre a realizzare processi di innovazione sociale coronati dal successo.

6.8.

Oltre all’attività delle cooperative e delle società di mutuo soccorso, occorre evidenziare il ruolo degli enti senza scopo di lucro, le organizzazioni non governative (ONG), che fanno tutte parte integrante dell’economia sociale, nel quadro del terzo settore che opera nel sociale. Questi enti mobilitano importanti risorse, anche in termini di volontariato, che consentono loro non solo di gestire servizi sociali, sanitari, didattici e di altro tipo, ma anche — in molti casi — di promuovere iniziative di imprenditoria sociale presso la popolazione locale.

6.9.

Le esperienze imprenditoriali indicate nei punti precedenti dimostrano che il modello d’impresa dell’economia sociale si ispira a un sistema di valori e di governance partecipativa che rende questo settore particolarmente adatto a risolvere molte delle sfide sociali contenute negli OSS. Come ha ricordato il Parlamento europeo, «la maggior parte dei problemi sociali dovrebbe essere affrontata con soluzioni locali, operando su situazioni e problemi concreti» (20). Occorre mettere in evidenza il compito svolto dalla task force delle Nazioni Unite in materia di economia sociale e solidale (UN-TFSSE) per quanto concerne la promozione dell’economia sociale e solidale a livello mondiale, nonché le iniziative di Cooperatives Europe e il progetto ACI-UE sullo sviluppo internazionale attraverso le cooperative.

6.10.

Essendo profondamente radicate nelle comunità locali e avendo come obiettivi prioritari la soddisfazione dei bisogni delle persone, queste imprese non delocalizzano l’attività, contrastando efficacemente lo spopolamento delle zone rurali e contribuendo allo sviluppo delle regioni e dei comuni più svantaggiati (21). Spiccano, a questo livello, i lavori del Forum mondiale dell’economia sociale (GSEF) che terrà la sua prossima riunione nell’UE (Bilbao, 2018).

6.11.

In tal modo, il modello imprenditoriale dell’economia sociale:

crea ricchezza nelle zone rurali e in quelle depresse mettendo in moto e appoggiando iniziative imprenditoriali economicamente vitali e sostenibili nel medio e lungo termine,

promuove e sostiene le capacità in materia di imprenditorialità, formazione e gestione imprenditoriale di gruppi in situazione di esclusione sociale e per la popolazione generale, istituendo piattaforme di concertazione a livello nazionale,

crea strumenti di finanziamento attraverso la costituzione di cooperative di credito o microcredito allo scopo di assicurare l’accesso ai finanziamenti,

garantisce le condizioni di vita di gruppi vulnerabili attraverso un migliore accesso a prodotti alimentari e a servizi sociali basilari, come la sanità, l’istruzione, l’alloggio o l’acqua potabile,

facilita la riduzione del lavoro sommerso stimolando iniziative di imprenditoria collettiva ai fini della quale le cooperative rappresentano uno strumento eccellente e

contribuisce a una crescita economica sostenibile, riducendo al tempo stesso gli impatti negativi sull’ambiente.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Regolamento (UE) n. 234/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2014.

(2)  COM(2015) 614 final, 2.12.2015.

(3)  Parere esplorativo del CESE sul tema Costruire un ecosistema finanziario per le imprese sociali (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 152).

(4)  Parere d’iniziativa del CESE sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58).

(5)  Parere d’iniziativa del CESE sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58).

(6)  Principi e valori basati sui principi cooperativi fissati dall’Alleanza cooperativa internazionale (ACI) (Manchester, 1995).

(7)  Tra questi, il parere d’iniziativa del CESE sul tema Diversità delle forme d’impresa (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22).

(8)  Relazione Monzón-Chaves del CIRIEC (2012).

(9)  Documento di lavoro 2011 sul tema L’economia sociale e solidale: il nostro percorso verso un lavoro dignitoso.

(10)  Comunicazione della Commissione del 14.9.2016 [COM(2016) 581 final)]

(11)  JOIN(2017) 17 final, 4.5.2017 (Un nuovo impulso al partenariato Africa — UE).

(12)  COM(2015) 614 final, 2.12.2015.

(13)  Regolamento (UE) n. 234/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2014.

(14)  Parere esplorativo del CESE sul tema Costruire un ecosistema finanziario per le imprese sociali (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 152).

(15)  (ACI-OIL).

(16)  B. Fonteneau e P. Develtere, African Responses to the Crisis through the Social Economy («Le risposte africane alla crisi attraverso l’economia sociale»).

(17)  (ACI-OIL).

(18)  Idem.

(19)  Idem.

(20)  Relazione del Parlamento europeo sull’economia sociale [2008/2250(INI)].

(21)  COM(2004) 18 final, punto 4.3 (Promozione delle società cooperative in Europa).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

527a sessione plenaria del CESE dei giorni 5 e 6 luglio 2017

13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2010/40/UE per quanto riguarda il periodo per l’adozione di atti delegati»

[COM(2017) 136 final – 2017/0060 (COD)]

(2017/C 345/10)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Consultazione

Parlamento europeo, 3.4.2017

Consiglio, 31.3.2017

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

7.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

124/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) prende atto della proposta della Commissione.

1.2.

Il CESE concorda in linea di principio con la proposta e si compiace del fatto che la Commissione abbia ritenuto adeguata la proroga della delega per un periodo determinato, rinnovabile, salvo opposizione del Consiglio e del Parlamento, come il CESE ha sempre auspicato.

2.   Obiettivo della proposta

2.1.

La direttiva 2010/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010 (1), sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto (2) prevede l’adozione, mediante atti delegati, di specifiche in vista di azioni da realizzare in quattro ambiti prioritari.

2.2.

La direttiva ha conferito alla Commissione il potere di adottare tali atti delegati soltanto per un periodo limitato, fino al 27 agosto 2017. Dall’entrata in vigore della direttiva sono stati adottati quattro atti delegati; un quinto atto delegato riguarda la predisposizione in tutto il territorio dell’UE di servizi di informazione sulla mobilità multimodale.

2.3.

Nel contesto della strategia europea per i sistemi di trasporto intelligenti cooperativi (C-ITS) (3), la Commissione sta attualmente collaborando con gli esperti degli Stati membri per istituire un quadro giuridico e tecnico a sostegno della diffusione di tali sistemi di trasporto. Oltre a tali lavori, devono essere ancora intraprese diverse azioni nei quattro settori prioritari (4) della direttiva, quali specifiche e norme per la continuità e l’interoperabilità dei servizi di gestione del traffico e del trasporto merci (settore prioritario II), specifiche per altre azioni concernenti le applicazioni ITS per la sicurezza stradale (settore prioritario III) e la definizione delle misure necessarie per integrare diverse applicazioni ITS in una piattaforma di bordo aperta (settore prioritario IV).

2.4.

La Commissione, per poter adottare ulteriori specifiche mediante atti delegati, ritiene essenziale che la delega di potere sia prorogata. Inoltre le specifiche che sono già state approvate possono aver bisogno di un aggiornamento che rifletta il progresso tecnologico o gli insegnamenti tratti dalla loro attuazione negli Stati membri.

2.5.

La Commissione propone pertanto di prorogare la delega di potere di cinque anni a decorrere dal 27 agosto 2017 e di prorogarla tacitamente per ulteriori periodi di cinque anni a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non si oppongano a tale proroga. La proposta in esame ha il solo obiettivo di prorogare la delega di potere alla Commissione di adottare atti delegati, per un nuovo periodo di cinque anni, tacitamente rinnovabile per ulteriori periodi di cinque anni, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non si oppongano a tale proroga, senza modificare gli obiettivi strategici o l’ambito di applicazione della direttiva ITS.

3.   Contesto

3.1.

La proposta della Commissione si inserisce nel quadro più generale della sua proposta di regolamento [COM(2016) 799 final] che adatta agli articoli 290 e 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea una serie di atti giuridici che prevedono il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo (PRCC) e in merito alla quale il CESE ha già espresso il suo parere (5). In effetti, man mano che i termini previsti per l’adozione degli atti delegati nei vari strumenti legislativi in vigore giungono a scadenza, occorre valutare la necessità di prorogare le scadenze iniziali.

3.2.

La Commissione riferisce in merito agli studi che ha realizzato per evidenziare la necessità di estendere (oltre l’agosto 2017) la delega di potere che le permette di adottare atti delegati in materia di specifiche relative ai sistemi di trasporti intelligenti, in particolare:

a)

nell’ottobre 2014, una relazione sull’attuazione della direttiva ITS (6);

b)

consultazioni mirate recentemente effettuate con gruppi di portatori di interesse, in particolare il comitato europeo sugli ITS e i membri del gruppo consultivo europeo sugli ITS.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE richiama l’attenzione sulle sue relazioni informative e sui pareri sugli atti delegati (7), che hanno formato oggetto di una sintesi nel suo recente parere sulla procedura di regolamentazione con controllo (8) e ricorda i punti principali della sua posizione.

4.2.

Il CESE ritiene che le deleghe di potere debbano essere definite in tutti i loro elementi, ossia avere:

a)

obiettivi ben individuati,

b)

un contenuto preciso,

c)

una portata chiara,

d)

un termine rigoroso, ossia una durata determinata.

4.3.

Per quanto riguarda in particolare la durata, il CESE si è sempre pronunciato a favore del principio di un termine preciso, eventualmente rinnovabile per un identico periodo di tempo, salvo in casi eccezionali debitamente giustificati.

4.4.

Il CESE constata che nella proposta in esame la Commissione ha per l’appunto previsto un periodo aggiuntivo di cinque anni a decorrere dal 27 agosto 2017, che potrà essere successivamente prorogato tacitamente per ulteriori periodi di cinque anni, a meno che il Parlamento europeo o il Consiglio non si oppongano a tale proroga.

4.5.

Il CESE ritiene che questa proposta sia in grado di conciliare la certezza giuridica con la flessibilità che consente di tener conto degli sviluppi tecnologici e di adottare a tempo debito le specifiche tecniche, funzionali e organizzative necessarie per il corretto funzionamento degli ITS nel settore del trasporto stradale, e meriti quindi il suo consenso.

4.6.

Il CESE ritiene altresì che la proroga della delega di potere alla Commissione sia indispensabile per la diffusione integrata e coordinata nelll’UE di ITS interoperabili nel settore del trasporto stradale e delle loro interfacce con altri modi di trasporto, specialmente in seguiro alla comunicazione COM(2016) 766 final (9).

4.7.

Occorrerà tuttavia che durante i lavori preparatori la Commissione svolga adeguate consultazioni, anche a livello di esperti, e che tali consultazioni siano condotte nel rispetto dei principi stabiliti nell’accordo interistituzionale Legiferare meglio del 13 aprile 2016. In particolare, al fine di garantire pari opportunità di partecipazione alla preparazione degli atti delegati, il Parlamento europeo e il Consiglio devono ricevere tutti i documenti contemporaneamente agli esperti degli Stati membri, e questi ultimi devono avere sistematicamente accesso alle riunioni dei gruppi di esperti della Commissione incaricati della preparazione di tali atti delegati.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU L 207 del 6.8.2010, pag. 1; GU C 277 del 17.11.2009, pag. 85.

(2)  GU L 207 del 6.8.2010, pag. 1.

(3)  Una strategia europea per i sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, prima tappa verso una mobilità cooperativa, connessa e automatizzata [COM(2016) 766 final].

(4)  Cfr. allegato I della direttiva.

(5)  INT/813 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(6)  http://ec.europa.eu/transport/themes/its/road/action_plan/its_reports_en.htm.

(7)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 145; GU C 67 del 6.3.2014, pag. 104; INT/656 (relazione informativa).

(8)  INT/813 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(9)  Una strategia europea per i sistemi di trasporto intelligenti cooperativi, prima tappa verso una mobilità cooperativa, connessa e automatizzata, 30.11.2016. Parere del CESE TEN/621, (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno»

[COM(2017) 142 final – 2017/0063 (COD)]

(2017/C 345/11)

Relatore:

Juan MENDOZA CASTRO

Consultazione

Parlamento europeo, 26.4.2017

Consiglio, 27.3.2017

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

130/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, che considera essenziale per l’efficace applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003.

1.2.

Anche se sussistono delle differenze, l’armonizzazione volontaria ha prodotto una convergenza significativa, che ha come riferimento le norme dell’UE, tra i regimi esistenti nei vari Stati membri.

1.3.

Il sistema di avvio dei procedimenti (case allocation) nell’ambito della Rete europea della concorrenza (ECN) deve evitare i possibili doppioni negli interventi nei diversi Stati membri.

1.4.

Il CESE propone di considerare in futuro l’opportunità di disciplinare i contenuti inerenti al diritto civile ed amministrativo mediante un regolamento.

1.5.

La politica di concorrenza deve garantire le pari opportunità. Il CESE sottolinea come sia importante che le autorità nazionali garanti della concorrenza dispongano dei mezzi e degli strumenti legali per lottare contro i cartelli segreti e sottolinea i gravi danni causati dagli abusi di posizione dominante.

1.6.

Il rispetto dei diritti fondamentali degli indagati deve essere compatibile con la piena applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE.

1.7.

Il CESE esprime preoccupazione per le gravi carenze riguardanti l’indipendenza e le risorse delle autorità nazionali garanti della concorrenza che si riscontrano in molti Stati membri. È essenziale che le autorità nazionali garanti della concorrenza godano di una reale indipendenza dalle autorità, ragion per cui le alte cariche direttive devono essere esperti indipendenti di comprovata esperienza professionale. Il personale, dal canto suo, deve possedere stabilità e un’adeguata formazione professionale

1.8.

I danni causati dai comportamenti anticoncorrenziali sono, in molti casi, difficili, o addirittura impossibili, da riparare e, per tale ragione, il CESE raccomanda che i poteri conferiti alle autorità nazionali garanti della concorrenza si applichino anche per interventi di prevenzione.

1.9.

Il CESE ha già affermato che l’importo delle sanzioni dovrebbe essere dissuasivo e dovrebbe essere incrementato in caso di recidiva e concorda sul fatto che la capacità sanzionatoria delle autorità preposte all’applicazione delle regole sia un elemento centrale della politica di concorrenza.

1.10.

L’esperienza acquisita dalla Commissione, che applica abitualmente misure di trattamento favorevole, può essere considerata positiva e l’applicazione uniforme di tali misure da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza è importante perché vi sia un vero diritto europeo della concorrenza. Tuttavia, il trattamento favorevole non deve impedire alle parti lese (compresi i consumatori) di ottenere, mediante azioni collettive, il risarcimento dei danni subiti.

1.11.

Il carattere transnazionale delle azioni delle autorità nazionali garanti della concorrenza rende indispensabile l’assistenza reciproca tra di loro.

1.12.

Nel recepire la presente direttiva, la sospensione della prescrizione deve rispettare le norme generali in materia di prescrizione vigenti negli Stati membri.

1.13.

È opportuno riconoscere alle autorità nazionali garanti della concorrenza il potere di proporre un ricorso a proprio nome, in quanto l’assenza di tale facoltà costituisce un ostacolo alla loro efficacia in alcuni Stati membri.

1.14.

Il CESE sottolinea l’importanza di garantire che le autorità nazionali garanti della concorrenza possano utilizzare tutti i tipi di prove a prescindere dal supporto sul quale queste ultime sono conservate.

1.15.

Sono necessarie campagne di informazione in considerazione del fatto che la maggior parte dei cittadini non conosce le regole di concorrenza.

2.   La proposta della Commissione

2.1.

Gli Stati membri dell’UE sono partner essenziali della Commissione europea per l’applicazione delle norme dell’UE in materia di concorrenza. Dal 2004 il regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio conferisce alle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri dell’UE il potere di applicare le norme dell’UE in materia di concorrenza insieme alla Commissione. Per più di un decennio sia la Commissione che le autorità nazionali garanti della concorrenza hanno applicato le norme di concorrenza dell’UE collaborando strettamente nell’ambito della rete europea della concorrenza (European Competition Network, «ECN»), appositamente istituita per questo scopo nel 2004.

2.2.

L’applicazione delle norme dell’UE in materia di concorrenza da parte della Commissione e delle autorità nazionali garanti della concorrenza costituisce un elemento fondamentale per la creazione di un mercato interno aperto, competitivo e innovativo ed è cruciale per generare crescita e posti di lavoro in settori importanti dell’economia, come l’energia, le telecomunicazioni, il settore digitale e i trasporti.

2.3.

Le regole in materia di concorrenza dell’UE sono uno dei lineamenti distintivi del mercato interno: se la concorrenza è falsata, il mercato interno non può sfruttare tutto il suo potenziale, né creare le giuste condizioni per una crescita economica sostenuta. Un elemento fondamentale per approfondire e rendere più equo il mercato interno è la garanzia che le regole che lo governano siano applicate in modo efficace, così da permettere ai cittadini di beneficiarne.

2.4.

L’applicazione delle regole dell’UE in materia di concorrenza avviene ormai su una scala che la Commissione non avrebbe mai potuto raggiungere da sola. Di solito la Commissione indaga quando gli accordi o le pratiche anticoncorrenziali incidono sulla concorrenza in almeno tre Stati membri oppure quando l’indagine è utile per stabilire un precedente a livello europeo. Le autorità nazionali garanti della concorrenza sono abitualmente quelle idonee ad agire quando la concorrenza è significativamente pregiudicata nel loro territorio, dato che esse conoscono come i mercati nel loro Stato membro funzionano e tale conoscenza è molto utile quando si tratta di far rispettare le regole di concorrenza.

2.5.

Le possibilità di un’applicazione più efficace delle norme dell’UE in materia di concorrenza da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza non sono ancora state pienamente sfruttate. Il regolamento (CE) n. 1/2003 non ha affrontato la questione dei mezzi e degli strumenti di cui possono avvalersi le autorità nazionali garanti della concorrenza per applicare le regole dell’UE in materia di concorrenza e sono molte le autorità che non dispongono di tutti i mezzi e di tutti gli strumenti necessari per applicare efficacemente gli articoli 101 e 102 del TFUE.

2.6.

Le carenze e i limiti in termini di strumenti e di garanzie delle autorità nazionali garanti della concorrenza comportano che le imprese che adottano pratiche anticoncorrenziali possono trovarsi dinanzi ad esiti dei procedimenti molto diversi a seconda dello Stato membro in cui operino; è possibile che non si applichino loro le regole contemplate negli articoli 101 e 102 del TFUE o che la loro applicazione non sia efficace, per esempio, perché non si possono raccogliere le prove delle pratiche anticoncorrenziali o perché le imprese possono sottrarsi alla loro responsabilità nel caso di ammenda. L’applicazione non uniforme delle regole dell’UE in materia di concorrenza distorce la concorrenza nel mercato interno e mina il sistema di applicazione decentrata istituito dal regolamento (CE) n. 1/2003.

2.7.

La Commissione ritiene pertanto necessaria una proposta legislativa che abbia un doppio obiettivo strategico:

usando come base giuridica l’articolo 103 del TFUE, s’intende conferire alle autorità nazionali garanti della concorrenza poteri tali che esse possano mettere in opera con maggiore efficacia i principi di concorrenza dell’UE, concedendo loro le necessarie garanzie di indipendenza, risorse e competenze,

avendo come base giuridica l’articolo 114 del TFUE, si propone di rafforzare il mercato interno eliminando le barriere nazionali che impediscono alle autorità nazionali garanti della concorrenza di applicare le regole in modo efficace, al fine di evitare distorsioni della concorrenza e di conseguire un’applicazione più omogenea delle regole, a beneficio dei consumatori e delle imprese.

2.8.

Inoltre, mettendo in grado le autorità nazionali garanti della concorrenza di prestarsi efficacemente assistenza reciproca, si garantiranno condizioni di concorrenza più eque e si salvaguarderà la stretta cooperazione nell’ambito dell’ECN.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, che considera una misura essenziale per l’efficace applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003. L’istituzione di un regime europeo della concorrenza richiede l’eliminazione degli ostacoli e delle lacune attualmente esistenti in alcuni Stati membri per consentire la piena applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE.

3.2.

Il decentramento dell’applicazione delle norme in materia di concorrenza risultante dal regolamento (CE) n. 1/2003 non ha portato, come si temeva, a una frammentazione dei poteri di esecuzione della politica di concorrenza. Anche se le differenze permangono, grazie all’armonizzazione volontaria, il cui riferimento sono le norme dell’UE, tra i regimi dei diversi Stati membri si è realizzata una convergenza significativa (1).

3.3.

Il CESE sottolinea che l’esistenza di competenze parallele, quelle dell’UE e quelle degli Stati membri renderà necessario, in certi casi, uno sforzo di adeguamento delle legislazioni e delle istituzioni nazionali. Il sistema di avvio dei procedimenti (case allocation) nell’ambito della Rete europea della concorrenza (ECN) deve evitare i possibili doppioni negli interventi nei diversi Stati membri.

3.4.

La Commissione ritiene che una direttiva sia lo strumento appropriato, in quanto consente «di tenere conto delle tradizioni giuridiche e delle specificità istituzionali degli Stati membri». Tuttavia, al fine di garantire un’applicazione uniforme e coerente delle regole da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza, in particolare per quanto riguarda il catalogo delle sanzioni (capo V) e l’immunità dalle ammende e la riduzione delle ammende (capo VI), è necessario superare le enormi diversità esistenti. Il CESE propone pertanto che in futuro si contempli di disciplinare i contenuti inerenti al diritto civile e amministrativo mediante un regolamento, mentre gli Stati membri manterrebbero piena autonomia per quanto concerne il diritto penale.

3.5.

La politica di concorrenza deve garantire le pari opportunità. Il CESE sottolinea l’importanza di garantire che le autorità nazionali garanti della concorrenza dispongano dei mezzi e degli strumenti legali per lottare contro i cartelli segreti (quali definiti all’articolo 2, punto 9, della proposta) e sottolinea altresì i gravi danni che gli abusi di posizione dominante, solitamente opera di grandi imprese o di associazioni di grandi imprese, causano ad altre imprese (in particolare PMI), ai consumatori e agli utenti.

3.6.

Gli Stati membri devono prendere in considerazione la possibilità di realizzare campagne di informazione in considerazione della scarsa conoscenza delle norme sulla concorrenza da parte della maggior parte delle persone.

4.   Osservazioni particolari

4.1.    Diritti fondamentali

4.1.1.

La proposta della Commissione fa riferimento ai principi generali del diritto dell’Unione e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2); tale garanzia comprende il rispetto dei diritti di difesa delle imprese, della libertà d’impresa, del diritto di proprietà, del diritto ad una buona amministrazione e a un ricorso effettivo (articoli 16, 17, 41 e 47 della Carta).

4.1.2.

Il CESE ricorda che il riconoscimento degli ampi poteri cdi cui devono disporre le autorità nazionali garanti della concorrenza per esercitare le loro funzioni implica l’istituzione di salvaguardie e di garanzie per i diritti delle persone oggetto di indagine e deve essere compatibile con la piena attuazione degli articoli 101 e 102 del TFUE. Le autorità nazionali garanti della concorrenza e, eventualmente, i giudici nazionali dovranno garantire l’applicazione delle suddette garanzie. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), la presunzione d’innocenza costituisce un principio generale del diritto dell’Unione (articolo 48, paragrafo 1, della Carta), che gli Stati membri sono tenuti a osservare in sede di applicazione del diritto della concorrenza (3). Da parte sua, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato l’applicazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto a un equo processo) (4) e si è pronunciato sulla legittimità della Commissione (5) e sul principio del «ne bis in idem» (6) nei procedimenti riguardanti il diritto della concorrenza.

4.2.    Indipendenza e risorse

4.2.1.

La garanzia d’indipendenza implica che i poteri vengano esercitati «in modo imparziale e nell’interesse di un’applicazione efficace e uniforme» delle disposizioni (articolo 4, paragrafo 1).

4.2.2.

Gli Stati membri devono garantire che il personale e i membri dell’organo decisionale delle autorità nazionali garanti della concorrenza possano svolgere i loro compiti (articolo 4, paragrafo 2):

in modo indipendente da ingerenze esterne, politiche e di altro tipo,

senza sollecitare né accettare istruzioni da alcun governo o da altri soggetti pubblici o privati,

astenendosi da qualsiasi azione incompatibile con lo svolgimento dei loro compiti,

e garantire che:

possano essere sollevati dall’incarico solamente se non soddisfano più le condizioni richieste per lo svolgimento dei loro compiti o hanno commesso gravi illeciti ai sensi del diritto nazionale,

i motivi di tale rimozione siano fissati preventivamente nel diritto nazionale;

tale rimozione non possa aver luogo per motivi connessi al corretto svolgimento dei loro compiti o all’esercizio dei loro poteri;

4.2.3.

Il CESE esprime preoccupazione per le gravi carenze riguardanti questo aspetto che, secondo la Commissione si riscontrano attualmente in molti Stati membri. Risorse umane, finanziarie e tecniche adeguate (articolo 5), sono fondamentali per permettere alle autorità nazionali garanti della concorrenza di svolgere i loro compiti. L’indipendenza implica un’autonomia sostanziale nel quadro della struttura dello Stato (7) che non esclude:

il controllo giudiziario,

l’informazione del parlamento,

le relazioni periodiche di attività,

il monitoraggio delle dotazioni di bilancio.

4.2.4.

Il CESE ritiene essenziale che le autorità nazionali garanti della concorrenza godano di una reale indipendenza dalle autorità. A tal fine, le cariche direttive delle autorità nazionali garanti della concorrenza devono essere esperti indipendenti con comprovata esperienza. Il personale, dal canto suo, deve possedere stabilità e un’adeguata formazione professionale

4.3.    Poteri

4.3.1.

I poteri di cui le autorità nazionali garanti della concorrenza devono godere (articoli da 6 a 11) comprendono:

il potere di svolgere accertamenti a sorpresa con e senza autorizzazione di un’autorità giudiziaria, a seconda delle disposizioni di legge vigenti nello Stato membro: ciò implica, come minimo l’accesso ai «locali, terreni e mezzi di trasporto delle imprese»; il controllo dei libri e di qualsiasi altro documento; l’effettuazione o l’ottenimento di copie sotto qualsiasi forma, l’apposizione di «sigilli a tutti i locali, libri e documenti» e la richiesta di spiegazioni. Se un’impresa si oppone a un accertamento amministrativo o giudiziale, «le autorità nazionali garanti della concorrenza possono ottenere l’assistenza necessaria per l’esecuzione dell’accertamento ricorrendo alla forza pubblica o a un’autorità equivalente incaricata dell’applicazione della legge. Tale assistenza può anche essere richiesta in via preventiva».

Il potere di effettuare accertamenti in altri locali a sorpresa con autorizzazione di un’autorità giudiziaria: tale potere sarà concesso se vi sono «motivi ragionevoli di sospettare» che esistano elementi che possono essere pertinenti per provare un’infrazione grave all’articolo 101 o all’articolo 102 del TFUE.

La richiesta di informazioni.

La constatazione e la cessazione delle infrazioni.

L’imposizione di misure cautelari: le autorità nazionali garanti della concorrenza applicano tali misure «nei casi di urgenza dovuta al rischio di danno grave e irreparabile per la concorrenza e ove constatino prima facie la sussistenza di una violazione». La misura è applicabile per un determinato periodo di tempo prestabilito e può essere rinnovata.

Il potere di rendere obbligatori gli impegni offerti dalle imprese.

4.3.2.

I danni causati dai comportamenti anticoncorrenziali sono, in molti casi, difficili, o addirittura impossibili, da riparare e, per tale ragione, il CESE raccomanda che i poteri conferiti alle autorità nazionali garanti della concorrenza si applichino anche per interventi di prevenzione.

4.4.    Ammende e penalità di mora

4.4.1.

Le ammende per infrazione«efficaci, proporzionate e dissuasive» possono applicarsi quando, «intenzionalmente o per negligenza», si realizzano determinati comportamenti: rifiuto di sottoporsi a un accertamento, rottura dei sigilli, risposte inesatte, o fuorvianti, informazioni inesatte o mancato rispetto di misure cautelari. Le penalità di mora comprendono casi di omissione, come, tra l’altro, il rifiuto di sottoporsi ad accertamenti (articoli 12 e 15).

4.4.2.

Secondo il criterio abituale del regime sanzionatorio, gli Stati membri nel quadro della determinazione delle ammende terranno conto, «sia della gravità che della durata dell’infrazione» e assicureranno che l’importo massimo delle ammende inflitte a un’impresa o a un’associazione di imprese» sia fissato a un livello non inferiore al 10 % del suo fatturato mondiale totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente la decisione» (articoli 13, paragrafo1, e 14). Sono previste diverse ipotesi di responsabilità per il pagamento in caso di associazioni di imprese (13, paragrafo 2).

4.4.3.

Occorre notare che l’estensione della responsabilità per il pagamento delle ammende in solido a tutti i membri di associazioni o gruppi di imprese (articolo 13, paragrafo 2) rimedia a una lacuna nell’attuale legislazione (8).

4.4.4.

Il campo di applicazione della proposta comprende esclusivamente le imprese cui possano essere irrogate sanzioni amministrative. I comportamenti che possano eventualmente costituire reato sono di competenza degli Stati membri. La Corte di giustizia dell’UE si è già pronunciata sulla compatibilità di sanzioni amministrative e penali (9).

4.4.5.

Il CESE, che ha affermato che l’importo delle sanzioni deve essere dissuasivo e deve essere incrementato in caso di recidiva (10), concorda sul fatto che la capacità sanzionatoria delle autorità preposte all’esecuzione sia un elemento centrale della politica di concorrenza. Esprime, inoltre, preoccupazione, per il fatto che il diritto in materia di concorrenza non sia attualmente applicato in modo completo, a causa della grande disparità nelle leggi e nelle strutture delle autorità nazionali garanti della concorrenza.

4.5.    Immunità dalle ammende o riduzione delle ammende (trattamento favorevole)

4.5.1.

Si conferisce agli Stati membri il potere di stabilire le cause e i procedimenti per l’immunità dalle ammende o per la riduzione delle ammende, ma all’interno di un quadro definito in dettaglio e comprendente:

le condizioni da soddisfare per l’immunità (articolo 16) e la riduzione (articolo 17),

le condizioni per l’applicazione di dette misure (articolo 18),

la forma delle domanda di trattamento favorevole (articolo 19),

il marker per la domanda formale di immunità (articolo 20),

le domande semplificate quando esse vengono presentate alla Commissione e a un’autorità nazionale garante della concorrenza (articolo 21),

garanzie per i richiedenti l’immunità (articolo 22).

4.5.2.

La motivazione della proposta sta nel fatto che essendo l’immunità dalle ammende e la loro riduzione fondamentali per scoprire i cartelli segreti, le notevoli differenze esistenti fra le legislazioni nazionali e la loro effettiva applicazione crea incertezza giuridica e indebolisce gli incentivi a beneficiarne e porta all’inefficacia della politica di concorrenza dell’UE. Inoltre, si ritiene che gli Stati membri non applichino i principi del programma modello dell’ECN (11), i cui elementi fondamentali saranno incorporati nel nuovo regolamento.

4.5.3.

Per il CESE, l’applicazione uniforme delle misure di trattamento favorevole da parte delle autorità nazionali garanti della concorrenza è importante perché vi sia un reale diritto europeo sulla concorrenza e l’esperienza della Commissione, che generalmente applica questo tipo di misure (12), può essere considerata positiva. Tuttavia, il trattamento favorevole non deve impedire alle parti lese (compresi i consumatori) di ottenere, mediante azioni collettive, il risarcimento dei danni subiti.

4.6.    Assistenza reciproca

4.6.1.

La cooperazione tra le autorità nazionali garanti della concorrenza esige, in considerazione dei nuovi poteri loro conferiti dalla proposta in esame, l’assistenza e l’aiuto nei procedimenti di accertamento (articolo 23), fatto che impone agli Stati membri di garantire le notifiche di addebiti preliminari (articolo 24) e di dare esecuzione alle richieste per l’esecuzione delle decisioni (articolo 25). Le competenze in materia di controversie sono delimitate (articolo 26).

4.6.2.

Il CESE ritiene necessaria l’imposizione di tali obblighi, data la natura transnazionale della politica di concorrenza.

4.7.    Sospensione dei termini di prescrizione in materia di imposizione di sanzioni

4.7.1.

La proposta della Commissione prevede due casi specifici di sospensione dei suddetti termini: «per la durata dei procedimenti dinanzi alle autorità nazionali garanti della concorrenza di altri Stati membri o alla Commissione per un’infrazione riguardante lo stesso accordo, la stessa decisione di un’associazione di imprese o la stessa pratica concordata» (articolo 27, paragrafo 1) e nel caso sia in corso un procedimento giudiziario (articolo 27, paragrafo 2).

4.7.2.

Il CESE osserva che, nel recepire la presente direttiva si deve affrontare la possibile contraddizione con gli ordinamenti che prevedano anch’essi casi di interruzione dei termini di prescrizione nei casi di azioni giudiziarie.

4.8.    Potere delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri ad agire in giudizio in nome e per conto proprio

4.8.1.

Secondo la proposta, le autorità nazionali garanti della concorrenza devono avere capacità processuale per impugnare direttamente i ricorsi dinanzi all’autorità giudiziaria e devono essere legittimate in nome e per conto proprio a partecipare come parte ricorrente o convenuta nei procedimenti giudiziari, con i medesimi diritti delle altre parti (articolo 28).

4.8.2.

Il CESE ritiene che attualmente la mancanza di tale potere complichi l’azione delle autorità nazionali garanti della concorrenza in alcuni Stati membri (13), ragion per cui è indispensabile conferire tale potere alle suddette autorità affinché esse possano soddisfare le esigenze poste loro dalla politica di concorrenza dell’UE.

4.9.    Ammissibilità delle prove dinanzi alle autorità nazionali garanti della concorrenza  (14)

4.9.1.

Il CESE sottolinea l’importanza della possibilità concessa agli Stati membri di utilizzare come prova «i documenti, le dichiarazioni verbali, le registrazioni e tutti gli altri oggetti contenenti informazioni, indipendentemente dal supporto sul quale le informazioni sono conservate» (articolo 30).

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  «An academic View on the Role and Powers of National Competition Authorities» (Un punto di vista accademico sul ruolo e i poteri delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri), Parlamento europeo, 2016.

(2)  Sentenza Karlsson et al., causa C-292/97, punto 37.

(3)  Sentenze delle cause Eturas (C-74/14, punto 38), E.ON Energie/Commissione (C-89/11 P, punto 72) e VEBIC (C-439/08, EU:, punto 63).

(4)  Causa Menarini Diagnostics S.R.L./Italia.

(5)  Causa C-12/03 P, Commissione/Tetra Laval (2005).

(6)  Causa Menarini Diagnostics S.R.L./Italia.

(7)  «Independence and accountability of competition authorities» (Indipendenza e responsabilità delle autorità garanti della concorrenza), Unctad 2008.

(8)  Sentenza nella causa, AkzoNobel NV/Commissione, C-97/08 P, punti 45 e 77.

(9)  Sentenza del 26.2.2013, causa C-617/10, Åkerberg Fransson.

(10)  Parere sul tema Relazione sulla politica di concorrenza 2014 (GU C 71 del 24.2.2016, pag. 33).

(11)  Comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese,(GU C 298 dell'8.12.2006, pag. 17).

(12)  Cfr. «Cartel leniency in EU: overview» (Rassegna del trattamento favorevole nel caso dei cartelli nell’UE), Thompson Reuters. Esempi di riduzioni e di cancellazioni di ammende applicate dalla Commissione: Riberebro 50 % (GU C 298 dell’8.12.2006, pag. 17); Hitachi e altri 30 %; Philips, cancellazione; Hitachi 50 %; Schenker e altri 55 %-40 %; DHL, immunità (C-428/14, DHL/AGCM); Eberspächer 45 % e Webasto, immunità.

(13)  Nella sua risposta al questionario della Commissione, l’autorità garante della concorrenza della Germania («Bundeskartellamt») ha citato tale carenza come una delle cause di un regime «altamente disfunzionale».

(14)  Limiti all’uso delle informazioni (articolo 29, paragrafo 1). La Commissione comunica la possibile revisione della redazione dell’articolo.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla scambio transfrontaliero tra l’Unione e i paesi terzi di copie in formato accessibile di determinate opere e altro materiale protetto da diritto d’autore e da diritti connessi, a beneficio delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa»

[COM(2016) 595 final — 2016/0279 (COD)]

(2017/C 345/12)

Relatore:TBL

Pedro ALMEIDA FREIRE

Consultazione

Consiglio, 5.4.2017

Parlamento europeo, 28.6.2017

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

 

 

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

215/3/8

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il compromesso proposto dalla presidenza che rende possibile una rapida ratifica del trattato di Marrakech (1).

1.2.

Il Comitato auspica che l’UE dia rapida attuazione a tale trattato, che è importante e necessario per permettere a molti cittadini europei non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa di avere accesso a un maggior numero di opere pubblicate in formati accessibili, aprendo così a tali cittadini la porta della cultura, dell’istruzione e dell’occupazione e quindi garantendo loro un’effettiva inclusione sociale.

1.3.

Il Comitato sostiene dunque il regolamento (2) e la direttiva proposti (3) per dare esecuzione al trattato di Marrakech, in quanto essi disporranno un’eccezione obbligatoria volta a far sì che copie di tali opere in formati accessibili siano prodotte e scambiate sia all’interno del mercato unico che al di fuori dell’UE.

1.4.

Il Comitato, inoltre, condivide l’obiettivo di permettere lo scambio transfrontaliero di tali copie tra l’UE e i paesi terzi che siano parti del trattato di Marrakech.

1.5.

Entro un periodo di tempo ragionevole, occorrerebbe procedere a una valutazione dell’attuazione di tale trattato nell’Unione europea.

2.   Proposte della presidenza e della Commissione

2.1.

La proposta di regolamento in esame è stata adottata dalla Commissione il 14 settembre 2016, nel quadro del pacchetto sul diritto d’autore (4) che propone un insieme di misure legislative dal quadruplice obiettivo:

garantire un accesso più ampio ai contenuti all’interno dell’UE e raggiungere nuovo pubblico,

adattare determinate eccezioni al contesto digitale e transfrontaliero,

favorire un mercato per il diritto d’autore equo e ben funzionante,

migliorare l’accesso delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa alle opere o ad altro materiale protetto da tale diritto.

2.2.

Attraverso tale regolamento, la Commissione propone disposizioni atte a dare esecuzione al trattato di Marrakech, volto a facilitare l’accesso alle opere pubblicate alle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa.

2.3.

