ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 71

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

59° anno
24 febbraio 2016


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

512a sessione plenaria del CESE dei giorni 9 e 10 Dicembre 2015

2016/C 071/01

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema: I profughi

1

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

512a sessione plenaria del CESE dei giorni 9 e 10 Dicembre 2015

2016/C 071/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Semplificazione della PAC (parere esplorativo)

3

2016/C 071/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Università impegnate nella costruzione dell’Europa (parere d’iniziativa)

11

2016/C 071/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo degli ingegneri nella reindustrializzazione dell’Europa (parere di iniziativa)

20

2016/C 071/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le nanotecnologie per un’industria chimica competitiva (parere d’iniziativa)

27


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

512a sessione plenaria del CESE dei giorni 9 e 10 Dicembre 2015

2016/C 071/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2014 [COM(2015) 247 final]

33

2016/C 071/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea: i 5 settori principali d’intervento [COM(2015) 302 final]

42

2016/C 071/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda europea sulla migrazione [COM(2015) 240 final]

46

2016/C 071/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e che modifica il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide [COM(2015) 450 final — 2015/0208 (COD)]

53

2016/C 071/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficaci sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio [COM(2015) 337 final — 2015/0148 (COD)]

57

2016/C 071/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per il mercato unico digitale in Europa [COM(2015) 192 final]

65

2016/C 071/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (2015-2020) [COM(2015) 285 final]

75

2016/C 071/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri ai fini della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, e che modifica la direttiva 2013/32/UE [COM(2015) 452 final]

82


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo

512a sessione plenaria del CESE dei giorni 9 e 10 Dicembre 2015

24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/1


Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema: I profughi

(2016/C 071/01)

Alla sua sessione plenaria dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 10 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato la seguente risoluzione con 174 voti favorevoli, 8 voti contrari e 9 astensioni.

1.

Il CESE esprime tutto il suo sincero apprezzamento per l’importante impegno che la società civile sta assumendo nei confronti dei profughi che fuggono da paesi devastati dalla guerra e che, quindi, meritano la protezione accordata dalla Convenzione di Ginevra. Senza tale risposta, la tragica situazione umanitaria che si è manifestata in molti paesi europei avrebbe potuto diventare catastrofica. Il Comitato economico e sociale europeo è direttamente impegnato a dare voce a questa realtà, per garantire che essa sia adeguatamente presa in considerazione dalle istituzioni europee, dai governi e dagli altri attori politici.

2.

Il CESE sta organizzando visite per incontrare le organizzazioni della società civile che offrono aiuto ai profughi in 11 Stati membri (Ungheria, Polonia, Malta, Grecia, Germania, Austria, Slovenia, Bulgaria, Svezia, Italia, Croazia) e in Turchia, i paesi più interessati dall’afflusso di profughi. Come organo che rappresenta la società civile organizzata presso le istituzioni europee, agiremo come il portavoce di tali organizzazioni a livello europeo.

3.

Il CESE ritiene che la situazione attuale richieda, per i profughi provenienti da paesi colpiti dalle guerre e minacciati dal terrorismo, la creazione di corridoi umanitari sicuri da parte dell’UE, che deve lavorare di concerto con i paesi in cui questi profughi si concentrano. Inoltre, il CESE ritiene che l’UE dovrebbe instaurare un autentico sistema europeo comune di asilo, basato su procedure armonizzate in tutta l’UE. Tale sistema dovrebbe, tra l’altro, prevedere uno statuto d’asilo uniforme e il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di asilo, la condivisione delle responsabilità, della solidarietà e degli sforzi per quanto riguarda la ricollocazione e il reinsediamento, e la revisione del regolamento di Dublino. Inoltre, sono necessari sistemi solidi e solidali di ripartizione degli oneri, nel cui quadro il primo passo sarebbe la definizione di un criterio permanente equo e obbligatorio di distribuzione, in tutti i paesi dell’UE, delle persone che cercano protezione. A causa delle circostanze eccezionali e in linea con il patto di stabilità e crescita, le spese addizionali di accoglienza dei profughi non dovrebbero contare, previo un accurato esame, ai fini del calcolo dei disavanzi pubblici degli Stati membri.

4.

Il CESE esprime profonda inquietudine per l’attuale erosione dell’accordo di Schengen e del principio della libera circolazione, realizzazioni fondamentali dell’UE a beneficio dei suoi cittadini. È importante rendere veramente sicure le frontiere esterne dei paesi Schengen. Tuttavia, il ripristino delle barriere interne e la costruzione di muri non aiuteranno ad avvicinare tra loro i cittadini europei o a promuovere la cittadinanza dell’UE.

5.

È essenziale altresì sviluppare misure immediate anche per affrontare alla radice le cause degli attuali flussi di profughi. L’UE deve lavorare su tali questioni insieme con i paesi di origine e di transito e il CESE insiste perché la Commissione adotti per tale cooperazione l’approccio basato sui diritti umani e non solo un approccio improntato alla sicurezza. Il CESE sottolinea, infine, la necessità di coinvolgere la società civile nel dialogo con i paesi terzi.

6.

Da tempo impegnato sulle questioni della migrazione, negli ultimi anni soprattutto per il tramite del Forum europeo dell’integrazione/delle migrazioni, il CESE considera l’integrazione e l’inclusione dei profughi un processo bidirezionale in cui le parti sociali e altre organizzazioni della società civile svolgono, insieme con i governi e le autorità locali, un ruolo essenziale. Si dovrebbe dare priorità all’accesso al mercato del lavoro e, più specificamente, al riconoscimento delle qualifiche e alla messa a disposizione di formazione professionale e linguistica, ove necessario. L’Unione europea deve lanciare una serie di azioni nei paesi di accoglienza e nell’UE per centralizzare le domande per posti di lavoro, formazione e riconoscimento delle qualifiche.

7.

Per creare il necessario consenso sociale in tutta l’Europa è fondamentale rispettare pienamente la parità di trattamento e i diritti sociali sia dei cittadini dell’UE che dei profughi in Europa, con particolare attenzione a coloro che tra di loro sono i più vulnerabili. Investimenti tempestivi per l’integrazione dei profughi nella società e nel mercato del lavoro sono importanti per aiutarli a ricostruire le loro vite, riducendo nel contempo al minimo i potenziali conflitti con la popolazione locale ed evitando costi più elevati in futuro. Un adeguato finanziamento dei servizi pubblici locali e un dialogo civile tra profughi e popolazione locale sono elementi cruciali per raggiungere questo obiettivo.

Bruxelles, 10 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


PARERI

Comitato economico e sociale europeo

512a sessione plenaria del CESE dei giorni 9 e 10 Dicembre 2015

24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/3


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Semplificazione della PAC»

(parere esplorativo)

(2016/C 071/02)

Relatore:

Seamus BOLAND

La Commissione europea, in data 2 settembre 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Semplificazione della PAC

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 196 voti favorevoli, 9 voti contrari e 26 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) constata che la Commissione europea si è data la priorità di semplificare radicalmente l’attuazione della politica agricola comune (PAC), e che essa ha già proposto, e intende continuare a proporre, la semplificazione di alcuni atti della stessa Commissione, rendendo la legislazione dell’UE più facile da capire e da applicare sul campo.

1.2.

Il CESE ritiene che tra gli elementi necessari del processo di semplificazione figurino una maggiore trasparenza e certezza del diritto, come pure la riduzione degli oneri amministrativi inutili e dei relativi costi per gli agricoltori, gli altri beneficiari, le organizzazioni di produttori e le amministrazioni nazionali.

1.3.

L’attuazione delle semplificazioni apportate al sistema deve avvenire al più presto e deve facilitare le cose, in particolare per gli agricoltori. È essenziale che tale processo sia accompagnato da un’assistenza basata sull’informazione e sull’educazione.

1.4.

Il CESE riconosce gli sforzi che la Commissione ha compiuto per semplificare l’attuazione della nuova PAC, tenendo in considerazione le notifiche e le decisioni adottate dagli Stati membri. Con l’approccio attuale è difficile rendere la PAC molto più semplice per l’agricoltore senza compromettere il rigore richiesto per il soddisfacimento dei requisiti. Per contro, tali requisiti non sono sempre coerenti e giustificati se considerati nell’ottica della loro conversione in veri e propri beni pubblici e in benefici ambientali.

1.5.

Le ispezioni e le eventuali ammende devono essere proporzionate all’ammontare delle somme ricevute dal beneficiario, ai motivi della non conformità e alla volontà di adottare azioni correttive. I casi evidenti di frode deliberata devono essere trattati seguendo le normali procedure. Il CESE raccomanda di ridurre la mancanza di proporzionalità costituita dalle considerevoli riduzioni del sostegno applicate anche in caso di infrazioni lievi.

1.6.

Nell’attuare le misure di ecologizzazione si deve tener conto di fattori imprevisti, quali le condizioni meteorologiche, la siccità o altri eventi analoghi che rendono inattuabili tali misure.

1.7.

Qualora la Corte di giustizia europea si sia pronunciata in merito a questioni quali il prato permanente, è importante che le norme emanate per applicare la sentenza siano concepite in modo da ridurre al minimo la regolamentazione piuttosto che ampliarla.

1.8.

L’attuale processo legislativo (regolamento del Consiglio corredato da atti delegati e di esecuzione) è estremamente complesso e di difficile comprensione per i cittadini: si dovrebbe quindi eseguire uno studio su come possa essere semplificato.

1.9.

Una volta che sia stato applicato un regime forfettario nel contesto dei pagamenti diretti, si dovrebbe riesaminare il complesso sistema di diritti all’aiuto.

1.10.

I prati temporanei dovrebbero poter mantenere lo status di seminativi indipendentemente dal periodo di tempo in cui vengono adibiti a tale uso.

1.11.

L’attuale definizione di «agricoltore attivo» non deve sfavorire gli agricoltori e dovrebbe basarsi sul fatto che il terreno ammissibile all’aiuto è utilizzato dall’agricoltore a scopi agricoli.

1.12.

Il CESE concorda sul fatto che la semplificazione della PAC rappresenta un progetto ambizioso, in particolare dal momento che le politiche agricole e di sviluppo rurale sono per loro natura complesse. La semplificazione dev’essere compatibile con obiettivi politici più ampi, quali:

l’ambiente,

la sicurezza alimentare,

la disponibilità di derrate alimentari,

la coesione,

la tutela degli interessi finanziari dell’Unione,

la promozione dell’inclusione sociale, della lotta alla povertà e dello sviluppo economico.

1.13.

Gli Stati membri dovrebbero fare in modo che la metodologia che guida l’azione sui tassi di errore sia concepita in modo da garantire un’attuazione equa.

1.14.

Occorre prendere in considerazione e introdurre senza indugio delle misure volte a facilitare l’accesso dei giovani agricoltori al regime mirato alla loro categoria. L’accesso dei giovani al settore dell’agricoltura andrebbe sostenuto.

1.15.

Il CESE raccomanda di istituire una norma che limiti l’aumento degli oneri burocratici, ad esempio consentendo di abrogare un regolamento in vigore quando se ne propone uno nuovo.

2.   Osservazioni generali sulla politica agricola comune

2.1.

Il bilancio della PAC, pari a 408 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, rappresenta il 38 % dell’intero bilancio dell’UE. Il primo pilastro, per un ammontare di 313 miliardi di euro, costituisce il 77 % della spesa totale per la PAC. I pagamenti diretti, per un totale di 294 miliardi, rappresentano il 94 % del primo pilastro.

2.2.

Il presente parere tiene conto di precedenti pareri del CESE (1).

2.3.

L’ultima grande riforma della PAC, completata nel 2013, è stata concordata nel quadro del processo di codecisione. Ciò significa che il Parlamento europeo ha partecipato in veste di colegislatore, su un piano di parità con i ministri dell’agricoltura, il cui numero, nel periodo trascorso dalla precedente grande riforma del 2003, era aumentato da 15 a 28.

2.4.

Si osserva che durante un precedente riforma della PAC la Commissione aveva presentato una proposta di regolamento sui pagamenti diretti, la cui valutazione evidenziava un aumento degli oneri burocratici pari al 15-20 %. Allo stesso tempo sono stati realizzati tagli di bilancio.

2.5.

