ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 246

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

60° anno
28 luglio 2017


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

525a sessione plenaria del CESE dei giorni 26 e 27 aprile 2017

2017/C 246/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Le donne e i trasporti — Piattaforma per il cambiamento (parere esplorativo richiesto dalla Commissione)

1

2017/C 246/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Digitalizzazione e modelli economici innovativi nel settore finanziario europeo: conseguenze sull'occupazione e sulla clientela (parere d'iniziativa)

8


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

525a sessione plenaria del CESE dei giorni 26 e 27 aprile 2017

2017/C 246/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 560/2014 del Consiglio, del 6 maggio 2014, che istituisce l’impresa comune Bioindustrie[COM(2017) 68 final — 2017/0024 (NLE)]

18

2017/C 246/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dall’Unione e che abroga il regolamento (CE) n. 1889/2005[COM(2016) 825 final — 2016/0413 (COD)]

22

2017/C 246/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) e che modifica i regolamenti (UE) n. 515/2014, (UE) 2016/399, (UE) 2016/794 e (UE) 2016/1624[COM(2016) 731 final — 2016/0357(COD)]

28

2017/C 246/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla governance dell’Unione dell’energia che modifica la direttiva 94/22/CE, la direttiva 98/70/CE, la direttiva 2009/31/CE, il regolamento (CE) n. 663/2009 e il regolamento (CE) n. 715/2009, la direttiva 2009/73/CE, la direttiva 2009/119/CE del Consiglio, la direttiva 2010/31/UE, la direttiva 2012/27/UE, la direttiva 2013/30/UE e la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013[COM(2016) 759 final — 2016/0375/(COD)]

34

2017/C 246/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica[COM(2016) 761 final — 2016/0376/(COD)]

42

2017/C 246/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia[COM(2016) 765 final — 2016/0381 (COD)]

48

2017/C 246/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (rifusione)[COM(2016) 767 final — 2016/0382 (COD)]

55

2017/C 246/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Energia pulita per tutti gli europei[COM(2016) 860 final]

64

2017/C 246/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo — Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro[COM(2016) 740 final]

71


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

525a sessione plenaria del CESE dei giorni 26 e 27 aprile 2017

28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Le donne e i trasporti — Piattaforma per il cambiamento»

(parere esplorativo richiesto dalla Commissione)

(2017/C 246/01)

Relatrice:

Madi SHARMA

Consultazione

Commissione europea, 13.10.2016

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

11.4.2017

Adozione in sessione plenaria

26.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

148/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) può vantare una notevole esperienza di lavoro nel campo della politica dei trasporti e, più di recente, ha preso in esame la dimensione di genere in questo settore tradizionalmente dominato dagli uomini (si veda il parere TEN/573 Le donne e i trasporti) (1). In quanto istituzione dell’UE che rappresenta la società civile, il CESE dispone di competenze specifiche in materia di consultazione e dialogo con le parti interessate sulle iniziative legislative.

1.2.

Il CESE riconosce che le piattaforme delle parti interessate rappresentano dei forum efficaci di cambiamento se:

consentono lo scambio di buone pratiche tra diverse istituzioni, imprese ed associazioni confrontate a sfide analoghe,

incoraggiano le parti interessate ad assumersi delle responsabilità e ad affrontare le sfide,

esaminano le cause profonde di tali sfide,

si prefiggono obiettivi SMART (specifici, misurabili, attuabili, realistici e temporalmente definiti),

danno luogo ad attività basate su dati concreti al fine di farne conoscere i risultati,

sviluppano strumenti e risorse utilizzabili anche da altri,

riproducono le piattaforme di livello europeo anche a livello nazionale e persino regionale, al fine di affrontare sfide analoghe in tutti gli Stati membri,

ricevono informazioni sulle iniziative intraprese da altri settori confrontati a problemi analoghi.

1.3.

Il CESE propone di creare una piattaforma dell’UE per il cambiamento (in appresso la «piattaforma») intesa ad affrontare il tema della parità di genere nel settore dei trasporti, dando inizialmente la priorità all’aumento dell’occupabilità delle donne nel settore. Questo obiettivo iniziale potrebbe in seguito essere integrato includendo «le donne in quanto utenti». Il settore dei trasporti comprende i trasporti aerei, marittimi, stradali e ferroviari, come pure la navigazione interna e la logistica. Tra i membri della piattaforma potrebbero figurare, anche se non esclusivamente, gli organi rappresentativi dei decisori politici a livello UE e nazionale, le industrie dei trasporti, i sindacati del settore, i media, le organizzazioni di passeggeri e le ONG disposte a impegnarsi in azioni concrete per affrontare la disuguaglianza di genere nel settore dei trasporti.

1.4.

Il CESE intende promuovere gli obiettivi che prevedono l’attuazione di politiche attente alla dimensione di genere tramite la definizione di obiettivi chiari: mandato e ambito di intervento definito, nonché indicatori elaborati dai membri al momento della creazione della piattaforma. In questo modo si fornirebbe un modello di attività in partenariato e di azione coordinata da parte di soggetti interessati del settore al fine di trasporre nuove iniziative in tutta Europa.

1.5.

Il CESE raccomanda che la piattaforma conservi la capacità di essere flessibile e adattabile tra tutte le dimensioni del settore e a livello politico. Essa dovrebbe insistere sulla trasparenza e sull’assunzione di responsabilità per quanto concerne i suoi membri e il suo funzionamento. Il monitoraggio, la valutazione e le revisioni annuali sono strumenti essenziali per garantire la credibilità e il successo della piattaforma.

1.6.

La piattaforma può essere efficace solo se i suoi membri ne assumono la piena titolarità; pertanto, il CESE propone che essa sia presente sul web con un elenco dei membri e delle loro attività, nonché con una banca dati delle azioni, delle raccomandazioni, dei controlli e delle valutazioni, affinché anche altri soggetti possano riprodurre o attingere informazioni.

2.   Contesto

2.1.

L’occupazione femminile nel settore dei trasporti è particolarmente bassa. Nel 2013 gli uomini costituivano il 78 % dei lavoratori del settore dei trasporti nell’UE. È essenziale attirare un maggior numero di donne per conferire un maggiore equilibrio di genere al settore e renderlo di più facile accesso per gli utenti, compensando al tempo stesso le carenze e le sfide in termini di forza lavoro (un terzo dei lavoratori del settore ha più di 50 anni).

2.2.

Il 1o luglio 2015 il CESE ha adottato un parere esplorativo sul tema Le donne e i trasporti e nell’aprile 2016 ha partecipato a un evento di follow-up organizzato dalle commissarie Bulc e Jourová. Successivamente la DG Mobilità e trasporti (MOVE) ha condotto diverse consultazioni a livello di gruppo di esperti, nel cui ambito sono state discusse le attuali sfide e raccomandazioni. La proposta di creare una «piattaforma per il cambiamento», presentata dal rappresentante del CESE, è stata approvata dalla Commissione europea come uno strumento valido per promuovere azioni visibili e concrete a favore della parità di genere nel settore dei trasporti. Nella lettera del 13 ottobre 2016 il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans ha dichiarato che «una piattaforma di questo tipo potrebbe essere lanciata nel secondo semestre del 2017 in occasione di un evento congiunto CESE/Commissione».

3.   Piattaforma per il cambiamento

3.1.

La Commissione europea dispone di numerosi strumenti e attività per la consultazione delle parti interessate. Una piattaforma per il cambiamento potrebbe essere incentrata su azioni volontarie, concrete e misurabili ispirate agli obiettivi stabiliti al momento della sua creazione. Un esempio al riguardo è costituito dalla piattaforma della DG SANTE per l’alimentazione, l’attività fisica e la salute.

3.2.

Pertanto, il CESE propone alla DG MOVE di creare una piattaforma di parti interessate a livello UE in grado di attuare degli impegni, basati su azioni, a favore dell’aumento delle opportunità di lavoro per le donne e di una maggiore parità di genere nel settore dei trasporti, al fine di meglio integrare le donne e generare una maggiore crescita economica, sociale e sostenibile. In tale ambito:

i membri aderiscono a criteri ben definiti di nomina e condotta,

le azioni sono definite conformemente agli obiettivi e all’ambito di intervento stabiliti sin dall’inizio dai membri della piattaforma,

gli impegni sono monitorati, valutati e resi pubblici, in modo da diffondere lo scambio di informazioni.

3.3.

Nel creare una piattaforma di questo tipo, il CESE suggerisce alla DG MOVE di considerare inizialmente i seguenti elementi e misure (illustrati in dettaglio più avanti):

I.

Fase I — Preparazione — identificare le parti interessate a partecipare alla piattaforma e avviare il dialogo per individuare gli interessi, gli obiettivi principali, il mandato e l’ambito di intervento.

II.

Fase II — Sviluppo — predisporre con i soggetti interessati dei progetti di testo da approvare: Carta degli impegni, mandato, ambito di intervento e obiettivi. In aggiunta, definire le scadenze, individuare i potenziali finanziamenti nonché il supporto di segreteria e informatico.

III.

Fase III — Attuazione — organizzare un evento inaugurale, con la partecipazione della commissaria responsabile della piattaforma, in occasione del quale i membri concordino le definizioni, il mandato e l’ambito di intervento, e formulino inoltre raccomandazioni concrete per le azioni. Discutere gli obiettivi SMART, gli indicatori, la comunicazione attenta alla dimensione di genere, il monitoraggio, la valutazione, la pubblicazione e la diffusione.

IV.

Fase IV — Sostenibilità — definire indicatori, traguardi, risorse attuali, meccanismi di revisione annuale e di feedback. Individuare le modalità per portare avanti gli impegni e assicurare la partecipazione di nuovi partner.

4.   Ruolo delle istituzioni dell’UE

4.1.

Accanto all’iniziativa lanciata dal presidente Juncker per stimolare la crescita e l’occupazione, la presidenza maltese ha posto la parità di genere tra le sue priorità. La piattaforma potrebbe fornire un meccanismo in grado di apportare un «valore aggiunto europeo» ai metodi tradizionali di definizione delle politiche, concentrandosi in modo specifico su una singola sfida dell’UE, ossia «le opportunità derivanti dalla parità di genere nel settore europeo dei trasporti». Questo approccio mirato è rivolto alle pertinenti parti interessate che, altrimenti, rischierebbero di non entrare in contatto con la Commissione europea. La piattaforma potrebbe così integrare il lavoro delle istituzioni dell’UE.

4.2.

È estremamente importante che la DG MOVE si ponga alla guida di quest’iniziativa e che la commissaria responsabile della piattaforma ne sostenga il funzionamento, ad esempio presenziando all’evento inaugurale e alle riunioni della piattaforma in generale. In questo modo i membri della piattaforma, che assumono tali impegni su base volontaria, riconosceranno il privilegio di essere invitati a svolgere questo ruolo. Di conseguenza, la disponibilità e l’interazione con l’équipe di esperti della DG MOVE sono fondamentali. Allo stesso modo, è importante che, se le istituzioni dell’UE intendono partecipare ai lavori della piattaforma, anch’esse si impegnino a proporre azioni mirate.

4.3.

Le istituzioni dell’UE e i rappresentanti dei ministeri dei Trasporti (degli Stati membri) svolgono un ruolo cruciale nella divulgazione dei risultati principali a livello nazionale. Di conseguenza, il CESE raccomanda di istituire un gruppo ad alto livello (GAL) che fornisca un quadro generale ai governi e ai loro responsabili politici, crei un meccanismo per la diffusione delle migliori pratiche, rafforzi le attività svolte in partenariato e migliori il collegamento tra i responsabili politici e la piattaforma. Anche tali parti interessate, se decidono di diventare membri della piattaforma, dovrebbero impegnarsi a realizzare azioni concrete.

4.4.

Il CESE vorrebbe che la DG MOVE assumesse la responsabilità del funzionamento della piattaforma, assegnando le dotazioni finanziarie, svolgendo le funzioni di segreteria e mettendo a disposizione una parte delle risorse. Altre istituzioni dell’UE potrebbero trasmettere alla piattaforma delle raccomandazioni provenienti dalle loro reti di soggetti interessati, nonché mettere a disposizione sale riunioni e servizi di traduzione e interpretazione. Si potrebbero trovare opzioni alternative di finanziamento tramite le risorse dei membri della piattaforma.

4.5.

Un costo considerevole sarà costituito dallo strumento principale di comunicazione, dal sito web e dalla banca dati, compresa la manutenzione. Vari organi dell’UE hanno messo a punto risorse web di questo tipo, e si ritiene che la DG MOVE potrebbe adattare un modello già esistente.

5.   Composizione

5.1.

La piattaforma non dovrebbe essere una mera sede di dibattito: si tratta di un processo inteso a fare in modo che le parti interessate si incontrino e discutano le sfide e le opportunità per le donne nel settore dei trasporti, e si impegnino quindi a condurre azioni verificabili. La comprensione del tipo di parti interessate cui i membri appartengono aiuterà a identificare il loro potenziale livello di interesse e di influenza. Le parti che presentano il maggiore interesse sono quelle direttamente confrontate alle sfide attuali nel settore dei trasporti.

5.2.

Tra i membri della piattaforma potrebbero figurare i seguenti soggetti interessati di livello europeo e nazionale: l’industria, le associazioni di PMI, i sindacati (parti sociali) — comprese le organizzazioni specializzate nella rappresentanza delle donne, le amministrazioni pubbliche, comprese quelle che influenzano gli acquisti e gli appalti (ad esempio la BERS), le ONG, comprese le organizzazioni di coordinamento che difendono i diritti delle donne e la parità di genere, i media, i gruppi di riflessione, il mondo universitario e gli istituti di ricerca.

5.3.

Inoltre, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di includere occasionalmente: 1) soggetti coinvolti nella concezione di impegni che potrebbero non essere membri designati della piattaforma; e 2) responsabili politici e soggetti in grado di esercitare un’influenza sul settore, comprese le istituzioni dell’UE e rappresentanti/autorità pubbliche degli Stati membri.

5.4.

La partecipazione alla piattaforma dovrebbe essere gratuita e definita da criteri e da un mandato. All’inizio non sarebbero previsti rimborsi per le attività svolte dai membri, né per le spese derivanti dalla partecipazione alla piattaforma.

5.5.

L’adesione alla piattaforma dovrebbe essere basata sui seguenti elementi:

partecipazione inclusiva,

trasparenza, apertura e assunzione di responsabilità,

accettazione delle differenze e rispetto della proporzionalità,

ricorso a obiettivi SMART per garantire la coerenza.

6.   Descrizione dell’obiettivo e dell’ambito di intervento della piattaforma

6.1.

L’obiettivo generale della piattaforma potrebbe essere quello di aumentare la partecipazione delle donne e rafforzare la parità di genere nel settore dei trasporti migliorando le opportunità delle lavoratrici, delle imprese di proprietà di donne e delle donne dirigenti, nonché migliorando le condizioni di lavoro per tutti nel settore dei trasporti e quindi, in ultima analisi, l’impatto che tali condizioni esercitano sull’occupazione, l’inclusività, l’innovazione, la sostenibilità e la crescita. L’accento andrebbe posto sulla parità di genere, in modo da promuovere l’occupazione e rimediare alle carenze esistenti nel settore. Tale obiettivo può essere conseguito, tra l’altro, migliorando la qualità dei posti di lavoro e delle condizioni di lavoro per tutti; affrontando il problema delle molestie e della violenza di genere; agevolando la conciliazione tra vita professionale, privata e familiare; aumentando il numero di donne che ricoprono ruoli decisionali e migliorando l’immagine del settore per attirare più lavoratrici, imprenditrici, esponenti femminili del mondo accademico e innovatrici. L’ambito di intervento della piattaforma potrebbe successivamente essere esteso a questioni correlate, come il miglioramento dell’esperienza dell’utente e l’accento su azioni che puntino alle «donne in quanto utenti».

6.2.

Il CESE raccomanda di attuare politiche attente alla dimensione di genere e di assegnare le risorse di bilancio tenendo conto di tali problematiche («bilancio di genere») come uno strumento fondamentale per realizzare gli obiettivi di cui sopra. Questo nuovo concetto di «bilancio di genere» è spesso frainteso: non si tratta, infatti, di aumentare la spesa globale, bensì piuttosto di definire nuove priorità e ristrutturare le spese all’interno dei programmi, dei dipartimenti e dei servizi. Il «bilancio di genere» aggiunge chiarezza e crea dei meccanismi che consentono un approccio globale e trasversale al fine di promuovere una maggiore parità di genere.

6.3.

Il CESE raccomanda che l’ambito di intervento e le priorità da affrontare siano in linea con le politiche e la legislazione dell’UE, rispettando nel contempo il dialogo tra le parti sociali. La piattaforma dovrebbe combinare approcci dall’alto e dal basso per sostenere le politiche del settore pubblico e privato, evitando che si rendano necessarie delle modifiche legislative. La piattaforma dovrebbe essere vista da tutti come un investimento positivo e necessario.

6.4.

Il CESE sottolinea che i benefici della partecipazione delle parti interessate sono i seguenti:

fornire alle parti interessate delle opportunità per condividere le proprie opinioni, esigenze e conoscenze,

definire obiettivi comuni per raggiungere finalità comuni,

permettere ai partecipanti di influire sui risultati associandoli ai processi di elaborazione, sviluppo, individuazione e attuazione delle azioni,

migliorare la comprensione tra i gruppi di parti interessate, riducendo così i potenziali conflitti o divergenze di opinioni e promuovendo una cooperazione efficace,

rafforzare l’impegno delle parti interessate e creare un senso di responsabilità e titolarità,

garantire la sostenibilità dei progetti e delle relative decisioni,

conferire autonomia e flessibilità al processo decisionale e all’attuazione.

6.5.

Il CESE ritiene che la piattaforma potrebbe individuare azioni chiave volte a:

raccogliere dati e definire indicatori chiave che permettano di individuare gli ostacoli e gli stereotipi e di rimuoverli,

assicurare che le donne siano visibili e attive nell’elaborazione delle politiche, nel processo decisionale e nella pianificazione — oltre e al di là dello svolgimento di funzioni amministrative,

coinvolgere in modo proattivo entrambi i sessi per creare un ambiente di lavoro migliore: strutture, parità di retribuzione per uno stesso lavoro, formazione, conciliazione tra vita professionale, privata e familiare ecc.,

intervenire per attirare le donne verso le opportunità di lavoro adottando misure volte a migliorare sia la qualità che la quantità dei posti di lavoro, in particolare ripensando le procedure di assunzione,

riesaminare gli ostacoli giuridici che rischiano di impedire l’accesso delle donne a tutti i tipi di posti di lavoro,

coinvolgere maggiormente le università e i servizi di orientamento professionale per promuovere le ampie possibilità offerte dal settore, anche nel campo della tecnologia, della R&S e dell’ingegneria, considerando anche le persone meno qualificate per migliorare la loro possibilità di formazione,

promuovere in modo proattivo il ruolo delle donne nel mondo delle imprese,

emancipare le donne e responsabilizzare il settore affinché diventi più inclusivo,

mettere l’accento sull’istruzione e la formazione professionale delle donne lungo tutto l’arco della vita,

prevenire la violenza, le molestie e le discriminazioni sul luogo di lavoro.

6.6.

Nel corso della sua espansione la piattaforma potrebbe cercare di concentrarsi su settori chiave che potrebbero anche non riguardare tutti i membri. È proprio la diversità inerente al settore dei trasporti che potrebbe condurre a un tale sviluppo. Di conseguenza, ove necessario, si potrebbero creare dei sottocomitati dedicati a singoli settori chiave di interesse.

7.   Orientamenti per definire le priorità e garantire che le azioni corrispondano alle priorità individuate

7.1.

Il CESE riconosce che la definizione delle priorità della piattaforma può essere portata a termine soltanto dai membri della stessa. Le parti interessate potrebbero arrivare ciascuna con i propri interessi specifici, e quindi fare in modo che si impegnino collettivamente per affrontare le sfide comuni dovrebbe rimanere una priorità per tutti. Impegnarsi a favore di azioni volte a sostenere e orientare i cambiamenti rappresenta una responsabilità che incoraggerà le parti interessate ad assumere la titolarità per le loro organizzazioni e per la piattaforma.

7.2.

Il CESE propone che gli impegni siano ambiziosi, mettano in discussione lo status quo e richiedano un investimento di risorse proprie da parte dei membri. Una comunicazione chiara e la trasparenza delle azioni sul sito web porterà non solo al riconoscimento degli impegni, ma anche ad un controllo da parte dei soggetti interessati. Pertanto, una comunicazione e un dialogo efficaci tra i membri della piattaforma sono fondamentali per garantire un impegno costante ed evitare che si creino aspettative divergenti. Si dovrebbero altresì incoraggiare delle attività comuni.

7.3.

Oltre a ciò, il CESE raccomanda di stabilire traguardi e indicatori per confermare la validità delle azioni della piattaforma. Essi dovrebbero contribuire ad attuare e valutare i passi avanti verso un aumento delle opportunità occupazionali e una maggiore parità ed emancipazione delle donne, tenendo conto anche del modo in cui gli uomini e le donne vengono posti in condizioni di parità, a prescindere dalle tecnologie utilizzate. Indicatori di sviluppo come strumenti di valutazione, che rafforzano l’impatto e l’integrazione dei risultati in una relazione sui progressi compiuti, contribuiscono ad influire sulla pianificazione politica e strategica tramite la mappatura di tali progressi.

7.4.

I dati statistici generali sono messi a disposizione da Eurostat. La DG MOVE potrebbe collaborare con Eurostat e con i membri della piattaforma per migliorare la raccolta di dati disaggregati per genere in modo da fornire un quadro più completo.

7.5.

I dati, i traguardi e gli indicatori dovrebbero contribuire alla riflessione sulla parità tra i sessi, oltre che sugli stereotipi e sulle discriminazioni. Privi di qualsiasi carattere normativo, essi punterebbero a incoraggiare le organizzazioni a tradurre le questioni di genere in una comunicazione trasparente e comprensibile per loro stesse e per il pubblico, consentendo loro di svolgere un’analisi interna delle proprie politiche e pratiche.

7.6.

Si potrebbero mettere a punto degli indicatori di riferimento nei seguenti settori:

obiettivi mirati che la piattaforma può stabilire per raggiungere dei traguardi realizzabili,

percentuale di donne per profilo professionale specifico anche tra i membri dei consigli di amministrazione, i proprietari, i dirigenti, i membri dei sindacati, l’amministrazione, il personale tecnico ecc.,

riesame periodico e rendicontazione sulle misure adottate per garantire l’equilibrio di genere ai livelli decisionali,

politiche efficaci finalizzate alla parità di retribuzione e alla progressiva riduzione del divario salariale e pensionistico tra uomini e donne,

politiche/misure adottate al fine di rimuovere tutti gli ostacoli alle pari opportunità e promuovere l’occupazione delle donne (assistenza all’infanzia, conciliazione tra vita professionale, privata e familiare, quadro trasparente ecc.),

dotazioni finanziarie specificamente destinate al sostegno delle pari opportunità,

riesame periodico delle condizioni di assunzione — comprese quelle delle agenzie di collocamento o degli istituti d’istruzione — trasparenza, accessibilità, comunicazione attenta alla problematica di genere,

sviluppo di indicatori sulla portata, la frequenza e l’incidenza della violenza, delle molestie e delle discriminazioni sul luogo di lavoro,

panoramica annuale degli obiettivi definiti per il bilancio di genere.

8.   Monitoraggio e valutazione

8.1.

Il CESE propone che, per rafforzare le attività svolte in partenariato, i membri della piattaforma abbiano la possibilità di definire impegni e azioni da discutere all’interno della piattaforma stessa prima dell’attuazione. Al termine dell’azione sarebbe redatta una relazione di monitoraggio che elenchi le attività, le scadenze, i dati acquisiti e i principali risultati ottenuti, in modo che possano essere analizzati e valutati dalla piattaforma. Tali controlli dovranno essere presentati in modo oggettivo e imparziale, con elementi fattuali e valutazioni qualitative, tenendo conto della pertinenza rispetto agli obiettivi della piattaforma. A tal fine si potrebbe ricorrere a consulenti esterni, se le risorse lo consentono, com’è avvenuto nel caso della valutazione della piattaforma della DG SANTE (si veda la Relazione di monitoraggio 2016).

8.2.

Il CESE suggerisce che gli impegni siano ben concepiti sin dall’inizio e che siano pertinenti rispetto agli obiettivi stabiliti. I membri dovrebbero prendere in considerazione degli impegni SMART, che vanno preparati in modo approfondito: scadenze, obiettivi e finalità, per una rendicontazione efficace, un monitoraggio agevole e una comunicazione efficace una volta conseguiti.

8.3.

Gli impegni richiederebbero lavoro e disponibilità da parte dei membri, in aggiunta ai loro compiti normali. Questo investimento dovrebbe apportare un valore aggiunto alle loro attività interne, al di là della responsabilità sociale delle imprese, e potrebbe essere presentato all’esterno come l’intenzione di sostenere un migliore equilibrio di genere sul luogo di lavoro. Le loro azioni dovrebbero essere a disposizione di coloro che intendono replicarle.

8.4.

La valutazione delle attività della piattaforma dovrebbe intensificare la creazione di reti e di contatti tra i membri e incoraggiarli a collaborare al fine di promuovere gli obiettivi. Ciò contribuisce pertanto ad aumentare il numero di impegni congiunti mediante:

una più intensa collaborazione tra i responsabili politici, il GAL, i membri della piattaforma e le loro associazioni, promuovendo delle sinergie per rapporti e azioni a lungo termine, che — se necessario — possono svilupparsi e contribuire a definire nuove politiche,

uno sviluppo meno formale di ulteriori attività al di fuori della struttura della piattaforma, ad esempio instaurando dei contatti con soggetti che potrebbero non rientrare nei criteri di adesione,

una migliore visibilità del settore e dei suoi sforzi per introdurre una maggiore parità, con condizioni migliori per tutti,

l’organizzazione di eventi esterni per illustrare le azioni e attrarre nuovi lavoratori, innovazioni o contributi per il settore dei trasporti,

un apprendimento derivante dal miglioramento costante in quanto organismo collettivo e l’attuazione di nuovi metodi di lavoro e di promozione del settore.

Bruxelles, 26 aprile 2017.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 1.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Digitalizzazione e modelli economici innovativi nel settore finanziario europeo: conseguenze sull'occupazione e sulla clientela»

(parere d'iniziativa)

(2017/C 246/02)

Relatore:TBL

Carlos TRIAS PINTO

Correlatore:TBL

Pierre GENDRE

Decisione dell'Assemblea plenaria

22 settembre 2016

Base giuridica

Art. 29, par. 2, del Regolamento interno

 

Parere d'iniziativa

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione alla CCMI

7 aprile 2017

Adozione in sessione plenaria

26 aprile 2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

150/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

In questi ultimi decenni il settore bancario e quello assicurativo sono stati interessati da un processo di continua innovazione indotto dagli sviluppi tecnologici e normativi e dalle nuove esigenze e aspettative dei clienti. Nuovi modelli di investimento, risparmio, assicurazione e trasferimento di fondi, permettono a un altissimo numero di investitori di partecipare a progetti di diverse dimensioni.

1.2

Gli operatori dei settori fintech e insurtech fungono da catalizzatori e spesso intervengono, come partner di istituti finanziari, per ammodernarne i servizi, amalgamarne i punti di forza e di debolezza e generare sinergie reciproche. Il CESE è convinto che vi siano notevoli opportunità di creare valore fomentando un ecosistema di co-opetizione (1) innovativa.

1.3

C'è sicuramente bisogno di ripristinare fiducia e stabilità nel settore finanziario, e la gestione della transizione dal vecchio (sistema bancario tradizionale) al nuovo sistema svolge un ruolo cruciale in tale processo. A questo proposito, il CESE invita ad adottare una legislazione adeguata, a livello UE, nel quadro di un processo che completi l'Unione bancaria e il mercato unico digitale, favorendo la crescita e l'innovazione, ma assicurando al tempo stesso la protezione dei consumatori e dei lavoratori nel settore finanziario.

1.4

Per realizzare un mercato finanziario europeo veramente unico, la Commissione europea dovrebbe promuovere politiche volte a sostenere un contesto uniforme per tutti nel settore dell'innovazione. In generale, servono condizioni più o meno analoghe non solo a livello di regolamentazione ma anche a livello di diritti dei consumatori, condizioni di lavoro e obblighi di vigilanza, sia per il settore finanziario tradizionale che per le imprese fintech, secondo il principio in base al quale ad attività identiche si applicano norme e obblighi di vigilanza identici. Più specificamente:

1.4.1

Un approccio alla regolamentazione basato sul rischio dovrebbe rimanere coerente durante l'intera durata del ciclo di vita dell'innovazione, assicurando un quadro normativo proporzionale e semplificato, in modo da permettere sia agli operatori storici che ai nuovi soggetti di sperimentare nuove tecnologie e modelli aziendali, interagendo con le autorità di regolamentazione. La creazione di un quadro UE per la sperimentazione, in collaborazione con l’industria e con un ampio spettro di parti interessate (compresi i rappresentanti dei consumatori e dei lavoratori), fornirebbe gli strumenti necessari per prepararsi a sostenere l’innovazione in tutte le sue attività (FinTech Sandbox per l’innovazione nel settore fintech) (2).

1.4.2

Per rispettare le stesse condizioni che si applicano a soggetti terzi, è necessario considerare il trattamento del software come un attivo immateriale, evitando di dedurre dal capitale proprio primario gli investimenti elevati che i soggetti con sede nell'UE già realizzano nel settore IT (seguendo l'esempio dei sistemi bancari statunitense e svizzero o del settore assicurativo (3)).

1.4.3

La Commissione europea, l’Autorità bancaria europea e gli Stati membri devono impegnarsi fermamente a favore di un'attuazione armonizzata ed efficace della direttiva riveduta sui servizi di pagamento (PSD II), che introduce requisiti di sicurezza molto rigorosi relativamente agli ordini e al trattamento dei pagamenti elettronici nonché alla protezione dei dati finanziari dei consumatori, prestando particolare attenzione ai colossi del settore commerciale e dei social media tecnologici.

1.4.4

Le sfide e i rischi per i consumatori derivanti dalla digitalizzazione dei servizi finanziari dovrebbero essere attentamente esaminati dal Piano d'azione sui servizi finanziari al dettaglio (4) e dalla task force Fintech, garantendo uno stretto coordinamento tra DG JUST e DG FISMA, in particolare per quanto riguarda gli aspetti concernenti la protezione dei consumatori, ad esempio per stabilire quali tipi di dati dovrebbero essere utilizzati per valutare l'affidabilità creditizia, o come garantire la comprensione delle informazioni precontrattuali o il controllo efficace dell'identità dell'utente attraverso una serie di verifiche.

1.4.5

Le misure incluse nella proposta di modifica della direttiva antiriciclaggio dovrebbero essere immediatamente recepite (5), in particolare quelle concernenti i rischi di finanziamento del terrorismo collegati alle valute virtuali e i rischi derivanti dagli strumenti prepagati anonimi.

1.4.6

È necessario aumentare il ricorso al crowdfunding (finanziamento collettivo) e ad altre soluzioni dell’economia collaborativa, esplorando la possibilità di creare un «marchio di qualità» per alimentare la fiducia tra gli utenti, allo scopo di migliorare lo sviluppo di comunità virtuali e facilitare l’interazione tra i consumatori cooperativi.

1.4.7

Occorre sostenere l’adozione di soluzioni basate sull'utilizzo di software open source nel settore finanziario, al fine di promuovere una sana concorrenza di mercato, ridurre i costi ed evitare la dipendenza (lock-in) da un unico fornitore nel settore.

1.4.8

Al tempo stesso è necessario affrontare il problema della normativa sul peer-to-peer lending (prestito tra pari), allo scopo di promuovere stati patrimoniali di più piccole dimensioni.

1.4.9

Il credito ibrido (basato sui requisiti patrimoniali di Basilea 3) deve essere sostenuto dalla Commissione europea.

1.5

Il CESE sottolinea che la digitalizzazione non può mai sostituirsi a una valida consulenza personalizzata da parte di un consulente umano qualificato (né, nell'attività bancaria, dovrebbe scomparire la prossimità grazie a una rete di agenzie adattate).

1.6

La comprensione della FinTech richiede lo sviluppo di nuove competenze da parte di tutti: autorità di regolamentazione e di vigilanza, attori dell'ecosistema finanziario e popolazione in generale. Per trarre vantaggio da uno dei principali potenziali benefici della FinTech come motore dell’inclusione finanziaria, gli Stati membri dell’UE devono rafforzare l’educazione finanziaria e l’alfabetizzazione digitale, anticipando i nuovi scenari. Questo processo deve iniziare dalla scuola e deve comprendere le informazioni sui prodotti finanziari, tenendo conto di come vengono presentate online e del loro rapporto con lo sviluppo dell'Internet degli oggetti.

1.7

Con la digitalizzazione nel settore finanziario sono a rischio molti posti di lavoro e i lavoratori sono obbligati ad aggiornare le loro abilità e competenze. Il CESE raccomanda pertanto di garantire un duplice percorso di formazione e riqualificazione professionale: un percorso interno, per consentire ai dipendenti di svolgere nuove funzioni e favorire un percorso incrociato tra gli attuali addetti del settore finanziario dagli istituti tradizionali e delle imprese fintech/insurtech; ed un percorso esterno, per preparare i lavoratori che non possono rimanere nel settore per lavori in altri settori.

1.8

Il CESE invita il Fondo sociale europeo a finanziare programmi di formazione specifici nell'ambito della nuova iniziativa faro Coalizione per le competenze e le occupazioni digitali (6), per sostenere la riqualificazione e l'aggiornamento professionale dei lavoratori del settore finanziario e prepararli alle nuove tecnologie digitali.

1.9

Il CESE invita le imprese a inserire nei regolamenti interni codici di condotta e buone pratiche che limitino gli obblighi per i lavoratori di rimanere online tutta la giornata, e a formulare orientamenti volti a dissuadere i dipendenti dal lavorare durante il fine settimana e quando sono in ferie. Qualora gli approcci volontari non dovessero funzionare, il CESE raccomanda l’introduzione di norme vincolanti in materia.

1.10

Per affrontare tutte queste sfide è indispensabile garantire un'informazione e una consultazione tempestive, in linea con le direttive dell’UE sull’informazione e la consultazione dei lavoratori. La Commissione europea e gli Stati membri devono garantire l'osservanza delle disposizioni della normativa vigente e, in particolare, del diritto dei rappresentanti del personale di essere coinvolti nei cambiamenti interni all'impresa.

1.11

Il CESE raccomanda che la proposta di direttiva sulla ristrutturazione preventiva e la seconda opportunità venga rafforzata e completata, in modo da favorire l’accesso a procedure di ristrutturazione prima che venga dichiarata l’insolvenza di un'impresa.

2.   Un settore concentrato e diversificato, in rapida trasformazione

2.1

Il settore bancario e assicurativo in Europa risulta diversificato e caratterizzato dalla presenza di grandi istituti, attivi sul mercato europeo e perfino mondiale, nonché di strutture locali e regionali con diversi gradi di indipendenza e caratteristiche proprie a singoli paesi. Nonostante il processo di concentrazione avvenuto nella maggior parte degli Stati membri, il settore risulta ancora frammentato a livello europeo. Le vecchie linee di demarcazione tra i gruppi bancari e le grandi compagnie di assicurazioni sono praticamente scomparse con la creazione di veri e propri conglomerati finanziari.

2.2

Nel nuovo scenario caratterizzato da mercati volatili e tassi di interesse ridotti, una forte pressione regolamentare e un'intensa attività di vigilanza e controllo (imposte sul sistema bancario in seguito alla crisi finanziaria), in combinazione con la trasformazione digitale e la crescente concorrenza (nuove imprese fintech) nonché con il comportamento dei consumatori, si assiste a una continua erosione dei risultati del settore bancario. Con la diffusione di nuovi modelli non bancari nell’economia digitale, si rende necessario analizzare l’interazione di quattro elementi: le banche tradizionali, i nuovi operatori digitali, le autorità di regolamentazione e i consumatori.

2.3

Con la continua crescita di Internet, le banche stanno sviluppando filiali online e agenzie virtuali, attraverso le quali i clienti possono effettuare operazioni semplici e contattare un consulente. Le strategie adottate dalle imprese per ridurre drasticamente gli investimenti nelle risorse umane e il deterioramento delle condizioni di accoglienza dei clienti hanno fatto diminuire il numero di persone che si recano nelle agenzie bancarie, con la conseguente chiusura di numerose filiali in tutta Europa.

2.4

Nel settore assicurativo, coesistono diversi sistemi di distribuzione: produttori subordinati, mediatori, agenti generali, operatori di bancassicurazione e agenti autonomi che operano per conto di un'unica società. I prodotti assicurativi sono attualmente venduti online e tramite smartphone. La predominanza di ciascuna di queste reti di distribuzione multicanale varia tra gli Stati membri dell’UE e da un prodotto all’altro. Le polizze vita, ad esempio, sono distribuite principalmente tramite le reti bancarie (bancassicurazione).

2.5

I metodi di pagamento sono in continua evoluzione, e questa tendenza è destinata a intensificarsi. L’uso di assegni e di contante è notevolmente diminuito dall’inizio degli anni ’90. Allo stesso tempo, vi è stato uno spostamento crescente verso i sistemi di pagamento mediante carta, addebito diretto o bonifico bancario, che facilitano la tracciabilità e i controlli, aumentano la sicurezza e indeboliscono l’economia sommersa. I pagamenti elettronici consentono di ampliare ulteriormente il campo di applicazione, ad esempio per il trasferimento di denaro tra privati e il pagamento di prestazioni sociali. Nuovi operatori della moneta elettronica stanno unendo le forze con il settore del commercio elettronico mentre, oltre alle carte bancarie, si stanno sviluppando e diffondendo nuove tecnologie come i pagamenti contactless (senza contatto fisico). Occorre inoltre seguire con particolare attenzione lo sviluppo dei mercati delle criptovalute (bitcoin e altre).

3.   Progressi tecnologici nel settore finanziario europeo e nuovi operatori

3.1

Nel settore finanziario, i progressi tecnologici stanno avvenendo su Internet: servizi bancari online, big data (megadati), intelligenza artificiale, blockchain, cibersicurezza, ecc. Lo scambio di dati ad alta velocità consente di eseguire le valutazione di rischio e i processi decisionali finanziari sulla base di algoritmi e big data.