Il trattato di Marrakech è infatti stato adottato nel 2013 dall’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale al fine di facilitare la disponibilità e lo scambio transfrontaliero di libri e altro materiale stampato in formati accessibili in tutto il mondo; e nell’aprile 2014 esso è stato firmato dall’Unione europea (5).

2.4.

Le disposizioni proposte sono importanti per garantire che, in linea con la convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD) (6), il diritto d’autore non ostacoli in modo irragionevole o discriminatorio la piena partecipazione di tutti i cittadini alla società ed esse consentiranno lo scambio di copie in formato accessibile alle suddette persone sia all’interno dell’UE che con i paesi terzi che siano parti di tale trattato, evitando di duplicare gli interventi e di sprecare risorse.

2.5.

Il processo di ratifica, tuttavia, ha dovuto confrontarsi con una questione di natura giuridica riguardante la competenza esclusiva dell’UE di ratificare il trattato.

2.6.

Per tale motivo, nel luglio 2015 la Commissione ha deciso di chiedere il parere della Corte di giustizia dell’Unione europea.

2.7.

In attesa di tale responso, la Commissione ha adottato la proposta COM(2016) 595 final utilizzando come base giuridica l’articolo 207 del TFUE, che non prevede la consultazione obbligatoria del CESE.

2.8.

Il 14 febbraio 2017 la Corte di giustizia ha confermato la competenza esclusiva dell’UE, ma ha statuito altresì che il trattato di Marrakech non rientra nell’ambito della politica commerciale comune (7).

2.9.

Pertanto, nella riunione del 22 marzo il Comitato dei Rappresentanti permanenti ha approvato una proposta di compromesso della presidenza in cui è stato deciso di modificare la base giuridica dall’articolo 207 (politica commerciale comune) all’articolo 114 del TFUE. Di conseguenza, la consultazione del CESE da parte del Consiglio è adesso obbligatoria.

3.   Osservazioni generali

3.1.    In merito alla base giuridica

3.1.1.

Alla luce del recente parere della Corte di giustizia, il CESE non può che approvare il compromesso proposto dalla presidenza che rende possibile una rapida ratifica del trattato di Marrakech.

3.1.2.

Inoltre, la modifica della base giuridica rende la consultazione del CESE obbligatoria e conferisce maggior peso alle osservazioni da esso già formulate in merito nel suo recente parere relativo al pacchetto sul diritto d’autore (8).

3.2.    In merito al contenuto

3.2.1.

Il CESE ha già fatto riferimento alla proposta in esame nel suo parere sul pacchetto sul diritto d’autore, e ribadisce qui l’importanza e la necessità che l’UE ratifichi, in tempi brevi, il trattato di Marrakech, entrato in vigore il 30 settembre 2016 e volto a facilitare l’accesso delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa alle opere pubblicate. Il trattato permetterà a molti cittadini europei non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa di fruire di un maggior numero di opere in formati accessibili, aprendo così a tali cittadini le porte della cultura, dell’istruzione, dell’occupazione e garantendo, quindi, una vera inclusione sociale.

3.2.2.

Le proposte di regolamento e di direttiva che figurano nel pacchetto sul diritto d’autore consentiranno all’UE di adempiere un obbligo internazionale che le incombe in virtù del trattato di Marrakech. Ciò, inoltre, è in linea con gli obblighi derivanti per l’UE dalla convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità.

3.2.2.1.

In particolare la direttiva proposta disporrà un’eccezione obbligatoria e ne garantirà l’esecuzione affinché copie in formati accessibili di tali opere siano prodotte e scambiate all’interno del mercato unico.

3.2.2.2.

Tale eccezione è a beneficio esclusivo dei soggetti rigorosamente definiti all’articolo 2, paragrafo 2 della proposta di regolamento.

3.2.2.3.

Inoltre, tale regolamento permetterà lo scambio transfrontaliero di tali copie tra l’UE e i paesi terzi che siano parti del trattato di Marrakech.

4.   Ulteriori osservazioni

4.1.

Il CESE conviene che il regolamento è l’unico strumento appropriato per eliminare le discordanze esistenti tra le normative degli Stati membri.

4.2.

Il Comitato sottolinea che, come specificato nella direttiva, gli Stati membri dovrebbero svolgere un ruolo importante nel promuovere e rendere disponibili le opere accessibili ai beneficiari sia nei loro paesi che nei paesi terzi che siano parti del trattato di Marrakech.

4.3.

Il CESE, da parte sua, si rende disponibile a partecipare attivamente al processo di valutazione previsto sia dal regolamento che dalla direttiva.

4.4.

In particolare, la valutazione dovrebbe tener conto della facoltà degli Stati membri, prevista dalla direttiva, di applicare sistemi di indennizzo per i titolari dei diritti. Come previsto anche nel testo della direttiva, occorrerebbe verificare attentamente che tali sistemi di indennizzo non producano effetti negativi sulla disponibilità e la fornitura di opere accessibili per le categorie di beneficiari.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Trattato di Marrakech volto a facilitare l'accesso alle opere pubblicate per le persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa.

(2)  COM(2016) 595 final.

(3)  COM(2016) 596 final.

(4)  COM(2016) 593 final, COM(2016) 594 final e COM(2016) 596 final (GU C 125 del 21.4.2017, pag. 27).

(5)  GU L 115 del 17.4.2014, pag. 1.

(6)  UNCRPD.

(7)  Parere 3/15 della Corte (Grande Sezione), del 14.2.2017 (GU C 112 del 10.4.2017, pag. 3).

(8)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 27.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto»

[COM(2016) 755 final – 2016/0371 (CNS)]

sulla

«Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE e la direttiva 2009/132/CE per quanto riguarda taluni obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni»

[COM(2016) 757 final – 2016/0370 (CNS)]

sulla

«Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto applicate a libri, giornali e periodici»

[COM(2016) 758 final – 2016/0374 (CNS)]

(2017/C 345/13)

Relatore:

Amarjite SINGH

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 20.12.2016 e 21.12.2016

Base giuridica

Articolo 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

5.5.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

123/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto sulla modernizzazione dell’IVA applicata al commercio elettronico transfrontaliero e ne appoggia sia gli obiettivi che l’accento posto sulla risposta da dare alle preoccupazioni delle PMI. Le norme proposte avranno un impatto considerevole sulle imprese che vendono beni e servizi online, e permetteranno a tali imprese di beneficiare di regole più eque e di minori costi di conformità, oltre a operare su un piano di parità con le imprese di paesi terzi. Nel lungo termine, le proposte contribuiranno anche ad adeguare il sistema dell’IVA alle esigenze future.

1.2.

L’attuazione del mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA ha avuto un notevole impatto sulla riduzione dei costi di conformità. Tuttavia, imprese di dimensioni differenti non hanno registrato necessariamente nella stessa misura questa riduzione dei costi. In particolare, le PMI hanno incontrato delle difficoltà in rapporto a vari elementi del MOSS relativi alla conformità e hanno espresso notevoli timori. Il CESE ha accolto pertanto con favore il fatto che le modifiche proposte per il mini-sportello unico tengono conto di queste preoccupazioni.

1.3.

Visto il successo che il mini-sportello unico per l’IVA ha finora ottenuto nel ridurre i costi di conformità per le imprese attive nel commercio transfrontaliero, la sua estensione a servizi diversi da quelli attualmente previsti, oltre che alle acquisizioni e importazioni di beni all’interno dell’UE, rappresenta una conseguenza naturale. Oltre alla potenziale riduzione dei costi di conformità, l’estensione creerà anche condizioni di parità nel settore del commercio elettronico e questo avrà probabilmente un impatto positivo, specie sulle PMI. L’estensione del mini-sportello unico ai beni crea le condizioni per la possibile abrogazione del regime dell’esenzione sulle spedizioni di basso valore (LVCR), che ha generato distorsioni della concorrenza, dato che le imprese stabilite al di fuori dell’UE godono di un vantaggio concorrenziale rispetto a quelle con sede nell’UE. Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta estensione del mini-sportello unico.

1.4.

Le modifiche alle aliquote IVA applicabili alle pubblicazioni online eliminerebbero la distinzione tra pubblicazioni cartacee e non cartacee, e assicurerebbero la neutralità in questo mercato. Tuttavia, pur accogliendo con favore l’eliminazione di questa distorsione della concorrenza, il CESE è consapevole dei rischi che tale eliminazione comporta per la base imponibile dell’IVA. Il CESE rileva inoltre che la Commissione europea vede nelle misure proposte l’anticamera di una riforma più ampia riguardante la struttura delle aliquote IVA nell’UE, ed è preoccupato per l’impatto che tale «disarmonizzazione» potrebbe avere sulle imprese attive nel settore del commercio transfrontaliero, in particolare sulle PMI.

2.   Contesto generale

2.1.

La Commissione ha proposto nuove misure concrete nel quadro del pacchetto sulla modernizzazione dell’IVA per il commercio elettronico transfrontaliero tra imprese e consumatori (B2C). Le misure sono volte a sostenere il commercio elettronico transfrontaliero, per quanto riguarda l’osservanza del regime IVA, tramite l’eliminazione degli ostacoli legati all’IVA affrontati dalle imprese operanti online — in particolare dalle imprese in fase di avviamento e dalle PMI — e la lotta contro l’evasione online dell’IVA ad opera di imprese di paesi terzi.

2.2.

Tali misure comprendono in particolare:

2.2.1.

modifiche all’attuale mini-sportello unico («Mini-One-Stop-Shop»), che consente a certe imprese di rispettare i loro obblighi in materia di IVA in qualsiasi Stato membro tramite un portale digitale online, ospitato presso la loro amministrazione fiscale e disponibile nella loro lingua. Tali modifiche comprendono l’introduzione di una soglia per l’IVA transfrontaliera all’interno dell’UE e nuovi requisiti semplificati in materia di conformità;

2.2.2.

l’estensione dell’attuale mini-sportello unico a prestazioni di servizi all’interno dell’UE diverse da quelle già attualmente previste, e alle vendite a distanza di beni, sia all’interno dell’UE che con paesi terzi;

2.2.3.

l’abrogazione delle attuali soglie per le vendite a distanza all’interno dell’UE, nonché dell’esenzione dall’IVA per le importazioni di piccole spedizioni provenienti da paesi terzi;

2.2.4.

modifiche alle norme vigenti per consentire agli Stati membri di applicare un’aliquota IVA ridotta alle pubblicazioni elettroniche, come i libri digitali e i giornali online, come già avviene per le pubblicazioni cartacee.

Modifiche al mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA

2.3.

Il sistema MOSS è pienamente operativo dal 1o gennaio 2015, ed è stato creato allo scopo di semplificare gli obblighi di conformità all’IVA per le imprese attive nel settore degli scambi commerciali transfrontalieri all’interno dell’UE. Al posto dell’obbligo di registrazione, dichiarazione e versamento dell’IVA in ogni Stato membro in cui l’impresa considerata vende prodotti o servizi, il mini-sportello unico consente alle imprese di presentare online le dichiarazioni IVA trimestrali alle rispettive autorità nazionali.

2.4.

La Commissione ha fatto precedere le modifiche proposte da intense consultazioni realizzate tra febbraio e settembre 2015. Il processo — che ha comportato valutazioni, consultazioni, seminari e valutazioni d’impatto — ha rivolto l’attenzione soprattutto all’impatto per le PMI generato dalle attuali norme relative al mini-sportello unico in materia di IVA. Sono emerse questioni specifiche — ad esempio, la necessità di una soglia, l’applicazione delle regole del paese di origine per taluni particolari obblighi in materia di IVA, come la fatturazione e la tenuta dei registri, e il coordinamento della verifica contabile — che rappresentano le preoccupazioni principali delle PMI e di cui si è pertanto tenuto conto nelle modifiche proposte.

2.5.

In base alle norme proposte, verrà introdotta una nuova soglia, pari a 10 000 EUR, per l’IVA transfrontaliera all’interno dell’UE. Le vendite non superiori a tale soglia riconducibili a imprese che operano online saranno considerate vendite sul mercato interno, e l’IVA dovrà essere pagata alla propria amministrazione fiscale. Per quanto riguarda la conformità, è stato reso meno rigido il requisito dei due elementi di prova che devono essere forniti dai prestatori di servizi elettronici con un fatturato inferiore a 100 000 EUR. Inoltre, i venditori online saranno autorizzati ad applicare le regole del paese di origine in settori quali — ad esempio — la fatturazione e la tenuta dei registri, rendendo così più agevole il rispetto delle norme sull’IVA, e verranno introdotte nuove verifiche contabili coordinate, evitando così a tali venditori di essere soggetti a richieste separate per la verifica contabile a livello nazionale.

Estensione del mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA

2.6.

Attualmente il mini-sportello unico riguarda unicamente i servizi di telecomunicazione e di radiotelevisione, oltre a quelli forniti per via elettronica. In base alle modifiche proposte, il campo di applicazione del mini-sportello unico verrebbe esteso ad altre prestazioni di servizi all’interno dell’UE, nonché alla vendita a distanza di beni, sia all’interno dell’UE che con paesi terzi. Secondo le norme proposte, questa estensione verrebbe introdotta gradualmente dopo che entreranno in vigore le modifiche alle attuali regole sul MOSS, ossia a partire dal 1o gennaio 2021.

2.7.

La proposta di estendere il campo di applicazione del mini-sportello unico ai beni importati ordinati online semplificherà drasticamente la riscossione dell’IVA. La Commissione ritiene pertanto che tale estensione crei le condizioni per l’abrogazione del regime di esenzione sulle spedizioni di basso valore, noto come LVCR, in base al quale le importazioni di beni di valore trascurabile, non superiore a un valore totale di 22 EUR, sono esenti da IVA. La proposta prevede pertanto l’abrogazione di tale esenzione a partire dal 1o gennaio 2021.

Modifiche alle aliquote IVA sulle pubblicazioni online

2.8.

Secondo le attuali norme, gli Stati membri hanno la facoltà di tassare con un’aliquota IVA ridotta le pubblicazioni su supporto fisico, di qualsiasi tipo esso sia. Tuttavia, la direttiva IVA impedisce agli Stati membri di applicare alle pubblicazioni online le stesse aliquote applicate alle pubblicazioni cartacee. Questa interpretazione è stata confermata dalla Corte di giustizia in una serie di recenti sentenze connesse all’applicazione — da parte di vari Stati membri — di aliquote ridotte alle pubblicazioni online (1).

2.9.

In basse alle regole proposte, gli Stati membri saranno autorizzati ad allineare le aliquote IVA per le pubblicazioni online alle aliquote IVA attualmente in vigore per le pubblicazioni cartacce, indipendentemente dall’aliquota IVA applicata. Questa proposta, la cui presentazione fa seguito all’esame delle varie opzioni possibili per allineare il trattamento delle pubblicazioni online a quello delle pubblicazioni cartacee, consentirebbe agli Stati membri di applicare aliquote ridotte inferiori al livello minimo del 5 % qualora applichino ai libri cartacei un’aliquota che sia inferiore a tale minimo.

2.10.

Le suddette proposte comporterebbero la modifica di tre strumenti legislativi, vale a dire:

la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (2),

il regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto (3),

la direttiva 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, che determina l’ambito d’applicazione dell’articolo 143, lettere b) e c), della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di talune importazioni definitive di beni (4).

2.11.

Nell’insieme il pacchetto dovrebbe far aumentare, entro il 2021, il gettito IVA degli Stati membri di 7 miliardi di euro l’anno e ridurre di 2,3 miliardi di euro l’anno i costi amministrativi a carico delle imprese.

3.   Osservazioni generali

3.1.

L’IVA è una delle principali fonti di entrata per gli Stati membri dell’UE e attualmente rappresenta oltre il 20 % di queste entrate, con un aumento di oltre il 10 % rispetto al 1995 (5). L’importanza comparativa dell’imposta per il gettito fiscale degli Stati membri è aumentata a seguito della crisi economica e finanziaria, in quanto gli Stati hanno fatto assegnamento sulla politica in materia di IVA per affrontare le questioni di bilancio. Tra il 2008 e il 2014 ventitré Stati membri hanno aumentato le aliquote IVA e/o hanno ampliato la relativa base imponibile (6). L’IVA svolge un ruolo significativo e crescente nella sostenibilità delle finanze pubbliche degli Stati membri e nel mantenimento della spesa sociale.

3.2.

È fondamentale proteggere la base imponibile dell’IVA sia dai possibili casi di frode che dalla sua stessa erosione per effetto di un impiego a largo raggio delle aliquote ridotte. È stato stimato che, nel 2014, il divario dell’IVA nell’UE a 27 Stati era pari a 159,5 miliardi di euro, ossia il 14 % del gettito totale dell’IVA (7). Anche se il divario dell’IVA comprende le perdite di gettito IVA dovute — ad esempio — ad errori, a fallimenti e all’elusione fiscale, l’evasione ne è la causa principale. L’erosione della base imponibile dell’IVA nell’UE a 27 Stati è particolarmente elevata, dato che quasi il 50 % di tutti i consumi non è soggetto a tassazione oppure è tassato con aliquote IVA ridotte.

3.3.

Il CESE accoglie pertanto con favore il pacchetto sulla modernizzazione dell’IVA applicata al commercio elettronico transfrontaliero e ne appoggia sia gli obiettivi che l’accento posto sulla risposta da dare alle preoccupazioni delle PMI. Le norme proposte avranno un impatto considerevole sulle imprese che vendono beni e servizi online, e permetteranno a tali imprese di beneficiare di regole più eque e di minori costi di conformità, oltre a operare su un piano di parità con le imprese di paesi terzi. Nel lungo termine, le proposte contribuiranno anche ad adeguare il sistema dell’IVA alle esigenze future.

Modifiche al mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA

3.4.

La progressiva introduzione del mini-sportello unico per l’IVA, che è diventato totalmente operativo dal 1o gennaio 2015, ha rappresentato una delle modifiche più importanti che sono state apportate al regime dell’IVA dalla soppressione delle frontiere fiscali nel 1993. Il sistema consente alle imprese che operano in vari Stati membri di scegliere un solo Stato membro, quello di appartenenza, come unico punto di contatto per l’identificazione ai fini IVA, la presentazione delle dichiarazioni IVA e il pagamento dell’IVA dovuta in tutti gli Stati membri.

3.5.

Una valutazione, condotta dalla Commissione europea, sull’introduzione del mini-sportello unico per l’IVA conferma che la misura ha avuto un impatto significativo sulla riduzione dei costi di conformità. Il mini-sportello unico ha consentito alle imprese di risparmiare 500 milioni di EUR, con una media di 41 000 EUR a impresa, rispetto all’alternativa della registrazione e del pagamento diretti, un ammontare che rappresenta una riduzione del 95 % per questi costi.

3.6.

Tuttavia, imprese di dimensioni differenti non hanno registrato necessariamente nella stessa misura questa riduzione dei costi. Le consultazioni realizzate dalla Commissione indicano che le PMI, pur potendo trarre un beneficio dai minori requisiti di registrazione, hanno in pratica incontrato delle difficoltà con vari elementi del MOSS relativi alla conformità. Queste difficoltà sono state avvertite in modo più acuto dalle PMI con sede negli Stati membri in cui la soglia per l’iscrizione al registro IVA è più alta, come il Regno Unito.

3.7.

Il CESE ha accolto con favore il fatto che le modifiche proposte al mini-sportello unico tengono conto di queste preoccupazioni.

Estensione del mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA

3.8.

È dal 2011 che la Commissione europea considera una priorità assoluta l’estensione del mini-sportello unico (8). Visto il successo che il mini-sportello unico ha finora ottenuto nel ridurre i costi di conformità per le imprese attive nel commercio transfrontaliero, la sua estensione a servizi diversi da quelli attualmente previsti, oltre che alle acquisizioni e importazioni di beni all’interno dell’UE, rappresenta una conseguenza naturale.

3.9.

Oltre alla potenziale riduzione dei costi di conformità, l’estensione creerà anche condizioni di parità nel settore del commercio elettronico e questo avrà probabilmente un impatto positivo, specie sulle PMI. Con l’estensione verrà eliminata la discrepanza tra le imprese attive nel settore del commercio elettronico, che si possono avvalere del mini-sportello unico sulla base delle regole vigenti, e quelle che operano anche nel campo del commercio elettronico transfrontaliero che, a causa della natura dei servizi prestati o dei beni forniti, non hanno sinora potuto avvalersi degli stessi benefici sul piano della conformità. L’estensione andrà anche a vantaggio delle imprese attive nel settore del commercio elettronico, operanti in un ventaglio di attività commerciali transfrontaliere, che finora sono state disciplinate da due insiemi differenti di obblighi in materia di conformità — vale a dire, quelli previsti nel quadro del mini-sportello unico e quelli del regime normale — e che adesso saranno disciplinate da un unico insieme di norme nel quadro del mini-sportello unico.

3.10.

L’estensione del mini-sportello unico ai beni crea le condizioni per la possibile abrogazione del regime dell’esenzione sulle spedizioni di basso valore (LVCR). Benché questo regime abbia rappresentato in passato una gradita semplificazione, il volume dei beni che hanno beneficiato del regime ha fatto registrare un incremento del 286 % nel periodo 1999-2013, probabilmente riconducibile all’aumento degli acquisti online effettuati da privati (9). Questa crescita ha portato a sua volta a un aumento del mancato gettito IVA in tutti gli Stati membri.

3.11.

Il regime dell’esenzione sulle spedizioni di basso valore (LVCR) ha anche generato una distorsione della concorrenza, dato che le imprese stabilite al di fuori dell’UE godono di un vantaggio concorrenziale rispetto a quelle con sede nell’UE. Questo vantaggio concorrenziale ha inoltre portato a due ulteriori conseguenze indesiderate, vale a dire, l’abuso del regime LVRC e distorsioni negli scambi commerciali e nei flussi delle importazioni.

3.12.

Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta estensione del mini-sportello unico.

Modifiche alle aliquote IVA sulle pubblicazioni online

3.13.

L’elenco dei prodotti che possono essere assoggettati ad aliquote IVA ridotte, secondo quanto stabilito nella direttiva sull’IVA, risale al 1992. Gli sviluppi tecnologici e le variazioni nel comportamento dei consumatori in questi ultimi venticinque anni hanno portato a numerose difficoltà giuridiche per quanto concerne l’interpretazione delle voci che figurano in tale elenco. Queste difficoltà di ordine giuridico hanno dato origine a un vasto contenzioso a livello della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

3.14.

In varie sentenze emanate di recente la CGUE è giunta alla conclusione che l’elenco dei prodotti contenente le pubblicazioni cartacee non può essere esteso, attraverso un’interpretazione giuridica, in modo da comprendere le pubblicazioni online. Pertanto, tale obiettivo potrebbe essere raggiunto soltanto attraverso modifiche legislative da apportare alle norme vigenti contenute nella direttiva sull’IVA.

3.15.

Le regole proposte eliminerebbero la distinzione tra pubblicazioni cartacee e non cartacee, e assicurerebbero la neutralità in questo mercato. Tuttavia, pur accogliendo con favore l’eliminazione di questa distorsione della concorrenza, il CESE è consapevole dei rischi che tale eliminazione comporta per la base imponibile dell’IVA. L’inserimento delle pubblicazioni online nell’elenco dei prodotti che possono essere assoggettati a un’aliquota ridotta porterà non solo a una perdita immediata di gettito, ma potrebbe anche fornire l’occasione per sostenere la tesi secondo cui anche altri prodotti dovrebbero figurare nell’elenco, provocando in questo modo un’ulteriore erosione della base imponibile. Inoltre, estendendo alle pubblicazioni online l’applicazione di aliquote ridotte inferiori al livello minimo del 5 %, qualora tali aliquote siano applicate ai libri in formato cartaceo, è possibile che vengano incoraggiate ulteriori richieste per l’applicazione di aliquote inferiori al livello minimo. Uno sviluppo di questo genere metterebbe a repentaglio l’esistenza di un’aliquota minima, e porterebbe anche a un’ulteriore erosione della base imponibile.

3.16.

Il CESE rileva inoltre che la Commissione europea vede nelle misure proposte l’anticamera di una riforma più ampia riguardante la struttura delle aliquote IVA nell’UE (10). Anche se attualmente le opzioni in esame sono due, questa riforma più ampia accorderebbe in generale agli Stati membri una maggiore libertà e flessibilità nell’applicazione delle aliquote ridotte attraverso una concreta «disarmonizzazione» delle aliquote IVA.

3.17.

Il CESE è preoccupato per l’impatto che tale disarmonizzazione potrebbe avere sulle imprese attive nel settore del commercio transfrontaliero, in particolare sulle PMI, per le quali sarebbe difficile determinare le aliquote IVA applicabili ai prodotti da esse venduti in tutta l’UE.

3.18.

Il CESE è anche consapevole del fatto che l’articolo 113 del TFUE, che costituisce la base giuridica per l’adozione della legislazione dell’UE in materia di IVA, attribuisce alle istituzioni dell’Unione la competenza soltanto per adottare una normativa che armonizzi l’IVA, allo scopo di creare il mercato interno e di migliorarlo.

4.   Osservazioni specifiche

Modifiche al mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA

4.1.

Con l’introduzione del mini-sportello unico, le PMI che hanno sede in un paese con soglia elevata sono state obbligate a iscriversi al registro IVA e a conformarsi per la prima volta ai relativi obblighi. Poiché molte corrono il rischio di fallire per effetto dei nuovi costi di conformità che ne sono derivati, un insieme di microimprese — la maggior parte delle quali ha sede nel Regno Unito — ha istituito un gruppo di pressione (11) allo scopo di mettere in guardia le istituzioni dell’UE e le autorità fiscali britanniche in rapporto ai loro timori.

4.2.

È accolta favorevolmente la fissazione di una soglia di 10 000 EUR volta a consentire alle PMI di optare per l’utilizzo delle norme IVA del proprio paese fino al raggiungimento di tale soglia, dato che ciò semplificherà indubbiamente le operazioni per le piccole imprese e le imprese a tempo parziale. Tuttavia, pur accogliendo con favore tale soluzione per le microimprese, il CESE è consapevole del fatto che le imprese nascenti in fase di crescita potrebbero rapidamente oltrepassare tale soglia.

Estensione del mini-sportello unico (MOSS) per l’IVA

4.3.

È stato registrato un notevole abuso del regime dell’esenzione sulle spedizioni di basso valore (LVCR) nel Regno Unito (attraverso le Isole del Canale) e in Finlandia (dalle Isole Åland), dato che alcune imprese delocalizzano le loro attività al di fuori dell’UE allo scopo di avvalersi del regime (12). Questo abuso genera un ulteriore svantaggio concorrenziale per le imprese dell’UE e in particolare per le PMI, che tendenzialmente ne risentono in modo più rilevante. Nel 2010 è stato istituito un gruppo, formato da PMI con sede nel Regno Unito, che si prefigge di lottare contro il presunto abuso del regime LVCR nelle Isole del Canale (13).

4.4.

In tempi più recenti un altro gruppo, composto di PMI con sede nel Regno Unito e chiamato «VAT Fraud» (14), ha richiamato l’attenzione su casi problematici di presunta frode, commessi online da operatori di paesi terzi, che sono collegati al regime dell’esenzione sulle spedizioni di basso valore (LVCR). Anche se la frode riguarda beni il cui valore non rientra nel campo di applicazione del regime, si presume che l’esistenza di tale regime crei ostacoli all’applicazione dell’IVA, in quanto i funzionari doganali hanno difficoltà a determinare quali forniture rientrano nel regime.

4.5.

Il regime dell’esenzione sulle spedizioni di basso valore (LVCR) avrebbe influito anche sui flussi commerciali e sul comportamento in materia di importazioni seguito dai consumatori di vari Stati membri, vale a dire, Slovenia, Germania, Svezia, Danimarca e Regno Unito (15).

Modifiche alle aliquote IVA sulle pubblicazioni online

4.6.

Alla radice delle difficoltà giuridiche relative all’interpretazione delle voci inserite nell’elenco dei prodotti che possono essere assoggettati a un’aliquota ridotta, si trova un dilemma fondamentale del sistema IVA dell’UE, vale a dire, se sia preferibile eliminare potenziali distorsioni della concorrenza attraverso un’estensione del campo di applicazione relativo all’elenco dei prodotti che possono essere assoggettati a un’aliquota ridotta, con la conseguenza di un’ulteriore erosione della base imponibile, oppure se sia preferibile continuare a limitare il campo di applicazione relativo a quei prodotti, proteggendo così la base imponibile ma rendendo possibili distorsioni della concorrenza.

4.7.

La CGUE segue un approccio caso per caso in rapporto a queste difficoltà interpretative. Tuttavia, nelle sentenze relative all’inserimento delle pubblicazioni online nel suddetto elenco, la Corte è giunta alla conclusione che il campo di applicazione non può essere esteso a questi prodotti, adottando così una rigida interpretazione giuridica delle norme.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cause C-219/13, K Oy, C-479/13, Commissione v Francia, C-502/13, Commissione v Lussemburgo C-390/15, RPO.

(2)  GU L 347 dell'11.12.2006, pag. 1.

(3)  GU L 268 del 12.10.2010, pag. 1.

(4)  GU L 292 del 10.11.2009, pag. 5.

(5)  R. de la Feria, «Progetto per la riforma delle aliquote IVA in Europa» (2015) Intertax 43(2), 154-171.

(6)  Ibidem.

(7)  CASE, Studio e relazione sul divario IVA nei 28 Stati membri dell’UE — Relazione finale 2016, TAXUD/2015/CC/131, 2016.

(8)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sul futuro dell’IVA «Verso un sistema dell’IVA più semplice, solido ed efficiente adattato al mercato unico», COM(2011) 851 final del 6 dicembre 2011.

(9)  E&Y, Valutazione dell’applicazione e dell’impatto dell’esenzione dall’IVA per le importazioni di piccole spedizioni, Contratto specifico n. 7, TAXUD/2013/DE/334, relazione finale, maggio 2015.

(10)  Commissione europea, Consultazione pubblica aperta sulla riforma delle aliquote IVA (proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme che disciplinano l’applicazione delle aliquote IVA).

(11)  Chiamato «EU VAT Action» (www.euvataction.org).

(12)  E&Y, Valutazione dell’applicazione e dell’impatto dell’esenzione dall’IVA per le importazioni di piccole spedizioni, Contratto specifico n. 7, TAXUD/2013/DE/334, relazione finale, maggio 2015.

(13)  Chiamato RAVAS («Dettaglianti contro l’elusione dei regimi dell’IVA») (www.ravas.org.uk).

(14)  www.vatfraud.org.

(15)  E&Y, Valutazione dell’applicazione e dell’impatto dell’esenzione dall’IVA per le importazioni di piccole spedizioni, Contratto specifico n. 7, TAXUD/2013/DE/334, relazione finale, maggio 2015.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/85


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e il regolamento (CE) n. 987/2009 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004»

(Testo rilevante ai fini del SEE e per la Svizzera)

[COM(2016) 815 final — 2016/0397 (COD)]

(2017/C 345/14)

Relatore:

Philip VON BROCKDORFF

Correlatrice:

Christa SCHWENG

Consultazione

Commissione europea, 17.2.2017

Consiglio, 15.2.2017

Base giuridica

Articolo 48 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

5.7.2017

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

13.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

135/2/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la proposta di revisione del regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale dovrebbe puntare a facilitare, e non a limitare, la circolazione delle persone in cerca di lavoro e dei lavoratori. Questo perché un migliore coordinamento della sicurezza sociale agevola la libera circolazione dei lavoratori procurando dei vantaggi sia ai lavoratori stessi (sviluppo di competenze e maggiore capacità di adattamento) che ai datori di lavoro (una forza lavoro motivata dotata delle necessarie conoscenze tecniche). Un simile coordinamento migliorato contribuisce inoltre all’economia in generale rimediando alle disparità in materia di disoccupazione tra Stati membri dell’UE e promuovendo una più efficiente allocazione delle risorse umane, oltre a fornire un contributo alla crescita e alla competitività dell’Unione.

1.2.

Norme eque e ben funzionanti sia per i cittadini mobili che per quelli che non lo sono costituiscono fattori importanti perché la mobilità sia bene accetta a livello politico. Il CESE è del parere che l’obiettivo dell’esercizio di revisione dovrebbe essere quello di conseguire un giusto equilibrio tra paesi di origine e paesi ospitanti.

1.3.

Quanto alle condizioni applicabili ai cittadini che hanno il diritto di «esportare» le prestazioni per l’assistenza di lungo periodo quando si trasferiscono in un altro paese, il CESE ritiene che le nuove norme proposte assicurino loro una protezione migliore in contesti transfrontalieri. Il Comitato sottolinea tuttavia che le nuove norme non stabiliscono un nuovo diritto a beneficiare di un’assistenza di lungo periodo in ogni Stato membro, dal momento che questo dipende dalla disponibilità di tali servizi nello Stato membro ospitante.

1.4.

Il CESE osserva che sia la proposta di revisione del regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale che la direttiva sul distacco dei lavoratori sono pertinenti nel campo della mobilità della forza lavoro. Dato però che questi due strumenti trattano di due questioni ben distinte, il CESE teme che fare riferimento alle definizioni della proposta di revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori nel regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale comporti, di fatto e all’atto pratico, una minore chiarezza giuridica.

1.5.

Il CESE osserva che l’obbligo per un lavoratore di aver lavorato almeno 3 mesi nello Stato membro ospitante prima di aver diritto a percepire delle indennità di disoccupazione — secondo quanto raccomandato nella proposta di revisione del regolamento — ritarderà la «totalizzazione dei periodi» che conferisce il diritto a percepire le indennità. Se questo può, da un lato, rendere le norme più eque per i paesi di destinazione dei lavoratori mobili, dall’altro può anche incidere negativamente sulla motivazione alla mobilità.

1.6.

Per il CESE non è chiaro in che modo la proposta di estendere il periodo di «esportazione» delle indennità di disoccupazione dagli attuali 3 ad almeno 6 mesi possa rivelarsi efficace nell’offrire opportunità di impiego alle persone in cerca di lavoro, poiché questo dipende dalla situazione del mercato del lavoro, che è diversa da uno Stato membro all’altro.

1.7.

Il CESE è convinto che una maggiore convergenza per quanto riguarda le prestazioni, la «totalizzazione» dei periodi e l’attivazione delle prestazioni contribuirebbe a migliorare e a facilitare il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. I servizi pubblici per l’impiego (SPI) dovrebbero inoltre dimostrarsi più efficaci nell’aiutare le persone mobili in cerca di lavoro a trovare posti di lavoro adeguati.

1.8.

Il CESE chiede agli Stati membri un maggiore impegno affinché rendano più facilmente praticabile la possibilità per i cittadini mobili economicamente inattivi di contribuire in misura proporzionata e secondo il principio della parità di trattamento ad un regime di assicurazione malattia nello Stato membro che li ospita. Gli Stati membri dell’UE dovrebbero inoltre prendere in considerazione i vantaggi derivanti in generale dall’accogliere dei cittadini mobili, incluse le persone inattive ma che, in un modo o nell’altro, finiscono comunque per apportare un contributo all’economia (e alla diversità culturale) del paese che li ospita.

1.9.

Infine, il CESE ritiene che nessuna disposizione contenuta nelle nuove norme proposte dovrebbe limitare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2.   Proposte di modifica delle norme sul coordinamento della sicurezza sociale

2.1.

Considerata la costante evoluzione del mercato del lavoro transfrontaliero e le trasformazioni dei sistemi nazionali di sicurezza sociale, è del tutto evidente che le norme in vigore vanno aggiornate e adattate. È appunto questa, oltre alla necessità di facilitare e semplificare i metodi di applicazione, la logica sottesa alle proposte di modifica delle norme formulate dalla Commissione europea nella comunicazione in esame, pubblicata il 13 dicembre 2016.

2.2.

La proposta della Commissione mira a fare chiarezza e a definire norme eque e applicabili intese ad agevolare la mobilità della manodopera. La libera circolazione dei lavoratori resta uno dei capisaldi del mercato interno. Al tempo stesso, però, le autorità nazionali sono anche fortemente sollecitate a contrastare gli abusi o le frodi sulle prestazioni.

2.3.

Qui di seguito si riassumono le principali modifiche proposte:

i)

esportazione delle prestazioni di disoccupazione: la durata minima di «esportazione» delle indennità di disoccupazione (ossia quando il beneficiario «esporta» le proprie indennità di disoccupazione in un altro Stato membro nel quale intraprende la ricerca di un posto di lavoro) deve essere estesa da 3 a 6 mesi, con la possibilità di un’ulteriore proroga per la parte residua del periodo in cui il beneficiario ha diritto alle prestazioni.

ii)

Nel valutare se una persona in cerca di lavoro possa o meno beneficiare di indennità di disoccupazione, uno Stato membro sarà tenuto a verificare e considerare i precedenti periodi di copertura assicurativa in altri Stati membri (come previsto in base alle norme in vigore). Tuttavia, questo sarà possibile solo se l’interessato/a avrà lavorato nello Stato membro in questione per un periodo di almeno 3 mesi (nuova proposta). Se la persona in cerca di lavoro non soddisfa tali requisiti, il versamento delle indennità di disoccupazione spetterà allo Stato membro in cui essa ha lavorato in precedenza.

iii)

Indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri: in base alle norme modificate proposte dalla Commissione, lo Stato membro responsabile del versamento delle indennità di disoccupazione ai lavoratori frontalieri è quello in cui questi hanno lavorato negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, in base alle norme vigenti, attualmente i lavoratori frontalieri versano contributi e imposte nello Stato membro in cui lavorano. Per periodi di lavoro inferiori a12 mesi, sarà lo Stato membro di residenza a dover erogare le indennità di disoccupazione.

iv)

Erogazione delle prestazioni sociali a persone economicamente inattive: in questo caso, la proposta intende codificare la recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea secondo cui i cittadini economicamente inattivi che si spostano da uno Stato membro ad un altro possono fruire delle prestazioni sociali soltanto se soddisfano le condizioni relative al diritto di soggiorno legale, così come definite nella direttiva sulla libera circolazione. Tuttavia, le persone economicamente inattive fruiscono di un diritto di soggiorno legale se possono dimostrare di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi. Tale condizione non si applica alle persone attivamente alla ricerca di un lavoro, il cui diritto di soggiorno in un altro Stato membro deriva direttamente dal disposto dell’articolo 45 del TFUE.

v)

Sicurezza sociale per i lavoratori distaccati: nella comunicazione si afferma che le norme proposte intendono rafforzare gli strumenti amministrativi relativi al coordinamento della sicurezza sociale dei lavoratori distaccati, al fine di assicurarsi che le autorità nazionali dispongano di mezzi idonei a consentire loro di verificare la situazione di tali lavoratori sotto il profilo della sicurezza sociale nonché di contrastare pratiche potenzialmente sleali o possibili abusi.

vi)

Prestazioni familiari: la proposta della Commissione aggiorna le norme in materia di indennità di congedo parentale, che servono a compensare un genitore per la perdita di reddito o di salario durante i periodi dedicati all’educazione dei figli. La proposta non modifica le norme vigenti in materia di esportazione delle prestazioni per figli a carico (assegni familiari), né prevede un’indicizzazione di tali prestazioni.