Negli anni precedenti era stata già introdotta una serie di emendamenti che non sempre mantenevano una netta distinzione tra la semplificazione e lo smantellamento delle misure della PAC. Ad esempio:

un’unica organizzazione comune di mercato (OCM) ha sostituito le 21 OCM che vigevano in precedenza. La sua introduzione ha permesso di abrogare 86 atti giuridici del Consiglio, sostituendo oltre 1 080 articoli con circa 350,

la «valutazione dello stato di salute», del 2009, ha introdotto un ulteriore disaccoppiamento ed ha abrogato vari regimi, tra cui i pagamenti per le colture energetiche e per il frumento duro, e il regime di smaltimento della crema di latte, del burro e del burro concentrato,

i requisiti in materia di licenze sono stati portati da 500 a 65 per le importazioni, e ridotti a soli 43 per le esportazioni,

la Commissione ha abrogato le norme di commercializzazione specifiche per 26 tipi di ortofrutticoli, azzerando i costi di conformità per gli operatori, eliminando la necessità di controlli da parte delle autorità nazionali e riducendo lo spreco di prodotti,

gli agricoltori non sono più soggetti all’obbligo di tenere i terreni a propria disposizione per dieci mesi per ricevere pagamenti diretti, e hanno quindi maggiore flessibilità nella gestione dell’azienda e nella risposta all’andamento del mercato.

2.6.

Secondo i dati della direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale della Commissione (DG AGRI), i fondi destinati alla priorità «Sviluppo rurale» sono così ripartiti:

assistenza tecnica e trasferimento di conoscenze: 3 %,

potenziamento della redditività delle aziende agricole: 20 %,

ecosistemi: 43 %,

promozione dell’organizzazione della filiera alimentare: 10 %,

promozione di un uso efficiente delle risorse: 9 %,

promozione dell’inclusione sociale: 15 %.

3.   Contesto

3.1.

Il presente parere esplorativo prende spunto dall’intervento con cui il commissario Phil Hogan ha dichiarato alla plenaria del CESE del luglio 2015 che la sua principale priorità era una maggiore semplificazione della PAC, e dalla successiva lettera con cui il primo vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha invitato il CESE a presentare un parere esplorativo sul tema della semplificazione della PAC.

3.2.

A giudizio del commissario, la semplificazione rimedierà in parte all’attuale maggiore grado di complessità della PAC e all’incremento degli oneri amministrativi che essa ha imposto agli agricoltori, agli altri beneficiari e alle autorità di gestione, senza che si perdano di vista i principali obiettivi di tale politica.

3.3.

La Commissione sta completando la valutazione di tutti i contributi sulla base di tre principi guida, vale a dire che le azioni dovrebbero:

rispettare le politiche della riforma del 2013,

concentrarsi su ciò che è utile agli agricoltori e agli altri beneficiari,

non compromettere la sana gestione finanziaria della spesa destinata alla PAC.

3.4.

È ovvio che il processo di semplificazione, di qualunque tipo esso sia, non deve minacciare l’occupazione nell’intero settore.

3.5.

Attraverso il pilastro dello sviluppo rurale, la PAC svolge una funzione essenziale in termini di inclusione sociale, lotta alla povertà e sviluppo economico, arrecando in tal modo benefici all’intera popolazione delle zone rurali. Il CESE accoglie espressamente i punti chiave di cui all’articolo 5, paragrafo 6, lettere da a) a c), del regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (2): favorire la creazione di posti di lavoro, stimolare lo sviluppo locale e promuovere l’accessibilità, l’uso e la qualità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Pertanto, una semplificazione della PAC dovrebbe compiere passi in avanti tali da garantire la messa a disposizione di adeguate risorse finanziarie in modo semplice e senza intoppi burocratici.

3.6.

La Commissione ha avviato un processo che comporta l’analisi approfondita di tutta la legislazione vigente al fine di individuare i settori in cui è possibile apportare adeguamenti e miglioramenti. Essa ha già ricevuto contributi dagli Stati membri, da membri del Parlamento europeo e da organizzazioni agricole di tutta l’UE. Va notato che la documentazione relativa a queste proposte supera già le 1 500 pagine. Dall’esame di questa documentazione, si può concludere che le proposte si dividono in due grandi categorie:

misure intese a ridurre gli adempimenti burocratici per gli agricoltori,

misure protettive volte a conseguire gli obiettivi di ecologizzazione.

3.7.

Il CESE prende atto dell’elenco di priorità per quanto concerne le misure di semplificazione elaborato dal Consiglio Agricoltura e dalla presidenza. Questo elenco potrebbe costituire la base di proposte presentate dalla Commissione.

3.8.

La Commissione asserisce che ogni Stato membro dispone di una grande libertà nella scelta della metodologia di gestione e monitoraggio della PAC, e che la semplificazione può essere realizzata mediante una ragionevole interpretazione. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero cercare di migliorare il processo di semplificazione attraverso uno scambio di buone pratiche.

4.   Approcci alla semplificazione

4.1.

È generalmente riconosciuta l’esigenza di procedere a una semplificazione, affinché l’applicazione della PAC non sia in nessun caso più complessa del necessario.

4.2.

La Commissione intende presentare proposte relative alle aree di interesse ecologico (AIE) in una determinata azienda agricola, alle AIE adiacenti, alla compensazione delle AIE in caso di dichiarazione errata, e al sistema di identificazione delle parcelle agricole (SIPA).

4.3.

Essa si propone di riesaminare le possibilità di semplificazione dei pagamenti diretti (specie per quanto riguarda l’ecologizzazione), dello sviluppo rurale, del regime per gli ortofrutticoli e della politica della qualità.

4.4.

La Commissione sta inoltre presentando un pacchetto che contempla elementi di pagamento diretto, come il regime per i giovani agricoltori, il sostegno accoppiato e il sistema integrato di gestione e di controllo (SIGC). Tali modifiche dovrebbero essere applicabili, se possibile, a partire dall’anno di domanda 2016 o, al più tardi, entro l’anno di domanda 2017.

4.5.

Le regole inerenti alla definizione di «prato permanente» stanno creando problemi per la classificazione dei prati temporanei come seminativo o prato permanente. Dovrebbe essere possibile mantenere lo status dei prati temporanei (classificati come seminativi) anche qualora gli agricoltori decidano di adibire tali terreni alla produzione di foraggio per cinque o più anni di seguito. In tal modo gli agricoltori non sarebbero obbligati ad arare il loro terreno solo per evitare che diventi prato permanente. Questo permetterebbe di adibire i terreni interessati a pascolo per un periodo più lungo, il che sarebbe vantaggioso sotto il profilo ecologico.

4.6.

Per quanto riguarda le misure di mercato, la Commissione porta avanti un ambizioso programma di semplificazione, elaborando nuovi atti delegati e di esecuzione per allineare le regole a livello della Commissione con il nuovo regolamento del Consiglio che istituisce un’organizzazione comune dei mercati agricoli (regolamento OCM). L’obiettivo consiste non soltanto nel ridurre drasticamente il numero e la complessità di tali regole, ma anche nel garantire una reale semplificazione per gli agricoltori e gli operatori.

4.7.

La Commissione ha presentato di recente due tempestive modifiche della normativa attuale, adottando:

un regolamento di esecuzione che rinvia al 15 giugno 2015, per l’anno di domanda 2015, il termine ultimo per la presentazione delle richieste di aiuto per i pagamenti diretti e il sostegno nell’ambito di alcune misure di sviluppo rurale, in modo da dare agli agricoltori e alle autorità nazionali più tempo per preparare tali richieste,

un regolamento delegato che modifica le regole sui pagamenti diretti, concedendo maggiore flessibilità per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità da rispettare per il sostegno accoppiato facoltativo per gli animali, in risposta ad una richiesta formulata da un gran numero di Stati membri, europarlamentari e parti interessate.

4.8.

La Commissione intende introdurre una serie di proposte riguardanti le modifiche che possono essere effettuate in base agli attuali orientamenti, tra cui:

le coltivazioni pure di leguminose (ad esempio erba medica) non dovrebbero essere considerate per definizione come prato permanente dopo cinque anni,

il periodo di dichiarazione di terreni lasciati a riposo come aree di interesse ecologico e il periodo oggetto di impegni agroambientali non saranno presi in considerazione ai fini del calcolo del periodo di cinque anni per i prati permanenti,

la Commissione presenterà una serie di proposte concernenti i pagamenti diretti,

un secondo pacchetto proposto dalla Commissione è inteso a comprendere elementi diversi da quelli dell’ecologizzazione, come ad esempio il regime per i giovani agricoltori, il sostegno accoppiato facoltativo e alcuni aspetti del sistema integrato di gestione e di controllo. Tali modifiche dovrebbero diventare applicabili, se possibile, a partire dall’anno di domanda 2016 o, al più tardi, l’anno successivo.

come promesso dalla Commissione nell’aprile 2014, si procederà a un’ulteriore revisione delle norme sull’ecologizzazione nel 2016, dopo il primo anno di applicazione. L’obiettivo è quello di presentare nel 2016 un ulteriore pacchetto di misure, in vista di una loro applicazione l’anno successivo (anno di domanda 2017).

la Commissione valuterà le possibilità di semplificare lo sviluppo rurale: programmazione e approvazione dei programmi di sviluppo rurale, doppio finanziamento, controlli, opzioni semplificate in materia di costi e di notifica.

5.   Questioni riguardanti la semplificazione

5.1.

L’ecologizzazione dei pagamenti diretti è attualmente un elemento fondamentale delle riforme della politica agricola comune. Mentre apprendono ad adattarsi a questi cambiamenti, gli agricoltori continuano a temere che specifiche misure non siano abbastanza flessibili per affrontare situazioni impreviste dovute alle condizioni climatiche o alle fluttuazioni dei prezzi di mercato.

5.2.

Si dà per inteso che vengano realizzate delle ispezioni senza preavviso: queste sono tuttavia considerate quanto meno un grave disagio e, nel peggiore dei casi, possono causare un serio stress psichico agli agricoltori. È chiaro che, in base a criteri di giustizia, si dovrebbe dare all’agricoltore un preavviso ragionevole prima dell’ispezione.

5.3.

Poiché le ammende in caso di inadempienza saranno insolitamente elevate, gli agricoltori temono di non ottenere un sostegno, in particolare sotto forma di informazioni adeguate. In questo caso gli Stati membri devono trasmettere informazioni adeguate agli agricoltori più interessati dai cambiamenti, con una particolare attenzione per gli agricoltori che si trovano in una situazione di svantaggio sociale ed economico.

5.4.

L’attuale quadro regolamentare relativo alla definizione di «agricoltore attivo» non è soddisfacente e richiederà ulteriori e complesse misure amministrative. Ne consegue il rischio che gli agricoltori impegnati nella produzione agricola siano esclusi e, inversamente, possano essere inclusi quelli che non vi prendono parte.

5.5.

Gli agricoltori stanno ancora cercando di gestire l’ecologizzazione, attualmente al primo anno di applicazione, e le tre pratiche agricole che essa implica. Diversificazione delle colture, mantenimento di prati permanenti e destinazione del 5 % dei terreni ad aree d’interesse ecologico sono i tre aspetti della riforma cui gli agricoltori devono conformarsi per essere ammessi a beneficiare degli aiuti.

5.6.

È inaccettabile che gli agricoltori siano spesso considerati responsabili a causa di errori commessi a livello amministrativo. Così facendo, vengono in particolare compromessi i mezzi di sostentamento di agricoltori a basso reddito, che dipendono da questa fonte di entrate.

5.7.

La proporzionalità delle sanzioni costituisce un tema ricorrente per la maggior parte delle associazioni europee del settore.

5.8.

Gli agricoltori con aziende di superficie inferiore a 15 ettari, o che percepiscono pagamenti al di sotto dei 10 000 EUR, ritengono che la conformità dovrebbe basarsi su un’ispezione semplificata, e che ulteriori ispezioni dovrebbero essere effettuate solo qualora vi siano prove preliminari di inosservanze gravi.

5.9.

Per i prati permanenti dovranno essere risolte le questioni sollevate dalla decisione del 2014 della Corte di giustizia dell’Unione europea. Tale procedimento ha evidenziato numerosi casi problematici di fasce tampone (seminativi), terreni erbosi, seminativi ritirati e seminativi sottoposti a misure agroambientali, in cui gli agricoltori hanno ravvisato il rischio che il terreno in questione venisse formalmente dichiarato «prato permanente» a causa della regola dei cinque anni dopo i quali un terreno è considerato per definizione un «prato permanente».

5.10.

Laddove le organizzazioni agricole individuano un’esigenza di semplificazione, flessibilità e proporzionalità, i gruppi ambientalisti vedono rischi reali. Dal punto di vista del CESE, ciò significa una mancata riconciliazione degli obiettivi di miglioramento ambientale con quello della produzione alimentare nelle aziende agricole familiari.

5.11.