3.2

Questa disruption (rottura) tecnologica e le difficoltà incontrate dalle banche tradizionali per problemi di capitale proprio e per un prosciugamento temporaneo di liquidità, unitamente allo sviluppo di canali di vendita alternativi non soggetti agli obblighi normativi del settore bancario, hanno spianato la strada a nuove realtà (fintech, insurtech e blockchain) e hanno al tempo stesso creato nuove opportunità e comportato nuovi rischi per i consumatori.

3.3

Le imprese fintech e insurtech, che continuano ad aumentare di numero, combinano i concetti di finanza, assicurazione e tecnologia. Esse in pratica utilizzano la tecnologia per vendere prodotti finanziari in maniera innovativa. Sono in aumento soprattutto in determinati settori: gestione del risparmio, prestiti personali, finanza aziendale e pagamenti online. Svolgono un ruolo crescente nel finanziamento collettivo (crowdfunding e P2P) attraverso piattaforme dedicate e l’utilizzo di applicazioni mobili, valute virtuali e sistemi di pagamenti elettronici tramite Internet o smartphone. Esercitano una notevole pressione sulle banche e sulle compagnie assicurative, alle quali fanno concorrenza proprio nei loro settori tradizionali. Le maggiori aziende Internet, in particolare le GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) stanno anche sviluppando progetti nel settore finanziario, sfruttando la propria capacità di controllo dei big data.

3.4

Le applicazioni basate sulla tecnologia di registro distribuito (DLT) potrebbero dimostrarsi in grado di creare un nuovo tipo di fiducia in un’ampia gamma di servizi. La blockchain funziona senza alcun organo di controllo centralizzato, in modo trasparente e sicuro. Sia le imprese che i privati possono utilizzare questo sistema per effettuare determinate operazioni e aggirare il settore finanziario, utilizzando in particolare le criptovalute.

Analogamente, PayPal offre la possibilità di pagare i beni in valuta estera senza dover fornire coordinate bancarie.

3.5

La FinTech consente a società e individui di accedere al crowdfunding per la realizzazione di progetti specifici, utilizzando piattaforme dedicate per raccogliere fondi sotto forma di donazioni o prestiti o perfino investimenti azionari. Tali piattaforme rendono possibile il ricorso al peer-to-peer lending, compresi prestiti al consumo e prestiti personali, senza doversi rivolgere alle banche, e consentono ai privati di finanziare direttamente microimprese e PMI. Le piattaforme sono in grado di integrare o promuovere il capitale di rischio, in particolare per le imprese innovative, e di comunicare ai consumatori, in tempo reale attraverso le loro applicazioni mobili, informazioni finanziarie necessarie per gestire le loro spese o le loro scelte in materia di investimenti.

3.6

Questi nuovi operatori sono in concorrenza con i modelli economici tradizionali di banche e assicurazioni, anche se queste ultime stanno iniziando a coesistere con tali operatori. Alcune hanno già avviato un processo di collaborazione con il settore fintech e insurtech, mentre altre dispongono di proprie strutture figlie. In questi ultimi anni inoltre sono rapidamente aumentati gli investimenti a favore della FinTech e tale interesse si è esteso anche all'InsurTech.

4.   I vincitori sono i clienti?

4.1

Per le grandi imprese questo adeguamento alla digitalizzazione dei servizi finanziari comporta cambiamenti che esse possono integrare nella loro gestione quotidiana. Ma la situazione è diversa per molte PMI tradizionali e soprattutto per le microimprese, che non possiedono le conoscenze e le risorse interne necessarie per integrarsi facilmente in un mondo finanziario in rapido mutamento.

4.2

Nell’era di Internet e degli smartphone, i profili dei clienti non sono più gli stessi, ma la loro richiesta di servizi bancari e assicurativi digitali dipende da vari fattori quali l’età, il livello di istruzione e la professione. Tuttavia, quando si tratta di consulenza finanziaria, resta ancora necessario, anche tra i giovani, il contatto umano basato sull’esperienza con il cliente.

4.3

Agenzie virtuali e succursali online di gruppi bancari e assicurativi offrono ai clienti accesso a credito, prestiti e polizze assicurative su Internet e su smartphone, utilizzando le nuove applicazioni. Si tratta di contratti che prevedono condizioni più favorevoli: una carta bancaria gratuita, tassi di interesse agevolati, un bonus per l'apertura del conto, e uno sconto di diversi mesi di premi nel caso di assicurazioni e mutue. Tali vantaggi per i clienti caratterizzano il periodo di transizione dal modello economico tradizionale di banche, compagnie assicurative e società di mutua assicurazione al modello che emerge dalla digitalizzazione.

4.4

Questo nuovo scenario presenta sia rischi che opportunità per il consumatore:

un più facile accesso ai prodotti, maggiore/migliore scelta, possibilità di confronto dei prezzi attraverso siti web, offerte più personalizzate e su misura, riduzione dei costi di transazione (tempo e denaro) e una maggiore sicurezza grazie ai nuovi sistemi di autenticazione biometrica,

nuovi prodotti utili (ad esempio crowdfunding) ma anche la comparsa di nuovi prodotti complessi, opachi, non facilmente comprensibili e rischiosi: ad es. prestiti istantanei,

eventuali difficoltà a fornire informazioni precontrattuali/informative, attraverso nuovi canali di vendita: a causa ad esempio delle dimensioni ridotte degli schermi degli smartphone,

carenza di informazioni sui rischi connessi con i prodotti finanziari,

insufficiente controllo/applicazione delle attività dei nuovi operatori nel settore dei servizi finanziari,

incertezza giuridica, in alcuni casi, riguardo alla legislazione applicabile ai nuovi operatori,

settori non disciplinati (ad esempio consulenza automatizzata),

possibili casi ingiustificati di discriminazione/esclusione collegati all’utilizzo dei big data e alla mancanza di competenze digitali,

cibersicurezza.

4.5

La digitalizzazione dovrebbe rendere la diffusione di prodotti finanziari più trasparente, ma l'apparente semplificazione dei prodotti offerti può mascherare la mancanza di equilibrio nella relazione finanziaria complessiva. L’utilizzo di algoritmi non garantisce l’assenza di difetti nascosti né la conformità dei prodotti alle norme europee. L'educazione finanziaria dovrebbe pertanto comprendere le informazioni sui prodotti finanziari, tenendo conto di come vengono presentate online.

5.   Altre fonti di finanziamento e ruolo della finanza etica e responsabile

5.1

L’attuale forte dipendenza delle imprese dai finanziamenti bancari (più del 75 % in Europa rispetto al 20 % negli Stati Uniti) e la mancanza di una cultura della partecipazione al capitale in Europa rendono le PMI (che rappresentano oltre il 98 % di tutte le imprese europee, occupano due dipendenti su tre e sono responsabili della creazione del 58 % del valore aggiunto complessivo) potenzialmente esposte al rischio di una stretta creditizia, come quelle intervenute durante gli anni della crisi finanziaria mondiale. Dovrebbero quindi essere esplorate le modalità di finanziamento complementare non bancario, e i rischi che comportano, in particolare in caso di crisi.

5.2

Per il finanziamento delle PMI, oltre agli aiuti a titolo dei fondi europei, esistono diverse fonti alternative che contribuiscono a migliorare lo sviluppo delle imprese e a ridurre i rischi, per stimolare la creazione di posti di lavoro e la competitività delle imprese, riducendo i normali costi di finanziamento, come previsto nel piano Juncker.

5.3

Occorre rafforzare il modello bancario socialmente responsabile, trasparente e sostenibile, e il sistema finanziario radicato nell’economia reale, garantendo stabilità e coesione sociale e territoriale. Le banche sostenibili adottano un approccio intenzionale al bilancio triplice (che comprende misure in materia di prestazioni finanziarie, sociali e ambientali allo scopo di finanziare progetti senza esternalità negative), concentrandosi sullo sviluppo di solide relazioni con i loro clienti e con la comunità allargata di soggetti interessati.

5.4

Le banche, le cooperative di assicurazione e le società di mutua assicurazione si sono a lungo concentrate sulla creazione di valore per tutte le parti interessate (approccio dello stakeholder value) per sviluppare le proprie attività. Tuttavia, hanno anche adottato le pratiche degli istituti commerciali convenzionali e non sono sfuggite alle difficoltà derivanti dalla crisi finanziaria. Per il momento, la digitalizzazione non sembra essere un fattore determinante per un ritorno a pratiche commerciali più etiche e rispondenti alle esigenze reali della società.

6.   Impatto sull’occupazione e sulle condizioni di lavoro

6.1

Secondo Bloomberg, le banche hanno tagliato circa 600 000 posti di lavoro in tutto il mondo a seguito della crisi economica del 2008. Questi tagli massicci, avvenuti principalmente a causa della crisi, sono però anche una conseguenza del processo di digitalizzazione.

6.2

In Europa, le banche e le compagnie assicurative, danno lavoro, secondo le stime, a quasi quattro milioni di persone: tre milioni le banche e quasi un milione le assicurazioni. Citigroup stima che il settore bancario taglierà circa 1,8 milioni di posti di lavoro in Europa e negli Stati Uniti nel corso dei prossimi dieci anni. Dei quasi 2,9 milioni di dipendenti (su base equivalente a tempo pieno) delle banche europee ne rimarranno solo 1,82 milioni nel 2025. Questa tendenza è confermata dai numerosi tagli annunciati di recente da diversi grandi gruppi bancari europei. In diversi paesi si osserva nel settore finanziario una tendenza verso forme di lavoro a tempo parziale e di altra natura.

6.3

Servono misure a favore di una politica attiva del mercato del lavoro, per consentire ai lavoratori interessati di affrontare i cambiamenti attuali e futuri. Le parti sociali a tutti i livelli svolgono un ruolo cruciale nella ricerca di soluzioni adeguate. Un esempio di buona pratica a questo riguardo è la riqualificazione generale per tutti gli impiegati bancari in Austria, decisa mediante contrattazione collettiva a livello settoriale e finanziata sia dalle banche che dal settore pubblico.

6.4

La continua erosione della rete di agenzie bancarie è stata accompagnata da una revisione del concetto di agenzia, in considerazione della natura della clientela interessata. Il numero di addetti era già iniziato a diminuire ancor prima della chiusura delle agenzie, a causa dell’automazione delle transazioni. Il settore delle assicurazioni mantiene una solida rete di agenti generali e mediatori, malgrado un'accentuata tendenza al ridimensionamento. Diminuirà invece il numero di produttori subordinati.

6.5

In sede di contrattazione, acquisti e vendite di quote societarie, valuta e credit default swap (strumenti finanziari derivati in cui il venditore indennizza il compratore in caso di inadempienza da parte di terzi) sono sempre più spesso effettuati da computer.

6.6

Una nuova piattaforma cognitiva, (sperimentata da un importante gruppo bancario) alimentata dai big data è in grado di comprendere il linguaggio naturale, di rispondere a domande in una vasta gamma di settori e di proporre risposte già pronte agli addetti alla clientela. Si tratta in sostanza di una tecnologia che può essere utilizzata come un assistente virtuale in entrambi i settori bancario e assicurativo. Gli addetti alle vendite potrebbero essere tra i primi a subirne le conseguenze.

6.7

Le condizioni di lavoro sono divenute instabili e le richieste di formazione sono aumentate in modo significativo, sia per dotare i lavoratori delle necessarie competenze digitali sia per consentire loro di cambiare lavoro qualora dovesse sorgere la necessità di una mobilità professionale.

6.8

Poiché la diffusione delle tecnologie digitali richiederà un enorme cambiamento per quanto riguarda gli strumenti, le abilità e le competenze di cui dovranno disporre i lavoratori, le imprese devono essere disposte a investire nello sviluppo continuo di competenze e qualifiche. La contrattazione collettiva e il dialogo sociale devono concentrarsi su alcuni importanti obiettivi: adeguare la formazione professionale alle esigenze future, rendere possibile tale formazione, fornire informazioni dettagliate sul modo in cui le nuove tecnologie sono già utilizzate nel settore. Occorre poi un'analisi caso per caso per stabilire quali siano le competenze necessarie per consentire agli addetti del settore finanziario di mantenere la loro importanza anche in futuro, e in che modo tali competenze possano essere impartite.

6.9

Con il lancio del lavoro online e il taglio di numerosi posti di lavoro già in atto, aumentano le preoccupazioni riguardo all'orario di lavoro. Appare già evidente che cresceranno le attività finanziarie delocalizzate verso Stati membri dell'UE e paesi terzi con un basso costo del lavoro e bassi livelli di protezione sociale.

6.10

È importante che le soluzioni digitali siano sempre al servizio dei cittadini e contribuiscano a migliorare le norme sociali e le condizioni di lavoro. A questo proposito occorre intensificare il dialogo sociale settoriale a tutti i livelli, compreso quello europeo, per individuare le soluzioni migliori ed evitare in tal modo perturbazioni sociali. A livello settoriale e in ciascuna impresa, i datori di lavoro devono impegnarsi ad avviare negoziati con i rappresentanti sindacali, per garantire che vengano adottate misure efficaci in termini di reddito, condizioni di lavoro, protezione sociale, formazione e sostegno alla mobilità interna geografica e professionale, e ricollocamento. Tali misure devono essere adottate quanto più precocemente possibile, in modo da anticipare i processi di ristrutturazione ed evitare di attendere l'inizio della perdita dei posti di lavoro.

6.11

Una digitalizzazione controllata del settore finanziario dovrebbe consentire di mantenere posti di lavoro di qualità e di migliorare i rapporti con la clientela, offrendo al tempo stesso adeguate opportunità di accesso a una consulenza finanziaria personalizzata. Dovrebbe inoltre garantire un efficace livello di sicurezza delle transazioni e un'efficiente tutela dei dati personali, sia per i clienti che per i lavoratori. I lavoratori e i consumatori di servizi finanziari dovrebbero essere coinvolti, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, in modo che le loro conoscenze pratiche in materia possano essere prese in considerazione.

7.   Regolamentazione e vigilanza

7.1

La crescente complessità dei prodotti finanziari e la velocità di elaborazione dei dati, unitamente alla prestazione di servizi anonimi e automatizzati in materia di marketing, consulenza e assistenza, creano situazioni ad alto rischio che spesso non possono essere né valutate né controllate dal titolare dei fondi collocati o investiti. Il CESE constata con preoccupazione l’inadeguatezza dei modelli di rischio e della loro capacità di valutare adeguatamente i profili di rischio delle diverse categorie di investimenti non garantiti.

7.2

Secondo il governatore della Banca di Francia, la digitalizzazione dei servizi finanziari deve andare di pari passo con la regolamentazione, la quale deve adattarsi in modo da non soffocare l'innovazione e continuare a garantire un elevato livello di sicurezza delle transazioni e di tutela dei consumatori. Il CESE ritiene che debbano essere garantiti standard elevati sia per il settore finanziario tradizionale che per le nuove imprese e i nuovi modelli economici del settore fintech.

7.3

La direttiva MiFID II è una delle principali iniziative legislative volte a modificare la struttura del mercato e i modelli economici. Le imprese dovrebbero gestire gli obblighi normativi come un’opportunità strategica.

7.4

La nuova normativa sui pagamenti digitali (PSD II) mira ad aumentare i livelli di sicurezza delle operazioni online, allo scopo di ridurre il volume delle frodi che interessano attualmente questo canale.

7.5

Una nuova direttiva antiriciclaggio dell'UE introdurrà nuovi requisiti in materia di adeguata verifica nei confronti della clientela, oltre al nuovo obbligo di segnalare le operazioni sospette e di tenere traccia dei pagamenti.

7.6

L’aggiornamento del quadro di cooperazione per la tutela dei consumatori (regolamento CPC) conferirà maggiori poteri alle autorità nazionali per quanto riguarda l'applicazione delle leggi in materia di protezione dei consumatori, e migliorerà il necessario coordinamento tra Stati membri.

7.7

Con l’applicazione della normativa Solvibilità II per le compagnie assicurative e degli accordi di Basilea 3/CRD IV per le banche, ci si interroga su come un approccio normativo supplementare possa tenere conto dei rischi sostenuti dai nuovi operatori del sistema finanziario e del loro impatto su questo settore nel suo insieme.

7.8

Dopo le prove di stress effettuate dall’Autorità bancaria europea nel 2016, la Commissione ha presentato proposte che riflettono il dibattito attualmente condotto dal Comitato di Basilea sul rafforzamento dei requisiti patrimoniali. Le norme universali adottate dovrebbero essere proporzionate alle dimensioni e alla natura degli enti creditizi e delle start-up finanziare. Il CESE accoglie con favore il recente pacchetto di proposte della Commissione (7).

7.9

In questi ultimi anni, la crisi finanziaria ha fatto lievitare il volume di affari per i fondi di investimento diretti (sistema bancario ombra). L’impatto della digitalizzazione su questi fondi non dovrebbe tradursi in un vuoto normativo dannoso per la stabilità del sistema finanziario.

7.10

Data l'inadeguatezza dei modelli tradizionali di valutazione dei rischi, che non sono in grado di valutare correttamente i modelli di finanziamento basati su garanzie non collaterali, le autorità europee di vigilanza dovrebbero intensificare i contatti con le start-up fintech, restando inteso che il settore fintech richiede l'acquisizione di nuove competenze da parte delle autorità di vigilanza.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Basato, cioè, non solo sulla concorrenza ma anche sulla collaborazione e il partenariato.

(2)  La Commissione sta valutando la possibilità di introdurre una licenza unica a livello UE che consentirebbe alle società tecnologiche del settore dei servizi finanziari di operare in tutta Europa e la creazione di un «sandbox», o quadro normativo specifico, per l'Unione nel suo insieme.

(3)  Cfr. Requisiti di solvibilità II.

(4)  Lanciato il 23 marzo, COM(2017) 139 final, Piano d'azione riguardante i servizi finanziari destinati ai consumatori e consultazione pubblica sulla Fintech.

(5)  GU C 34 del 2/02/2017, pag. 121.

(6)  https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/digital-skills-jobs-coalitionbargaining and soc

(7)  Parere del CESE ECO/424 — Modifica del regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR) volta a integrare le modifiche del quadro di Basilea (non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale).


Glossario dei termini

Bancassicurazione: la vendita di prodotti assicurativi tramite le reti degli sportelli bancari. Questo tipo di partenariato strategico permette una convergenza delle reti e crea sinergie imprenditoriali.

Big data (megadati): l'immagazzinamento e il trattamento di un numero elevato di dati che vengono trasmessi ad alta velocità. Big data analytics («analisi dei big data») si riferisce alla conversione, mediante metodi matematici e statistici, dei dati in informazioni che vengono usate per prendere decisioni nel settore finanziario.

Bigtech: giganti tecnologici come Google, Apple, Facebook e Amazon (GAFA) che cominciano a estendere notevolmente la loro attività nel settore bancario.

Bitcoin: valuta virtuale in fase sperimentale che è sempre più accettata sul mercato.

Blockchain: una piattaforma tecnologica che sostiene il bitcoin. Dispone di una base di dati molto efficiente, che può essere utilizzata nel settore finanziario o in molteplici applicazioni.

Cibersicurezza: copre i rischi di attacchi informatici e di furto di dati, oltre ad aumentare e garantire la fiducia del cliente.

Cloud: modelli di prestazione di servizi basati su Internet.

Connettività: a seguito dei progressi tecnologici è possibile essere connessi in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. Ciò consente di lavorare in modo più flessibile, in quanto le persone possono lavorare da casa o da un altro luogo (telelavoro, smart working o lavoro agile). I giovani sono già abituati a questo modo di lavorare e l'esistenza di una gamma di opzioni può comportare notevoli vantaggi.

Crowdfunding (finanziamento collettivo): il finanziamento è fornito attraverso piattaforme Internet che collegano imprenditori e investitori. Esistono piattaforme che obbligano gli imprenditori a offrire una quota della loro impresa in cambio di investimenti (crowdfunding azionario).

Crowdlending (prestito collettivo): finanziamento tramite Internet per imprenditori: questi ricevono un prestito che è concesso da un gruppo di persone e che deve essere rimborsato sulla base di un tasso di interesse concordato.

Digitalizzazione: riguarda la tecnologia nel suo complesso (Internet, le tecnologie di telefonia mobile, i big data, le blockchain, l'intelligenza artificiale, il cloud computing, la robotica e la cibersicurezza), quando è applicata ai nuovi modelli di rapporto con i clienti e alla gestione delle operazioni delle banche e delle società di assicurazioni. La tecnologia è un mezzo per conseguire la digitalizzazione piuttosto che un fine in sé.

Disruption (rottura): la trasformazione digitale non è possibile senza un nuovo modello culturale e organizzativo. L'innovazione è fondamentale per la competitività in questa attività bancaria di ampia portata. Il cambiamento inizia dalle persone.

Esperienza del cliente: sviluppare una conoscenza approfondita di ciascun singolo cliente, accompagnandolo nella sua esperienza in tutte le sfere di interazione con la banca. Le reti sociali e le piattaforme web ne sono elementi essenziali.

Exponential banking (servizi bancari esponenziali): utilizza tecnologie esponenziali (che sono emerse con la rivoluzione digitale) per aumentare la gamma e la qualità dei servizi finanziari e per ridurre i costi.

FinTech/InsurTech: start-up innovative, che offrono prodotti bancari o assicurativi innovativi a basso costo.

Intelligenza artificiale: macchina con capacità di apprendimento. Il robo advisor è una macchina in grado di fornire consulenza finanziaria e che funziona allo stesso modo del cervello umano.

Knowmads: nuovi professionisti convinti che il loro contributo consista nelle loro conoscenze e che pertanto privilegiano la libertà di gestire le loro attività e il loro tempo.

Metodi di pagamento: un'evoluzione tipica del commercio elettronico, il pagamento con terminali POS (point of sale o punto di vendita) è la più ampia forma di pagamento mediante telefonia mobile in tutto il mondo. Questo ecosistema comprende anche l'opzione PayPal e gli operatori tecnologici Samsung Pay, Apple Pay, ecc. I servizi di pagamento da persona a persona (P2P) sono una valida alternativa per coloro che vivono in paesi in cui il sistema bancario è meno sviluppato. Al giorno d'oggi, le app di servizi bancari su telefonia mobile sono una realtà della vita.

Millennials: la prima generazione di nativi digitali, quelli nati tra il 1980 e il 2000, che rappresenteranno il 75 % della forza lavoro nel 2025 e che, tipicamente, non si recano in filiale.

Multi-channelling (multicanalità): la combinazione efficiente della possibilità di usare servizi bancari digitali e in presenza (face-to-face). Il cliente è il fulcro dell'attività.

Neobanche: strutture che non necessitano di un'autorizzazione bancaria per operare: la loro attività consiste nello sviluppare software sulla base dell'infrastruttura di una banca esistente.

Prestiti ibridi: si tratta di una combinazione di prestiti concessi da banche e da clienti del ramo private banking. Ciò permette alle banche di mantenere un livello di attività più alto senza espandere in misura significativa il loro stato patrimoniale, riuscendo nel contempo a soddisfare i loro clienti e gli altri investitori.

RegTech: tecnologie innovative che sono utilizzate per facilitare il rispetto della normativa, riducendo i costi e le risorse necessarie per questi compiti. La regolamentazione e la sorveglianza digitale rappresentano una sfida per il settore finanziario (occorre garantire condizioni di parità).

STEM: lo studio della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica. Le professioni che sono attualmente più ricercate sono quelle relative a questi settori, e le competenze digitali sono essenziali in tutti i settori. La formazione è quindi una priorità.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

525a sessione plenaria del CESE dei giorni 26 e 27 aprile 2017

28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 560/2014 del Consiglio, del 6 maggio 2014, che istituisce l’impresa comune Bioindustrie»

[COM(2017) 68 final — 2017/0024 (NLE)]

(2017/C 246/03)

Relatore generale:

Mihai MANOLIU

Consultazione

Consiglio, 21.3.2017

Base giuridica

Articoli 187 e 188 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

28.3.2017

Adozione in sessione plenaria

27.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

160/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la proposta in esame, volta a modificare il regolamento del Consiglio, si prefigga di migliorare le disposizioni del suddetto regolamento e di renderle più efficaci in vista del conseguimento degli obiettivi dell’impresa comune Bioindustrie. La proposta è coerente con gli obiettivi iniziali e con le disposizioni delle politiche esistenti.

1.2.

Il CESE ritiene che l’impresa comune Bioindustrie punti a sviluppare sinergie con altri programmi dell’Unione relativi, ad esempio, alla politica in materia di coesione, istruzione, ambiente, PMI, competitività e politica di sviluppo rurale, rafforzando a livello regionale e nazionale la capacità di ricerca e innovazione nell’attuale contesto delle strategie e politiche di specializzazione intelligente.

1.3.

La Commissione europea realizza costantemente scambi operativi con il consorzio Bioindustrie (consorzio BIC), compresa la tornata di consultazioni e discussioni sulle modalità di erogazione del contributo finanziario da parte dei membri dell’impresa comune Bioindustrie. La proposta di modifica in esame non ha alcun impatto supplementare oltre a quello che ci si attende di ottenere attraverso il regolamento iniziale del Consiglio, dato che le modifiche previste sono solo di natura tecnica e non necessitano di una valutazione d’impatto ai fini di questa iniziativa.

1.4.

Il CESE si compiace che la proposta in esame riduca l’onere amministrativo per il consorzio BIC per quel che concerne il ruolo di intermediario tra i membri del consorzio BIC, che hanno l’obbligo di versare i contributi finanziari, e i partecipanti al progetto. Al consorzio Bioindustrie spetta sempre il compito di riferire in ultima istanza il numero complessivo di contributi finanziari da parte dei suoi membri.

1.5.

Il CESE approva i chiarimenti di fondo stabiliti nel nuovo regolamento, ossia:

il versamento dei contributi potrà essere effettuato in due modi: trasferendoli dal consorzio all’impresa comune Bioindustrie (come in precedenza) e/o trasferendoli direttamente da un membro del consorzio a un beneficiario del progetto,

verrà estesa la categoria delle parti che possono fornire il contributo finanziario (entità costitutive del consorzio BIC),

verrà mantenuto l’impegno a favore dell’obiettivo finanziario complessivo,

sarà consentito ai membri del consorzio di dichiarare i contributi finanziari versati a livello di progetto.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE ritiene che il concetto di bioindustrie rientri nell’ampio settore della bioeconomia, definita come la produzione e l’estrazione di risorse biologiche rinnovabili e la loro trasformazione in prodotti a base di elementi biologici, come gli alimenti, i mangimi e la bioenergia. Tre quarti dei terreni arabili dell’UE sono utilizzati a tal fine e questo settore economico, che dà lavoro tra i 17 e i 19 milioni di cittadini, registra un fatturato di 2 000 miliardi di euro. Presso le imprese del settore della conoscenza nel quadro della bioeconomia, che hanno un fatturato complessivo di 57 miliardi di euro, lavorano circa 305 000 persone (dati del 2009).

2.2.

In Europa, la bioeconomia può generare sviluppo e valore aggiunto, oltre che nuovi posti di lavoro sicuri e dignitosi, può ridurre considerevolmente la dipendenza dalle importazioni, contribuisce a un impiego razionale delle risorse biologiche limitate, ma rinnovabili, e può offrire un apporto sostanziale al commercio mondiale.

2.3.

Si osserva frequentemente una concorrenza su differenti livelli, tra le differenti tecnologie e tra i vari utilizzi delle risorse biologiche. Tale situazione è ulteriormente aggravata dalla limitata disponibilità di risorse biologiche. Da un lato, la bioeconomia può contribuire in modo significativo all’obiettivo di riduzione dell’effetto serra generato dalle emissioni di CO2, una riduzione che ha un effetto benefico sulla salute pubblica. Dall’altro, si osserva un effetto negativo che prende la forma di ulteriori emissioni di gas a effetto serra, il cui impatto sull’ambiente non può essere trascurato.

2.4.

Il quadro strategico europeo per la bioeconomia è frammentato in una serie di politiche settoriali: l’agricoltura, la pesca, la silvicoltura, il clima, l’economia circolare e la ricerca rappresentano dei settori di attività che sono disciplinati da una serie di atti legislativi e retti da politiche settoriali (1).

2.5.

Ciononostante, a partire dal 2012, una strategia globale per la bioindustria ha cercato di garantire una coerenza strategica, anche se si osserva il persistere di alcune incongruenze. L’UE fornisce il finanziamento alle attività innovative in materia di bioeconomia per mezzo del programma quadro di ricerca Orizzonte 2020 e anche attraverso una serie di altri strumenti di finanziamento. Il CESE ritiene che occorra assicurare la sostenibilità e una politica coerente in questo settore.

2.6.

L’importanza di prendere in considerazione un partenariato pubblico-privato per le bioindustrie quale iniziativa tecnologica è sottolineata da un insieme di comunicazioni della Commissione (2).

2.7.

La base giuridica della proposta in esame è costituita dagli articoli 187 e 188 del TFUE. Poiché gli Stati membri non possono agire individualmente, spetta all’UE modificare il quadro giuridico dell’impresa comune. La proposta in esame si prefigge di adeguare le disposizioni del regolamento del Consiglio allo scopo di offrire ai membri del consorzio BIC la possibilità concreta di rispettare l’obbligo relativo all’erogazione del contributo finanziario. La proposta è conforme al principio di proporzionalità. La modifica si è resa necessaria anche perché non vi era alcuna possibilità di interpretare il regolamento del Consiglio in modo da rendere possibile l’erogazione del contributo a livello di progetto.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

Nel 2012, sulla base del programma quadro di ricerca, la Commissione europea ha adottato la strategia per la bioeconomia cercando di assicurare la coerenza tra le varie politiche e i relativi obiettivi, a livello sia nazionale che europeo. Questo approccio è stato necessario per aumentare il finanziamento pubblico, oltre che gli investimenti riguardanti la bioeconomia. Sono stati definiti dei modelli di governance partecipativa. Questa strategia ha gettato le basi per un piano d’azione contenente 12 misure raggruppate in 3 filoni principali:

investimenti nella ricerca, nell’innovazione e nello sviluppo di competenze,

interazione politica rafforzata e coinvolgimento delle parti interessate,

condizioni propizie per il mercato e la competitività nel quadro della bioeconomia.

3.2.

Le misure adottate si prefiggevano di costituire un’associazione di portatori di interessi nel settore della bioeconomia, oltre che un osservatorio delle attività in questo settore, e hanno favorito la comparsa di nuovi mercati attraverso lo sviluppo di standard, anche per quanto concerne la durabilità/sostenibilità, fornendo le conoscenze di base necessarie per intensificare in modo sostenibile la produzione primaria. È stato previsto di rivedere e aggiornare tale strategia nel 2017.

3.3.

La proposta della Commissione introduce una modifica tecnica a un documento esistente, ossia il regolamento (UE) n. 560/2014 del Consiglio che istituisce l’impresa comune Bioindustrie (IC Bioindustrie).

3.3.1.

L’IC Bioindustrie è un’organizzazione — i cui membri sono l’UE, rappresentata dalla Commissione, e il consorzio Bioindustrie (consorzio BIC) — che ha come obiettivo l’attuazione di un partenariato pubblico-privato. L’IC Bioindustrie è stata istituita allo scopo di attuare l’iniziativa tecnologica congiunta per le bioindustrie fino alla data del 31 dicembre 2024.

3.3.2.

Tenuto conto delle difficoltà incontrate dal consorzio Bioindustrie nel fornire il proprio contributo finanziario secondo le modalità previste dal regolamento del Consiglio, si propone di introdurre, oltre alle modalità di erogazione esistenti a livello di programma, la possibilità di erogare contributi finanziari anche a livello di progetto. Questa soluzione affronta il problema in modo efficace e si adopera per raggiungere gli obiettivi iniziali del regolamento del Consiglio consentendo ai membri del consorzio Bioindustrie di rispettare il loro impegno iniziale. Tale soluzione è simile a quella adottata per l’IC IMI2 (impresa comune per l’iniziativa in materia di medicinali innovativi 2), dove i membri diversi dall’Unione possono versare contributi finanziari a livello di programma, un metodo utilizzato di norma dai fondi fiduciari e dagli organismi di beneficenza, oppure a livello di progetto, che è la modalità utilizzata dalle entità commerciali. Questa modifica non rientra nel programma REFIT.

3.4.

L’impresa comune Bioindustrie si prefigge l’obiettivo di attuare un partenariato pubblico-privato i cui membri sono, da una parte, l’UE, rappresentata dalla Commissione e, dall’altra parte, il consorzio Bioindustrie (il consorzio BIC) creato con il regolamento (UE) n. 560/2014 del Consiglio. Questo partenariato si propone di attuare l’iniziativa tecnologica congiunta per le bioindustrie, conformemente allo statuto dell’impresa comune Bioindustrre, fino alla data del 31 dicembre 2024.

3.5.

L’articolo 3 del regolamento del Consiglio stabilisce in modo concreto i contributi di ciascun partecipante all’impresa comune, oltre che le spese amministrative e operative, e a tali spese, dopo essere state ripartite, bisogna aggiungere un importo indeterminato, che rappresenta i contributi in natura per l’attuazione di azioni indirette (IKOP), e i contributi in natura per l’attuazione di attività aggiuntive (IKAA). Dall’interpretazione dello statuto risulta che questo contributo del consorzio BIC deve essere iscritto nel bilancio dell’impresa comune Bioindustrie a livello di programma. Le entità costitutive dei membri diversi dall’Unione, che sono quelle che partecipano all’attuazione di azioni indirette di finanziamento, dovrebbero versare i contributi finanziari direttamente alle azioni indirette a livello di progetto.

3.6.

Molti membri del consorzio BIC hanno dovuto far fronte a difficoltà relative alle modalità di erogazione. Secondo loro, versare un contributo finanziario a livello di programma non è sostenibile dal punto di vista commerciale, in quanto non garantisce nessun beneficio, in particolare per quanto concerne i risultati dei progetti e i relativi diritti di proprietà intellettuale, anche perché il versamento dei contributi a livello di programma potrebbe avere la conseguenza che un membro del consorzio BIC versi un contributo ai suoi concorrenti. Viene proposta una modalità alternativa per versare il contributo finanziario, ossia l’erogazione a livello di progetto; con questa modalità, i risultati del progetto vanno a beneficio esclusivo dei partecipanti che hanno contribuito finanziariamente e non vengono lesi gli interessi dell’Unione. Si aspira a preservare gli interessi delle catene del biovalore, anche per quel che concerne le PMI, i centri di ricerca e tecnologia e le università.

3.7.

Il contributo finanziario da parte dei membri diversi dall’Unione deve essere conforme ai seguenti requisiti:

il contributo finanziario a livello di programma è una caratteristica specifica dell’impresa comune Bioindustrie,

l’attuale modello imprenditoriale è adeguato per rafforzare la cooperazione con i fondi fiduciari e gli organismi di beneficenza,

il quadro giuridico dell’impresa comune Bioindustrie deve essere adattato per facilitare la collaborazione con le imprese commerciali.

3.8.

Secondo la proposta in esame, i membri del consorzio Bioindustrie hanno la possibilità di continuare a versare il contributo finanziario a livello di programma. Oltre a questa modalità, avranno la possibilità di trasferire il contributo finanziario direttamente ad un altro partecipante al progetto, conformemente alle modalità convenute di comune accordo (accordo consortile), al quadro giuridico applicabile [(trasferimento dai membri del consorzio BIC al consorzio) e (trasferimenti di risorse finanziarie dai membri del consorzio BIC ai beneficiari dei progetti)], alla loro normativa nazionale e alle loro prassi abituali di contabilità. Al consorzio Bioindustrie spetta sempre il compito di riferire il numero complessivo dei contributi finanziari ricevuti.

3.9.

Il modello di convenzione di sovvenzione dell’impresa comune Bioindustrie sarà modificato di conseguenza. Va sottolineato che la proposta di modifica in esame non ha conseguenze per la tutela dei diritti fondamentali e non ha alcuna incidenza sul bilancio. Si ritiene che una riduzione del bilancio inciderebbe sulle università e sulle PMI interessate, in quanto il contributo dell’Unione è riservato principalmente alle attività di ricerca e innovazione.

3.10.

La modifica è obbligatoria in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno Stato membro. Non è quindi necessario alcun documento esplicativo.

Bruxelles, 27 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  La PAC (politica agricola comune), la strategia forestale dell’UE, la PCP (politica comune della pesca), la strategia Europa 2020, il piano d’azione dell’UE per l’economia circolare, 50 reti dello Spazio europeo della ricerca e tre iniziative di programmazione congiunta.

(2)  COM(2012) 60 final: L’innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa; COM(2014) 14 final: Per una rinascita industriale europea; COM(2013) 494 final: Partenariati pubblico-privato nell’ambito di Orizzonte 2020: uno strumento poderoso per l’innovazione e la crescita in Europa; COM(2012) 79 final: Partenariato europeo per l’innovazione — Produttività e sostenibilità dell’agricoltura.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dall’Unione e che abroga il regolamento (CE) n. 1889/2005»

[COM(2016) 825 final — 2016/0413 (COD)]

(2017/C 246/04)

Relatore:

Javier DOZ ORRIT

Correlatore:

Mihai IVAŞCU

Consultazione

Parlamento europeo, 19.1.2017

Consiglio dell’Unione europea, 19.1.2017

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

6.4/2017

Adozione in sessione plenaria

27.4/2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

154/4/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la lotta contro il terrorismo e il suo finanziamento, come pure gli sforzi volti a contrastare il riciclaggio di denaro e altre forme di criminalità economica ad esso collegate, debbano costituire delle priorità costanti della politica dell’UE.

1.2.

Il CESE esprime il proprio sostegno per le misure contenute nella proposta, che abroga il vigente regolamento, risalente al 2005, per adeguarlo alla situazione attuale e affrontare le carenze individuate da vari studi riguardanti l’attuazione di tale regolamento.

1.3.

Il CESE ritiene che l’estensione dei controlli e della competenza delle autorità al fine di eseguire controlli e confiscare beni, ogniqualvolta vi sia una presunzione ragionevole di attività illecite, faciliterà la scoperta di un maggior numero di casi di frode e la raccolta di maggiori informazioni.

1.4.

Il CESE ritiene necessario migliorare la cooperazione, sia tra le autorità competenti che tra gli Stati membri, al fine di ottenere il massimo risultato dall’applicazione del nuovo regolamento. Il CESE invita tutti gli Stati membri a mettere a disposizione di Europol le loro banche dati antiterrorismo. La Commissione, da parte sua, dovrebbe anche dovrebbe promuovere misure di cooperazione che consentano a tutti gli Stati membri di acquisire i mezzi necessari per controllare efficacemente i vari tipi di denaro contante e le modalità con cui viene trasportato.