3.   Quadro d’insieme dei sistemi di sicurezza sociale nell’UE

3.1.

In genere i sistemi di sicurezza sociale coprono il versamento di indennità per malattia, maternità/paternità, situazione familiare, vecchiaia, disoccupazione e altre prestazioni analoghe e sono di esclusiva competenza delle autorità nazionali. In altre parole, ciascuno Stato membro è competente dell’assetto del proprio sistema di sicurezza sociale. Per questo motivo, le prestazioni di sicurezza sociale percepite dai cittadini dell’UE sono notevolmente diverse da un paese all’altro per quanto riguarda sia le prestazioni effettive percepite che le modalità organizzative dei sistemi nazionali di sicurezza sociale.

3.2.

Il CESE è seriamente preoccupato dall’ampio divario osservabile tra i risultati registrati dai sistemi di protezione sociale dei diversi Stati membri: se i sistemi più efficienti contribuiscono a ridurre il rischio di povertà del 60 %, quelli meno efficienti riducono tale rischio di meno del 15 %, con una media UE che si attesta sul 35 % (1). Tale divario spiega, in parte, la disparità di condizioni sociali dei cittadini in tutta l’UE. Pertanto, per gli Stati membri dell’UE è più importante che mai concordare dei principi alla base di sistemi di sicurezza sociale efficaci e affidabili, come già sollecitato dal CESE nei pareri dedicati ai Principi per sistemi previdenziali efficaci e affidabili  (2) e al Pilastro europeo dei diritti sociali  (3). I valori europei comuni e il comune sviluppo economico dell’UE richiedono che in ogni Stato membro siano garantiti un reddito minimo, l’assistenza sanitaria di base, l’erogazione di servizi sociali adeguati e la partecipazione sociale; ciò può contribuire a promuovere la solidarietà nei paesi UE e può anche aiutare a ridurre gli squilibri macroeconomici.

3.3.

La libera circolazione dei lavoratori è una delle quattro libertà di circolazione fondamentali dell’Unione europea. Il CESE ritiene che essa debba essere promossa più efficacemente e rispettata nelle sue diverse dimensioni, in quanto, di fatto, non esiste libertà di circolazione dei lavoratori senza il rispetto dei diritti sociali dei cittadini e dei lavoratori mobili in base al principio della parità di trattamento, come indicato di seguito. Il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale costituisce una di queste dimensioni. La storia della sua applicazione è, in generale, una storia positiva, e negli scorsi decenni ha contribuito al fatto che molti milioni di lavoratori che ne hanno beneficiato siano diventati i migliori «ambasciatori» della libera circolazione dei lavoratori.

3.4.

Al fine di facilitare la libera circolazione dei lavoratori e dei cittadini europei in generale, un coordinamento più efficace dei sistemi di sicurezza sociale si impone per fare maggiore chiarezza e offrire garanzie in merito alle prestazioni cui tali soggetti hanno diritto. L’Unione europea dispone perciò di norme sul coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale che stabiliscono quale dei sistemi di sicurezza sociale dei paesi UE assicura la copertura a un cittadino in genere o, nello specifico, a un lavoratore. Queste norme si prefiggono anche di evitare l’erogazione di prestazioni doppie in contesti transfrontalieri e, al tempo stesso, offrono delle garanzie a quanti lavorano in un altro Stato membro o sono in cerca di lavoro in tutta l’UE.

3.5.

Va sottolineato che le norme vigenti riguardano il coordinamento, e non l’armonizzazione, dei sistemi di sicurezza sociale. Le norme dell’UE sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale sono sancite dai regolamenti (CE) n. 883/2004 e (CE) n. 987/2009 e si fondano su quattro principi:

i)

un solo paese: un cittadino è coperto dal sistema di sicurezza sociale di un solo Stato membro alla volta, di modo che detto cittadino versa i contributi in un solo paese e percepisce le prestazioni da quel solo paese;

ii)

parità di trattamento: un cittadino ha gli stessi diritti e doveri dei cittadini del paese in cui è assicurato;

iii)

totalizzazione: a seconda dei casi, se un cittadino chiede l’erogazione di una prestazione, è tenuto a fornire la prova dei periodi di copertura assicurativa, di lavoro o di residenza in altri Stati membri, (per dimostrare, ad esempio, che il cittadino in questione dispone del periodo minimo di assicurazione richiesto dalla normativa nazionale per avere diritto alle prestazioni);

iv)

esportabilità: se un cittadino ha diritto a percepire una prestazione da uno Stato membro, potrà percepirla anche qualora risieda in un altro Stato membro.

3.6.

Le disposizioni dei regolamenti (CE) n. 883/2004 e (CE) n. 987/2009 si applicano a chiunque si trasferisca in un altro Stato membro per stabilirvisi in modo permanente o per svolgervi temporaneamente un’attività di lavoro o di studio. Questo vale anche per i lavoratori transfrontalieri. Inoltre, un cittadino può percepire le indennità di disoccupazione erogate dal proprio Stato membro allorché risiede in un altro Stato membro ed è in cerca di lavoro per un periodo determinato.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Nel 2015, nell’UE a 28 paesi circa 11,3 milioni di cittadini appartenenti alla fascia di popolazione attiva (cioè di età compresa tra i 20 e i 64 anni) risiedeva in un altro Stato membro, di cui 8,5 milioni occupati o alla ricerca di un lavoro (i dati relativi a questi due aspetti variano a seconda dello Stato membro considerato), il che equivale al 3,7 % della popolazione attiva totale dell’UE. Nell’Unione europea si contavano 1,3 milioni di lavoratori transfrontalieri (chi risiede in uno Stato membro ma lavora in un altro Stato membro). I lavoratori distaccati erano all’incirca 1,92 milioni, un numero pari allo 0,7 % dell’occupazione totale nell’UE, con una durata media dei distacchi di quattro mesi.

4.2.

Il coordinamento in materia di sicurezza sociale agevola la libera circolazione dei lavoratori con l’erogazione di prestazioni a questi ultimi e, indirettamente, ai datori di lavoro nonché all’economia nel suo complesso, contribuendo così alla crescita e alla competitività. La stragrande maggioranza dei cittadini mobili dell’UE desidera migliorare le proprie possibilità di sostentamento e prospettive di lavoro.

4.3.

Dal punto di vista del lavoratore, il diritto di lavorare in un altro Stato membro non solo offre delle opportunità lavorative, ma facilita anche l’acquisizione di nuove competenze, migliora la capacità di adattamento e arricchisce il lavoratore stesso grazie alle nuove esperienze di lavoro maturate. La circolazione dei lavoratori contribuisce inoltre ad ovviare alle carenze di manodopera e di competenze. Non solo: la circolazione della forza lavoro tende anche a contribuire al finanziamento dei servizi pubblici dello Stato membro ospitante, e può servire ad alleviare in parte l’onere fiscale risultante dall’invecchiamento demografico, oltre che a compensare la diminuzione dei contributi dovuta proprio all’aumento della popolazione anziana.

4.4.

In una prospettiva macroeconomica, la mobilità dei lavoratori contribuisce a rimediare alle disparità in materia di disoccupazione tra Stati membri dell’UE, come pure ad una più efficiente allocazione delle risorse umane. Le ricerche indicano anche che, nel periodo che ha fatto seguito alla crisi finanziaria e alla recessione economica, la mobilità della manodopera all’interno dell’UE ha avuto una funzione importante nell’impedire che il quadro fosse contraddistinto da una instabilità ancora più forte.

4.5.

Se realizzata sulla base di condizioni eque, la mobilità dei lavoratori può essere vantaggiosa per i lavoratori stessi, per le imprese e per la società nel suo complesso. Essa può costituire una grande opportunità di sviluppo personale, sociale ed economico dei cittadini e dei lavoratori e deve quindi essere facilitata. Norme eque e ben funzionanti sia per i cittadini mobili che per quelli che non lo sono costituiscono fattori importanti perché la mobilità sia bene accetta a livello politico. L’obiettivo di tutto questo dovrebbe essere quello di conseguire un giusto equilibrio tra paesi di destinazione e paesi di origine.

4.6.

Alla luce delle considerazioni suesposte, il CESE ritiene che tutte le proposte di modifica dovrebbero puntare a facilitare, e non a limitare, la circolazione delle persone in cerca di lavoro e dei lavoratori. E secondo il parere del Comitato, le norme sul coordinamento della sicurezza sociale dovrebbero agevolare l’accesso al lavoro per le persone provviste di ventagli diversi di competenze. La parità di trattamento relativamente alle misure attive per il mercato del lavoro tra i lavoratori di un determinato Stato membro e i lavoratori di altri paesi dell’UE è un fattore essenziale per il superamento delle divisioni sociali.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Per quanto riguarda il sistema di coordinamento per i lavoratori frontalieri, il CESE prende atto della proposta di trasferire la responsabilità del versamento delle indennità di disoccupazione allo Stato membro in cui il lavoratore ha esercitato l’ultima attività lavorativa, ma ritiene che l’obbligo di aver lavorato in tale Stato membro per un periodo minimo di 12 mesi potrebbe limitare gli effetti positivi della modifica proposta. Tuttavia, il CESE è consapevole che la proposta comporta anche una sfida per gli Stati membri a cui viene attribuita la responsabilità di erogare le prestazioni.

5.2.

Quanto alle condizioni applicabili ai cittadini che hanno il diritto di «esportare» le prestazioni per l’assistenza di lungo periodo quando si trasferiscono in un altro paese, il CESE ritiene che le nuove norme proposte assicurino loro una protezione migliore in contesti transfrontalieri. Le nuove norme risultano di particolare importanza se si tiene conto dell’invecchiamento demografico e della promozione di una maggiore indipendenza e mobilità delle persone con disabilità, visto il numero crescente di cittadini bisognosi di prestazioni per l’assistenza di lungo periodo che si spostano da uno Stato membro ad un altro. Il CESE sottolinea tuttavia che le nuove norme non stabiliscono un nuovo diritto a beneficiare di un’assistenza di lungo periodo in ogni Stato membro, dal momento che questo dipende dalla disponibilità di tali servizi nello Stato membro ospitante.

5.3.

Il CESE ritiene che le nuove norme faciliteranno la procedura per il recupero delle prestazioni di sicurezza sociale indebitamente corrisposte. Gli Stati membri potranno avvalersi di uno strumento uniforme per procedere al recupero forzato delle prestazioni di sicurezza sociale indebitamente versate e disporranno di procedure più chiare per l’assistenza transfrontaliera reciproca.

5.4.

Il CESE osserva che sia la proposta di revisione del regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale che la direttiva sul distacco dei lavoratori sono pertinenti nel campo della mobilità della forza lavoro, ma che i due strumenti trattano di questioni ben distinte. La direttiva sul distacco dei lavoratori riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione (compresa la retribuzione) applicabili ai lavoratori distaccati, mentre il regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale si prefigge di determinare quale sia il sistema di sicurezza sociale applicabile. La nuova proposta non modifica l’ambito di applicazione delle norme dell’UE sul coordinamento della sicurezza sociale, e neppure quello della direttiva sul distacco dei lavoratori. Il CESE teme quindi che fare riferimento alle definizioni della proposta di revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori nel regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, regolamento che mira a facilitare l’applicazione di tali sistemi, comporti, di fatto e all’atto pratico, una minore chiarezza giuridica. Il fatto che in un regolamento (vincolante e direttamente applicabile in tutti gli Stati membri) si faccia riferimento ad una direttiva (vincolante per gli Stati membri soltanto per quanto riguarda il risultato da conseguire) suscita delle perplessità sul piano giuridico.

5.5.

Il CESE constata la necessità di garantire condizioni uniformi per l’applicazione delle norme specifiche sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale per quanto riguarda i lavoratori distaccati. Ciò comprende la determinazione delle situazioni in cui è possibile il rilascio dei documenti portatili A1, degli elementi da verificare prima di rilasciarli e del loro ritiro in caso di contestazione. Tenuto conto del fatto che questi aspetti possono essere essenziali per l’applicazione pratica degli articoli 12 e 13 del regolamento (CE) n. 883/2004, il CESE esprime delle preoccupazioni per il conferimento alla Commissione europea di poteri definiti in modo talmente poco chiaro. Dal momento che il distacco dei lavoratori è un tema molto delicato, è auspicabile che il CESE riceva dei riscontri circa l’attuazione di questa delega di poteri alla Commissione e che, in un secondo momento, sia realizzata una valutazione dell’impatto delle nuove procedure. Il CESE esprime inoltre dei timori quanto all’effetto cumulativo delle nuove norme sul distacco dei lavoratori, nonché in merito alle succitate modifiche di natura tecnica introdotte nel regolamento sulla sicurezza sociale e al numero crescente di iniziative a livello nazionale per controllare i lavoratori di altri paesi dell’UE. La crescente complessità generata dalla combinazione di queste diverse regolamentazioni sarà probabilmente un freno per la mobilità transnazionale e dovrebbe essere oggetto di un attento monitoraggio a livello europeo. Vi è anche la necessità di rispettare le norme sulla sicurezza sociale in relazione ai lavoratori distaccati.

5.6.

In base alle nuove norme, un lavoratore mobile dell’UE deve lavorare per un periodo minimo di 3 mesi nello Stato membro ospitante prima di aver diritto a percepire le indennità di disoccupazione in quel paese. Il CESE ritiene che la proposta di modifica restringa l’accesso alle indennità di disoccupazione per i lavoratori mobili nello Stato membro ospitante rispetto alle norme in vigore (in base alle quali è sufficiente aver lavorato un solo giorno per fruire di tale diritto). Così facendo, la proposta di fatto ritarda la «totalizzazione dei periodi» (indipendentemente da quale sia l’ultimo luogo di residenza dell’interessato) che conferisce il diritto a percepire le indennità. Da un lato, questo potrebbe incidere negativamente sulla motivazione alla mobilità, ma, dall’altro, può rendere le norme più eque per i paesi di destinazione.

5.7.

In base alle nuove norme proposte, il periodo minimo durante il quale le persone in cerca di lavoro possono «esportare» le indennità di disoccupazione maturate in un determinato paese verso un altro Stato membro sarà esteso dagli attuali 3 ad almeno 6 mesi, mentre il regolamento in vigore lascia decidere allo Stato membro che esporta le indennità se concedere un periodo di 3 o di 6 mesi. A giudizio del CESE, con questa proposta di modifica la Commissione riconosce quanto difficile sia trovare in breve tempo un posto di lavoro in un altro Stato membro. Tuttavia, per il CESE non è chiaro in che modo la proposta di prorogare il periodo di «esportazione» delle indennità di disoccupazione possa rivelarsi efficace nell’offrire opportunità di impiego alle persone in cerca di lavoro, poiché questo dipende dalla situazione del mercato del lavoro, che è diversa da uno Stato membro all’altro. Il CESE inoltre dubita che questa proposta sia veramente utile in un periodo in cui il tasso di disoccupazione, in particolare giovanile, continua ad essere elevato in parecchi Stati membri.

5.8.

Il CESE ritiene che le nuove norme proposte non rimedino alle attuali carenze osservabili in un sistema di sicurezza sociale coordinato concepito in origine per Stati membri con livelli di parità di potere d’acquisto e sistemi di sicurezza sociale relativamente simili. Sono pertanto necessarie misure più efficaci per realizzare una convergenza per quanto riguarda la durata delle indennità di disoccupazione, l’importo delle indennità percepite e il periodo di totalizzazione ai fini dell’ottenimento delle indennità di disoccupazione. Pervenire ad una simile convergenza contribuirebbe a migliorare e a facilitare il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale; tuttavia, il presente parere non è la sede per affrontare la questione di come riuscire ad ottenerla. Perlomeno in linea di principio, le nuove norme proposte riguardo all’«esportazione» delle indennità di disoccupazione rafforzano la cooperazione tra i servizi pubblici per l’impiego (SPI) a tutti i livelli. La modifica proposta farà chiarezza sul fatto che il servizio per l’impiego dello Stato membro ospitante ha l’obbligo di sostenere le persone in cerca di lavoro mediante attività di ricerca di un posto di lavoro, ed è inoltre tenuto a monitorare e a riferire sulle attività delle persone in cerca di lavoro allo Stato membro responsabile del versamento delle indennità di disoccupazione. Tuttavia, il CESE ritiene che i servizi pubblici per l’impiego dovrebbero fare di più per aiutare le persone mobili in cerca di lavoro a trovare posti di lavoro non precari (soprattutto tenuto conto del periodo di tempo limitato in cui viene loro consentito di cercare un lavoro), contribuendo così a conseguire una maggiore convergenza, come indicato al punto precedente.

5.9.

Il CESE prende atto del fatto che, nel caso di cittadini mobili dell’UE che si spostano da uno Stato membro ad un altro Stato membro (lo Stato membro ospitante) e che non lavorano né sono attivamente alla ricerca di un lavoro, le nuove norme proposte possono offrire loro l’accesso a determinate prestazioni di sicurezza sociale qualora la persona in questione dimostri di avere un diritto di soggiorno legale ai sensi della normativa UE, diritto che è subordinato al fatto di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi. In altri termini, gli Stati membri devono rispettare le condizioni stabilite dalla direttiva sulla libera circolazione (direttiva 2004/38/CE). I paesi dell’UE dovrebbero inoltre prendere in considerazione i vantaggi derivanti in generale dall’accogliere dei cittadini mobili, incluse le persone inattive e che non versano contributi ai sistemi di sicurezza sociale ma che, in un modo o nell’altro, finiscono comunque per apportare un contributo all’economia (e alla diversità culturale) del paese che li ospita.

5.10.

Difatti, il testo del nuovo considerando 5 ter proposto dalla Commissione stabilisce che «gli Stati membri dovrebbero garantire che i cittadini mobili dell’UE economicamente inattivi abbiano la possibilità di […] disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante […]». Questo significa anche che si dovrebbe consentire ai cittadini mobili dell’UE di contribuire in misura proporzionata ad un regime di assicurazione malattia nello Stato membro che li ospita. Il CESE chiede agli Stati membri di impegnarsi maggiormente per rendere più facilmente praticabile questa opzione da parte di tali cittadini.

5.11.

Il CESE ritiene che nessuna disposizione contenuta nelle nuove norme proposte dovrebbe limitare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e in particolare il diritto alla dignità umana (articolo 1), il diritto alla sicurezza sociale e all’assistenza sociale (articolo 34) e il diritto alla protezione della salute (articolo 35).

5.12.

In conclusione, pur riconoscendo che non è possibile ignorare l’esigenza di un equilibrio tra Stati membri di accoglienza e Stati membri di invio per quanto riguarda la ricerca di lavoro, il CESE perviene alla conclusione che le nuove norme proposte non faciliteranno necessariamente la circolazione delle persone in cerca di lavoro. Le fasce di popolazione più fragili e più deboli delle società europee rimarranno vulnerabili tanto quanto lo sono oggi, cosi come resteranno immutate le divisioni socioeconomiche tra Stati membri dell’UE e all’interno dei singoli paesi.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=751.

(2)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 40.

(3)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/91


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe – L’azione europea a favore della sostenibilità»

[COM(2016) 739 final]

(2017/C 345/15)

Relatore:

Etele BARÁTH

Consultazione

Commissione europea, 8.12.2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

13.12.2016

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

15.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

124/0/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE esprime delusione per la comunicazione in esame che dà l’impressione che tutti gli obiettivi e le esigenze principali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile siano già stati presi in considerazione e affrontati dalle politiche attuali dell’UE. La comunicazione non introduce nelle politiche dell’UE il cambio di paradigma determinato dall’Agenda 2030 verso un nuovo modello di sviluppo che sia economicamente più sostenibile, socialmente più inclusivo ed ecologicamente più sostenibile nel lungo periodo. Come sottolineato dal Centro europeo di strategia politica (1), e anche dal CESE in pareri precedenti, questo cambio di paradigma è assolutamente necessario affinché i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) siano attuati correttamente nell’UE, tenendo conto dell’aumento delle disuguaglianze sociali e degli elevati tassi di disoccupazione che si registrano in Europa, nonché dell’impronta ambientale non sostenibile dell’economia europea.

1.2.

Il CESE ha espresso apprezzamento per la dimostrazione di leadership della Commissione quando è stata definita l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. Ora che si tratta di realizzare i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, il CESE ha l’impressione che da parte dell’UE tale leadership non sia esercitata in modo concreto, dal momento che l’UE non ha presentato una tabella di marcia ambiziosa per l’attuazione degli OSS entro il 2030 e non ha dimostrato la volontà di sottoporre le sue politiche attuali a un esame critico e di modificarle.

1.3.

Finora non è stata utilizzata l’opportunità, offerta dall’Agenda 2030, di sviluppare un discorso nuovo, proattivo, trasformativo e positivo per l’Europa, come è stato chiesto dal CESE, dal Parlamento europeo e da numerose voci della società civile: una nuova visione di un’Europa più sostenibile e socialmente inclusiva, che apporti benefici ai suoi cittadini e non lasci indietro nessuno; una visione lungimirante, fondata sui valori che hanno fatto dell’Europa un modello di successo: solidarietà e diritti umani, giustizia sociale ed uguaglianza, democrazia e partecipazione, imprenditorialità e responsabilità ambientale. Né il Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa né la dichiarazione di Roma in occasione del 60o anniversario dell’UE riconoscono in maniera adeguata il valore dello sviluppo sostenibile per i cittadini europei.

1.4.

Il CESE si rammarica del fatto che la Commissione non abbia avviato un processo partecipativo risultante in una strategia generale e integrata per un’Europa sostenibile nel 2030 e oltre. Si tratta di una strategia indispensabile per garantire la necessaria prospettiva a lungo termine, il coordinamento e la coerenza delle politiche per l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Tale strategia dovrebbe far parte di un nuovo quadro politico strategico unico e a lungo termine per il periodo successivo al 2020.

1.5.

Il CESE è preoccupato per la mancanza di coordinamento tra l’UE e gli Stati membri nell’attuazione dell’Agenda 2030. La suddetta strategia generale deve fungere da quadro comune per un’azione coordinata.

1.6.

Il CESE esprime apprezzamento per il lavoro che la Commissione ha realizzato nell’individuare il contributo che le dieci priorità della Commissione possono apportare all’attuazione dell’Agenda 2030, pur sottolineando che la panoramica delle politiche dell’UE eseguita nel quadro degli OSS deve essere integrata da un’analisi approfondita delle lacune concrete che si palesano attualmente nell’UE in tema di realizzazione degli OSS. Soltanto una verifica oggettiva consentirà all’UE di individuare i settori in cui è necessaria un’azione preliminare e di procedere a un esame critico dell’efficacia delle attuali politiche dell’UE per l’attuazione degli OSS.

1.7.

Il CESE accoglie con favore la decisione della Commissione di istituire una piattaforma multilaterale sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nell’UE (2). Il CESE sottolinea la necessità di garantire che i soggetti non governativi possano partecipare a questa piattaforma cooperando con i rappresentanti istituzionali su un piano di parità, al fine di trasferire l’approccio multipartecipativo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite nella politica dell’UE in materia di sviluppo sostenibile. La piattaforma deve coinvolgere un’ampia gamma di soggetti non governativi nell’intero ciclo di attuazione degli OSS nell’UE, dall’elaborazione di nuove iniziative politiche, di strategie a lungo termine e di attività di sensibilizzazione, fino al riesame e al monitoraggio dell’attuazione delle politiche e allo scambio delle buone pratiche. La piattaforma dovrebbe inoltre agevolare la cooperazione multilaterale e i partenariati. Il CESE sosterrà il lavoro della piattaforma nominando un membro incaricato di rappresentare il CESE nella piattaforma stessa e di fornire consulenza, nonché facilitando il contatto con la società civile e contribuendo con altre attività.

1.8.

Per quanto riguarda la promozione dello sviluppo sostenibile, il CESE ritiene che il quadro finanziario pluriennale post 2020 debba essere allineato alle priorità di sviluppo sostenibile dell’UE. L’UE dovrebbe aumentare in misura significativa la quota delle risorse proprie e delle entrate, e dovrebbe rendere l’attuazione più efficace ed efficiente.

1.9.

Il CESE considera essenziale introdurre, in aggiunta all’indicatore PIL, comunemente accettato e che finora si è dimostrato adeguato, altri indicatori in grado di misurare non solo la crescita economica, ma anche i suoi effetti e risultati in relazione al benessere dei cittadini e all’ambiente (3). Infatti, solo attuando e monitorando cambiamenti sociali e ambientali complessi si può garantire la sostenibilità del processo di sviluppo auspicato nel periodo che va fino al 2030.

2.   Introduzione

2.1.

Con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, adottata nel 2015, i leader mondiali hanno convenuto un piano d’azione ampio e senza precedenti per mettere fine alla povertà, proteggere il pianeta, garantire i diritti umani e la prosperità per tutti. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) per il 2030 richiedono cambiamenti trasformativi da parte di tutti i paesi, sia sviluppati che in via di sviluppo.

2.2.

Sulla base dell’esito di una serie di conferenze, nel 2016 il CESE ha elaborato tre diversi pareri (4) in cui presenta le sue raccomandazioni per l’attuazione dell’Agenda 2030 nell’UE.

2.3.

Con la comunicazione intitolata Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe  (5), la Commissione ha esposto il suo approccio all’attuazione dell’Agenda 2030 nell’ambito delle politiche interne ed esterne dell’UE. La comunicazione è corredata di diversi altri documenti, in particolare una comunicazione in merito a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo e una comunicazione in merito a un partenariato rinnovato con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. In merito a queste ultime due comunicazioni, il CESE ha espresso il suo punto di vista in due pareri distinti (6).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Come si legge nell’introduzione alla comunicazione in esame, l’UE «è fermamente decisa a fare da apripista […] per quanto riguarda l’attuazione dell’Agenda 2030» (7).

3.2.

Tuttavia, la Commissione non ha raccolto la sfida di assumere un ruolo guida presentando una tabella di marcia ambiziosa per l’attuazione degli OSS.

3.3.

La comunicazione non raggiunge la finalità, annunciata nel programma di lavoro della Commissione per il 2016, di «presentare una nuova strategia per garantire la crescita economica e la sostenibilità sociale e ambientale oltre l’orizzonte temporale del 2020» e di applicare in maniera integrata gli OSS nelle politiche interne ed esterne dell’UE.

3.4.

Secondo la comunicazione in esame, la risposta dell’UE all’Agenda 2030 si concretizza in due assi di intervento: piena integrazione degli OSS nelle politiche attuali dell’UE e riflessione in merito alla loro attuazione a lungo termine al di là del 2020.

3.5.

Il CESE riconosce gli sforzi compiuti dalla Commissione, ed esposti nella comunicazione, per collegare gli OSS con le attuali politiche dell’UE e le dieci priorità di lavoro della Commissione. Tuttavia, la comunicazione si concentra troppo sugli affari correnti delle politiche dell’UE. Per la Commissione l’Agenda 2030 non costituisce un invito a riesaminare in modo critico le proprie politiche e a modificarle. La comunicazione non riflette il cambio di paradigma che gli OSS implicano (8): «un nuovo modello di sviluppo che sia economicamente più sostenibile, socialmente più inclusivo ed ecologicamente più sostenibile nel lungo periodo e in grado di garantire un’equa ripartizione delle risorse del nostro pianeta con una popolazione mondiale in crescita» (9).

3.6.

Finora né la Commissione né il Consiglio hanno utilizzato l’opportunità, offerta dall’Agenda 2030, di sviluppare un discorso nuovo, proattivo, trasformativo e positivo per l’Europa, come è stato chiesto dal CESE, dal Parlamento europeo (10) e da numerose voci della società civile: una nuova visione di un’Europa più sostenibile e socialmente inclusiva, che apporti benefici ai suoi cittadini e non lasci indietro nessuno (11). Né il Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa né la dichiarazione di Roma dei leader di 27 Stati membri e della Commissione, del Consiglio europeo e del Parlamento europeo in occasione del 60o anniversario dell’UE rispecchiano in misura sufficiente il valore di uno sviluppo sostenibile a lungo termine per i cittadini europei e la necessità che l’Europa consegua dei risultati in questo campo.

3.7.

Inoltre, la comunicazione in esame non fornisce il quadro necessario e urgente per i futuri interventi intesi ad attuare l’Agenda 2030. A tutt’oggi la Commissione non prevede di avviare un processo partecipativo volto a elaborare una strategia generale e integrata per un’Europa sostenibile nel 2030 e oltre, come richiesto dal CESE (12). Attualmente, i quadri strategici europei hanno il 2020 come orizzonte. Ciò è inaccettabile, non solo alla luce dell’orizzonte temporale del 2030 fissato dall’agenda delle Nazioni Unite e della prospettiva ad ancora più lungo termine dell’accordo di Parigi sul clima, ma anche in considerazione della lunga durata dei processi di modernizzazione economica e sociale. Occorrerebbe elaborare un’unica strategia generale per il periodo successivo al 2020, sulla base delle dieci priorità di lavoro della Commissione europea, della strategia Europa 2020 con le sue sette iniziative faro, e degli 11 obiettivi tematici della politica di coesione dell’UE, e integrarvi il quadro finanziario pluriennale post 2020.

3.8.

La Commissione non applica pienamente l’approccio multilaterale delineato nell’Agenda 2030. A differenza della procedura che ha portato all’adozione dell’Agenda 2030, l’approccio della Commissione finora non è stato molto trasparente e inclusivo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.    Panoramica delle politiche europee che contribuiscono agli OSS (sezione 2.1 della comunicazione)

4.1.1.

Questa panoramica appare come una mera formalità burocratica: si tratta di un elenco di politiche dell’UE che in un modo o nell’altro affrontano questioni collegate ai 17 OSS. L’analisi tracciata dalla Commissione non rispecchia adeguatamente le realtà dell’Europa e non giustifica la sua conclusione secondo cui tutti i 17 OSS sono affrontati attraverso azioni europee, dal momento che non è stata effettuata alcuna valutazione per stabilire se tali politiche siano effettivamente efficaci o indebolite da misure contrastanti. Si afferma ad esempio che la strategia UE 2020 risponde agli OSS sulla povertà e sulla disuguaglianza, senza però segnalare che i principali obiettivi della strategia Europa 2020 in materia non saranno raggiunti.

4.1.2.

La panoramica delle politiche dell’UE dev’essere quindi integrata da un’analisi dettagliata delle lacune, per valutare la reale posizione dell’UE riguardo all’attuazione degli OSS (13). Soltanto una verifica sul campo consentirebbe ai responsabili delle politiche europee di individuare le corrette priorità per l’attuazione degli OSS. Le conclusioni che la Commissione ha tratto dalla panoramica mancano di credibilità e non sono basate su elementi di fatto.

4.1.3.

La presentazione della comunicazione ha coinciso con la pubblicazione, da parte di Eurostat, di un primo resoconto statistico della situazione attuale negli Stati membri dell’UE per quanto concerne gli OSS (14). Tuttavia, la Commissione non ha fatto alcun tentativo di creare i necessari collegamenti tra la panoramica, i dati statistici e l’individuazione delle priorità politiche per l’attuazione degli OSS.

4.1.4.

Il CESE spera che l’introduzione di un quadro completo di monitoraggio per l’attuazione degli OSS nell’UE consentirà di adottare un’impostazione maggiormente basata sui fatti nell’individuazione delle principali lacune e sfide per l’UE riguardo all’agenda 2030.

4.1.5.

Come il CESE ha già puntualizzato, i settori nei quali l’UE deve fare gli sforzi maggiori per attuare gli OSS sono la riduzione della sua impronta ambientale e la creazione di un’Europa socialmente più inclusiva: OSS 12 (consumo e produzione sostenibili); OSS 13 (azione per il clima); OSS 14 e 15 (preservazione dell’ecosistema); OSS 2 (agricoltura sostenibile); OSS 9 (investire nelle infrastrutture e nell’innovazione); OSS 10 (ridurre le disuguaglianze); OSS 8 (lavoro e occupazione dignitosi); OSS 1 (riduzione della povertà); OSS 5 (parità di genere); OSS 4 (istruzione) (15).

4.2.    Il contributo delle dieci priorità della Commissione all’Agenda 2030 (sezione 2.2 della comunicazione)

4.2.1.

La comunicazione in esame dimostra in che modo le dieci priorità di lavoro della Commissione possano contribuire ad attuare gli OSS. Tuttavia, la Commissione dovrebbe anche avere il coraggio di rivedere/adeguare le sue priorità di lavoro, se del caso, al fine di sfruttare appieno le potenziali sinergie con le azioni volte ad attuare gli OSS.

4.2.2.

Il CESE ritiene che bisognerebbe prestare maggiore attenzione alla dimensione culturale dello sviluppo sostenibile e al ruolo della comunicazione nella promozione dell’Agenda 2030.

4.3.    Governance (sezione 3.1 della comunicazione)

4.3.1.

Il CESE raccomanda che, parallelamente alla strategia a lungo termine per l’attuazione dell’Agenda 2030, venga introdotto un quadro per la governance e il coordinamento, al fine di garantire la coerenza tra le misure centralizzate e quelle decentrate e di coinvolgere la società civile organizzata a livello nazionale e regionale.

4.3.2.

Il semestre europeo dovrebbe essere sviluppato, facendone uno strumento di coordinamento verticale a più livelli per l’attuazione degli OSS negli Stati membri (16). Purtroppo, nella sua comunicazione, la Commissione non si avvale della possibilità di sviluppare ulteriormente il semestre europeo in questa direzione.

4.3.3.

Sebbene lo sviluppo sostenibile sia integrato ormai fin dal 2010 nella strategia Europa 2020, secondo il CESE non si è creato un collegamento organico tra gli obiettivi economici, sociali e ambientali. Occorre rafforzare i meccanismi che garantiscono la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile.

4.3.4.

Il CESE accoglie con favore l’approccio più integrato che si evidenzia nella nuova struttura della Commissione e il ruolo di coordinamento del primo vicepresidente nel portare avanti i lavori sull’attuazione degli OSS. Tuttavia, le unità di coordinamento all’interno della Commissione dovranno essere dotate di capacità sufficienti per condurre tali processi con la necessaria determinazione.

4.3.5.

Spetta ai leader dell’UE sfruttare il potenziale per una migliore governance, rafforzare la gestione, comprendere l’importanza di un metodo di coordinamento trasversale rivolto a migliorare le interazioni e, eventualmente, passare il controllo agli attori socioeconomici nel corso della fase di preparazione, in modo da rendere più efficace la «partecipazione». Essi potranno quindi beneficiare delle formidabili forze latenti che entreranno in azione durante il processo di attuazione.

4.3.6.

La comunicazione della Commissione purtroppo non affronta la questione di come riconoscere e migliorare tale processo.

4.4.    Finanziamento (sezione 3.2 della comunicazione)

4.4.1.

Bisogna utilizzare l’elaborazione del quadro finanziario pluriennale per il periodo successivo al 2020 quale opportunità per allineare la spesa dei fondi dell’UE all’attuazione delle priorità di sviluppo sostenibile nell’Unione.

4.4.2.

Condivide il giudizio secondo cui l’UE dovrebbe sviluppare ulteriormente un suo sistema di sostegno finanziario che migliori i risultati economici a livello territoriale, regionale e locale e promuova il bene comune, tenendo al tempo stesso in considerazione le esigenze di sostenibilità. La prosperità economica dovrebbe costituire la base economica degli OSS, ma bisogna introdurre norme che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi sociali e ambientali. Il CESE ritiene che la riforma del sistema fiscale europeo potrebbe consolidare l’aumento delle risorse di bilancio e promuovere una migliore attuazione dell’Agenda 2030.

4.4.3.

La Commissione pone un accento particolare sulle questioni relative al finanziamento sostenibile. Il CESE reputa che sia particolarmente importante creare le giuste condizioni quadro per gli investitori privati e pubblici per i massicci investimenti a lungo termine nell’ammodernamento e nell’innovazione delle infrastrutture, investimenti che sono necessari per agevolare il passaggio a un’economia più sostenibile (17).

4.5.    Valutazione dei progressi (sezione 3.3 della comunicazione)

4.5.1.

Il CESE apprezza l’intenzione della Commissione di svolgere un monitoraggio periodico approfondito degli OSS nel contesto dell’UE, e di ispirarsi a una più ampia varietà di processi di monitoraggio in corso presso la Commissione, le Agenzie, il SEAE e gli Stati membri. Mancano tuttavia informazioni specifiche sulla configurazione di questo sistema di controllo.

4.5.2.

Il CESE si compiace del lavoro svolto dalla DG ESTAT (Eurostat) relativo a una serie di indicatori per monitorare l’attuazione degli OSS nell’UE. Il CESE sottolinea che le decisioni in merito al controllo, e in particolare la definizione degli indicatori hanno notevoli implicazioni politiche. Occorre quindi discutere il continuo sviluppo degli indicatori e consultare in maniera trasparente la società civile.

4.5.3.

Il CESE si aspetta che, dopo la pubblicazione di un regolare rapporto di monitoraggio degli OSS da parte di ESTAT e un lasso di tempo sufficiente per consentire alle organizzazioni della società civile di consultare le rispettive basi, si svolgerà, tramite la piattaforma multilaterale, un dialogo sulle conclusioni derivanti dal processo di monitoraggio e sulle necessarie misure di revisione delle politiche.

4.5.4.

Vari studi del CESE hanno confermato il giudizio secondo cui è essenziale introdurre, in aggiunta all’indicatore PIL, comunemente accettato e che si è dimostrato finora adeguato, un altro indicatore in grado di misurare non solo la crescita economica, ma anche i suoi effetti e risultati (risultato interno lordo). Il monitoraggio del processo di sviluppo auspicato da qui al 2030 deve basarsi su una complessa serie di indicatori economici, sociali e ambientali (18).

4.5.5.

Il quadro di monitoraggio dovrebbe inoltre essere collegato al semestre europeo.

4.5.6.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite impone ai governi di istituire un quadro per il monitoraggio e la revisione, creando così gli strumenti per l’intero ciclo politico di elaborazione, attuazione, monitoraggio e revisione delle strategie. Nella comunicazione in esame, la fase di revisione non è stata presa in considerazione. Ciò può essere dovuto alla mancanza di una strategia e di un piano d’azione generali per l’attuazione degli OSS, che possano essere riesaminati regolarmente.