Per quanto riguarda le disposizioni orizzontali, si potrebbe applicare all’intensità dei controlli un approccio più proporzionato e basato sul rischio, che tenga conto del rischio e degli importi in questione, dell’efficacia rispetto ai costi e dei diversi obiettivi e risultati perseguiti.

5.12.

Occorrerebbe evitare controlli multipli. In caso di non conformità, specie per infrazioni lievi, le riduzioni dei pagamenti e le sanzioni amministrative dovrebbero essere proporzionate. Inoltre:

occorrerebbe semplificare il calcolo di tali sanzioni,

il sistema di controlli e sanzioni per la condizionalità dovrebbe essere rivisto in relazione alla proporzionalità,

si dovrebbe valutare la possibilità di autorizzare i pagamenti, compresi quelli anticipati, dopo l’espletamento dei controlli amministrativi,

il metodo per il calcolo dei tassi di errore dev’essere armonizzato,

in caso di infrazioni lievi, facilmente rettificabili, occorrerebbe incoraggiare un maggiore tasso di tolleranza.

5.13.

Sarebbe necessario concentrarsi sulle misure che richiedono attenzione con urgenza, come ad esempio il miglioramento delle note orientative, la fornitura di assistenza tecnica, la facilitazione della cooperazione e lo scambio di migliori pratiche tra amministrazioni.

5.14.

I giovani agricoltori incontrano delle difficoltà nell’accedere al regime mirato alla loro categoria. Le barriere che, senza alcun motivo, impediscono l’accesso a tale regime tendono a scoraggiare i giovani dal dedicarsi alle attività agricole e vanno eliminate. L’accesso dei giovani al settore dell’agricoltura andrebbe sostenuto.

5.15.

Eventuali modifiche del vigente quadro giuridico dovranno essere adottate lasciando agli agricoltori il tempo necessario per pianificare in modo adeguato la stagione della semina. In particolare, le modifiche che riguardano le domande per l’anno 2017 dovrebbero essere pubblicate nell’estate del 2016.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Modalità di applicazione della riforma della PAC (relazione informativa), NAT/664; Programmi di sviluppo rurale: semplice palliativo o primi segnali di ripresa?, (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 89); La PAC verso il 2020, (GU C 191 del 29.6.2012, pag. 116).

(2)  GU L 347 del 20.12.2013, pag. 487.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti, pur avendo ricevuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni:

Nuovo punto dopo il punto 1.5

Inserire il seguente nuovo punto e modificare di conseguenza la numerazione:

Il CESE raccomanda vivamente che le ispezioni nelle aziende agricole abbiano luogo unicamente previo ragionevole preavviso — non inferiore a due settimane — inviato agli agricoltori interessati.

Motivazione

Gli agricoltori che sono oggetto di un’ispezione senza preavviso, spesso nei periodi di maggiore impegno nella loro azienda agricola nel corso dell’anno, sono soggetti a rischi per la salute e la sicurezza, oltre che di stress psichico, causati dall’essere costretti ad abbandonare attività importanti — ad esempio la nascita dei vitelli, il raccolto e altre ancora.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

84

Voti contrari:

104

Astensioni:

35

Nuovo punto prima del punto 1.6

Inserire il seguente nuovo punto e modificare di conseguenza la numerazione:

Un più elevato grado di tolleranza andrebbe applicato nel caso di infrazioni lievi, qualora queste indichino un basso livello di inadempienza e siano facilmente rettificabili.

Motivazione

Talune infrazioni sono per loro stessa natura assai lievi e facilmente rettificabili, e in molti casi non incidono sulla produzione agricola complessiva.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

75

Voti contrari:

116

Astensioni:

40


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Università impegnate nella costruzione dell’Europa»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 071/03)

Relatore:

Joost VAN IERSEL

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 marzo 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del suo regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Università impegnate nella costruzione dell’Europa.

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015, (seduta del 9 dicembre 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

Il futuro dell’Europa dipende in modo sostanziale dalla disponibilità delle conoscenze più avanzate e di persone dotate di talento in una società aperta e guidata dalla conoscenza. E le università hanno un ruolo centrale da svolgere in questo processo. Se ogni Stato membro agisce da solo, il risultato non sarà mai ottimale.

1.2.

Il CESE sottolinea che le competenze a livello nazionale e dell’UE dovrebbero essere condivise ed affinate in modo da creare uno Spazio europeo dell’istruzione superiore. E il concetto di università «civica» e «imprenditoriale» può anch’esso risultare molto utile per promuovere la qualità dell’istruzione superiore in Europa.

1.3.

La situazione attuale dimostra che, nonostante i progressi compiuti, permangono ancora numerose barriere e limitazioni che ostacolano, tra l’altro, un coinvolgimento efficace dell’UE. La diversità delle culture, il persistere di interessi di parte, la scarsità di risorse finanziarie e gli sviluppi demografici rendono difficile, in molti casi, fornire risposte aggiornate a sfide sempre mutevoli come la globalizzazione, le nuove tecnologie e la mobilità.

1.4.

Il CESE è dell’avviso che le istituzioni europee debbano svolgere un ruolo di stimolo e catalizzatore nel processo di modernizzazione dell’istruzione superiore in Europa, per quanto riguarda non solo la didattica ma anche la ricerca e l’innovazione. Le università assolvono una missione autonoma di interesse pubblico. Il principio di sussidiarietà e l’eterogeneità del panorama universitario non consentono di adottare un approccio unico, valido per ogni situazione. Tuttavia, gli orientamenti strategici e il sostegno forniti dall’Unione europea possono contribuire in modo decisivo a migliorare le condizioni quadro.

1.5.

È, poi, di vitale importanza che la Commissione svolga un ruolo di stimolo e attivazione nel programma relativo al processo di trasformazione delle università europee in fattori di crescita economica, coesione sociale e benessere collettivo.

1.6.

Occorrerebbe fare espresso riferimento alla modernizzazione dell’istruzione superiore nei programmi nazionali di riforma (PNR) e nelle raccomandazioni specifiche per i singoli paesi.

1.7.

L’UE dovrebbe dimostrare il suo impegno a favore dell’istruzione superiore attraverso la strategia Europa 2020 (incluso il semestre europeo), il programma Erasmus+, Orizzonte 2020 e i fondi regionali e di coesione, nonché agevolando la mobilità transfrontaliera di studenti e docenti.

1.8.

Consultazioni strategiche a livello dell’UE dovrebbero sommarsi alle discussioni e ai progetti all’interno dei singoli paesi e delle singole università, nonché tra paesi e tra università, al fine di promuovere la qualità delle università europee. Le migliori pratiche dovrebbero essere diffuse in maniera sistematica.

1.9.

Ancora una volta, il CESE sottolinea la necessità che gli istituti d’istruzione superiore sviluppino un’autonomia, una responsabilità e una trasparenza effettive in quanto presupposti essenziali per la modernizzazione (1); e fa notare che, per creare tali presupposti, è indispensabile rendere disponibili finanziamenti appropriati e adeguati.

1.10.

In un’epoca di profondi cambiamenti sociali ed economici, la trasformazione delle università è un processo lungo e laborioso. Le università devono sviluppare un atteggiamento di apertura nei confronti dei bisogni della società, e nel far ciò devono dar prova di proiezione verso l’esterno, anche verso le altre parti interessate.

1.11.

Il CESE accoglie con favore il concetto di università civica e il modello della «tripla elica» e della «quadrupla elica» (2), incentrato sull’apertura dell’istruzione superiore, sull’ampliamento dell’accesso, sull’attenzione al contesto regionale, sull’integrazione delle idee di tutte le (potenziali) parti interessate nei programmi e sull’instaurazione di un rapporto intelligente e al passo con i tempi tra ricerca e istruzione.

1.12.

L’università civica presenta un buon numero di elementi comuni con l’università imprenditoriale, ponendo l’accento sull’autonomia della propria missione e sulla propria apertura verso il mercato del lavoro, nonché sulla rilevanza sociale dei programmi di studio, della ricerca e dell’innovazione. Le piattaforme delle parti interessate (3) possono rivelarsi estremamente utili per la definizione congiunta dei requisiti. E strutture di partenariato pubblico-privato tra le università e le formazioni sociali di qualsiasi tipo possono essere parimenti vantaggiose.

1.13.

La qualità dell’insegnamento e una preparazione adeguata per il mondo di lavoro dovrebbero rimanere una priorità per qualsiasi ateneo (di eccellenza), indipendentemente dalla sua specializzazione. Inoltre, è necessario riconoscere e premiare l’eccellenza nell’insegnamento.

1.14.

La Commissione europea dovrebbe svolgere un ruolo di stimolo nei progetti transfrontalieri di interscambio tra università, docenti e studenti, nonché nella promozione dell’apertura al mondo; e dovrebbe sviluppare strumenti come la classificazione U-Multirank, ove opportuno per gli studenti e le altre parti interessate.

2.   La situazione attuale

2.1.

Le considerevoli differenze che si riscontrano tra le università europee sono dovute alla grande eterogeneità di tradizioni e culture (4). Nel 1999, il processo di Bologna ha avviato una tendenza positiva verso la modernizzazione dei piani di studio.

2.2.

Dal 2008, la crisi economica e finanziaria ha costretto le università a riconsiderare con maggiore attenzione le loro attività e a ricercare nuove fonti di finanziamento e un impiego più vantaggioso delle risorse. E tutto ciò si è tradotto in una maggiore concorrenza per accaparrarsi le scarse risorse disponibili. La scarsità dei fondi a disposizione costituisce un vero problema per numerose università, nonché un ostacolo all’attuazione dei programmi di modernizzazione.

2.3.

La profonda e rapida trasformazione che investe la società in conseguenza della globalizzazione e delle nuove tecnologie sta lasciando il suo segno nelle università. L’istruzione superiore, la ricerca e l’innovazione sono al cuore della ripresa economica sostenibile; tuttavia, i vincoli finanziari e il processo di trasformazione mettono a nudo carenze non meno importanti.

2.4.

Un aspetto fondamentale è la mancanza di autonomia, responsabilità e trasparenza. Al riguardo, peraltro, tra gli Stati membri esistono differenze sostanziali (5).

2.5.

Le migliori pratiche dimostrano che una revisione delle strutture e dei programmi di studio, unitamente a una maggiore apertura e cooperazione, stimolano la qualità e i risultati.

2.6.

Oggi, l’istruzione superiore dovrebbe essere alla portata di tutte le persone dotate di talento. La correlazione sempre più stretta tra l’accesso a tale istruzione e il contesto socioeconomico di provenienza, infatti, finisce per disattendere nei fatti il principio di uguaglianza. Inoltre, in alcuni paesi, il possesso di un titolo d’istruzione superiore non garantisce in alcun modo un lavoro sicuro: con la crisi, i giovani dotati di tale livello di istruzione non sono affatto al riparo dalla disoccupazione.

2.7.

Le tendenze demografiche in atto danneggiano (in misura sempre maggiore) le aree meno popolose e competitive. Questi sviluppi hanno spesso conseguenze gravi sull’attrattiva esercitata nei confronti di docenti e studenti e sul livello dei docenti e studenti interessati. Alcuni paesi, poi, devono far fronte al problema della fuga dei migliori cervelli. Inoltre, nei paesi interessati le nuove università private mancano di un’adeguata garanzia di qualità e producono risultati insoddisfacenti. Una situazione, questa, resa ancor più grave dalla mancanza di fondi per l’istruzione superiore tradizionale.

2.8.

Il desiderio di instaurare rapporti più intensi tra le università e il loro contesto sociale alimenta ovunque il dibattito sul ruolo delle prime nella società, nonché sulle alleanze con altre parti interessate quali imprese, parti sociali e società civile.

2.9.

La mancata corrispondenza tra le competenze dei laureati e le necessità del mercato del lavoro, tra l’offerta e la domanda, è un fenomeno avvertito in modo particolarmente acuto. Le imprese lamentano l’assenza di professionisti qualificati, specialmente nelle professioni tecniche e nel settore delle TIC. I rapidi mutamenti della base di conoscenze globale fanno sì che, oggi più che mai, i laureati debbano possedere l’insieme di abilità adatto per il XXI secolo, che consenta loro di aggiornare sistematicamente le loro conoscenze.

2.10.

Inoltre, le nuove tecnologie e la digitalizzazione stanno costringendo l’istruzione superiore ad adeguare e affinare le metodologie esistenti. Si vanno affermando nuove forme di insegnamento e apprendimento, tra cui l’apprendimento incentrato sugli studenti ed i corsi online. Ciò nonostante, i campus delle università «fisiche» continueranno a svolgere un ruolo cruciale nelle comunità locali e regionali, in quanto terreni d’incontro per l’istruzione, la ricerca e la creazione di reti.