1.5.

Il CESE propone che, dopo aver realizzato uno studio e aver tenuto ampie consultazioni, la Commissione predisponga un piano per ridurre l’impiego di denaro contante nell’UE. A questo proposito, occorre chiedersi se la soglia di dichiarazione obbligatoria di 10 000 EUR sia adeguata.

1.6.

Il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe compiere ulteriori passi avanti nel fissare le sanzioni da applicare in caso di inosservanza dell’obbligo di dichiarazione. Le sanzioni dovrebbero essere armonizzate in tutti gli Stati membri e comunicate in maniera coerente alla Commissione, in modo da evitare di creare scappatoie per gli autori delle frodi.

1.7.

Il CESE ribadisce la propria preoccupazione, già espressa nel parere ECO/408 (1), che tutta una serie di fattori possa limitare gravemente l’efficacia del regolamento. Il problema principale è che i paradisi fiscali in cui si svolgono le attività più consistenti di riciclaggio di denaro — e di cui occorrerebbe monitorare in particolare i flussi di contante con l’UE — non figurano nell’elenco dei paesi e delle regioni indicati dalla Commissione come «ad alto rischio» nella proposta di regolamento del 14 luglio 2016.

1.8.

Le indagini sui flussi illegali di contante sono legate ad altri reati, specialmente di carattere fiscale. Il CESE propone pertanto che le autorità fiscali abbiano accesso anche alle informazioni raccolte nell’ambito dei controlli dei flussi di contante.

1.9.

Il CESE ritiene che, oltre all’oro, nella definizione di «denaro contante» ai fini del regolamento proposto andrebbero inclusi fin dall’inizio anche altri «beni altamente liquidi».

1.10.

Pur riconoscendo il valore sociale delle carte prepagate in uso in tutta l’UE, il CESE richiama l’attenzione sul rischio che criminali e terroristi continuino a utilizzarle per finanziare in maniera occulta le proprie attività.

1.11.

Considerato l’aumento della quantità di dati raccolta e scambiata tra le autorità, il CESE raccomanda di rafforzare la protezione di questi dati e di esaminare la possibilità di applicare sanzioni amministrative e penali più severe per i funzionari e le altre persone che li utilizzano in modo inappropriato o illegale.

1.12.

Il problema è di portata internazionale e, di conseguenza, le istituzioni dell’UE devono anche partecipare a pieno titolo ai lavori delle organizzazioni internazionali attive in questo campo.

1.13.

Il CESE accoglie con favore la messa fuori corso di validità, a partire dal 2018, delle banconote da 500 EUR, il cui utilizzo per il pagamento in contanti di traffici illeciti è ampiamente documentato, proprio per la facilità di trasporto e conservazione di grandi quantità di denaro con un ridotto ingombro.

1.14.

Il CESE ribadisce alla Commissione che la tutela dei cittadini europei deve rimanere una priorità assoluta, indipendentemente dai costi e dagli sforzi necessari.

2.   Contesto e proposta della Commissione

2.1.

In linea con quanto previsto dal piano d’azione (2) per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo, la Commissione propone un nuovo regolamento relativo ai controlli sul denaro contante in entrata o in uscita dall’UE da o verso paesi terzi, che abroga il regolamento del 2005 attualmente in vigore (3).

2.2.

Nel maggio 2015 l’UE ha adottato il quarto pacchetto antiriciclaggio e sul finanziamento del terrorismo, il quale comprende, tra le altre iniziative, la quarta direttiva relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (AMLD4) e il regolamento sui dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi (4), che sono attualmente in fase di recepimento. Il CESE ha formulato il proprio giudizio sul pacchetto legislativo nel parere sul pacchetto antiriciclaggio (5).

2.3.

Nel febbraio 2016 la Commissione ha pubblicato un piano d’azione per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo (6), un piano attuato in due fasi di intervento legislativo. Nella prima fase (luglio 2016) la Commissione ha elaborato due proposte di direttiva — la direttiva AMLD5, che modifica diversi aspetti dell’AMLD4 e la direttiva relativa all’accesso da parte delle autorità fiscali alle informazioni in materia di antiriciclaggio (7) — e adottato un proprio regolamento delegato (8) che individua i paesi terzi ad alto rischio con carenze strategiche, il quale integra l’AMLD4 e l’AMLD5 (9). Il CESE ha adottato pareri sull’AMLD5 e sul regolamento delegato, nonché un parere in merito alla seconda direttiva (10).

2.4.

Durante la seconda fase (dicembre 2016), la Commissione, in aggiunta al regolamento oggetto del presente parere, ha presentato una proposta di direttiva sulla lotta al riciclaggio di denaro mediante il diritto penale (11) e una proposta di regolamento relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca (12).

2.5.

Il regolamento del 2005 integra le disposizioni della direttiva antiriciclaggio (AMLD), introducendo controlli sui movimenti di denaro contante per un importo pari o superiore ai 10 000 EUR. L’attuale proposta della Commissione (13) si prefigge di: colmare le lacune nella legislazione vigente alla luce delle indagini condotte dalla polizia, dalla magistratura e dalle autorità doganali; sviluppare e integrare l’AMLD4 (14) e l’AMLD5 (15) per lottare contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo; e adeguare la legislazione dell’UE, allineandola alle norme e raccomandazioni internazionali, in particolare la raccomandazione 32 del gruppo di azione finanziaria internazionale in materia di riciclaggio di denaro (GAFI).

2.6.

La proposta in esame affronta i seguenti problemi: la copertura imperfetta dei movimenti transfrontalieri di denaro contante, le difficoltà nello scambio di informazioni tra autorità, l’impossibilità di trattenere importi inferiori alla soglia prevista (fino a 10 000 EUR), la definizione imperfetta di «denaro contante», le sanzioni divergenti irrogate dagli Stati membri per omessa dichiarazione e i livelli di attuazione diversi.

2.7.

La proposta di regolamento volta a sostituire le norme vigenti amplia e rende più precisa la definizione di denaro contante, suddividendola in quattro categorie: valuta, strumenti negoziabili al portatore (assegni, assegni turistici («traveller’s cheque»), vaglia cambiari e ordini di pagamento), beni utilizzati come riserve altamente liquide di valore (monete d’oro e lingotti) e carte prepagate.

2.8.

La proposta introduce l’obbligo di informativa per il denaro contante non accompagnato, ossia inviato per posta, corriere o sotto forma di merce, per un importo pari o superiore a 10 000 EUR. Alcuni Stati membri effettuano controlli sui flussi di denaro contante anche all’interno dell’UE.

2.9.

La proposta conferisce alle autorità competenti la facoltà di effettuare controlli sui movimenti di denaro contante di importo inferiore a 10 000 EUR, nonché di trasmettere informazioni o eseguire indagini ove sussistano gravi indizi del fatto che il denaro in questione è correlato ad attività criminose.

2.10.

Essa autorizza il trattenimento di denaro contante in caso di spedizioni di contante non dichiarato, oppure qualora i movimenti di qualsiasi valore presentino indizi di attività criminosa.

2.11.

Essa migliora lo scambio di informazioni, introducendo l’obbligo di trasmettere attivamente i dati all’Unità di informazione finanziaria (UIF): attualmente, infatti, le autorità competenti sono tenute soltanto a mettere a disposizione le informazioni. Anche le informazioni sulle operazioni irregolari devono essere messe a disposizione delle autorità competenti degli altri Stati membri e della Commissione, qualora vi siano indizi di attività criminosa. In base alla proposta, le informazioni possono anche essere comunicate a paesi terzi, fermo restando il rispetto di determinati requisiti.

2.12.

La proposta promuove l’introduzione di sanzioni in tutti gli Stati membri in caso di inosservanza dell’obbligo di dichiarazione, integrando le sanzioni giuridiche previste per le attività criminose. Le sanzioni previste da ciascuno Stato membro devono essere comunicate alla Commissione.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore l’impegno costante della Commissione nella lotta globale contro il riciclaggio di capitali e il terrorismo. Il CESE condivide anche le modifiche contenute nella proposta in esame e volte a migliorare la legislazione in vigore.

3.2.

La Commissione e le altre istituzioni dell’UE devono impegnarsi a fondo per garantire che i cittadini europei siano pienamente consapevoli della volontà di tali istituzioni di lottare contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo ricorrendo a tutti gli strumenti giuridici necessari, ai servizi di intelligence e all’azione giudiziaria e di contrasto. Sapere che gli sforzi delle istituzioni in tale ambito sono compiuti in cooperazione con tutti gli Stati membri ne rafforzerà la credibilità e la legittimità. Una serie di indicatori in materia di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo è già in uso, sebbene non tutti questi indicatori possano essere resi pubblici.

3.3.

Il CESE esorta l’UE e gli Stati membri a promuovere una cooperazione costante a livello internazionale nella lotta contro il terrorismo, il riciclaggio di denaro e i gravi reati ad essi collegati. Tutte le istituzioni dell’UE dovrebbero adoperarsi per far sì che le misure proposte dalla Commissione siano adottate anche a livello internazionale. Questo, infatti, è uno dei modi di garantire a tali misure una maggiore efficacia.

3.4.

Il nuovo regolamento proposto punta a combattere i flussi illegali di contanti tra l’UE e i paesi terzi. Affinché tale regolamento sia efficace, la Commissione europea deve cooperare con gli Stati membri per garantire che le autorità competenti siano dotate delle risorse tecniche e umane più efficaci, nonché di tutte le altre risorse necessarie (ad esempio, cani da fiuto addestrati).

3.5.

I sistemi di finanziamento del terrorismo possono essere molto diversi tra loro, spaziando dall’abuso di imprese legali o di organizzazioni senza scopo di lucro legittime fino ad attività criminose o all’abuso del sistema commerciale internazionale. Le organizzazioni terroristiche modificano costantemente i loro metodi di finanziamento al fine di evitare le disposizioni legislative vigenti e, di conseguenza, è evidente la necessità di aggiornare costantemente il quadro normativo. Le differenze a livello normativo tra gli Stati membri sono in genere sfruttate dai criminali e dai terroristi, che scelgono i paesi in cui la legislazione è più permissiva per effettuare le loro transazioni finanziarie.

3.6.

A seguito della messa a punto dell’Agenda europea sulla sicurezza (16), nonché in risposta agli attentati terroristici perpetrati in Europa e altrove e all’interesse pubblico per il riciclaggio di denaro, la frode fiscale e le operazioni di elusione fiscale effettuate attraverso i paradisi fiscali, negli ultimi due anni la Commissione ha adottato un gran numero di iniziative legislative.

3.7.

Secondo la relazione del GAFI (17), il denaro contante è ampiamente utilizzato nell’economia criminale e continua ad essere la risorsa più importante per il finanziamento del terrorismo. La quantità di denaro «riciclato» in questo modo è difficile da stimare, ma la relazione del GAFI sostiene che si aggiri «tra le centinaia di miliardi e il migliaio di miliardi di dollari USA l’anno».

3.8.

Un’analisi dell’efficacia del regolamento in vigore ha evidenziato che il numero di movimenti di denaro contante in entrata o in uscita dall’UE rimane elevato. Tuttavia, i controlli sul denaro contante sono in numero limitato (100 000 all’anno in tutti gli Stati membri messi insieme) e variano da un paese all’altro; inoltre, varia notevolmente anche il numero di casi sospetti su cui vengono svolte delle indagini. Solo nove paesi hanno partecipato all’ultima consultazione sul tema, e i dati riguardanti sia il numero di casi sia la loro analisi erano eterogenei e limitati.

3.9.

Le lacune presenti nell’attuale regolamento fanno sì che il denaro contante inviato tramite posta, corriere o sotto forma di merce non sia soggetto a controlli sufficientemente mirati. In molti casi le autorità competenti non disponevano degli strumenti necessari per effettuare controlli sufficienti.

3.10.

L’estensione dei controlli e il conferimento alle autorità competenti della facoltà di procedere a controlli e confiscare i beni, anche al di sotto della soglia dei 10 000 EUR, qualora vi siano indizi di attività criminosa, consentirà di portare alla luce un maggior numero di casi di frode e di raccogliere maggiori informazioni. Attualmente, le informazioni ottenute non sono utilizzate come dovrebbero. Le informazioni sono rese disponibili, in alcuni Stati membri, in modo passivo, e nessuna misura è stata adottata per garantire che siano trattate correttamente. È assolutamente necessario migliorare la comunicazione tra le autorità competenti: tra le autorità doganali, per la maggior parte incaricate di effettuare i controlli, e l’UIF incaricata di ricevere e analizzare le informazioni; tra le UIF e le autorità fiscali e giudiziarie; tra le autorità competenti degli Stati membri e quelle dei paesi terzi, e in particolare i paesi responsabili dell’aumento dei flussi illegali di denaro contante da e verso l’UE, come ad esempio i paradisi fiscali.

3.11.

Le sanzioni applicate a norma del regolamento in vigore per omessa dichiarazione di denaro contante non sono state armonizzate, e le analisi condotte indicherebbero che non producono l’effetto dissuasivo auspicato. Il nuovo regolamento impone agli Stati membri di prevedere sanzioni in caso di inosservanza dell’obbligo di dichiarazione, indipendentemente dagli eventuali indizi di attività criminosa o dal fatto che il denaro in questione sia collegato ad indagini su altri reati o infrazioni; e tali sanzioni devono essere comunicate alla Commissione. Il CESE suggerisce di prevedere una procedura comune di notifica per tutti gli Stati membri. Tuttavia, ogni Stato membro è libero di stabilire le proprie sanzioni, ragion per cui le sanzioni di cui all’articolo 13 del regolamento proposto dovranno essere armonizzate, in modo da non aprire «finestre di opportunità» per i criminali che operano attraverso determinati paesi.

3.12.

L’attuazione del regolamento e delle suddette misure antiriciclaggio rafforzerà notevolmente la quantità di dati personali raccolti, conservati e messi a disposizione degli organi e delle autorità competenti per la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Se vogliamo difendere i diritti fondamentali degli individui, in particolare per quanto riguarda la protezione dei dati personali, è importante valutare la necessità di nuovi meccanismi di protezione, di introdurli laddove necessario e di promuovere sanzioni penali più severe per i funzionari pubblici e gli altri soggetti che utilizzino le informazioni in modo illegale.

3.13.

Il tipo di canali e procedure utilizzati per la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, compresi i movimenti illegali di contante, ha indotto la Commissione, a giusto titolo, ad adottare misure legislative che coprono entrambi i reati, i quali, a loro volta, sono collegati ad altri illeciti, di analoga o maggiore gravità. Uno stretto coordinamento attraverso meccanismi adeguati tra tutte le autorità e organi nazionali interessati e gli Stati membri è essenziale al fine di garantire un’attuazione efficace del regolamento e delle altre misure legislative pertinenti. Va detto che la cooperazione tra le varie autorità e istituzioni degli Stati membri: — polizia, servizi di intelligence, magistratura, autorità doganali e fiscali — è lungi dall’essere ottimale. Il CESE è particolarmente preoccupato per la mancanza di cooperazione tra le forze di polizia nazionali ed Europol, come dimostra il fatto che la maggior parte degli Stati membri non ha messo a disposizione dell’agenzia di contrasto europea le proprie banche dati antiterrorismo. Il CESE invita pertanto le autorità dell’UE e gli Stati membri a porre fine a tale situazione.

3.14.

Un altro notevole ostacolo all’efficace applicazione del regolamento e delle altre disposizioni legislative volte a combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo è l’assoluta mancanza di una concreta volontà politica di eliminare i paradisi fiscali. La dimostrazione più lampante a riguardo è l’elenco dei «paesi terzi ad alto rischio con carenze strategiche», che figura in allegato al regolamento (UE) 2016/1675, integrando l’AMLD4 e l’AMLD5. Nell’elenco non figura nessuno dei paradisi fiscali dove ha luogo la maggior parte delle operazioni illegali, e in particolare dei flussi di contante presi in esame nella proposta di regolamento. Il CESE è costretto a ribadire l’invito formulato nel parere ECO/408: la Commissione dovrebbe proporre un nuovo elenco di paradisi fiscali, che riunisca i paesi terzi e i territori che non collaborano al perseguimento dei reati economici e del finanziamento del terrorismo.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il finanziamento del terrorismo ha una chiara componente globalizzata, il che significa che le attività terroristiche svolte in un paese sono spesso finanziate da attività criminali condotte in un altro. Sono necessari controlli sul denaro contante e profonde modifiche legislative per impedire i movimenti di contante, rintracciare e limitare le operazioni finanziarie, nonché agevolare lo scambio di informazioni importanti sui terroristi e i loro finanziatori. Essendo pienamente consapevole della dimensione esterna del finanziamento del terrorismo, il CESE raccomanda la piena partecipazione di tutte le istituzioni dell’UE a tutte le pertinenti organizzazioni internazionali, laddove rappresentate, in modo che misure analoghe possano essere applicate in tutto il mondo.

4.2.

I movimenti di denaro contante continuano ad essere il canale principale attraverso il quale operano i riciclatori di denaro e altri criminali finanziari (18). Il CESE raccomanda che, dopo aver effettuato uno studio di vasta portata, consultato tutte le parti interessate e instaurato stretti rapporti di lavoro con gli Stati membri, la BCE e le banche centrali nazionali, la Commissione elabori un piano per ridurre l’uso del denaro contante nell’UE. La soppressione delle banconote da 500 EUR costituisce un passo nella giusta direzione. Nel quadro di tale studio andrebbe presa in considerazione la questione dell’adeguatezza della soglia prevista per le dichiarazioni obbligatorie, attualmente fissata a 10 000 EUR.

4.3.

Il CESE chiede alla Commissione europea di aumentare gli sforzi per fare in modo che i risultati della convenzione di Varsavia (19) siano ratificati in modo coerente in tutta l’UE. Benché la convenzione sia stata firmata da 26 Stati membri, finora soltanto 17 l’hanno ratificata.

4.4.

Il CESE riconosce che il regolamento proposto potrebbe apportare miglioramenti significativi agli strumenti impiegati per combattere il finanziamento del terrorismo, producendo, al tempo stesso, un impatto minimo sulle piccole e medie imprese europee.

4.5.

Il CESE ritiene che lo sviluppo di politiche di cooperazione finanziaria con i paesi vicini e con quelli da cui provengono flussi migratori particolarmente consistenti verso l’UE sia essenziale per facilitare la trasparenza delle operazioni finanziarie e la riduzione dei costi. Gli ostacoli e i costi elevati per il trasferimento di fondi in entrata e in uscita da tali paesi incoraggiano il ricorso a movimenti di contante e ad operazioni poco trasparenti e, di conseguenza, l’impiego di questi metodi per scopi criminali.

4.6.

I recenti attentati compiuti sul territorio dell’UE mostrano che le carte prepagate sono state utilizzate da terroristi (ad esempio da quelli responsabili degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015) per pagare, ad esempio, delle camere d’albergo. Benché il valore sociale di tali strumenti sia evidente, poiché permettono alle persone vulnerabili o escluse di effettuare pagamenti online e offline, il CESE richiama l’attenzione sul rischio di un ulteriore uso di tali strumenti da parte di criminali o terroristi.

4.7.

Il trasporto illegale di contanti è legato ad altri tipi di reato: reati fiscali, riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo. La proposta di regolamento della Commissione non consente uno scambio regolare dei dati contenuti nelle dichiarazioni sul denaro contante a fini fiscali. Il CESE reputa che il perseguimento di tali reati debba essere effettuato a tutto campo. In particolare, ritiene che si dovrebbe autorizzare lo scambio di cui sopra, dato il legame evidente tra la frode fiscale e le attività di riciclaggio di denaro, che in molti casi riguardano movimenti di denaro contante.

4.8.

Mentre gli articoli 2, paragrafo 2, e 14 del regolamento proposto conferiscono alla Commissione il potere di adottare atti delegati per modificare l’allegato, e in particolare la sezione in cui viene specificato quali «beni utilizzati come riserve altamente liquide di valore» siano da considerare forme di contante, il CESE ritiene che non vi sia motivo di limitare fin dall’inizio questa categoria all’oro. Infatti, altri beni di particolare valore, come i metalli preziosi o le pietre preziose (grezze o tagliate), potrebbero essere inclusi già nel primo elenco approvato dal Parlamento e dal Consiglio.

4.9.

Il CESE ribadisce che garantire la sicurezza dei nostri cittadini dovrebbe rimanere una delle principali preoccupazioni sia dell’UE che degli Stati membri, indipendentemente dall’entità degli sforzi richiesti.

Bruxelles, 27 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 121.

(2)  COM(2016) 50 final.

(3)  Regolamento (CE) n. 1889/2005 (GU L 309 del 25.11.2005, pag. 9).

(4)  Direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 141 del 5.6.2015, pag. 73) e regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) 2015/847 (GU L 141 del 5.6.2015, pag. 1).

(5)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 31.

(6)  COM(2016) 50 final.

(7)  COM(2016) 450 final, 2016/0208 (COD) e COM(2016) 452 final, 2016/0209 (CNS).

(8)  Regolamento delegato (UE) 2016/1675 (GU L 254 del 20.9.2016, pag. 1).

(9)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 121.

(10)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 127.

(11)  COM(2016) 826 — 2016/0414 (COD).

(12)  COM(2016) 819 — 2016/0412 (COD).

(13)  COM(2016) 825 final — 2016/0413 (COD).

(14)  Direttiva (UE) 2015/849 (GU L 141 del 5.6.2015, pag. 73).

(15)  Proposta di AMLD5.

(16)  COM(2015) 185 final.

(17)  Relazione GAFI Money Laundering: Through the Physical Transportation of Cash [Il riciclaggio di denaro tramite il trasporto fisico di contanti], 2015.

(18)  Why is cash still king? — A strategic report on the use of cash by criminal groups as a facilitator for money laundering [Perché il contante la fa ancora da padrone — Una relazione strategica sull’uso del contante da parte dei gruppi criminali per facilitare il riciclaggio di denaro], gruppo di intelligence finanziaria, Europol, 2015.

(19)  Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, 2005.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) e che modifica i regolamenti (UE) n. 515/2014, (UE) 2016/399, (UE) 2016/794 e (UE) 2016/1624»

[COM(2016) 731 final — 2016/0357(COD)]

(2017/C 246/05)

Relatore:

Jan SIMONS (NL-I)

Consultazione

Commissione europea, 17.2.2017

Parlamento europeo, 19.1.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

3.4.2017

Adozione in sessione plenaria

27.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

184/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che l’idea di creare un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS), al fine di individuare i rischi connessi ai visitatori esenti dall’obbligo di visto che entrano nello spazio Schengen, rappresenti una misura attualmente inevitabile, commisurata alle minacce causate da circostanze esterne e interne.

1.2.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’ETIAS si inserisca nella strategia generale dell’UE nel settore della migrazione e della sicurezza definita dalla Commissione nel suo programma Frontiere intelligenti del 2011, e che le informazioni raccolte attraverso il sistema consentiranno la verifica preliminare dei rischi potenziali in materia di sicurezza o migrazione irregolare al fine di proteggere i cittadini dell’UE dalle persone che entrano nell’Unione con l’intenzione di nuocere.

1.3.

Il CESE sottolinea con forza che l’ETIAS dovrebbe rispettare pienamente i diritti fondamentali dei richiedenti ed evitare qualsiasi discriminazione. Tutti i dati raccolti dal sistema, in particolare per quanto attiene alle informazioni sensibili in materia di salute, istruzione, criminalità ecc., devono essere protetti, e l’accesso agli stessi dovrebbe essere rigorosamente limitato alle autorità che indagano su attività criminali, terrorismo, migrazione irregolare e altre minacce. L’ETIAS deve anche rispettare il diritto dei richiedenti di presentare ricorso contro il rifiuto di concedere loro l’autorizzazione al viaggio, o di ritirare la domanda.

1.4.

Il CESE è consapevole della necessità di risolvere molte questioni tecniche riguardanti l’ETIAS, in particolare l’interoperabilità e l’interconnettività con altri sistemi di raccolta e gestione dei dati. L’ETIAS dovrebbe essere basato su un corretto equilibrio tra rischi e sicurezza, evitando al contempo di imporre ulteriori oneri amministrativi e ostacoli per i visitatori che si recano spesso nell’UE per motivi di lavoro, studio, cure mediche ecc.

1.5.

La Commissione e il Consiglio dovrebbero prestare attenzione anche agli aspetti politici della creazione dell’ETIAS. I paesi interessati dovrebbero essere informati sulle ragioni dell’obbligo di ottenere l’autorizzazione ai viaggi nonostante l’esistenza di un regime di esenzione dall’obbligo di visto, come pure sui vantaggi di consentire un attraversamento agevole e rapido delle frontiere per i viaggiatori dotati di autorizzazione al viaggio. La Commissione dovrebbe anche fare in modo che le eventuali misure reciproche adottate dai paesi in questione nei confronti dei cittadini dell’UE siano proporzionate alle misure dell’UE.

1.6.

L’ETIAS dovrebbe prendere in considerazione le persone che non sono in grado di presentare una domanda online e mettere a disposizione dei richiedenti degli appositi «sportelli» per presentare domanda presso i principali porti e aeroporti di partenza ed anche ai principali valichi terrestri. Tutti i richiedenti dovrebbero essere autorizzati ad avvalersi dei servizi di intermediari come le agenzie di viaggio o le società di trasporto. Tuttavia, i costi addebitati da questi intermediari per i loro servizi dovrebbero essere monitorati e valutati dalle delegazioni dell’UE nei paesi terzi.

1.7.

Sarà inoltre necessario definire opportunamente i criteri su cui si fondano le categorie di cittadini di paesi terzi per i quali si propone l’esenzione dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione ai viaggi, tenendo conto di eventuali rischi in materia di migrazione, sicurezza o salute pubblica.

1.8.

Il CESE chiede che vengano trovate delle soluzioni per gli Stati membri che non hanno ancora applicato pienamente l’acquis di Schengen (Bulgaria, Croazia, Cipro e Romania) e non hanno, pertanto, accesso al sistema di informazione Schengen (SIS), al sistema di informazione visti (VIS) e al sistema di ingressi/uscite (EES).

2.   Contesto generale

2.1.

I cittadini dell’Unione europea si aspettano che le autorità garantiscano la loro sicurezza in un’Europa aperta e confidano in una gestione efficace delle frontiere esterne dello spazio Schengen, al fine di prevenire la migrazione irregolare e garantire sia una maggiore sicurezza interna che la libera circolazione nello spazio Schengen, nonché agevolare l’attraversamento delle frontiere esterne dell’UE in un mondo di mobilità.

2.2.

Oggi circa 1,4 miliardi di cittadini di quasi 60 paesi nel mondo (1) beneficiano della possibilità di viaggiare senza obbligo di visto e del principio di reciprocità, che avvantaggia anche i cittadini dell’UE, in quanto ne agevola gli spostamenti all’estero in esenzione dal visto. Continuerà a aumentare il numero di cittadini di paesi terzi esenti dal visto per i paesi Schengen, che passeranno dai 30 milioni del 2014 a 39 o 40 milioni nel 2020, con un incremento previsto di oltre il 30 % degli attraversamenti delle frontiere Schengen da parte di tali cittadini entro il 2020 (2).

2.3.

Questi dati confermano la necessità di istituire un sistema di autorizzazioni simile a quelli già esistenti in alcuni paesi (Stati Uniti (3) — dal 2009, Australia (4) — dal 1996, Canada (5) — dal 2016), cioè di valutare e gestire i potenziali rischi in termini di migrazione irregolare e sicurezza costituiti da cittadini di paesi terzi che si recano nell’UE, ma in chiave più leggera e semplice per i visitatori rispetto al regime standard dei visti, conformemente agli obiettivi della politica UE di liberalizzazione dei visti.

2.4.

I dati di cui dispongono le autorità di frontiera e di contrasto competenti in merito ai cittadini di paesi terzi esenti dal visto quanto ai rischi che potrebbero presentare, prima che questi arrivino nello spazio Schengen, sono pochi rispetto ai dati in loro possesso riguardo ai cittadini di paesi terzi per cui sussiste l’obbligo di visto. Aggiungere questo tassello mancante di dati e valutazione del rischio per i visitatori esenti dal visto può apportare un notevole valore specifico alle misure già previste per garantire e rafforzare la sicurezza dello spazio Schengen, oltre a permettere a quei cittadini di godere pienamente del loro status di esenzione.

2.5.

Nel suo programma Frontiere intelligenti del 2011 la Commissione constatava la necessità di una gestione più moderna ed efficiente dei flussi di viaggiatori alle frontiere esterne dell’UE, tramite il ricorso alle nuove tecnologie per semplificare la vita agli stranieri che si recano frequentemente nell’UE e monitorare meglio i cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere.

2.6.

Le nuove minacce e le nuove sfide emerse negli anni successivi hanno reso necessario un riesame del programma iniziale Frontiere intelligenti e, dopo alcuni studi tecnici e un processo di consultazione, nel 2016 è stata pubblicata una nuova proposta legislativa per un regolamento che istituisce un sistema di ingressi/uscite (EES). Il CESE ha adottato il proprio parere sull’EES nel settembre 2016 (6). La recente proposta di modificare il codice frontiere Schengen (7) al fine di rafforzare le verifiche nelle banche dati pertinenti (SIS, banca dati Interpol sui documenti di viaggio rubati o smarriti e altre banche dati europee) alle frontiere esterne mira ad introdurre l’obbligo di verifica di tutti i cittadini di paesi terzi, come pure dei cittadini dell’UE, in ingresso e in uscita dall’Unione.

2.7.

Onde completare questo processo di riesame, la Commissione ha pubblicato una proposta per istituire un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) inteso a rafforzare le verifiche di sicurezza sui passeggeri esenti dall’obbligo del visto (8). Si tratterà di un sistema informatico automatizzato concepito per individuare tutti i rischi associati ai visitatori esenti dal visto che si recano nello spazio Schengen; per il primo anno di funzionamento del sistema, il 2021, si prevedono già 40 milioni di domande (9).

2.8.

Le informazioni raccolte attraverso il sistema consentiranno la verifica preliminare dei potenziali rischi in materia di sicurezza o migrazione irregolare, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati.

2.9.

L’autorizzazione ETIAS non è un visto. I cittadini dei paesi che beneficiano dell’esenzione dal visto potranno continuare a viaggiare senza visto, ma dovranno ottenere prima del viaggio, come condizione vincolante per entrare nello spazio Schengen per via aerea, marittima o terrestre, un’autorizzazione al viaggio stesso dietro pagamento dei diritti (per un importo raccomandato di 5 EUR). Per decidere se accogliere o respingere la domanda di ingresso nell’UE, il sistema condurrà una verifica preliminare automatica (si prevede il 95 % di esiti positivi), richiedendo, ove necessario, un’ulteriore verifica manuale, per poi rilasciare o rifiutare l’autorizzazione ai viaggi. L’esito di tale procedura sarà comunicato al richiedente entro un lasso di tempo molto breve (da pochi minuti a un massimo di 72 ore qualora siano necessarie verifiche ulteriori). La decisione definitiva sull’autorizzazione o il rifiuto dell’ingresso spetterà sempre alla guardia di frontiera nazionale che conduce i controlli alla frontiera conformemente al codice frontiere Schengen.

2.10.

La verifica preliminare dei viaggiatori di paesi terzi esenti dal visto semplificherà, comunque, i controlli alle frontiere, assicurerà una valutazione coordinata e armonizzata del rischio costituito da cittadini di paesi terzi e ridurrà considerevolmente il numero di respingimenti alla frontiera. Benché l’autorizzazione al viaggio sia valida per cinque anni, o fino alla scadenza della validità del documento di viaggio, essa può essere revocata o annullata qualora le condizioni per il rilascio non siano più soddisfatte.

2.11.

Il regolamento proposto contempla il principio generale per cui l’ETIAS si fonda sull’interoperabilità dei sistemi di informazione che dovrà consultare e sul riutilizzo di componenti messi a punto per questi sistemi, in particolare il sistema di ingressi/uscite (EES). Questo approccio permetterà anche notevoli risparmi sul fronte dell’istituzione e del funzionamento dell’ETIAS. L’ETIAS e l’EES condivideranno un archivio comune di dati personali relativi a cittadini di paesi terzi, dove i dati supplementari derivati dalle domande ETIAS (ad esempio informazioni sulla residenza, risposte alle domande generali, indirizzo IP) e le cartelle EES di ingresso/uscita saranno conservati separatamente pur essendo connessi a un fascicolo di identificazione unico e condiviso. Tale approccio è pienamente in linea con la strategia di interoperabilità, oltre a contemplare tutte le opportune garanzie di protezione dei dati.

2.12.

Europol sarà coinvolto nella definizione delle regole di screening ETIAS e dell’elenco di controllo ETIAS, che comprenderà i dati relativi alle persone indagate per aver commesso un reato o per avervi partecipato, o riguardo alle quali vi sono indicazioni concrete o ragionevoli motivi per ritenere che possano commettere gravi reati o rappresentare altri rischi per la sicurezza e la salute pubblica.

2.13.

L’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (eu-LISA) svilupperà il sistema di informazione ETIAS e sarà responsabile della sua gestione tecnica. Il costo dello sviluppo dell’ETIAS è stimato in 212,1 milioni di EUR e il costo operativo medio annuo in 85 milioni di EUR. Il sistema dovrebbe entrare in funzione già nel 2020.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE ritiene che la proposta di creare l’ETIAS rappresenti un passo attualmente inevitabile commisurato alle minacce causate da circostanze esterne e interne. È possibile che tale misura non sia accolta positivamente dai viaggiatori provenienti da paesi terzi in regime di esenzione dal visto, ma essa si inserisce nella strategia generale dell’UE nei settori della migrazione e della sicurezza definita dalla Commissione nel programma Frontiere intelligenti del 2011.

3.2.

Il CESE osserva che la proposta relativa all’ETIAS mira a colmare la lacuna nella gestione delle frontiere esterne dell’UE che consente ai cittadini di paesi esenti dal visto di attraversare le frontiere dell’UE senza che, prima del loro arrivo alla frontiera Schengen, siano disponibili informazioni adeguate sui rischi che tali cittadini di paesi terzi potrebbero costituire.

3.3.

La proposta relativa all’ETIAS si concentra sugli aspetti tecnici del sistema, sulla sua governance, sulle tecnologie dell’informazione necessarie e sull’interoperabilità e l’interconnettività con altri sistemi per la raccolta e l’analisi dei dati (10). Il CESE è consapevole dell’estrema complessità di tali questioni e della necessità di risolvere molti problemi tecnici affinché il sistema possa essere pienamente operativo dopo il lancio previsto per il 2021. L’ETIAS dovrebbe essere basato su un corretto equilibrio tra rischi e sicurezza, evitando al contempo di imporre ulteriori oneri amministrativi e ostacoli per tutti coloro che si recano di frequente nell’UE soprattutto per affari, lavoro, ricerca o studio.

3.4.

Il CESE è convinto che la Commissione e il Consiglio dovrebbero prestare attenzione anche agli aspetti politici dell’istituzione dell’ETIAS, spiegando ai paesi interessati le ragioni della sua creazione, ivi compresi il vantaggio di consentire ai viaggiatori titolari di un’autorizzazione ai viaggi di attraversare le frontiere rapidamente e senza problemi e quello di garantire un livello adeguato di sicurezza, rendendo al contempo i requisiti informativi per tale autorizzazione meno complessi e onerosi rispetto alla procedura standard di rilancio di visti. La Commissione dovrebbe anche fare in modo che le eventuali misure reciproche adottate dai paesi in questione nei confronti dei cittadini dell’UE siano proporzionate alle misure dell’UE.

3.5.

Il CESE raccomanda che i paesi interessati siano informati per tempo del sistema proposto, che siano condotte le campagne di comunicazione necessarie affinché i viaggiatori siano debitamente informati e che il sistema sia introdotto gradualmente, in un primo tempo come facoltativo e, solo successivamente, come obbligatorio, una volta applicato correttamente e tecnicamente funzionante.

3.6.

Il CESE invita la Commissione a decidere in merito alle possibili forme di cooperazione con i servizi di sicurezza dell’UE e a sfruttare le conoscenze di questi ultimi per definire i profili di rischio e stilare l’elenco di controllo ETIAS.

3.7.

Nel proprio parere sul pacchetto Frontiere intelligenti, il CESE ha messo in rilievo la necessità di rispettare rigorosamente i diritti fondamentali e il principio di non discriminazione, e di ricorrere a strumenti procedurali e istituzionali per assicurare che tutti i dati raccolti e conservati nel sistema siano protetti e usati in modo appropriato (11). Ciò riguarda in particolare i dati personali sensibili relativi all’istruzione, alla salute, alla criminalità ecc. A tal proposito, il CESE ribadisce la propria richiesta e insiste che l’accesso ai dati legati alle autorizzazioni ai viaggi dovrebbe essere strettamente limitato alle autorità che indagano su attività criminali, terrorismo, migrazione irregolare e altre minacce.

3.8.

Il CESE approva la struttura proposta per l’ETIAS, che comprende un sistema di informazione, un’unità centrale ETIAS in seno alla guardia di frontiera e costiera europea e le unità nazionali. Occorrerà, poi, monitorare che l’ETIAS sia applicato in modo uniforme e in tutte le sue parti da ciascuno Stato membro. Il CESE appoggia la creazione di un consiglio di gestione del programma, necessario per assicurare un’interazione efficace tra la squadra di sviluppo centrale e gli Stati membri, che tanto utile si è dimostrata durante lo sviluppo di SIS II.

3.9.

Il CESE raccomanda caldamente che l’ETIAS sia completamente interoperabile con gli altri sistemi di informazione europei e interconnesso alle banche dati di Interpol, e che vengano impiegati componenti di altri sistemi europei, in particolare dell’EES, assicurando al contempo il dovuto rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati personali.

3.9.1.

A questo proposito, il Comitato invita la Commissione e i colegislatori a tenere conto delle osservazioni e delle raccomandazioni formulate dal Garante europeo della protezione dei dati nel suo parere sulla proposta ETIAS (12), soprattutto della necessità di rispettare le distinzioni sostanziali esistenti tra il settore della migrazione e quello della politica di sicurezza, di limitare l’accessibilità dei dati personali, di considerare l’affidabilità e l’utilità dei dati sanitari raccolti e, infine, di definire meglio gli strumenti di profilazione destinati al trattamento automatizzato delle domande e altro.