4.6.    Responsabilità condivisa e approccio multilaterale

4.6.1.

Gli OSS sono un’agenda multilaterale. Essi potranno essere attuati solo se la società civile, le imprese, i sindacati, le comunità locali e le altre parti interessate svolgeranno un ruolo attivo e assumeranno la titolarità del processo. Bisogna garantire processi di governance partecipativa nei quali la società civile sia coinvolta a tutti i livelli: da quello locale e nazionale a quello europeo e di Nazioni Unite. Gli OSS richiedono che le istituzioni e le parti interessate cooperino in modo integrato in diversi settori.

4.6.2.

In base a una recente decisione, la Commissione ha avviato una piattaforma multilaterale sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nell’UE (19). Il CESE accoglie con favore questo nuovo progetto e offre la sua collaborazione per contribuire al successo della piattaforma.

4.6.3.

Il CESE si rammarica tuttavia del fatto che la Commissione, nella sua comunicazione, non abbia risposto alla proposta del CESE di creare un Forum europeo dello sviluppo sostenibile in partenariato con la Commissione stessa, e alle sue raccomandazioni sulla forma da dare a tale forum (20) che erano basate sui risultati delle presentazioni sul forum proposto effettuate nel quadro di convegni, in gruppi di lavoro del Consiglio, alla Commissione e in consultazioni delle parti interessate, in cui i partecipanti hanno espresso sostegno per il forum.

4.7.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione, nella sua decisione che istituisce la piattaforma multilaterale, abbia esteso i compiti di tale piattaforma in relazione al monitoraggio dell’attuazione degli OSS e allo scambio delle buone pratiche, e abbia previsto un ruolo consultivo per i rappresentanti della società civile nel lavoro di riflessione per l’attuazione a lungo termine degli OSS, come anche il coinvolgimento nel monitoraggio e nel riesame delle politiche di attuazione. La piattaforma dovrebbe inoltre agevolare la cooperazione multilaterale e i partenariati. Il CESE ritiene che questo tipo di piattaforma partecipativa debba svolgere un ruolo essenziale nell’ambito di un nuovo tipo di governance europea, che dovrebbe essere caratterizzata da una titolarità condivisa.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  EPSC, Strategic Notes, Sustainability Now! A European Vision for Sustainability (La sostenibilità ora! Una visione europea a favore della sostenibilità), 20 luglio 2016; parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73); parere del CESE sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41).

(2)  C(2017) 2941 final.

(3)  Parere del CESE sul tema Nuove misure per una governance e un’attuazione orientate allo sviluppo: valutazione dei fondi strutturali e d’investimento europei e relative raccomandazioni (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 1); cfr. anche OCSE, Measuring Well-being and Progress (Misurare il benessere e il progresso: ricerche e studi in corso), http://www.oecd.org/statistics/measuring-well-being-and-progress.htm

(4)  Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73); parere del CESE sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’Unione europea (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41); parere del CESE sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58).

(5)  COM(2016) 739 final.

(6)  Parere del CESE sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58).

(7)  COM(2016) 739 final, pag. 3.

(8)  Dobbiamo trasformare le nostre economie, discorso pronunciato dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans al vertice delle Nazioni Unite il 27 settembre 2015.

(9)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41, punto 3.4.

(10)  Risoluzione del 12 maggio 2016 http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2016-0224+0+DOC+XML+V0//IT.

(11)  L’Europa che vogliamo: appello unitario delle organizzazioni della società civile e dei sindacati europei ai leader dell’UE, del 21 marzo 2017, https://concordeurope.org/wp-content/uploads/2017/03/EuropeWeWant_Statement_English_201703.pdf?1855fc; intervento di Solidar sul tema Il nostro futuro comune http://www.solidar.org/en/news/statement-our-common-european-future.

(12)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41, punto 1.5.

(13)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41, punto 1.7.

(14)  Eurostat, Sustainable Development in the European Union (Lo sviluppo sostenibile nell’Unione europea), 2016.

(15)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41, punto 4.1.

(16)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41, punto 1.11; parere del CESE ul tema Analisi annuale della crescita 2017 (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 73).

(17)  Parere del CESE sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE, GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41; cfr. anche il parere del CESE sul tema Libro verde — Il finanziamento a lungo termine dell’economia europea, GU C 327 del 12.11.2013, pag. 11; cfr. inoltre il Libro verde del governo britannico https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/220541/green_book_complete.pdf.

(18)  Cfr. Genuine progress indicator (GPI), Happy Planet index, footprint index ecc.

(19)  C(2017) 2941.

(20)  Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73).


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Comunicazione della Commissione — Piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019»

[COM(2016) 773 final]

(2017/C 345/16)

Relatore:

Cillian LOHAN

Consultazione

Commissione, 27.1.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Ufficio di presidenza

13.12.2016

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

15.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

130/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019 ha un ambito di applicazione troppo limitato per poter fungere da potente motore per il cambiamento radicale dei comportamenti, attraverso le catene di approvvigionamento di beni e servizi, ad un ritmo che rifletta le ambizioni del piano d’azione per l’economia circolare.

1.2.

La progettazione ecocompatibile di prodotti e servizi deve andare al di là delle semplici considerazioni energetiche. Sebbene tali considerazioni siano importanti, occorre concentrarsi sull’intero ciclo di vita dei prodotti, tra cui anche le caratteristiche di durata, la facilità di manutenzione e riparazione, il potenziale di condivisione e digitalizzazione, la possibilità di apportare miglioramenti (upgrading), la facilità di riutilizzo e riciclaggio e l’applicazione effettiva, dopo l’uso, sotto forma di materie prime secondarie nei prodotti immessi sul mercato.

1.3.

La progettazione ecocompatibile deve tenere conto dei principi dell’economia circolare, nel contesto della digitalizzazione e dell’economia della condivisione e della funzionalità, al fine di garantire coerenza tra le diverse strategie destinate a produrre un nuovo modello economico.

1.4.

I componenti di un prodotto dovrebbero essere facilmente recuperabili per il riutilizzo e/o la rifabbricazione e fungere da volano per la creazione di un solido mercato delle materie prime secondarie.

1.5.

I requisiti in materia di etichettatura possono stimolare un miglioramento delle strategie di progettazione ecocompatibile e aiutare i consumatori nel processo decisionale, divenendo in tal modo un motore per il cambiamento dei comportamenti. L’etichettatura dovrebbe indicare anche l’aspettativa di vita dei prodotti e/o dei suoi componenti principali.

1.6.

Il CESE ribadisce il proprio sostegno all’utilizzo dei regimi di responsabilità estesa del produttore, come strumento per promuovere il passaggio a modelli imprenditoriali di economia circolare, e sottolinea come anche in questo modo si possa contribuire alla promozione della progettazione ecocompatibile.

2.   Contesto

2.1.

Il piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019 (in prosieguo: «il Piano») contribuisce alla nuova iniziativa della Commissione sull’economia circolare. L’obiettivo principale è promuovere una transizione verso un modello di economia circolare che tenga conto dell’intero ciclo di vita dei prodotti e dei relativi materiali.

2.2.

Questo nuovo piano di lavoro si basa su due precedenti piani di lavoro sulla progettazione ecocompatibile per i periodi 2009-2011 e 2012-2014. Il contesto legislativo è rappresentato dalle seguenti direttive quadro: 2009/125/CE sulla progettazione ecocompatibile e 2010/30/CE sull’etichettatura energetica. L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva sulla progettazione ecocompatibile prevede l’elaborazione di piani di lavoro regolari.

2.3.

Il Piano è stato concepito come strumento per rafforzare la competitività dell’Europa e dare slancio alla creazione di occupazione e alla crescita economica.

2.4.

La prospettiva di una revisione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile o di un aggiornamento del piano di lavoro aveva creato aspettative di un ampliamento dell’ambito di applicazione delle precedenti iniziative sulla progettazione ecocompatibile.

3.   Sintesi del piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile 2016-2019

3.1.

Il quadro legislativo sulla progettazione ecocompatibile e sull’etichettatura energetica ha il duplice scopo (1) di assicurare l’immissione sul mercato di un numero progressivamente maggiore di prodotti ad alta efficienza energetica (attraverso la progettazione ecocompatibile), e di mettere in grado e di incoraggiare i consumatori ad acquistare i prodotti più efficienti sulla base di informazioni utili (attraverso l’etichettatura energetica).

3.2.

Il Piano stabilisce le misure di esecuzione adottate, tra le quali figurano 28 regolamenti sulla progettazione ecocompatibile, 16 regolamenti delegati sull’etichettatura energetica e 3 accordi volontari riconosciuti.

3.3.

Altri campi di attività comprendono una misura di progettazione ecocompatibile per prodotti di riscaldamento e raffreddamento dell’aria, che assumerà la forma di un regolamento, e una serie di modifiche dei regolamenti per migliorare le prove sui prodotti e ridurre le possibilità di frode grazie a una misura di progettazione ecocompatibile ed etichettatura energetica. Tali iniziative sono complementari al Piano e sono citate al suo interno, senza tuttavia essere specificamente contenute in esso.

3.4.

La valutazione e presentazione dei lavori esistenti ed in corso è incentrata sull’etichettatura energetica e sull’introduzione di un elemento di progettazione ecocompatibile unicamente nel contesto dell’efficienza delle prestazioni.

3.5.

All’elenco dei gruppi di prodotti contemplati dai regolamenti esistenti o dal riesame di tali regolamenti sono state aggiunte le seguenti nuove categorie:

sistemi di automazione e controllo per l’edilizia,

bollitori elettrici,

asciugamani elettrici,

ascensori,

pannelli solari e invertitori,

contenitori refrigerati,

pulitori ad alta pressione.

4.   Principi di progettazione ecocompatibile

4.1.

La progettazione ecocompatibile può contribuire a dissociare la crescita economica dal consumo di risorse attraverso un minore utilizzo di materiali e di energia, tassi di riciclaggio più elevati e una ridotta produzione di rifiuti (2). Il potere di un modello di economia circolare consiste nel fatto che la creazione di prosperità economica, benefici sociali e vantaggi ambientali procedono di pari passo. La progettazione ecocompatibile può essere un fattore trainante importante per la sostenibilità sociale.

4.2.

La direttiva sulla progettazione ecocompatibile, pur essendo stata impiegata per il miglioramento dell’efficienza energetica dei prodotti, potrebbe anche essere utilizzata più intensivamente per stimolare la progettazione circolare di prodotti, ad esempio escludendo strategie di progettazione che impediscano la riparazione o la sostituzione di parti difettose (3).

4.3.

La progettazione ecocompatibile consente di realizzare sistemi di prodotti-servizi e prodotti con minori risorse, usando risorse rinnovabili e riciclate ed evitando materiali pericolosi, e utilizzando componenti più duraturi e più facili da gestire in termini di manutenzione, riparazione, aggiornamento e riciclaggio. È possibile distinguere due approcci: la riprogettazione di prodotti basata su miglioramenti incrementali ai prodotti esistenti e una nuova progettazione di prodotti che mira a sviluppare nuovi prodotti efficienti sotto il profilo delle risorse che possono essere riparati, aggiornati e riciclati (4). L’attuazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile, fino a questo momento, ha privilegiato il primo approccio incrementale, mentre ora dovrebbe intensificare l’applicazione del secondo approccio, in combinazione con lo sviluppo di un’adeguata etichettatura riveduta, e attraverso il sostegno del lavoro che stanno svolgendo in questi settori le organizzazioni europee di normazione.

4.4.

Un elemento importante della progettazione circolare consiste nel fatto che un prodotto può diventare un servizio con uno spostamento dell’attenzione dalla proprietà all’utilizzo, dalla vendita di un prodotto alla stipulazione di un contratto basato sui risultati, ad esempio nel caso del sistema di prodotto-servizio (PSS) o degli accordi sul livello dei servizi (ALS).

4.5.

Nel settore dell’agricoltura e della produzione alimentare, occorre osservare che i sistemi di produzione alimentare sostenibili, in particolare quelli biologici, sono un esempio sia di circolarità che di progettazione ecocompatibile.

4.6.

L’iniziativa congiunta recentemente varata dalla Commissione europea e dal CESE, sull’istituzione di una piattaforma multilaterale delle parti interessate per l’economia circolare europea può facilitare la mappatura delle buone pratiche nel settore e individuare gli ostacoli politici alla transizione verso la progettazione ecocompatibile.

5.   Lacune e omissioni

5.1.    Approccio integrato

5.1.1.

La progettazione ecocompatibile di prodotti e servizi deve andare al di là delle semplici considerazioni energetiche. Sebbene tali considerazioni siano importanti, occorre concentrarsi sull’intero ciclo di vita dei prodotti, tra cui anche le caratteristiche di durata, la facilità di manutenzione e riparazione, il potenziale di condivisione e digitalizzazione, la possibilità di upgrading, la facilità di riutilizzo e riciclaggio e l’applicazione effettiva, dopo l’uso, sotto forma di materie prime secondarie nei prodotti immessi sul mercato. La progettazione ecocompatibile deve far parte di un approccio integrato, in cui sia l’efficienza energetica che le prestazioni dei prodotti siano considerate in combinazione e su un piano di parità con l’efficienza e le prestazioni in termini di risorse e materiali.

5.1.2.

Il Piano attuale riconosce le limitazioni di un approccio incentrato principalmente sul rendimento energetico. La necessità di una più ampia strategia in materia di progettazione ecocompatibile appare quindi evidente, per motivi sia di coerenza che di chiarezza. La direttiva sulla progettazione ecocompatibile non si limita alle prestazioni energetiche dei prodotti connessi all’energia, ma prende in esame anche il più ampio ambito di applicazione delle componenti fisiche di tali prodotti, nonché il maggiore impatto, anche in termini di costi, di una mancanza di efficienza delle risorse.

5.1.3.

I principi dell’economia circolare presuppongono prodotti durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili. La progettazione ecocompatibile deve integrare tali principi nel contesto della digitalizzazione e dell’economia della condivisione (5) e della funzionalità (6), al fine di garantire coerenza tra le diverse strategie destinate a produrre un nuovo modello economico (7). L’attuale mancanza di coerenza rischia infatti di creare incertezza nel settore imprenditoriale e di frenare conseguentemente l’innovazione o gli investimenti nei modelli d’impresa che si basano su un modello di economia circolare più completo. Tale situazione favorisce inoltre sviluppi che puntano a un’efficienza dal punto di vista delle risorse a costo di un eccessivo consumo energetico e viceversa. I criteri di selezione dei prodotti, finora basati sull’inefficienza energetica, dovrebbero essere da ora in poi ampliati, in modo da includere anche prodotti e servizi caratterizzati da un’elevata inefficienza sotto il profilo delle risorse.

5.1.4.

Per lo sviluppo di un’economia circolare è essenziale disporre di un solido mercato delle materie prime secondarie. La progettazione ecocompatibile dovrebbe favorire la concezione di prodotti e servizi che consentano la separazione dei componenti di un prodotto: tali componenti dovrebbero cioè essere facilmente recuperabili per il riutilizzo e/o la rifabbricazione. La progettazione dovrebbe consentire, attraverso questo recupero di materie prime secondarie, di immettere sul mercato materiali puliti e di elevata qualità.

5.1.5.

L’utilizzo della progettazione come motore per lo sviluppo di un solido mercato delle materie prime secondarie deve avvenire tenendo conto dell’importanza della durata e modularità anche in sede di progettazione.

5.2.    Cambiamento dei comportamenti

5.2.1.

Una serie di strategie dovrebbero essere utilizzate per modificare il comportamento dei consumatori. La sola etichettatura non sarà infatti sufficiente a determinare un cambiamento di comportamento di ampia portata. I pareri precedenti del CESE hanno già indicato la necessità di utilizzare strumenti economici (8), sistemi di etichettatura per indicare la durata di vita dei prodotti (9) e metodi di economia comportamentale (10), in particolare «pensare in termini di piccoli incentivi» (11) (nudge thinking — approccio della spinta gentile) nel quadro degli strumenti da impiegare per realizzare la transizione.

5.2.2.

La necessità di cambiare i comportamenti non riguarda soltanto i consumatori e gli utenti finali ma anche le imprese, che hanno bisogno di sostegno, in termini di incentivi e certezza di orientamenti politici, per favorire il cambiamento. Questo aspetto assume un’importanza cruciale soprattutto nel settore delle PMI, in cui la formazione e gli strumenti di sostegno possono migliorare la comprensione e l’applicazione dei principi di progettazione ecocompatibile, e garantire che qualunque transizione comporti un’adeguata riallocazione dei lavoratori al fine di ridurre al minimo gli spostamenti.

5.2.3.

Il CESE ribadisce il proprio sostegno all’utilizzo dei regimi di responsabilità estesa del produttore, come strumento per promuovere il passaggio a modelli imprenditoriali di economia circolare, e sottolinea come anche in questo modo si possa contribuire alla promozione della progettazione ecocompatibile.

5.2.4.

Il parere del CESE Pacchetto sull’economia circolare  (12) fa riferimento al ruolo dei nuovi modelli di proprietà, che comprendono i servizi di leasing. In questo modo la progettazione ecocompatibile può anche diventare un imperativo commerciale, con vantaggi sia per l’ambiente che per la società nel suo insieme.

5.3.    Clausole di revisione

5.3.1.

La maggior parte delle misure di esecuzione dell’etichettatura energetica e della progettazione ecocompatibile prevedono clausole di riesame in scadenza nei prossimi anni. Esse prendono specificamente in esame i seguenti aspetti: efficienza delle risorse, riparabilità, riciclabilità e durata dei prodotti.

5.3.2.

Il CESE sottolinea l’importanza di applicare tali principi agli studi in corso dell’elenco di prodotti esistenti e non solo ai nuovi gruppi di prodotti che devono essere inseriti nel presente piano di lavoro.

5.3.3.

L’applicazione di questi principi non dovrebbe essere solo esternalizzata agli esercizi di riesame, ma dovrebbe ora essere anche integrata nel piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile.

5.4.    Adottare un piano di lavoro attuale e pertinente sulla progettazione ecocompatibile

5.4.1.

Il CESE osserva che l’attuale Piano è stato riveduto alla luce del piano d’azione per l’economia circolare. Tuttavia, la consultazione del forum consultivo riguardo alle proposte di un progetto di piano di lavoro sulla progettazione ecocompatibile, come previsto dall’articolo 18 della direttiva sulla progettazione ecocompatibile, è avvenuta a fine ottobre 2015, ovvero prima che fosse varato il piano d’azione per l’economia circolare.

5.4.2.

Il forum consultivo dovrebbe prendere atto della posizione ufficiale assunta dalla società civile organizzata tramite i lavori condotti in seno al CESE.

5.4.3.

I prodotti TIC sono inclusi nel Piano ma esclusivamente come gruppo a sé stante, per il quale viene proposto un «percorso diverso», per via delle complicazioni e delle difficoltà associate alla rapida evoluzione di tali prodotti e all’incertezza sugli sviluppi futuri del mercato. Viene osservato che lo sviluppo del processo di etichettatura per questi prodotti richiede generalmente troppo tempo (in media 4 anni) e che gli accordi volontari non producono benefici ambientali, economici e sociali con sufficiente rigore e rapidità.

5.4.4.

L’indicazione, all’interno del Piano, di un percorso diverso per i prodotti TIC è di particolare importanza. Per promuovere l’innovazione nella progettazione ecocompatibile di tali prodotti, servono orientamenti e obiettivi precisi per il settore. Ad esempio, la progettazione ecocompatibile applicata ai telefoni cellulari, li potrebbe far diventare ambasciatori della progettazione ecocompatibile, utilizzando un dispositivo di comunicazione per informare un vasto pubblico sugli aspetti pratici della progettazione ecocompatibile, nonché sulle conseguenze e sui vantaggi che essa comporta.

5.4.5.

L’accordo Energy Star concluso fra l’Unione europea e gli Stati Uniti giungerà a scadenza nel 2018. In base a tale accordo, entrambe le giurisdizioni hanno stabilito le stesse specifiche volontarie di efficienza per le apparecchiature per ufficio. Le nuove dinamiche politiche negli Stati Uniti possono tuttavia comportare dei rischi per quanto riguarda la proroga dell’accordo. La revisione dovrebbe tenere conto dei vantaggi competitivi per le imprese in Europa derivanti da un forte sostegno alla progettazione ecocompatibile. L’UE ha l’opportunità di svolgere un ruolo guida in questo settore. Inoltre, non deve essere sottovalutata l’importanza della reciprocità e degli accordi internazionali ai fini dell’integrazione del concetto di progettazione ecocompatibile.

5.4.6.

Esiste una chiara indicazione che nell’ambito del Piano verrà sviluppata una più ampia sezione dedicata al contributo della progettazione ecocompatibile all’economia circolare. Il riconoscimento della necessità di ampliare il campo di applicazione è accolto con favore, ma il calendario di realizzazione deve essere breve e preciso.

5.4.7.

Lo sviluppo di uno strumentario dell’economia circolare per la progettazione ecocompatibile, come la Circular Design Guide pubblicata di recente dalla Fondazione Ellen MacArthur, può facilitare il cambiamento, ma deve essere sostenuto da una legislazione solida e adeguata, nonché da una ricerca approfondita, un’ampia consultazione delle parti interessate e un sostegno alla normazione. Dal punto di vista sia dei consumatori che delle imprese, il prezzo dei prodotti e gli incentivi economici determineranno la diffusione di tale strumentario. Il principio «chi inquina paga» può sostenere l’affermazione di buone pratiche in questo settore.

5.4.8.

Le sfide in termini di sorveglianza del mercato e cooperazione internazionale non devono essere sottovalutate. Il CESE segnala che è sempre più necessario, a livello di Stati membri, procedere all’attuazione e alla rendicontazione attraverso la sorveglianza del mercato, e osserva che, in mancanza di ciò, potrebbe essere necessario adottare meccanismi di sorveglianza rafforzati a livello nazionale, coordinati direttamente o indirettamente tramite un sistema di sorveglianza a livello dell’UE. L’utilizzo di meccanismi di sorveglianza o di ispezione diversi da quelli comunemente utilizzati per la progettazione ecocompatibile e l’etichettatura energetica è anch’esso un aspetto che potrebbe dover essere preso in considerazione, al fine di ridurre al minimo la presenza di produttori e importatori opportunisti sul mercato dell’UE, e proteggere e premiare gli investimenti realizzati da società che adottano pratiche corrette e trasparenti in materia di progettazione ecocompatibile, etichettatura e comunicazione di informazioni e dichiarazioni sui prodotti.

5.4.9.

L’etichettatura è di fondamentale importanza per i consumatori e la trasparenza, pur non rappresentando una panacea, e può non essere, in particolare, lo strumento più appropriato nei rapporti tra imprese (prodotti/servizi). L’etichettatura, laddove opportuno, dovrebbe tenere conto dell’aspettativa di vita, e non concentrarsi esclusivamente sul rendimento energetico. Agli edifici, ad esempio, oltre a essere attribuito un punteggio elevato per il loro rendimento energetico, potrebbe essere concesso anche un maggiore riconoscimento per i materiali utilizzati nella loro costruzione, così come a prodotti complessi (ad esempio alcuni sistemi di riscaldamento, raffreddamento o ventilazione) potrebbe essere concesso un maggiore riconoscimento per i materiali utilizzati e anche per la loro riparabilità, sostituibilità, durata e riciclabilità.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 6.

(2)  EMF. Towards the circular economy: Opportunities for the consumer goods sector («Verso l’economia circolare: opportunità per il settore dei beni di consumo»), Ellen MacArthur Foundation, 2013. Il documento è disponibile al seguente indirizzo: https://www.ellenmacarthurfoundation.org/assets/downloads/publications/TCE_Report-2013.pdf.

(3)  AEA. Environmental indicator report 2014: Environmental impacts of production-consumption systems in Europe («Relazione sugli indicatori ambientali 2014: impatti ambientali dei sistemi di produzione-consumo in Europa»), Agenzia europea dell’ambiente, 2014. Il documento è disponibile al seguente indirizzo: https://www.eea.europa.eu/publications/environmental-indicator-report-2014

(4)  Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e Università tecnica di Delft. Design for sustainability — A step-by-step approach («Progettazione per la sostenibilità — Un approccio passo per passo»), 2009. Il documento è disponibile al seguente indirizzo:

http://wedocs.unep.org/bitstream/handle/20.500.11822/8742/DesignforSustainability.pdf?sequence=3&isAllowed=y.

(5)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 36.

(6)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 1.

(7)  Agenzia europea dell’ambiente. Circular by design — Products in the circular economy («Progettare in maniera circolare — I prodotti nell’economia circolare»), relazione n. 6-2017, giugno 2017. Il documento è disponibile al seguente indirizzo: https://www.eea.europa.eu/publications/circular-by-design. Il CESE sta attualmente esaminando il potenziale globale di nuovi modelli economici sostenibili in un parere dedicato a tale argomento (SC/048) che sarà adottato nel secondo semestre del 2017.

(8)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1.

(9)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 23.

(10)  Agenzia europea dell’ambiente. Circular by design — Products in the circular economy («Progettare in maniera circolare — I prodotti nell’economia circolare»), op. cit., pag. 31.

(11)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 28.

(12)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare»

[COM(2017) 34 final]

(2017/C 345/17)

Relatore:

Cillian LOHAN

Correlatore:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Commissione europea, 17.2.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

15.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

140/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE sostiene il rispetto della gerarchia dei rifiuti nelle decisioni in materia di gestione dei rifiuti (1), anche per quanto riguarda le opzioni di termovalorizzazione.

1.2.

Andrebbe adottata una strategia coordinata volta a diffondere il messaggio del gradino più alto della gerarchia dei rifiuti, che è innanzitutto la prevenzione della produzione di rifiuti.

1.3.

Il CESE condivide il principio per cui è necessario verificare la sostenibilità dei finanziamenti pubblici dell’UE alla luce degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) (2) e ritiene che qualsiasi finanziamento pubblico dovrebbe contribuire al benessere dei cittadini europei. I finanziamenti pubblici devono inoltre rispettare il principio di non sostenere alcuna attività che danneggi i cittadini.

1.4.

Occorre porre rimedio alle carenze delle direttive esistenti in materia di trattamento dei rifiuti in ogni futuro atto legislativo, al fine di garantire che il passaggio a un modello di economia circolare sia equo, coerente e sistematico.

1.5.

È importante non creare barriere infrastrutturali al conseguimento di tassi di riciclaggio più elevati investendo in processi di termovalorizzazione obsoleti.

1.6.

Sebbene la raccolta differenziata dei rifiuti costituisca una priorità, in particolare per gli Stati membri con una forte dipendenza dalle discariche, ad essa deve corrispondere anche un aumento dei tassi di riciclaggio, in modo che nell’effettuare la transizione verso una migliore circolarità si produca valore.

1.7.

Il fatto che in certi Stati membri vi sia un elevato numero di inceneritori non è coerente con il conseguimento degli obiettivi di riciclaggio più ambiziosi proposti nel piano d’azione per l’economia circolare (3). La sfida è quella di aiutare questi Stati membri a realizzare la transizione dalla dipendenza dall’incenerimento a un’ampia gamma di soluzioni di gestione dei rifiuti, attraverso elementi propri di una politica basata su incentivi e pressioni, tra cui:

l’introduzione di imposte,

la graduale eliminazione dei regimi di sostegno,

l’introduzione di una moratoria sui nuovi impianti e lo smantellamento di quelli più vecchi.

1.8.

La transizione verso un’economia circolare è stata ostacolata nell’UE da una mancanza di segnali di prezzo corretti. Tale stato di cose è aggravato dal persistere di sovvenzioni ingiustificate per i sistemi di produzione non sostenibili, in particolare per il settore dei combustibili fossili (4). Il CESE accoglie con favore il collegamento esplicitamente formulato tra, da un lato, l’accesso ai finanziamenti della politica di coesione e, dall’altro, i piani nazionali di gestione dei rifiuti e il piano d’azione dell’UE per l’economia circolare. Si potrebbe rafforzare il collegamento con il Fondo europeo per gli investimenti strategici.

1.9.

Il biogas offre delle opportunità su molti fronti a livello dell’UE, in riferimento alla creazione di posti di lavoro, alla riduzione delle emissioni, al miglioramento della sicurezza di approvvigionamento del combustibile e altro. Il quadro legislativo e politico più atto a sostenere l’ottimizzazione delle opportunità associate dovrebbe essere elaborato utilizzando gli esempi di buone pratiche rinvenibili negli Stati membri e anche in altri paesi.

1.9.1.

La biodigestione per la produzione di biometano per gli autoveicoli è in linea con l’accordo di Parigi. Una recente valutazione della Commissione (5) mostra che la produzione di biogas nell’Unione europea potrebbe almeno raddoppiare e forse triplicare entro il 2030 rispetto ai livelli attuali.

1.10.

Sono necessari un cambiamento dei comportamenti e una trasformazione sul piano culturale, che si possono realizzare attraverso attività educative a tutti i livelli della società.

2.   Contesto

2.1.

Il 2 dicembre 2015 la Commissione ha adottato un piano d’azione dell’UE per l’economia circolare contenente un’agenda per la trasformazione che prevede la creazione di un numero significativo di nuovi posti di lavoro e presenta un considerevole potenziale di crescita allo scopo di promuovere modelli di consumo e di produzione sostenibili, in linea con gli impegni assunti dall’UE nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. La comunicazione in esame è incentrata sul recupero di energia dai rifiuti e sul suo ruolo nell’economia circolare. La termovalorizzazione è un concetto ampio che include molto più del semplice incenerimento dei rifiuti.

2.2.

L’obiettivo principale della comunicazione è garantire che il recupero di energia dai rifiuti nell’UE sostenga gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e sia pienamente coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE. Inoltre, la comunicazione esamina le possibilità di ottimizzare il ruolo dei processi di termovalorizzazione affinché contribuiscano al conseguimento degli obiettivi previsti dalla strategia dell’Unione dell’energia e dall’accordo di Parigi. Nel contempo, sottolineando l’importanza delle tecnologie di efficienza energetica consolidate, l’approccio alla termovalorizzazione delineato nella comunicazione intende fornire incentivi per l’innovazione e contribuire alla creazione di posti di lavoro permanenti di alta qualità.

2.3.

Il presente parere illustra la posizione del CESE su ciascuna delle tre parti della comunicazione, vale a dire:

la collocazione dei processi di termovalorizzazione nella gerarchia dei rifiuti e il ruolo del sostegno finanziario pubblico,

i processi di termovalorizzazione per il trattamento dei rifiuti residui: trovare il giusto equilibrio,

ottimizzare il contributo dei processi di termovalorizzazione agli obiettivi climatici ed energetici dell’UE nell’economia circolare.

Esso formula inoltre ulteriori considerazioni che meritano di essere incluse dal punto di vista della società civile e sulla base delle attuali posizioni adottate dal CESE.

2.4.

Il CESE sottolinea la necessità di soddisfare i bisogni immediati dell’UE in termini di gestione dei suoi rifiuti nel contesto della normativa in vigore e nell’ambito delle infrastrutture esistenti per la gestione dei rifiuti. Sebbene alcune pratiche subottimali continueranno, il movimento generale a lungo termine va verso un modello a bassa produzione di rifiuti, in cui la prevenzione dei rifiuti, il riutilizzo, la rifabbricazione e il riciclaggio dominano la fase post utilizzo dei flussi di materiali. La sfida consiste nel favorire una transizione equa, rapida e costante, verso gli obiettivi a lungo termine.

2.5.

Con una produzione media di rifiuti urbani pari a circa 480 kg/abitante in tutta l’UE nel 2015, la quantità collocata in discarica può variare da un paese all’altro, passando dai 3 kg del più virtuoso agli oltre 150 kg del meno virtuoso.

3.   Collocazione dei processi di termovalorizzazione nella gerarchia dei rifiuti e ruolo del sostegno finanziario pubblico

3.1.

Il CESE sostiene il rispetto della gerarchia dei rifiuti nelle decisioni in materia di gestione dei rifiuti (6), anche per quanto riguarda le opzioni di termovalorizzazione.

3.2.

È importante osservare che non sempre la termovalorizzazione rappresenta un’opzione in linea con gli obiettivi o i principi dell’economia circolare. Ad esempio, l’incenerimento di rifiuti che avrebbero potuto essere preparati per il riutilizzo o riciclati non è una scelta ottimale in termini di efficienza delle risorse o di migliore utilizzo delle materie prime. Anche il trasporto di rifiuti su grandi distanze con costi energetici elevati al fine di conseguire dei ricavi energetici proporzionalmente inferiori mediante un processo di termovalorizzazione si tradurrebbe in un costo energetico netto e in un corrispondente impatto sul clima. Si possono citare anche altri esempi al riguardo.

3.3.

Il grafico mostra il rapporto tra i processi di termovalorizzazione individuati nella comunicazione e la gerarchia dei rifiuti.

Image

3.4.

La gerarchia dei rifiuti non è di per sé sufficiente a determinare l’idoneità o meno dei processi di termovalorizzazione. Il CESE condivide il principio per cui è necessario verificare la sostenibilità dei finanziamenti pubblici dell’UE alla luce degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e ritiene che qualsiasi finanziamento pubblico dovrebbe contribuire al benessere dei cittadini europei. I finanziamenti pubblici devono inoltre rispettare il principio di non sostenere alcuna attività che danneggi i cittadini.

3.5.

È importante che le carenze della direttiva quadro sui rifiuti non si ritrovino nelle iniziative per l’economia circolare: ad esempio, la possibilità che uno Stato membro venga escluso dagli obblighi di raccolta differenziata a causa di un’incapacità tecnica o finanziaria a metterla in atto. L’accento dovrebbe essere posto sull’impiego di finanziamenti pubblici per superare le difficoltà tecniche, oppure sul ricorso a strumenti di politica economica al fine di rimuovere i vincoli finanziari all’attuazione delle buone pratiche. Per quanto riguarda i materiali contenenti sostanze tossiche, vi sono fondati motivi per preferire lo smaltimento o la valorizzazione energetica rispetto al riutilizzo o al riciclo.

3.6.

La comunicazione rappresenta un considerevole passo avanti rispetto al piano d’azione sull’economia circolare, e indica obiettivi ambiziosi per una maggiore efficienza dei processi di termovalorizzazione, dando un più forte risalto alla gerarchia dei rifiuti come elemento decisivo per la circolarità di diversi processi. Tuttavia, la legislazione su cui si fonda la comunicazione, in particolare la direttiva quadro sui rifiuti, presenta delle carenze ormai consolidate che, se non vengono affrontate, continueranno a creare difficoltà e indeboliranno la comunicazione. Occorre rivedere la classificazione dei rifiuti, magari sulla base delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie negli impianti di termovalorizzazione (ad esempio un pomodoro danneggiato non viene immesso sul mercato, mentre un pomodoro non venduto è un rifiuto), includendo eventualmente anche i fanghi di depurazione urbani per i processi di biodigestione. L’ambizione di affrontare tali questioni nel quadro del piano d’azione per l’economia circolare deve trovare riscontro nelle modifiche legislative necessarie a tutti i livelli pertinenti.

3.7.

La collocazione dei processi di termovalorizzazione nella gerarchia dei rifiuti può essere fuorviante a causa dei vincoli dovuti alle diverse modalità di trattamento dei processi nell’ambito della legislazione. Tale collocazione viene stabilita sulla base alle definizioni che figurano nella normativa piuttosto che tramite un’analisi scientifica dell’impatto effettivo dei processi di termovalorizzazione.

3.8.

Vi sono anche aspetti tecnici della metodologia di calcolo associati alle definizioni e alle soglie definite nella direttiva quadro sui rifiuti. Si tratta dei metodi di calcolo che determinano la collocazione dei diversi processi di termovalorizzazione nella gerarchia dei rifiuti. Tali calcoli dettagliati dovrebbero essere riesaminati dalla Commissione al fine di garantirne la solidità, in particolare nel contesto dell’economia circolare, ma anche rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibile, all’Unione dell’energia e all’accordo di Parigi.

3.9.

Gli obblighi di raccolta differenziata che fanno parte della legislazione europea sui rifiuti (7) hanno un’importanza cruciale per realizzare una migliore gestione dei rifiuti.

3.10.

I progressi tecnologici continuano ad offrire migliori opportunità per massimizzare l’efficienza dei prodotti e dei flussi di energia, portando a soluzioni innovative per processi più efficienti.

3.11.

La progettazione ecocompatibile di beni e servizi, ampliata nel suo campo d’applicazione per essere totalmente inclusiva, come parte di un sistema paneuropeo, si tradurrà in una riduzione al minimo dei rifiuti nel momento in cui si afferma un’economia circolare. L’elemento della progettazione ecocompatibile è essenziale per fornire prodotti modulari puliti, riparabili, riutilizzabili e riciclabili e porterà alla fine all’eliminazione dei rifiuti così come li intendiamo oggi.

3.12.

I punti esposti sopra comporteranno una minore disponibilità di rifiuti indifferenziati come fonte per alimentare gli inceneritori, e quindi le sovvenzioni di cui essi godono a livello nazionale dovrebbero essere gradualmente soppresse e non si dovrebbe più considerare l’idea di nuovi investimenti in questo settore, eccetto quando si tratti di modernizzare le infrastrutture esistenti e renderle più efficienti in termini di risorse e di energia.

4.   Processi di termovalorizzazione per il trattamento dei rifiuti residui: trovare il giusto equilibrio

4.1.

È importante non creare barriere infrastrutturali al conseguimento di tassi di riciclaggio più elevati investendo in processi di termovalorizzazione obsoleti e inefficienti sul piano energetico.

4.2.

Nel 2013 sono stati trasportati 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti (perlopiù combustibile da rifiuti) da uno Stato membro all’altro a fini di recupero di energia (8).

4.3.

Le valutazioni della termovalorizzazione devono essere effettuate tenendo presente questo elemento legato al trasporto, poiché, una volta incluso nella misurazione delle emissioni associate ai diversi approcci alla gestione dei rifiuti, esso può determinare l’impatto effettivo del processo in termini di emissioni.

4.4.

Esiste un divario geografico in Europa in termini di distribuzione di inceneritori. La Germania, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Svezia e l’Italia hanno la maggior parte degli inceneritori attivi in Europa. In generale, molti Stati membri continuano a dipendere eccessivamente dalle discariche. È necessario che questa situazione cambi, se si vuole rispondere alle nuove sfide e ai nuovi obiettivi delineati nella legislazione sui rifiuti collegata al piano d’azione per l’economia circolare.

4.5.