2.11.

Gli studenti e i docenti universitari stanno diventano sempre più mobili, a livello mondiale. Nei segmenti superiori, poi, è in corso una «guerra» per accaparrarsi e trattenere i migliori talenti, benché la tendenza complessiva sia più ampia. La qualità e l’attrattiva delle università europee sono fattori cruciali nell’attrarre studenti dall’estero, contribuendo ad arricchire la didattica e la ricerca e a generare reti durevoli.

2.12.

Nel loro sforzo per ottenere migliori risultati, in molti casi le università (di punta) considerano la ricerca il loro compito più importante, e le norme in materia di finanziamenti sostengono questa tendenza. Tuttavia, il fatto che si riservi un’attenzione privilegiata alla ricerca tende a minare l’equilibrio e l’interazione ottimali tra la ricerca stessa e la didattica.

3.   Trasformare ed aprire le università

3.1.

La trasformazione delle università in poli della conoscenza nella società come parte integrante dell’ecosistema dell’UE alimenta il dibattito sulle caratteristiche essenziali dell’istruzione superiore, sulle quali le pratiche quotidiane devono basarsi.

3.2.

Al di là delle diverse impostazioni, una tendenza comune sembra essere l’apertura dell’istruzione superiore alle opinioni e agli interessi degli attori pubblici e privati e degli studenti, nonché a temi come l’arricchimento reciproco tra ricerca e istruzione e una maggiore cooperazione e internazionalizzazione.

3.3.

Per la maggior parte delle università, quello dianzi delineato è un processo lungo e laborioso. Non è facile, per i grandi istituti tradizionali, modificare pratiche consolidate. Inoltre, in molti paesi le procedure (politiche) esistenti per la nomina degli amministratori, dei docenti e dei ricercatori ostacolano il cambiamento. In tali casi, è raro che si adottino approcci indipendenti da parte delle università e in seno alle stesse. Il CESE ritiene che, in tutto il continente, nell’istruzione superiore si dovrebbe attribuire un’alta priorità all’apertura di tale istruzione nonché delle menti e della mentalità.

3.4.

La ricerca di alto livello e la presenza di personale con una formazione migliore e altamente qualificato sono indispensabili per rendere qualsiasi economia più resistente alle crisi. La crisi, infatti, ha prodotto effetti deleteri sui centri della conoscenza, mentre le analisi dimostrano l’esistenza di una correlazione diretta tra una ricerca e un’istruzione di alto livello, da un lato, e i risultati economici dall’altro.

3.5.

Le università non puntano più ai segmenti più alti della società. Il loro numero e le loro dimensioni sono aumentati in misura esponenziale. Il panorama è divenuto più diversificato: oggi esiste un numero maggiore di tipologie, ossia, ad esempio, le università di scienze applicate e le università di ricerca, l’istruzione superiore regionale accanto alle università nazionali e internazionali, e l’offerta di un maggior numero di facoltà, segnatamente nei comparti economici e tecnici.

3.6.

L’ampliamento dell’accesso all’istruzione superiore è giustamente una priorità politica in tutto il continente. Nell’UE, il 40 % degli appartenenti alla prossima generazione dovrebbe essere in grado di ottenere un titolo universitario. Inoltre, i programmi di studio, gli strumenti di apprendimento (l’utilizzo dei nuovi media nell’apprendimento misto ecc.), il rapporto tra ricerca e istruzione, nonché altri aspetti come l’internazionalizzazione e l’interesse pubblico, non presentano ormai alcuna analogia con il passato. E i metodi di gestione devono adeguarsi di conseguenza.

3.7.

Università autonome, responsabili e trasparenti dovrebbero poter agire il più liberamente possibile all’interno di un quadro giuridico che incoraggi le forze dal basso e la concorrenza quale importante contributo a una più ampia partecipazione e ad una specializzazione intelligente.

3.8.

Un atteggiamento di apertura, che includa una chiara proiezione verso l’esterno e in particolare verso le altre parti interessate, dovrebbe sostenere le università in quanto volani della crescita, della competitività e della coesione sociale.

3.9.

Per la vitalità economica della comunità locale e regionale, i concetti di università civica e imprenditoriale possono risultare molto utili; e, affinché questi concetti possano tradursi in realtà, sono necessarie tanto l’ambizione quanto la stretta cooperazione tra le università, le parti interessate e le autorità pubbliche.

4.   L’università civica

4.1.

Il CESE accoglie con favore il concetto di università civica (6). Un concetto, questo, che travalica l’insegnamento, la ricerca accademica e la conoscenza per coinvolgere attivamente il pubblico e la società circostante, a tutti i livelli. Ogni università può aggiungere una dimensione civica al proprio lavoro assumendosi il ruolo sia di centro di produzione intellettuale per la comunità sia di stazione ricevente, che trasforma le idee eccellenti provenienti da altri luoghi nel proprio contesto specifico.

4.2.

Questi processi sono già in atto in tutta Europa, grazie a una ricerca guidata dalla domanda, a un apprendimento imperniato sui problemi e alla cooperazione tra università e comunità locali, scuole, ospedali, imprese ecc.; tuttavia, è ancora necessario un sostanziale rafforzamento delle capacità (7).

4.3.

A livello regionale, le università possono sostenere un approccio olistico e farsi leader nel riunire le pertinenti parti interessate per fare fronte alle sfide comuni. Un’università civica adeguatamente concepita può poi svolgere un ruolo importante nella promozione dei risultati delle regioni in difficoltà.

4.4.

La configurazione concreta di questo modello varierà da un’università all’altra. Oltre che per le università di diretto interesse per le aree meno prospere, con scarsi risultati economici e/o difficoltà demografiche, i criteri in base ai quali un’università potrebbe definirsi «civica» valgono anche per una gamma di atenei di gran lunga più ampia. Oggigiorno, infatti, anche le università europee di livello mondiale e quelle che ambiscono a diventare tali sono — giustamente — sempre più attratte dall’impegno e dalla partecipazione civica.

4.5.

L’università civica rappresenta un modello per le università che vogliono andare oltre gli antiquati metodi di gestione adottati in passato od altre impostazioni tradizionali. E ciò è particolarmente importante nei casi in cui i giovani talenti dovrebbero essere spronati a contribuire all’economia nazionale o regionale. Una cooperazione più approfondita con le parti interessate pertinenti, in tutte le regioni, deve essere la formula-guida per l’apertura e la modernizzazione.

4.6.

Le presidenze di turno del Consiglio hanno giustamente adottato un approccio analogo nelle dichiarazioni di Lund e di Roma (8), sottolineando la necessità che la ricerca si concentri sulle grandi sfide del nostro tempo, abbandonando i rigidi approcci tematici e coinvolgendo le parti interessate dei settori pubblico e privato. Quando si tratta di definire lo Spazio europeo della ricerca e l’Unione dell’innovazione, la ricerca e l’innovazione responsabili rappresentano un obiettivo centrale, che coinvolge tutte le politiche e le attività pertinenti. Questi principi figurano anche tra le priorità del programma Orizzonte 2020.

4.7.

Oltre al modello della «tripla elica» — che implica la cooperazione tra università, settore privato e amministrazioni pubbliche — esiste anche il modello della «quadrupla elica», che coinvolge anche le comunità locali e la società civile. Quest’ultimo modello ha una forte dimensione di luogo oltre che di scopo, ed è inoltre trasparente e responsabile nei confronti delle parti interessate e del pubblico in generale, offrendo così una nuova opportunità di partecipazione alla società civile.

4.8.

Una categoria di persone cui occorre dedicare una particolare attenzione è quella costituita dagli ex studenti. In Europa, infatti, è possibile fare di più per coinvolgerli affinché contribuiscano a migliorare i risultati e l’immagine delle università. E, per far ciò, l’Europa potrebbe seguire l’esempio della prassi corrente negli Stati Uniti.

4.9.

Gli ex studenti dovrebbero essere considerati come parte integrante della comunità universitaria. Essi possono essere ambasciatori di un’università a livello regionale, nazionale e internazionale, nonché forze trainanti nel dibattito sui programmi di studio — il che sarebbe particolarmente utile in un’epoca di rapidi cambiamenti — e possono contribuire utilmente al dibattito sull’equilibrio tra ricerca e istruzione e tra ricerca e mercato. Un obiettivo specifico potrebbe essere quello di utilizzare gli ex studenti come mentori per i neolaureati, specialmente se questi sono studenti di prima generazione, magari provenienti da altri paesi.

4.10.

Una maggiore mobilità degli ex studenti si traduce in reti internazionali efficaci, che possono rivelarsi utili tanto per le relative università che per le imprese.

5.   L’università imprenditoriale

5.1.

L’università civica presenta una serie di elementi comuni con l’università imprenditoriale. Le università non sono imprese: esse svolgono infatti una missione autonoma di interesse pubblico, segnatamente quella di fornire istruzione, di produrre ricerca (di alto livello) e di utilizzare la conoscenza a vantaggio della società in generale. Ma l’università imprenditoriale si concentra su un duplice scopo: dirigere e gestire l’istituzione accademica e stimolare le capacità imprenditoriali e lo spirito d’iniziativa degli studenti.

5.2.

La pertinenza dei piani di studio ai fini del mercato del lavoro e la rilevanza sociale della ricerca e dell’innovazione assumono al riguardo un’enorme importanza. La comunicazione e l’interazione con il settore privato, a livello nazionale e regionale, rivestono un’importanza cruciale per affrontare le sfide che si profilano per la società.

5.3.

Pensare per compartimenti stagni ormai non serve più. Le dinamiche tecnologiche e le sfide sociali esigono un adattamento costante. Il lato della domanda diventa sempre più complesso, richiedendo competenze interdisciplinari e transdisciplinari e un atteggiamento di apertura verso ogni nuovo sviluppo. Oltre alle competenze professionali, ciò rende necessario anche lo sviluppo di abilità. Le piattaforme di parti interessate, collegate alle università, possono rivelarsi estremamente utili per la definizione congiunta dei requisiti. Il personale docente deve essere adeguatamente preparato per questo contesto dinamico. Le abilità imprenditoriali (9), inoltre, dovrebbero essere materia di studio in ogni tipo di istituto di istruzione superiore, in tutta l’Unione europea.

5.4.

Analogamente, le strutture di partenariato pubblico-privato che mettono insieme università e altre componenti della società, come gli ambienti imprenditoriali e il settore sanitario, possono rivelarsi ugualmente vantaggiose.

5.5.

Un progetto utile per le università sarebbe la creazione di «catene di valore dell’istruzione», in collaborazione con i settori imprenditoriali. Qui le finalità principali sarebbero due:

da un lato, agevolare i collegamenti e lo scambio di informazioni con i settori imprenditoriali, al fine di migliorare i risultati dell’apprendimento per il singolo laureato e per l’impresa, e, dall’altro,

distribuire fondi e altre risorse attingendo alle diverse componenti della «catena dell’istruzione», dalla Commissione europea e dai ministeri nazionali fino alle autorità scolastiche e quindi agli studenti. Parallelamente, occorrerebbe promuovere l’insegnamento di materie tecniche e l’apprendistato.

5.6.

Analogamente, gli accordi di prestazione, in vigore in alcuni Stati membri, promuoveranno la specializzazione, il profilo e l’immagine delle università. Tali accordi, che possono essere di ampio respiro internazionale o avere una dimensione regionale, accrescono l’ambizione e la qualità sia dei programmi che degli studenti. E, a tale fine, è essenziale un impegno coerente da entrambe le parti (governi e istituti d’istruzione superiore).

5.7.

L’innovazione dovrebbe interessare non solo la ricerca e l’istruzione ma anche la governance. In tal senso, un esempio riuscito di miglioramento «dal basso» è HEinnovate, uno strumento online indipendente per l’autovalutazione messo a punto dalla Commissione europea (10) di cui andrebbe incoraggiato un utilizzo più ampio.

5.8.

Esistono poi programmi universitari proposti a livello internazionale, nonché un’ampia panoplia di corsi online che si fanno concorrenza e si offrono agli studenti che vogliono accrescere la loro mobilità. La comparabilità e la trasparenza dovrebbero favorire la concorrenza e la convergenza in termini di risultati. Gli strumenti per la trasparenza come U-Multirank nell’UE hanno un grande potenziale, e le università sono chiamate a valutare come utilizzare in modo più efficace gli strumenti di questo tipo.

5.9.