3.10.

L’elenco di controllo ETIAS consisterà di dati relativi a persone indagate per aver commesso un reato grave, secondo la definizione contenuta nella proposta, o per avervi partecipato, o riguardo alle quali vi sono indicazioni concrete o fondati motivi per ritenere che possano commettere reati di tale gravità o presentare altri rischi per la sicurezza o la salute pubblica. Il CESE propone che, in linea con le norme europee, i richiedenti abbiano il diritto di conoscere i motivi del rifiuto e la possibilità di presentare ricorso.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE conviene che il periodo di conservazione dei dati dovrebbe essere fissato a cinque anni, come nel regolamento relativo all’EES.

4.2.

Il CESE insiste sul fatto che l’ETIAS dovrebbe essere in grado di rispondere in modo flessibile ed efficiente ai cambiamenti nei modelli migratori e nei rischi alla sicurezza e alla salute pubblica, senza dover passare per lunghe procedure legislative, ricorrendo ad atti di esecuzione e delegati, purché sia comunque soggetto a un controllo democratico.

4.3.

L’ETIAS dovrebbe prendere in considerazione le persone che non sono in grado di presentare candidature online per gravi motivi. Il CESE approva l’intenzione di mettere a disposizione dei richiedenti degli appositi «sportelli» per presentare domanda presso i principali porti e aeroporti di partenza ed anche ai principali valichi terrestri. Tutti i richiedenti saranno autorizzati ad avvalersi di servizi di intermediari, come le agenzie di viaggio o le società di trasporto. Tuttavia, i costi addebitati da questi intermediari per i loro servizi dovrebbero essere monitorati e valutati dalle delegazioni dell’UE nei paesi terzi.

4.4.

Così come dichiarato negli obiettivi del regolamento, considerato l’aumento previsto nella frequenza degli attraversamenti delle frontiere esterne (soprattutto terrestri) dell’UE, occorre cogliere ogni occasione possibile per migliorare l’efficacia dei controlli alle frontiere. Il CESE raccomanda, pertanto, che talune informazioni contenute nella domanda di autorizzazione ai viaggi siano messe a disposizione delle autorità di frontiera.

4.5.

Il CESE desidera evitare la potenziale strozzatura che un lasso di tempo troppo breve per la valutazione manuale delle domande di autorizzazione ai viaggi potrebbe causare nel sistema, considerato che occorre assicurare uno screening dei richiedenti di elevata qualità, che potrebbe prevedere anche consultazioni con altri Stati membri e con Europol. Il CESE suggerisce pertanto di estendere i periodi di valutazione manuale e di fissare criteri rigorosi per tali proroghe.

4.6.

Sarà inoltre necessario definire opportunamente i criteri su cui si fondano le categorie di cittadini di paesi terzi per i quali si propone l’esenzione dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione ai viaggi, tenendo conto dei rischi in materia di migrazione irregolare, sicurezza o salute pubblica.

4.7.

Per quanto concerne i diritti da pagare per richiedere l’autorizzazione ai viaggi, il CESE invita a osservare i seguenti criteri: i diritti per il trattamento delle domande e gli strumenti per la riscossione di tali diritti non dovrebbero impedire ad alcun gruppo di cittadini di richiedere l’autorizzazione ai viaggi; tali diritti potrebbero anche fungere da filtro per evitare che siano presentate domande multiple di autorizzazione.

4.8.

Devono esservi garanzie sufficienti che l’ETIAS sia immune dalle frodi di identità, e tale fine si potrebbe ricorrere, in futuro, anche ai dati biometrici.

4.9.

Il CESE appoggia il diritto dei richiedenti di presentare ricorso contro il rifiuto di un’autorizzazione ai viaggi ovvero contro la revoca o l’annullamento di tale autorizzazione.

4.10.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che alcuni Stati membri non hanno ancora applicato pienamente l’acquis di Schengen (Bulgaria, Croazia, Cipro e Romania) e non hanno, pertanto, accesso al SIS, al VIS e all’EES. La questione di come l’ETIAS debba funzionare in questi paesi non è menzionata nella proposta di regolamento, e il CESE chiede che vengano trovate delle soluzioni per questi Stati membri.

4.11.

Il CESE desidera far presente che l’ETIAS dovrà anche applicarsi all’attraversamento via acqua delle frontiere Schengen nel caso del trasporto di passeggeri per vie navigabili interne come, ad esempio, le crociere sul Danubio che, in paesi terzi o non appartenenti allo spazio Schengen, potrebbero imbarcare nuovi passeggeri che non necessitano di visto per entrare nell’UE.

Bruxelles, 27 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  Albania, Andorra, Antigua e Barbuda, Argentina, Australia, Bahamas, Barbados, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Brunei, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, Dominica, El Salvador, Emirati arabi uniti, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Giappone, Grenada, Guatemala, Honduras, Hong Kong, Isole Marshall, Isole Salomone, Israele, Kiribati, Macao, Malaysia, Maurizio, Messico, Micronesia, Moldova, Monaco, Montenegro, Nicaragua, Nuova Zelanda, Palau, Panama, Paraguay, Perù, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Samoa, San Marino, Santa Lucia, Serbia, Seychelles, Singapore, Stati Uniti d’America, Stato della Città del Vaticano, Taiwan, Timor Leste, Tonga, Trinidad e Tobago, Tuvalu, Uruguay, Vanuatu, Venezuela, cittadini britannici del Regno Unito che non risultano cittadini del Regno Unito ai fini del diritto dell’Unione europea.

(2)  Il regime di esenzione dal visto è in fase di approvazione o negoziazione con Ucraina, Georgia, Kosovo e Turchia.

(3)  30 milioni di domande l’anno.

(4)  1 milione di domande l’anno.

(5)  3 milioni di domande l’anno.

(6)  Parere sul sistema di ingressi/uscite — relatore Cristian Pîrvulescu (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 66).

(7)  COM(2015) 670 final.

(8)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (ETIAS) e che modifica i regolamenti (UE) n. 515/2014, (UE) 2016/399, (UE) 2016/794 e (UE) 2016/1624, COM(2016) 731 final del 16 novembre 2016.

(9)  Le domande giornaliere previste, secondo le stime della Commissione, ammontano a circa 107 000, di cui il 5 % necessiterà di trattamento manuale. Il 3-5 % di tali casi potrebbe essere risolto dall’unità centrale, mentre il resto verrebbe trattato dalle unità nazionali.

(10)  Le banche dati SIS II (sistema di informazione Schengen di seconda generazione), VIS (sistema di informazione visti), EES, EURODAC, ECRIS, Europol e Interpol (SLTD, TDAWN).

(11)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 97.

(12)  Parere 3/2017 del Garante europeo della protezione dei dati sulla proposta di un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi (6.3.2017).


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla governance dell’Unione dell’energia che modifica la direttiva 94/22/CE, la direttiva 98/70/CE, la direttiva 2009/31/CE, il regolamento (CE) n. 663/2009 e il regolamento (CE) n. 715/2009, la direttiva 2009/73/CE, la direttiva 2009/119/CE del Consiglio, la direttiva 2010/31/UE, la direttiva 2012/27/UE, la direttiva 2013/30/UE e la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, e che abroga il regolamento (UE) n. 525/2013»

[COM(2016) 759 final — 2016/0375/(COD)]

(2017/C 246/06)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Parlamento europeo, 16 gennaio 2017

Consiglio dell’Unione europea, 20 gennaio 2017

Base giuridica

Articoli 191, 192 e 194 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

11 aprile 2017

Adozione in sessione plenaria

26 aprile 2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

103/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il regolamento sulla governance è volto non solo a fornire l’intero quadro di riferimento per il funzionamento dei numerosi aspetti dell’Unione dell’energia, ma anche a stabilire responsabilità chiare in materia di comunicazione e un processo per conseguire tutti gli obiettivi dell’UE in materia di clima ed energia per il prossimo futuro. Si tratta di una normativa complessa, di largo respiro e d’importanza fondamentale.

1.2.

Non è un’esagerazione affermare che, in mancanza di un forte processo di governance, l’Unione dell’energia è destinata a fallire e la probabilità che l’UE rispetti i propri impegni e quelli sottoscritti con l’accordo di Parigi sarà notevolmente minore. Per il buon esito di questo processo sono essenziali il coinvolgimento e la partecipazione della società civile, la cooperazione e il sostegno degli Stati membri, l’accordo e l’impegno delle parti sociali. In particolare, deve essere chiaro che il regolamento agevola una transizione energetica giusta, specialmente in termini di posti di lavoro e di costi energetici per le famiglie e le imprese.

1.3.

Il CESE appoggia il regolamento sulla governance che è stato proposto. In esso, infatti, viene messo a punto un quadro che consente agli Stati membri di compiere scelte a costi minimi per i loro piani nazionali in materia di energia e clima, riducendo al contempo i rischi di attivi infrastrutturali non recuperabili. Tale obiettivo, tuttavia, difficilmente sarà conseguito se non saranno apportate determinate modifiche al regolamento proposto. Occorre prevedere misure correlate di sostegno che consentano il formarsi di un consenso sociale a livello nazionale, regionale e locale sui modi migliori per affrontare le implicazioni socioeconomiche e tecniche connesse al conseguimento di una transizione energetica giusta.

1.4.

La solidarietà e la sicurezza energetiche rivestono un’importanza vitale e, anche se rappresentano uno dei cinque grandi ambiti di comunicazione e valutazione previsti dal regolamento proposto, occorre prestare una particolare attenzione alla definizione, nei rapporti con i paesi terzi, di una diplomazia e di una politica in campo energetico che siano chiare e condivise.

1.5.

A meno di un rafforzamento del regolamento sulla governance proposto, è il concetto stesso di Unione dell’energia ad essere in pericolo per effetto dell’indebolimento della legittimità del mandato dell’UE a guidare la transizione energetica. Inoltre, in assenza di misure concrete tese a coinvolgere i cittadini e a imporre l’obbligo di rendere conto, vi è il serio rischio di accentuare la percezione dell’UE quale entità distante e tecnocratica.

1.6.

Nell’articolo del regolamento dedicato alle definizioni andrebbero chiariti altri termini, tra cui «obiettivi», «traguardi», «contributo nazionale», «consultazione», «povertà energetica» e «regionale».

1.7.

Il regolamento dovrebbe indicare chiaramente che lo sguardo è rivolto oltre il 2030 e sancire l’impegno esplicito dell’UE al raggiungimento del proprio obiettivo per il 2050 in materia di gas a effetto serra; e l’ideale sarebbe che sancisse altresì il nuovo impegno assunto a livello internazionale per il conseguimento, entro il 2050, di emissioni nette pari a zero per i suddetti gas.

1.8.

L’allegato del regolamento dovrebbe specificare (in base alle migliori stime della Commissione) i valori di riferimento indicativi per il 2030 riguardo ai contributi nazionali degli Stati membri in materia di energie rinnovabili ed efficienza energetica.

1.9.

Il regolamento dovrebbe obbligare gli Stati membri a dare forza di legge nazionale ai contributi concordati per il 2030.

1.10.

Il regolamento dovrebbe indicare chiaramente che è compito del singolo Stato membro contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali dell’UE in un modo che sia al tempo stesso adeguato e proporzionato.

1.11.

Andrebbe messo in evidenza che i dati forniti dagli Stati membri devono essere attinenti al periodo di riferimento e aggiornati, e che a tal fine occorrono risorse e sistemi di sostegno adeguati.

1.12.

I piani nazionali per il 2030 dovrebbero essere sviluppati sulla base delle valutazioni approfondite e degli orientamenti forniti dalle strategie a lungo termine, allo scopo di raccogliere i massimi benefici (ad esempio, le scelte per il breve termine sarebbero più efficienti in termini di costi se fossero compiute in linea con la strategia a lungo termine).

1.13.

Il regolamento dovrebbe includere una disposizione sull’irreversibilità («ratchet») quale meccanismo per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo indicativo, stabilito nell’accordo di Parigi, di un riscaldamento non superiore a 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali.

1.14.

Nell’allegato andrebbe inserita una «definizione di riferimento» di povertà energetica, allo scopo di rendere possibile un’analisi comparabile e coerente dei dati.

1.15.

Il regolamento dovrebbe chiarire che gli Stati membri hanno l’obbligo di pubblicare il prima possibile i progetti dei piani nazionali per l’energia e il clima, e che tutte le successive versioni dei piani via via elaborate — comprese le osservazioni e le risposte della Commissione, dei partner regionali e degli Stati membri — dovranno essere rese di pubblico dominio.

1.16.

Andrebbero fornite informazioni più particolareggiate in merito alla valutazione della compensazione dei contributi finanziari e alla natura della «piattaforma finanziaria», nonché riguardo alla questione se tale piattaforma possa essere impiegata per mobilitare finanziamenti aggiuntivi. Le finalità a cui i fondi sono destinati dovrebbero essere ampliate in modo da comprendere anche misure di efficienza energetica.

1.17.

La definizione di cooperazione «regionale» non dovrebbe essere esclusivamente incentrata sulla prossimità geografica, ma dovrebbe abbracciare i gruppi di Stati con risorse energetiche complementari, compresi i paesi terzi.

1.18.

L’allegato dovrebbe contenere disposizioni specifiche riguardanti la natura e la portata delle consultazioni pubbliche, oltre che le risorse assegnate a tale scopo, per far sì che i cittadini siano sensibilizzati e coinvolti in modo coerente e informato in tutta l’UE.

1.19.

Andrebbe presa in considerazione la creazione, in seno all’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), di un’unità appositamente dedicata alle informazioni sull’energia in Europa.

1.20.

Bisognerebbe mettere a punto due scenari — uno con l’uscita del Regno Unito dall’Unione (la cosiddetta «Brexit») e l’altro con un’Unione a 28 Stati membri — che andrebbero discussi parallelamente in fase di valutazione dei contributi nazionali.

2.   Introduzione

2.1.

L’Europa è attualmente posta di fronte a numerose sfide che — siano esse di carattere politico, economico o tecnico — influiscono sul singolo cittadino e, di conseguenza, contribuiscono a forgiare la natura e il futuro della nostra democrazia. Da molti anni ormai il settore dell’energia è un agone nel quale dispiegano la loro forza potenti fattori politici, tecnici ed economici. L’Unione dell’energia, con la sua visione per il futuro e la sua strategia coesiva, è lo strumento principale dell’UE per garantire che in Europa l’energia sia sicura, economicamente accessibile e rispettosa del clima.

2.2.

Disporre di una governance efficace per l’Unione dell’energia è di cruciale importanza non solo per conquistare la fiducia di consumatori e investitori — facendo sì che essi traggano il massimo beneficio al costo più basso — ma anche per dimostrare l’impegno dell’Unione a dare attuazione l’accordo di Parigi e per far incamminare l’UE su un percorso che la porti a oltrepassare gli obiettivi energetici e climatici fissati per il 2050. Se si riuscirà ad adottare un regolamento sulla governance sia appropriato, si offrirà all’Europa un’opportunità capitale di dimostrare il proprio valore ai cittadini, agli Stati membri e al resto del mondo. Si tratta di un aspetto di vitale importanza, in quanto così facendo si supera il divario tra il sistema di scambio di quote di emissione e il regolamento sulla condivisione degli sforzi, dato che gli Stati membri sono spinti a pianificare la decarbonizzazione dell’economia nel suo complesso.

2.3.

Nell’aprile del 2015 il CESE ha adottato un parere esplorativo, elaborato su richiesta della Commissione europea, sul tema Lo sviluppo del sistema di governance proposto nell’ambito del quadro 2030 per il clima e l’energia  (1). Nel frattempo è senza dubbio diventata più urgente la necessità di agire in materia di energia e di clima e di adottare una prospettiva a più lungo termine in rapporto alla governance della transizione verso basse emissioni di carbonio. La proposta di regolamento in esame stabilisce ora i requisiti per i piani nazionali integrati per l’energia e il clima, nonché un processo razionalizzato per la loro definizione e il loro monitoraggio. Tuttavia, negli ultimi due anni in tutta Europa si è generalmente indebolita la fiducia dei cittadini sia nella leadership politica e istituzionale che nella compattezza politica, con la conseguenza di rendere la sfida della governance più impellente e, al tempo stesso, più difficile.

2.4.

Inoltre, con l’accordo di Parigi del dicembre 2015 è stato concluso un patto a livello mondiale, sottoscritto congiuntamente dall’UE e da ciascuno Stato membro, che impegna i contraenti a dei «contributi stabiliti a livello nazionale» (Nationally Determined Contributions — NDC) che si possono considerare coincidenti con quelli previsti dal regolamento in esame. Con tale accordo si è anche convenuto di proseguire gli sforzi volti a limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 oC al di sopra dei livelli preindustriali — un’aspirazione, questa, che esige una pianificazione a lungo termine e una serie di traguardi impegnativi, che dovranno probabilmente essere più ambiziosi di quelli finora stabiliti dall’UE per il 2050.

2.5.

Nel suo parere del 2015 il CESE aveva previsto tali tendenze e aveva adottato un approccio pragmatico, ravvisando la necessità di campagne approfondite e a largo raggio per l’educazione, l’informazione e la partecipazione dei cittadini in quanto presupposti per la buona riuscita di qualsiasi proposta di governance. Sono pochi i segnali che lasciano intravedere che tutto ciò sia avvenuto. La governance, che ha implicazioni per i requisiti vincolanti imposti per gli interventi degli Stati a livello nazionale, è una materia delicata, non da ultimo in campo energetico, un settore in cui le situazioni specifiche degli Stati membri variano notevolmente. Inoltre, per avere successo, ogni processo deve essere completato con misure non legislative e interventi adeguati.

2.6.

Nel 2001 la Commissione europea ha pubblicato un Libro bianco sulla governance (2), nel quale sono fissati cinque principi di buona governance che sono tuttora validi (anche se non sempre attuati), ossia:

apertura

partecipazione

responsabilità

efficacia

coerenza.

Tali principi rispecchiano i capisaldi e i valori sostenuti dal CESE; tuttavia, nel quadro del regolamento proposto, il Comitato desidera aggiungere un altro principio: quello della «transizione giusta».

2.7.

Il sistema di governance deve anche permettere l’espressione costante di opinioni, preferenze, percezioni e valori che contribuiscano ininterrottamente all’assunzione di decisioni e alla messa a punto di politiche con cognizione di causa. La governance deve garantire processi solidi e legittimi per l’assunzione delle decisioni, ma anche far sì che le scelte così compiute possano essere adattate alle circostanze dei singoli paesi e adeguate agli eventi imprevisti eventualmente prodottisi nel corso del tempo. Questo non significa, tuttavia, cambiare frequentemente la direzione seguita. Al contrario, significa che la direzione generale del viaggio è salvaguardata dall’impegno a conseguire obiettivi a breve e a lungo termine che sono in linea sia con la climatologia che con un processo stabile per l’assunzione di decisioni sui modi per realizzare quegli obiettivi – in pratica, maggiore coerenza e una dinamica inclusiva.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

La proposta di regolamento sulla governance — che mira a garantire che le politiche e le misure alla base dell’Unione dell’energia siano coerenti, complementari e sufficientemente ambiziose — poggia su due solidi assi: il primo consiste nel razionalizzare gli obblighi in materia di pianificazione, comunicazione e monitoraggio, nonché a integrare meglio tali obblighi nei piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC) e nella pianificazione all’orizzonte 2050, oltre che nelle successive relazioni sullo stato di avanzamento, aggiungendovi, a livello UE, un monitoraggio integrato da parte della Commissione, mentre il secondo prevede un processo di governance strategica tra la Commissione e gli Stati membri riguardo alla definizione e all’attuazione dei piani nazionali. Il testo, se adottato nei termini proposti (adozione di una nuova misura legislativa e revisione della legislazione secondaria vigente), rappresenterebbe un nuovo meccanismo di cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione.

3.2.

Nel complesso, il regolamento proposto offre un fondamento legislativo per integrare (in 31 casi) o sopprimere (in 23 casi) più di 50 obblighi in materia di pianificazione, comunicazione e monitoraggio fissati dall’acquis relativo all’energia e al clima. La proposta riguarda le cinque dimensioni dell’Unione dell’energia, ossia solidarietà e sicurezza energetica, mercato dell’energia, efficienza energetica, decarbonizzazione e R&I&C (ricerca, innovazione e competitività). Essa definisce in modo abbastanza dettagliato il contenuto dei piani nazionali integrati per l’energia e il clima che, a partire dal gennaio del 2019 e successivamente ogni dieci anni, dovranno essere preparati dagli Stati membri in rapporto alle suddette cinque dimensioni. Sono obbligatorie la consultazione dei cittadini e la cooperazione regionale, oltre che un aggiornamento quinquennale dei piani che saranno via via elaborati. I risultati principali sono rappresentati dai contributi nazionali nei settori delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, nonché dalla definizione di piani all’orizzonte 2050 per la decarbonizzazione dell’economia.

3.3.

È stabilito che la Commissione valuterà i piani, i relativi aggiornamenti e le azioni conseguenti degli Stati membri sulla base delle sue raccomandazioni. Sono dettate disposizioni dettagliate per le relazioni biennali degli Stati membri, con requisiti particolareggiati in materia di politiche, misure e previsioni sulle emissioni di gas a effetto serra, interventi nazionali di adattamento, sostegno finanziario e tecnologico fornito ai paesi in via di sviluppo, proventi delle vendite all’asta, energie rinnovabili, efficienza e sicurezza energetiche, mercato interno dell’energia e R&I&C; e per queste relazioni viene proposta una «piattaforma di comunicazione elettronica».

3.4.

Il regolamento contiene clausole dettagliate sulla valutazione, il seguito e il meccanismo di raccomandazione e reazione, qualora si ritenga che le ambizioni o i progressi siano insufficienti. La previsione di un quadro obbligatorio di vasta portata per gli PNEC contribuisce a garantire comparabilità e coerenza. È imposto l’obbligo agli Stati membri di versare un contributo finanziario a una piattaforma di finanziamento per eventuali insuccessi nel raggiungimento degli obiettivi di riferimento concordati in materia di energie rinnovabili. La relazione annuale sullo stato dell’Unione dell’energia comprenderà relazioni complete su questi settori. Il ruolo attribuito all’Agenzia europea dell’ambiente nell’assistere la Commissione è specifico e di ampio respiro.

3.5.

Il regolamento è complementare al semestre europeo e coerente con esso; questioni strategiche specifiche in materia di energia e clima rilevanti ai fini delle riforme macroeconomiche o strutturali possono comunque essere oggetto di raccomandazioni specifiche per paese nell’ambito del semestre europeo.

4.   Osservazioni generali e particolari

4.1.    Obiettivi, traguardi e contributi

4.1.1.

Il regolamento sulla governance offre un quadro dettagliato per gli PNEC e il successivo processo di comunicazione, valutazione e adeguamento. Esso è imperniato sulla definizione degli obiettivi, sul monitoraggio dei traguardi e sulla realizzazione dei contributi. Tuttavia l’articolo 2, che riguarda le definizioni, non fornisce spiegazioni per questi termini — un’omissione, questa, alla quale si dovrebbe posto rimedio.

4.1.2.

Il CESE condivide e sostiene le disposizioni dettagliate dell’allegato 1 in materia di PNEC obbligatorio, che sostituiscono i piani separati in materia di efficienza energetica ed energie rinnovabili. È particolarmente importante l’obbligo per ogni Stato membro di fissare in questi settori dei contributi nazionali, i quali — se aggregati — dovrebbero almeno raggiungere i traguardi generali concordati a livello dell’UE.

4.1.3.

Nei suoi precedenti pareri il CESE ha argomentato con fermezza e coerenza a favore dell’introduzione di traguardi nazionali vincolanti (3). Questa posizione è dovuta al fatto che molti fallimenti delle precedenti politiche energetiche sono imputabili a un’attuazione insufficiente. Se attuati, adeguati e rispettati in modo rigoroso, i contributi nel quadro degli PNEC potrebbero far ottenere un risultato equivalente a quello di traguardi vincolanti. Tuttavia, perché ciò si traduca in realtà, bisogna prima affrontare una serie di punti deboli della proposta in esame.

4.1.4.

Il parametro di riferimento per i contributi nazionali in materia di efficienza energetica ed energie rinnovabili è rappresentato dagli impegni concordati, già indicati dagli Stati membri, che dovranno essere realizzati entro il 2020. Il regolamento risulterebbe tuttavia rafforzato se comprendesse valori di riferimento indicativi, all’orizzonte 2030, per i contributi degli Stati membri. Tali valori di riferimento dovranno in ogni caso essere stabiliti quale base per il dialogo sull’adeguamento e, se verranno presentati e resi pubblici in modo tempestivo, accelereranno il processo iterativo previsto.

4.1.5.

Alcuni paesi hanno introdotto obiettivi in materia di energia, da raggiungere entro il 2020, all’interno della loro normativa nazionale. Il CESE ritiene che il regolamento debba obbligare gli Stati membri a dare forza di legge nazionale ai contributi concordati per il 2030, per dare maggior peso ai traguardi tramite un imperativo di legge. L’esperienza mostra tuttavia che persino gli obblighi di legge non garantiscono necessariamente i risultati, ed è per questo motivo che il CESE sottolinea l’importanza della buona governance quale processo stabile per far sì che si compiano progressi; nel prosieguo del parere, il Comitato evidenzia in modo particolare l’importanza di introdurre disposizioni molto più rigorose, allo scopo di rendere possibile e garantire il coinvolgimento delle parti interessate nella governance.

4.1.6.

Per rafforzare ulteriormente l’importanza dei «contributi» nazionali, il regolamento dovrebbe chiarire, in rapporto sia all’efficienza energetica che alle energie rinnovabili, che è compito del singolo Stato membro contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali dell’UE in un modo che sia adeguato e proporzionato. Attualmente questo obbligo costituisce una responsabilità collettiva.

4.2.    Processo di comunicazione

4.2.1.

Il CESE accoglie con favore gli obblighi di presentare relazioni imposti agli Stati membri e il ruolo analitico/critico assegnato alla Commissione, assieme all’Agenzia europea dell’ambiente, riguardo alle relazioni così presentate. Sarà essenziale un’analisi precisa, salda e coraggiosa se si vuole che le raccomandazioni e i pareri della Commissione in materia producano un effetto. È inoltre essenziale che i dati siano attinenti al periodo di riferimento della relazione e aggiornati, come sottolineato nel parere del CESE sullo Stato dell’Unione dell’energia 2015  (4).

4.2.2.

Anche se i dati richiesti per le relazioni da presentare sono in linea con quelli necessari nel quadro dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, l’aggiornamento degli PNEC ha luogo prima del completamento della valutazione globale quinquennale di tale accordo, il che rischia di generare un ritardo considerevole nella risposta a qualsiasi aggiornamento degli NDC previsto dall’UE. E, dato che anche l’UE ha sottoscritto l’accordo di Parigi, l’allineamento della governance risulterebbe così pregiudicato in modo inaccettabile. Bisognerebbe quindi cogliere l’occasione per fissare un calendario appropriato per le revisioni, rispettivamente in sede ONU e UE, dei contributi stabiliti a livello nazionale.

4.2.3.

Il regolamento dovrebbe inoltre comprendere una disposizione sull’irreversibilità («ratchet») quale meccanismo per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo indicativo di un riscaldamento non superiore a 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Questo sarebbe fattibile attraverso un processo che porti all’adozione, in 5-10 fasi, di bilanci per il carbonio in cui l’UE si impegna a conseguire, entro il 2050, emissioni nette pari a zero per i gas a effetto serra.

4.2.4.

Il regolamento impone che gli PNEC contengano, tra l’altro, una valutazione d’impatto sulle questioni sociali e, più precisamente, degli obiettivi nazionali in materia di povertà energetica e un programma d’azione. Il CESE ha mostrato particolare interesse per questo tema e accoglie con favore questa disposizione. La definizione di povertà energetica è tuttavia lasciata alla discrezione degli PNEC, e ciò renderà impossibile comparare i dati tra gli Stati membri, compromettendo quindi la probabilità che l’UE proceda a una transizione giusta e rendendo probabile l’opposizione dell’opinione pubblica alla transizione stessa. Il CESE raccomanda pertanto che il regolamento contenga una definizione semplice da usare come riferimento. Tale definizione non dovrebbe essere obbligatoriamente adottata dagli Stati membri per fini interni, ma permetterebbe di stabilire un parametro in base al quale gli PNEC sarebbero tenuti a elaborare le relazioni. Un esempio di definizione potrebbe essere il seguente: «esiste povertà energetica quando un nucleo familiare spende più del 10 % del suo reddito disponibile per l’energia a fini di riscaldamento e raffreddamento a un livello adeguato». Una definizione di questo tipo ha permesso ad alcuni paesi di valutare i progressi compiuti — o meno — nell’affrontare il problema della povertà energetica, anche se la natura plurifattoriale del problema potrebbe richiedere una definizione che contenga altri elementi.

4.3.    Trasparenza, responsabilità e applicazione

4.3.1.

Il Comitato rileva che gran parte della legislazione precedente in materia di energia è stata recepita e applicata in ritardo o in maniera non corretta. Gli Stati membri devono pertanto compiere il massimo sforzo, in uno spirito di solidarietà e con impegno, per dare attuazione alla volontà politica e impiegare le risorse amministrative necessarie per l’attuazione efficace del regolamento. Il calendario è estremamente impegnativo. I progetti di PNEC, che devono essere preliminarmente sottoposti a un efficace processo di consultazione e a un dialogo regionale, vanno trasmessi alla Commissione entro il 1o gennaio 2018. Questo significa che gli PNEC e i relativi dialoghi con le parti interessate e i partner regionali sono già in fase di realizzazione. Il CESE si compiace che le richieste di un nuovo quadro e di nuovi obiettivi per il periodo 2020-2030 stiano trainando questo processo, ma teme che — senza la comprensione e l’impegno dei cittadini, entrambi essenziali — la legittimità della politica energetica dell’UE possa essere compromessa, in particolare tra i consumatori che devono fare fronte all’aumento dei costi dell’energia.

4.3.2.

Il processo di governance previsto lascia poco spazio per chiare sanzioni in caso di ambizione insufficiente o mancata osservanza. La trasparenza e la responsabilità sono essenziali affinché le parti interessate, in particolare i cittadini, possano esercitare un’influenza. Il CESE propone pertanto che venga istituito un organo indipendente, composto da parti interessate, che assicuri una rappresentanza e una consultazione efficaci delle parti interessate in ogni Stato membro e pubblichi una relazione annuale sul processo di governance e il relativo dialogo (cfr. il punto 4.6).

4.3.3.

Il regolamento menziona più volte la trasparenza, ma il CESE teme che non sia stata chiarita la questione dell’obbligatorietà o meno della pubblicazione tempestiva e dell’accesso al pubblico in ogni fase dell’elaborazione degli PNEC. È inserito un riferimento alla convezione di Århus nel preambolo (ma non negli articoli) del regolamento, ma il Comitato ritiene che tale riferimento sia inadeguato. Il regolamento dovrebbe chiarire che gli Stati membri hanno l’obbligo di pubblicare il prima possibile i progetti dei piani nazionali per l’energia e il clima, e che tutte le successive versioni dei piani via via elaborate — comprese le osservazioni e le risposte della Commissione, dei partner regionali e degli Stati membri — dovranno essere rese di pubblico dominio.

4.3.4.

Visto il ruolo fondamentale della transizione verso le energie rinnovabili, è necessaria una maggiore chiarezza sulla natura e il funzionamento della «piattaforma di finanziamento» (articolo 27) e sui modi in cui sarà attribuito un valore finanziario alle eventuali carenze nella fornitura di energia da fonti rinnovabili. Per esempio, è previsto che tale piattaforma raccolga fondi dal settore privato sulla base dei «contributi» degli Stati membri? Si propone che le risorse accumulate in questa piattaforma possano essere impiegate sia per le misure di efficienza energetica che per la fornitura di energia da fonti rinnovabili.

4.3.5.

Sussistono alcune incertezze circa le modalità con cui le raccomandazioni della Commissione, dopo la presentazione della relazione annuale, saranno applicate qualora gli Stati membri non abbiano prontamente preso dei provvedimenti. Se ciò avrà luogo tramite la consueta procedura d’infrazione, non si tratterà allora di una reazione fin troppo lenta per produrre effetti entro il calendario stabilito?

4.4.

Il CESE appoggia pienamente le disposizioni per la cooperazione regionale obbligatoria tra gli Stati membri, che hanno lo scopo di migliorare l’efficacia e l’efficienza delle misure e promuovere l’integrazione del mercato e la sicurezza energetica. Tuttavia, esso raccomanda che il termine «regionale» rientri tra le definizioni contenute nell’articolo 2, per consentire alla Commissione di proporre l’assunzione di un impegno e di imporne l’osservanza. Al momento, infatti, esiste la possibilità che il termine «regionale» sia inteso come riferito al livello intrastatale anziché a quello interstatale, oppure che una regione sia definita in termini geografici in contrapposizione a un gruppo di Stati con risorse energetiche complementari.

4.5.

In particolare, il CESE è estremamente deluso nel rilevare che l’articolo 10 sulla consultazione pubblica è generico e inadeguato, oltre ad avere un contenuto di gran lunga inferiore rispetto a quanto proposto dal CESE stesso con il dialogo europeo per l’energia (DEE), un meccanismo di vasta portata che consentirebbe di entrare direttamente e costantemente in contatto con i cittadini/consumatori, oltre a permettere l’educazione e la partecipazione dei cittadini riguardo ad aspetti che molti Stati membri avranno difficoltà a far accettare. Un dialogo di questo tipo è troppo importante per essere trattato — eventualmente — nella parte dedicata alle «misure non legislative», e ad esso andrebbe conferito un preciso fondamento con l’aggiunta di un paragrafo apposito nell’articolo 10. Questo articolo, inoltre, non è in linea con gli standard fissati dalla direttiva sulla valutazione ambientale strategica che stabilisce le norme per una governance trasparente e partecipativa in materia ambientale, di cui la pianificazione in materia di energia e clima costituisce un elemento cruciale.

4.6.

Pertanto, il CESE ribadisce il proprio punto di vista secondo cui il processo di governance, nei termini stabiliti dal regolamento in esame, non sarà in grado di concretizzare gli NDC senza il coinvolgimento e il sostegno della società civile in tutta Europa. Per conquistare la fiducia e l’impegno dei cittadini, un dialogo di questo tipo dovrebbe essere autonomo rispetto al governo e al processo concernente gli PNEC. Tale dialogo dovrebbe offrire un punto di riferimento per informare i consumatori, aiutare i fornitori di energia a impegnarsi e a consolidare la fiducia, e fornire un canale attraverso cui veicolare le numerose preoccupazioni nutrite da vari gruppi riguardo alla sicurezza, accessibilità e sostenibilità dell’energia. Il CESE ha dichiarato la propria disponibilità a svolgere un ruolo in questo processo, da esso denominato DEE, mediante la presa in carico di taluni aspetti delle consultazioni nazionali organizzate e la partecipazione ad esse. Tale dialogo deve tuttavia basarsi su risorse più ampie e su un impegno nazionale a largo raggio. In sintesi, sarebbe necessario intraprendere i seguenti passi:

sarà istituito un sistema per creare un fondo di finanziamento indipendente e imparziale, al quale contribuiranno principalmente le parti interessate di tutta la catena di produzione e approvvigionamento energetici e che sarà integrato con un adeguato sostegno pubblico da parte dell’UE e degli Stati membri. Nel complesso, il DEE rappresenterà, sul piano dell’efficacia dei costi, uno strumento valido in grado di coinvolgere tutti i tipi di consumatori nella modulazione energetica, nonché di riconoscere e stimolare il contributo dei consumatori produttori («prosumatori»);

parallelamente agli orientamenti sulla struttura dei piani nazionali, il DEE, attuato in consultazione con la Commissione e con tutti i principali soggetti interessati, elaborerà linee guida sull’instaurazione dei dialoghi nazionali per l’energia;

verrà creato, nell’ambito del dialogo europeo per l’energia, un organo totalmente indipendente di coordinamento al fine di incoraggiare l’adozione di iniziative e la loro attuazione in tutti gli Stati membri. Questa struttura dovrebbe tra l’altro contribuire alla necessaria revisione, da parte della Commissione, del contenuto e delle ambizioni dei piani nazionali, nonché alla loro attuazione. Ciò consentirà di evidenziare il contributo che le parti interessate possono apportare all’elaborazione delle politiche e di soddisfare il requisito di una consultazione efficace posto dal regolamento;

si procederà a organizzare un dibattito sui piani nazionali e discussioni regionali con i gruppi responsabili del DEE dei paesi vicini, cui faranno seguito discussioni a livello UE tra tutti i gruppi attivi nel dialogo sull’energia. Tali discussioni, condotte nell’ambito della struttura di coordinamento indipendente, dovrebbero essere considerate alla stregua di una consultazione con le istituzioni dell’UE e accrescere l’efficacia in termini di costi delle politiche dell’UE e degli Stati membri.

4.7.

Il CESE propone di istituire, in seno all’Agenzia europea per l’ambiente (AEA), un’unità appositamente dedicata alle informazioni sull’energia in Europa che sia responsabile dell’assemblaggio dei dati, nonché dei processi di valutazione, richiesti dal regolamento sulla governance. Tale unità dovrebbe operare in stretta cooperazione con l’Osservatorio della povertà energetica proposto e fornire servizi di informazione al dialogo europeo per l’energia a livello nazionale.

4.8.

La sicurezza energetica è uno dei cinque grandi ambiti di comunicazione e valutazione previsti dal regolamento proposto, ed è in particolare in questo ambito che sarà necessario un ampio dialogo regionale. Il Comitato ha già osservato che, nei confronti dei paesi terzi, l’UE ha bisogno di una diplomazia e di una politica energetica che siano chiare e condivise (5). La Commissione indica nella sicurezza energetica e nella solidarietà il primo pilastro di un progetto comune per l’Unione dell’energia; senonché, senza accordi e partenariati forti con i principali attori a livello mondiale e in assenza di una politica energetica comune, tale risultato non sarà realizzabile.

4.9.