Gli Stati membri che presentano una forte dipendenza dalle discariche e un livello basso o nullo di incenerimento dovrebbero concentrarsi innanzitutto sulla raccolta differenziata. La raccolta differenziata alla fonte è di fondamentale importanza per fornire rifiuti di buona qualità che presentino un valore elevato per il riciclaggio, e va pertanto incoraggiata.

4.6.

Tuttavia, vi sono molti esempi a livello degli Stati membri in cui a tassi elevati di raccolta differenziata non corrispondono tassi di riciclaggio proporzionati. Per affrontare quest’apparente contraddizione, occorrono strumenti politici mirati.

4.7.

La comunicazione invita i governi nazionali a rivolgere il sostegno e le strategie di finanziamento verso opzioni diverse dagli inceneritori, esaminando i periodi di ammortamento, la disponibilità di materie prime per alimentare il funzionamento di nuovi inceneritori e le capacità nei paesi vicini.

4.8.

Utilizzare l’inceneritore di un paese vicino potrebbe rappresentare l’opzione migliore in alcuni casi, ma prima di scegliere un simile approccio andrebbe effettuata l’analisi del ciclo di vita completo compresi, in particolare, i costi di trasporto associati, sia quelli economici che quelli ambientali.

4.9.

A parte alcune circostanze molto particolari e gli sviluppi tecnologici, è improbabile che la scelta di incenerire possa rappresentare la soluzione più efficiente sotto il profilo delle risorse o quella che rappresenta la buona pratica per affrontare le sfide in materia di gestione dei rifiuti.

4.10.

Il fatto che in certi Stati membri vi sia un elevato numero di inceneritori non è coerente con il conseguimento di obiettivi di riciclaggio più ambiziosi. La sfida consiste nel fare in modo che questi Stati membri abbandonino le pratiche di incenerimento attraverso elementi propri di una politica basata su incentivi e pressioni, tra cui:

l’introduzione di imposte,

la graduale eliminazione dei regimi di sostegno,

l’introduzione di una moratoria sui nuovi impianti e lo smantellamento di quelli più vecchi.

4.11.

Il CESE sottolinea che la scelta di istituire un’imposta generale sull’incenerimento senza fornire alternative accessibili e abbordabili per l’utente finale si tradurrà semplicemente in costi più elevati per i civili. Il ricorso alle imposte come strumento economico deve essere mirato e intelligente.

4.12.

Vi deve essere una procedura efficace in ciascuno Stato membro per la domanda e l’assegnazione di permessi per svolgere attività di gestione dei rifiuti.

5.   Ottimizzare il contributo dei processi di termovalorizzazione agli obiettivi climatici ed energetici dell’UE nell’economia circolare

5.1.

Il CESE concorda sul fatto che solo rispettando la gerarchia dei rifiuti la termovalorizzazione può massimizzare il contributo dell’economia circolare alla decarbonizzazione, conformemente alla strategia dell’Unione dell’energia e all’accordo di Parigi. La biodigestione per la produzione di biometano per gli autoveicoli è in linea con l’accordo di Parigi. I veicoli alimentati a biometano possono rappresentare uno strumento efficace per contribuire alla decarbonizzazione dei trasporti in Europa.

5.2.

Al fine di ottimizzare il contributo dei processi di termovalorizzazione agli obiettivi climatici ed energetici dell’UE nell’ambito dell’economia circolare, è necessario garantire che siano impiegate le tecniche e le tecnologie più efficienti quando sono necessari processi di termovalorizzazione. Ciò è in linea con le modifiche proposte dalla Commissione alla direttiva sulle energie rinnovabili; tuttavia, la conformità a questi criteri andrebbe incoraggiata per tutti i nuovi impianti, indipendentemente dalle dimensioni, compresi gli impianti più piccoli di potenza inferiore a 20 MW.

5.3.

La tassazione sulla raccolta dei rifiuti ha un impatto sempre crescente sulle risorse delle famiglie e delle imprese; essa dovrebbe pertanto essere utilizzata in modo lungimirante e tenendo presente la protezione dell’ambiente.

5.4.

Il settore pubblico e quello privato dovrebbero avere la possibilità di collaborare su progetti a lungo termine, allo scopo di rendere più concreta una cultura di circolarità. Anche la responsabilità sociale delle imprese può svolgere un ruolo importante nella transizione verso opzioni di gestione più sostenibile dei rifiuti.

5.5.

La transizione verso un’economia circolare è stata ostacolata nell’UE da una mancanza di segnali di prezzo corretti. Tale stato di cose è aggravato dal persistere di sovvenzioni ingiustificate per i sistemi di produzione non sostenibili, in particolare per il settore dei combustibili fossili (9). Il CESE accoglie con favore il collegamento esplicitamente formulato tra, da un lato, l’accesso ai finanziamenti della politica di coesione e, dall’altro, i piani nazionali e regionali di gestione dei rifiuti e il piano d’azione dell’UE per l’economia circolare.

5.6.

Si potrebbe rafforzare il collegamento ai finanziamenti del Fondo europeo per gli investimenti strategici per garantire che tali investimenti siano rivolti in via prioritaria alle opportunità che promuovono gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare. Potrebbero essere studiate premialità per creare la giusta filiera a valle degli impianti, come la distribuzione dei carburanti e/o delle materie prime secondarie o nel creare ulteriori prodotti da poter utilizzare.

6.   Altre opportunità

6.1.    Biometano

6.1.1.

Le opzioni per produrre biogas tramite digestione anerobica sono menzionate nella comunicazione della Commissione. Si tratta di un’opportunità per diversi Stati membri, che dovrebbe essere ulteriormente sviluppata. Una recente valutazione della Commissione (10) mostra che la produzione di biogas nell’Unione europea potrebbe almeno raddoppiare e forse triplicare entro il 2030 rispetto ai livelli attuali.

6.1.2.

Il biogas è un modello che funziona in modo efficace in molti Stati membri, in particolare in Italia e Germania. In quanto esempi efficaci, questi paesi possono anche offrire importanti insegnamenti relativi agli aspetti pratici dell’attuazione.

6.1.3.

Attualmente, il costo del biometano è superiore a quello del metano fossile. Tuttavia, l’uso del biometano è giustificato dai costi indiretti generati dagli agenti cancerogeni e mutageni — ad esempio, i NOx e i fumi di petrolio prodotti dai combustibili fossili (11).

6.1.4.

Soprattutto, il costo eventualmente più elevato del biometano è in linea con gli obiettivi sanciti dall’accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dai combustibili tradizionali (12).

6.1.5.

È fondamentale che le materie prime utilizzate nella digestione anaerobica abbiano un impatto indiretto modesto o addirittura nullo sul cambiamento d’uso della terra e non influiscano in modo negativo sulla produzione alimentare. La scelta migliore consiste nel collocare gli impianti di produzione di biogas in prossimità di una fonte di materie prime (principalmente rifiuti agricoli), considerandoli come una soluzione alle esigenze in termini di gestione dei rifiuti e in materia di energia. Bisogna evitare di costruire digestori anaerobici e, di conseguenza, creare la domanda per un’ulteriore fornitura di materie prime, che siano colture o rifiuti.

6.1.6.

L’ubicazione dell’impianto a biogas è di fondamentale importanza. È necessario garantire un uso identificato efficiente dell’energia prodotta affinché tale energia, generata in modo efficiente, non venga poi sprecata. È inoltre fondamentale osservare che i digestori anaerobici non sono una soluzione generale per tutte le regioni agricole dell’UE e che se ne dovrebbe limitare la promozione a quelle aree in cui vi è una materia prima pronta che, come rifiuto, costituisce un problema.

6.1.7.

Tuttavia, lo sviluppo di un’infrastruttura di produzione e utilizzo di biogas adeguatamente pianificata può essere un metodo molto efficace per gestire i rifiuti agricoli, poiché permette di gestire sostanze potenzialmente dannose per l’ambiente e di agevolare uno smaltimento sicuro. In questo modo, inoltre, si può contribuire a rispondere alle esigenze delle comunità in termini di riscaldamento e carburanti per i trasporti.

6.1.8.

La digestione anaerobica può aiutare ad affrontare questioni di salute pubblica, fornire fertilizzanti per i terreni, ridurre le emissioni e costituire un esempio pratico di circolarità.

6.1.9.

La sua efficacia può essere ottimizzata applicando i principi dell’economia circolare, in particolare il concetto di circuiti brevi, in cui la materia prima per il digestore è di provenienza locale e l’energia prodotta viene utilizzata a livello locale (con un’eccezione nel caso in cui il combustibile venga impiegato come gas per gli automezzi pesanti). Gli investimenti devono sostenere l’obiettivo di ridurre il trasporto di rifiuti avvicinandolo il più possibile a zero km.

6.1.10.

Si dovrebbero analizzare ed evidenziare gli stimoli occupazionali ed economici che potrebbero derivare dallo sviluppo di un elemento di biogas integrato in un mix energetico nazionale o regionale. Andrebbero prese in considerazione anche delle opzioni per semplificare e accelerare le procedure amministrative che autorizzano la costruzione dei progetti di digestori di biorifiuti.

6.1.11.

Il sostegno politico ed economico ai progetti che soddisfano tutti i criteri promuoverà l’innovazione e può essere uno dei tanti strumenti in grado di favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

6.1.12.

È opportuno completare la revisione del mandato M475 da parte del CEN per poter immettere nella rete del gas naturale il biometano prodotto da fonti oggi non permesse quali gas di discarica e gas residuati dai processi di depurazione, da fanghi, da rifiuti urbani e non urbani indifferenziati. Tale biometano è già facilmente disponibile.

6.1.13.

Il Fondo europeo per gli investimenti strategici è determinante per la realizzazione dei processi di biodigestione che non sono finanziariamente autonomi.

6.1.14.

Incentivi del tipo di quelli tradizionalmente utilizzati per il settore dei combustibili fossili dovrebbero essere usati per incoraggiare l’uso di veicoli alimentati a biogas. Tali incentivi dovrebbero andare a beneficio dell’utente finale offrendo soluzioni di trasporto alternative a un costo ragionevole e accessibili per il consumatore.

6.2.    Cambiamento culturale e istruzione

6.2.1.

Occorre riconoscere la sfida costituita dalle differenze culturali. Il cambiamento dei comportamenti riguardanti la separazione dei rifiuti alla fonte dovrebbe essere affrontato come un’esigenza di cambiamento culturale. Per raggiungere tale obiettivo possono essere utilizzati molti strumenti, non ultimo il «pensare in termini di piccoli incentivi» (nudge thinking) (13).

6.2.2.

Andrebbe adottata una strategia coordinata volta a diffondere il messaggio del gradino più alto della gerarchia dei rifiuti, che è innanzitutto la prevenzione della produzione di rifiuti.

6.2.3.

Il cambiamento dei comportamenti può essere conseguito anche mettendo a punto dei programmi in materia a livello scolastico. Ciò dovrebbe applicarsi a tutti i livelli, dalla scuola materna e primaria fino all’università e alle attività di formazione sul posto di lavoro per educare e informare i minori e i cittadini in una prospettiva a lungo termine.

6.2.4.

Le università e gli enti pubblici possono contribuire a legittimare le nuove tecnologie e pratiche e, in quanto tali, possono fungere da modelli di migliori pratiche e da ambasciatori regionali dei processi di termovalorizzazione (14).

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE in merito al pacchetto sull’economia circolare, punto 4.3 (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(2)  Parere del CESE Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE, punto 4.3.5.5 (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41).

(3)  Comunicazione della Commissione europea L’anello mancante — Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare, (COM(2015) 614 final), 2 dicembre 2015.

(4)  David Coady, Ian Parry, Louis Sears, Baoping Shang, How Large Are Global Energy Subsidies? (Qual è l’entità delle sovvenzioni globali per l’energia?), documento di lavoro del FMI, WP/15/105, maggio 2015.

(5)  Commissione europea, Optimal use of biogas from waste streams — An assessment of the potential of biogas from digestion in the EU beyond 2020 (Uso ottimale del biogas dai flussi di rifiuti — Una valutazione del potenziale del biogas da digestione nell’UE dopo il 2020), marzo 2017.

(6)  Parere del CESE in merito al pacchetto sull’economia circolare, punto 4.3 (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(7)  Direttiva 2008/98/CE, in particolare gli articoli 11 (carta, metallo, plastica, vetro e rifiuti da costruzione e demolizione) e 22 (biorifiuti) — (GU L 312 del 22.11.2008, pag. 3).

(8)  Centro tematico europeo sui rifiuti e sui materiali in un’economia verde (ETC/WMGE), Assessment of waste incineration capacity and waste shipments in Europe (Valutazione delle capacità di incenerimento dei rifiuti e delle spedizioni di rifiuti in Europa), gennaio 2017.

(9)  David Coady, Ian Parry, Louis Sears, Baoping Shang, How Large Are Global Energy Subsidies? (Qual è l’entità delle sovvenzioni globali per l’energia?), documento di lavoro del FMI, WP/15/105, maggio 2015.

(10)  Commissione europea, Optimal use of biogas from waste streams — An assessment of the potential of biogas from digestion in the EU beyond 2020 (Uso ottimale del biogas dai flussi di rifiuti — Una valutazione del potenziale del biogas da digestione nell’UE dopo il 2020), marzo 2017.

(11)  COM(2017) 11 final — 2017/0004 (COD).

(12)  «L’opera loda l’artefice», ha detto Machiavelli.

(13)  Parere del CESE Integrazione del «nudge» nelle politiche europee (GU C 75 del 10.3.2017, pag. 28).

(14)  Esistono esempi in tutta una serie di Stati membri, uno dei quali è rappresentato dall’University College di Cork in Irlanda, che dispone di propri digestori di piccole dimensioni per scopi di ricerca.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/65/UE sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche»

[COM(2017) 38 final – 2017/0013 (COD)]

(2017/C 345/18)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Consiglio, 20.2.2017

Parlamento europeo, 1.2.2017

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

15.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

526

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

139/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la modifica della direttiva in questione sia opportuna e necessaria per evitare ostacoli agli scambi e distorsioni della concorrenza nell’UE.

1.2.

Il CESE osserva che sono state realizzate un’ampia consultazione dei portatori di interesse e una valutazione d’impatto, i cui risultati si riflettono nella proposta della Commissione.

1.3.

Il CESE sostiene l’esclusione degli organi a canne dall’ambito di applicazione della direttiva per motivi sia economici che culturali; questo contribuirà ad evitare una perdita stimata del 90 % dei posti di lavoro del settore e perdite annue fino a 65 milioni di EUR entro il 2025.

1.4.

Il CESE è favorevole all’esclusione delle macchine mobili non stradali alimentate da un dispositivo a trazione dall’ambito di applicazione della direttiva. In questo modo si sosterrà lo sviluppo industriale del settore, eliminando la distorsione nel trattamento delle macchine.

1.5.

Il CESE ritiene che, per conseguire la principale priorità della gerarchia dei rifiuti, ossia la prevenzione dei rifiuti, la direttiva da sola non sia sufficiente. Per realizzare gli obiettivi stabiliti, il CESE raccomanda l’utilizzo combinato della direttiva sulle restrizioni all’uso di determinate sostanze pericolose (RoHS), della direttiva sulla progettazione ecocompatibile e della direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

2.   Osservazioni generali

2.1.    Motivi e obiettivi della proposta

2.1.1.

La direttiva 2011/65/UE (RoHS 2) stabilisce le norme sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE). Le disposizioni della direttiva RoHS 2 si applicano a tutte le AEE immesse sul mercato dell’UE a prescindere dal fatto che siano prodotte nell’Unione o in paesi terzi. La direttiva RoHS 2 interessa principalmente i fabbricanti, gli importatori e i distributori di AEE nonché i clienti che acquistano AEE.

2.1.2.

La direttiva RoHS 2 affronta la principale priorità della gerarchia dei rifiuti, ossia la prevenzione dei rifiuti. La prevenzione dei rifiuti comprende misure volte a ridurre il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti. La riduzione della quantità di sostanze pericolose nei rifiuti elettrici ed elettronici agevola la gestione di tali rifiuti. Promuove il riutilizzo dei prodotti e il riciclaggio dei materiali usati, sostenendo così l’economia circolare.

2.1.3.

La direttiva RoHS 2 è necessaria per evitare gli ostacoli agli scambi e la distorsione della concorrenza nell’UE, che potrebbero verificarsi in caso di disparità tra le leggi o le disposizioni amministrative adottate dagli Stati membri in merito alla restrizione dell’uso di sostanze pericolose nelle AEE. Essa contribuisce anche alla protezione della salute umana e a un recupero e a uno smaltimento ecologicamente corretti dei rifiuti elettrici ed elettronici.

2.1.4.

La direttiva RoHS 2 è una rifusione della precedente direttiva RoHS 2002/95/CE (RoHS 1). Entrambe le direttive hanno incentivato una riduzione dei materiali pericolosi in tutto il mondo: vari paesi, tra cui Cina, Corea e Stati Uniti, hanno elaborato una legislazione simile alle direttive RoHS. La direttiva RoHS 2 ha introdotto nuove definizioni e ampliato l’ambito di applicazione per disciplinare i dispositivi medici e gli strumenti di monitoraggio e controllo. L’impatto di tali disposizioni è stato valutato con la proposta della Commissione nel 2008. Tuttavia la direttiva RoHS 2 ha introdotto anche altre modifiche: l’ambito di applicazione aperto attraverso una nuova categoria 11: «Altre AEE non comprese in nessuna delle altre categorie». Queste modifiche mirano a rendere la direttiva applicabile a tutte le AEE (ad eccezione delle apparecchiature che sono esplicitamente escluse), ampliando il concetto di AEE basato su una nuova definizione della dipendenza dall’energia elettrica. Le disposizioni con ambito di applicazione aperto non sono state valutate nello specifico al momento dell’inserimento nella direttiva RoHS 2.

2.1.5.

La Commissione ha il compito di valutare la necessità di modificare l’ambito di applicazione della direttiva in merito all’ambito di applicazione aperto introdotto dalla rifusione del 2011. La Commissione ha effettuato tale valutazione e ha individuato una serie di questioni relative all’ambito di applicazione della direttiva RoHS 2 che devono essere affrontate per evitare che la normativa abbia effetti indesiderati. In mancanza di una proposta della Commissione, dopo il 22 luglio 2019 si verificherebbero i seguenti problemi:

il divieto di operazioni sul mercato secondario (ad esempio rivendita, mercato dell’usato) per le AEE che rientrano nel nuovo ambito di applicazione. Si tratta del cosiddetto «arresto forzato»,

la sospensione della possibilità di utilizzare pezzi di ricambio per riparare un sottoelemento di un’AEE che rientra nel nuovo ambito di applicazione legalmente immessa sul mercato prima di tale data,

la disparità di trattamento (che esercita un effetto distorsivo) delle macchine mobili non stradali collegate a cavi rispetto ad altre macchine identiche alimentate da una batteria o da un motore (attualmente escluse dall’ambito di applicazione della direttiva RoHS),

il divieto de facto dell’immissione di organi a canne sul mercato dell’UE (perché non conformi alla direttiva RoHS a causa del piombo utilizzato per produrre il suono desiderato).

Questi quattro problemi potrebbero avere conseguenze sul mercato dell’UE, sui fabbricanti e sui cittadini e determinare un impatto economico, ambientale, sociale e culturale negativo.

La proposta della Commissione affronta pertanto i problemi che non possono essere risolti con la sostituzione di una sostanza o le esenzioni e gli orientamenti, ad esempio per categorie specifiche di prodotti con costanti problemi di conformità o nei casi in cui le disposizioni sull’ambito di applicazione generino distorsioni di mercato, vale a dire:

operazioni sul mercato secondario per le AEE della direttiva RoHS 2 che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva RoHS 1,

pezzi di ricambio per le AEE della direttiva RoHS 2 che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva RoHS 1,

macchine mobili non stradali con dispositivo a trazione collegate a cavi,

organi a canne.

La proposta verte anche sugli insegnamenti tratti dall’attuazione della direttiva RoHS 2, in linea con i suoi obiettivi generali e gli obblighi di chiarezza giuridica.

2.2.    Valutazione d’impatto

2.2.1.

La relazione della Commissione sulla valutazione d’impatto afferma che il ripristino del mercato secondario e l’aumento della disponibilità di pezzi di ricambio per determinate AEE avranno le conseguenze positive seguenti:

una riduzione dei costi e degli oneri amministrativi sia per le imprese, comprese le PMI, che per gli enti pubblici,

ulteriori opportunità di mercato date alle industrie di riparazione e ai rivenditori secondari,

un impatto sociale positivo, anche per gli ospedali dell’UE, che consentirebbe di risparmiare circa 170 milioni di EUR dopo il 2019, grazie al mantenimento della possibilità di rivendere e acquistare dispositivi medici di seconda mano,

vantaggi ambientali in termini di riduzione della produzione complessiva di rifiuti: la possibilità di prorogare l’uso di AEE ne rimanderà il fine vita e lo smaltimento, posticipando la generazione di rifiuti pericolosi (RAEE). Nella maggior parte dei casi l’impatto ambientale della produzione di pezzi di ricambio aggiuntivi è trascurabile rispetto al vantaggio di mantenere in uso l’intera apparecchiatura. Questa misura impedirà la creazione di oltre 3 000 tonnellate di rifiuti pericolosi all’anno nell’UE e favorirà l’iniziativa sull’economia circolare. Il prolungamento del ciclo di vita delle AEE porterebbe anche a ulteriori risparmi di energia e di materie prime.

3.   Coerenza con le disposizioni vigenti nel settore normativo interessato

3.1.

Affrontando le operazioni sul mercato secondario, la proposta intende ripristinare la piena coerenza della direttiva RoHS 2 con i principi generali della normativa dell’UE sui prodotti.

3.2.

La direttiva RoHS 2 consente alle AEE che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva RoHS 1, ma che non sono conformi alla direttiva RoHS 2, di continuare a essere messe a disposizione sul mercato fino al 22 luglio 2019. Tuttavia, dopo tale data, la prima immissione sul mercato e le operazioni sul mercato secondario (ad esempio la rivendita) delle AEE non conformi saranno vietate. Le AEE interessate da questo arresto forzato delle operazioni sul mercato secondario sono i dispositivi medici, gli strumenti di monitoraggio e di controllo e altre AEE che rientrano nel nuovo ambito di applicazione. Questo ostacolo alle operazioni sul mercato secondario non è coerente con l’armonizzazione generale della normativa dell’UE in materia di prodotti. Per questo motivo la Commissione propone di eliminare l’arresto forzato delle operazioni secondarie di mercato.

3.3.

La direttiva RoHS 2 stabilisce un’eccezione (alla restrizione generale di determinate sostanze) per i cavi e i pezzi di ricambio destinati alla riparazione, al riutilizzo, all’aggiornamento delle funzionalità o al potenziamento della capacità dei gruppi di AEE che rientrano gradualmente nel suo ambito di applicazione. Tuttavia non sono elencate le AEE che rientrano nel nuovo ambito di applicazione diverse dai dispositivi medici e dagli strumenti di monitoraggio e di controllo. Ciò comporta l’impossibilità di utilizzare pezzi di ricambio dopo il 22 luglio 2019 e una disparità di trattamento ingiustificata. La Commissione propone pertanto di introdurre una disposizione specifica per escludere i pezzi di ricambio dalla restrizione delle sostanze, al fine di consentire la riparazione in qualsiasi momento di tutte le AEE che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva RoHS 2 che sono state immesse sul mercato dell’UE.

3.4.

La direttiva RoHS 2 elenca dieci tipologie specifiche di apparecchiature che sono escluse dalle disposizioni relative all’ambito di applicazione aperto. Una tipologia di apparecchiature escluse («macchine mobili non stradali destinate ad esclusivo uso professionale») comprende solo le macchine dotate di una fonte di alimentazione a bordo. Questa disposizione fa sì che tipologie di macchine altrimenti identiche siano soggette a due diversi regimi normativi solo a causa di una diversa alimentazione (a bordo o esterna). La Commissione propone di modificare la definizione di «macchine mobili non stradali destinate ad esclusivo uso professionale» in modo da comprendere anche le macchine con dispositivo a trazione.

3.5.

La Commissione propone inoltre di inserire gli organi a canne nell’elenco delle apparecchiature escluse a causa della mancanza di alternative per sostituirli.

3.6.

Nella direttiva RoHS 2, le esenzioni alla restrizione delle sostanze dovrebbero avere una durata limitata stabilita.

3.7.

L’articolo 5, paragrafo 5, non stabilisce un termine specifico per la decisione della Commissione in merito alle domande di nuove esenzioni, ma la Commissione dispone dei sei mesi prima della scadenza dell’esenzione per decidere in merito alle domande di rinnovo di un’esenzione; questo periodo di tempo si è dimostrato insufficiente nella pratica. Visto l’obbligo secondo cui una domanda di rinnovo deve essere presentata al massimo 18 mesi prima della scadenza dell’esenzione, la fissazione di questo termine significa che la Commissione deve prendere la propria decisione in merito alle domande di rinnovo delle esenzioni in vigore entro dodici mesi dalla presentazione della domanda, a meno che circostanze specifiche giustifichino un termine diverso. Il rispetto di questo termine è di fatto impossibile a causa delle diverse fasi procedurali obbligatorie necessarie per valutare una domanda di rinnovo. Pertanto dovrebbe essere eliminata la disposizione che stabilisce un termine per la decisione della Commissione in merito alla domanda di rinnovo delle esenzioni.

4.   Coerenza con le altre normative dell’UE

4.1.

Le modifiche previste nell’attuale proposta non influiscono sull’approccio fondamentale della direttiva RoHS 2 e la sua coerenza con altre normative. La direttiva RoHS 2 e il regolamento REACH sono coerenti in termini di interazione strategica.

4.2.

La direttiva RoHS 2 è coerente anche con la restante legislazione in materia di prodotti, quale la direttiva 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e la direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai veicoli fuori uso. Altre normative dell’UE, ad esempio in materia di dispositivi medici o di salute e sicurezza sul lavoro, possono contenere obblighi indipendenti relativi alla fase di utilizzo delle AEE, ma non vi sono sovrapposizioni con la direttiva RoHS 2.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo su: «La comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE: sfide comuni e indicazioni su come unire gli sforzi per conseguire risultati migliori»

[COM(2017) 63 final]

(2017/C 345/19)

Relatore:

Mihai MANOLIU

Consultazione

23.3.2017

Base giuridica

Articoli 33 e 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2017

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

15.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

139/1/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Secondo il Comitato economico e sociale europeo (CESE), il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE (Environmental Implementation Review o EIR) mostra che in molti Stati membri la lacunosa, frammentata e disomogenea attuazione della legislazione ambientale europea rappresenta un serio problema. Tra le cause profonde della lacunosa attuazione individuate dall’EIR sembra esserci un’assenza di volontà politica, da parte dei governi di molti Stati membri, di considerare un obiettivo politico prioritario il miglioramento sostanziale di tale attuazione e di fornire risorse sufficienti. Le relazioni per paese nel quadro dell’EIR indicano chiaramente in quale misura l’UE deve impegnarsi per realizzare gli obiettivi e le tappe fondamentali stabilite nel Settimo programma d’azione per l’ambiente (7o PAA), ossia:

proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’Unione,

trasformare l’Unione in un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego delle risorse, verde e competitiva,

proteggere i cittadini dell’Unione da pressioni e rischi di ordine ambientale per la salute e il benessere.

1.2.

Il CESE sottolinea che la corretta attuazione dell’acquis dell’UE in materia ambientale non solo è nell’interesse dei cittadini europei, ma apporta anche vantaggi economici e sociali reali. La salute dei cittadini richiede un ambiente sano. Per l’agricoltura e molte altre attività economiche un requisito indispensabile è costituito da ecosistemi funzionanti. Un’attuazione uniforme delle norme ambientali in tutti gli Stati membri assicura parità di condizioni per le imprese. L’orientamento dell’economia verso pratiche responsabili sul piano ambientale offre non solo grandi potenzialità per la modernizzazione economica e l’innovazione, ma anche opportunità imprenditoriali e occupazionali, nonché buone condizioni di lavoro.

1.3.

L’attuazione è principalmente di competenza degli Stati membri, mentre la Commissione svolge un ruolo importante nell’assicurare che tale attuazione sia realizzata in modo appropriato e omogeneo. La volontà politica, l’integrazione della politica ambientale e di altre politiche, nonché l’attivo coinvolgimento della società civile nell’assunzione delle decisioni e nel processo di riesame costituiscono i requisiti indispensabili per una riuscita attuazione della normativa ambientale a livello degli Stati membri.

1.4.

L’apprezzamento dei cittadini europei nei confronti dell’UE è dovuto alle sue norme ambientali elevate. Un’attuazione lacunosa di queste norme compromette la credibilità dell’UE per quanto concerne la garanzia che tali norme siano applicate allo stesso modo da tutti gli Stati membri dell’UE.

1.5.

Il CESE accoglie favorevolmente l’EIR in quanto rappresenta un nuovo approccio e un passo importante di un processo continuo, volto a fare in modo che la Commissione e gli Stati membri si assumano congiuntamente l’impegno a migliorare l’attuazione delle politiche e della normativa in materia ambientale. Tale processo deve proseguire tenendo nella debita considerazione le sinergie, un approccio globale, la trasparenza e l’inclusività.

1.6.

Il CESE approva l’approccio strategico integrato dell’EIR e sottolinea che deve essere applicato anche all’integrazione delle politiche ambientali e di quelle sociali. Sarà possibile migliorare la realizzazione degli obiettivi in materia di ambiente solo anticipando e affrontando le relative ripercussioni sulla società, ossia l’impatto del conseguimento di quegli obiettivi sul mercato del lavoro e sui consumatori, in particolare sui gruppi vulnerabili. Gli strumenti basati sul mercato, come le riforme della fiscalità ambientale, sono strumenti importanti per conseguire gli obiettivi fissati dalla normativa in materia di ambiente. In tale contesto, il CESE sottolinea che bisogna mettere in atto gli impegni assunti in rapporto alla graduale eliminazione delle sovvenzioni dannose per l’ambiente.

1.7.

L’EIR dovrebbe essere ulteriormente sviluppato nei prossimi anni estendendone il campo di applicazione ad altri settori della legislazione rilevanti sul piano ambientale, come la normativa sul clima e quella sulle sostanze chimiche.

1.8.

Bisognerebbe considerare che la normativa ambientale va attuata in modo integrato assieme ad altri settori strategici. Per agevolare l’adozione di soluzioni trasversali, andrebbero organizzate discussioni congiunte tra il Consiglio «Ambiente» e altre formazioni del Consiglio. Andrebbe meglio chiarita la relazione tra il semestre europeo e l’EIR, in modo da garantire uno sfruttamento ottimale delle possibilità offerte da vari strumenti.

1.9.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione volti a istituire dialoghi strutturati con i governi degli Stati membri sulla base dei risultati delle relazioni per paese. Per essere efficaci, questi dialoghi devono essere trasparenti, portare risultati evidenti e prevedere un chiaro monitoraggio. Andrebbe presa in esame e definita una serie di requisiti preliminari per lo svolgimento di processi di dialogo efficaci, a beneficio di tutte le parti interessate.

1.10.

Il CESE sottolinea che l’efficace attuazione delle misure di protezione dell’ambiente richiede che anche alla società civile — i datori di lavoro, i lavoratori e altri rappresentanti della società — sia assegnato un ruolo attivo, consentendo ai comuni cittadini di monitorare la corretta attuazione della legislazione ambientale attraverso il libero accesso alle informazioni pertinenti, la partecipazione al processo decisionale in materia di ambiente e l’accesso alla giustizia. I cittadini devono avere accesso a una rendicontazione accurata sull’attuazione della normativa per la protezione dell’ambiente in cui vivono e lavorano. Tutti gli sviluppi positivi in materia di protezione ambientale sono stati conseguiti anche attraverso un forte coinvolgimento della società civile, che ha una funzione di controllo democratico.

1.11.

Il CESE si rammarica che il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali non tenga conto in misura sufficiente del ruolo fondamentale della società civile. Un maggior coinvolgimento della società civile avrebbe il potenziale per rafforzare il progetto EIR. Alle organizzazioni della società civile a livello nazionale va data l’opportunità di contribuire, con le loro competenze e conoscenze, alle relazioni per paese, oltre che ai dialoghi nazionali strutturati e al loro monitoraggio. Il CESE è pronto a facilitare il dialogo con la società civile a livello dell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

Nel maggio 2016 la Commissione europea ha lanciato il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali (Environmental Implementation Review — EIR) (1) allo scopo di migliorare l’attuazione della normativa ambientale dell’UE negli Stati membri. L’EIR è uno strumento di politica basato sull’informazione e sulla cooperazione che non crea alcun obbligo giuridico né di rendicontazione; è concepito come un processo permanente, con la presentazione ogni due anni di relazioni specifiche per paese da parte della Commissione e l’organizzazione di dialoghi con gli Stati membri.

2.2.

Nel febbraio 2017 la Commissione ha pubblicato la prima serie di 28 relazioni per paese e una comunicazione sull’EIR in cui riassume le sue risultanze e conclusioni sull’argomento e illustra le misure che intende adottare.

3.   Osservazioni generali

3.1.

L’acquis legislativo dell’UE in materia di ambiente è assai vasto, ma la sua adeguata applicazione costituisce un serio problema. Le relazioni per paese nel quadro dell’EIR indicano un’attuazione frammentata e disomogenea della normativa ambientale negli Stati membri dell’UE. La comunicazione sull’EIR descrive correttamente i vantaggi che un’attuazione adeguata della normativa apporterebbero in termini di qualità di vita dei cittadini europei, di parità di condizioni per le imprese e di creazione di posti di lavoro (2). Secondo le stime, i costi dovuti alla mancata attuazione ammontano a 50 miliardi di euro l’anno (3).

3.2.

Il Settimo programma d’azione per l’ambiente (7o PAA), adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel 2013 (4), indica tra le sue priorità principali quella di migliorare l’attuazione della legislazione. Il CESE si compiace che la Commissione stia mettendo in pratica questo intento con l’iniziativa dell’EIR.

3.3.

Se è vero che le relazioni per paese presentano in sintesi una serie di dati non del tutto nuovi, il loro evidente valore aggiunto risiede tuttavia nel fatto che, per la prima volta, le lacune nell’attuazione vengono affrontate nella loro globalità e in modo trasversale, ossia nei settori più importanti interessati dalla legislazione ambientale e in tutti gli Stati membri. Questo nuovo livello di valutazione consente di esaminare le cause e gli ostacoli strutturali comuni al fine di garantire una migliore attuazione e di mettere a punto rimedi e strumenti utili.

3.4.

L’approccio adottato dall’EIR permette inoltre di non rimediare più a un’attuazione lacunosa della normativa attraverso procedure di infrazione, ma di intervenire mediante misure che anticipano l’insorgere dei problemi affrontando le cause profonde di tale attuazione lacunosa. Tuttavia, l’attuazione della legislazione dell’UE in materia ambientale è principalmente di competenza degli Stati membri. Bisogna riconoscere che, in molti casi, l’assenza di volontà politica, da parte dei governi di molti Stati membri, di considerare un obiettivo politico prioritario il miglioramento sostanziale dell’attuazione e di fornire risorse sufficienti sembra essere alla base delle cause profonde della lacunosa attuazione individuata dall’EIR (5). Pertanto, il CESE auspica che l’EIR possa contribuire a inserire la necessità di una migliore attuazione sia nell’agenda politica degli Stati membri dell’UE che in quella delle riunioni del Consiglio.

3.5.

La Commissione deve porre rimedio alla lacunosa attuazione della legislazione dell’UE da parte degli Stati membri attraverso misure adeguate e rigorose, comprese le procedure d’infrazione. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che, finora, tali misure non sono state efficaci. L’apprezzamento dei cittadini europei nei confronti dell’UE è dovuto in parte alle sue norme ambientali elevate; pertanto, una loro attuazione lacunosa compromette la credibilità dell’Unione agli occhi dei suoi stessi cittadini.

3.6.

Le relazioni per paese rappresentano un buon punto di partenza per instaurare un dialogo strutturato tra la Commissione e i singoli Stati membri: esse offrono ai paesi dell’UE la possibilità di apprendere l’uno dall’altro, di individuare i problemi comuni e di trarre insegnamenti dalle buone pratiche, operando in base al principio che il potere risiede nella condivisione.

3.7.

Poiché i cittadini, le comunità locali e le imprese sono i veri protagonisti quando si tratta di dare attuazione alle misure ambientali, la società civile deve svolgere un ruolo attivo nell’EIR. È della massima importanza che la società civile divenga un interlocutore in questo progetto.

3.8.

Il CESE apprezza il fatto che la Commissione consideri la partecipazione della società civile una risorsa importante per il monitoraggio dell’iniziativa EIR, benché la comunicazione in esame si mantenga abbastanza sul vago quanto alle modalità di tale coinvolgimento. Occorre garantire la partecipazione della società civile lungo l’intero processo dell’EIR, non solo nella fase di monitoraggio: è, questo, un aspetto dell’iniziativa che andrebbe ulteriormente sviluppato.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.    Ambito di applicazione dell’EIR

4.1.1.

Sinora il riesame dell’EIR copre un ampio ventaglio di settori in cui si applica la normativa ambientale: l’economia circolare e la gestione dei rifiuti, la protezione della natura e la biodiversità, la qualità dell’aria e l’inquinamento acustico, oltre che la qualità e la gestione delle risorse idriche. Il prossimo ciclo del riesame dovrebbe includere altri settori strettamente collegati a questi ambiti d’intervento, con particolare riguardo all’attenuazione degli effetti dei cambiamenti climatici e all’adattamento ad essi, due elementi essenziali per molte delle politiche ambientali citate, ad esempio per la protezione della natura e della biodiversità e per la gestione delle risorse idriche. L’attuazione della legislazione sulle sostanze chimiche è fondamentale per un ambiente sano, per il benessere e per un’economia circolare «pulita».

4.2.    Le relazioni per paese

4.2.1.

Le relazioni per paese offrono un’ottima visione d’insieme delle sfide ambientali che i singoli Stati membri devono affrontare e dei risultati da essi ottenuti nell’applicazione della normativa ambientale. Il CESE si compiace anche del fatto che nelle relazioni figurino dei rimandi agli obiettivi di sviluppo sostenibile collegati a tali sfide, poiché questo dimostra che il miglioramento delle prestazioni ambientali fa parte di un approccio di più ampio respiro in materia di sviluppo sostenibile, che punta a conseguire il progresso sul piano economico, sociale e ambientale in modo integrato, globale ed equilibrato.

4.2.2.