Tutte le persone dotate di talento dovrebbero avere la possibilità di accedere all’istruzione superiore. L’obbligo di pagare un corrispettivo per ricevere tale istruzione è sempre più diffuso, e, di conseguenza, oggi gli studenti valutano con maggiore senso critico l’istruzione che viene loro impartita. Tuttavia, occorre evitare che l’introduzione di tasse universitarie determini di fatto una selezione sociale. Misure di sostegno agli studenti (in funzione del contesto socioeconomico da cui essi provengono) devono garantire un accesso universale ed equo a un’istruzione adeguata. Inoltre, l’imposizione di tasse universitarie non deve essere utilizzata impropriamente, alla stregua di un sostituto degli attuali finanziamenti pubblici.

5.10.

Anche gli sviluppi demografici esigono sforzi maggiori per incrementare il numero dei laureati nelle regioni interessate, soprattutto per promuovere la resilienza e la futura sopravvivenza di quelle regioni.

5.11.

Laddove sono in gioco sia l’interesse degli studenti che quello delle imprese, l’istruzione superiore e la ricerca devono essere strettamente collegate tra loro. Ciononostante, i modelli di finanziamento tendono a favorire i risultati prodotti dalla ricerca, con la conseguenza che sempre meno docenti universitari svolgono un’effettiva attività didattica.

5.12.

Le università devono tenere debito conto del fatto che la grande maggioranza di coloro che conseguono una laurea (triennale o magistrale), e finanche dei dottori di ricerca, lavorerà nella società e nelle imprese, e comunque al di fuori del mondo accademico. Di conseguenza, la qualità dell’istruzione e una preparazione adeguata per il mondo del lavoro dovrebbero rimanere una priorità per qualsiasi ateneo (di eccellenza), indipendentemente dalla sua specializzazione. In tal senso, gli Stati Uniti rappresentano un esempio che l’Europa non dovrebbe seguire (11). Per l’Europa, la formula consiste nel puntare all’eccellenza e all’equità.

5.13.

La digitalizzazione è un cambio di paradigma che sta influenzando profondamente l’istruzione superiore per quanto riguarda l’insegnamento e l’apprendimento [misto (12)], le competenze di docenti e studenti e le strutture di governance. A tutti i livelli, saranno necessari un maggior dinamismo e una maggiore flessibilità. In quest’ottica, una più intensa cooperazione tra l’istruzione superiore e il settore privato è altrettanto utile, se non addirittura essenziale.

6.   Portare avanti la dimensione europea

6.1.

Il CESE si rallegra del fatto che tutti gli aspetti summenzionati, come pure l’ammodernamento dell’istruzione superiore, siano sempre più presenti nell’agenda dell’UE. Sarebbe opportuno addivenire ad un approccio comune che assicuri l’effettivo completamento dello Spazio europeo dell’istruzione superiore e dello Spazio europeo della ricerca.

6.2.

Università aperte e trasparenti, cui si accompagni una strategia di orientamento europea ben definita, saranno estremamente vantaggiose per il mercato unico e per la modernizzazione di una società europea resistente alle crisi nell’arena globale. E la libera circolazione di studenti, ricercatori e conoscenze assume al riguardo un’importanza essenziale.

6.3.

L’impegno dell’Unione europea a favore dell’istruzione superiore è iniziato con la promozione della ricerca scientifica in una serie di programmi quadro consecutivi. Da allora, l’impegno dell’UE nel campo dell’istruzione non ha cessato di crescere. Il patto di stabilità e di crescita pone l’accento sulla necessità di sostenere spese che favoriscano la crescita, comprese, in particolare, quelle per l’istruzione superiore.

6.4.

Due dei cinque obiettivi principali della strategia Europa 2020 sono direttamente collegati all’istruzione superiore: quello relativo agli investimenti nella R&S e nell’innovazione e quello riguardante l’istruzione stessa. E questi obiettivi impegnano diversi commissari europei. Nel 2014, le raccomandazioni specifiche per paese hanno messo in luce che quasi la metà degli Stati membri deve far fronte a gravi problemi di disallineamento tra le competenze insegnate e quelle rilevanti per il mercato del lavoro, come pure a una costante mancanza di cooperazione tra l’istruzione superiore e le imprese o le altre parti interessate.

6.5.

Le raccomandazioni specifiche per paese richiamano l’attenzione sulla necessità di garantire l’occupabilità e rispondere alle esigenze del settore privato e degli studenti/laureati in quanto futuri dipendenti (o datori di lavoro), nonché di stimolare la competitività, grazie a una più efficace cooperazione tra l’istruzione superiore, gli istituti di ricerca e le imprese. Il CESE ribadisce che il seguito dato alle raccomandazioni specifiche per paese dovrebbe essere soggetto ai un monitoraggio più efficace, e i relativi risultati formare oggetto di una discussione aperta da parte della Commissione e del Consiglio.

6.6.

Tuttavia, malgrado la necessità che l’istruzione superiore sia autonoma e responsabile, negli Stati membri vi sono forze politiche che chiedono una maggiore regolamentazione del settore, la quale, per i soggetti che vi operano, si tradurrebbe in una minore autonomia. In questi casi non si esita a invocare il principio di sussidiarietà, con la conseguenza di impedire l’armonizzazione dei sistemi d’istruzione superiore in Europa, ledendo così gli interessi degli studenti e della società nel suo insieme.

6.7.

Nell’Unione europea e non solo, bisognerebbe mettere a frutto qualifiche più elevate e più ampie. E, per far ciò, occorre garantire un interscambio transnazionale tra università, docenti e studenti, nonché dar prova di apertura al mondo. Un esplicito impegno del Consiglio, degli Stati membri e della Commissione dovrebbe tradursi in prestazioni migliori da parte dell’istruzione superiore, grazie a una migliore condivisione e a un affinamento delle competenze a livello nazionale e dell’UE.

6.8.

Il CESE sottolinea costantemente l’importanza cruciale dei programmi dell’UE in materia di ricerca e innovazione. La ricerca transfrontaliera favorisce la redditività degli investimenti, i programmi dell’UE incoraggiano una maggiore attenzione alle tecnologie fondamentali e ai temi strategici, i finanziamenti transnazionali si traducono in maggiori risultati, e le alleanze scientifiche europee imprimono un impulso reale alla competitività europea. Ma a tal fine è anche necessario che le nuove conoscenze siano oggetto di una condivisione più ampia, segnatamente grazie all’accesso aperto.

6.9.

Nell’ambito del settimo programma quadro e — dal 2014 — di Orizzonte 2020, il Consiglio europeo della ricerca sostiene con successo la ricerca di alta qualità attraverso finanziamenti competitivi. Tuttavia, barriere strutturali continuano a ostacolare la mobilità transfrontaliera di ricercatori, accademici e studenti.

6.10.

Le prestazioni dell’istruzione superiore e della ricerca sono sempre più soggette a valutazione e rese trasparenti a livello mondiale. Le università cooperano e competono ormai su scala globale, lavorando su progetti di ricerca congiunti, perseguendo l’eccellenza e, in misura sempre maggiore, reclutando sia studenti che personale fuori dall’Unione europea. Questo è un tema cruciale, e tuttavia le normative nazionali e la mancanza di stimoli possono soffocare i progressi in questo campo. Le misurazioni internazionali dimostrano che in Europa il divario tra i «primi della classe» e gli altri si sta allargando.

6.11.

È dunque necessario profondere maggiori sforzi per coinvolgere ricercatori eccellenti da tutta Europa nei progetti comuni. Le «sacche di eccellenza» in tutto il continente devono essere collegate tra loro e partecipare a progetti di ricerca europei di alto livello.

6.12.

La mobilità di accademici e studenti in Europa è limitata, dato che troppe pastoie ancora ostacolano la circolazione transfrontaliera. È urgente fare in modo che in Europa ricercatori e accademici godano di condizioni di lavoro equivalenti, nonché garantire una maggiore convergenza di programmi e titoli di studio.

6.13.

Occorrerebbe inoltre migliorare i dati statistici, ancora inadeguati, e utilizzarli meglio per misurare e accrescere il raggio della mobilità.

6.14.

L’apertura e l’aggiornamento delle università, come pure la diversificazione culturale grazie a una maggiore internazionalizzazione, sono salutari. Inoltre gli studenti, sostenuti da social media aggiornati, da strumenti per la trasparenza come U-Multirank e dalla specializzazione delle università, sono incoraggiati a compiere scelte precise. Adottare a livello dell’UE delle soluzioni pragmatiche dovrebbe essere loro di aiuto.

6.15.

Ad indicare la strada da percorrere può essere una cooperazione più stretta avviata tra alcuni volenterosi. Ne è un esempio il recente accordo tra i paesi del Benelux sul riconoscimento reciproco e automatico dei titoli di studio, che rappresenta un passo avanti decisivo (13). La tendenza al riconoscimento reciproco dei titoli universitari e in particolare dei titoli scientifici contribuirà a ridurre le barriere tra le università e a creare scambi aperti.

6.16.

Sistemi di garanzia della qualità adatti devono essere internazionalizzati e dovrebbero avere una chiara connessione europea; e ciò implica anche la necessità di riconoscere le decisioni di accreditamento. In questo campo, qualsiasi iniziativa in tal senso andrebbe accolta con favore (14). Un processo di riconoscimento reciproco dovrebbe sfociare gradualmente in un accreditamento paneuropeo, che promuoverà la qualità dell’insegnamento nelle università che oggi producono risultati inferiori.

6.17.

Pratiche di questo tipo sarebbero utili in tutta Europa, sia ai fini della mobilità che dell’occupabilità. Introducendo un titolo di studio unico per più università, i programmi congiunti tra università diventerebbero di gran lunga più appetibili. E si dovrebbe anche considerare l’opportunità di sostenere i gemellaggi. Lo scambio di pratiche amministrative e didattiche sul posto, inoltre, potrebbe migliorare la qualità.

6.18.

Una condizione di base per l’internazionalizzazione è l’utilizzo di lingue comuni. La conoscenza delle lingue — più esattamente: di più di due lingue — è auspicabile per ragioni culturali ed economiche. E l’inglese potrebbe essere la lingua franca del mondo contemporaneo. Tuttavia, i progressi sul fronte delle competenze linguistiche sono troppo lenti. Occorrerebbe prendere in considerazione l’opportunità di introdurre l’obbligo, per gli studenti, di conoscere anche una lingua diversa da quella materna.

6.19.

Il programma Erasmus+ si è rivelato un grande successo, nonché un sostanziale passo avanti nell’agevolare la mobilità. Esso gode di buona accoglienza anche da parte delle imprese, oltre a risultare pienamente in linea con il principio guida della crescita e dell’occupazione seguito dalla Commissione. Il finanziamento del programma dovrebbe essere tale da soddisfare una domanda in crescita, e occorrerebbe rimuovere qualunque ostacolo giuridico agli scambi tra studenti.

6.20.

I fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE) sono giustamente incentrati sui fattori dell’innovazione e della crescita, ricerca inclusa. La Commissione deve svolgere un ruolo guida nel migliorare la partecipazione delle università ai progetti regionali.

6.21.

Di norma, le università sono indipendenti dagli enti locali e regionali; esistono però alcune notevoli eccezioni, le quali andrebbero quindi evidenziate. Un contributo altamente positivo è poi quello fornito dal programma dei fondi SIE, che, attraverso le RIS3 (15), collega la ricerca ai programmi regionali dell’UE, promuovendo un contesto favorevole all’innovazione.

6.22.

Le università dovrebbero conoscere le RIS3 e i modi in cui esse trovano applicazione a vari livelli; e, insieme con le autorità regionali impegnate, dovrebbero svolgere un ruolo attivo nell’ambito del programma.

6.23.

Purtroppo, per ragioni inerenti alla governance, il programma dei fondi SIE è ancora sottoutilizzato dalle università. Più in generale, è necessario ricercare sinergie tra i programmi dell’UE (fondi strutturali e d’investimento europei, Orizzonte 2020 e Erasmus+), ma per far ciò occorre superare il contrasto tra le rispettive disposizioni, che oggi tende a bloccare questo processo.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. il parere del CESE dal titolo «Università per l’Europa», (GU C 128 del 18.5.2010, pag. 48).

(2)  Cfr. il punto 4.7.

(3)  Si tratta di piattaforme cui partecipano partner imprenditoriali, parti sociali e amministrazioni locali.

(4)  Ai fini del presente parere, per «università» s’intendono tutti gli istituti di istruzione superiore. In alcuni paesi esiste una distinzione importante tra le università di ricerca e le università di scienze applicate; in altri, invece, le une e le altre sono designate genericamente come università.