Il CESE è preoccupato per l’impatto della Brexit sul processo di governance. In primo luogo, il processo previsto dal regolamento presuppone ancora l’appartenenza del Regno Unito all’UE e gli NDC saranno valutati secondo questo presupposto. Il testo finale degli PNEC sarà stabilito prima che il Regno Unito esca ufficialmente dall’UE, ma a questo punto potrebbe essere necessario apportare considerevoli modifiche per far sì che il contributo stabilito a livello nazionale per questo paese sia scorporato dal contributo complessivo dell’UE. Il CESE propone che la Commissione elabori, oltre allo scenario «a 28 Stati membri», uno scenario che preveda l’uscita del Regno Unito dall’UE, e che i due scenari siano discussi parallelamente. In secondo luogo, l’uscita del Regno Unito potrebbe avere un forte impatto sull’equilibrio politico e sulla strategia diplomatica relativa a ciascuna delle cinque dimensioni rientranti nel campo di applicazione del regolamento e in particolare alla sicurezza energetica.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 291 del 4.9.2015, pag. 8.

(2)  COM(2001) 428 final.

(3)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 39 e GU C 75, del 10.3.2017, p. 103.

(4)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 117.

(5)  GU C 264 del 20.7.2016, pag. 117.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica»

[COM(2016) 761 final — 2016/0376/(COD)]

(2017/C 246/07)

Relatore:

Mihai MANOLIU

Consultazione

Consiglio, 9.12.2016

Parlamento europeo, 12.12.2016

Base giuridica

Articolo 194, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

11.4.2017

Adozione in sessione plenaria

26.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

115/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

I cittadini europei devono partecipare attivamente alla promozione dell’efficienza energetica, prendere l’iniziativa e collaborare nel quadro di progetti comuni, nonché lottare per abbattere le barriere economiche, amministrative e normative. Obiettivo comune è la concretizzazione delle ambizioni per il periodo successivo alla COP 21, con molteplici vantaggi: nuovi investimenti (ristrutturazione degli edifici, maggiore comfort, misurazione efficiente ed equa) in grado di creare occupazione, riduzione del livello di povertà energetica, diminuzione dell’inquinamento e miglioramento dello stato di salute della popolazione, oppure minore dipendenza dalle importazioni energetiche. Il CESE sollecita un impegno più risoluto degli Stati membri nell’attuazione della direttiva sull’efficienza energetica, tenendo conto che i nuovi obiettivi proposti per il 2030 sono più ambiziosi di quelli stabiliti per il 2020.

1.2.

L’efficienza energetica è un tema di grande importanza per il futuro del sistema energetico europeo. Migliorare l’efficienza energetica in tutti i settori di utilizzo dell’energia può rappresentare un mezzo potente per ridurre i costi per l’economia europea e, soprattutto, il principio dell’efficienza energetica può rappresentare un fattore di miglioramento dell’accessibilità finanziaria. È sulla base di tale principio che è necessario ridurre la domanda di costose infrastrutture sostitutive. Gli obblighi di risparmio energetico sono compatibili con lo sviluppo sostenibile (situazione sostenibile e sicura), e occorre sfruttare le sinergie per una transizione efficiente verso un sistema resiliente e accompagnato da un processo di decarbonizzazione intelligente (sistemi sovraregionali di distribuzione, gestione della domanda, sistemi di stoccaggio).

1.3.

Il CESE prende atto della proposta della Commissione relativa ad un obiettivo vincolante di efficienza energetica del 30 % entro il 2030, ma ritiene che un aumento rispetto all’obiettivo del 27 % vada adeguatamente giustificato evidenziandone i vantaggi economici e ponendo l’accento sul livello di investimenti necessari per conseguire questi obiettivi. È di fondamentale importanza che la valutazione d’impatto prenda in considerazione l’insieme delle misure cui mirano i pacchetti legislativi in materia di clima ed energia.

1.4.

Al fine di eliminare i principali ostacoli all’applicazione dell’articolo 7 della direttiva sull’efficienza energetica, il CESE invita a sensibilizzare in misura maggiore i consumatori finali attraverso la promozione e divulgazione dei regimi di efficienza energetica e delle misure alternative. È necessario che ciascuno Stato membro realizzi ulteriori investimenti per iniziative credibili di informazione, divulgazione, educazione e assistenza volte ad incentivare i cittadini e le imprese ad accelerare il conseguimento dell’obiettivo politico in materia di cambiamenti climatici e di efficienza energetica.

1.5.

Il CESE invita gli Stati membri a prestare maggiore attenzione alle famiglie in condizioni di povertà energetica o all’edilizia abitativa sociale, i cui costi energetici dovrebbero essere ridotti in modo sostenibile. Un obiettivo importante consiste nel migliorare l’efficienza energetica del patrimonio edilizio a fini abitativi, oltre alla definizione di norme minime (audit energetici) per gli alloggi in locazione.

1.6.

Il CESE richiama l’attenzione sull’importante obiettivo dell’educazione dei consumatori finali in materia di tecniche di produzione combinata di energia elettrica e termica (cogenerazione, condizionamento dell’aria), misurazione intelligente dei consumi e piani di ristrutturazione. Ciò è di fondamentale importanza anche per incoraggiare gli investitori, le autorità pubbliche e le imprese affinché acquisiscano la fiducia necessaria per realizzare progetti ad alto potenziale di efficienza, e partecipino al finanziamento della R&S.

1.7.

Il CESE auspica che le varie misure mediante le quali vengono attuati gli strumenti finanziari europei (prestiti, garanzie, capitale proprio per attirare fondi, sovvenzioni) servano anche ad attirare finanziamenti privati per i progetti energetici. Non va trascurato l’aspetto delle sovvenzioni per i progetti con un forte impatto sociale. Questi regimi finanziari devono essere concessi ai progetti rivolti anche ai consumatori a basso reddito. A fini di trasparenza e comparabilità, si richiede l’elaborazione di orientamenti relativi ai piani nazionali. Il CESE ritiene che il sostegno debba essere destinato in via prioritaria alle famiglie in condizioni di povertà energetica, garantendo così nel lungo periodo un quadro politico stabile per gli Stati membri, in vista di uno sviluppo locale sostenibile.

1.8.

Secondo il CESE, questo obiettivo potrà essere raggiunto grazie a un’assistenza tecnica fornita nell’applicazione della direttiva sull’efficienza energetica tramite regimi di finanziamento innovativi basati sul mercato. Un elemento quantitativo che incide notevolmente sulla concessione di incentivi finanziari è dato dall’audit energetico (definizione delle PMI, abolizione della doppia certificazione, approccio uniforme in merito alla soglia minima estesa), che costituisce al contempo uno strumento per aumentare l’efficienza energetica e un vantaggio in termini di competitività. Sono necessari un approccio corretto alla garanzia della qualità e programmi nazionali di formazione per i fornitori di servizi di efficienza energetica.

1.9.

Per aumentare l’efficienza energetica a vantaggio dei consumatori, il CESE raccomanda di effettuare delle analisi costi-benefici a livello nazionale che consentano di ridurre i costi.

1.10.

Il CESE chiede l’adozione di un approccio globale e un miglioramento dell’efficienza energetica dell’intero sistema di trasporto che sia basato sui continui sviluppi tecnologici dei veicoli e dei sistemi di propulsione, nonché sul passaggio a modi di trasporto efficienti sotto il profilo energetico e su sistemi di trasporto intelligenti (STI) capaci di aumentare il tasso di utilizzo delle capacità disponibili. Questi fattori devono essere presi in considerazione anche nel caso dell’aviazione e del trasporto marittimo. Gli utenti devono ricevere informazioni sul consumo di carburante di ciascun modo di trasporto, anche per quanto riguarda i limiti stabiliti per le emissioni di CO2. corrispondenti.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE concorda con la Commissione europea che « l’efficienza energetica al primo posto è un principio essenziale dell’Unione dell’energia», e la proposta di modifica della direttiva darà attuazione concreta a tale principio. «L’energia meno cara, la più pulita e più sicura è quella che non consumiamo affatto. L’efficienza energetica è uno dei modi economicamente più efficaci per sostenere la transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio e creare crescita, posti di lavoro e opportunità di investimento».

2.2.

Se l’obiettivo in materia di efficienza energetica all’orizzonte 2020 è del 20 %, per la scadenza del 2030 sono stati presi in esame diversi traguardi (compresi tra il 27 % e il 40 %), il più ambizioso dei quali è quello proposto nella risoluzione del Parlamento europeo, che chiede un obiettivo vincolante del 40 %. Dopo aver passato in rassegna i benefici che ne deriverebbero in termini di occupazione e crescita economica, sicurezza dell’approvvigionamento, riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, salute e ambiente, la Commissione ha proposto un obiettivo vincolante del 30 % in materia di efficienza energetica. Il CESE ritiene che, nel contesto di questo aumento, sia molto importante valutare con attenzione l’impatto degli obiettivi di efficienza energetica sugli altri traguardi fissati nelle proposte legislative per il settore energetico, con particolare riguardo al sistema di scambio delle quote di emissioni dell’UE (sistema ETS).

2.3.

Per conseguire questi obiettivi coinvolgenti, gli Stati membri (con il sostegno dei rispettivi CES nazionali) e i fornitori e distributori di energia dovranno realizzare risparmi energetici (una politica chiave) pari all’1,5 % ogni anno. Il CESE ritiene giustificata la proposta di prorogare l’obbligo di risparmio energetico oltre il 2020, mantenendo una quota annuale dell’1,5 %, mediante regimi obbligatori e misure alternative flessibili a livello nazionale sull’attuazione di tali obblighi di risparmio energetico.

2.4.

Il nuovo approccio, che anche il CESE approva, offrirà sia agli Stati membri che agli investitori una prospettiva di lungo periodo necessaria all’elaborazione delle strategie e dei piani d’investimento volti al conseguimento dell’obiettivo a livello dell’UE, attraverso l’attuazione di politiche nazionali e regionali adeguate; ne deriverà così, entro l’orizzonte 2030, una serie di importanti benefici, ad esempio: una diminuzione del consumo di energia finale del 17 % (rispetto al 2005), una crescita economica che si tradurrà in un incremento del PIL dello 0,4 %, una riduzione dei prezzi dell’energia elettrica per le famiglie e per l’industria (da 161 a 157 EUR/MWh), la creazione di opportunità commerciali portatrici di nuovi posti di lavoro di qualità (adeguati), misure contro l’inquinamento e gli effetti nocivi sulla salute (con minori costi compresi tra 4,5 e 8,3 miliardi di euro) e il rafforzamento della sicurezza energetica (con una riduzione delle importazioni di gas del 12 % nel 2030).

2.5.

Il CESE considera elementi di primaria importanza l’informazione a beneficio dei principali soggetti del mercato dell’energia, la fornitura alle famiglie e ai consumatori industriali di informazioni pertinenti, chiare e concise sui loro consumi, come pure il consolidamento dei loro fondati diritti riguardo alla misurazione (lettura a distanza dei contatori) e alla fatturazione, anche dell’energia termica. Non si devono dimenticare i consumatori vulnerabili che, grazie ai minori costi delle bollette energetiche, dovrebbero beneficiare di un miglioramento del loro comfort e del loro tenore di vita.

2.6.

Tuttavia, la protezione dei consumatori vulnerabili richiede anche che la direttiva in esame non imponga la misurazione individuale dei consumi in quei paesi in cui i proprietari di beni immobili sono tenuti per legge a farsi carico dei costi energetici dei loro affittuari, in particolare perché questo tipo di legislazione sugli affitti incentiva fortemente i proprietari a ristrutturare i loro immobili per aumentarne l’efficienza energetica. Si deve inoltre sottolineare che in alcuni Stati membri, per conformarsi alle normative UE in vigore, è stato installato solo di recente un gran numero di contatori individuali con una durata di vita utile che va ben al di là della scadenza del 2027 fissata dalla Commissione per sostituirli con dispositivi che consentono la lettura a distanza. Si dovrebbe evitare la sostituzione di questi contatori, poiché i consumatori dell’UE potrebbero considerarla un inutile costo aggiuntivo.

2.7.

Per il Comitato è essenziale l’idea di rafforzare gli aspetti sociali legati all’efficienza energetica e alla lotta contro la precarietà e la povertà energetiche, in particolare tra i consumatori vulnerabili. Gli Stati membri dell’UE devono rivolgere maggiore attenzione alle misure sociali. Attuare la direttiva sull’efficienza energetica è un elemento di fondamentale importanza per il benessere.

2.8.

Non dobbiamo dimenticare che gli obiettivi di efficienza energetica sono collegati agli obiettivi in materia di cambiamenti climatici tramite la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Tale esigenza è all’origine di politiche che accrescono l’intensità e la rapidità di adozione di nuove tecnologie, le quali consentiranno a loro volta di realizzare risparmi energetici nei trasporti, nell’industria, nell’edilizia e anche a beneficio delle famiglie. Alla fine, le nuove tecnologie rappresenteranno un modo economicamente efficiente per gli Stati membri di conseguire gli obiettivi previsti a livello nazionale in relazione al sistema di scambio di quote di emissioni (ETS e decisione sulla condivisione degli sforzi), conformemente all’articolo 7 della direttiva (risparmi effettivi di energia, misure concrete in materia di efficienza energetica).

2.9.

Per quanto riguarda la legislazione in vigore sull’efficienza energetica, il Parlamento europeo osserva che « la direttiva sull’efficienza energetica è attuata parzialmente ma costituisce un quadro per conseguire gli obiettivi di risparmio energetico; le disposizioni legislative concorrenti frenano i progressi ecologici, comportano burocrazia e rincarano i costi energetici; serve maggiore coerenza nella legislazione in materia energetica; maggiore efficienza energetica significa maggiore crescita e occupazione» .

2.10.

In questo contesto, il CESE è convinto che la nuova proposta legislativa in materia di efficienza energetica terrà conto, oltre che delle misure proposte dal Parlamento europeo, anche del presente parere.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.    Base giuridica, sussidiarietà e proporzionalità

3.1.1.

L’articolo 194, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in combinato disposto con la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, costituisce la base giuridica specifica in materia di energia. Pertanto, lo strumento giuridico appropriato consiste in una direttiva di modifica di una direttiva in vigore.

3.1.2.

Secondo il CESE, uno dei motivi per cui gli obiettivi di efficienza energetica non sono stati realizzati sino ad oggi è che ciascuno Stato membro ha agito per proprio conto. È indispensabile un’azione coordinata a livello dell’UE a sostegno degli interventi nei singoli Stati membri. Le questioni energetiche comportano sfide in campo politico ed economico (mercato interno, sviluppo, investimenti, regolamentazioni), oltre che sociale (consumo di energia, tariffazione, precarietà, occupazione), nonché problemi di sicurezza in rapporto all’approvvigionamento energetico. Non vanno poi dimenticati i problemi legati ai cambiamenti climatici.

3.1.3.

Il CESE insiste fortemente sul rispetto del principio di sussidiarietà e sul mantenimento della flessibilità per quel che riguarda il mix energetico e la combinazione di politiche energetiche, al fine di garantire il conseguimento dei risparmi energetici a cui gli Stati membri si sono volontariamente impegnati fino al 2030.

3.2.    Attuazione, monitoraggio, valutazione e rendicontazione

3.2.1.

Sono stati valutati diversi livelli di riduzione dell’energia primaria rispetto al livello di riferimento del 2007; per formulare l’obiettivo, inoltre, sono stati presi in esame il consumo di energia primaria e quello di energia finale, in condizioni di risparmio energetico o di intensità energetica. Dalle discussioni con le parti interessate è emerso che la maggioranza di queste si è dichiarata a favore di un obiettivo del 30 % da conseguire entro il 2030.

3.2.2.

Le diverse analisi svolte hanno permesso di selezionare le seguenti opzioni:

per l’articolo 7 della direttiva, relativo all’obbligo di risparmio energetico, è stata scelta l’opzione 3 (proroga dell’articolo al 2030, semplificazione e aggiornamento),

per gli articoli da 9 a 11 della direttiva, relativi alla misurazione e alla fatturazione del consumo energetico, è stata scelta l’opzione 2 (chiarimento e aggiornamento, incluso il consolidamento di alcune disposizioni ai fini di una maggiore coerenza con la legislazione sul mercato interno dell’energia).

3.2.3.

Un’importante conclusione riguarda l’impatto sociale dell’obiettivo: per ogni 1,2 milioni di EUR spesi in efficienza energetica si sostengono direttamente circa 23 posti di lavoro.

3.2.4.

Per quanto riguarda la riduzione dei consumi in bolletta grazie a misure di efficienza energetica a favore di chi versa in condizioni di povertà energetica, si osserva un risultato positivo che può contribuire a risolvere alcuni aspetti problematici legati all’esclusione sociale.

3.2.5.

Il CESE ritiene che la proposta di modifica della direttiva avrà un impatto positivo sulle PMI tramite le misure specifiche e i programmi di sostegno (regimi di aiuto per coprire i costi degli audit energetici) e di incentivazione a realizzare audit energetici. La ristrutturazione degli edifici offrirà alle PMI, ad esempio alle piccole imprese edili, un vantaggio sotto forma di opportunità commerciali, così come un beneficio deriverà dalla proroga dell’articolo 7 al di là della scadenza attuale, cioè fino al 2030. Un altro incentivo per le società di servizi energetici, che di solito sono PMI, sarà offerto dai contratti di prestazione energetica stipulati con i fornitori di energia.

3.2.6.

Al tempo stesso, il CESE ritiene che le misure proposte in merito alla misurazione e alla fatturazione dei consumi di energia consentiranno un chiarimento e un aggiornamento in rapporto agli sviluppi tecnologici dei dispositivi di misurazione a distanza dei consumi termici (riscaldamento, condizionamento dell’aria). Inoltre, le informazioni sui consumi di energia saranno corrette, personalizzate e frequenti, in linea con le politiche nazionali per il settore dell’energia.

3.2.7.

In rapporto alle implicazioni sul piano amministrativo o di bilancio per le autorità pubbliche degli Stati membri, la proposta, sebbene estenda il periodo di applicazione della direttiva, non comporta costi supplementari, dato che gli Stati membri si sono già dotati di strutture e misure adeguate. I costi associati ai regimi obbligatori di efficienza energetica saranno trasferiti ai clienti finali, i quali tuttavia potranno beneficiare di bollette energetiche più leggere grazie alla riduzione del loro consumo di energia. La proposta non ha alcuna incidenza sul bilancio dell’UE.

3.2.8.

La nuova governance nel settore dell’energia porterà all’istituzione di un sistema flessibile e trasparente di analisi, pianificazione, rendicontazione e monitoraggio, conformemente ai piani nazionali in materia di energia e cambiamenti climatici. Lo scopo è l’attuazione dei piani nazionali per il conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica, oltre che dell’obiettivo globale a livello dell’UE. Questo traguardo sarà raggiunto tramite il rispetto di indicatori che segnaleranno la riuscita in rapporto all’opzione preferita: corretto recepimento e corretta attuazione, maggiori progressi nell’attuazione, maggiori informazioni a disposizione dei consumatori, minori oneri amministrativi e una corretta rendicontazione dei risparmi realizzati.

3.3.    Osservazioni sulle singole disposizioni della proposta di modifica della direttiva

3.3.1.

L’obiettivo indicativo del 27 % è stato sostituito con un obiettivo vincolante del 30 % a livello dell’UE. Ciascuno Stato membro deve fissare un obiettivo nazionale di efficienza energetica, da raggiungere entro il 2020, sulla base del consumo di energia finale e iniziale. Alla luce di tutti gli obiettivi comunicati, la Commissione valuterà i progressi compiuti per stabilire se sia stato conseguito l’obiettivo globale a livello dell’UE, e potrà proporre misure adeguate qualora ci si allontani dal percorso tracciato per raggiungere gli obiettivi. La procedura di valutazione sarà definita in modo dettagliato nell’ambito della governance dell’Unione dell’energia.

3.3.2.

Gli Stati membri sono tenuti a definire strategie a lungo termine per mobilitare gli investimenti necessari alla riqualificazione del patrimonio edilizio nazionale. Il passaggio della direttiva sull’efficienza energetica relativo a questo punto sarà soppresso e inserito nella direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia. Il CESE considera quest’ultima direttiva uno strumento molto importante per il conseguimento degli obiettivi prefissi, dal momento che l’edilizia è il settore più energivoro in Europa (oltre il 40 % del consumo totale di energia finale).

3.3.3.

Il CESE ritiene che il concetto di cogenerazione debba essere definito come la produzione simultanea con lo stesso impianto (gruppo formato da turbina a vapore e generatore, gruppo formato da motore a combustione interna e generatore ecc.) di energia elettrica e termica (sotto forma di acqua calda, di vapore o di fluido refrigerante). Con cogenerazione ad alto rendimento si intende una produzione che consenta di realizzare un risparmio di energia primaria di almeno il 10 % rispetto ai valori di riferimento per la produzione separata di energia elettrica e di energia termica. A differenza delle centrali elettriche convenzionali (a condensazione), dove solo il 33 % dell’energia primaria è convertito in energia elettrica, nelle centrali di cogenerazione ad alto rendimento la combinazione dei due processi (produzione simultanea di energia elettrica e termica) consente di trasformare fino al 90 % di energia primaria.

3.3.4.

La tecnologia della cogenerazione presenta tutta una serie di vantaggi significativi: efficienza energetica, flessibilità nella scelta del combustibile, facilità di utilizzo e di manutenzione, sicurezza, comfort per i consumatori, riduzione dei costi per il ciclo di vita, minori costi di capitale o anche la progettazione flessibile del sistema.

3.3.5.

Oltre a consentire la produzione di energia da fonti adeguate (a basse emissioni di carbonio) e l’ottimizzazione del consumo energetico, lo stoccaggio dell’energia elettrica può rappresentare una soluzione per le società che o producono energia da fonti rinnovabili e desiderano ottimizzarne il consumo in funzione delle esigenze, oppure desiderano ridurre i costi diminuendo il consumo di elettricità nei periodi di picco optando invece per un utilizzo dell’energia elettrica più a buon mercato al di fuori di tali periodi.

3.3.6.

Il CESE concorda con l’approccio della Commissione riguardo all’articolo 7 della direttiva, modificato in modo da prorogare oltre il 2030 il periodo in cui vige l’obbligo di risparmio energetico attraverso il mantenimento di un obiettivo annuale di risparmio dell’1,5 %. I progressi compiuti nell’attuazione delle misure proposte saranno valutati nel 2027 e, dopo tale data, ogni 10 anni, fino a quando non si ritenga che siano stati raggiunti gli obiettivi a lungo termine dell’UE in materia di energia e clima all’orizzonte 2050.

3.3.7.

Il CESE accoglie con favore la modifica degli articoli che disciplinano la misurazione e la fatturazione, in quanto serve a chiarire taluni aspetti relativi al riscaldamento, al raffreddamento e all’acqua calda per uso domestico forniti da una fonte centralizzata. Tuttavia, la normativa UE non deve imporre l’installazione di contatori individuali in quei paesi in cui il proprietario di un bene immobile è tenuto per legge a farsi carico dei costi energetici dei suoi affittuari (il canone di affitto comprende i costi per l’energia ed è fissato nel quadro di un’apposita contrattazione tra le associazioni degli inquilini e quelle dei proprietari, sotto la supervisione delle autorità statali). Per quanto riguarda la misurazione del consumo di gas, ciascun consumatore finale deve poter disporre di un contatore individuale che ne indichi chiaramente il consumo.

3.3.8.

Le informazioni sul consumo di gas saranno basate sul consumo effettivo grazie a un sistema di autolettura del contatore. Sarà obbligatorio mettere i dati sul consumo e la fatturazione a disposizione dei fornitori di servizi energetici. La fattura (in formato elettronico) dovrà essere chiara e di facile comprensione per il consumatore. Tenendo conto dei miglioramenti proposti, il CESE esprime l’auspicio che gli Stati membri si impegnino di più per trovare soluzioni adeguate, dal punto di vista sia sociale che economico, al problema dei costi di misurazione (chi si fa carico del costo del contatore?). Tale questione è cruciale per definire in modo equo e corretto la parità di condizioni di accesso all’energia.

3.3.9.

Il settore dell’energia chiede da tempo la revisione del fattore di energia primaria (PEF), basato sul consumo di energia finale per i risparmi espressi in kWh negli Stati membri. La metodologia e il nuovo fattore costituiscono un miglioramento molto rilevante. Si accoglie con favore il valore di 2,0 per il PEF, lasciando agli Stati membri la facoltà di applicare un coefficiente diverso, purché lo motivino in modo concreto. Il settore dell’energia manifesta la propria preoccupazione per il metodo sfavorevole utilizzato per il calcolo dell’energia nucleare, per il quale si considera adeguato un fattore pari a 1 (conversione 100 %), simile a quello applicato anche alle altre fonti ad emissioni zero di carbonio.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia»

[COM(2016) 765 final — 2016/0381 (COD)]

(2017/C 246/08)

Relatrice:

Baiba MILTOVIČA

Correlatrice:

Isabel CAÑO AGUILAR

Consultazione

Parlamento europeo, 12.12.2016

Consiglio dell’Unione europea, 21.12.2016

Base giuridica

Articolo 194, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

11.4.2017

Adozione in sessione plenaria

26.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La proposta di direttiva migliora ed estende le precedenti azioni legislative per una maggiore efficienza energetica negli edifici. La sua efficacia sarà valutata analizzandone il ruolo nel promuovere la realizzazione degli obiettivi principali dell’Unione dell’energia ma, in quanto si concentra sul patrimonio edilizio, merita di essere considerato essenziale anche il suo contributo agli obiettivi sociali ed economici (in particolare la riduzione della povertà energetica, la salvaguardia dell’accessibilità economica degli alloggi e il potenziale di riduzione dei costi energetici).

1.2.

Il CESE giudica pertanto prioritario che la direttiva contenga proposte più specifiche per affrontare il problema della povertà energetica. Fra tali proposte rientrano indicazioni più chiare circa il necessario contenuto delle definizioni nazionali di povertà energetica, una definizione di riferimento rispetto alla quale valutare se il piano nazionale si basa o meno su approcci globali e infine una consulenza e un coordinamento delle misure attraverso un’agenzia o «sportello unico» indipendenti e orientati al consumatore.

1.3.

Il CESE ritiene che gli Stati membri, nei rispettivi piani nazionali, dovranno puntare agli obiettivi più ambizioni definiti nell’opzione alternativa III (come presentata dalla Commissione europea nella valutazione di impatto che accompagna il documento in esame) rispettando nel contempo l’approccio legislativo dell’opzione II, che costituisce la base delle revisioni presentate nella direttiva. Ciò sarà necessario per creare una traiettoria di lungo termine in grado di soddisfare gli obiettivi e le aspirazioni dell’Accordo di Parigi

1.4.

Si raccomanda che le strategie nazionali di ristrutturazione edilizia siano sostenute da questa direttiva mediante l’obbligo di proporre obiettivi settoriali specifici e una metodologia di riferimento per misurare i progressi compiuti. Andrebbero inoltre definiti, attraverso orientamenti rigorosi, livelli minimi di rendimento in termini di efficienza energetica nella ristrutturazione di edifici pubblici e commerciali.

1.5.

La proposta di direttiva non coglie l’opportunità di incoraggiare i mutui ipotecari «verdi», i sistemi di teleriscaldamento basati sulle energie rinnovabili, le misure per lo stoccaggio dell’energia negli edifici residenziali e commerciali, il miglioramento della formazione per gli installatori e le imprese di ristrutturazione e altre misure di assistenza tecnica, finanziaria e di bilancio in grado di favorire una più ampia efficienza energetica degli edifici. Sebbene tali misure siano sostenute altrove, l’approccio di basso profilo adottato nella direttiva all’esame può giustificarsi soltanto se incoraggia la flessibilità e permette un’azione ambiziosa. Il CESE sollecita la Commissione a seguire attentamente l’attuazione e l’efficacia della direttiva e ad essere pronta a intervenire rapidamente nell’utilizzo del meccanismo di aggiornamento e revisione previsto dalla proposta di regolamento sulla governance.

1.6.

Andrebbero adottate ulteriori misure per favorire la comparabilità dei metodi di calcolo per gli attestati di prestazione energetica (APE) in tutti gli Stati membri, cosa che a sua volta consentirebbe di paragonare più facilmente gli APE.

1.7.

Occorre inoltre proporre ulteriori modi per incentivare i proprietari di alloggi popolari privati e non comunali a investire nel rinnovo del vecchi edifici.

1.8.

L’indicatore di intelligenza proposto in modo generico deve illustrare la capacità, da parte degli occupanti di un edificio, non solo di valutare l’efficienza energetica, ma anche di controllare e facilitare la produzione e il consumo di energia propria da fonti rinnovabili, nonché di ridurre le bollette energetiche.

1.9.

Il CESE raccomanda in modo particolare di riconoscere la capacità degli enti locali di stimolare e coordinare i programmi di efficienza energetica e fa osservare il potenziale sempre maggiore del Patto dei sindaci a questo proposito.

1.10.

Il Comitato sottolinea la necessità di incoraggiare la costruzione e la ristrutturazione degli edifici, un settore in cui le PMI rappresentano l’83 % dei posti di lavoro complessivi (OCSE: Small Businesses, Job Creation and Growth).

1.11.

Il CESE osserva che, senza innovazione, non sarà possibile aumentare il rendimento energetico degli edifici. L’UE sta perdendo la leadership nelle tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio e rappresenta attualmente meno del 15 % dei posti di lavoro in questo settore. Occorre compiere uno sforzo in materia di formazione, al fine di adeguare le competenze richieste per tali settori altamente specializzati.

1.12.

L’iniziativa «Finanziamenti intelligenti per edifici intelligenti», il cui campo di applicazione si collega agli obiettivi del piano Juncker, è un passo in avanti che il Comitato accoglie con favore.

2.   Introduzione

2.1.

La direttiva fa parte del Pacchetto «Energia pulita per tutti gli europei,» il cui obiettivo è di concretizzare l’Unione dell’energia e di rendere i cittadini maggiormente consapevoli del fatto che la transizione verso l’energia pulita è il settore della crescita per il futuro. L’energia negli edifici rappresenta il 40 % del totale dell’energia impiegata nell’UE. Si continuano a fare passi avanti significativi nell’efficienza energetica degli edifici, sia nelle nuove costruzioni che nell’adeguamento di edifici esistenti. In parte ciò è stato stimolato da quindici anni di interventi legislativi a livello dell’UE, tuttavia rimangono ancora aperte notevoli opportunità per migliorare l’efficienza e per garantire altri vantaggi sociali.

2.2.

Nonostante il progresso tecnico, la disponibilità di dati giustificativi pertinenti e l’uso di fondi pubblici attraverso appositi strumenti finanziari, non vi sono stati miglioramenti significativi nel tasso esistente di patrimonio edilizio: il 75 % degli edifici nell’UE continua infatti ad essere inefficiente sotto il profilo energetico.

2.3.

L’impatto climatico globale e la volontà di consolidare la politica europea in materia di energia hanno reso più urgente la ricerca di una soluzione, tuttavia alcune questioni fondamentali e complesse rimangono irrisolte e si sarebbero potuti prevedere ulteriori progressi. Senza un’azione del genere, sarà molto difficile rispettare gli obiettivi energetici e climatici previsti per il 2030 e il 2050. Esiste il potenziale per ridurre il consumo di energia negli edifici tra il 5 % e il 6 % e far scendere le emissioni di CO2 di circa il 5 %. Tuttavia, con un tasso annuo di ristrutturazione/miglioramento del patrimonio edilizio che oscilla solo tra lo 0,4 % e l’1,2 % è chiaramente necessario dare un’accelerata al processo.

2.4.

La direttiva all’esame modifica il testo precedente del 2010 sullo stesso argomento, che a sua volta costituisce una rifusione della direttiva del 2002. La rifusione effettuata nel 2010 ha apportato modifiche alquanto sostanziali al testo del 2002. In particolare, si riconosce l’importanza crescente del ruolo dell’efficienza energetica per quanto concerne il settore edilizio e il suo contributo alla realizzazione di obiettivi politici, si tiene conto dei progressi nelle conoscenze tecniche, il che ha permesso di effettuare adeguamenti alla luce di otto anni di esperienza pratica, e viene sottolineata l’assoluta necessità di regolarizzare e migliorare l’approccio degli Stati membri a questo problema.

2.5.

La proposta di revisione all’esame, pur rendendo il testo notevolmente più breve rispetto alla direttiva precedente, adotta la stessa impostazione. In particolare, prevede l’integrazione di strategie di ristrutturazione a lungo termine degli edifici, l’uso di tecnologie intelligenti in campo edilizio e la semplificazione delle norme vigenti. La proposta fa seguito ad un approfondito riesame della direttiva del 2010 e ad una valutazione d’impatto dettagliata sulle possibili azioni ulteriori. L’opzione di migliore impatto, vale a dire l’opzione strategica III, è stata respinta principalmente per i costi che comporta a breve termine, per gli impatti sulla sussidiarietà e per motivi di realismo politico, privilegiando un livello inferiore di risultati potenziali: l’opzione strategica II.

2.6.

Tuttavia, tutte le parti interessate desiderano conseguire miglioramenti ambiziosi. Il settore garantisce 18 milioni di posti di lavoro diretti e contribuisce al PIL dell’UE per circa il 9 %; la sfida è quella di equilibrare l’accessibilità economica e le richieste del mercato degli immobili residenziali e commerciali con gli obiettivi sociali e climatici

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

La direttiva consta di una serie di modifiche che rafforzano le attuali disposizioni della direttiva 2010/31/UE semplificandone taluni aspetti. I punti principali sono i seguenti:

la definizione di «sistemi tecnici per l’edilizia» viene estesa per includere gli aspetti relativi alle tecnologie di edilizia intelligente e alle infrastrutture per l’elettromobilità,

le disposizioni sulle strategie nazionali di ristrutturazione a lungo termine di cui alla direttiva sull’efficienza energetica del 2012 vengono incluse nella direttiva all’esame,

gli Stati membri sono tenuti ad elaborare una tabella di marcia con tappe e misure chiare per riuscire a decarbonizzare il parco immobiliare nazionale secondo l’obiettivo a lungo termine previsto per il 2050, con tappe precise fissate entro il 2030. Questo contribuisce inoltre ad alleviare la povertà energetica,

per incoraggiare gli investimenti, gli Stati membri adottano misure per aggregare i progetti, ridurne i rischi e permettere finanziamenti pubblici onde stimolare i fondi del settore privato e gestire problemi ai quali il mercato non fa fronte,.

gli Stati membri possono fissare requisiti affinché gli edifici non residenziali siano dotati di sistemi di automazione e controllo,

gli Stati membri possono fissare requisiti affinché gli edifici residenziali con sistemi tecnici per l’edilizia centralizzati siano dotati di dispositivi di monitoraggio elettronico continuo e dispongano di funzionalità di controllo efficaci ai fini di una produzione, di una distribuzione e di un consumo ottimali dell’energia,

gli Stati membri adottano le misure necessarie per prescrivere ispezioni periodiche delle parti accessibili dei sistemi di condizionamento d’aria negli edifici non residenziali e in quelli residenziali con un sistema tecnico per l’edilizia centralizzato,

gli Stati membri hanno l’obbligo di fornire ai proprietari o ai locatari degli edifici informazioni sugli attestati di prestazione energetica, le loro finalità e i loro obiettivi, nonché sui metodi per migliorare, a costi contenuti, la prestazione energetica degli edifici,

sono previste norme per garantire che l’installazione di infrastrutture (o di punti) di ricarica dei veicoli elettrici sia obbligatoria per gran parte degli edifici di nuova costruzione e per alcuni di quelli in fase di ristrutturazione,

le modifiche ai sistemi tecnici per l’edilizia dovranno essere registrate, valutate e rese disponibili,

si propone di elaborare un «indicatore d’intelligenza» per completare le informazioni esistenti in materia di efficienza degli edifici,

viene riconosciuto un legame specifico tra le misure finanziarie disponibili per la ristrutturazione degli immobili e il grado di efficienza energetica che si ottiene.

4.   Osservazioni generali e particolari

4.1.

Il CESE accoglie favorevolmente l’attenzione costante rivolta all’efficienza energetica degli edifici, ma esprime particolare preoccupazione per il fatto che la povertà energetica, individuata dal Comitato nei suoi precedenti pareri (1) e ampiamente riconosciuta come una questione di grande rilevanza sociale, non viene adeguatamente affrontata.

4.2.

È necessario un approccio più ampio e ambizioso. Gli obiettivi di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni già fissati dall’UE e l’entrata in vigore dell’accordo estremamente ambizioso di Parigi nell’ottobre 2016 richiedono un’azione più incisiva, in particolare poiché l’esperienza delle direttive precedenti, inadeguatamente recepite, sta lì ad indicare che gli edifici restano un settore sensibile.

4.3.

Il Comitato esprime alcune riserve circa la scelta dell’opzione strategica II (riportata nella valutazione d’impatto) come base per portare avanti questa modifica normativa. Sebbene l’opzione III implichi un’azione obbligatoria ad un livello sostanzialmente superiore ai costi ottimali (una posizione che il CESE non può condividere), è chiaro che l’ambizione significativamente maggiore dell’opzione III, che presenta un impatto 2-3 volte maggiore sul clima, l’efficienza e gli obiettivi sociali, sarà probabilmente necessaria per creare una traiettoria di lungo termine in grado di soddisfare gli obiettivi e le aspirazioni dell’Accordo di Parigi. Di conseguenza gli Stati membri, nei rispettivi piani nazionali, dovranno puntare agli obiettivi più ambizioni definiti nell’opzione alternativa III (come presentata dalla Commissione europea nella valutazione di impatto che accompagna il documento in esame) rispettando nel contempo l’approccio legislativo dell’opzione II.

4.4.

Da una recente analisi delle strategie di ristrutturazione degli edifici degli Stati membri emerge una situazione generalmente positiva (JRC 2016: Relazione di sintesi sulla valutazione delle strategie degli Stati membri in materia di ristrutturazione degli edifici). Il settore è coperto dalla direttiva sull’efficienza energetica; tuttavia, attualmente non esiste uno standard comune di ciò che costituisce la «ristrutturazione». Sarebbe molto utile includere nella direttiva l’obbligo di proporre obiettivi settoriali specifici e una metodologia di riferimento per misurare i progressi compiuti, con un livello di soglia che fa scattare il sostegno alla «ristrutturazione». Insieme a questi obiettivi, è opportuno indicare orientamenti rigorosi per raggiungere livelli minimi di rendimento in termini di efficienza energetica nella ristrutturazione di edifici pubblici e commerciali.

4.5.