Le relazioni per paese presentano inoltre un valore aggiunto per i cittadini e le organizzazioni della società civile dello Stato membro considerato: infatti, non solo esse offrono ai soggetti non governativi un’efficace panoramica della situazione nel loro paese, ma consentono loro anche di confrontare i loro risultati con quelli di altri paesi dell’UE, nonché di individuare le carenze e le potenzialità inespresse. La società civile degli Stati membri dell’UE deve quindi considerare queste relazioni un valido strumento per spingere i loro governi ad assumersi la responsabilità di garantire un ambiente sano, nonché per esercitare pressioni affinché applichino più efficacemente la normativa ambientale.

4.2.3.

Tuttavia, un simile potenziale potrebbe essere ulteriormente rafforzato coinvolgendo ancora di più la società civile nell’elaborazione delle relazioni per paese, nel dialogo strutturale e nel monitoraggio, oltre che nel riesame delle relazioni nell’ambito del prossimo ciclo biennale. Le organizzazioni della società civile dispongono di competenze importanti con cui possono contribuire a mettere a fuoco le principali sfide ambientali per il loro paese, e dovrebbero pertanto essere consultate fin dall’inizio.

4.2.4.

Affinché l’EIR divenga un processo permanente, è importante tener traccia dei progressi compiuti nell’attuare le raccomandazioni formulate nei precedenti cicli delle relazioni per paese e presentare una sintesi di questi risultati nel successivo ciclo del riesame EIR.

4.3.    Le cause alla base dell’attuazione lacunosa e gli strumenti in grado di apportare dei miglioramenti

4.3.1.

Il CESE apprezza il fatto che la Commissione consideri il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali un’occasione utile per analizzare le cause comuni che sono alla base di un’attuazione lacunosa. La valutazione iniziale prevista dalla comunicazione dovrebbe proseguire in collaborazione con gli Stati membri, tenendo conto delle conoscenze e dell’esperienza di prima mano dei soggetti non governativi, nonché delle ricerche svolte in ambito universitario, dai gruppi di riflessione e dalla rete dell’UE per l’attuazione e l’applicazione della legislazione ambientale (Implementation and Enforcement of Environmental Law — IMPEL).

4.3.2.

La Commissione ha già evidenziato alcune tra le principali cause profonde comuni alla base dell’attuazione lacunosa della normativa: un coordinamento inefficiente tra enti locali e regionali e autorità nazionali; la mancanza di capacità amministrativa e i finanziamenti insufficienti; la scarsità di conoscenze e di dati; i meccanismi insufficienti di assicurazione della conformità e, infine, la mancanza di integrazione e di coerenza strategica.

4.3.3.

La Commissione cita alcuni esempi di migliore coordinamento e di integrazione più efficace delle politiche, come un approccio coordinato tra politica in materia di aria pulita e politiche sulla mobilità. Il CESE approva questo approccio strategico integrato e sottolinea che deve essere applicato anche all’integrazione delle politiche ambientali e di quelle sociali. Sarà possibile migliorare la realizzazione degli obiettivi in materia di ambiente solo anticipando e affrontando le relative ripercussioni sulla società, ossia l’impatto del conseguimento di quegli obiettivi sul mercato del lavoro e sui consumatori, in particolare sui gruppi vulnerabili.

4.3.4.

In ultima analisi, l’assenza di volontà politica è alla base di gran parte di questi problemi (6). Sarà quindi cruciale che l’EIR riesca nel suo intento di considerare l’attuazione della normativa ambientale una questione politica che va inserita nel programma di lavoro dell’UE.

4.3.5.

Il CESE mette anche in evidenza che le competenze e le conoscenze delle autorità interessate rappresentano dei requisiti indispensabili per una corretta attuazione. Inoltre, la sensibilizzazione e la comunicazione sono essenziali per aiutare la società civile a partecipare al processo di riesame dell’attuazione delle politiche ambientali.

4.3.6.

Nella comunicazione in esame la Commissione menziona strumenti di mercato e investimenti quali mezzi in grado di migliorare il conseguimento degli obiettivi stabiliti nei quadri giuridici in materia di ambiente. Il CESE ha già evidenziato in un precedente parere il potenziale insito in una riforma della fiscalità ambientale che sposti l’onere fiscale dal lavoro all’utilizzo delle risorse, per riuscire sia a creare nuovi posti di lavoro che a generare innovazione economica, oltre che a ridurre gli impatti negativi sull’ambiente (7).

4.3.7.

Nello stesso parere il CESE lamentava il fatto che si continuassero a versare sovvenzioni dannose per l’ambiente, ma da allora sono stati compiuti ben pochi progressi. Nella comunicazione in esame la Commissione cita sia la riforma della fiscalità che la graduale eliminazione delle sovvenzioni dannose per l’ambiente quali importanti strumenti in grado di migliorare l’attuazione, ma non propone alcun metodo per uscire dall’attuale situazione di stallo.

4.4.    La via da seguire

4.4.1.

Come sottolineato dalla Commissione, la responsabilità di una corretta attuazione dell’acquis dell’UE in materia di ambiente spetta in primo luogo agli Stati membri. Tuttavia, anche a livello dell’UE esistono indubbiamente questioni di grande rilievo che possono essere di ostacolo o, al contrario, di aiuto ad un’attuazione adeguata. L’integrazione intelligente degli obiettivi in campo ambientale e di quelli stabiliti in altri ambiti d’intervento deve iniziare a livello dell’UE con una regolamentazione intelligente e coerente e con lo stanziamento dei fondi necessari. Un buon esempio di tale integrazione, dal quale si dovrebbero trarre degli insegnamenti, è dato dalla «ecologizzazione» della PAC. Una maggiore coerenza della politica di sviluppo sostenibile a livello dell’UE potrebbe inoltre contribuire a migliorare le prestazioni ambientali degli Stati membri. L’EIR dovrebbe essere utilizzato anche come meccanismo per ottenere un riscontro sull’eventuale necessità di una correzione o di un aggiornamento delle politiche o della legislazione dell’UE.

4.4.2.

Alla luce dei risultati del primo ciclo dell’EIR, la Commissione propone di agevolare gli sforzi degli Stati membri instaurando con ciascuno di essi un dialogo strutturato sull’attuazione della normativa, accompagnato sia da un sostegno «su misura» offerto agli esperti di un dato paese dai loro omologhi di altri paesi dell’UE che dall’esame di questioni strutturali comuni in sede di Consiglio. Il CESE accoglie con favore queste misure, benché dubiti che esse siano sufficienti a migliorare la qualità complessiva delle prestazioni ambientali degli Stati membri.

4.5.    Dialoghi strutturati

4.5.1.

L’introduzione di dialoghi strutturati, sul modello dell’approccio adottato nel quadro del semestre europeo, è già previsto dal 7o PAA (8). La comunicazione in esame non precisa le modalità pratiche per lo svolgimento di questi dialoghi, un aspetto che non andrebbe lasciato alla discrezionalità dei governi degli Stati membri. Andrebbe presa in esame e definita una serie di requisiti preliminari per lo svolgimento di processi di dialogo efficaci, a beneficio di tutte le parti interessate.

4.5.2.

Occorrerà garantire una partecipazione equilibrata di un ampio ventaglio di soggetti non governativi e di enti regionali e locali: questi attori devono essere invitati al dialogo strutturato con largo anticipo e ricevere informazioni adeguate, in modo da poter preparare i loro contributi.

4.5.3.

Per risultare efficaci, i dialoghi vanno organizzati orientandoli ai risultati; si dovrebbero quindi stabilire con chiarezza e tenere sotto osservazione i risultati attesi e le fasi successive del processo, oltre che gli impegni richiesti ai partecipanti e le scadenze previste. Il 7o PAA fa riferimento ad «accordi di partenariato per l’attuazione» stipulati tra la Commissione e gli Stati membri — uno strumento al quale si potrebbe pensare di ricorrere anche nel quadro dell’EIR. Gli impegni possono essere proposti anche da soggetti non governativi, ad esempio l’industria, il commercio al dettaglio o l’agricoltura.

4.6.    Sostegno tra pari

4.6.1.

Il CESE vede con favore l’organizzazione di un sostegno tra pari tra gli esperti degli Stati membri. In tale contesto, si dovrebbe prendere in considerazione la ricca e consolidata esperienza di cui dispone la rete dell’UE per l’attuazione e l’applicazione della legislazione ambientale (IMPEL).

4.6.2.

Lo scambio di esperti dovrebbe essere integrato da programmi più ampi di assistenza reciproca tra Stati membri, analogamente ai progetti di gemellaggio PHARE che sostennero, con buoni risultati, l’allineamento all’acquis comunitario nel corso del processo di allargamento dell’UE del periodo 2004-2007. Si dovrebbe inoltre prendere in considerazione l’idea di introdurre programmi di valutazione inter pares, per analogia con il programma dell’OCSE sulle analisi delle prestazioni ambientali (9).

4.7.    Esame delle questioni strutturali comuni in sede di Consiglio

4.7.1.

La Commissione intende discutere in sede di Consiglio gli ostacoli strutturali comuni ad una corretta attuazione della normativa ambientale, poiché questo consentirebbe di inserire il tema nell’agenda politica. Non si dispone però di informazioni sulle modalità concrete di realizzazione di questo proposito.

4.7.2.

Con l’«ecologizzazione» del semestre europeo, negli ultimi anni sono stati fatti dei tentativi per ricorrere a questo meccanismo di coordinamento della governance a livello centrale tra la Commissione e gli Stati membri allo scopo di migliorare anche le prestazioni ambientali. Ciò consentirebbe di portare le carenze riscontrate nelle prestazioni ambientali direttamente all’attenzione dei capi di governo e faciliterebbe l’adozione di soluzioni integrate.

4.7.3.

Va detto però che sinora l’ecologizzazione del semestre europeo non ha dato grandi risultati. La Commissione non intende sostituire la suddetta ecologizzazione con il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali (EIR). Se fosse invece proprio questa la soluzione adottata, allora andrebbe meglio chiarita la relazione tra il semestre europeo e l’EIR, in modo da garantire uno sfruttamento ottimale delle possibilità offerte da ciascuno di questi due strumenti.

4.7.4.

È probabile che le discussioni durante le riunioni del Consiglio «Ambiente» non siano, di per sé, sufficienti. Per facilitare l’adozione di soluzioni integrate e trasversali, bisognerebbe puntare ad organizzare discussioni congiunte con altre formazioni del Consiglio, ad esempio con il Consiglio «Trasporti, telecomunicazioni e energia» o il Consiglio «Occupazione, politica sociale, salute e consumatori».

4.8.    Strumenti giuridici di applicazione della normativa

4.8.1.

La Commissione ha correttamente precisato che l’EIR non deve sostituirsi alla possibilità di adire le vie legali per migliorare l’attuazione della legislazione ambientale, poiché questo esula dall’ambito di applicazione del riesame. Tuttavia, l’approccio maggiormente basato sulla cooperazione adottato dall’EIR avrà successo soltanto se l’opzione di eventuali conseguenze e sanzioni giuridiche sarà applicata in modo credibile ed efficace. Questo vale sia per le procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea in caso di violazioni della legislazione ambientale, sia per gli strumenti giuridici di cui si avvalgono i cittadini e la società civile per mettere i governi degli Stati membri e l’Unione europea di fronte alle loro responsabilità.

4.8.2.

Il CESE desidera rammentare alla Commissione e agli Stati membri che il 7o PAA comprendeva già determinate misure destinate a rafforzare l’applicazione della normativa ambientale e che fino ad oggi non sono mai state affrontate, vale a dire:

l’estensione di criteri vincolanti all’intero corpus legislativo dell’UE in materia di ambiente, per un efficace svolgimento dei controlli e della vigilanza da parte degli Stati membri;

la garanzia di meccanismi coerenti ed efficaci a livello nazionale per il trattamento delle denunce relative all’attuazione della normativa ambientale dell’UE.

4.8.3.

Il CESE prenderà in esame in un parere a parte la comunicazione della Commissione, di prossima pubblicazione, sull’accesso dei cittadini alla giustizia in materia ambientale.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2016) 316 final.

(2)  COM(2017) 63 final, pag. 2.

(3)  Servizio Ricerca del Parlamento europeo, serie «In sintesi», Environmental Implementation Review (Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali).

(4)  GU L 354 del 28.12.2013, pag. 171.

(5)  Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio su un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 — «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta» (GU C 161 del 6.6. 2013, pag. 77, punto 1.2).

(6)  Parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio su un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 — «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta» — Parere in merito al Settimo programma di azione in materia di ambiente (GU C 161 del 6.6. 2013, pag. 77).

(7)  Parere del CESE sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (parere d’iniziativa) (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1).

(8)  7o PAA, punto 59.

(9)  https://www.oecd.org/site/peerreview/environmentalperformancereviews.htm


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — I prezzi e i costi dell’energia in Europa»

[COM(2016) 769 final]

(2017/C 345/20)

Relatrice:

Laure BATUT

Consultazione

Commissione europea, 17.2.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

14.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

127/15/4

1.   Raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) desidera ricordare che il pacchetto europeo «Energia» si propone di collocare il «consumatore al centro» e vorrebbe che questo concetto venisse definito e applicato. Il consumatore potrà svolgere il suo nuovo ruolo solo se può contare su testi chiari in grado di fornirgli gli strumenti per agire. Per portare al successo l’Unione dell’energia, il CESE giudica necessaria una visione orientata al futuro di quanto i cittadini e le imprese europee hanno da guadagnare da questo progetto, ad esempio una maggiore uguaglianza.

1.2.

Il CESE ritiene che intervenendo sulla domanda di energia attraverso la sensibilizzazione dei cittadini e dei professionisti (dell’istruzione o della formazione) si possano rendere questi ultimi responsabili delle loro scelte e dei loro comportamenti in materia di energia. L’efficienza energetica può essere contabilizzata nei bilanci relativi al fabbisogno di energia, può contribuire a ridurre i consumi e può, quindi, avere un impatto sui costi, anche se le tariffe aumentano. Tuttavia, essa non è in grado, da sola, di risolvere i problemi connessi ai cambiamenti climatici, alla sicurezza dell’approvvigionamento o alla povertà energetica (1). L’efficienza energetica e il non consumo di energia non costituiscono fonti energetiche.

1.3.

Il CESE raccomanda di estendere, negli anni a venire, l’esame dei dati, studiando ad esempio un numero maggiore di fonti energetiche, e di prestare attenzione a tre tipi di consumo: da parte delle famiglie, delle industrie e delle imprese di servizi.

1.4.

La relazione dovrebbe inoltre contenere una valutazione delle risposte alla domanda di energia che consenta di conoscere il grado di soddisfazione dei bisogni a un prezzo sostenibile (articolo 14 del TFUE).

1.5.

Il CESE raccomanda che la relazione esamini le risorse impegnate dalle imprese e/o dai consumatori nella ricerca e sviluppo e nel tener conto delle ricerche sullo stoccaggio dell’energia, che dovrebbero trovare riscontro nel prezzo dell’energia così come nei costi di finanziamento delle reti.

1.6.

Bisogna poi valutare il costo dei danni ambientali e renderlo facilmente accessibile a tutti.

1.7.

Il CESE raccomanda che all’inizio delle relazioni biennali della Commissione sui prezzi e i costi dell’energia figuri un glossario che ne renda possibile la comprensione da parte di tutti i consumatori.

1.8.

Sempre per motivi di trasparenza, il CESE chiede alla Commissione di aggiungere una scheda per Stato membro esaminato, comprendente cinque punti di riferimento per ciascuna fonte di energia:

la differenza di prezzo annuo tra il mercato all’ingrosso e quello al dettaglio,

l’incidenza, sul prezzo al consumo, delle componenti «materia prima», «rete» e «imposte ed oneri»,

il tasso di profitto realizzato annualmente dalle imprese della catena di valore, ma soprattutto dai fornitori nazionali,

la percentuale e la distribuzione degli aiuti europei allo Stato e alle imprese, e

la quota delle tariffe regolamentate e delle tariffe sociali in tutti i prezzi al dettaglio.

2.   Introduzione

2.1.

Nel 2014 la Commissione europea ha elaborato una prima relazione sui prezzi e i costi dell’energia nell’Unione europea (UE); le debolezze dei dati raccolti l’hanno poi indotta a presentare un regolamento (2) relativo alle statistiche europee sui prezzi di gas naturale ed elettricità.

2.2.

L’obiettivo è quello di verificare lo stato di avanzamento del mercato interno dell’energia, che è ancora parzialmente sviluppato, e di contribuire a definire le misure necessarie per migliorare l’efficienza energetica e la sicurezza dell’approvvigionamento in questo settore di competenza concorrente.

3.   Sintesi della relazione della Commissione

3.1.

La relazione pubblicata dalla Commissione è pertanto la seconda in ordine di tempo. Essa valuta la situazione dei prezzi dell’energia nei settori del gas, dell’elettricità e dei prodotti petroliferi, e le loro conseguenze per le famiglie e le industrie, e indica le politiche strategiche dell’UE necessarie per realizzare l’Unione dell’energia.

4.   Prezzi dell’elettricità

4.1.

La Commissione individua i requisiti essenziali per influire sul prezzo dell’elettricità: incrementare l’efficienza energetica e ricorrere alle energie alternative, per le quali l’UE intende diventare leader a livello mondiale.

4.2.

In effetti, sono aumentate le importazioni nette di elettricità da combustibili fossili da parte degli Stati membri dell’UE, al pari della loro dipendenza, e ciò ha nuovamente innescato il difficile dibattito sul gas e il petrolio di scisto.

4.3.

I prezzi all’ingrosso sono scesi costantemente dal 2008 in poi, raggiungendo una certa convergenza all’interno del mercato unico, e ciò ha prodotto un calo dei prezzi del carbone e del gas. Numerosi fattori nazionali impediscono tuttavia a questo calo di ripercuotersi sui prezzi al dettaglio, che invece continuano a salire, visto che, nello stesso periodo, il prezzo medio per le famiglie è aumentato del 3,2 %:

la componente «energia» è diminuita drasticamente del 15 % dal 2008 al 2015,

la componente pertinente alla «rete» è aumentata ogni anno del 3,3 %,

la componente relativa a «imposte e oneri», ripartita in 10 sottocomponenti (3), tra cui l’IVA, le tariffe sociali, l’occupazione, le perequazioni, la sicurezza dell’approvvigionamento, i canoni di concessione ecc., è aumentata di 10 punti percentuali, passando dal 28 al 38 % del prezzo.

4.4.

Il prezzo dell’elettricità destinata alle imprese è aumentato in misura minore, vale a dire tra lo 0,8 % e il 3,1 % l’anno dal 2008 al 2015; i grandi consumatori di energia possono, da parte loro, beneficiare di tariffe adattate.

4.5.

La Commissione rileva grandi differenze tra gli Stati membri, con prezzi da una a tre volte superiori per le famiglie a motivo della componente «imposte e oneri» (che va dal 59 % della Danimarca al 5 % di Malta).

4.6.

In media, l’elettricità in Europa è più costosa che negli Stati Uniti, ma molto meno che in Giappone.

5.   Prezzi del gas

5.1.

Il gas rappresenta il 23 % del consumo di energia primaria nell’UE: alimenta il 15 % della nostra elettricità e quasi un terzo del fabbisogno finale di energia delle famiglie e dell’industria.

5.2.

Essendo dipendente per il 69 % dalle sue importazioni di gas e da un numero limitato di fornitori, l’UE è costretta a seguire le fluttuazioni dei prezzi secondo le tendenze globali.

5.3.

I prezzi all’ingrosso sono diminuiti del 50 % dal 2013, soprattutto a causa della debole domanda globale, della produzione americana di gas di scisto e dei contratti di fornitura di gas indicizzati sui prezzi del petrolio.

5.4.

Al dettaglio, i prezzi del gas per i consumi domestici nell’UE sono aumentati a partire dal 2008 del 2 % annuo. Anche in questo caso, la componente relativa a imposte e oneri è importante, aumentando del 4,2 % l’anno, e spiega, insieme ai costi di rete, la forte disparità tra Stati membri, dove il prezzo più elevato (Svezia) è quattro volte il prezzo più basso (Romania).

5.5.

Per le industrie e i grandi consumatori industriali, i prezzi sono diminuiti e la componente «energia» è quella che più influisce sulla formazione del prezzo, da cui il ripercuotersi dei prezzi all’ingrosso sui prezzi al dettaglio, che permette una maggiore convergenza nel mercato unico.

5.6.

A livello mondiale, l’Europa è nella media delle convergenze, con una tendenza al ribasso dal 2013, pur mantenendosi al di sopra dei prezzi americani e russi.

6.   Prezzo del petrolio

6.1.

Dal maggio 2014 al gennaio 2016, in 19 mesi il prezzo del greggio in dollari è diminuito del 77 %, per poi risalire, senza tuttavia superare la metà dei prezzi registrati nel 2014.

6.2.

Le conseguenze sui prezzi al dettaglio sono state minori, poiché l’euro si è deprezzato nei confronti del dollaro e le imposte e gli oneri restano una componente importante del prezzo.

L’UE ha stabilito aliquote minime di accisa (4), ma gli Stati membri decidono solitamente di superarle: nel 2015 le imposte rappresentavano il 63 % del prezzo medio della benzina al dettaglio e il 57 % del prezzo del diesel, con alcune differenze tra Stati membri.

6.3.

In sintesi, i prezzi di queste tre fonti energetiche sono calati rispetto all’ultima relazione, con ripercussioni sui prezzi all’ingrosso. Questo calo ha influito anche sul prezzo al dettaglio dei prodotti petroliferi, mentre quelli di gas e elettricità sono aumentati a causa dell’incremento dei costi di rete e soprattutto delle imposte e degli oneri.

7.   Spesa per l’energia destinata al consumo domestico

7.1.

Il consumo domestico delle tre fonti energetiche è rimasto piuttosto stabile dal 2008.

La spesa è aumentata a causa dell’aumento dei prezzi al dettaglio di gas ed elettricità (esclusi i trasporti). Differenze marcate si riscontrano tra gli Stati membri per quanto riguarda la quota di spesa domestica destinata all’energia, e ciò, ovviamente, interessa in misura maggiore le famiglie più povere: 8,6 % nel 2016, rispetto al 6,2 % nel 2004. Nel periodo in questione il consumo energetico domestico nell’UE è diminuito del 4 %.

7.2.

La Commissione evidenzia l’importanza delle misure sociali destinate ai consumatori vulnerabili per contrastare la povertà energetica.

8.   Costi dell’energia nell’industria

8.1.

Tra il 2008 e il 2013 i costi dell’energia sono diminuiti per le imprese di 14 settori industriali ad alto consumo di energia e, nel corso degli ultimi anni, la quota dei costi energetici all’interno dei costi di produzione si è attestata, in media, tra il 5 e il 10 %. Ciò è dovuto al calo dei prezzi per i grandi consumatori, alle esenzioni e riduzioni fiscali e non tanto alle misure orientate all’efficienza energetica.

8.2.

La Commissione ritiene che, sul piano internazionale, l’UE non sia un’economia ad alta intensità energetica e che un mercato dell’energia competitivo e con un funzionamento adeguato dovrebbe poter fornire l’energia di cui le famiglie e le industrie hanno bisogno nella maniera più efficiente dal punto di vista dei costi, evitando qualunque effetto inflazionistico e senza ricorrere a sussidi pubblici che producono distorsioni ingiustificate del mercato: nel 2012 sono stati erogati 113 miliardi di EUR sotto forma di sussidi nel settore dell’energia, dei quali circa 17,2 miliardi di EUR destinati a sussidi diretti; nel 2014, inoltre, le imposte sull’energia riscosse dagli Stati membri dell’UE ammontavano a 263 miliardi di EUR, equivalenti all’1,88 % del PIL dell’UE.

9.   Osservazioni generali

9.1.

L’energia è un elemento centrale per le economie e le famiglie. Il consumo energetico è responsabile delle emissioni di CO2 dannose per il clima e gli esseri viventi. L’UE ha avviato il processo di transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. La comprensione dei meccanismi di determinazione dei costi e dei prezzi dell’energia dovrebbe garantire una migliore transizione e costituire un elemento per lottare contro la precarietà energetica (5).

9.2.

Come mostra la relazione della Commissione, non vi è un unico prezzo dell’energia nell’UE, ma ne esistono diversi per i diversi vettori energetici, che variano a seconda della situazione geografica, delle pratiche nazionali, del momento e delle modalità di consumo degli utenti.

9.3.

In numerosi paesi europei viene pubblicato un Barometro dei prezzi dell’energia (European Climate Foundation) destinato alle famiglie; da due anni a questa parte, inoltre, la Commissione presenta le sue relazioni sull’argomento.

10.   I vettori

10.1.

Il petrolio, il carbone e il gas, che forniscono ancora gran parte dell’energia mondiale consumata, insieme alla biomassa, al nucleare e all’elettricità, non sono né immagazzinabili né trasportabili in ugual misura:

il petrolio si trasporta facilmente: il suo prezzo può essere omogeneo in aree geografiche estese,

il gas dev’essere liquefatto: richiede infrastrutture costose sostenute da entità diverse,

l’elettricità, prodotto «derivato» da altre fonti di energia, non è immagazzinabile, richiede infrastrutture di produzione e di trasporto, e presenta costi finali diversi per gli utenti e le industrie.

10.2.

Il prezzo dell’energia presenta un impatto sulla competitività di un settore, a seconda della percentuale di energia diretta consumata e di energia incorporata nei suoi consumi intermedi per la produzione di un bene. Il basso costo dell’energia può influire sulla competitività (cfr., ad esempio, i gas di scisto americani), senza per questo essere un fattore strutturale di produttività.

10.3.

Numerosi Stati membri importano energia dai loro vicini all’interno o all’esterno dell’UE: la situazione geopolitica incide sulla sicurezza dell’approvvigionamento e sul prezzo.

10.4.

Il prezzo del barile di petrolio è sempre fissato in dollari: il corso delle valute, e quindi la situazione dell’economia europea in termini di competitività globale, hanno un ruolo nel gioco della concorrenza e nella formazione del prezzo per il consumatore finale.

10.5.

Il prezzo dell’energia pagata dalle industrie e dalle famiglie ha ripercussioni sulla domanda globale. Gli scambi di beni dell’UE si svolgono per lo più all’interno dell’Europa e riguardano beni trasformati che sono sensibili alle variazioni del prezzo dell’energia.

11.   Prezzi e costi

11.1.    *Prezzi

11.1.1.

Costi o prezzi? Nel linguaggio corrente si utilizza facilmente un termine al posto dell’altro. La relazione della Commissione (COM(2017) 769 final) sarebbe risultata maggiormente chiara se fosse partita da questa considerazione.

11.1.2.

L’elemento più ovvio è il prezzo. Il prezzo è l’espressione del valore di scambio di una unità di bene o di servizio energetico. In un mercato completamente «libero», sarebbe il punto di equilibrio tra l’offerta e la domanda.

11.1.3.

In un mercato mondiale più sofisticato, esistono tanti prezzi quanti sono i mercati. E, ad ogni fase delle transazioni, si aggiungono elementi esterni (esternalità) che influenzano tali prezzi. Intervengono poi gli elementi di politica interna degli Stati membri, quali la struttura del settore, la fiscalità, il clima, il potere d’acquisto delle famiglie, la competitività delle imprese ecc.

11.1.4.

L’Unione dell’energia potrebbe, nel rispetto del principio di sussidiarietà, attenuare questi elementi che creano differenze e provocano ingiustizie tra cittadini europei.

11.2.    *Costi

11.2.1.

Essi corrispondono al prezzo delle materie prime energetiche necessarie a produrre un bene o un servizio (imprese) e a metterlo a disposizione dei consumatori («I prezzi e i costi delle fonti energetiche», Jean-Marie Martin-Amouroux, 20.2.2017). Possono esistere differenze di costo molto significative a seconda della scelta della filiera di produzione dell’energia consumata [SWD/2016/420 final].

11.2.2.

Nel caso delle PMI, che costituiscono il 90 % del tessuto economico europeo, ma non sono classificate come grandi consumatrici di energia, il costo dell’energia che acquistano e quello dell’energia incorporata nei prodotti primari che esse trattano possono avere un forte impatto sul prezzo di costo dei beni prodotti e sulla loro vendita.

11.2.3.

Inoltre, il costo dell’energia non è un fattore facilmente modificabile, in quanto si tratta di una spesa obbligatoria; quando costituisce un elemento importante del costo di produzione, esso pesa sul prezzo di vendita dei beni, intacca il potere d’acquisto dei consumatori e può provocare un rallentamento nella crescita della domanda (ad esempio di automobili). Per le imprese, le fonti energetiche restano sostituibili tra loro: se il petrolio diventa troppo caro, si può optare per il gas ecc.

11.2.4.

La questione del costo dell’energia rimanda alle questioni della diplomazia europea e della definizione di una politica industriale europea — e non solo per le imprese dei settori ad alta intensità energetica.

12.   Osservazioni specifiche

12.1.

Il documento in esame fa parte del pacchetto «Energia pulita per tutti gli europei» (6), in cui la Commissione traccia un bilancio dei prezzi e dei costi dell’energia in Europa. Il CESE deplora che in tale pacchetto non venga maggiormente evocata la prospettiva della transizione energetica. I costi differenziati a seconda delle diverse fonti di produzione di elettricità sarebbero più comprensibili. Il contenuto energetico di un bene dipende da tutta la catena di produzione e dai costi dell’energia. In gioco è la competitività delle imprese, a cui si aggiunge la loro capacità di creare occupazione sostenibile e di preservare l’ambiente.

12.2.

I vari testi europei hanno fatto dell’UE un punto di riferimento comune nella lotta degli Stati contro i gas a effetto serra e a favore dell’efficienza energetica e della promozione delle energie rinnovabili. La scelta del «mix» energetico è però di competenza degli Stati membri. Tra loro esistono delle divergenze, in particolare in materia di fiscalità e di orientamento nella lotta contro i cambiamenti climatici. Questa situazione provoca il fenomeno del dumping e rende difficile la governance dell’Unione dell’energia (7).

12.3.

Un approccio tutto improntato alla concorrenza, secondo il principio che ispirava gli anni ‘80 dello scorso secolo, non tiene conto della realtà mondiale del settore energetico, né dei nuovi orientamenti dell’UE: il consumatore è «posto al centro del sistema»; non si può più chiamare in causa l’«imperfezione del mercato», o l’ampia gamma di interventi pubblici a favore del settore dell’energia, che non sono altro che «sussidi», o ancora l’importante base imponibile per le entrate pubbliche. Si potrebbe parlare di una ridistribuzione per compensare il costo sociale dell’energia divenuto insostenibile per numerosi cittadini.

12.4.

L’aumento del prezzo dell’energia e in particolare dell’elettricità può avere un effetto di delocalizzazione dei posti di lavoro; la stabilità delle politiche pubbliche è indispensabile per i dipendenti, le imprese e gli investitori.

12.5.

Le disuguaglianze tra persone e tra Stati membri rimangono evidenti. Esse esistono anche tra imprese — le grandi consumatrici contrapposte alle altre — e tra cittadini e imprese. La liberalizzazione del mercato europeo, che ha distrutto i monopoli nazionali per introdurre una concorrenza che doveva andare a vantaggio dei consumatori, ha portato a un aumento delle bollette del gas e dell’elettricità per il consumatore finale e non ha impedito la creazione di oligopoli non concorrenziali. Il CESE ritiene che il concetto di parità tra «consumatori», anche definito perequazione, potrebbe essere un concetto europeo.

12.6.

In una comunicazione sul nuovo slancio all’innovazione nel settore dell’energia pulita  (8), la Commissione afferma che «il sistema energetico ha raggiunto un punto di non ritorno» in Europa e che «le energie rinnovabili sono sempre più concorrenziali». Il Consiglio europeo ha adottato misure sulla decarbonizzazione delle economie e l’integrazione del mercato dell’energia. Le energie rinnovabili rappresentano una parte crescente della produzione di elettricità e i tassi di intensità energetica — che misurano il consumo energetico rispetto alla prestazione economica — sono in calo, soprattutto nelle economie più avanzate.

12.7.

La relazione in esame presenta un pacchetto di misure legislative articolato intorno a tre obiettivi principali:

dare la preminenza all’efficienza energetica,

essere leader mondiali nel settore delle energie rinnovabili,

assicurare un trattamento equo ai consumatori.

12.8.

L’approccio dell’UE nei confronti delle questioni relative ai prezzi e ai costi dovrebbe cambiare radicalmente, prendere in considerazione la situazione dei consumatori più vulnerabili e specificare fino a quando le politiche pubbliche devono finanziare le energie rinnovabili affinché le famiglie non siano colpite troppo duramente dalla fiscalità indotta. La Commissione propone un approccio regionale più intuitivo e vicino ai consumatori, che consenta di fare passi avanti verso un mercato unico.

12.9.

La Commissione evidenzia l’importanza delle misure sociali destinate ai consumatori vulnerabili per contrastare la povertà energetica. Ciò è giusto, ma tali misure non vengono certo finanziate dai margini realizzati dalle grandi imprese dei settori energetici, bensì dagli altri cittadini, dalle tasse che questi ultimi versano e dai bilanci degli Stati membri.

12.10.

Il CESE sottolinea che la relazione fornisce un gran numero d’informazioni ottenute da diversi attori, ma si rammarica che questa trasparenza, in termini sia di prezzi che di costi, non arrivi fino alle famiglie: per le energie rinnovabili il costo di rete può avere un’incidenza del 50 % [Relazione del Centre d’analyse stratégique (Centro di analisi strategica), 2012, Francia]. Sono necessarie statistiche affidabili, che il regolamento presentato dalla Commissione (cfr. nota a piè di pagina 1) si prefigge di raccogliere, perché i consumatori possano compiere scelte e prendere decisioni. Esse dovrebbero includere il costo dei danni ambientali e risultare facilmente accessibili ai destinatari di dette misure che vogliano capire perché e come ottengono e pagano l’energia.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Pacchetto Energia pulita per tutti gli europei, GU C 246 del 28.7.2017, pag. 64.

(2)  GU L 311 del 17.11.2016, pag. 1.

(3)  COM(2016) 769 final, pag. 7, nota a piè di pagina n. 8.

(4)  GU L 283 del 31.10.2003, pag. 51.

(5)  GU C 341 del 21.11.2013, pag. 21.

(6)  COM(2015) 80 final.

(7)  Parere del CESE sul tema Governance dell’Unione dell’energia (GU C 246 del 28.7.2017, pag. 34).

(8)  Parere del CESE sul tema Nuovo slancio all’innovazione nel settore dell’energia pulita (TEN/619), non ancora pubblicato sulla GU.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/126


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1008/2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità»

[COM(2016) 818 final — 2016/0411 (COD)]

(2017/C 345/21)

Relatore:

Jacek KRAWCZYK

Consultazione

Parlamento europeo, 16.2.2017

Consiglio dell’Unione europea, 13.2.2017

Base giuridica

Articolo 100, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

14.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

135/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1008/2008 (di seguito: la proposta) è limitata all’articolo 13, paragrafo 3, lettera b). La modifica, se approvata, introdurrebbe all’inizio del suddetto paragrafo i termini «salvo diverse disposizioni contenute in un accordo internazionale concluso dall’Unione […]».

1.2.

Il Comitato approva l’intenzione della Commissione di cercare di risolvere una contraddizione normativa tra l’articolo 13, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (CE) n. 1008/2008 e le disposizioni dell’accordo sui trasporti aerei UE-Stati Uniti (ATA) in merito agli accordi di wet lease (noleggio con equipaggio). L’eliminazione delle incoerenze e delle limitazioni a tali accordi che non siano reciproche, o agli accordi che non siano previsti dall’ATA e restino poco chiari, limiterebbe le opportunità per le compagnie aeree dell’UE e rischierebbe di dar luogo a interpretazioni eccessive o divergenti. La Commissione dovrebbe prendere seriamente in considerazione le preoccupazioni riguardo alla possibilità che formulazioni inopportune finiscano per discostarsi dalle intenzioni della strategia dell’UE per l’aviazione e aprire la via a nuovi modelli commerciali ibridi indesiderati.

1.3.

Date la natura altamente tecnica della proposta e la sua portata limitata, e in vista delle ulteriori proposte di più ampi chiarimenti sia per il regolamento (CE) n. 1008/2008 sugli obblighi di servizio pubblico che per le disposizioni in materia di proprietà e controllo, la scelta di questa particolare modifica potrebbe sembrare discutibile. Tuttavia, la Commissione aveva già indicato nella sua tabella di marcia per la valutazione (1) che le restrizioni temporali degli accordi di wet lease dovevano essere oggetto di un’analisi distinta. Inoltre, gli aspetti specifici dell’ATA e il protrarsi delle discussioni sul tema in seno al comitato misto ATA (di seguito: il comitato misto) significano che tale questione merita una soluzione a parte. Infine, la questione è di natura talmente specifica da non dover essere trattata nello stesso contesto di aspetti complessi sul piano politico quali, ad esempio, la proprietà e il controllo. Ci sono giustificati motivi, pertanto, per trattare la modifica proposta in modo a sé stante. Pur rilevando che in questo caso la Commissione non ha ritenuto necessaria una valutazione d’impatto, il CESE constata che la proposta ha dato adito a preoccupazioni da parte dei sindacati e di altre organizzazioni della società civile.

1.4.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che, senza ulteriori chiarimenti in merito alla parte introduttiva proposta per l’articolo 13, paragrafo 3, lettera b), i negoziatori ed eventualmente i soggetti interessati potrebbero interpretare la modifica come un’autorizzazione di principio ad abbandonare le restrizioni in materia di «circostanze eccezionali», il che andrebbe a incidere sulla negoziazione dei nuovi accordi di wet lease non solo con gli Stati Uniti, ma anche con qualsiasi paese terzo. Il CESE è convinto che se il carattere altamente restrittivo della modifica proposta, in termini sia di portata che di contenuto, sarà precisato nel modo opportuno, consultazioni inclusive con il più ampio ventaglio possibile di soggetti interessati, sia dell’industria che della società civile, garantiranno che le conseguenze indesiderate della modifica all’articolo 13, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (CE) n. 1008/2008 possano essere evitate, e le discussioni limitate agli accordi di wet lease tra l’UE e gli Stati Uniti. È importante che la Commissione, al momento di consultare le parti interessate, garantisca l’inclusione di tutti i soggetti pertinenti, ivi comprese le parti sociali riconosciute e altre organizzazioni della società civile.

1.5.

Il CESE attende con interesse il riesame più ampio del regolamento (CE) n. 1008/2008 che è stato annunciato per il futuro e sottolinea la necessità di consultazioni inclusive con il più ampio ventaglio possibile di soggetti interessati, sia dell’industria che della società civile. Il CESE è pronto a promuovere attivamente tale dibattito.

1.6.