(5)  Il quadro di valutazione dell’autonomia realizzato dall’Associazione delle università europee (http://www.university-autonomy.eu/) rivela che, in diversi paesi, l’autonomia organizzativa, finanziaria, di personale o accademica lascia ancora molto a desiderare.

(6)  Questo modello è stato approvato da diverse organizzazioni, come la Rete europea per la ricerca e l’innovazione delle regioni (European Regions Research and Innovation Network — ERRIN) e il Consorzio europeo di università innovative (European Consortium of Innovative Universities — ECIU). Tra i sostenitori più convinti di tale modello figura anche John Goddard, ex vice-rettore dell’Università di Newcastle.

(7)  Seminario del CESE, 13 giugno 2014 — Università per l’Europa.

(8)  Dichiarazione di Lund del 2009, dichiarazione di Roma del 2014.

(9)  Cfr. la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio (2006/962/CE), del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente. Lo spirito d’iniziativa e l’imprenditorialità attengono alla capacità di una persona di tradurre le idee in azioni e comprendono la creatività, l’innovazione e la propensione al rischio nonché la capacità di pianificare e di concepire e gestire progetti al fine di conseguire obiettivi.

(10)  Cfr. HEInnovate, How entrepreneurial is your HEI? (www.heinnovate.eu).

(11)  Cfr. The Economist del 28 marzo 2015, «Special report on American universities: Excellence v equity» (Rapporto speciale sulle università statunitensi: eccellenza contro equità).

(12)  L’apprendimento misto consiste nell’avvalersi (in maniera integrata) sia dell’istruzione tradizionale che di quella aperta (online).

(13)  Il 18 maggio 2015, i paesi del Benelux hanno sottoscritto un accordo sul riconoscimento reciproco e automatico di tutti i titoli di studio universitari. Nell’ambito del processo di Bologna, il gruppo di paesi apripista raccomanda di valutare il riconoscimento automatico a livello di sistemi su base regionale, con paesi partner aventi obiettivi comuni.

(14)  Il 9 luglio 2015, ad esempio, il Comitato di accreditamento dei programmi di studio in Germania (Akkreditierungsrat) e l’Agenzia comune di certificazione della qualità di Paesi Bassi e Fiandre (NVAO) hanno convenuto di riconoscere le rispettive decisioni di accreditamento che riguardano i programmi congiunti tra i paesi e/o le regioni di loro competenza.

(15)  RIS3: strategie nazionali e/o regionali di ricerca e innovazione per la specializzazione intelligente.


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo degli ingegneri nella reindustrializzazione dell’Europa»

(parere di iniziativa)

(2016/C 071/04)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Correlatore:

Zbigniew KOTOWSKI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Il ruolo degli ingegneri nella reindustrializzazione dell’Europa.

(parere d’iniziativa)

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 novembre 2015, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI e dal correlatore KOTOWSKI.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 206 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che tanto i singoli ingegneri e tecnici europei quanto le loro associazioni nazionali ed europee rappresentino una risorsa fondamentale nel processo di re-industrializzazione europea quale fattore di accelerazione della trasformazione delle ricerche in applicazioni innovative di mercato.

1.2.

Lo sviluppo economico dell’UE è sempre più legato a un processo di re-industrializzazione inteso come una strategia di transizione verso nuovi modelli sostenibili di concezione, produzione e immissione sul mercato di prodotti innovativi ad alto valore aggiunto che incorporino tecnologie, materiali e servizi nuovi e di qualità in un mondo sempre più digitalizzato.

1.3.

Il CESE ritiene che il ruolo chiave di ingegneri e professioni tecniche in questo processo per risolvere i problemi posti alla società europea dalle sfide della re-industrializzazione debba essere maggiormente sottolineato e valorizzato, e chiede che venga lanciato un esercizio di foresight partecipativo sul futuro della professione.

1.4.

Il CESE raccomanda di promuovere una cultura europea dell’imprenditorialità e dell’innovazione con il varo di azioni concrete per il rilancio delle professioni di ingegnere e di tecnico, artefici di civiltà e prosperità.

1.5.

Il CESE sostiene la necessità di un quadro armonico europeo propulsivo per la professione che dovrebbe comprendere temi quali:

mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali,

mobilità intra-UE e spirito d’impresa,

matrici europee di formazione permanente e apprendimento continuo formale e informale con programmi di sostegno,

migliore accesso agli appalti pubblici, specie per le cooperative, le start-up e le reti di imprese, in particolare piccole e medie, nonché le associazioni professionali di ingegneri,

migliore accesso ai finanziamenti e al mercato dei capitali,

campagne per aumentare la capacità attrattiva di corsi e carriere e dei riconoscimenti professionali,

sostegni alla interdisciplinarità e al lavoro in rete digitale,

flessibilità e valorizzazione della parità di genere,

mutua regolamentazione della responsabilità professionale in tutto il mercato unico,

politiche attive per incoraggiare l’assunzione di ingegneri da parte delle PMI,

promozione della cultura della proprietà intellettuale.

1.6.

Il CESE ritiene che livelli elevati di formazione e qualificazione in ingegneria costituiscano un presupposto essenziale per un sistema efficace di mutuo riconoscimento. È necessario mantenere standard educativi e formativi elevati, anche con l’introduzione di un 29o regime regolamentare UE facoltativo sulla base delle sperimentazioni di «tessere professionali europee» volontarie (1) e con il sostegno attivo delle associazioni professionali nazionali ed europee degli ingegneri, se vogliamo garantire la fiducia di ciascuno Stato nei confronti di una reciproca mobilità professionale, basata sulla conoscenza.

1.6.1.

L’attuale sviluppo della società crea una quantità di nuovi posti di lavoro al di fuori del settore tecnico, i quali, grazie all’influenza dei media e al desiderio di popolarità sociale, risultano attraenti per i giovani che ambiscono a una carriera rapida e prestigiosa. Da questo punto di vista, la professione di ingegnere è percepita come «tradizionale» e priva di qualsiasi possibilità di carriera agevole e veloce. Ne consegue che le discipline ingegneristiche non saranno interessanti per le generazioni future, il che rappresenta una grave minaccia per il successo del programma europeo di reindustrializzazione e per la competitività dell’industria europea. Si tratta di un problema serio per gli attuali sistemi di istruzione, che fa emergere la necessità di un deciso orientamento dell’istruzione primaria verso la matematica, la fisica e l’ingegneria, e di una presentazione che renda tali materie attraenti, in modo da suscitare la curiosità delle giovani generazioni. Analogamente, il principio della formazione duale e le migliori pratiche in materia (Germania, Svizzera e Austria) meritano una particolare attenzione da parte di tutti gli Stati membri in cui tale sistema non è presente.

1.7.

Secondo il CESE, occorre creare un Mercato unico dell’ingegnere europeo e sviluppare un approccio articolato comune, teso ad aumentare la mobilità in tutto lo spazio europeo, vista l’importanza che riveste il mutuo riconoscimento, specie per gli ingegneri autonomi e indipendenti.

1.8.

Il CESE raccomanda che sia assicurato un forte ruolo alla componente ingegneristica nella politica di standardizzazione europea per accelerare, semplificare e modernizzare le procedure, garantire l’interoperatività dei sistemi e delle reti.

1.9.

Il CESE raccomanda che le organizzazioni in cui l’ingegnere opera sviluppino, sulla base del sistema del quadro europeo delle qualifiche professionali, modelli formativi su base elettronica confacenti alle nuove generazioni e modalità di governance e di valutazione, adatti alle caratteristiche dei nuovi ingegneri, con ambienti e carriere di lavoro attraenti.

1.10.

Secondo il CESE, le organizzazioni di rappresentanza e gli ordini professionali dovrebbero trovare maggiori convergenze per svolgere un ruolo propulsivo unitario, sia all’interno che all’esterno dell’UE, e offrire ai propri membri una formazione permanente secondo parametri comuni europei.

1.11.

Il CESE raccomanda che la Commissione dia un seguito concreto all’istituzione del Foro europeo delle libere professioni, nel cui ambito trovino ampia rappresentanza associazioni di categoria, ordini e collegi professionali (2) degli ingegneri, e auspica la creazione di un Portale dell’ingegnere europeo dove possano trovare spazio problematiche quali: responsabilità, proprietà intellettuale, fiscalità e trattamenti pensionistici, formazione continua, codici di buone prassi ecc.

1.12.

Il CESE raccomanda che la Commissione elabori un codice europeo di buone prassi ingegneristiche sulla base delle esperienze delle organizzazioni nazionali d’ingegneri e di tecnici, fornendo a questi professionisti i presupposti giuridico-finanziari per la realizzazione di progetti innovativi, specie per PMI e operatori di R&S.

1.13.

Il CESE sostiene la necessità che la professione sia sempre più rivolta alla gestione di problemi complessi, rivolti alla sostenibilità economica, sociale ed ambientale, valorizzando sempre più impostazioni multidisciplinari avanzate e una adeguata interoperatività tra sistemi manifatturieri e le nuove realtà industriali 4.0.

1.14.

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a tenere in debito conto le conclusioni del Consiglio europeo del 20-21 marzo 2014 chiedendo loro di affrontare le carenze in materia di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica — le c.d. competenze STEM — in via prioritaria e con maggiore coinvolgimento dell’industria.

2.   Introduzione

2.1.

All’origine dell’ingegneria europea si trova la tensione verso il rinnovamento rappresentata dal genio di Leonardo che riflette l’apertura all’innovazione della società europea e un quadro culturale di valorizzazione dell’impegno civile, del buon governo e dell’operosità.

2.2.

Come sottolinea il PE, «la crisi ha duramente colpito le economie europee. All’UE occorre una strategia di crescita globale per superare simili difficoltà» (3).

2.3.

La strategia di re-industrializzazione dell’UE si concentra specialmente sugli investimenti in termini d’innovazione, dove l’ingegnere ha un ruolo chiave, soprattutto nei settori in rapida crescita.

2.4.

La convergenza di tecnologie digitali, sistemi di comunicazione e reti intelligenti, nanobiotecnologie, tecnologie industriali sostenibili, stampanti 3D e tecnologie pulite abilitanti intersettoriali sta cambiando profondamente i modi di funzionamento delle economie e delle società a una velocità resa esponenziale dalla globalizzazione.

2.5.

Il futuro dell’UE è legato a un processo di re-industrializzazione inteso soprattutto come una strategia di transizione verso nuovi modelli sostenibili di concezione, produzione e immissione sul mercato di prodotti ad alto valore aggiunto, che incorporano tecnologie, materiali e servizi nuovi in un mondo sempre più digitalizzato.

2.6.

Il CESE è convinto che, in assenza di risorse umane tecniche e scientifiche che dispongano del potenziale necessario in materia di esperienze e di conoscenze, sarà difficile raggiungere gli obiettivi delineati dalla strategia Europa 2020. Anche a questo proposito occorre valorizzare il ruolo delle organizzazioni e associazioni professionali d’ingegneri e di tecnici, a livello nazionale ed europeo.

2.7.

In Europa, la maggior parte delle competenze tecniche è nel settore dell’ingegneria, che comprende circa 130 000 imprese, che occupano più di 10 milioni di persone altamente qualificate e competenti, con una produzione annua di circa 1 840 miliardi di euro, pari a circa un terzo di tutte le esportazioni dell’UE. Inoltre, ingegneri e tecnici svolgono un ruolo importante in tutti i settori dell’economia (4).

2.8.

Occorre sviluppare un nuovo approccio smart nelle politiche europee, nel quale sia assicurato un nuovo ruolo ai professionisti con cultura tecnica. Si avverte sempre più l’esigenza di gestire processi di trasformazione smart dei territori, espressamente richiesti dalla nuova programmazione europea.

2.9.

Per raggiungere questi obiettivi, l’UE deve migliorare i livelli di abilità della sua forza lavoro. Soprattutto all’interno delle competenze ingegneristiche, ci sarà un aumento della domanda dal pubblico e dal settore privato. Il settore pubblico avrà bisogno di maggiori competenze tecniche per soddisfare — applicando le nuove direttive sugli appalti pubblici, con forme di cooperazione in reti d’imprese, con il lavoro in cluster e nuovi software — le sfide nei settori dell’energia, dei trasporti, della sanità, della gestione dei rifiuti, dell’istruzione, dell’impronta di carbonio, dell’Internet degli oggetti, dell’economia circolare.

2.10.

Anche il settore privato dovrà potenziare le competenze ingegneristiche, se vuole raccogliere i frutti dello sviluppo delle competenze nei luoghi di lavoro. Le analisi sul comportamento dei consumatori indicano un aumento costante della domanda d’intelligenza contenuta nei prodotti e nei servizi.