La direttiva estende i requisiti per una banca dati nazionale in relazione agli attestati di prestazione energetica; in tale contesto un sistema europeo di dati messi a disposizione dei cittadini, contenenti dati nazionali anonimi relativi alle strategie nazionali di ristrutturazione, sarebbe utile e potrebbe essere collegato alla piattaforma di rendicontazione per via elettronica proposta nel regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia. Inoltre, la direttiva dovrebbe presentare orientamenti vincolanti sul confronto dei metodi di calcolo, che a loro volta faciliterebbero la comparazione degli APE.

4.6.

Sebbene non vi sia alcun motivo per cui i piani nazionali non debbano coprire questo settore, la direttiva non propone ulteriori modi per incoraggiare i proprietari privati e quelli non comunali di case popolari a investire nella ristrutturazione di vecchi immobili. Se i locatari pagano direttamente le bollette energetiche, i proprietari spesso ritengono di non avere alcun interesse economico a migliorare l’efficienza energetica degli edifici. In alcuni paesi, il settore degli immobili in affitto comprende una parte considerevole del patrimonio immobiliare. La prestazione energetica degli edifici ha un impatto significativo sull’accessibilità economica dell’edilizia abitativa e sulla povertà energetica, pertanto è essenziale disporre degli strumenti finanziari a sostegno della ristrutturazione. Il più delle volte i comuni, i proprietari e le loro associazioni hanno diritto a un prestito per effettuare complesse migliorie in termini di efficienza delle abitazioni. Tuttavia, le condizioni contrattuali e finanziarie proibitive e le difficoltà di accesso al credito creano ostacoli per molti cittadini.

4.7.

La promozione di mutui ipotecari «verdi» costituisce una misura che dovrebbe trovare sostegno nell’ambito della direttiva. È inoltre importante facilitare il raggruppamento in quadri più ampi dei programmi su scala ridotta basati sulle migliori pratiche in materia di ristrutturazione e di efficienza, consentendo l’applicazione di pacchetti di finanziamenti.

4.8.

La strategia in materia di riscaldamento e raffreddamento del 2016 (COM(2016) 51 final), ha rivolto particolare attenzione ai risparmi che si possono realizzare mediante la ristrutturazione e la sostituzione di sistemi di teleriscaldamento, in combinazione con le energie rinnovabili. Il teleriscaldamento e le soluzioni urbane vengono generalmente considerati come una componente infrastrutturale del sistema edilizio, e pertanto servono incentivi ad hoc affinché ciò venga considerato nella pianificazione urbana mediante una presa di posizione chiara nella direttiva all’esame.

4.9.

Va osservato che gli obiettivi energetici e climatici sono connessi alle tecnologie energetiche a basso tenore di carbonio (LCE) e ad una maggiore sostenibilità degli edifici, in modo da soddisfare gli obiettivi di efficienza energetica. Questi ultimi fanno sempre più affidamento sulle tecnologie abilitanti fondamentali nei materiali avanzati (acciaio, metalli non ferrosi, vetro, plastica ecc.) e senza l’innovazione non sarà possibile aumentare le prestazioni energetiche degli edifici. Circa il 5 % dei materiali avanzati prodotti attualmente sono utilizzati in tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio e in edifici più sostenibili, e questi mercati sono in rapido sviluppo.

4.10.

L’UE sta perdendo la leadership nelle tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio e rappresenta attualmente meno del 15 % dei posti di lavoro nel settore (circa 1 100 000 posti di lavoro diretti e indiretti). Nel settore dei materiali avanzati necessari per queste tecnologie, l’Unione inoltre si trova di fronte ad una crescente concorrenza globale e senza un’adeguata politica di sviluppo tecnologico e di risposta alle richieste del mercato, continuerà a perdere innovazione ed ad assistere all’abbandono delle proprie industrie manifatturiere. Non va dimenticata nemmeno la formazione nell’ambito delle nuove competenze richieste per tali settori altamente specializzati.

4.11.

Il CESE è favorevole alla diffusione dell’elettromobilità ai fini di una maggiore decarbonizzazione dell’economia, ma nutre dubbi sulla reale esigenza di misure così dettagliate, sull’impatto queste ultime in termini di accessibilità economica degli alloggi e degli edifici commerciali, e sulla libertà di scelta delle pubbliche autorità in merito alla realizzazione dell’elettromobilità. Un altro settore importante e complementare, quello relativo allo stoccaggio dell’energia, sebbene venga menzionato nella relazione introduttiva al documento in esame, non viene elaborato nella direttiva, anche se può rivelarsi una tecnologia di rapido sviluppo e a prezzi accessibili.

4.12.

Analogamente, la crescita evidente della produzione decentrata di energie da fonti rinnovabili crea opportunità per integrare le misure di efficienza energetica negli edifici non collegati alla rete del gas e per passare alle energie rinnovabili nel settore del riscaldamento e raffreddamento. Questo aspetto merita di essere espressamente incoraggiato.

4.13.

Le modifiche riguardanti il miglioramento dell’impegno a rendere intelligenti gli edifici (siano essi pubblici, commerciali e residenziali) sono di scarsa importanza e dovrebbero essere più specifiche e più ambiziose.

4.14.

La proposta di un «indicatore d’intelligenza» per misurare la capacità di utilizzare le TIC e i sistemi elettronici per ottimizzare il funzionamento e la sua interazione con la rete deve essere meglio precisata ma il principio viene accolto con favore. L’obiettivo dovrebbe essere quello di elaborare un indicatore trasparente e significativo, che aggiunga valore agli APE, ma che eviti di imporre inutili raccolte di dati o oneri analitici. L’indicatore deve illustrare la capacità degli occupanti dell’edificio non solo di valutare l’efficienza energetica, ma anche di controllare e facilitare la produzione e il consumo di energia propria da fonti rinnovabili, nonché di ridurre le bollette energetiche.

4.15.

La povertà energetica è una questione che dovrebbe essere affrontata definendo le tappe fondamentali per l’individuazione dei progressi compiuti in materia di decarbonizzazione del parco immobiliare. Tuttavia, la direttiva non definisce un quadro strategico per lo sviluppo di un approccio alla povertà energetica che sia efficace sotto il profilo dei costi (non dimentichiamo che una delle cause della povertà energetica è l’inefficienza energetica degli edifici residenziali). Il CESE ritiene che tale obiettivo possa rientrare nelle competenze della direttiva all’esame e propone di includere una nuova serie di modifiche su questo tema, relative ai pertinenti articoli della direttiva del 2012. Ciò andrebbe a sostegno del requisito, contenuto nella proposta di regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, di affidare agli Stati membri il compito di valutare e precisare misure e azioni strategiche per affrontare la povertà energetica.

4.16.

Pertanto, il CESE raccomanda che la direttiva indichi dei criteri da inserire in una definizione del concetto di povertà energetica, e suggerisca al tempo stesso la sua propria definizione di riferimento. Gli Stati membri non sarebbero obbligati ad adottare tale definizione per fini interni, ma verrebbero così stabiliti criteri rispetto ai quali gli stessi Stati membri sarebbero tenuti a presentare una relazione nell’ambito dei loro piani nazionali per l’energia e il clima. L’esistenza di una definizione ha permesso ad alcuni paesi di valutare i progressi compiuti (o la mancanza di essi) nel combattere la povertà energetica, ma il CESE riconosce che la natura assai composita del problema potrebbe rendere necessario dare la priorità a specifici fattori nazionali.

4.17.

Di conseguenza, il CESE esorta gli Stati membri ad adottare un approccio totalmente coordinato in materia di povertà energetica, tenendo conto fra l’altro del ruolo e dell’efficacia che derivano non solo dall’efficienza energetica degli edifici, ma anche dagli interventi finanziari (comprese le tariffe sociali e i metodi di riduzione della povertà), dalla consulenza ai consumatori sulla scelta del fornitore e delle tariffe e infine dalle informazioni relative alle semplici azioni di risparmio energetico. Al fine di massimizzare l’efficienza e l’efficacia, è fondamentale che la fornitura di consulenza e il coordinamento delle misure avvengano per il tramite di un’agenzia o di uno «sportello unico» indipendenti ed orientati al consumatore.

4.18.

Vari studi e relazioni indipendenti da parte della Commissione hanno indicato il grado variabile di velocità e di efficacia con cui gli Stati membri attuano i requisiti della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia. Tra gli aspetti citati figurano:

i problemi di recepimento e interpretazione, che la Commissione continua a cercare di risolvere attraverso meccanismi di attuazione. Ad alcuni Stati membri si chiede di riconoscere maggiormente la centralità dell’efficienza energetica negli edifici per quanto concerne gli obiettivi in materia di energia e clima e l’impegno a favore di strategie nazionali di ristrutturazione. Il CESE esorta la DG ENER a mantenere il suo controllo vigile sull’attuazione e a continuare ad agire rapidamente nell’invocare procedure d’infrazione,

la qualità e la comparabilità degli attestati di prestazione energetica (APE). Sarebbe utile armonizzare in modo specifico i requisiti dell’UE concernenti i certificatori e gli esperti qualificati e introdurre controlli di qualità per gli APE. Far sì che gli APE forniscano maggiori informazioni tecniche e raccomandazioni di miglioramento sarebbe un altro aspetto da considerare,

il CESE constata che, poiché la direttiva proposta subordina la concessione di incentivi finanziari agli APE, tali incentivi potranno essere corrisposti esclusivamente a posteriori, una volta effettuata la comparazione tra l’APE precedente e quello successivo ai lavori. Si tratta di una soluzione controproducente in termini di efficienza energetica, dato che le ristrutturazioni che dipendono dalle sovvenzioni non verranno eseguite se il proprietario non è sicuro di ricevere la sovvenzione prima che inizino i lavori,

l’uso dei fondi strutturali e di investimento europei, in particolare i fondi della politica di coesione. Nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo regionale, una percentuale minima delle risorse finanziarie sarà destinata alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori, però l’impiego di tutti questi fondi a favore dell’efficienza energetica nell’edilizia varia notevolmente tra un paese e l’altro. Esistono chiari orientamenti interpretativi, ma è necessario creare ulteriori incentivi all’uso di tali finanziamenti,

il sostegno alla formazione tecnica specifica nella ristrutturazione degli edifici, in particolare tra le PMI, che rappresentano oltre il 90 % delle imprese di costruzione europee.

4.19.

Il Comitato osserva che nel periodo di programmazione 2014-2020, i fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), e in particolare i fondi della politica di coesione, sono chiamati a svolgere un ruolo importante per quanto riguarda la ristrutturazione e la costruzione di edifici. Attualmente, vi sono molti ostacoli da superare, soprattutto l’accesso limitato ai finanziamenti, gli elevati costi iniziali, periodi di ammortamento relativamente lunghi, una maggiore percezione del rischio di credito associata agli investimenti nelle energie sostenibili e infine le altre priorità per i proprietari di immobili ecc. (Commissione europea: Orientamenti tecnici — Finanziare la ristrutturazione energetica degli edifici con i fondi della politica di coesione). L’iniziativa «Finanziamenti intelligenti per edifici intelligenti» è un passo positivo per superare alcuni di questi problemi ed è possibile attingere alle ambizioni del piano Juncker per sbloccare maggiori investimenti in questo settore.

4.20.

Stabilire le corrette priorità e responsabilità per le amministrazioni locali è in questo senso fondamentale per garantire che con l’uso delle risorse programmatiche disponibili si ottenga il massimo impatto e si possa andare al di là dei requisiti minimi (ad esempio i requisiti di rendimento energetico, gli audit energetici ecc.) stabiliti a livello di Stati membri; inoltre il livello di finanziamento fornito dovrebbe aumentare in funzione del grado di ambizione.

4.21.

Il CESE sottolinea in modo particolare le potenzialità del Patto dei sindaci al riguardo. Ora, con più di 7 000 comuni coinvolti, i firmatari si impegnano ad adottare le necessarie misure in materia di efficienza energetica e di energie rinnovabili attraverso l’adozione di «Piani d’azione per l’energia sostenibile» (SEAP). La mobilitazione delle città, all’interno delle quali è presente la maggior parte del nostro patrimonio edilizio, è un’iniziativa locale con un impatto mondiale.

4.22.

Le finalità della direttiva sono state generalmente accolte con favore dalla maggioranza delle parti interessate di tutto il settore edilizio e dai rappresentanti dei proprietari e degli inquilini, che si tratti di immobili commerciali o residenziali. Tuttavia, è necessario uno spirito di collaborazione, dialogo e impegno positivo per effettuare ulteriori passi avanti in materia di efficienza energetica oltre a quelli già compiuti.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  GU C 341 del 21.11.2013, pag. 21, GU C 424 del 26.11.2014, pag. 64, GU C 82 del 3.3.2016, pag. 22, GU C 34 del 2.2.2017, pag. 78.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (rifusione)»

[COM(2016) 767 final — 2016/0382 (COD)]

(2017/C 246/09)

Relatore:

Lutz RIBBE

Correlatore:

Stefan BACK

Consultazione

Parlamento europeo, 1.3.2017

Consiglio europeo, 6.3.2017

Base giuridica

Articolo 194 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

11.4.2017

Adozione in sessione plenaria

26.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

108/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di revisione della direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. In combinazione con le altre proposte del cosiddetto «Pacchetto inverno», quella per lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili (FER) svolge un ruolo decisivo ai fini del conseguimento degli obiettivi dell’Unione europea dell’energia e di quelli dell’UE in materia di protezione del clima, nonché dell’obiettivo dell’Unione europea di diventare nuovamente leader mondiale nel campo delle FER. L’UE mira a portare la quota di consumo energetico finale rappresentata dall’energia da fonti rinnovabili al 27 % entro il 2030.

1.2.

Ai fini del conseguimento degli obiettivi di protezione del clima e della riduzione della dipendenza dalle importazioni, un «obiettivo del 27 %» ha soltanto un’utilità limitata. Vero è che tale obiettivo deve essere considerato in congiunzione con altre misure (quali ad esempio l’aumento dell’efficienza energetica) volte a ridurre le emissioni di CO2, per cui in effetti potrebbe essere sufficiente, in particolare se le disposizioni in materia di governance inducessero gli Stati membri ad adottare le ulteriori misure eventualmente necessarie; tuttavia, se si considera l’obiettivo del 27 % in rapporto all’aspirazione dell’UE a svolgere il ruolo di leader mondiale nel campo delle FER e si tiene conto che, secondo la Commissione, senza una revisione della direttiva la quota del consumo finale di energia costituita da rinnovabili raggiunta nel 2030 sarebbe già del 24,7 %, è lecito chiedersi se tale obiettivo sia sufficientemente ambizioso.

1.3.

Il CESE ribadisce il suo rammarico per il fatto che la proposta in esame, pur dettando disposizioni in materia di pianificazione e monitoraggio nel quadro del sistema di governance dell’Unione dell’energia, non fissi obiettivi nazionali vincolanti.

1.4.

Il CESE condivide, nella sostanza, l’idea che le rinnovabili debbano misurarsi con il mercato. A suo avviso, infatti, un sovvenzionamento permanente — sia esso destinato ai combustibili fossili, al nucleare o alle FER — è fuori questione per tutta una serie di motivi.

1.5.

Tuttavia, l’energia da fonti rinnovabili potrà essere introdotta con successo sui mercati dell’elettricità soltanto se si saranno create condizioni di parità per tutte le fonti di energia. Se oggi le energie da fonti rinnovabili hanno ancora bisogno di un sostegno pubblico, lo si deve in larga misura al fatto che la produzione di energia convenzionale è fortemente sovvenzionata. È quindi indispensabile che vengano eliminate le attuali distorsioni a danno delle rinnovabili, ad esempio attraverso una combinazione tra tassazione dell’energia e sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) che tenga conto della totalità dei costi esterni (cfr. il parere del CESE — non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale — in merito alla revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia). Il CESE sottolinea che tutto questo può e deve essere realizzato al minimo costo supplementare possibile per i consumatori o per le imprese.

1.6.

La nuova politica in materia di energia dovrebbe essere imperniata su tre «D»: decentramento, digitalizzazione e democratizzazione. Per le rinnovabili bisogna anche riorganizzare il mercato in modo da adeguarlo alle strutture decentrate di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

1.7.

Il CESE appoggia lo sviluppo, proposto dalla Commissione, di strutture di mercato decentrate e intelligenti, ma chiede che si dia assai più vigorosa attuazione all’invito della Commissione stessa a porre i consumatori e i cittadini al centro della politica energetica europea. Lo sviluppo di nuove strutture di mercato intelligenti potrebbe liberare il potenziale «rivoluzionario» offerto, secondo la Commissione, dalla transizione energetica, in modo da massimizzare i benefici sociali e regionali.

1.8.

Il CESE si compiace del fatto che si riconosca che i prosumatori sono attori di primo piano del nuovo mercato dell’energia: il rafforzamento del ruolo attivo dei consumatori — grandi e piccoli — e dei cittadini costituisce, infatti, un passo in avanti verso la democrazia energetica. Le opportunità che vengono loro offerte nella proposta rappresentano già un certo progresso rispetto alla situazione attuale, ma non sono assolutamente sufficienti, ad esempio per quanto riguarda il diritto esigibile di accedere e utilizzare la rete pubblica o le reti elettriche. Purtroppo, quindi, la proposta in esame si può considerare soltanto una prima tappa sul lungo cammino ancora da percorrere per liberare il vero potenziale sociale, economico e regionale racchiuso nei mercati orientati ai prosumatori.

1.9.

Il CESE sottolinea l’importanza di creare e sviluppare rapidamente reti intelligenti, in modo da garantire la stabilità e la sicurezza dell’approvvigionamento e l’integrazione settoriale mediante il raccordo alla rete, anche a livello micro, della produzione combinata di calore ed elettricità, della conversione dell’elettricità in gas e dei veicoli elettrici, consentendo così un agevole svolgimento degli scambi tra pari, affinché i prosumatori possano partecipare pienamente al mercato dell’energia elettrica su un piano di parità.

1.10.

La digitalizzazione offrirà ai prosumatori la possibilità di partecipare non soltanto alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ma anche al suo commercio. Il CESE, pertanto, raccomanda vivamente di formulare in materia un diritto positivo adeguato.

1.11.

Il potenziale offerto all’economia regionale dalle fonti di energia rinnovabili, e in particolare dalle bioenergie (compresi i carburanti alternativi), è sì menzionato nei considerando, ma non viene poi preso in considerazione nel testo legislativo vero e proprio. Manca una strategia adeguata che colleghi le rinnovabili allo sviluppo economico regionale. Inoltre, non viene riconosciuta l’importanza delle città, dei comuni e delle regioni, come anche delle PMI, in quanto forze motrici della transizione verso le fonti di energia rinnovabili.

1.12.

La connessione che si rende possibile tra la nuova politica energetica e lo sviluppo regionale non è importante soltanto per l’economia regionale. La partecipazione dei soggetti locali pertinenti a progetti energetici decentrati, infatti, è importante anche per favorire l’accettazione da parte dell’opinione pubblica: che un parco eolico sia di proprietà di un fondo internazionale di private equity o di soggetti locali può non fare alcuna differenza ai fini della protezione del clima o della sicurezza energetica, ma è fondamentale per la sua accettazione da parte dei cittadini.

1.13.

La povertà energetica è un problema sociale, che deve essere affrontato nel quadro della politica sociale. Il CESE richiama l’attenzione sul potenziale finora non sfruttato che il connubio tra la produzione di energia termica ed elettrica a partire da FER, il risparmio energetico, lo spostamento del carico e il prosumerismo offre per affrontare questo problema. Lo sfruttamento di tale potenziale presuppone che si trovino soluzioni per finanziare gli investimenti iniziali, ad esempio attraverso fondi sociali o strumenti di investimento, e si intervenga in maniera sistematica per eliminare le barriere che ostacolano l’accesso al capitale. Ogni cittadino e ogni consumatore europeo dovrebbe essere messo in condizione di diventare un prosumatore.

1.14.

Nel titolo della direttiva proposta si parla di «promozione» delle rinnovabili, ma nel suo testo non si fa alcun riferimento a strumenti specifici di sostegno. Senonché, se si vuol garantire la sicurezza degli investimenti, è indispensabile dettare regole perspicue e appropriate. Pertanto, le comunità energetiche e i prosumatori hanno bisogno di un regime di sostegno specifico, chiaro e preciso; e il CESE chiede che, per garantire la massima certezza giuridica e attirare così gli investimenti, siano aggiornate le norme vigenti in materia di aiuti di Stato.

1.15.

Il CESE accoglie con favore l’obiettivo di promuovere le fonti di bioenergia e i carburanti alternativi sostenibili, ma si rammarica che le disposizioni in merito contenute nella proposta siano, in alcuni casi, non abbastanza flessibili da consentire un adeguamento alle circostanze locali per quanto concerne l’impiego delle materie prime e dei materiali residui. Nell’abbandonare gradualmente i biocarburanti non sostenibili, occorre evitare di creare «attività irrecuperabili» (sunken assets).

2.   Osservazioni generali sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili

2.1.

Secondo il CESE, le FER possono apportare all’Unione europea i quattro vantaggi fondamentali di seguito indicati. Nella sua proposta di direttiva, tuttavia, la Commissione fa riferimento soltanto a due di tali vantaggi, talora peraltro in maniera eccessivamente vaga.

a)    Mitigazione dei cambiamenti climatici

2.2.

Le rinnovabili svolgono un ruolo determinante nel realizzare l’obiettivo di decarbonizzare, più o meno completamente, il sistema energetico europeo. Tuttavia, per far questo devono essere soddisfatte due condizioni:

sono necessari progressi significativi in termini di efficienza energetica (cfr. il parere del CESE in merito alla revisione della direttiva sull’efficienza energetica),

i trasporti e il settore del riscaldamento e del raffreddamento svolgono un ruolo di primo piano nella riduzione delle emissioni di gas serra. Utilizzare energia elettrica proveniente al 100 % da fonti rinnovabili contribuirà in misura rilevante a rendere più sostenibili i settori del riscaldamento e della mobilità. In quest’ottica sono particolarmente importanti le proposte sulla connessione dei veicoli elettrici alla rete elettrica, la regolamentazione in materia di produzione combinata di calore e di energia elettrica nonché di conversione dell’elettricità in gas, e lo sviluppo delle reti intelligenti (1).

b)    Sicurezza dell’approvvigionamento

2.3.

Le rinnovabili recheranno un contributo indispensabile alla sicurezza dell’approvvigionamento e ridurranno la dipendenza dalle importazioni di energia, a condizione che se ne coordini la produzione e l’utilizzo, come anche l’adeguamento della domanda. A tal fine sono però necessari incentivi specifici, e il CESE dubita che le misure di sostegno previste nella proposta in esame e in quelle sull’assetto del mercato dell’energia elettrica siano sufficienti: dato il problema della produzione di energia da FER «a costi marginali pari a zero», probabilmente si renderà necessario adottare ulteriori misure.

c)    Superamento della povertà energetica

2.4.

La curva dei costi per le rinnovabili è in costante discesa, le FER sono più economiche che mai e il loro prezzo è ormai talmente basso che esse potrebbero contribuire già ora in maniera costruttiva a ridurre il problema della povertà energetica. E sviluppare il prosumerismo rappresenta un’opzione molto efficace in tal senso. Ad esempio, uno studio del Centro comune di ricerca (JRC Scientific and policy reports — Cost Maps for Unsubsidised Photovoltaic Electricity) indica che, già nel 2014, per l’80 % degli europei l’elettricità autogenerata da fonte solare era meno costosa di quella proveniente dalla rete. Tuttavia, la Commissione non ha ancora elaborato una strategia appropriata per sfruttare questa opzione (cfr. il parere del CESE sul nuovo assetto del mercato dell’energia elettrica e gli impatti potenziali sui consumatori vulnerabili).

2.5.

Accedere al capitale necessario è particolarmente difficile per le categorie a basso reddito, ragion per cui è necessario fornire un sostegno adeguato. Questo aspetto non viene affrontato nella direttiva in esame né nel Pacchetto inverno, anche se è pertinente all’obiettivo della Commissione mettere i cittadini al centro della politica energetica, nello spirito degli articoli 17 e 21 della direttiva stessa.

2.6.

In tale contesto, il CESE ritiene che sia opportuno esaminare tutte le opzioni percorribili per consentire a tutti i cittadini, nella misura del possibile, di partecipare attivamente, a condizioni eque, all’«economia dell’energia». Ciò significa anche consentire specialmente agli impianti di piccole dimensioni e ai microimpianti di beneficiare dei finanziamenti a titolo del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) o di qualsiasi altro strumento di investimento. Se i consumatori a basso reddito potessero accedere al capitale necessario per installare impianti decentrati per la produzione di energia da fonti rinnovabili, potrebbero diventare prosumatori. I sistemi di misurazione del consumo netto, applicati in alcuni Stati membri — e in particolare in Italia, nei Paesi Bassi e in Belgio (Vallonia), Polonia e Slovenia — consentono di alleggerire direttamente i costi, il che, a sua volta, potrebbe alleviare il problema della povertà energetica.

d)    Valore aggiunto regionale

2.7.

Le fonti di energia rinnovabili sono, per loro natura, risorse regionali che ormai tutti avrebbero le possibilità tecniche di sfruttare. Questo vantaggio è particolarmente importante nelle regioni con infrastrutture carenti, dove occorre sviluppare nuove opportunità di valore aggiunto, e a giusto titolo la Commissione vi fa riferimento a più riprese nei considerando.

2.8.

Generare valore aggiunto regionale, tuttavia, significa coinvolgere in modo strategico e consapevole i soggetti interessati locali e regionali nei processi economici, consentendo loro di contribuire ad adattarli alle proprie esigenze e quindi di partecipare allo sviluppo economico. Tale coinvolgimento produce come ricaduta positiva non solo un maggiore consenso nei confronti dello sviluppo delle infrastrutture necessarie, ma anche il contributo al loro cofinanziamento.

2.9.

Il CESE, tuttavia, lamenta l’assenza di una strategia chiara tesa a creare un collegamento tra lo sviluppo regionale e la diffusione delle FER. Gli Stati membri avrebbero dovuto definire strategie di questo tipo già in seguito all’adozione dell’attuale direttiva sulle FER, ma così non è stato.

3.   Osservazioni generali sulla proposta di direttiva

3.1.

Il CESE sostiene da sempre gli sforzi profusi dalla Commissione affinché l’UE torni ad essere leader mondiale nel campo delle energie rinnovabili. In effetti, molte delle proposte vanno nella direzione giusta (è il caso, ad esempio, della prevedibilità dei quadri di sostegno, compresa l’esclusione di misure retroattive), anche se vi è il rischio che le tre carenze fondamentali in appresso indicate possano continuare a interferire nello sviluppo delle FER.

a)    L’adeguatezza degli strumenti di sostegno

3.2.

La proposta di direttiva si basa sugli obiettivi definiti dal Consiglio europeo dell’ottobre 2014 e aggiorna la precedente quota-obiettivo, ossia il 20 % del consumo finale di energia entro il 2020, portandola a un 27 % da raggiungere entro il 2030, dunque con un aumento di meno di un punto percentuale all’anno. Senza una revisione della direttiva, nel 2030 l’UE raggiungerebbe una quota pari a circa il 24,7 %, per cui l’obiettivo è quello di conseguire un ulteriore 2,3 %.

3.3.

Questo lento tasso di incremento, però, potrebbe comportare in seguito la necessità di aumentare in misura esponenziale la quota di rinnovabili da raggiungere tra il 2030 e il 2050, se si vogliono realizzare gli obiettivi fissati nella tabella di marcia per l’energia per il 2050 (COM(2011) 885 final). E le misure necessarie a questo scopo potrebbero comportare costi economici supplementari. In ogni caso, lo sviluppo delle FER dovrebbe essere attentamente monitorato, sì da consentire l’adozione delle misure correttive nel modo più tempestivo ed economico possibile;

3.4.

La conclusione della valutazione d’impatto della direttiva proposta (SWD(2016) 418 final) è che, a quadro giuridico costante, si renderà necessario adottare delle misure di sostegno almeno fino al 2030. Ad avviso del CESE, quindi, la direttiva proposta dovrebbe anche delineare in modo assai chiaro tali regimi di sostegno, che verrebbero così attuati rapidamente ed efficacemente; essa, tuttavia, non vi provvede affatto.

3.5.

«Attuare» i meccanismi di sostegno è compito degli Stati membri, i quali li devono applicare nel rispetto delle norme dell’UE sugli aiuti di Stato. Senonché l’attuale diritto dell’UE in materia lascia loro margini di manovra estremamente limitati, ragion per cui è necessario e urgente provvedere a modificarlo.

3.6.

Le norme europee vigenti in materia di aiuti di Stato hanno infatti comportato, tra l’altro, una riduzione drastica degli strumenti di sostegno che finora si erano dimostrati efficaci, quali l’immissione prioritaria nella rete e le tariffe di riacquisto, di cui facevano largo impiego soprattutto i piccoli operatori e i nuovi attori del mercato. Nuovi strumenti, ad esempio gare d’appalto, rappresentano in alcuni casi degli ostacoli quasi insormontabili per i prosumatori, le comunità energetiche e altri attori del mercato.

3.7.

Le misure di promozione previste nella proposta riguardano principalmente la struttura del mercato e alcune disposizioni generali sulla necessità di strumenti di sostegno stabili conformi alle norme in materia di aiuti di Stato. Ma tutto ciò, da solo, non è sufficiente. È quindi essenziale, secondo il CESE, che. a) il regolamento generale di esenzione per categoria in relazione agli aiuti di Stato [regolamento (CE) n. 800/2008]; e b) gli attuali orientamenti riguardanti gli aiuti di Stato in materia ambientale per il periodo 2014-2020 siano riveduti con urgenza al fine di garantirne la compatibilità con gli obiettivi della proposta, in particolare per quanto riguarda le esigenze dei prosumatori e delle PMI.

3.8.

Così, ad esempio, la deroga per i piccoli progetti (punti 125 e 127 dei suddetti orientamenti) deve essere ampliata, e i valori corrispondenti devono essere sanciti nella direttiva sulle FER al fine di garantire assoluta chiarezza.

3.9.

Il CESE dubita dell’efficacia di una soluzione consistente nell’introdurre quote per l’accesso ai regimi di sostegno per impianti in altri Stati membri, in particolare alla luce dell’obiettivo di promuovere la produzione decentrata di energia da fonti rinnovabili e lo sviluppo economico regionale.

b)    Le distorsioni del mercato ostacolano le rinnovabili

3.10.

Il messaggio dell’intero Pacchetto inverno non potrebbe essere più chiaro: la filosofia della Commissione è che d’ora in avanti — o almeno il più presto possibile — le rinnovabili dovranno misurarsi con il mercato. Tuttavia, questo approccio, in sé lodevole, risulterà problematico finché non si sarà provveduto a correggere due distorsioni fondamentali attualmente presenti nel mercato. Innanzitutto, a) le centrali elettriche che utilizzano risorse fossili continuano a beneficiare di sovvenzioni nazionali dirette; inoltre, b) l’internalizzazione dei costi esterni è ancora assolutamente inadeguata. Pertanto, l’elettricità prodotta da centrali a combustibili fossili o trasformando altre forme di energia ottenute a partire da risorse fossili gode di un vantaggio sistematico rispetto all’energia da fonti rinnovabili, che genera costi esterni nulli o del tutto marginali. Il Fondo monetario internazionale stima che le sovvenzioni all’energia «sporca» ammontino, a livello mondiale, a 5 300 miliardi di dollari statunitensi (USD) all’anno; per l’UE si calcola che esse siano nell’ordine di 330 miliardi di USD all’anno.

3.11.

Sebbene queste distorsioni del mercato a danno dell’energia da fonti rinnovabili siano ben note da anni, e nonostante le promesse di porre fine a tale disparità di condizioni, ciò che è stato fatto è ben poco. Tra le lacune da colmare che ostacolano lo sviluppo delle rinnovabili, questa è senz’altro la principale.

3.12.

Di recente, inoltre, sono state stranamente sollevate delle critiche per le pretese distorsioni del mercato che sarebbero causate dalle misure di sostegno alle energie rinnovabili. Sono critiche che non hanno alcun fondamento: il fatto che continui a essere necessario sostenere le energie rinnovabili è in gran parte dovuto proprio al sovvenzionamento della produzione di energia convenzionale. In altri termini, se si ponesse fine alle sovvenzioni alla produzione di energia nelle centrali a combustibili fossili, creando quindi reali condizioni di parità, gran parte del sostegno fornito alle energie rinnovabili non sarebbe più necessario. Il CESE ribadisce la sua posizione secondo cui occorre creare, anche mediante strumenti di economia di mercato, condizioni di parità che eliminino le distorsioni del mercato e facciano sì che le energie rinnovabili non siano più svantaggiate (cfr. il parere del CESE in merito alla revisione della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia).

c)    Il mercato dell’elettricità attuale non è adatto alle rinnovabili

3.13.

In passato, il settore dell’energia è stato caratterizzato da un numero relativamente basso di impianti, ciascuno dei quali con un’elevata capacità di produzione. Un sistema energetico improntato sulle energie rinnovabili è caratterizzato invece da impianti più piccoli e decentrati.

3.14.

Il CESE si è già espresso in merito a possibili nuovi approcci per organizzare gli scambi di energia elettrica nei sistemi decentrati, come ad esempio l’«approccio cellulare» (2). Essi si basano sul principio secondo cui anche i piccoli operatori dovrebbero essere in grado di comunicare direttamente gli uni con gli altri e di commerciare energia. Si tratta quindi non soltanto di migliorare le possibilità di produzione, ma anche di partecipare agli scambi.

3.15.

Queste operazioni tra pari consentirebbero ad ampie fasce della società di partecipare non soltanto alla produzione e all’autoconsumo, ma anche alla gestione attiva degli impianti energetici minori e di livello regionale, aprendo così opportunità di creare valore completamente nuove. Tra queste ultime figura anche l’integrazione tra settori, perché in molti casi l’energia impiegata per il riscaldamento e quella utilizzata per la mobilità sono beni locali prodotti e consumati in piccole unità.

3.16.

Il CESE fa presente che, a causa di ostacoli amministrativi e di una generale mancanza di regolamentazione, al momento attuale le operazioni tra pari sono impossibili in molti Stati membri. La proposta in esame e quella sull’assetto del mercato dell’energia elettrica dovrebbero cambiare tale situazione, ma il CESE constata gravi carenze in entrambe queste proposte.

3.17.

L’apertura dei mercati dell’energia elettrica alle operazioni tra pari in tutta l’UE contribuirebbe a liberare l’enorme potenziale sociale ed economico offerto dalle rinnovabili. Ignorando questo aspetto, e dunque non tenendo conto neanche di ostacoli molto concreti quali ad esempio le soglie per il commercio di energia, la Commissione ha perso un’importante occasione di migliorare nettamente la situazione dei cittadini, dei piccoli e grandi prosumatori e delle PMI europei sul mercato dell’elettricità, di consentire alle entità di maggiori dimensioni di esportare «soluzioni energetiche» verso i mercati extraeuropei e, in generale, di rendere meglio accetta alla società questa transizione energetica.

4.   Osservazioni specifiche sul testo della direttiva

a)    Mancanza di obiettivi nazionali vincolanti

4.1.

Il Comitato ribadisce la sua critica (3) al fatto che, diversamente dalla direttiva del 2009, la nuova direttiva non definisca più alcun obiettivo nazionale vincolante. Il Comitato nutre ancora dei dubbi circa il fatto che il previsto processo di governance possa «motivare» gli Stati membri contrari all’introduzione di obiettivi nazionali vincolanti a svolgere un ruolo più propositivo. Nella proposta non è previsto alcuno strumento specifico che consenta di intervenire se l’obiettivo del 27 % non viene raggiunto (cfr. il parere del CESE sulla governance dell’Unione dell’energia). Il CESE prende tuttavia atto della responsabilità collettiva prevista all’articolo 3 della proposta in esame, dal momento che, conformemente alla proposta di regolamento sulla governance, sono previste sanzioni finanziarie se tali obiettivi non sono raggiunti collettivamente nei piani nazionali integrati per l’energia e il clima. In che modo ciò sarà messo in atto, però, resta ancora da chiarire.

b)    Mancanza di una strategia per lo sviluppo regionale

4.2.

La Commissione riconosce, ad avviso del CESE, l’importanza di una partecipazione attiva dei soggetti locali e regionali interessati, in termini sia di accettazione delle politiche intraprese che di ricadute sull’economia regionale. Le prevista crescita della mobilità elettrica schiuderà, da sola, nuove ed enormi opportunità per l’economia regionale, a condizione che il necessario sviluppo delle infrastrutture di generazione e di distribuzione sia costantemente imperniato su modelli di gestione decentrata (4).

4.3.

Questo contribuirebbe inoltre al raggiungimento dell’obiettivo di abbassare il più possibile il costo di utilizzo delle rinnovabili per i contribuenti e per i consumatori. A tal fine, però, non ci si deve basare sui soli prezzi dell’elettricità, bensì su una prospettiva economica generale a livello nazionale e regionale. Ad esempio, occorre tener conto della creazione di posti di lavoro a livello regionale (cfr. il considerando 49). Il CESE sottolinea la tendenza, tutt’oggi diffusa in numerosi Stati membri: a) a imporre oneri inutili e ingiustificati sull’energia prodotta e consumata localmente, e b) a non considerare minimamente gli aspetti regionali.

4.4.

In molti casi, inoltre, la regolamentazione vigente negli Stati membri non tiene conto dei costi della rete e del sistema. Il CESE è convinto che, in ultima analisi, le soluzioni decentrate riducano i costi della rete e del sistema, e al riguardo condivide il punto di vista espresso dalla Commissione nel considerando 52.

4.5.

Il suddetto considerando è ripreso dalla direttiva 2009/28/CE, pur non avendo mai spinto, in questi anni, gli Stati membri a elaborare corrispondenti strategie regionali specifiche. Il CESE ha già avuto modo di osservare (nella relazione finale del suo studio sul ruolo della società civile nell’attuazione della direttiva UE sulle energie rinnovabili, intitolato «Cambiare il futuro dell’energia: la società civile protagonista nella generazione di energia rinnovabile») che in molti Stati membri i regolamenti e i programmi di sostegno non fanno alcun riferimento agli aspetti locali e regionali, e che molti governi e amministrazioni nazionali adducono persino a giustificazione la legislazione europea. Al riguardo, quindi, è necessaria una maggiore specificità. Pur creando le condizioni formali per il decentramento e lo sviluppo regionale, la proposta non impone alcun obbligo di attuare una strategia coerente in questo senso. Il CESE ritiene che indicare dei principi senza corroborarli sul piano giuridico non sia un modo efficace di legiferare.