Dato che per le due parti contraenti mancano dati attendibili sull’uso prevalente del noleggio di aeromobili con equipaggio, entrambe le parti dovrebbero chiedere che tutti gli accordi di questo tipo, quando vengono effettivamente negoziati, siano registrati presso il comitato misto a fini statistici. Ove possibile, detto registro dovrebbe includere informazioni circa le condizioni sociali per garantire non solo eque condizioni di lavoro per i dipendenti, ma anche i diritti dei viaggiatori, visto che tali diritti potrebbero risentirne.

2.   Contesto normativo

2.1.

Nelle intenzioni della Commissione, la proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1008/2008 è limitata all’articolo 13, paragrafo 3, lettera b), e all’ATA. Nella sua formulazione attuale, il paragrafo stabilisce che — oltre a dover rispettare tutte le norme di sicurezza equivalenti a quelle stabilite dalla Comunità (2) — il diritto di un vettore aereo comunitario di ricorrere al wet lease di aeromobili immatricolati in un paese terzo è limitato al soddisfacimento di esigenze di capacità stagionali (3), al superamento di difficoltà operative (4) o a situazioni di necessità eccezionale per un periodo di sette mesi, che può essere prorogato per altri sette mesi (5). La modifica, se approvata, introdurrebbe all’inizio del suddetto paragrafo i termini «salvo diverse disposizioni contenute in un accordo internazionale concluso dall’Unione […]». La formulazione proposta non incide pertanto sui diritti dell’autorità competente per il rilascio delle licenze, né sul requisito fondamentale di rispettare le norme di sicurezza della Comunità.

2.2.

L’unico accordo internazionale dell’UE con un paese terzo che abbia pertinenza in questo contesto è l’ATA con gli Stati Uniti. Sarebbe opportuno chiarire, mediante orientamenti interpretativi, che la ragion d’essere della modifica, secondo i termini proposti, risiede nella volontà di porre rimedio alle norme contradditorie contenute nell’articolo 13, paragrafo 3, lettera b), e nell’ATA. In presenza di detto chiarimento, le modifiche proposte avrebbero rilevanza soltanto per uno specifico accordo in materia di servizi aerei internazionali, e non prevedrebbero modifiche sostanziali alla politica e ai regolamenti riguardanti gli accordi di wet lease in generale.

2.3.

Come sottolineato dalla Commissione nella relazione che accompagna la proposta, l’iniziativa ha un obiettivo molto specifico e una portata limitata; pertanto, la Commissione non propone una valutazione d’impatto. Date le preoccupazioni in merito a possibili interpretazioni eccessive della modifica proposta, e le conseguenti discussioni con gli Stati Uniti ed eventualmente, a medio termine, con altri paesi terzi, la Commissione dovrebbe considerare l’opportunità di motivare la propria proposta di non includere una valutazione d’impatto. Deve essere assolutamente chiaro che l’impatto della modifica proposta al regolamento (CE) n. 1008/2008 deriverebbe dal contenuto degli accordi commerciali di wet lease tra le parti contraenti, e non dalla modifica legislativa proposta.

2.4.

La tabella di marcia della Commissione per l’istituzione di accordi di wet lease senza restrizioni tra l’UE e gli Stati Uniti attraverso un accordo di wet lease tra le parti (6) sottolinea il contesto della proposta legislativa in oggetto, che allinea i principi concordati in materia di trasferibilità transfrontaliera degli aeromobili tra l’UE e gli Stati Uniti e, quindi, consente di superare una situazione di stallo nelle discussioni tra l’UE e questo paese in seno al comitato misto.

2.5.

La proposta risponde alle esigenze dell’industria dell’aviazione civile dell’UE. L’ATA, firmato nel 2007, prevede un regime aperto di wet lease tra le due parti. Il tempo a disposizione per superare difficoltà operative e affrontare vincoli di capacità stagionale è limitato dalla terminologia utilizzata; la limitazione a due periodi di 7 mesi per «esigenze eccezionali» è comprensibile in una prospettiva storica (7), ma appare arbitraria e compromette le opportunità commerciali di riassegnare gli aeromobili a nuovi operatori in modo efficiente. Dato che la durata abituale di un tipico accordo di wet lease è di 36 mesi, la limitazione a 7 + 7 mesi comporta incertezze giuridiche e commerciali per i vettori dell’UE.

2.6.

La Commissione sostiene che la modifica proposta non avrà un impatto significativo sui requisiti in materia di diritto del lavoro. Gli accordi di wet lease in generale sono un tema altamente sensibile per le organizzazioni dei lavoratori. I vincoli di costo imposti da vettori di paesi terzi insediati in paesi con bassi standard sociali e basi di costo conseguentemente basse — e anche le differenze di legislazione sociale all’interno dell’UE — hanno fatto del wet leasing un settore chiave che le parti sociali tengono sotto costante monitoraggio. Se interpretazioni indesiderate e infondate di tale modifica dovessero «aprire un vaso di Pandora», la questione del wet lease potrebbe assumere rapidamente le proporzioni di un problema ben maggiore, anziché rimanere una mera «correzione tecnica» di norme contradditorie. I requisiti in materia di diritto del lavoro dovranno quindi essere valutati alla luce degli sviluppi futuri, sia nelle trattative tra UE e Stati Uniti sugli accordi di wet lease nell’ambito dell’ATA che nella successiva prassi di mercato.

2.7.

Facendo riferimento ad accordi internazionali, la formulazione proposta per la modifica getta le basi per un accordo specifico in materia di wet lease tra l’UE e gli Stati Uniti senza che sia necessario riaprire i negoziati sull’intero ATA. L’opzione scelta dalla Commissione permette quindi di risolvere contraddizioni tra le disposizioni in maniera mirata, efficiente e rapida, nonché di ripristinare la stabilità della pianificazione per le parti commerciali e di evitare possibili ritorsioni di partner statunitensi. Tuttavia, tale obiettivo potrà essere conseguito solo se la Commissione chiarirà adeguatamente che la modifica è diretta a consentire i negoziati con gli Stati Uniti risolvendo una contraddizione normativa riguardante unicamente quel paese.

2.8.

Già in passato il CESE si è espresso favorevolmente sull’ATA e sulla sua attuazione. Come indicato nel precedente parere del CESE, una «nozione di spazio aereo aperto […] consente il cosiddetto wet-leasing di aeroplani (leasing inclusivo di equipaggio) a condizioni non discriminatorie e trasparenti» (8).

3.   Valutazione della proposta

3.1.

Per trovare una soluzione al problema la Commissione ha valutato diverse opzioni (9).

3.1.1.

Modificare l’attuale ATA sarebbe molto dispendioso in termini di tempo. L’esperienza maturata rivela che le parti contraenti dell’ATA hanno convenuto di applicare l’accordo in via provvisoria a partire da marzo 2008; la decisione del Consiglio, che è seguita alla ratifica dei parlamenti degli Stati membri, è stata adottata nel 2016. Sarebbe sproporzionato e ingiustificato, date le opportunità che l’industria potrebbe perdere, rimettere in moto una procedura talmente complessa allo scopo di modificare le disposizioni in materia di wet lease.

3.1.2.

Sul piano giuridico, l’UE non può adottare deroghe, valide solo per gli Stati Uniti, alle disposizioni del regolamento (CE) n. 1008/2008 allo scopo di soddisfare le esigenze delle due parti contraenti per quanto riguarda il wet lease. Gli Stati membri sono vincolati da tutte le disposizioni dei regolamenti dell’UE.

3.1.3.

Un accordo congiunto sulle restrizioni reciproche, per quanto chiaro, sarebbe in contrasto con lo spirito dell’accordo e danneggerebbe gli interessi commerciali del settore dell’aviazione.

3.1.4.

La soluzione preferibile, come ripetutamente sottolineato dalle parti interessate, è un accordo di wet lease tra l’UE e gli Stati Uniti che consenta di rispettare pienamente l’ATA e non sia in contrasto con le disposizioni nazionali o dell’UE. Tutte le questioni riguardanti i dettagli di tale accordo sono oggetto di discussione dal gennaio 2014. È prevedibile che un consenso possa essere raggiunto rapidamente. Si è convenuto che un tale accordo tecnico si baserebbe sugli attuali diritti di traffico ai sensi dell’ATA e non creerebbe nuovi diritti né modificherebbe quelli esistenti. La Commissione dovrebbe chiarire adeguatamente che l’intenzione della modifica non è di alterare, modificare o aggiungere ulteriori diritti di traffico tra l’UE e gli Stati Uniti. Tale accordo, tuttavia, renderebbe necessaria una modifica dell’articolo 13 del regolamento (CE) n. 1008/2008, che ha istituito un limite di 7 + 7 mesi per i contratti di wet lease tra i vettori dell’UE e le compagnie aeree dei paesi terzi. La formulazione proposta rispetta pienamente il requisito di fare in modo che l’articolo 13 sia applicato soltanto nella misura in cui le condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 3, lettera b), non siano altrimenti previste da un accordo internazionale.

3.2.

La valutazione della Commissione conclude che l’azione proposta è adeguata, proporzionata e giuridicamente fattibile, è nell’interesse degli Stati membri e dell’industria dell’UE, e non arreca svantaggi alle parti interessate.

4.   Contesto

4.1.

La proposta della Commissione riguarda soltanto i contratti di wet lease, che costituiscono di norma uno strumento per generare capacità durante i picchi stagionali di traffico e i controlli annuali di manutenzione pesante, oltre che per superare difficoltà operative contingenti all’interno della flotta. Un wet lease è un contratto di leasing in cui una compagnia aerea (locatrice) opera voli fornendo l’aeromobile e l’equipaggio a un’altra compagnia aerea (locataria). L’aeromobile è utilizzato sotto il certificato di operatore aereo della compagnia locatrice e, quindi, sotto la sua responsabilità operativa.

4.2.

Il settore considera gli accordi di wet lease un fattore importante di flessibilità operativa che non dovrebbe essere soggetto a restrizioni arbitrarie. Insieme al settore del trasporto aereo dell’UE e alla maggior parte degli Stati membri, se non tutti, gli Stati Uniti e l’amministrazione statunitense si aspettano che venga trovata una soluzione alla questione per l’esercizio — attuale e futuro — degli aeromobili in wet lease nel quadro delle relazioni bilaterali.

4.3.

La proposta della Commissione non dovrebbe modificare le politiche o i principi relativi al wet lease, e dovrebbe essere unicamente tesa a risolvere un contrasto normativo tra il regolamento (CE) n. 1008/2008 e l’ATA.

4.4.

Il CESE raccomanda vivamente che il comitato misto provveda alla raccolta di statistiche sulle attività di wet lease realizzate a norma dell’ATA. Ove possibile, dette statistiche dovrebbero includere informazioni sulle condizioni sociali per garantire non solo eque condizioni di lavoro per i dipendenti, ma anche i diritti dei viaggiatori, visto che tali diritti potrebbero risentirne.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE accoglie le motivazioni fornite dalla Commissione per la modifica del regolamento (CE) n. 1008/2008, finalizzata a consentire accordi di wet lease senza restrizioni, su base di reciprocità, tra i vettori dell’UE e degli Stati Uniti sui voli internazionali nell’ambito dell’ATA. La nuova formulazione proposta, tuttavia, non deve consentire — né nell’ambito dell’ATA, né a norma di qualsiasi futuro accordo in materia di traffico aereo con un paese terzo — la conclusione di accordi di wet lease di lunga durata per ragioni diverse da quelle previste all’articolo 13 del regolamento vigente. Il CESE concorda sul fatto che la proposta relativa all’ATA ne aumenta la flessibilità — su base di reciprocità — per i contratti di wet lease che di norma hanno una durata massima di 36 mesi. Tali accordi non avrebbero alcun impatto sulle condizioni sociali. Tuttavia, il CESE sarebbe molto preoccupato se la modifica proposta alle restrizioni al wet lease fosse utilizzata per ottenere condizioni di subappalto di durata maggiore e per erodere le condizioni o i diritti dei lavoratori o dei consumatori. Il CESE esorta pertanto la Commissione, al momento di concludere i termini del previsto accordo sul wet lease tra l’UE e gli Stati Uniti, a inserire una formulazione che vieti tali pratiche. La proposta non deve essere interpretata come un mezzo per la locazione di aeromobili da parte delle compagnie aeree che consenta di eludere, deliberatamente o accidentalmente, la legislazione sociale nazionale sui rapporti di lavoro di lunga durata.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Valutazione del regolamento (CE) n. 1008/2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità, del 21 novembre 2016 (DG MOVE/Unità E4, cfr. cap. C1).

(2)  Articolo 13, paragrafo 3, lettera a) del regolamento (CE) n. 1008/2008.

(3)  Articolo 13, paragrafo 3, lettera b), iii) del regolamento (CE) n. 1008/2008.

(4)  Articolo 13, paragrafo 3, lettera b), iii) del regolamento (CE) n. 1008/2008.

(5)  Articolo 13, paragrafo 3, lettera b), iii) del regolamento (CE) n. 1008/2008.

(6)  Tabella di marcia del 7 marzo 2016, DG MOVE/E.1.

(7)  La limitazione è stata introdotta nel regolamento (CE) n. 1008/2008 per evitare l’ambiguità dei precedenti regolamenti (CEE) n. 2407/92, (CEE) n. 2408/92 e (CEE) n. 2409/92 (che esso ha sostituito) riguardo al significato preciso di esigenze eccezionali.

(8)  GU C 306 del 16.12.2009, pag. 1.

(9)  Tabella di marcia della Commissione per l’istituzione di accordi di wet lease senza restrizioni tra l’UE e gli Stati Uniti attraverso un accordo di wet lease tra le parti, pag. 7.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/130


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Costruire un’economia dei dati europea»

[COM(2017) 9 final]

(2017/C 345/22)

Relatore:

Joost VAN IERSEL

Consultazione

Commissione europea, 17.2.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

14.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

148/0/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione «Costruire un’economia dei dati europea» che verte sul tema dei dati come fattore centrale e cruciale della nuova economia (1).

1.2.

La comunicazione esamina i dati non personali e/o pienamente anonimi. Se i dati rientrano nella categoria dei dati personali, si applica il quadro per la protezione dei dati, in particolare il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD).

1.3.

Il problema principale è quello di costruire un ecosistema di dati con base in Europa come vettore indispensabile di progresso economico e sociale nonché di una robusta competitività in un mondo che sta attraversando un processo di radicale trasformazione, in presenza di forti concorrenti negli Stati Uniti e in Asia. Al fine di promuovere la connettività e le opportunità di conservazione dei dati è assolutamente necessario effettuare investimenti pubblici e privati in tutto il continente.

1.4.

La creazione di un ecosistema di dati richiede innanzitutto azioni di sensibilizzazione al livello delle imprese, dei servizi pubblici, della società e degli Stati membri. Vi è bisogno di una maggiore fiducia e apertura, nonché della disponibilità di tutti i soggetti coinvolti a condividere i dati.

1.5.

Il CESE sottolinea che la posta in gioco non si limita alle misure tecniche e giuridiche. Nel quadro del processo di trasformazione in corso è indispensabile adeguare le competenze europee essenziali, poiché l’Europa segna il passo in questo settore strategico. Nel mondo delle imprese è necessario adottare un atteggiamento proattivo per aprirsi ai flussi crescenti di dati e sviluppare la capacità di elaborare i megadati. È inoltre indispensabile creare modelli imprenditoriali flessibili e più adattabili.

1.6.

Gli strumenti intesi a stimolare l’innovazione, proteggendo nel contempo gli interessi legittimi delle imprese e dei cittadini, comprendono le piattaforme e i seminari su scala dell’UE, i laboratori sul campo, la creazione di piattaforme di eccellenza, la creazione di comunità, le fabbriche del futuro, i banchi di prova, gli scambi, le interfacce di programmazione delle applicazioni, il coaching tra imprese, i contratti tipo, l’interazione tra scienza e imprese, le iniziative tecnologiche congiunte, nonché i partenariati pubblico-privato che prevedono la partecipazione del settore pubblico e di quello privato, ad esempio, a progetti di dimostrazione in grande scala.

1.7.

Sono essenziali i fondi di private equity e un mercato europeo del capitale di rischio più maturo.

Raccomandazioni

1.8.

La Commissione dovrebbe procedere a un’analisi approfondita della situazione e degli atteggiamenti difensivi nei confronti del libero flusso di dati negli Stati membri, al fine di eliminare gli ostacoli ingiustificati attraverso l’introduzione di misure tecniche e giuridiche adeguate. L’eliminazione degli ostacoli ingiustificati al libero flusso di dati dovrebbe essere parte integrante di una politica industriale su scala europea. L’apertura dei mercati nazionali dovrebbe essere trattata anche nel quadro del semestre europeo.

1.9.

La localizzazione dei dati pregiudica in particolare le PMI e l’innovazione. Il CESE sostiene fermamente la proposta della Commissione secondo cui la conservazione dei dati negli Stati membri deve seguire il principio della libera circolazione. Il CESE chiede che vengano stabilite una tabella di marcia e delle scadenze per l’apertura dei mercati nazionali. La questione dovrebbe essere trattata anche nel quadro del semestre europeo.

1.10.

La ricerca pubblica è una fonte di dati di grande importanza e la Commissione dovrebbe incoraggiare una diffusione più ampia di tali dati in Europa.

1.11.

In linea di principio, nel settore privato si dovrebbe rispettare la libertà contrattuale. È auspicabile istituire un quadro generale di norme a livello di UE, ma le norme non devono in alcun modo ostacolare l’innovazione. Si dovrebbe promuovere la portabilità.

1.12.

La questione della responsabilità è spinosa: potrebbe essere necessario rivedere la direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi e prendere in considerazione delle disposizioni giuridiche specifiche nel caso delle comunicazioni M2M (da macchina a macchina).

1.13.

Si dovrebbe invitare la Commissione a tenere nella dovuta considerazione gli aspetti relativi ai dati espressi in lingue diverse nel quadro del libero flusso dei dati e dell’accesso ai dati.

1.14.

Il fattore umano riveste un’importanza fondamentale. Occorre definire dei programmi UE volti a preparare i lavoratori e i giovani agli sviluppi futuri. L’istruzione e la formazione sul posto di lavoro sono di primaria importanza per soddisfare, ad esempio, il forte bisogno di analisti di dati.

1.15.

Tali processi devono essere adeguatamente monitorati all’interno delle imprese nonché da parte della Commissione e delle autorità nazionali, in modo da realizzare una reale parità di condizioni a livello europeo.

2.   Contesto

2.1.

Vi è una distinzione tra dati personali e non personali, ovvero tra i dati di massa relativi alle persone e quelli generici. Entrambi formano parte del mercato digitale, ma riguardano ambiti diversi e sono disciplinati da distinte disposizioni normative dell’UE (2).

2.2.

La comunicazione sui megadati (3), che fa seguito alla comunicazione dal titolo «Verso una florida economia basata sui dati» (4), esamina i dati non personali o anonimi.

2.3.

In alcuni casi specifici i dati personali e non personali si sovrappongono, a causa delle possibili interazioni tra le due categorie di dati e dell’interazione tra il settore pubblico e quello privato. Si pensi, ad esempio, al settore sanitario in cui gli interessi personali dei pazienti, gli interessi commerciali e l’interesse pubblico si sovrappongono parzialmente.

2.4.

I cambiamenti in atto sono molteplici e imprevedibili. I processi in corso relativi alle ramificazioni verticali e orizzontali dei dati creano sempre maggiori opportunità in termini di raccolta, analisi e trattamento dei dati. I megadati costituiscono un elemento essenziale della futura economia «orientata ai clienti».

2.5.

I dati hanno notevoli ripercussioni sulle linee di produzione, sull’interazione tra il settore dei servizi e l’industria manifatturiera e sulle catene del valore, di cui accrescono la frammentazione.

2.6.

L’aumento delle start-up e scale-up (imprese ad alto valore innovativo e in fase di espansione) illustra il ruolo chiave dei dati. Le PMI dipendono in larga misura da un contesto internazionale (europeo) favorevole e dai finanziamenti.

2.7.

Un’economia orientata ai clienti è il risultato dei megadati, delle comunicazioni da macchina a macchina (M2M) e del libero flusso dei dati. Essa genera prodotti e servizi sofisticati. Tutti i settori e tutti i livelli all’interno delle imprese si stanno adeguando a questi cambiamenti. Tuttavia, esistono notevoli differenze tra i settori e tra le grandi e le piccole imprese, posizioni diverse delle imprese nelle catene del valore, diversi gradi di dipendenza tra le imprese, prospettive differenti nel settore della produzione e dei servizi e, di conseguenza, diversi di punti di vista tra le imprese.

2.8.

Se l’UE non riesce a sfruttare appieno le potenzialità della digitalizzazione, di qui al 2025 sarà a rischio una quota importante di valore aggiunto stimato globalmente a 605 miliardi di euro. Per contro, le ricadute positive sono ancora più impressionanti: secondo le stime di uno studio commissionato dal Bundesverband der deutschen Industrie (Confederazione dell’industria tedesca), in Europa si potrebbero creare 1 250 miliardi di euro di valore aggiunto entro il 2025.

2.9.

Dei processi analoghi sono in corso a livello mondiale. Studi comparativi dimostrano che, nonostante gli straordinari risultati economici ottenuti a livello mondiale in un certo numero di settori, l’UE non riesce a tenere il passo in questo campo.

2.10.

Sul piano culturale, vi sono differenze sostanziali tra le imprese americane e quelle europee. In Europa i dati sono gestiti principalmente da segmenti dell’industria manifatturiera (5). Per contro, negli Stati Uniti questo settore è trainato principalmente dalle imprese di servizi e dalle imprese basate sui dati, le cosiddette GAFA e, più recentemente, dalle NATU (6). Gli Stati Uniti dispongono di un mercato interno ampio e dinamico e godono di eccellenti condizioni finanziarie. L’assunzione di rischi fa parte della mentalità delle imprese. Inoltre, le aziende americane dispongono di reti veloci e di enormi capacità di conservazione dei dati. Anche in Cina il numero delle grandi piattaforme è in costante aumento.

2.11.

Mentre l’Europa segna il passo, è sorprendente che la comunicazione della Commissione non faccia riferimento ai principali concorrenti dell’UE sul piano internazionale, anche se costituiscono il motivo principale per cui l’Europa deve accrescere con urgenza la sua efficienza e migliorare il coordinamento delle politiche. Negli Stati Uniti e in Cina, gli obiettivi a livello nazionale sono stati definiti di recente al fine di conquistare e assicurarsi una posizione economica dominante su scala mondiale. Gli USA e la Cina, seguiti da altri paesi, sostengono e promuovono deliberatamente i Big Data come strumento per consolidare il vantaggio competitivo delle imprese cinesi e di quelle stabilite nel territorio USA. Negli Stati Uniti l’amministrazione Obama ha adottato un approccio molto chiaro alla terza rivoluzione industriale americana (che equivale all’Industria 4.0 nell’UE), come base per rafforzare la competitività e la posizione dominante degli USA. La strategia America first tenderà probabilmente ad intensificare questa politica. In questo contesto, un ulteriore sviluppo dei megadati va inoltre visto come un fattore geopolitico.

3.   Il libero flusso dei dati tra gli Stati membri

3.1.

Tra le ragioni per cui «l’economia digitale europea è stata troppo lenta nell’abbracciare la rivoluzione dei dati rispetto a quella degli Stati Uniti e non dispone di una capacità industriale equivalente» (7), la Commissione annovera giustamente la relazione tra gli ostacoli alla libera circolazione dei dati e il ritardo nello sviluppo del mercato europeo.

3.2.

Mentre negli Stati Uniti la protezione dei dati si basa essenzialmente sul principio della comunicazione intenzionale di dati e, nel caso dei dati privati, rientra nell’ambito della protezione dei consumatori, la maggior parte dei paesi europei ha introdotto legislazioni sulla protezione dei dati, la quale è spesso sancita come un diritto costituzionale. Da un lato, l’approccio dell’UE alla sicurezza dei dati può essere considerato come un vantaggio competitivo, mentre dall’altro l’utilizzo e il trattamento dei megadati sembrano talmente limitati da ostacolare l’innovazione.

3.3.

È necessario porre fine alla frammentazione del mercato. La Commissione dev’essere incaricata di esaminare il modo e la misura in cui si devono eliminare le differenze di impostazione tra gli Stati membri al fine di ridurre le differenze in termini di sviluppo e di approccio.

3.4.

In considerazione della crescente quantità di dati legati all’Internet delle cose (IoT), alle fabbriche del futuro e ai sistemi autonomi connessi, è tanto più necessario adottare delle misure su scala europea che, in questo contesto, rivestono un’importanza strategica. La base giuridica e tecnica del libero flusso di dati in Europa costituisce un elemento centrale per costruire un’economia digitale ampia e solida (8).

3.5.

Occorre mettere in atto una politica industriale dell’UE. È indispensabile abolire gli ostacoli ingiustificati al libero flusso di dati. Un mercato interno è incompatibile con 28 politiche industriali diverse, ciascuna dotata di strumenti e obiettivi distinti e questo vale anche nell’era digitale (9). La Commissione e i governi nazionali dovrebbero pertanto intervenire in qualità di moderatori, con una visione a lungo termine che definisca le condizioni di concorrenza e le condizioni quadro sulla base di un partenariato pubblico-privato (10).

3.6.

La Commissione mette giustamente in evidenza gli argomenti utilizzati dalle autorità nazionali per limitare il flusso di dati. Le misure di localizzazione che rappresentano di fatto la reintroduzione di «controlli di frontiera» digitali (11) devono essere sostituite da un quadro europeo soddisfacente.

3.7.

Il CESE raccomanda di procedere a un’analisi approfondita della situazione negli Stati membri e delle enormi discrepanze che si rilevano in Europa. Il settore manifatturiero di punta in Germania è il più avanzato nella produzione di dati, seguito dai cluster avanzati di imprese manifatturiere in altri paesi, grandi e piccoli. D’altro canto, sono anche in forte crescita i megadati basati sui servizi, ad esempio, in Francia e nel Regno Unito, nonché in alcune economie più piccole.

3.8.

Il libero flusso dei dati è seriamente ostacolato dagli atteggiamenti difensivi degli Stati membri Ad oggi sono stati individuati almeno 50 ostacoli di natura giuridica e amministrativa. Esistono poi differenze sostanziali nei requisiti relativi agli appalti pubblici tra i vari Stati membri. in cui prevalgono culture e tradizioni diverse. Le politiche industriali dei singoli paesi creano contesti legislativi diversi e non esiste un quadro di politica industriale comune. La sfiducia nei confronti dei dati non personali può essere causata anche da approcci diversi al modo in cui devono essere trattati i dati personali sul piano giuridico. Gli atteggiamenti difensivi assunti dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese in diversi paesi tendono a rafforzarsi reciprocamente.

3.9.

Per contro, solo una maggiore fiducia tra gli Stati membri può creare un mercato unico che si trasformerà in un porto sicuro per i dati e in un terreno fertile per l’innovazione.

3.10.

Il modo migliore per realizzare obiettivi nazionali quali la promozione dell’innovazione e la progressiva creazione di valore aggiunto consiste nel creare un mercato comune dei megadati, garantendo una conservazione sicura dei dati grazie a una gestione informatica di ultima generazione su larga scala, e nella messa in comune delle potenzialità.

3.11.

Oltre ad avere un effetto controproducente sulla trasparenza e a ostacolare l’innovazione, la localizzazione dei dati pregiudica soprattutto le PMI che operano a livello transfrontaliero. Per questo il CESE sostiene fermamente la proposta della Commissione secondo cui «le azioni degli Stati membri che riguardano la conservazione e l’elaborazione dei dati» devono seguire il «principio della libera circolazione dei dati all’interno dell’UE» (12).

3.12.

Il CESE insiste sul fatto che la questione dell’apertura dei mercati nazionali alla diffusione dei dati su scala europea sia trattata anche nel quadro del semestre europeo e delle raccomandazioni specifiche per paese. L’apertura dei dati pubblici in tutta Europa consentirà di completare il mercato unico e garantire condizioni di parità. Il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) contribuisce a creare un terreno comune (13).

3.13.

Le regioni e le aree urbane dispongono anch’esse di dati dinamici. Le piattaforme regionali con attori pubblici e privati promuoveranno le economie regionali e sono in grado di rafforzare i cluster regionali nel contesto internazionale. Le regioni e le città dovrebbero essere incoraggiate ad operare in uno spirito di apertura. Anche in questo caso l’UE può svolgere un ruolo importante nello scambio delle buone pratiche e nell’offerta di conoscenze avanzate agli enti regionali.

3.14.

La ricerca pubblica è una fonte di dati di grande importanza. Dato che è in gioco il denaro dei contribuenti, è necessario assicurare una diffusione più ampia di tali dati. Le PMI in particolare possono trarre vantaggio dai bacini di dati derivanti dalla ricerca.

3.15.

Questi dati pubblici spesso s’incrociano con le operazioni gestite da privati. Gli accordi contrattuali con il settore commerciale prevedono ovviamente un trattamento diverso dei dati. Tra gli esempi figurano i dati non personali prodotti nel settore dei trasporti, nel settore dell’energia nonché dai satelliti, dal catasto dei terreni nonché da altri servizi pubblici.

3.16.

Date le divergenze, purtroppo ampie, presenti in Europa, il CESE sottolinea che un libero flusso di dati nel continente europeo potrebbe anche contribuire alla convergenza tra le economie nazionali, convergenza che riveste un notevole interesse sia per le economie più avanzate che per quelle in ritardo di sviluppo. Si possono invitare le amministrazioni pubbliche a sostenersi e a formarsi a vicenda nella creazione dei meccanismi più adeguati.

3.17.

La comunicazione non esamina gli aspetti relativi ai dati espressi in lingue diverse nel quadro del libero flusso dei dati o dell’accesso ai dati. Considerato che i dati linguistici potrebbero anche essere esclusivamente generati da macchine, il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe intensificare gli sforzi per sostenere la ricerca e l’innovazione, nonché la diffusione della traduzione automatica dei dati espressi in lingue diverse in tutte le lingue ufficiali dell’UE.

3.18.

Il CESE sottolinea la necessità di un approccio globale e di promuovere una visione comune in sede di Consiglio «Competitività» e anche al di fuori, al fine di promuovere rapporti di fiducia reciproca. La fiducia è indispensabile. L’apertura del mercato europeo al libero flusso di dati non personali ha anche un profondo impatto politico, sollevando un’ampia gamma di questioni, quali il rafforzamento della base del mercato unico e l’innovazione nelle imprese grandi e piccole, il miglioramento delle prospettive di crescita economica e di occupazione, la promozione della convergenza economica tra gli Stati membri e la competitività.

4.   Accesso ai dati e trasferimento di dati nel mercato

4.1.

La comunicazione esamina un gran numero di interazioni possibili tra le imprese di tutte le dimensioni in materia di dati (business-to-business o B2B). Si dovrebbe tenere conto anche dei servizi pubblici. La diversità dei dati è infinita e pertanto il loro sviluppo è imprevedibile.

4.2.

La Commissione giustamente attribuisce la priorità all’obiettivo di assicurare che ogni tipo di operatore del mercato abbia accesso a insiemi di dati vasti e diversificati. Essa illustra i numerosi ostacoli al libero accesso e precisa che «lo scambio di dati resta attualmente limitato» (14).

4.3.

I motivi per i quali le imprese tengono i dati per sé sono evidenti. I prodotti e i servizi sono realizzati in base a piani di produzione aziendali o, più in generale, strategie di impresa, che non vengono condivisi. In linea di principio, la libertà contrattuale deve essere rispettata e garantita (15).

4.4.

Il quadro è estremamente eterogeneo. Le grandi imprese dispongono spesso di servizi di ricerca interni, con un’ampia gamma di applicazioni possibili, mentre le imprese più piccole hanno, per definizione, un ambito di attività limitato. In ogni caso, le ragioni a favore della condivisione dei dati con altre imprese sono preponderanti, visti i benefici immediati per tutte le imprese coinvolte.

4.5.

In linea di principio, i diritti di proprietà intellettuale non riguardano i dati M2M (da macchina a macchina). In questo contesto, sono in vigore norme dell’UE per determinate applicazioni specifiche che necessitano di tutela giuridica, mentre in altri casi, i dati e il modo in cui vengono gestiti rimangono soggetti a soluzioni contrattuali (ad esempio la proprietà dei dati e i prezzi).

4.6.

Il quadro giuridico in materia di dati dovrebbe garantire ai diritti delle imprese la medesima protezione che accorda ai beni fisici.

4.7.

Non si sente un grande bisogno di nuove misure legislative poiché i regolamenti in vigore coprono la maggior parte dei settori e, se necessario, possono essere riformulati in funzione delle esigenze specifiche dell’era digitale.

4.8.

Alla luce delle dinamiche attuali e dell’imprevedibilità degli sviluppi, un eventuale quadro generale di norme non dovrebbe in alcun modo ostacolare l’innovazione. Le norme esistenti spesso limitano le innovazioni, e non è possibile stabilirne di nuove senza una migliore conoscenza degli sviluppi. È pertanto necessario individuare nuove modalità di regolamentazione. Si dovrebbe promuovere la portabilità.

4.9.

La questione della responsabilità è oggetto di forti controversie (16). Alcune direttive sono già in vigore e, dato che il campo di applicazione della tecnologia si sta ampliando, forse sarà necessario rivederle, allo scopo, ad esempio, di adattare la direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi anche all’Internet degli oggetti e all’intelligenza artificiale. Nel caso delle comunicazioni M2M potrebbe risultare necessario definire delle disposizioni giuridiche specifiche in materia di responsabilità. Vista la grande varietà e la costante evoluzione dei rapporti tra le imprese sul piano dei dati, il CESE ritiene che la regolamentazione esistente sia in larga misura soddisfacente. Qualsiasi intervento legislativo nuovo in questo senso dovrebbe promuovere l’innovazione e certamente non ostacolarla.

4.10.

Il flusso o trasferimento di dati può essere incrementato promuovendo i contratti tra le imprese, ricorrendo a piattaforme e seminari esistenti o nuovi, preferibilmente su scala internazionale, incoraggiando le interfacce di programmazione delle applicazioni (API) (17) e rafforzando le relazioni mirate tra scienza e imprese. La scienza dovrebbe anche essere rappresentata all’interno delle piattaforme e dei seminari, molti dei quali sono già stati avviati per Industria 4.0, ad esempio i laboratori sul campo a livello regionale. La diffusione dei dati prodotti dai centri di ricerca e finanziati con fondi pubblici dovrebbe essere resa obbligatoria (18).

4.11.

Il CESE è favorevole ai «banchi di prova» e ai mercati aperti per il commercio di dati al fine di incoraggiare coloro che tendono a una maggiore apertura. Si possono individuare e consolidare determinati ambiti comuni. Sarebbe auspicabile incaricare un’organizzazione di individuare gli eventuali bisogni di banchi di prova e agevolare una cooperazione proficua e di elevata qualità tra gli organismi interessati.

4.12.

Il CESE richiama l’attenzione su un’iniziativa estremamente utile lanciata nel 2014 dalla Commissione e dalla Big Data Value Association  (19). Recentemente, entrambi i partner hanno sottolineato in una dichiarazione quattro principali strumenti da attuare mediante partenariati pubblico-privati:

i progetti di dimostrazione su larga scala («progetti faro») nei settori industriali,

l’integrazione dei dati e la sperimentazione («spazi di innovazione»),

i progetti tecnici in settori chiave,

la creazione di reti e di comunità e il sostegno strategico.

Si tratta di un approccio esemplare da utilizzare nelle iniziative europee future. Oltre ai partenariati pubblico-privato per la ricerca sono previste iniziative tecnologiche congiunte (ITC) incentrate sull’innovazione.

4.13.

Per promuovere la cooperazione si potrebbe ricorrere a contratti tipo europei.

5.   Sensibilizzazione e mentalità nel mondo imprenditoriale

5.1.

Oltre alle disposizioni regolamentari e pratiche, una solida economia digitale richiede un clima di maggiore apertura tra le imprese europee. Per reagire in maniera proattiva al cambiamento di paradigma occorre soprattutto focalizzarsi sulla sensibilizzazione e sulla mentalità.

5.2.

L’economia mondiale nel suo complesso sta attraversando una fase di profonda trasformazione e tutti i settori industriali, grandi e piccoli, devono partecipare a questo processo in cui non dovrebbe esservi alcuna contrapposizione tra industrie esistenti e settori più recenti, né tra «vecchio» e «nuovo». È indispensabile trasformare in maniera più rapida ed efficace le competenze essenziali in Europa e tutte le industrie devono essere messe pienamente in grado di partecipare a questo processo di trasformazione.

5.3.

Tale processo si sviluppa essenzialmente dal basso verso l’alto e riguarda quindi il settore commerciale e delle imprese. Oltre ai validi strumenti illustrati dalla Commissione (20) per sensibilizzare i mercati agli adeguamenti proattivi, il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di un cambiamento di mentalità all’interno di gran parte delle imprese europee.

5.4.

I dati costituiscono un tema sensibile per le imprese e lo saranno sempre di più in futuro. Soltanto un numero limitato di imprese è favorevole ai dati aperti. Potrà essere utile fornire un elenco di esempi stilato dalla Commissione. Inoltre, molte imprese ritengono tuttora erroneamente che il loro elevato livello di produzione attuale garantirà loro una buona posizione di mercato anche in futuro.

5.5.

Le differenze tra gli Stati Uniti e l’Europa sono assai marcate. In Europa, la mentalità degli ambienti tecnici tende per tradizione ad essere chiusa. I sistemi tecnici di punta e un livello elevato di sofisticazione nel trattamento dei dati sono fattori essenziali per creare vantaggi competitivi. Gli Stati Uniti sono estremamente avanzati per quanto riguarda il B2C (business-to-consumer), oltre ad essere più aperti al libero accesso. L’Europa è molto avanzata nella produzione di elevata qualità e nel B2B, mentre le imprese vogliono mantenere il controllo dei propri dati.

5.6.

Occorre chiedersi seriamente se, attualmente, l’Europa sia in grado di gestire adeguatamente i megadati. In altre parole, le imprese europee devono affrontare il problema dovuto al fatto che la capacità di trasformare i dati in attività economiche è ampiamente presente negli Stati Uniti, il che significa che i dati con cui dovranno lavorare sono conservati sui server di imprese statunitensi, compresi gli algoritmi necessari a generare nuove idee (21).

5.7.

Vi è urgente bisogno di cambiamenti. Il modo migliore per procedere consiste nell’adottare una strategia di conservazione dei punti forti della produzione e, contemporaneamente, promuovere una maggiore apertura ai flussi di dati. La trasformazione non può avvenire da un giorno all’altro, ma solo con gradualità. Le imprese europee devono trovare la strada più efficace per l’Europa: non devono combattere le tendenze attuali bensì modificarle in modo accettabile (22).