2.11.

Le conoscenze e l’esperienza tecnica devono essere costantemente aggiornate per far fronte alle sfide dei nuovi processi industriali. Sono necessarie nuove forme e metodi di apprendimento e una nuova formazione per consentire l’uso ottimale e flessibile del capitale umano e sociale nel settore. È necessario organizzare nuove forme di lavoro per i liberi professionisti, impegnati nell’area dei servizi professionali, tecnici e scientifici in Europa.

2.12.

Una maggiore mobilità nei mercati del lavoro nazionali, europei e globali porta a un migliore utilizzo della forza lavoro, disponibile all’interno di un bacino ingegneristico europeo attrattivo. Con la possibilità di optare per un regime regolamentare dell’UE facoltativo di 29o regime, si potrebbe favorire la diffusione di una tessera professionale dell’UE per rendere più facile per gli ingegneri specializzati sviluppare esperienze professionali nei vari paesi europei.

2.13.

Per sensibilizzare i potenziali studenti di ingegneria alla professione di ingegnere, occorre una maggiore cooperazione tra industria e mondo accademico e tra datori di lavoro e scuole pubbliche e private, sia a livello primario sia secondario e di R&S. Si tratta di applicare la responsabilità sociale delle imprese e promuovere una formazione appropriata.

2.14.

Con il coinvolgimento degli imprenditori e l’assunzione di nuove e più complesse problematiche, risulta chiaro ai giovani che matematica, tecnologie informatiche, fisica e chimica sono necessarie per risolvere i problemi che la società deve affrontare, e rappresentano le chiavi di nuove soluzioni innovative, in medicina e assistenza sanitaria, come nei trasporti, nell’inquinamento o nel risparmio energetico.

2.15.

Questo tipo di cooperazione deve nascere a livello locale, ma le esperienze e le migliori pratiche devono essere condivise a livello europeo. Ciò contribuirebbe a nuovi posti di lavoro e opportunità di carriera per gli ingegneri, e potrebbe aiutare a rendere tali materie più vive e rilevanti per le nuove generazioni.

2.16.

Allo stesso tempo, tenendo conto dei progressi paralleli nella pluralità delle discipline e della multidisciplinarità delle applicazioni pratiche, occorre garantire qualità ed efficacia introducendo percorsi educativi che integrino nell’istruzione secondaria e nell’università altre materie, quali la psicologia sociale e la gestione in squadra delle risorse umane, lo stimolo dei processi creativi, le nanotecnologie, l’ingegneria biomedica, la storia della tecnica, la geografia economica ecc.

2.17.

Un processo di accreditamento dei programmi educativi è uno dei modi in cui tali professioni possono garantire conformità allo standard. Il processo di garanzia di qualità comporta l’impostazione di standard di riferimento e di valutazione in linea con il quadro europeo e nazionale delle qualifiche professionali.

2.18.

L’accreditamento esterno e la garanzia della qualità interna sono due processi molto importanti per mantenere la qualità della formazione in ingegneria.

3.   Osservazioni generali

3.1.   Ruolo propulsivo dell’ingegnere nella re-industrializzazione dell’UE

Il CESE ritiene fondamentale il ruolo propulsivo degli ingegneri e dei tecnici nella realizzazione concreta della strategia di re-industrializzazione europea, assicurando soluzioni viabili di processi, prodotti e servizi lean, clean, green alle sfide dello sviluppo sostenibile e competitivo.

3.1.1.

Il CESE ritiene al contempo necessario un quadro europeo propulsivo per la professione, in termini di:

mutuo riconoscimento di qualifiche e professioni,

mobilità interna ed esterna al Mercato Unico (MU) e sviluppo di spirito d’impresa,

matrici europee convergenti di formazione permanente e apprendimento continuo formale e informale con programmi di sostegno,

assunzioni di responsabilità e assicurazioni di responsabilità omogenee nel MU,

campagne per aumentare la capacità attrattiva di corsi e carriere e dei riconoscimenti professionali con parità di genere,

sostegni alla interdisciplinarità ed alla gestione in rete di problemi complessi,

flessibilità e valorizzazione delle specifiche delle nuove generazioni,

generazione C (Connected Generation),

politiche per rafforzare agilità di gestione e comunicazione anche in ambito intersettoriale e multidisciplinare, assicurando interoperatività tra scienza, manufacturing e industria 4.0,

sostegno al ruolo di ingegneri e tecnici e delle loro organizzazioni socioprofessionali nell’uso dei programmi R&I e fondi strutturali,

misure promozionali d’assunzione di responsabilità e applicazione di codici etici specie in appalti pubblici con il regime delle nuove direttive (5) attraverso reti di imprese e cluster collaborativi e con specifiche di appalti verdi e per difesa e protezione civile,

un quadro di cooperazione internazionale con accesso facilitato ai mercati dei paesi terzi,

modifiche normative atte a garantire una tutela dei diritti di proprietà intellettuale idonea allo sviluppo della società dell’informazione.

3.2.   Mutuo riconoscimento di qualifiche e professioni, mobilità e spirito d’impresa

3.2.1.

Il CESE ritiene che livelli elevati di formazione e qualificazione in ingegneria costituiscano il presupposto base per un sistema efficace di mutuo riconoscimento: abbassare gli standard educativi per aumentare la mobilità rischierebbe di ridurre la fiducia reciproca in un’UE basata sulla conoscenza, in grado di affrontare le nuove sfide di ingegneria.

3.2.2.

Secondo il CESE, occorre sviluppare un approccio articolato comune — tessera professionale europea (6) previe maggiori convergenze dei percorsi formativi — l’adozione di un regime regolamentare facoltativo parallelo per una tessera professionale UE volontaria, e un quadro comune di formazione e sistemi di convalida di qualifiche formali e/o informali acquisite.

3.2.3.

Il CESE raccomanda il varo di azioni concrete per il rilancio della professione di ingegnere e tecnico, quale attore principale della trasposizione accelerata delle ricerche, in applicazioni di mercato e in soluzioni dei problemi della società. In particolare, il CESE chiede un rafforzamento specifico per gli ingegneri dell’iniziativa Erasmus for Young Entrepreneurs (EYE) e dei meccanismi di microcredito, nonché il lancio di un Premio dell’UE per l’ingegnere creativo, per offrire alla professione l’opportunità di acquisire maggiore visibilità e per incentivare la concezione di idee e progetti ingegneristici d’eccellenza.

3.3.   Formazione e apprendimento continuo formale e informale

3.3.1.

Data la velocità del progresso tecnologico, il CESE ritiene importante il sostegno europeo allo sviluppo di moduli formativi in partenariato con l’industria, per l’acquisizione di alti livelli di competenze specifiche e lo sviluppo di collaborative learning e di progetti learning by doing per una migliore comunicazione interpersonale e di moduli online in tecnologia digitale, reti di comunicazione per acquisire e valutare le informazioni.

3.3.2.

Occorrerebbe sviluppare — con il sostegno regolamentare dell’UE — standard globali di validazione delle capacità di leadership e di assunzione di rischi acquisite attraverso l’apprendimento non formale (7).

3.3.3.

La valorizzazione delle competenze nuove generazionali: «ConGen» richiede una nuova impostazione delle strutture produttive, organizzative, comunicative e di comando.

3.4.   Immagine e futuro dell’ingegnere nella re-industrializzazione dell’UE

3.4.1.

Il CESE ritiene che il ruolo chiave rivestito dagli ingegneri e dalle professioni tecniche nell’affrontare i problemi posti alla società europea dalle sfide della re-industrializzazione debba essere maggiormente sottolineato e valorizzato, e chiede che sia lanciato un esercizio di foresight partecipativo con il coinvolgimento degli attori dello sviluppo, delle amministrazioni, dei decisori politici e degli stakeholder, che individui e valorizzi i profili futuri richiesti alla professione, in termini di soluzione dei problemi, rapidità d’acquisizione e trasposizione applicativa di nuove tecnologie.

3.4.2.

Al riguardo, una valenza specifica dovrebbero rivestire gli ingegneri nel qualificare tale processo di reindustrializzazione in termini di sostenibilità economica, sociale ed ambientale, per una graduale transizione verso una economia circolare «che includa il re-manufacturing e il re-consuming» (8).

3.5.   Ruolo di ingegneri e tecnici nell’uso dei programmi R&I e fondi strutturali

3.5.1.

Il CESE ritiene che ingegneri e tecnici europei rappresentino una risorsa fondamentale nel processo di re-industrializzazione quale fattore di accelerazione della trasformazione delle ricerche in applicazioni innovative di mercato e di soluzione dei problemi complessi di transizione verso un’economia sociale di mercato, sostenibile, sana e competitiva, e che tale risorsa debba trovare accesso e sostegno in soluzioni innovative che premino la qualità e non solo l’economicità e incoraggino tutte le forme di collaborazione congiunta, a rete e in cluster, attraverso politiche e programmi dell’UE, a cominciare da:

azioni strategiche dell’Agenda digitale,

Orizzonte 2020, specie attraverso le tecnologie chiave abilitanti,

COSME e FEI,

fondi strutturali e di coesione.

4.   Osservazioni finali

4.1.

L’UE deve confrontarsi con importanti sfide che rappresentano altrettante difficoltà per l’ingegnere europeo:

prospettive d’invecchiamento della popolazione,

digitalizzazione pervasiva e invasiva,

crescente scarsità di risorse in un contesto ambientale e climatico sempre più critico,

globalizzazione geo-politico-finanziaria con spostamenti del baricentro fuori Europa,

convergenza delle tecnologie, in particolare ICT-nano-bio-tech e sistemi 3D,

problemi complessi di gestione integrata specie delle megalopoli,

Internet dei prodotti e dei servizi e reti intelligenti in crescita esponenziale con lo sviluppo dell’industria 4.0,

enorme sviluppo autonomo del fenomeno di intelligenza collettiva connessa in tempo reale (Social Brain) per le generazioni ConGen.

4.2.

Secondo il CESE, la nuova generazione ConGen di ingegneri dovrebbe acquisire livelli più elevati di qualificazione e competenza formali e informali, dato che i livelli più semplici di soluzione dei problemi saranno affidati a sistemi digitali autonomi, e sviluppare capacità interdisciplinari e flessibilità per gestire problemi complessi.

4.3.

Le organizzazioni in cui l’ingegnere presta la propria opera dovrebbero sviluppare, sulla base del quadro europeo delle qualifiche professionali, moduli formativi digitalizzati e sistemi con modalità di governance adatti alle caratteristiche dei nuovi ingegneri, rafforzando la condivisione di valori e di mission aziendali, favorendo ambienti e carriere attraenti.

4.4.

Secondo il CESE, le organizzazioni di rappresentanza e gli ordini professionali degli ingegneri dovrebbero trovare maggiori ambiti di convergenza, in termini europei, per poter svolgere un ruolo maggiormente propulsivo sia all’interno che all’esterno dell’UE, nella creazione di un Mercato unico dell’ingegnere europeo.

4.5.

Il CESE raccomanda che si dia un seguito concreto alla costituzione del Foro europeo delle professioni liberali, ove trovino ampia rappresentanza associazioni di categoria, ordini e collegi professionali (9) degli ingegneri indipendenti e delle PMI ingegneristiche, e che venga creato un Portale dell’ingegnere europeo nel cui ambito possano trovare spazio interattivo problematiche importanti quali: la gestione delle responsabilità, le tutele della proprietà intellettuale, i regimi di fiscalità ed i sistemi pensionistici.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. la «tessera europea dell’ingegnere» della FEANI.

(2)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 10.

(3)  Cfr. risoluzione del Parlamento europeo del 15.1.2014.

(4)  Fonte: Eurostat.

(5)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 65, pag. 243, pag. 1.

(6)  GU L 354 del 28.12.2013, pag. 132.

(7)  European Institute for Industrial Leadership (Position Paper P20-2015).

(8)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 91.

(9)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 10.


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le nanotecnologie per un’industria chimica competitiva»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 071/05)

Relatore:

Egbert BIERMANN

Correlatore:

Tautvydas MISIŪNAS

In data 28 maggio 2015, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del suo regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Le nanotecnologie per un’industria chimica competitiva

(parere di iniziativa).

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 novembre 2015.

Nella sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene le attività volte a plasmare una politica industriale europea e, in particolare, a promuovere le tecnologie abilitanti fondamentali, che rafforzano la competitività europea. Se l’Europa parla con una sola voce a livello internazionale, il suo ruolo nel dialogo globale ne risulta rafforzato. La capacità innovativa derivante dai nanomateriali e dalle nanotecnologie, in particolare nell’ambito dell’industria chimica, reca un contributo importante in tal senso.