4.6.

Al fine di chiarire meglio il tenore del considerando 49, la Commissione dovrebbe precisare, nell’articolato, che cosa si intende quando si afferma che «la Commissione e gli Stati membri dovrebbero pertanto sostenere le azioni di sviluppo nazionali e regionali … e promuovere il ricorso ai fondi strutturali in tale settore». Anche il contenuto del considerando 50 risulta vago quando recita che: «è necessario tener conto dell’impatto positivo sullo sviluppo a livello regionale e locale, sulle prospettive di esportazione, sulla coesione sociale e sulla creazione di posti di lavoro, in particolare per quanto riguarda le PMI e i produttori indipendenti di energia». Infine, con riferimento al considerando 52 («… consentire lo sviluppo delle tecnologie decentrate per la produzione di energia da fonti rinnovabili a condizioni non discriminatorie e senza ostacolare il finanziamento degli investimenti nelle infrastrutture»), il CESE si compiace che sia riconosciuto il valore degli approcci decentrati, ma reputa anche che sul punto occorrano chiarimenti e precisazioni sostanziali.

c)    Necessità di regole più chiare sul prosumerismo e sui diritti dei consumatori

4.7.

Il CESE accoglie favorevolmente il fatto che venga data una definizione quantomeno parziale di «teleriscaldamento», «autoconsumatore di energia rinnovabile», «autoconsumo di energia rinnovabile», «PMI» e «comunità produttrici/consumatrici di energia» (articolo 21), e apprezza quindi che tali concetti siano riconosciuti come termini giuridici pertinenti ai fini della politica energetica e della regolamentazione. In passato, la mancanza di chiarezza nella terminologia ha creato notevole incertezza in materia di investimenti. Vi sono, tuttavia, due problemi. In primo luogo, manca ancora una chiara definizione di prosumerismo, e nel Pacchetto inverno le definizioni proposte non sono sempre applicate in maniera coerente. In secondo luogo, il contenuto giuridico della direttiva non offre gli strumenti adatti per tradurre realmente in pratica questi concetti. Lo sviluppo di norme siffatte dipende da un’attuazione efficace, e il CESE si rammarica del fatto che la Commissione non proponga orientamenti chiari al riguardo.

4.8.

Per quanto concerne la questione degli autoconsumatori di energia rinnovabile:

il CESE accoglie con favore le disposizioni in materia di cui all’articolo 21 (paragrafi da 1 a 3). Tuttavia, tali norme potrebbero rimanere prive di effetto se nell’articolo non si spiegherà in maniera esaustiva che cosa si intende quando si afferma che gli autoconsumatori sono «autorizzati a praticare l’autoconsumo e a vendere […] le eccedenze di produzione di energia elettrica rinnovabile senza essere soggetti a procedure sproporzionate e oneri che non tengono conto dei costi». Sarebbe opportuno integrare il riferimento ai loro diritti in quanto consumatori con un rimando al capo III della proposta di direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica, che stabilisce i diritti specifici concretamente attribuiti ai consumatori di elettricità autogenerata e i modi in cui questi possono esercitarli, in particolare per quanto riguarda il diritto di ricorrere alle operazioni tra pari.

La Commissione, ad esempio, dovrebbe chiarire anche che l’autoconsumo di energia elettrica senza l’utilizzo dell’infrastruttura dovrebbe essere esente da imposte e tasse, come l’autoconsumo di energia termica.

Le disposizioni secondo cui, a determinate condizioni, gli autoconsumatori non vanno considerati alla stregua dei fornitori di energia «tradizionali» vanno nella direzione giusta, ma devono essere rese più precise. «Autoconsumo» e «fornitura», infatti, sono in primo luogo due cose differenti. Le soglie indicate nella proposta di direttiva sono troppo basse. Basandosi su modelli imprenditoriali reali — e tenendo conto di quanto disposto per i piccoli progetti dai punti 125 e 127 degli orientamenti vigenti per gli aiuti di Stato — le soglie adeguate sarebbero di 20 MWh (6 000 MWh per l’energia eolica) per le famiglie e di 1 000 MWh (36 000 MWh per l’eolica) per le persone giuridiche.

La disposizione secondo cui gli autoconsumatori devono essere remunerati al valore di mercato per l’elettricità che immettono nella rete richiede una definizione del termine «valore di mercato». Non è corretto che tale valore sia determinato sulla base del livello dei prezzi del mercato all’ingrosso, finché il mercato sarà distorto dalle sovvenzioni alla produzione di energia a partire da combustibili fossili. Inoltre, la remunerazione in questione dovrebbe tener conto anche delle condizioni del sistema nel suo complesso (ad esempio per quanto concerne la capacità di carico della rete), in modo da incentivare gli autoconsumatori ad accumulare energia in maniera «utile al sistema» o a differire il carico.

Il CESE accoglie con favore la disposizione di cui al paragrafo 2, che disciplina la fornitura a edifici singoli, in quanto pone fine a una profonda ingiustizia che si protrae ormai da anni.

4.9.

Per quanto riguarda i requisiti amministrativi e le autorizzazioni, il CESE osserva che le intenzioni alla base degli articoli 15 e 16 sono sostanzialmente corrette, ma rileva che il testo proposto presenta una serie di problemi. In primo luogo, il termine «dispositivi decentrati» di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera d), è troppo vago e va quindi definito con precisione. In secondo luogo, gli Stati membri non riescono praticamente mai a raggiungere l’obiettivo di mettere le comunità produttrici/consumatrici su un piano di parità con i grandi operatori del mercato, e in molti casi questa loro incapacità è dovuta alla loro interpretazione delle norme sugli aiuti di Stato. Tale parità, pertanto, non sarà raggiunta fino a quando le norme relative ai progetti di piccole dimensioni, all’autoconsumo e al prosumerismo non saranno rese più chiare. La Commissione deve intervenire con urgenza per porvi rimedio. In terzo luogo, il testo proposto agli articoli 15 e 16 si riferisce unicamente alla produzione. Affinché operatori quali le comunità produttrici/consumatrici abbiano pieno accesso al mercato e, soprattutto, siano in grado di effettuare operazioni tra pari, vi è bisogno di procedure semplificate per lo stoccaggio, il commercio e l’autoconsumo di elettricità.

4.10.

Per quanto concerne le garanzie di origine, il testo dell’articolo 19 della proposta non tiene sufficientemente conto del fatto che il mercato non funziona come dovrebbe. Mentre la normativa proposta è volta a far sì che le scelte dei consumatori incentivino lo sviluppo di capacità in materia di energie rinnovabili, l’attuale legislazione dell’UE consente le offerte ingannevoli di «elettricità verde». I fornitori sono cioè autorizzati a utilizzare le garanzie di origine per ammantarsi di un’immagine «ecologica», pur continuando a produrre, acquistare e vendere energia elettrica da fonti non rinnovabili. La futura legislazione dell’UE dovrebbe incaricare le autorità nazionali di regolamentazione di stabilire requisiti vincolanti per tutti gli operatori del mercato che offrono tariffe di «elettricità verde», e i fornitori dovrebbero documentare i benefici ambientali aggiuntivi derivanti da tali tariffe. Invece, l’attuale proposta della Commissione potrebbe accrescere la confusione dei consumatori e aumentare eccessivamente l’offerta di garanzie di origine. Inoltre, le comunità di prosumatori che commercializzano direttamente la loro energia elettrica dovrebbero essere esentate dall’obbligo di indicarne l’origine, dato che questa è già chiaramente riconoscibile come «civica» per il fatto stesso che l’energia è da loro prodotta o di loro proprietà.

d)    Obiettivi più ambiziosi e maggiore flessibilità per i biocombustibili e i carburanti alternativi

Biocarburanti

4.11.

Il CESE reputa che l’approccio delle proposte nei confronti dei biocarburanti sia troppo rigido. Se è vero che occorre attenersi all’obiettivo di non incidere sulla produzione alimentare, è però altrettanto importante consentire un utilizzo ottimale delle risorse disponibili. Il CESE ribadisce pertanto la necessità di sviluppare biocarburanti non derivati da prodotti agricoli — o comunque da un uso del suolo che interferisca con la produzione alimentare — bensì ricavati da altre fonti quali i prodotti residui, i sottoprodotti e i rifiuti, anche forestali (cfr. il parere del CESE sulla decarbonizzazione dei trasporti (5)). Il CESE, inoltre, sottolinea che qualsiasi misura di abolizione graduale dovrebbe essere attuata in modo tale da evitare il più possibile «attività irrecuperabili».

4.12.

Nel suo parere del 17 aprile 2013 sui cambiamenti indiretti della destinazione dei terreni e i biocarburanti (6) il CESE chiedeva quale contributo quantitativo potessero dare i «biocarburanti avanzati», e a quale costo. Queste domande sono tuttora senza risposta.

4.13.

Il Comitato ha altresì sottolineato che l’aumento della coltivazione e dell’impiego di oleaginose nel quadro di un’agricoltura particolarmente sostenibile (colture miste) potrebbe aprire la strada ad alcune applicazioni assai utili, ad esempio per quanto concerne il funzionamento delle macchine agricole e forestali. Tuttavia, questo è un altro settore in cui la Commissione sembra non avere ancora una vera e propria strategia, e la proposta di direttiva in esame non risolve il problema.

4.14.

Il CESE reputa importante che si possa mantenere una certa flessibilità riguardo alla riduzione dei biocarburanti, dei biocombustibili liquidi e dei combustibili da biomassa prodotti a partire da colture alimentari o foraggere, purché essi soddisfino i criteri di sostenibilità di cui all’articolo 27 della direttiva proposta.

4.15.

Il CESE è nettamente favorevole all’introduzione degli obblighi posti dall’articolo 26, paragrafo 5, al fine di garantire una silvicoltura sostenibile, e raccomanda di riformulare la definizione di «permesso di raccolta» di cui all’articolo 2, lettera jj), onde includervi tutte le forme giuridicamente valide di autorizzazione a raccogliere la biomassa forestale.

La mobilità elettrica (elettromobilità)

4.16.

Nel fissare la quota per i combustibili alternativi, la direttiva non tiene adeguato conto del grande potenziale di crescita insito nell’elettromobilità. Quest’ultima sta ormai diventando una necessità, visto il rapido aumento della quota di energie rinnovabili nella produzione elettrica, in quanto offre flessibilità e, se attuata in modo appropriato da un punto di vista strategico, può svolgere un ruolo importante nello sviluppo di strutture di prosumazione.

4.17.

Al di là della quota per i combustibili alternativi, per il 2030 si potrebbe fissare, anche per motivi di politica industriale e regionale e per porre fine alla dipendenza energetica dell’Europa, una quota-obiettivo del 10-20 % per l’elettromobilità che utilizza l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Inoltre, è importante che i criteri di sostenibilità di cui all’articolo 27, relativi alla quota massima di energie rinnovabili nel consumo finale di energia, siano applicati anche al settore dei trasporti, onde evitare restrizioni eccessive all’impiego dei biocarburanti in quel settore.

e)    Nuovi impulsi a favore delle rinnovabili nel settore del riscaldamento e del teleriscaldamento

In merito al gas e al riscaldamento:

4.18.

la proposta, di cui all’articolo 23, di aumentare di almeno 1 punto percentuale ogni anno la quota di energia da fonti rinnovabili per il riscaldamento e il raffrescamento non è sufficiente: se vogliamo raggiungere gli obiettivi perseguiti in materia di clima, bisognerà fissare percentuali molto più ambiziose.

4.19.

L’obbligo — di cui all’articolo 20, paragrafo 1 — di valutare la necessità di estendere l’infrastruttura di rete del gas per agevolare l’integrazione del gas prodotto a partire da fonti energetiche rinnovabili è effettivamente opportuno, ma occorre tener presente che anche il gas è un combustibile fossile disponibile in quantità limitata. Al riguardo, si rimanda al parere del CESE sulla sicurezza dell’approvvigionamento di gas (7). Nella definizione dei criteri di valutazione bisogna tener conto dell’aspetto dell’integrazione settoriale.

4.20.

Il CESE accoglie con favore le disposizioni degli articoli 20, paragrafo 3, e 24, volte a rafforzare i sistemi di teleriscaldamento, in quanto rappresentano strumenti importanti per sviluppare l’integrazione settoriale, combattere la povertà energetica e rilanciare l’economia regionale. Al tempo stesso, il CESE rileva che, nel quadro dell’attuale legislazione dell’UE, le soluzioni urbane o regionali integrate spesso non funzionano a causa delle regolamentazioni nazionali.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 151.

(2)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 13 e GU C 34 del 2.2.2017, pag. 78.

(3)  GU C 291 del 4.9.2015, pag. 8.

(4)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 78.

(5)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 56.

(6)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 56.

(7)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 70.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Energia pulita per tutti gli europei»

[COM(2016) 860 final]

(2017/C 246/10)

Relatore:

Ulrich SAMM

Correlatore:

Toni VIDAN

Consultazione

Commissione europea, 17.2.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

11.4.2017

Adozione in sessione plenaria

26.4.2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

136/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto Energia pulita, volto ad accelerare, trasformare e consolidare la transizione dell’economia dell’UE verso l’energia pulita, pur mantenendo gli importanti obiettivi della crescita economica e della creazione di posti di lavoro.

1.2.

In base a tale pacchetto, i cittadini devono essere al centro dell’Unione dell’energia, e ciò significa che essi vanno coinvolti attivamente nel processo di transizione, in particolare con una politica che crei le condizioni generali adatte a garantire prezzi dell’energia accessibili per tutte le componenti della società, comprese le categorie più vulnerabili. Il CESE condivide questi principi, ma teme che le proposte normative contenute nel pacchetto non siano sufficientemente specifiche per attuarli.

1.3.

Il CESE desidera sottolineare il fatto che i benefici dell’«energia pulita» non riguarderanno soltanto il clima globale, ma anche la qualità dell’aria a livello locale, rendendo così l’ambiente migliore e più sano per tutti.

1.4.

Il pacchetto in esame è uno degli elementi che dovranno concorrere ad adempiere gli impegni assunti dall’UE con l’accordo di Parigi del 2015 in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici. In quest’ottica, le tecnologie per le fonti rinnovabili di energia e i prodotti e servizi per l’efficienza energetica assumeranno un’importanza cruciale, considerato che siamo ancora ben lontani da condizioni di parità che consentirebbero alle energie rinnovabili di sopravvivere senza un sostegno specifico.

1.5.

Il CESE accoglie con favore i diversi elementi del pacchetto riguardanti il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici, la progettazione ecocompatibile, il mercato dell’elettricità e i trasporti, che costituiscono dei passi nella direzione giusta. Tuttavia, è preoccupato che, benché il pacchetto costituisca un importante passo avanti, enormi sforzi siano ancora necessari per raggiungere condizioni di parità soddisfacenti per tutti i soggetti che partecipano al mercato dell’energia e al tempo stesso per far sì che si continui ad avanzare verso un’economia basata sull’energia senza emissioni di carbonio.

1.6.

Il CESE si compiace per le previsioni ottimistiche delineate nel pacchetto, nel quale si prospetta uno scenario alquanto positivo in termini di aumento della produzione industriale — grazie alle energie rinnovabili e a tecnologie efficienti sotto il profilo energetico — e di numero di posti di lavoro che si potrebbero creare. Il CESE, tuttavia, sottolinea anche che sussistono gravi rischi e pericoli, soprattutto se la transizione procederà in modo troppo rapido o troppo lento e senza una pianificazione integrata. Occorre insomma considerare adeguatamente sia le opportunità che i rischi.

1.7.

L’immenso compito consistente nel trasformare l’economia di regioni che oggi dipendono in gran parte dall’industria del carbone merita, in particolare, una disamina assai più approfondita di quella svolta nel pacchetto in esame.

1.8.

Il Consiglio europeo ha fissato per il 2030 un obiettivo di almeno il 27 % per la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo energetico dell’UE. Tale obiettivo è vincolante a livello UE ma non sarà tradotto in obiettivi vincolanti a livello nazionale. Il CESE si rammarica del fatto che in questo momento non vi sia alcun consenso tra gli Stati membri in merito a una politica energetica comune e in particolare agli obiettivi nazionali. La Commissione intende risolvere questo problema introducendo un sistema di governance dei piani nazionali integrati per l’energia e il clima al quale gli Stati membri si impegneranno a contribuire.

1.9.

Il CESE reputa che la proposta relativa alla governance sia la parte di più difficile attuazione, ma anche di più cruciale importanza nell’ambito del pacchetto Energia pulita. Il Comitato nutre profonda preoccupazione riguardo al regolamento proposto. Il contenuto finale dei piani nazionali e dei contributi degli Stati membri dipende da un accordo soddisfacente con la Commissione, da raggiungere attraverso consultazioni, l’atteggiamento dei cittadini, l’influenza dell’opinione pubblica e la pressione tra pari. In particolare, non vi è alcuna descrizione dettagliata delle «misure» di cui la Commissione dispone, come la piattaforma finanziaria, se gli obiettivi di carattere generale non sono raggiunti.

1.10.

«Mettere l’efficienza energetica al primo posto» è un principio fondamentale della proposta, che il CESE approva senza riserve. Tuttavia, l’efficienza energetica è uno strumento per modernizzare l’economia europea, non un mezzo per alleviare la povertà energetica. Suggerire altrimenti è fuorviante perché l’efficienza energetica richiede investimenti che i consumatori vulnerabili possono non essere in grado di fare.

1.11.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione istituisca ora un Osservatorio della povertà energetica, come raccomandato dal CESE già nel 2013. Questa iniziativa potrebbe essere cruciale per mettere in campo un approccio pienamente coordinato che consenta di affrontare la povertà energetica in diversi modi, ad esempio con tariffe sociali, misure di mitigazione della povertà, consigli ai consumatori o soluzioni di efficienza energetica.

1.12.

Il CESE è preoccupato per la base finanziaria del pacchetto in un clima di austerità delle politiche pubbliche e di bassi tassi di crescita in tutta l’UE, e si chiede se gli strumenti UE previsti (e il loro effetto leva) siano sufficienti per raggiungere gli obiettivi.

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere riguarda il pacchetto Energia pulita per tutti gli europei nel suo insieme, mentre una serie di altri pareri (TEN/617, 618, 619, 620, 621, 622, 623, 625 e NAT/702) riguarda parti specifiche di tale pacchetto, relative alle varie proposte legislative concernenti l’efficienza energetica, le energie rinnovabili, l’assetto del mercato dell’energia elettrica, la sicurezza dell’approvvigionamento e le norme di governance per l’Unione dell’energia.

2.2.

Il pacchetto Energia pulita era stato originariamente previsto non come un pacchetto, bensì come una serie di proposte. Tuttavia, dato che tali proposte sono strettamente legate tra loro, il CESE da un lato si compiace che sia stato deciso di riunirle in un unico pacchetto, ma dall’altro deplora le dimensioni stesse di tale pacchetto, che, constando di un migliaio di pagine, rende difficile per i cittadini e la società civile esaminare e discutere in maniera approfondita la proposta.

2.3.

È importante tener presente che il progetto dell’Unione dell’energia è in corso da tempo e che pacchetti di misure (ad esempio in materia di sicurezza delle forniture di gas) sono già stati adottati in passato — fortemente indotti dalle preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici e alla sicurezza dell’approvvigionamento di combustibile.

2.4.

Il pacchetto Energia pulita riguarda tutte e cinque le dimensioni principali dell’Unione europea dell’energia:

sicurezza energetica,

mercato interno dell’energia,

efficienza energetica,

decarbonizzazione,

ricerca, innovazione e competitività.

2.5.

La comunicazione Energia pulita per tutti gli europei serve anche a fornire una visione o narrazione per l’Unione dell’energia.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il pacchetto in esame è volto ad accelerare la transizione verso l’energia pulita, pur mantenendo gli importanti obiettivi della crescita economica e della creazione di posti di lavoro in Europa. Le ragioni principali alla base dell’elaborazione del pacchetto sono:

la stipula del primo accordo mondiale (Parigi 2015) sulla mitigazione dei cambiamenti climatici, entrato in vigore il 4 novembre 2016. L’adempimento degli ambiziosi impegni assunti dall’UE dipende in larga misura dal buon esito della transizione verso un sistema basato sull’energia pulita,

il settore dell’energia riveste un’importanza centrale per lo sviluppo dell’economia europea. Di conseguenza, l’efficienza energetica svolge un ruolo cruciale nel dare impulso ad altri settori dell’economia. Lo sviluppo di tecnologie per le energie rinnovabili e di prodotti e servizi per l’efficienza energetica ha portato alla creazione di nuove imprese, mentre altri modelli imprenditoriali del settore dell’energia incontrano crescenti difficoltà. Per la politica dell’UE, è di cruciale importanza conseguire una creazione netta di nuovi posti di lavoro di alta qualità e sostenere il successo delle imprese dell’UE,

un altro obiettivo fondamentale è quello di far sì che i benefici della transizione verso un sistema basato sull’energia pulita raggiungano tutti i cittadini dell’UE. Si tratta di una sfida importante, considerate le grandi disparità esistenti tra gli Stati membri e la necessità di includere tutte le componenti della società, comprese le categorie più vulnerabili.

3.2.

Il CESE sostiene questa strategia generale, come risulta da una serie di pareri adottati in precedenza su questi temi (1).

3.3.

Il CESE accoglie con favore questo pacchetto di proposte normative e misure di facilitazione intese ad accelerare, trasformare e consolidare la transizione dell’economia dell’UE verso l’energia pulita. Il Comitato si compiace in particolare per il fatto che i settori del riscaldamento, del raffreddamento e dei trasporti godano adesso della medesima considerazione della produzione di elettricità.

3.4.

La comunicazione della Commissione Energia pulita per tutti gli europei delinea uno scenario ottimistico, con prospettive alquanto positive in termini di aumento della produzione industriale e di numero di posti di lavoro che si potrebbero creare. Il Comitato ne prende atto, e reputa che questi segnali positivi debbano senz’altro essere inviati all’esterno al fine di mantenere vivo lo slancio in quello che per alcuni costituisce un difficile processo di transizione.

3.5.

D’altro canto, però, il CESE desidera anche sottolineare che la transizione energetica rappresenta una grossa sfida per l’Europa, che comporta anche gravi rischi e pericoli, specialmente se tale processo viene attuato in modo troppo rapido o troppo lento e senza una programmazione integrata. Un particolare motivo di preoccupazione sono le grandi disparità — economiche e politiche — esistenti tra gli Stati membri, che dovrebbero essere affrontate dal nuovo regolamento in materia di governance. Il CESE è convinto che la transizione energetica possa avere successo soltanto se si prendono nella dovuta considerazione le opportunità ma anche i rischi che essa comporta.

4.   La governance dell’Unione europea dell’energia: una questione fondamentale

4.1.

Mentre gli Stati membri si sono impegnati ad apportare i contributi nazionali all’efficienza energetica e alla quota di energia da fonti rinnovabili da conseguire entro il 2020, non esistono valori indicativi di riferimento corrispondenti per il 2030.

4.2.

Il Consiglio europeo ha fissato per il 2030 un obiettivo di almeno il 27 % per la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo energetico dell’UE. Tale obiettivo è vincolante a livello UE, ma non sarà immediatamente tradotto in obiettivi vincolanti a livello nazionale. Il CESE chiede che siano adottate misure forti per sostenere gli Stati membri che perseguono gli obiettivi più ambiziosi.

4.3.

La proposta di regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia (che forma l’oggetto specifico del parere TEN 617) stabilisce adesso i requisiti per i piani nazionali integrati per l’energia e il clima (National Energy and Climate Plans — NECP) — intesi a sostituire i piani separati per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili — e una procedura semplificata per adottarli e monitorarli. Quella della governance, con le sue implicazioni per i requisiti vincolanti sulle azioni sovrane nazionali, è una questione delicata, anche e soprattutto in materia di energia, dove le condizioni e le posizioni politiche degli Stati membri sono molto diverse.

4.4.

Il CESE nutre profonde preoccupazioni circa la capacità del processo di governance di imporre e produrre risultati concreti. Anziché affidarsi a regole chiare, si fa eccessivo affidamento sulle consultazioni e sulla pressione tra pari. Sono necessari ulteriori chiarimenti circa il modo in cui la Commissione può imporre agli Stati membri di «adottare le misure necessarie» qualora rilevi il rischio di un divario, a livello sia di ambizioni che di attuazione, specialmente per quanto riguarda le fonti di energia rinnovabili e l’efficienza energetica. In particolare, è necessaria maggiore chiarezza sulla natura e sul funzionamento della «piattaforma di finanziamento» intesa come una sorta di sanzione nel caso di eventuali carenze nella fornitura di energia da fonti rinnovabili.

4.5.

Segnatamente, il CESE rileva con rammarico che la «consultazione pubblica» prevista dal regolamento proposto dalla Commissione non riveste alcun carattere specifico e rimane ben al di sotto di quell’ampio «dialogo europeo per l’energia» (DEE) che il CESE aveva proposto. Per conquistare la fiducia e ottenere il coinvolgimento attivo dei cittadini, un tale dialogo dovrebbe essere indipendente dai governi e dal processo relativo ai NECP. Esso dovrebbe offrire un punto di riferimento per l’informazione dei consumatori, aiutare i fornitori di energia a impegnarsi e a consolidare la fiducia, e veicolare le numerose preoccupazioni delle diverse categorie riguardo alla sicurezza energetica, all’accessibilità dei prezzi dell’energia e alla sostenibilità.

4.6.

In linea con il principio di sussidiarietà, e al fine di beneficiare appieno della natura flessibile e decentrata dell’efficienza energetica e delle tecnologie per le fonti rinnovabili, una parte sempre maggiore della politica energetica e del relativo processo decisionale dovrebbe essere trasferita dagli Stati membri ai livelli di governo locale e regionale. Unione europea, Stati membri ed enti locali e regionali — in cooperazione con la società civile organizzata, in grado di garantire un forte coinvolgimento della comunità e dei cittadini — dovrebbero agevolare tale trasferimento e assicurarsi che sia accelerato e attuato in maniera coordinata, sì da offrire i maggiori vantaggi possibili per i consumatori e le comunità.

5.   L’efficienza energetica offre un enorme potenziale di risparmio energetico

5.1.

Migliorare l’efficienza energetica in tutti i campi (produzione di energia, industria manifatturiera e trasporti, elettricità, riscaldamento, raffreddamento e mobilità) è di capitale importanza per il futuro sistema energetico europeo. Il CESE accoglie con favore il fatto che l’efficienza energetica sia oggetto di maggiore attenzione nelle politiche dell’UE e che le nuove iniziative includano ora anche il riscaldamento, il raffreddamento e i trasporti, come da tempo invocato dal CESE (cfr. anche il parere TEN/618 in merito alla direttiva sull’efficienza energetica).

5.2.

Il miglioramento dell’efficienza energetica — anche se realizzato al livello più ambizioso — non è in grado, da solo, di risolvere i problemi connessi ai cambiamenti climatici, alla sicurezza dell’approvvigionamento o alla povertà energetica. Esso può, tuttavia, costituire un mezzo efficace per attenuare tali problemi. Una maggiore efficienza può ridurre il consumo energetico e quindi frenare o invertire la tendenza all’aumento dei costi dell’energia, anche in caso di rincari delle tariffe.

5.3.

È importante notare che gli aumenti di efficienza energetica dipendono sempre dagli investimenti. Di conseguenza, una maggiore efficienza non necessariamente comporta un minor costo per i consumatori o per le imprese, come si afferma invece a più riprese nella comunicazione in esame: è vero che, naturalmente, una maggiore efficienza determina sempre un minor consumo di energia e ha quindi ricadute positive sul clima, ma l’effetto positivo sui costi, invece, dipende in misura determinante dall’equilibrio tra gli investimenti e il risparmio energetico. Il CESE, dunque, vorrebbe che si tenesse conto in maniera critica e realistica di questo dato di fatto.

5.4.

Il CESE accoglie con favore la modifica della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (cfr. il suo parere TEN/620). Il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici è un settore estremamente importante, perché è responsabile del 40 % del consumo totale di energia. In questo campo il risparmio energetico si consegue con interventi di ristrutturazione degli edifici esistenti e con l’impiego di tecniche adeguate di costruzione dei nuovi fabbricati. In entrambi i casi occorrono investimenti considerevoli. Tuttavia, attualmente gli edifici costruiti o ristrutturati in un anno costituiscono solo lo 0,4 %-1,2 % del patrimonio edilizio, per cui è evidente che è necessario accelerare questi processi.

5.5.

Ciascuno Stato membro è tenuto a elaborare una tabella di marcia che indichi scadenze e misure precise per realizzare l’obiettivo a lungo termine di «decarbonizzare» il patrimonio immobiliare nazionale entro il 2050, nonché obiettivi intermedi specifici per il 2030.

5.6.

Il CESE si rammarica del fatto che si sia scelta l’opzione meno ambiziosa, che prevede un risparmio energetico inferiore a quello possibile. Il Comitato è, peraltro, ben consapevole che non si può ottenere alcuna garanzia quanto alla volontà politica degli Stati membri di raggiungere risultati migliori in questo campo, benché sia chiaro che l’efficienza energetica degli edifici offra in tal senso le maggiori opportunità.

5.7.

Il CESE esprime apprezzamento per l’ampia varietà di nuovi strumenti finanziari proposti dalla Commissione. La disponibilità di strumenti finanziari a sostegno della ristrutturazione edilizia assume infatti un rilievo essenziale, in particolare per incentivare i locatori di alloggi sociali privati o comunque non comunali a investire nella ristrutturazione di vecchi edifici.

5.8.

I proprietari o locatari di edifici nuovi o ristrutturati beneficiano non solo di un minore consumo di energia, ma anche di un maggiore comfort abitativo e di una migliore qualità della vita. In certi casi, tuttavia, ciò determina purtroppo un effetto di rimbalzo, per cui negli edifici ristrutturati l’aumento dei canoni di locazione può facilmente neutralizzare il risparmio energetico, mentre invece nella comunicazione in esame la Commissione esprime una visione piuttosto ottimistica quanto ai risparmi che ne deriveranno in termini di costi. Il CESE raccomanda pertanto di esaminare in maniera più critica questo problema. Al riguardo dovrebbero essere applicati criteri sia economici che sociali, altrimenti si rischia di creare una nuova forma di povertà per le generazioni più anziane.

5.9.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la direttiva in esame renda obbligatorio installare, in una quota considerevole degli edifici di nuova costruzione, dei punti di ricarica per le automobili elettriche. È importante sottolineare, tuttavia, che, per far fronte al futuro aumento della domanda di energia elettrica, occorrono programmazione e coordinamento con i fornitori di tale energia a causa dell’ulteriore necessità di investire per tempo in trasformatori ad alta potenza in prossimità delle aree residenziali.

5.10.

Il CESE è convinto che il miglioramento dell’efficienza energetica dei sistemi di trasporto grazie all’evoluzione tecnologica in corso e lo sviluppo di sistemi di trasporto intelligenti cooperativi contribuiranno in modo significativo agli sforzi europei in direzione del risparmio energetico (cfr. il parere TEN/621). Il nuovo programma di lavoro sulla progettazione ecocompatibile (cfr. il parere NAT/702) fornisce un elemento importante per il mercato comune europeo, rendendo disponibili prodotti ad alta efficienza e offrendo sostegno all’economia circolare.

6.   I consumatori al centro dell’Unione dell’energia

6.1.

Il CESE apprezza il fatto che la Commissione intenda porre i consumatori al centro dell’Unione dell’energia. Nella vita moderna, i trasporti, le abitazioni, la comunicazione e più in generale i consumi fanno sì che tutti i cittadini abbiano bisogno di utilizzare quantomeno una determinata quantità di energia. L’energia, quindi, non può e non deve diventare un lusso. Tuttavia, il fenomeno — spesso citato ancorché non bene definito — della «povertà energetica» rivela che, per i cittadini più vulnerabili, è tendenzialmente sempre più difficile fruire dei servizi energetici minimi di cui hanno bisogno. Il CESE chiede che questa tendenza venga combattuta e la politica energetica adeguata di conseguenza.

6.2.

Negli ultimi anni i progressi tecnologici hanno fatto diminuire i costi di produzione dell’energia elettrica. I consumatori, però, spesso non ne hanno beneficiato perché la diminuzione dei costi di produzione è stata controbilanciata dalle imposte, dai costi di rete ecc., e ciò costituisce un grave problema dato il suo impatto negativo sulla povertà energetica.

6.3.

Il CESE non condivide l’affermazione secondo cui «l’efficienza energetica è uno dei metodi migliori per affrontare le cause profonde di questo genere di povertà». L’espressione «povertà energetica» è venuta alla ribalta quando i prezzi dell’energia hanno iniziato ad aumentare in modo significativo. Ciò significa che alla radice di questo specifico genere di povertà vi è proprio il livello elevato dei prezzi, che dovrebbe quindi essere il principale bersaglio di qualsiasi misura volta ad aiutare le fasce sociali più deboli. Naturalmente anche i miglioramenti dell’efficienza aiutano, ma essi dipendono inevitabilmente da investimenti considerevoli che soprattutto i consumatori più vulnerabili potrebbero non essere in grado di effettuare (cfr. il parere TEN/518).

6.4.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione istituisca ora un Osservatorio della povertà energetica, come raccomandato dal CESE, già nel 2013, in un parere (TEN/516) dedicato proprio al tema della povertà energetica. L’obiettivo principale di questo nuovo organo dovrebbe essere in primo luogo quello di definire degli indicatori europei di povertà energetica. Ciò potrebbe essere fondamentale affinché gli Stati membri possano adottare un approccio pienamente coordinato alla povertà energetica e comprendere il ruolo e l’efficacia dei diversi strumenti, quali ad esempio le tariffe sociali, le misure di mitigazione della povertà, i consigli ai consumatori o le soluzioni di efficienza energetica.

6.5.

Il CESE desidera sottolineare il fatto che l’energia pulita, oltre ad avere implicazioni per le dimensioni citate nella comunicazione (sicurezza energetica, efficienza energetica e decarbonizzazione), comporta anche notevoli benefici per la salute di tutti i cittadini.

6.6.

Il pacchetto offre ai cittadini la possibilità di esercitare un’influenza diretta piuttosto limitata sulle decisioni che incideranno sulla loro vita quotidiana e sui loro mezzi di sussistenza. Non è chiaro se i principi di un dialogo energetico che implichi una loro partecipazione significativa siano — e saranno — applicati in tutta l’Unione (in proposito si veda anche il parere TEN/617). Tale dialogo, anche nella sua dimensione istituzionale, presuppone la creazione di condizioni di parità.

6.7.

Il CESE accoglie con favore il riconoscimento del ruolo crescente dei cittadini che partecipano al mercato dell’energia elettrica in qualità di produttori-consumatori («prosumatori»). I prosumatori, infatti, necessitano ormai di un nuovo assetto del mercato dell’energia, adeguato alle nuove strutture decentrate di generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili e tale da porre realmente i consumatori e i cittadini al centro della politica energetica europea.

6.8.

Il CESE promuove il modello imprenditoriale di «energia comunitaria», nel quale i cittadini sono contitolari o partecipi di progetti riguardanti l’energia da fonti rinnovabili o l’efficienza energetica nella zona in cui vivono. Le disposizioni legislative proposte nel nuovo pacchetto dovrebbero consentire e incoraggiare, dovunque possibile, le iniziative di questo tipo.

7.   Le fonti di energia rinnovabili in un nuovo mercato

7.1.

Il CESE è favorevole, in linea di massima, all’obiettivo della direttiva sulle energie rinnovabili (cfr. il parere TEN 622) di spingere per una maggiore integrazione dei fornitori di energia da fonti rinnovabili nel mercato per effetto della riduzione dei costi dell’energia proveniente da tali fonti.

7.2.

Il CESE, tuttavia, esprime anche preoccupazione per il fatto che si sia ancora ben lontani dal garantire quella parità di condizioni che consentirebbe alle energie rinnovabili di sopravvivere sul mercato senza bisogno di un sostegno specifico. Vi è ancora molto da fare per rimuovere dagli attuali mercati dell’elettricità le enormi distorsioni create dalle sovvenzioni, da condizioni limite strutturali e dalla mancanza di una contabilizzazione chiara delle esternalità.

7.3.

Il CESE accoglie con favore la recente relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) intitolata Transforming the EU power sector: avoiding a carbon lock-in [«Trasformare il settore europeo dell’energia: evitare di rimanere vincolati al carbonio»], da cui emerge che circa la metà dell’energia elettrica generata in Europa deriva ancora dai combustibili fossili. Lo studio dell’AEA mette a confronto le tendenze attuali del mercato dell’energia con gli obiettivi climatici dell’UE per il 2030 e oltre. Il progressivo abbandono di un approvvigionamento energetico ad alta intensità di carbonio richiede che si investa maggiormente nelle fonti di energia alternative e si adottino quadri politici di sostegno.

7.4.

Il CESE è preoccupato per la mancanza di informazioni dettagliate circa le misure specifiche e gli strumenti di sostegno, che può mettere a rischio l’ulteriore promozione dell’energia da fonti rinnovabili.

7.5.

Il CESE desidera sottolineare il fatto che, ogni qual volta il mix energetico cambia drasticamente, occorre riconsiderare la questione della sicurezza energetica — un aspetto, questo, che nel pacchetto non viene affrontato a sufficienza.

8.   Opportunità per l’economia e l’occupazione

8.1.

Per l’Europa, la transizione energetica rappresenta una grande sfida, che offre opportunità di nuovi posti di lavoro, crescita economica e benessere per tutti i cittadini. In considerazione dei rischi e dei pericoli associati a una transizione di questo tipo, è della massima importanza mettere a punto una politica equilibrata, che preveda le misure adatte per evitare qualsiasi svantaggio per la società, ad esempio per i lavoratori (disoccupazione e bassa qualità del lavoro), i consumatori e le PMI. Questo obiettivo può essere raggiunto soltanto coinvolgendo in ogni fase della transizione tutti i soggetti interessati, e il CESE, in quanto partner importante e pertinente, è uno di essi.

8.2.

Assumere la leadership mondiale nel campo delle tecnologie pulite significa anche esportare queste tecnologie, con i benefici che ne derivano sia a livello economico che per l’ambiente (cfr. il parere NAT/690).