5.8.

Molte imprese europee devono recuperare il tempo perduto accrescendo la loro capacità di lavorare con i dati e migliorando la produzione. Può sembrare strano, ma in molte imprese l’apertura e la trasparenza in materia di megadati dovrebbero iniziare dalla modifica delle procedure interne e delle strategie aziendali interne.

5.9.

Una questione chiave è costituita da modelli imprenditoriali flessibili e più adattabili che sostituiscano gradualmente il paesaggio tradizionale degli impianti produttivi integrati verticalmente (23). Questi modelli aziendali devono permettere alle imprese di operare in modo più efficace nel contesto caratterizzato da un numero sempre maggiore di prodotti e servizi e dalla piena integrazione del settore manifatturiero e di quello dei servizi. Talvolta le imprese devono accettare degli svantaggi per ottenere maggiori benefici.

5.10.

Si dovrebbero organizzare degli scambi per discutere delle tensioni tra il mantenimento dell’identità dei dati legata all’impresa e l’assoluta necessità di innovazione in un contesto internazionale, nonché per individuare gli approcci più efficaci per promuovere l’apertura nel mondo delle imprese. La Commissione potrebbe essere di grande aiuto nel permettere che tali scambi si realizzino su scala europea.

5.11.

Occorre generare idee per creare delle piattaforme di eccellenza in grado di controbilanciare la Silicon Valley e le grandi università americane.

5.12.

In questo contesto è essenziale approfondire il mercato europeo dei capitali, tuttora poco sviluppato. Per assicurare una gestione dinamica dei megadati vi è bisogno non solo di start-up affermate ma soprattutto di nuove imprese innovative e in espansione (scale-up), il cui numero è troppo limitato. È pertanto indispensabile disporre di un mercato europeo del capitale di rischio basato in Europa più dinamico. Occorre analizzare e adattare misure volte a rafforzare e promuovere lo sviluppo di questo mercato, seguendo le buone pratiche, tra cui l’esempio israeliano.

5.13.

Il Regno Unito ha un’economia dinamica che genera una gran quantità di dati. Il CESE ritiene che l’industria europea e quella britannica dovrebbero continuare a collaborare strettamente a favore di una produzione di dati trasparente e aperta.

6.   Società e mercato del lavoro

6.1.

Le posizioni espresse nei precedenti pareri del CESE (24) in merito all’impatto di Industria 4.0 sulla società e sul mercato del lavoro sono altrettanto pertinenti nell’era del libero flusso dei dati. È opportuno porre in evidenza alcuni aspetti.

6.2.

La dinamica dello sviluppo e della diffusione dei dati richiede la piena comprensione da parte della società e, in particolare, dei lavoratori delle imprese europee. Per promuovere un grado di conoscenza e accettazione sufficiente del profondo processo di trasformazione da parte dei cittadini, è indispensabile garantire una comunicazione aggiornata. Le parti sociali svolgono un proprio ruolo in questo contesto.

6.3.

Il fattore umano riveste un’importanza fondamentale. Il dialogo sociale va promosso a tutti i livelli per realizzare i necessari adeguamenti ed elaborare i programmi destinati a preparare i lavoratori e i giovani alla nuova realtà. Vi è bisogno di un numero molto più elevato di analisti e scienziati di dati.

6.4.

Questo rinvia anche alla sfida di mettere a punto nuove forme organizzative per la formazione e la collaborazione dei lavoratori in tutti gli strati della società in cui il lavoro diminuirà. Attualmente i sistemi sociali non sono adeguati a far fronte a tali sfide, con alcune eccezioni, come le «imprese cuscinetto» utilizzate in Finlandia per trasferire gli ex impiegati al «crowd working» mantenendo al tempo stesso la loro assicurazione sociale. Tutti devono essere consapevoli del fatto che il contesto lavorativo è cambiato.

6.5.

L’evoluzione del mercato del lavoro e l’inclusione sociale sono anche parte integrante di un più ampio concetto di politica industriale. Gli studi oscillano nel prevedere perdite di posti di lavoro fino al 50 %, in particolare tra gli impiegati, e un aumento del 20 % di nuovi posti di lavoro a seguito della digitalizzazione e della produzione di punta. Tutte le parti interessate dovrebbero focalizzarsi sulla transizione al fine di rimuovere gli ostacoli all’adeguamento e di favorire dei risultati atti a creare nuove opportunità per i cittadini, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo dei servizi.

6.6.

L’istruzione e la formazione sul posto di lavoro per tutti i lavoratori rivestono un grande interesse in tutti i settori e in tutti i paesi. Esse non dovrebbero limitarsi agli aspetti tecnici

6.7.

Il CESE sottolinea il ruolo di sostegno che la Commissione può svolgere nel delineare la strada da seguire e nell’individuare eventuali problemi e opportunità. Tra le imprese, le parti sociali e i governi si dovrebbero organizzare a livello di UE dei seminari e degli scambi, anche sulle migliori pratiche. Alla luce della varietà delle diverse culture in Europa, occorre individuare e sviluppare una base e degli approcci comuni.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Comunicazione «Costruire un'economia dei dati europea», COM(2017) 9 final, del 10 gennaio 2017. Cfr. anche la lettera di motivazione di 14 capi di Stato o di governo sulla libera circolazione dei dati (2 dicembre 2016), documento informale sull'iniziativa sul libero flusso dei dati.

(2)  GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65.

(3)  Comunicazione «Costruire un'economia dei dati europea», COM(2017) 9 final, del 10 gennaio 2017.

(4)  Comunicazione «Verso una florida economia basata sui dati», COM(2014) 442 final, del 2 luglio 2014 (GU C 242 del 23.7.2015, pag. 61).

(5)  The Digital Transformation of Industry (La trasformazione digitale dell’industria), Confederazione dell’industria tedesca, 1o febbraio 2015.

(6)  GAFA è l’acronimo di Google, Apple, Facebook e Amazon, imprese che hanno un fatturato complessivo combinato di 468 miliardi di USD, mentre NATU sta per Netflix, Airbnb, Tesla e Uber. Attualmente il valore di mercato combinato di GAFA è pari a 2 300 miliardi di USD che corrisponde quasi al valore di mercato delle 50 principali imprese EURO STOXX, pari a 2 900 miliardi di EUR. Questi dati pongono in evidenza il potere finanziario delle imprese e delle piattaforme che gestiscono i megadati e la loro enorme creazione di valore.

(7)  Comunicazione COM(2017) 9 final, pag. 2.

(8)  Cfr. anche la lettera di 14 governi sul questo tema (2016), documento informale sull'iniziativa sul libero flusso dei dati. Il fatto che nessuno dei grandi paesi, ad eccezione del Regno Unito, abbia firmato la lettera costituisce forse un presagio negativo?

(9)  GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65 e GU C 389 del 21.10.2016, pag. 50.

(10)  L’Associazione neerlandese per il settore della tecnologia, la FME-CWM, il 16 marzo 2017 ha raccomandato che la digitalizzazione nei Paesi Bassi sia coordinata da un gruppo ministeriale di eccellenza.

(11)  COM(2017) 9 final, pag. 5.

(12)  COM(2017) 9 final, pag. 7.

(13)  Regolamento generale sulla protezione dei dati, maggio 2016 (GU C 229, 31.7.2012, pag. 90).

(14)  COM(2017) 9 final, pag. 10.

(15)  Cfr. anche le osservazioni di Orgalime sulla futura iniziativa della Commissione europea sul tema «Costruire un’economia dei dati europea» (21 settembre 2016), e la posizione iniziale di DIGITALEUROPE sulla comunicazione Costruire un'economia dei dati europea (14 febbraio 2017).

(16)  COM(2017) 9 final, pagg. 14 e 15.

(17)  COM(2017) 9 final, pag. 12.

(18)  La regione Vallonia prevede di emanare un decreto in materia.

(19)  Questa iniziativa riunisce la Commissione, l’industria e gli istituti di ricerca in un «Partenariato pubblico-privato (PPP) al fine di cooperare nella ricerca e nell’innovazione legate ai dati, rafforzare la creazione di comunità intorno ai dati e porre le basi per una florida economia basata sui dati in Europa» (dichiarazione congiunta della Commissione europea e della Big Data Value Association).

(20)  COM(2017) 9 final, pagg. 11-13.

(21)  Un ottimo esempio di ciò è l’industria automobilistica, il centro della potenza economica dell’Europa, in contrasto con concetti completamente nuovi come quello lanciato da Google che non venderà autovetture bensì mobilità e pacchetti mobilità, fungendo da interfaccia con il cliente.

(22)  Cfr. il LIBRO BIANCO PIATTAFORME DIGITALI, Libro bianco del governo tedesco sulle politiche normative digitali per la crescita, l’innovazione, la concorrenza e la partecipazione, redatto dal ministero federale dell’economia e dell’energia nel marzo 2017.

(23)  La futura evoluzione dell’industria automobilistica ne è un esempio significativo: cfr. a questo proposito la relazione del CESE CCMI/148, del 22 febbraio 2017.

(24)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161.


13.10.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 345/138


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla: «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali nelle comunicazioni elettroniche e che abroga la direttiva 2002/58/CE (regolamento sulla vita privata e le comunicazioni elettroniche)»

[COM(2017) 10 final – 2017/0003 (COD)]

(2017/C 345/23)

Relatrice:

Laure BATUT

Consultazione

Parlamento europeo, 16.2.2017

Consiglio dell’Unione europea, 9.3.2017

Base giuridica

Articoli 16 e 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

14.6.2017

Adozione in sessione plenaria

5.7.2017

Sessione plenaria n.

527

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

155/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE deplora vivamente il fatto che la sovrapposizione dei testi legislativi sulla tutela dei dati, la loro mole e la loro struttura intricata, i continui andirivieni tra un testo e l’altro necessari alla loro comprensione rendano improbabile che essi siano letti al di là di una cerchia di iniziati e che siano applicati; deplora inoltre il fatto che il loro valore aggiunto non sia accessibile al cittadino, idea che manca del tutto nel progetto di regolamento. Raccomanda la pubblicazione online di un opuscolo sintetico che li descriva per il grande pubblico e li renda accessibili a tutti.

1.2.

Il CESE sottolinea che, tra le opzioni proposte nella valutazione d’impatto, la Commissione ha scelto quella che rafforzerà «moderatamente» il rispetto della vita privata. È per garantire un equilibrio con gli interessi dell’industria? La Commissione non precisa quali elementi di un rafforzamento «significativo» del rispetto della vita privata avrebbero leso gli interessi dell’industria. Questa posizione tende a togliere valore al testo sin dalla sua concezione.

1.3.

Il CESE raccomanda che la Commissione:

1)

Prenda atto del fatto che, nel mondo attuale, tutto può diventare un dato ed essere oggetto di una comunicazione elettronica, con conseguenze per la vita privata delle persone fisiche e giuridiche.

2)

Chiarisca come la proposta applichi la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (articoli 5, 8 e 11) e quali siano le possibilità di introdurre restrizioni mediante normative nazionali (considerando 26).

3)

Riveda gli articoli 5 e 6 della proposta. In quanto permettono le comunicazioni elettroniche, Internet e la telefonia mobile sono servizi di interesse generale il cui accesso deve essere universale, disponibile e abbordabile, senza che, per usufruire di tali servizi, i consumatori siano costretti ad acconsentire a trattamenti dei propri dati richiesti dall’operatore. Bisogna pertanto prevedere l’obbligo di proporre sistematicamente all’utente una possibilità di opposizione fondata su un’informazione comprensibile (cookie, «tracking wall» ecc.)

4)

Stabilisca chiaramente che la lex specialis proposta per completare il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) rispetta i principi generali di tale testo e non indebolisce la protezione da esso istituita e che qualsiasi trattamento, compresa la misurazione del pubblico del web (web audience measuring), è soggetto ai principi dell’RGPD (articolo 8).

5)

Garantisca ai cittadini e alle imprese una sufficiente stabilità del diritto e, a tal fine, renda più preciso il testo del regolamento e più specifico il contenuto delle misure di attuazione in modo da evitare un numero eccessivo di atti delegati.

6)

Sviluppi una strategia in grado di informare tutti i consumatori del fatto che l’Unione rimane fedele ai suoi principi di rispetto dei diritti dell’uomo e che la sua volontà è quella di garantire il rispetto della vita privata, non solo da parte degli operatori di comunicazioni elettroniche ma anche dei servizi over-the-top (OTT).

7)

Eviti che il settore della salute sia una grande porta d’accesso aperta allo sfruttamento della vita privata e dei dati personali a fini commerciali da parte dei sistemi di comunicazione elettronica.

8)

Si ponga la questione dell’economia collaborativa, dei trasferimenti e degli usi di dati tramite comunicazioni elettroniche che utilizzano piattaforme, spesso situate al di fuori dell’UE.

9)

Si occupi dell’Internet degli oggetti, che è altamente intrusivo e può essere vettore di violazioni della vita privata al momento della trasmissione di dati tramite comunicazioni elettroniche.

10)

Tenga conto di ciò che fa seguito al trasferimento dei dati e protegga i dati conservati dalle persone, in quanto per la maggior parte si tratta di dati privati (a prescindere dall’interfaccia, compreso il cloud computing).

11)

Chiarisca la protezione della trasmissione di dati da macchina a macchina (M2M), dedicandovi un apposito articolo e non soltanto un considerando (12).

12)

Crei, per aiutare i cittadini a orientarsi nel labirinto dei testi normativi e a esercitare i loro diritti, un portale europeo (DG Giustizia) accessibile a tutti e comprensibile, che dia accesso ai testi europei, nazionali, ai mezzi di ricorso, alle giurisprudenze (per esempio andrebbero chiariti il considerando 25 e gli articoli 12 e 13).

13)

Fornisca alle autorità di vigilanza (Garante europeo della protezione dei dati, autorità nazionali) gli strumenti per svolgere i loro compiti.

14)

Consenta ai consumatori di introdurre ricorsi collettivi a livello europeo per far valere i loro diritti andando, attraverso una nuova direttiva, oltre la comunicazione COM(2013)401 final e la raccomandazione C(2013)3539 (1).

2.   Elementi di contesto legislativo

2.1.

Le reti di comunicazioni elettroniche hanno conosciuto una notevole evoluzione rispetto al momento dell’entrata in vigore delle direttive 95/46 e 2002/58 (2) CE sulla tutela della vita privata nelle comunicazioni elettroniche.

2.2.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) adottato nel 2016 [regolamento (UE) 2016/679] è divenuto la base di riferimento per agire e ha stabilito i principi fondamentali, anche per i dati giudiziari e penali. Ai sensi di tale regolamento, i dati personali possono essere raccolti solo nel rispetto di rigorose condizioni, per scopi legittimi e nel rispetto della riservatezza (articolo 5 dell’RGPD).

2.2.1.

La Commissione ha presentato, nell’ottobre 2016, una proposta di direttiva che stabilisce un codice europeo delle comunicazioni elettroniche (3) (un documento di 300 pagine), che non è stato ancora adottato, ma al quale essa rinvia per talune definizioni che non figurano nell’RGDP né nel testo in esame.

2.2.2.

Due proposte presentate nel gennaio 2017 precisano taluni aspetti di questa disciplina, facendo riferimento al regolamento generale sulla protezione dei dati; la prima è la proposta di regolamento concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi, degli uffici e delle agenzie dell’Unione [COM(2017) 8 final, relatore: PEGADO LIZ], la seconda è appunto il testo all’esame [COM(2017) 10 final], relativo al rispetto della vita privata e alla tutela dei dati personali.

2.3.

I tre testi summenzionati saranno applicabili a decorrere dalla stessa data, il 25 maggio 2018, e mirano a un’armonizzazione dei diritti e delle procedure di controllo.

2.4.

Si noti che, per facilitare questo tipo di impostazione, si è deciso di ricorrere, per la tutela della vita privata, a un regolamento e non più a una direttiva.

3.   Introduzione

3.1.

La società civile desidera capire se, nel mondo completamente digitale che si delinea, l’intervento dell’Unione europea apporti un valore aggiunto capace di garantire spazi in cui la vita privata possa svilupparsi senza timore.

3.2.

I dati generati in modo continuo rendono tutti gli utenti tracciabili e identificabili ovunque. Il trattamento dei dati effettuato in strutture fisiche, situate per la maggior parte al di fuori dell’Europa, suscita preoccupazioni.

3.3.

I Big Data (megadati) hanno assunto un valore commerciale: se fatti oggetto di trattamento intelligente, infatti, essi consentono di «profilare» e quindi «monetizzare» le persone fisiche e giuridiche, realizzando guadagni spesso all’insaputa degli utenti.

3.4.

Ma, soprattutto, è la comparsa nel settore del trattamento dei dati di nuovi attori, diversi dai fornitori di accesso a Internet, a imporre una revisione dei testi.

4.   Sintesi della proposta

4.1.

Con il presente documento la Commissione intende creare una situazione di equilibrio tra i consumatori e l’industria:

autorizzando l’utilizzo dei dati da parte degli operatori, pur permettendo agli utenti finali di conservare il controllo perché essi devono dare il proprio accordo esplicito,

imponendo agli operatori di dichiarare l’utilizzo che faranno di tali dati,

scegliendo la terza opzione della valutazione d’impatto, che privilegia un rafforzamento «moderato» del rispetto della vita privata, e non la quarta che proponeva un rafforzamento «significativo».

4.2.

La proposta mira a dare attuazione all’RGPD, che è di applicazione generale tanto quanto la riservatezza dei dati privati e il diritto alla cancellazione, e riguarda l’aspetto specifico del rispetto della vita privata e della tutela dei dati personali nel settore delle telecomunicazioni; essa prevede l’introduzione di norme più rigorose in materia di protezione della vita privata nonché di controlli coordinati e di sanzioni.

4.3.

La proposta non stabilisce misure specifiche in merito all’esposizione dei dati personali che avviene per opera degli utenti stessi, ma conferma sin dai primi articoli (articolo 5) il principio della riservatezza delle comunicazioni elettroniche.

4.4.

I fornitori possono trattare il contenuto delle comunicazioni elettroniche:

per fornire un servizio a un utente finale che ha prestato il suo consenso,

per gli utilizzatori finali interessati [articolo 6, paragrafo 3, lettere a) e b)] che hanno dato il loro consenso.

4.5.

Essi hanno l’obbligo di cancellare o rendere anonimi («anonimizzare») i contenuti dopo averli ricevuti dai destinatari.

4.6.

Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 11, dell’RGPD, il «consenso dell’interessato» è «qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento».

4.7.

La proposta in esame mantiene il requisito del consenso esplicitamente manifestato, definito nell’RGPD, imponendo l’onere della prova a carico degli operatori.

4.8.

Il «trattamento» si basa su tale consenso. «Il titolare del trattamento deve essere in grado di dimostrare che l’interessato ha prestato il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali» (articolo 7, paragrafo 1, dell’RGPD).

4.9.

Alcune limitazioni (degli obblighi e dei diritti) alla riservatezza potrebbero essere introdotte dal diritto dell’UE o da quello nazionale per salvaguardare interessi pubblici o una funzione d’ispezione.

4.10.

Le persone fisiche devono aver dato il loro consenso perché i loro dati figurino in un elenco elettronico pubblico, con la possibilità di accertare e rettificare i dati che li riguardano (articolo 15).

4.11.

Un diritto di obiezione consentirà a ogni utente di opporsi all’utilizzo dei propri dati comunicati a un terzo (per esempio, un commerciante) e, successivamente, ogniqualvolta sia inviato un messaggio (articolo 16). Le nuove norme permetteranno agli utenti di controllare meglio i loro parametri (cookie, identificativi), e le comunicazioni indesiderate (spam, messaggi, SMS, chiamate) potranno essere bloccate in caso di mancato consenso dell’utente.

4.12.

Per quanto riguarda l’identificazione della linea chiamante e i blocchi delle chiamate in entrata indesiderate (articoli 12 e 14), il regolamento precisa che tali diritti valgono anche per le persone giuridiche.

4.13.

La strutturazione di un sistema di controllo è conforme all’RGPD (capi VI sulle autorità di controllo indipendenti e VII sulla cooperazione tra le autorità di controllo).

4.13.1.

Spetterà agli Stati membri e alle rispettive autorità nazionali preposte alla protezione dei dati vigilare sul rispetto delle norme in materia di riservatezza. Le altre autorità di controllo interessate possono, nel quadro di un’assistenza reciproca, preparare delle obiezioni che possono essere sottoposte all’autorità nazionale di controllo capofila. Esse cooperano tra loro e con la Commissione nel quadro di un meccanismo di coerenza (articolo 63 dell’RGPD).

4.13.2.

Il comitato europeo per la protezione dei dati (CEPD) è incaricato di garantire, da parte sua, l’applicazione coerente del regolamento in esame (articoli 68 e 70 dell’RGPD).

Esso può pubblicare linee guida, raccomandazioni e migliori pratiche al fine di promuovere l’applicazione coerente del regolamento.

4.14.

Mezzi di ricorso sono esperibili da parte delle persone fisiche e giuridiche utenti finali per far valere i loro interessi lesi da violazioni, con la possibilità di ottenere un risarcimento del danno subito.

4.15.

Gli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie sono fissati a un livello tale da essere dissuasivi, potendo giungere, per gli autori della violazione, fino a dieci milioni di EUR e, per le imprese, fino al 2 % del fatturato mondiale annuo dell’esercizio precedente, se superiore a tale importo (articolo 23); gli Stati membri stabiliscono le sanzioni nel caso in cui sanzioni amministrative pecuniarie non siano previste nel loro ordinamento e ne informano la Commissione.

4.16.

Il nuovo testo relativo al rispetto della vita privata e all’utilizzo dei dati personali si applicherà a decorrere dal 25 maggio 2018, la stessa data, quindi, da cui si applicherà l’RGPD del 2016; e sempre a partire dalla stessa data saranno applicabili, se saranno stati adottati, il regolamento concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi dell’Unione e la direttiva che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche (rifusione) [COM(2016) 590 final].

4.17.

Ambito di applicazione: la lex specialis che attua l’RGPD

Base giuridica

Il regolamento proposto trova il suo fondamento giuridico negli articoli 16 (protezione dei dati) e 114 (mercato unico) del TFUE, ma anche negli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali. Il regolamento è volto a completare il regolamento generale sulla protezione dei dati per quanto riguarda i dati che possono essere considerati personali.

Ambito soggettivo: gli attori

Sono gli utenti finali, le persone fisiche e giuridiche, secondo la definizione data nel progetto di codice europeo delle comunicazioni elettroniche, di fronte a tutti i fornitori di servizi di comunicazione: non solo quelli storici, ma soprattutto i nuovi fornitori i cui servizi non offrono garanzie agli utenti, poiché le tecniche cosiddette «di aggiramento» utilizzate dai servizi di comunicazione OTT (chat room, SMS, tecniche della voce su IP, interfacce multiple ecc.) si sottraggono attualmente all’ambito di applicazione dei testi in vigore.

Ambito oggettivo: i dati

La proposta non contiene disposizioni sulla conservazione dei dati nel cloud computing e lascia agli Stati membri il compito di agire, nel rispetto dell’articolo 23 dell’RGPD (relativo alle limitazioni del diritto di opposizione) e della giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. punto 1.3 della relazione).

L’utente dovrà dare il proprio consenso alla conservazione dei dati e metadati generati nei sistemi (data, ora, luogo ecc.), altrimenti tali dati dovranno essere resi anonimi o cancellati.

Ambito geografico: dove?

Gli stabilimenti (del titolare o responsabile del trattamento) effettuano le attività di trattamento negli Stati membri oppure uno stabilimento situato in uno Stato membro sarà considerato «capofila» per il controllo, le autorità di controllo svolgeranno il loro ruolo e il garante europeo della protezione dei dati (CEPD) sorveglierà tutto il processo.

4.18.

Gli obiettivi dell’UE: il mercato unico digitale

Uno degli obiettivi del mercato unico digitale è quello di creare condizioni per servizi digitali sicuri e di suscitare la fiducia degli utenti al fine di promuovere, tra l’altro, il commercio elettronico, le innovazioni e, come effetti indotti, l’occupazione e la crescita (relazione, punto 1.1).

Il progetto di regolamento all’esame si prefigge inoltre una forma di armonizzazione fra i testi e di coerenza tra gli Stati membri.

Ogni tre anni, la Commissione effettuerà una valutazione dell’applicazione del regolamento da presentare al Parlamento europeo, al Consiglio e al CESE (articolo 28).

5.   Osservazioni generali

5.1.

Il CESE accoglie con favore l’introduzione simultanea in tutta l’UE di un insieme coerente di norme dirette a tutelare i diritti delle persone fisiche e giuridiche legati all’uso dei dati digitali per mezzo di comunicazioni elettroniche.

5.1.1.

Apprezza il fatto che l’UE svolga il suo ruolo di difensore dei diritti dei cittadini e dei consumatori.

5.1.2.

Sottolinea che, se da un lato si punta ad armonizzare, dall’altro l’interpretazione di numerosi concetti spetta agli Stati membri, il che trasforma il regolamento in una sorta di direttiva, che lascia ampio spazio alla commercializzazione dei dati privati. In particolare il settore della salute è una porta aperta alla raccolta di ingenti quantità di dati personali.

5.1.3.

Gli articoli 11, paragrafo 1, 13, paragrafo 2, 16, paragrafi 4 e 5, e 24 sono piuttosto disposizioni che si potrebbero definire misure di «recepimento» e che sarebbero appropriate per una direttiva e non per un regolamento. Nell’intento di migliorare la qualità dei servizi, si finisce per concedere agli operatori un margine discrezionale troppo ampio (articoli 5 e 6). Questa proposta di regolamento dovrebbe essere parte integrante della proposta di direttiva nota come «codice europeo delle comunicazioni elettroniche» [COM(2016) 590 final].

5.1.4.

Il CESE deplora vivamente che la sovrapposizione di tali testi, la loro mole e la loro struttura intricata rendano improbabile che essi siano letti al di là di una cerchia di iniziati. Infatti, sono necessari continui andirivieni tra un testo e l’altro. Inoltre, il loro valore aggiunto non è percepibile dai cittadini. Questa difficoltà di lettura e la complessità della proposta sono contrarie allo spirito del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) e all’obiettivo «legiferare meglio», ne renderanno difficile l’interpretazione e apriranno delle falle nei sistemi di protezione.

5.1.5.

A titolo d’esempio, la proposta di regolamento non contiene la definizione del concetto di «operatore», per il quale quindi occorre far riferimento al progetto di codice europeo delle comunicazioni elettroniche (4), che non è ancora entrato in vigore e che modificherà le norme del settore nell’ambito del mercato unico digitale, ovvero far riferimento alla direttiva quadro 2002/21/CE, alla direttiva «autorizzazioni» 2002/20/CE, alla direttiva «servizio universale» 2002/22/CE, alla direttiva «accesso» 2002/19/CE e alle rispettive modifiche, al regolamento (CE) n. 1211/2009 che istituisce il BEREC, alla decisione «spettro radio» 676/2002/CE, alla decisione 2002/622/CE che istituisce un gruppo «Politica dello spettro radio» e alla decisione 243/2012/UE che istituisce un programma pluriennale relativo alla politica in materia di spettro radio. Il riferimento fondamentale resta ovviamente l’RGPD (cfr. il punto 2.2), che la proposta in esame si propone di completare e le è pertanto complementare.

5.2.

Il CESE sottolinea in particolare il contenuto dell’articolo 8 relativo alla tutela delle informazioni conservate nelle apparecchiature terminali e le eccezioni possibili, articolo fondamentale in quanto lascia alla società dell’informazione delle possibilità di accedere ai dati personali. Esso sottolinea anche quello dell’articolo 12, relativo alla restrizione dell’identificazione delle linee chiamante e collegata, articoli poco accessibili a un non iniziato.

5.2.1.

La direttiva del 1995 (articolo 2) definisce i «dati personali» come «qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile («persona interessata)». Il regolamento proposto amplia l’ambito di applicazione della protezione dei dati ai metadati e si applica adesso sia alle persone fisiche che a quelle giuridiche. Bisogna sottolineare ancora una volta che la proposta ha un duplice obiettivo, che è, da un parte, proteggere i dati personali e, dall’altra, assicurare la libera circolazione dei dati delle comunicazioni elettroniche e dei servizi di comunicazione elettronica nell’UE (articolo 1).

5.2.2.

Il CESE sottolinea che la volontà di proteggere i dati delle persone giuridiche (articolo 1, paragrafo 2) entrerà in conflitto con altri testi dai quali essa non emerge, vale a dire testi che non stabiliscono chiaramente che il loro campo d’applicazione include tali dati (è il caso dell’RGPD e della proposta di regolamento sul trattamento dei dati da parte delle istituzioni europee).

5.3.

Il CESE si chiede se il vero obiettivo della proposta non sia quello di mettere maggiormente l’accento sul suo articolo 1, paragrafo 2, vale a dire sulla garanzia della «libera circolazione dei dati delle comunicazioni elettroniche e dei servizi di comunicazione elettronica nell’Unione, i quali non sono limitati né proibiti per motivi connessi al rispetto della vita privata e delle comunicazioni delle persone fisiche e giuridiche», piuttosto che di garantire realmente quanto proclama il suo articolo 1, paragrafo 1, ossia «il diritto al rispetto della vita privata e delle comunicazioni nonché la tutela delle persone fisiche in merito al trattamento dei dati personali».

5.4.

Tutto si fonda sulla manifestazione del consenso della persona, sia essa fisica o giuridica. Di conseguenza, secondo il CESE, gli utenti, oltre a dover essere informati e formati, devono restare prudenti, poiché, una volta dato il loro consenso, il fornitore potrà trattare ulteriormente i contenuti e i metadati per creare le condizioni per quante più attività e quanti più guadagni possibile. Quanti sanno, prima di accettarlo, che un cookie è un tracciatore? L’educazione degli utenti ad avvalersi dei loro diritti, come l’anonimato o la cifratura, dovrebbe essere una delle priorità legate a questo regolamento.

6.   Osservazioni particolari

6.1.

I dati personali dovrebbero essere raccolti esclusivamente da organismi che rispettino essi stessi condizioni molto rigorose e si prefiggano obiettivi noti e legittimi (RGDP).

6.2.

Ancora una volta il Comitato «si rammarica per le eccezioni e limitazioni troppo numerose che incidono sui principi enunciati del diritto alla protezione dei dati personali (5)». È l’equilibrio tra libertà e sicurezza che dovrebbe continuare a essere il marchio dell’Unione europea, invece dell’equilibrio tra diritti fondamentali della persona e interessi dell’industria. Il gruppo di lavoro istituito ai sensi dell’articolo 29 della direttiva 95/46/CE è stato severo nella sua valutazione della proposta di regolamento (WP247 del 4.4.2017, parere 1/2017, punto 17), affermando che essa riduce il livello di tutela definito nell’RGPD, in particolare in relazione all’ubicazione dell’apparecchiatura terminale e alla mancanza di limitazione del campo dei dati che possono essere raccolti nonché per il fatto che non istituisce per definizione una tutela della vita privata (punto 19).

6.3.

I dati sono come un prolungamento della persona, un’identità ombra, una «Shadow-ID». I dati appartengono alla persona che li genera, ma, dopo il loro trattamento, essi sfuggono alla sua influenza. Per quanto riguarda la conservazione e il trasferimento dei dati, la responsabilità resta in capo a ciascuno Stato membro e non vi è armonizzazione in ragione delle possibili limitazioni dei diritti cui il testo proposto apre la porta. Il Comitato sottolinea il rischio di disparità legato al fatto che la limitazione dei diritti sia interamente lasciata alla discrezione degli Stati membri.

6.4.

Vi è una questione che si pone in modo particolare per le persone che lavorano in un’impresa: a chi appartengono i dati che esse generano lavorando, e in che modo vengono protetti?

6.5.

L’architettura del controllo non è molto chiara (6); malgrado la supervisione da parte del CEPD: le garanzie contro gli atti arbitrari non sembrano sufficienti, e non è stato valutato il tempo necessario affinché le procedure sfocino in una sanzione.

6.6.

Il CESE è favorevole alla creazione di un portale europeo, in cui siano riuniti e aggiornati tutti gli strumenti europei e nazionali, tutti i diritti e i mezzi di ricorso e tutta la giurisprudenza, oltre a elementi pratici, per aiutare i cittadini e i consumatori a orientarsi nel labirinto delle norme e delle pratiche ed essere così messi in condizione di esercitare i loro diritti. Questo portale dovrebbe ispirarsi almeno alle prescrizioni della direttiva (UE) 2016/2102, del 26 ottobre 2016, relativa all’accessibilità dei siti web e delle applicazioni mobili degli enti pubblici, e ai principi di cui ai considerando 12, 15 e 21 della proposta di direttiva detta Atto europeo sull’accessibilità [2015/0278 (COD)] e offrire contenuti accessibili e comprensibili a tutti gli utenti finali. Il CESE sarebbe pronto a partecipare alle fasi di definizione di tale portale.

6.7.

Manca, nell’articolo 22, un riferimento alle «azioni collettive», come il CESE ha già sottolineato nel suo parere sul codice europeo delle comunicazioni elettroniche.

6.8.

La limitazione del campo di applicazione (articolo 2, paragrafo 2), l’estensione del potere di trattamento dei dati senza il consenso del titolare (articolo 6, paragrafi 1 e 2), e l’improbabile requisito del consenso di tutti gli utenti interessati (articolo 6, paragrafo 3, lettera b), e articolo 8, paragrafi 1, 2 e 3), le limitazioni ai diritti che possono essere stabilite dagli Stati membri, laddove ritengano che una siffatta limitazione costituisca «una misura necessaria, appropriata e proporzionata», sono norme il cui contenuto è suscettibile di tante interpretazioni da risultare incompatibile con una vera tutela della vita privata. Un’attenzione particolare inoltre deve essere riservata alla tutela dei dati relativi ai minori.

6.9.

Il CESE si rallegra del diritto di controllo di cui all’articolo 12, ma nota la sua formulazione particolarmente ermetica, che sembra privilegiare l’effettuazione di chiamate «non identificate» o «nascoste», come se l’anonimato fosse un diritto fondamentale, mentre il principio dovrebbe essere quello dell’identificazione delle chiamate.

6.10.

Le comunicazioni indesiderate (articolo 16) e la commercializzazione diretta sono già soggette alla direttiva sulle «pratiche commerciali sleali» (7). Il regime standard dovrebbe essere l’opt-in (accettazione espressa) e non l’opt-out (opposizione).

6.11.

La valutazione della Commissione è prevista ogni tre anni, periodo che nel settore digitale è troppo lungo. Dopo due valutazioni, infatti, il mondo del digitale sarà completamente cambiato. Tuttavia, la delega (articolo 25), che potrà essere estesa, dovrebbe avere una durata determinata, eventualmente rinnovabile.

6.12.

La legislazione deve salvaguardare i diritti degli utenti (articolo 3 del TUE), garantendo al tempo stesso la stabilità giuridica necessaria all’attività commerciale. Il CESE si rammarica del fatto che la circolazione dei dati «da macchina a macchina» (MM) non figuri nella proposta, e che in proposito sia necessario far riferimento al codice europeo delle comunicazioni elettroniche (articoli 2 e 4 della relativa proposta di direttiva).

6.12.1.

L’Internet degli oggetti (8) porterà dai Big Data (megadati) agli «Huge Data» («dati enormi») e poi a un ambiente «All Data» (un ambiente in cui «Tutto è dati»). Si tratta di una chiave per comprendere le future ondate di innovazione. E le macchine, grandi e piccole, comunicano tra loro e veicolano dati privati tra di loro (il vostro orologio registra i vostri battiti cardiaci che invia al computer del vostro medico ecc.). Numerosi attori che operano nel digitale hanno lanciato la loro piattaforma riservata agli oggetti connessi: Amazon, Microsoft, Intel o, in Francia, Orange e La Poste.

6.12.2.

L’Internet degli oggetti del quotidiano può facilmente essere oggetto di intrusioni maligne, la quantità di dati personali che può essere raccolta a distanza è in aumento (dati di geolocalizzazione, dati sanitari, flussi video e audio). Le falle nella protezione dei dati interessano, tra l’altro, le compagnie di assicurazione, che iniziano a proporre ai loro clienti di dotarsi di oggetti connessi e di responsabilizzare i loro comportamenti.

6.13.

Molti giganti di Internet cercano di far evolvere la loro applicazione originaria in una piattaforma, per cui occorre distinguere tra l’applicazione Facebook e la piattaforma Facebook, che permette agli sviluppatori di concepire applicazioni accessibili dal profilo degli utenti. Amazon, dal canto suo, nata come applicazione web specializzata nella vendita online, è diventata una piattaforma che permette a terzi, dai privati ai grandi gruppi, di commercializzare i loro prodotti beneficiando delle risorse di Amazon, vale a dire la reputazione, la logistica ecc. E tutto ciò passa attraverso il trasferimento di dati personali.

6.14.

Nel settore dell’economia collaborativa si assiste al proliferare delle piattaforme, che mettono in contatto, «segnatamente attraverso mezzi elettronici, una pluralità di proponenti di beni o servizi con una pluralità di utenti (9)». Se tali piattaforme sono ambite per l’attività e i posti di lavoro che esse generano, tuttavia il CESE si chiede come i trasferimenti di dati da esse indotti possano essere controllati, in applicazione sia dell’RGPD che del regolamento in esame.

Bruxelles, 5 luglio 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  11.06.2013-IP/13/525 e Memo13/531-DG Giustizia.

(2)  La direttiva 2002/58/CE vietava, in particolare, i messaggi di posta elettronica indesiderati (spam) (articolo 13); con la modifica del 2009, si è stabilito il cosiddetto principio dell’«opt-in», in base al quale un operatore deve ottenere il consenso del destinatario prima di inviargli messaggi di «posta elettronica a fini di commercializzazione diretta».

(3)  COM(2016) 590 final del 12.10.2016, Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, pag. 2 (GU C 125 del 21.4.2017, pag. 56).

(4)  COM(2016)590 e allegati da 1 a 11 del 12.10.2016 (GU C 125 del 21.4.2017, pag. 56).

(5)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 56, e GU C 110 del 9.5.2006, pag. 83.

(6)  Il capo IV del regolamento in esame rinvia alle modalità del capitolo VIII, in particolare all’articolo 68 dell’RGPD.

(7)  GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22, articoli 8 e 9.

(8)  Cfr. parere WP247/17 dell’1.4.2017, punto 19 (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 1).

(9)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 56.