8.3.

La ricerca e l’innovazione sono cruciali per sostenere la competitività globale dell’Europa e la sua leadership nel campo delle tecnologie energetiche avanzate e delle soluzioni per l’efficienza energetica. La strategia specifica per imprimere un nuovo slancio all’innovazione nel settore dell’energia pulita (cfr. il parere TEN/619) dovrebbe condurre a definire meglio le priorità e le azioni concrete volte a far sì che le innovazioni destinate a rimpiazzare gradualmente le tecnologie del carbonio si diffondano più ampiamente e giungano più rapidamente sul mercato. Il CESE è critico riguardo al fatto che non si faccia sufficiente riferimento alla ricerca di base e al contributo che essa può recare. Si accenna brevemente al piano SET, ma purtroppo soltanto dal punto di vista delle imprese.

8.4.

Nel pacchetto ricorrono molteplici considerazioni riguardo alle imprese, all’occupazione e alla crescita economica; tuttavia, l’innovazione non si riduce affatto a questo: al di là degli aspetti economici, il benessere delle persone e la qualità dell’ambiente naturale sono fattori importanti da tenere in considerazione.

8.5.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di istituire un «forum industriale in materia di energia pulita», che, nel quadro di un processo dal basso, potrebbe diventare parte del più ampio concetto di dialogo con la società civile e le altre parti interessate. Esso sottolinea l’importanza di offrire un sostegno equilibrato alla catena della ricerca e dell’innovazione, dalla ricerca di base passando per quella applicata fino ai prodotti nuovi e innovativi.

8.6.

Dato che quello di trasformare l’economia delle regioni in cui essa si basa ancora in gran parte sul carbone è un compito veramente enorme, il CESE reputa che questo aspetto meriti una disamina assai più approfondita di quella svolta nel pacchetto in esame.

8.7.

Il costo del capitale per nuovi investimenti nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica varia significativamente da uno Stato membro all’altro. Il CESE ritiene che sia necessario adottare misure forti a livello fiscale e istituzionale per eliminare o ridurre al minimo queste condizioni discriminatorie per i consumatori e gli investitori.

8.8.

L’Europa sudorientale dispone di un grande potenziale in termini di energie rinnovabili, oltreché di manodopera qualificata — fattori, questi, rimasti finora ampiamente sottoutilizzati. Il CESE chiede di aumentare in misura significativa il sostegno alle parti interessate che perseguono gli obiettivi dell’Unione dell’energia nella regione. Ciò offrirà ai consumatori e agli investitori locali enormi opportunità di sviluppo, in linea con gli obiettivi del pacchetto in esame.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84; GU C 264 del 20.7.2016, pag. 117; GU C 291 del 4.9.2015, pag. 8; GU C 82 del 3.3.2016, pag. 13; GU C 82 del 3.3.2016, pag. 22; GU C 487 del 28.12.2016, pag. 75; GU C 303 del 19.8.2016, pag. 1.


28.7.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 246/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo — Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro»

[COM(2016) 740 final]

(2017/C 246/11)

Relatore:

Ionuț SIBIAN

Correlatore:

Mihai MANOLIU

Consultazione

Commissione europea, 27.1.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.4.2017

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

4.4.2017

Adozione in sessione plenaria

26.4/2017

Sessione plenaria n.

525

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

166/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie favorevolmente la Proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo — Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro. Tale proposta costituisce la risposta alle raccomandazioni che il CESE ha formulato nel proprio parere (REX/461) sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale, in cui si afferma che «le istituzioni dell’UE e gli Stati membri devono concordare con urgenza la procedura da seguire al più alto livello politico, attraverso un accordo interistituzionale tra la Commissione, il Consiglio e il Parlamento, al fine di stabilire una solida base per l’azione politica futura. L’accordo sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dovrebbe costituire la base per una strategia globale volta a integrare l’Agenda 2030, con l’obiettivo di rendere l’UE un’Unione dello sviluppo sostenibile». Nel suddetto parere il CESE raccomanda inoltre alla Commissione europea di «integrare e utilizzare appieno l’Agenda 2030 nel Consenso europeo in materia di sviluppo».

1.2.

Il CESE riconosce l’importanza del consenso europeo in materia di sviluppo, varato nel 2006, per la politica di cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea e dei suoi Stati membri (1). Il valore aggiunto del consenso è stato fondamentalmente quello di garantire sia una visione stabilita di comune accordo per l’UE e gli Stati membri che un quadro di attuazione a livello dell’UE, ed entrambi sono stati successivamente integrati in una serie di documenti, politiche e azioni di orientamento, a livello sia dell’UE che degli Stati membri. Si prevede che il nuovo consenso continuerà a svolgere un ruolo analogo.

1.3.

Il CESE accoglie con favore l’impegno esplicito del consenso rispetto all’obiettivo generale di eliminare la povertà, alla luce di un approccio basato sui diritti in rapporto alla cooperazione allo sviluppo e per quel che concerne l’uguaglianza di genere, garantendo che l’Agenda 2030 non escluda nessuno, indipendentemente dalla regione in cui la persona considerata abita e facendo astrazione da elementi come l’etnia, il genere, l’età, la disabilità, la religione o il credo, l’orientamento sessuale, lo status di migrante o di altro tipo.

1.4.

Attraverso il riferimento all’Agenda 2030 e mantenendo l’eliminazione della povertà quale elemento centrale, il consenso conferisce il debito riconoscimento a questo aspetto e accresce la visibilità della cooperazione allo sviluppo come settore politico separato dell’Unione europea. Se da un lato la politica di sviluppo deve essere considerata uno dei pilastri dell’azione esterna dell’UE, dall’altro il consenso dovrebbe essere considerato una garanzia che lo sviluppo è collocato su un piano di parità con altri settori politici dell’Unione a cui non può essere subordinato (sicurezza, commercio, giustizia e affari interni ecc.).

1.5.

La revisione del consenso giunge in un momento molto difficile, in cui i valori e i principi europei (articolo 2 del trattato sull’Unione europea) e l’esistenza stessa dell’UE sono sottoposti a ripetuti attacchi. Molteplici crisi influiscono sulla capacità e la volontà dei governi di stanziare le risorse necessarie per l’attuazione dell’Agenda 2030. Di conseguenza, è estremamente importante che tutti gli Stati membri dell’UE e le sue istituzioni si impegnino pienamente nell’attuare e rispettare un consenso in materia di sviluppo, anche per quel che concerne le sue implicazioni finanziarie.

1.6.

Il consenso dovrebbe cercare di definire i ruoli della Commissione e degli Stati membri, tenendo conto dei loro vantaggi comparati specifici nel settore dello sviluppo. Questa necessità è diventata anche più rilevante in quanto si prevede che l’UE e gli Stati membri, in seguito alla Brexit e nel quadro di uno scenario politico interno in evoluzione, ridurranno la dotazione totale stanziata per lo sviluppo. Secondo una relazione richiesta dalla commissione per lo Sviluppo (DEVE) del Parlamento europeo nel 2013 (2), il costo economico della mancanza di un efficace coordinamento degli aiuti allo sviluppo tra gli Stati membri e la Commissione europea si aggira sugli 800 milioni di EUR. Sarebbe possibile risparmiare ogni anno sui costi di transazione per un ammontare equivalente se i donatori concentrassero le operazioni di soccorso su un numero più ridotto di paesi e attività. Si stima, inoltre, che si potrebbe realizzare un ulteriore risparmio annuo di 8,4 miliardi di euro se le risorse venissero stanziate in modo migliore tra i vari paesi.

1.7.

L’UE e gli Stati membri non dovrebbero utilizzare gli aiuti allo sviluppo come una leva per imporre la cooperazione tra i loro partner per quel che concerne gli obiettivi di politica economica, di politica esterna, di sicurezza dello Stato e di controllo della migrazione. Invece, la cooperazione allo sviluppo dovrebbe rimanere incentrata sul suo obiettivo principale che consiste nell’eliminare la povertà, oltre che nell’assicurare le pari opportunità, la dignità per tutti e la sostenibilità ambientale.

1.8.

Il CESE richiama in particolare l’attenzione sul ruolo dell’agricoltura nella politica di sviluppo. Il rafforzamento della base produttiva alimentare locale, il miglioramento della situazione delle donne nelle zone rurali nonché la formazione di associazioni di agricoltori e la cooperazione tra produttori agricoli sono fattori importanti per l’eliminazione della povertà e per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile nei paesi più poveri del mondo.

1.9.

Il Consenso riconosce il ruolo delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile sia per la promozione dell’Agenda 2030 che per il contributo da esse dato alla sua attuazione. Oltre ad accordare un saldo sostegno politico volto ad assicurare un quadro favorevole, in cui i suddetti soggetti svolgano appieno il loro ruolo, è necessario che l’UE offra riconoscimento, sostegno e protezione alle organizzazioni di difesa dei diritti umani, alle organizzazioni con funzioni di controllo e vigilanza (watchdog) e ai sindacati che operano in un contesto sfavorevole. L’UE dovrebbe inoltre impegnarsi in vista dello sviluppo di meccanismi finanziari più adeguati che sostengano un ventaglio più ampio di organizzazioni della società civile, allo scopo di garantire a un maggior numero di organizzazioni locali più piccole l’accesso ai programmi dell’UE. Il CESE ha formulato una serie di importanti raccomandazioni al riguardo nel parere (REX/461) sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale.

1.10.

Il dialogo sociale deve essere riconosciuto come strumento di attuazione dell’agenda per lo sviluppo. Esso richiede un ambiente favorevole e un quadro istituzionale efficiente. Il rispetto per la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva costituiscono il punto di partenza di tale dialogo sociale. L’UE dovrebbe collaborare con le organizzazioni indipendenti dei datori di lavoro e dei lavoratori (le parti sociali) allo scopo di promuovere pratiche sane nelle relazioni industriali e un’amministrazione del lavoro funzionante.

1.11.

Anche se rappresentano uno strumento potenzialmente positivo, non esistono studi sufficienti che dimostrino che i fondi fiduciari dell’UE (il Fondo fiduciario dell’UE) siano adatti per soddisfare i requisiti in materia di assunzione di responsabilità e di allineamento dei paesi in via di sviluppo. La metà degli Stati membri dell’UE ha aumentato gli stanziamenti per gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) destinati al settore privato, però gli investimenti nel settore commerciale con fondi pubblici rimangono in gran parte opachi e non sono soggetti a controlli (3). Le parti sociali e le organizzazioni della società civile dovrebbero essere sostenute e autorizzate ad esercitare un controllo sugli stanziamenti di fondi pubblici per la cooperazione allo sviluppo, compresi quelli destinati al settore privato. Esse andrebbero coinvolte in modo significativo nell’elaborazione, nell’attuazione, nel monitoraggio e nella valutazione dei programmi di sviluppo, in modo da rispondere alle reali esigenze di un numero maggiore di persone.

1.12.

La creazione di posti di lavoro rappresenta una sfida di rilievo per i paesi in via di sviluppo, e il settore privato deve svolgere un ruolo importante. Il parere REX/386 del CESE sul tema Partecipazione del settore privato al quadro di sviluppo per il periodo post-2015 sottolinea l’importanza del contesto imprenditoriale nella lotta contro la povertà globale attraverso il ruolo che esso svolge nel creare posti di lavoro, fornire beni e servizi, generare entrate e profitti, nonché contribuire al sostegno della spesa pubblica tramite il pagamento delle tasse. Tuttavia, la creazione di posti di lavoro non dovrebbe costituire uno scopo di per sé, ad eccezione di quando assicura standard lavorativi e ambientali e condizioni di lavoro dignitose, specialmente per le donne e i giovani, in linea con l’agenda per un lavoro dignitoso dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), le norme sul lavoro dell’OIL e altri testi di rilevanza internazionale (ad esempio, i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani e gli orientamenti dell’OCSE relativi alle imprese multinazionali).

1.13.

Il CESE ritiene che il fondamento per l’inclusione e la sostenibilità sia rappresentato da posti di lavoro dignitosi e stabili (in particolare per le donne e i giovani) che generino redditi sufficienti e da catene di valore sostenibili per un intero ventaglio di servizi pubblici consolidati. Vanno promossi nuovi modelli di produzione e consumo nel quadro dell’economia circolare. I gruppi vulnerabili saranno protetti meglio e avranno accesso ai servizi finanziari, e un settore imprenditoriale dignitoso, giusto e sostenibile svilupperà nuovi modelli imprenditoriali (imprese sociali che forniscono servizi locali) e nuove PMI, regolamentate in modo adeguato.

2.   Contesto

2.1.

La politica di sviluppo è una componente fondamentale dell’azione esterna dell’UE ed è tesa — secondo quanto previsto all’articolo 21, paragrafo 2, lettera d), del trattato sull’Unione europea (TUE) — a promuovere lo sviluppo sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale dei paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo primario di eliminare la povertà — come stabilito dall’articolo 208 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

2.2.

L’obiettivo del nuovo consenso europeo in materia di sviluppo consiste nel fornire un quadro di riferimento per un approccio comune alla politica di cooperazione allo sviluppo che sarà applicato dall’UE e dai suoi Stati membri.

2.3.

Al tempo stesso, il consenso rappresenta una ferma dichiarazione d’intenti davanti al mondo intero, in cui viene sottolineata la determinazione dell’UE a rimanere un attore credibile, impegnato e responsabile dello scenario mondiale che conduce un ruolo guida attraverso l’esempio che dà. Tale consenso fissa i principi e le priorità dell’Unione in rapporto sia a problemi complessi di rilevanza mondiale che alle modalità per rispettare gli impegni assunti dall’UE nel quadro dell’Agenda 2030 e dell’accordo di Parigi.

2.4.

Il CESE osserva che la revisione del consenso europeo in materia di sviluppo è opportuna ed estremamente significativa nel nuovo contesto, dato che essa punta a orientare l’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri verso l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nonché ad apportare un contributo alla realizzazione delle priorità dell’azione esterna dell’UE, secondo quanto previsto dalla strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE.

2.5.

La prolungata crisi economica, la Brexit, gli sviluppi in campo politico negli Stati Uniti, le crescenti inquietudini a est, il conflitto in Siria e le sue conseguenze sul piano umanitario, l’ascesa del populismo e della xenofobia negli Stati membri, e infine l’impatto economico dei cambiamenti climatici: tutti questi fattori si sommano per generare la sfida più seria posta di fronte all’UE da oltre mezzo secolo.

2.6.

Come è stato sottolineato dalla nuova strategia globale per la politica esterna e di sicurezza dell’Unione europea («Visione condivisa, azione comune: un’Europa più forte» — 2016), il nuovo contesto interno e mondiale ha portato a un aumento dell’instabilità e dell’insicurezza. Di conseguenza, di fronte alle sempre maggiori minacce alla sua sopravvivenza, l’UE deve essere quanto mai forte e unita.

2.7.

L’UE si impegna collettivamente a destinare lo 0,7 % del suo reddito nazionale lordo (RNL) per gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS), secondo i termini previsti nell’Agenda 2030. Per realizzare le ambizioni del consenso, l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero conseguire i loro obiettivi in termini di aiuto. Attualmente, alla luce del contesto politico prevalente in Europa, esistono serie preoccupazioni circa la volontà dei governi attuali e futuri di sostenere questo livello di impegno finanziario. Gli sviluppi politici negli Stati membri dell’UE potrebbero compromettere gli impegni assunti dai governi nazionali in materia di cooperazione allo sviluppo, dato che dei movimenti politici populisti chiedono con fermezza una riduzione della solidarietà a livello mondiale e delle spese per gli APS.

2.8.

Poiché nel quadro dell’UE il Regno Unito ha costituito la fonte principale di aiuti allo sviluppo (oltre 14 miliardi di euro nel 2015), l’uscita di questo paese dall’UE avrà un impatto diretto sulla posizione e la capacità dell’UE in questo settore politico specifico, in quanto verranno ridotte le risorse che l’UE aveva previsto di stanziare per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Le stime indicano che con l’uscita del Regno Unito l’UE perderà non solo capacità di natura non finanziaria, ma anche il 15 % circa del suo bilancio per gli aiuti. È quanto mai importante che gli Stati membri dell’UE uniscano le forze e realizzino i loro obiettivi in materia di aiuto.

2.9.

L’UE dovrebbe assicurarsi che il punto focale degli APS continui ad essere la riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo, che i fondi siano spesi in modo efficiente nell’autentico interesse di tali paesi, e che venga assicurata la coerenza delle politiche europee che hanno un impatto sullo sviluppo («coerenza delle politiche per lo sviluppo» — CPS). L’edizione 2016 della relazione AidWatch preparata da Concord (confederazione di ONG europee) mette in evidenza che, a partire dal 2015, il 17 % degli aiuti forniti dall’UE non ha comportato un effettivo trasferimento di risorse ai paesi in via di sviluppo, in quanto tale percentuale ha riguardato le spese sostenute dai donatori per assistere i profughi, l’alleggerimento del debito, i costi per le borse di studio, gli aiuti vincolati e il pagamento degli interessi. L’aumento degli aiuti che alcuni Stati membri dell’UE hanno segnalato era quasi integralmente riconducibile alle spese sostenute al loro interno per l’accoglienza dei profughi, cosicché essi stessi sono diventati i beneficiari principali di tali aiuti.

2.10.

Per la sua natura intrinseca e per i motivi alla base delle sua creazione, l’UE è obbligata a promuovere e a difendere il multilateralismo, ossia un ordine mondiale basato su regole, sulla pace mondiale e sui diritti umani. Col tempo l’UE è diventata un attore mondiale indispensabile, responsabile e fedele a certi principi, impegnandosi ad affrontare le cause profonde dei conflitti e della povertà, a promuovere i diritti umani universali, a dare il buon esempio e a impiegare il proprio «soft power» per indurre cambiamenti positivi in tutto il mondo.

2.11.

L’impegno dell’UE, oltre che dei suoi Stati membri, quale attore mondiale che detiene una posizione di capofila nel settore delle cooperazione allo sviluppo, è diventato parte dell’identità dell’Unione e della sua proiezione all’esterno.

2.12.

L’UE è il mercato più aperto del mondo e offre riduzioni tariffarie generose ai paesi in via di sviluppo che ratificano e attuano le principali convenzioni internazionali in materia di diritti umani, diritti dei lavoratori, ambiente e buona governance.

2.13.

Indipendentemente dai flussi finanziari, l’UE rappresenta un partner politico essenziale per i paesi in via di sviluppo, in quanto sostiene i cambiamenti positivi sul piano politico e sociale, oltre che una partecipazione più corretta e ampia di tali paesi ai processi politici ed economici a livello mondiale.

2.14.

L’UE ha svolto un ruolo importante nella formulazione e nell’attuazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) (2005-2015) ed è stato una delle principali forze trainanti per l’adozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) (2016-2030), e ha anche dato un contributo decisivo per l’inserimento dei valori dell’UE — come i diritti umani, la democrazia, lo Stato di diritto e la giustizia sociale — nella nuova agenda di sviluppo globale.

2.15.

L’UE è un protagonista della scena mondiale che ha dato impulso all’agenda in materia di cambiamenti climatici e ha svolto un ruolo importante nella creazione di un’estesa coalizione, formata da paesi sia sviluppati che in via di sviluppo, che ha contribuito all’adozione dell’accordo di Parigi del dicembre 2015. L’UE si è impegnata a destinare il 20 % del suo bilancio ad azioni nel settore dei cambiamenti climatici, per quanto riguarda sia la loro attenuazione che l’adattamento ad essi, allo scopo di sostenere l’accordo di Parigi.

2.16.

Secondo l’indagine di Eurobarometro sul tema della cooperazione internazionale allo sviluppo lanciata nel febbraio 2016, quasi nove cittadini dell’UE su dieci sono favorevoli all’aiuto allo sviluppo (89 %, ossia un aumento di 4 punti percentuali rispetto al 2014). Nei nuovi Stati membri le percentuali tendono ad essere leggermente inferiori rispetto agli Stati membri di più antica data. I dati indicano l’aumento del numero di cittadini che credono che la lotta alla povertà nei paesi in via di sviluppo debba rappresentare una delle massime priorità sia dell’UE (con cinque punti percentuali, fino al 69 %) che dei governi nazionali (con cinque punti percentuali, fino al 50 %). Quasi sette intervistati su dieci si sono dichiarati favorevoli a un aumento degli aiuti allo sviluppo accordati dall’UE (68 %), una percentuale superiore rispetto a quella degli ultimi anni. Quasi tre quarti dei partecipanti all’indagine (73 %) hanno convenuto che l’aiuto allo sviluppo è un modo efficace per combattere la migrazione irregolare, e l’80 % degli europei ritiene che l’aiuto allo sviluppo sia nell’interesse della stessa UE. Il 52 % reputa che l’UE debba mantenere la promessa di aumentare gli aiuti accordati ai paesi in via di sviluppo.

3.   Osservazioni

3.1.

L’interconnettività rappresenta il pilastro centrale dell’Agenda 2030, un quadro d’azione per la definizione di strategie nazionali onnicomprensive in materia di sviluppo sostenibile che integrerà in modo equilibrato la dimensione ambientale con quella economica e sociale, allo scopo di conseguire effetti positivi nei settori interconnessi, tenendo conto al tempo stesso di fattori trasversali come la parità tra donne e uomini, i giovani, la mobilità, la migrazione, gli investimenti e l’energia sostenibile. Le priorità fissate nell’Agenda 2030 sono strutturate in funzione dei seguenti fattori: la popolazione, il pianeta, la prosperità, la pace e il partenariato.

3.2.

Anche se il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà estrema è diminuito di oltre la metà tra il 1990 e il 2015, oltre 800 milioni di persone vivono ancora con meno di 1,25 dollari USA al giorno e l’80 % di loro vive nell’Africa subsahariana o nell’Asia meridionale. Il consenso è incentrato sulla necessità sia di eliminare la povertà nei paesi molto poveri, instabili o colpiti da conflitti, che di consolidare la capacità delle popolazioni — in particolare di quelle vulnerabili — di resistere a sconvolgimenti ambientali ed economici, alle calamità — siano esse naturali o provocate dall’uomo — e alle minacce globali per la salute.

3.3.

Da qui al 2030, i poveri saranno concentrati nei paesi instabili esposti alle conseguenze dei conflitti, i quali a loro volta aggravano la povertà. In tali circostanze, per poter aiutare i poveri sono necessari approcci differenti. Malgrado il numero più consistente di persone che escono dalla povertà estrema, sono aumentate le disuguaglianze sia tra i paesi che al loro interno. Se si escludono la povertà, i conflitti e i cambiamenti climatici, la disuguaglianza è la principale fonte di instabilità nella maggior parte del mondo.

3.4.

La politica della cooperazione allo sviluppo sarà imperniata sui seguenti assi portanti: la questione della discriminazione e delle disuguaglianze, nessuno deve rimanere escluso, l’attenzione all’eliminazione della povertà, nonché gli elementi costitutivi alla base di uno sviluppo sostenibile. In questo modo sarà possibile compiere progressi in rapporto alla dignità umana: l’eliminazione della fame, l’accesso universale all’istruzione e alla formazione, i regimi di assicurazione sanitaria, un lavoro dignitoso per tutti, la transizione dall’economia informale a quella formale, una protezione sociale corretta e adeguata, e un ambiente sano. Tali obiettivi possono essere raggiunti tramite una governance basata su politiche consolidate, corrette a livello nazionale, che fungano da pilastro a protezione delle persone vulnerabili.

3.5.

L’azione comune duratura apporterà benefici alle popolazioni in condizioni di povertà cronica, genererà una crescita economica, ridurrà le disuguaglianze e trasformerà le opportunità in risultati. I progressi economici concreti dovranno essere accompagnati da politiche di ridistribuzione della spesa pubblica, consolidando l’accesso a servizi di qualità, in particolare per quanto concerne l’accesso all’istruzione e ai servizi igienico-sanitari.

3.6.

Al tempo stesso, verranno creati servizi di protezione sociale sostenibili, corretti, equi e legati in modo solidale al lavoro in grado di generare entrate. Un servizio essenziale può essere anche la garanzia di un reddito minimo (quale nuovo strumento) necessario per la resilienza, per evitare che si ricada in condizioni di povertà estrema. Vanno consolidate le strutture sociali nel medio e lungo termine.

3.7.

Anche se il consenso non lo indica esplicitamente, si prevede che verrà mantenuto l’impegno, stabilito dal programma di cambiamento, per quel che riguarda un sostegno permanente a favore dell’inclusione sociale e dello sviluppo personale pari ad almeno il 20 % degli aiuti dell’UE.

3.8.

Un elemento fondamentale è rappresentato dalla protezione dei diritti delle donne e delle bambine e dall’esercizio di tali diritti, compresa la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti (Sexual and Reproductive Health and Rights — SRHR), un fattore essenziale dello sviluppo umano. Al tempo stesso, bisogna consolidare la resilienza delle popolazioni vulnerabili di fronte agli sconvolgimenti economici e ambientali, compresi le catastrofi naturali o provocate dall’uomo. È necessario creare un sistema per l’erogazione di aiuti umanitari che sia coerente e integrato, allo scopo di fornire assistenza agli sfollati (con un’attenzione speciale per i minori e per altre persone vulnerabili) mediante un consolidamento dell’accesso all’istruzione e a posti di lavoro dignitosi.

3.9.

Per il sostentamento delle persone sono necessari alimenti variati, in quantità sufficiente, nutrienti, sicuri e accessibili in modo equo. È necessario dare un sostegno alle comunità povere affinché possano accedere alla terra, all’acqua — compresa quella potabile — e a servizi igienico-sanitari, oltre che a fonti di energia pulite e permanenti a un prezzo corretto ed equo, con effetti minimi sull’ambiente. Tale accesso permetterà di ridurre sia le forme di malnutrizione e denutrizione che i ritardi nella crescita e nell’autonomia dei bambini, e contribuirà alla loro salute mentale. In tal modo, l’accesso a servizi migliorati (progresso tecnologico ed innovazione digitale) farà aumentare la qualità di vita delle popolazioni rurali e urbane interessate dall’esplosione demografica, contribuendo a condizioni di vita più sane, più prospere, più decorose e rispondenti alle necessità della popolazione.

3.10.

La resilienza e la sostenibilità sono assolutamente indispensabili per individuare una soluzione praticabile nell’attuale contesto mondiale che si presenta complesso, dinamico e imprevedibile. La vulnerabilità aggrava gli effetti già acuti della povertà, mentre la fragilità estrema e persistente, correlata a crisi strutturali ricorrenti, continua a provocare emergenze umanitarie, ostacolando lo sviluppo delle comunità. Il persistere dei conflitti è superiore alle risorse disponibili, impedisce il rispetto dei diritti umani fondamentali e determina l’aumento dei numero dei rifugiati e degli sfollati. Il progresso è messo a rischio da sfide ricorrenti per la salute pubblica.

3.11.

L’accesso a servizi energetici sostenibili e a prezzi contenuti (produzione di energia da fonti rinnovabili, lotta alla povertà energetica) rimane limitato e ciò rappresenta un ostacolo alla crescita economica e a un’industrializzazione corretta ed efficiente, adattata alle condizioni, esigenze e possibilità locali (in linea con la protezione dell’ambiente). L’accesso alle risorse naturali è limitato, in quanto rischiano di esaurirsi per effetto di uno sfruttamento non sostenibile.

3.12.

L’agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari razionali e la pesca sostenibile generano prodotti che possono soddisfare in modo efficiente le necessità delle popolazioni, e la crescita è esponenziale quando la pressione sull’ambiente è limitata. Lo stress idrico e la domanda (non sostenibile) di acqua influiscono sui cambiamenti climatici.

3.13.

Il consenso propone di rivolgere una particolare attenzione al dividendo demografico dei giovani nei paesi in via di sviluppo, nonché allo sfruttamento delle potenzialità insite in 1,3 miliardi di persone che sono il motore trainante per una crescita inclusiva e lo sviluppo sostenibile, attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro e il sostegno alla responsabilizzazione e partecipazione dei giovani all’economia, alla società e al processo decisionale a livello locale, oltre che alla gestione della cosa pubblica.

3.14.

È necessaria una trasformazione che punti a un’economia circolare che permetta sia di utilizzare in modo efficiente le risorse disponibili che di appoggiare un ampio processo di sviluppo corretto e sostenibile. Esiste la reale possibilità che attori nuovi del settore privato propongano partenariati e soluzioni innovative, nonché meccanismi finanziari efficienti, validi ed etici che possono diventare modelli di progresso. La cooperazione e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (reti e infrastrutture resistenti ed efficienti) sono fondamentali per il successo, purché le risorse e gli investimenti siano riallineati in funzione del conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, per compiere passi avanti in risposta alle sfide globali.

3.15.

L’eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile richiedono la sostenibilità ambientale, un clima stabile e opportunità per i segmenti sociali vulnerabili. I processi economici squilibrati possono mettere in pericolo la stabilità e la pace, innescando una migrazione su larga scala. Gli aspetti ambientali devono essere integrati nel quadro delle azioni di prevenzione, compreso il rafforzamento dell’applicazione del principio «chi inquina paga». Un settore privato responsabile potrebbe svolgere un ruolo essenziale attraverso la promozione dell’impiego efficiente delle risorse, oltre che mediante un consumo e una produzione sostenibili, fattori che possono spezzare il legame tra crescita economica e degrado dell’ambiente nel quadro della transizione verso un’economia circolare.

3.16.

Il ruolo del settore privato nell’attuazione dell’Agenda 2030 dovrebbe essere valutato sulla base della sua capacità di contribuire al conseguimento degli obiettivi di sviluppo per i paesi beneficiari e a partire dai principi del Partenariato globale per un’efficace cooperazione allo sviluppo (Global Partnership for Effective Development Co-operation — GPEDC). Anche se i nuovi strumenti di finanziamento che coinvolgono attori privati possono rappresentare meccanismi efficaci per generare sviluppo economico, posti di lavoro ed entrate per il bilancio dello Stato, è importante che tali strumenti siano soggetti ai medesimi requisiti di trasparenza e valutazione dei finanziamenti pubblici. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero finanziare valutazioni trasparenti e indipendenti che permettano alle parti interessate, anche a livello locale, di valutare sia l’efficacia sotto il profilo dei costi che l’impatto delle attività di finanziamento allo sviluppo riconducibili al settore privato e a quello commerciale. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero concordare una narrazione coerente sul ruolo del settore privato nel quadro dello sviluppo, per assicurarsi che nessuna regione o nazione bisognosa di aiuto sia lasciata indietro. I meccanismi innovativi di finanziamento dello sviluppo, come i partenariati pubblico-privato (PPP), dovrebbero essere valutati sulla base dei principi di efficacia dello sviluppo e dei costi, per evitare gli aiuti vincolati e per garantire un quadro normativo che consenta ai governi di organizzare i servizi pubblici.

3.17.

L’Unione europea dovrebbe promuovere strumenti internazionali robusti in rapporto all’imprenditorialità responsabile, per incentivare prassi commerciali e catene di approvvigionamento responsabili. Visto il crescente interesse per il settore privato quale attore di sviluppo, gli strumenti disponibili per un comportamento responsabile delle imprese dovrebbero assumere un’importanza maggiore. Il rispetto e l’attuazione delle linee guida e dei principi riconosciuti a livello internazionale riguardanti la condotta delle imprese e i loro strumenti di assunzione di responsabilità dovrebbero diventare una condizione fondamentale per la concessione di sostegno al settore privato nel quadro della cooperazione allo sviluppo. Conformità e ammissibilità dovrebbero essere interconnesse e un adeguato sistema di monitoraggio dovrebbe portare a riconsiderare il sostegno finanziario in caso di violazioni.

3.18.

È necessario sostenere in modo fermo le prassi commerciali responsabili, l’integrazione dei diritti dell’uomo e dei lavoratori, nonché condizioni di lavoro dignitose (conformemente alla convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro e ad altri orientamenti e principi riconosciuti a livello internazionale in materia di condotta delle imprese), la responsabilità sociale delle imprese (per quel che concerne le norme in materia di lavoro e le condizioni lavorative dignitose), la correttezza finanziaria, la lotta alla corruzione e gli standard ambientali. In questo modo verranno evitati gli abusi e la corruzione, e si realizzerà il passaggio dall’economia informale all’economia formale.

3.19.

Il CESE ritiene che una condizione fondamentale per lo sviluppo sostenibile sia l’accesso non discriminatorio a un insegnamento di qualità lungo tutto l’arco della vita, con la garanzia che ogni cittadino acquisirà le necessarie conoscenze e competenze. Una vita migliore, più dignitosa, più impegnata e collegata alle capacità individuali contribuirà a una migliore definizione dei diritti e a uno sviluppo personale migliore e più responsabile in una società corretta, basata sul benessere economico e sociale.

3.20.

Un altro fattore essenziale nello sviluppo sostenibile sarà rappresentato dalla progettazione, costruzione, entrata in funzione e gestione di un’infrastruttura urbana efficiente, ossia reti di trasporto sostenibili, interconnesse e sicure, nonché altre infrastrutture resilienti. Le città devono diventare centri di crescita e innovazione che favoriscono l’inclusione, e circondarsi di comunità rurali con servizi basilari dignitosi. Questi obiettivi rientrano nel concetto di pianificazione territoriale, un concetto che poggia sull’equa gestione dei mercati finanziari e sulla mobilità urbana.

3.21.

Le disuguaglianze, l’assenza dello Stato di diritto, la privazione e la violazione dei diritti umani, oltre che il mancato rispetto delle necessità degli individui sono cause profonde della povertà, della fragilità e dei conflitti che portano agli sfollamenti forzati. La governance democratica consiste nella garanzia dell’esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali (diversità culturale), oltre che religiosi. Il dialogo politico è il fattore che porta all’azione; la riforma della magistratura, l’accesso universale alla giustizia, e un sistema giudiziario indipendente, aperto, responsabile ed efficiente alleggeriranno il peso che grava sui gruppi sociali vulnerabili. È necessario consolidare lo Stato di diritto, lottare contro la violenza e la criminalità nelle città, e aumentare al massimo la sicurezza della popolazione, oltre che rafforzare le capacità dello Stato, la responsabilità, la trasparenza e la prevenzione dei conflitti. In questo modo sarà possibile rafforzare la fiducia tra il governo e la popolazione.

3.22.

Lo sviluppo sostenibile ha bisogno di società che favoriscano l’inclusione e di istituzioni democratiche che promuovano i valori universali, ossia: buona governance multilivello, Stato di diritto, trasparenza nel processo decisionale, impegno nella lotta alla corruzione, diritti umani, una società aperta, libera e corretta, nonché una società civile inclusiva, trasparente e in grado di resistere agli shock interni ed esterni.

3.23.

Nel quadro della futura strategia dell’UE per le relazioni culturali internazionali (JOIN 2016/029 e parere REX/480 ancora in fase di elaborazione), il CESE mette in evidenza l’importanza che occorre annettere alla cultura quale quarto pilastro dell’agenda per lo sviluppo e, pertanto, raccomanda che questo tema sia inserito tra le priorità del nuovo consenso europeo in materia di sviluppo.

3.24.

Nel parere SOC/268 del 2007 sul tema Politica dell’immigrazione e della cooperazione per lo sviluppo, il CESE osserva che «le migrazioni sono utili sia ai paesi di origine che a quelli di accoglienza». Bisogna tuttavia sottolineare che una migrazione mal gestita può portare alla negazione dei diritti umani e precludere l’accesso all’istruzione e alla sanità. I migranti possono diventare vittime della tratta di esseri umani e del lavoro forzato. Bisogna reagire e intervenire in modo rapido e deciso sia nei paesi di origine e transito che nei paesi di destinazione finale. È necessario un coordinamento sistematico, strutturato e sinergico per trarre i massimi benefici e ridurre la migrazione irregolare. Questo coordinamento deve essere collegato all’aiuto umanitario. La soluzione è una politica di sviluppo sostenibile, un impegno costante nei paesi da cui partono i flussi migratori. Il dialogo politico è una componente della politica esterna europea e rappresenta uno strumento utile a limitare la migrazione.

3.25.

Secondo l’indagine condotta da Eurobarometro sul tema della cooperazione internazionale allo sviluppo che è stata pubblicata nel febbraio 2016, oltre un terzo (36 %) dei cittadini dell’UE ha almeno sentito parlare degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ma solo uno su dieci (10 %) sa cosa essi rappresentino. I cittadini dell’Europa settentrionale e centrale sono i più numerosi ad aver sentito parlare degli obiettivi di sviluppo sostenibile o ad aver letto qualcosa sull’argomento. È evidente che l’UE dovrebbe impegnarsi in misura maggiore ad informare ed educare i propri cittadini sul tema della cooperazione allo sviluppo, riservando un’attenzione particolare agli Stati membri dell’Europa meridionale e orientale. Si tratta di una raccomandazione che il CESE ha già formulato nel proprio parere (REX/461) sul tema L’Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale: «La Commissione dovrebbe organizzare e svolgere attività e campagne di sensibilizzazione per fare dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile un’agenda europea. Essa dovrebbe, inoltre, svolgere indagini periodiche dell’Eurobarometro al fine di valutare la consapevolezza e la comprensione degli obiettivi di sviluppo sostenibile tra i cittadini dell’UE. Le organizzazioni della società civile hanno un ruolo cruciale da svolgere in questo processo».

3.26.

L’UE ha il potenziale e si trova nella posizione per svolgere un ruolo di primo piano in materia di OSS, attraverso le sue capacità in termini di solidarietà, le politiche sociali e i partenariati economici e commerciali con tutte le parti interessate che condividono gli stessi valori. La sua estesa rete diplomatica assicura una coerenza, compattezza, credibilità e legittimità di alto livello, nonché un valore aggiunto dall’impatto positivo. L’ampio ventaglio delle esperienze europee, la varietà degli approcci, il valore aggiunto e l’unità nella diversità rappresentano elementi specifici dell’azione esterna europea e un vantaggio competitivo per l’UE.

Bruxelles, 26 aprile 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

George DASSIS


(1)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione del consenso europeo in materia di sviluppo del 2005 che accompagna l’iniziativa Proposta per un nuovo consenso in materia di sviluppo.

(2)  Il costo della non-Europa nella politica di sviluppo: aumentare il coordinamento tra i donatori dell’UE (The COST of Non-Europe in Development Policy: Increasing Coordination between EU Donors), Parlamento europeo, 2013.

(3)  Relazione AidWatch CONCORD (2016).