1.2.

Un’iniziativa rivolta alla promozione delle nanotecnologie può contribuire a un ulteriore sviluppo della politica industriale comune europea. La ricerca e lo sviluppo sono due settori così complessi che non possono essere gestiti da singole imprese o istituzioni. A tal fine è necessaria un’ampia collaborazione tra le università, gli istituti di ricerca scientifica, le imprese e gli incubatori di aziende. Un approccio positivo è costituito dalla creazione di hub per la ricerca, come quelli attivi, tra l’altro, nel settore chimico e farmaceutico. Occorre garantire un’integrazione delle PMI.

1.3.

Per le nanotecnologie devono essere ulteriormente sviluppati dei cluster di eccellenza europei (nanocluster). I responsabili nel settore economico, scientifico, politico e sociale devono mettesi in rete per promuovere il trasferimento di tecnologie, la collaborazione digitale e personale, una migliore valutazione del rischio, una specifica analisi del ciclo di vita o la sicurezza dei nanoprodotti.

Nel settore delle nanotecnologie gli strumenti finanziari previsti dal programma quadro per la ricerca Orizzonte 2020 vanno semplificati e strutturati in modo più flessibile, soprattutto per le piccole e medie imprese. Occorre assicurare il finanziamento pubblico, promuovendo al tempo stesso la messa a disposizione di finanziamenti privati.

1.4.

Per inserire meglio la nanotecnologia multidisciplinare nei sistemi di istruzione e formazione, occorre impiegare scienziati e tecnici specializzati in discipline quali la chimica, la biologia, l’ingegneria, la medicina o le scienze sociali. E le imprese devono far fronte con misure mirate di formazione professionale iniziale e continua all’esigenza di avvalersi di collaboratori sempre più qualificati. Occorre coinvolgere i lavoratori, con le loro esperienze e competenze.

1.5.

È necessario promuovere ulteriormente il processo normativo dell’UE. Le norme svolgono infatti un ruolo chiave per il rispetto delle leggi, in particolare quando viene richiesta una valutazione del rischio per garantire la sicurezza dei lavoratori. Occorre quindi sviluppare strumenti per materiali di riferimento certificati, al fine di testare le procedure che misurano le caratteristiche dei nanomateriali.

1.6.

I consumatori vanno informati in modo completo in merito ai nanomateriali. È indispensabile promuovere il consenso sociale a favore di tali tecnologie abilitanti fondamentali. Deve esservi un dialogo regolare tra le associazioni che tutelano i consumatori e l’ambiente e il mondo dell’economia e della politica. A tal fine, occorre sviluppare piattaforme di informazione a livello europeo e strumenti che favoriscano il consenso sociale.

1.7.

Il CESE si aspetta che la Commissione europea istituisca un osservatorio per i nanomateriali, che abbia il compito di monitorare e valutare i processi di sviluppo, le applicazioni, il recupero (riciclaggio) e lo smaltimento di tali materiali. Esso dovrebbe anche osservare e valutare gli effetti sull’occupazione e il mercato del lavoro, descrivendo altresì le conclusioni da trarre sul piano politico, economico e sociale. Già entro il 2020 andrebbe presentata una «Relazione aggiornata sui nanomateriali e le nanotecnologie in Europa», che indichi le possibili linee di sviluppo fino al 2030.

2.   Le nanotecnologie in un’Europa innovativa

2.1.

Da parte della Commissione europea vi sono state e vi sono tuttora molteplici iniziative volte a promuovere l’innovazione e le tecnologie abilitanti fondamentali con l’obiettivo di accrescere la competitività. Come esempi si possono citare le comunicazioni della Commissione per una «Strategia comune per le tecnologie abilitanti fondamentali» (2009, 2012) e la comunicazione «Ricerca e innovazione» del 2014. In diversi suoi pareri (1) il CESE ha manifestato un particolare apprezzamento per le nanotecnologie.

2.2.

Con l’approvazione del piano Juncker 2014, viene accordata una specifica priorità alla politica industriale dell’UE, e quindi anche alla promozione delle tecnologie innovative. Le tecnologie preferenziali di cui si è detto mostrano chiaramente che, se vuole promuovere la competitività, una politica industriale europea deve puntare in modo strategico sulle tecnologie e sui materiali che guardano al futuro. E ciò è vero in misura particolare per il settore chimico e farmaceutico.

2.3.

Il settore chimico e farmaceutico in Europa funge da traino per l’innovazione in altri settori. Nello sviluppo di nuovi prodotti, le nanotecnologie assumono una funzione cruciale, e ciò consente di accrescere la competitività, oltre a contribuire allo sviluppo industriale sostenibile.

2.4.

I nanomateriali sono presenti già oggi in numerosi prodotti utilizzati nella vita quotidiana (come ad esempio la biancheria intima sportiva, i cosmetici, i rivestimenti). Inoltre, si spiana la strada per innovazioni che si concretizzano in nuovi prodotti e procedure (ad esempio nella tecnica energetica e ambientale, nell’ingegneria medica, nell’ottica, nello sviluppo e nella produzione di chip, nella protezione dei dati, nell’industria edile, nonché nelle vernici e nei colori oppure nei prodotti farmaceutici e nell’ingegneria medica).

2.5.

Date le loro ridotte dimensioni, i nanomateriali possono presentare proprietà ottiche, magnetiche, meccaniche, chimiche e biologiche nuove, grazie alle quali si possono sviluppare prodotti innovativi con funzionalità nuove e caratteristiche speciali.

2.6.

In base a una raccomandazione della Commissione europea, i «nanomateriali» sono definiti come materiali le cui particelle costituenti hanno una dimensione compresa fra 1 e 100 nanometri. Tale definizione rappresenta un significativo passo avanti, in quanto indica chiaramente quali materiali vanno considerati nanomateriali e consente di scegliere la procedura di verifica più appropriata (2).

2.7.

Le nanotecnologie offrono un grande potenziale di crescita. Per il periodo dal 2006 al 2021 gli esperti prevedono un aumento annuo da 8 miliardi a 119 miliardi di dollari USA (3).

3.   Le nanotecnologie nell’industria chimica e nella medicina  (4)

3.1.

In questo settore lo spettro delle nanotecnologie utilizzate è veramente enorme. È stato fatto notare che molti dei materiali e delle tecniche che vengono oggi sussunti sotto il concetto di «nano» non sono affatto nuovi, sebbene il termine «nanotecnologia» richiami un’idea di novità. Le vetrate colorate realizzate nel Medioevo, per esempio, contengono nanoparticelle in oro. L’elemento effettivamente nuovo relativo alle nanotecnologie come le intendiamo oggi è il fatto che ora si conosce meglio il loro funzionamento.

3.2.

Grazie alle nanotecnologie, emergono nuovi campi di applicazione nell’ambito della medicina. Il desiderio di poter trasportare un principio attivo in modo mirato nel tessuto malato è antico tanto quanto la produzione di medicinali, e deriva dalla consapevolezza che molti principi attivi provocano forti effetti collaterali, spesso causati da una distribuzione non mirata di tali sostanze nell’organismo. Lo sviluppo dei sistemi di trasporto delle sostanze attive su scala nanometrica consente di accumulare queste ultime nel tessuto malato in modo mirato e di ridurre così gli effetti collaterali.

3.3.

Le nanotecnologie consentono di sviluppare applicazioni concrete anche nell’ambito delle scienze della vita: è il caso, ad esempio, dei «biochip» per i test, con l’ausilio dei quali possono essere diagnosticate e curate tempestivamente malattie come l’Alzheimer, il cancro, la sclerosi multipla o l’artrite reumatoide (5). I mezzi di contrasto basati su nanoparticelle legano le cellule malate in modo mirato, consentendo così una diagnostica notevolmente più rapida e migliore. I nanogel accelerano la rigenerazione della massa cartilaginea. Le nanoparticelle capaci di superare la barriera emato-encefalica, ad esempio, contribuiscono a un trattamento mirato dei tumori cerebrali (6).

3.4.

Nelle membrane su base di materia plastica, piccoli pori di circa 20 nanometri fanno sì che germi, batteri e virus vengano filtrati dall’acqua. La cosiddetta ultrafiltrazione viene impiegata nella depurazione sia dell’acqua potabile che dell’acqua di lavorazione, vale a dire l’acqua risultante dai processi di produzione industriali.

3.5.

Sempre le nanotecnologie faranno sì che, già nell’immediato futuro, il rendimento delle celle solari aumenti in misura considerevole. Grazie a nuovi rivestimenti superficiali, è possibile accrescere notevolmente la produzione e l’efficienza energetiche.

3.6.

Utilizzati come additivi nelle materie plastiche, nei metalli o in altri materiali, i cosiddetti nanotubi, i nanotubicini di carbonio o i fiocchi di grafene, sono in grado di conferire ai materiali nuove proprietà. Essi migliorano, ad esempio, la conducibilità elettrica, aumentano la capacità di carico meccanica oppure incentivano la costruzione leggera.

3.7.

Le nanotecnologie consentono di rendere più efficiente anche l’utilizzo degli impianti eolici, i quali, grazie a nuovi materiali da costruzione, possono essere più leggeri — un fattore, questo, che determina una riduzione dei costi di generazione dell’energia elettrica e permette altresì di ottimizzare la realizzazione di tali impianti.

3.8.

Nel mondo, circa il 20 % del consumo energetico viene destinato all’illuminazione. Dato che la nanoricerca prospetta la possibilità di realizzare lampadine a risparmio energetico funzionanti con una quantità molto inferiore di energia elettrica, tale consumo potrà essere ridotto di oltre un terzo. Inoltre, è solo tramite le batterie a ioni di litio, che non sarebbero realizzabili senza nanotecnologie, che l’auto elettrica diventa efficiente in termini di costo.

3.9.

Il cemento è uno dei materiali da costruzione più diffusi al mondo. Grazie a microcristalli di calcio di dimensioni nanometriche, è possibile produrre elementi cementizi prefabbricati in modo molto più rapido e con un risultato di migliore qualità, ma anche con un consumo energetico inferiore.

3.10.

Già oggi, l’industria automobilistica impiega nanorivestimenti dotati di proprietà speciali; e ciò vale anche per altri mezzi di trasporto, come ad esempio gli aeromobili o le navi.

4.   Le nanotecnologie come componente economica

4.1.

I fattori competitivi sul mercato mondiale mutano costantemente. In parte si tratta di mutamenti previsti, ma in alcuni casi tali trasformazioni avvengono in maniera inaspettata. A sostegno di questi sviluppi vengono presentati dei programmi politici. Ad esempio, nel 2010 è stata concordata la strategia Europa 2020, che mira a realizzare una crescita sostenibile e inclusiva grazie a un più stretto coordinamento tra le misure transeuropee. In questo modo si dovrebbe vincere la «corsa alle innovazioni», che procede già a pieno ritmo. Si tratta di ricerca e sviluppo, garanzia dei brevetti, siti di produzione e posti di lavoro.

4.2.

L’industria chimica costituisce uno dei comparti industriali di maggior successo dell’Unione europea, con ricavi di vendita pari a 527 miliardi di euro nel 2013 — un risultato che fa dell’UE il secondo maggiore produttore mondiale. Nonostante questa solidità, la situazione attuale dà adito a preoccupazioni. A seguito di una rapida inversione di tendenza dovuta a motivi congiunturali, la produzione è in una fase di stagnazione dall’inizio del 2011. E, a livello mondiale, la quota di produzione e di esportazioni dell’Unione europea è da tempo in declino (7).

4.3.

Nel 2012, l’industria chimica ha investito nella ricerca circa 9 miliardi di euro: un ordine di grandezza, questo, che resta pressappoco sempre lo stesso dal 2010. In diversi paesi terzi, invece, come ad esempio gli Stati Uniti e la Cina ma anche il Giappone e l’Arabia Saudita, le attività di ricerca e sviluppo nel campo delle nanotecnologie acquistano un’importanza crescente, tale da inasprire ulteriormente la concorrenza in questo campo.

5.   Le nanotecnologie come componente ambientale

5.1.

La gestione ecocompatibile costituisce un fattore competitivo essenziale per la politica industriale europea e per il mercato unico, come pure per l’orientamento del mercato mondiale.

5.2.

I nanomateriali, grazie alle loro molteplici proprietà, contribuiscono, sia come prodotti a monte o intermedi che come prodotti finali, a una migliore efficienza nella conversione dell’energia e alla riduzione del consumo energetico; La nanotecnologia offre la prospettiva di ridurre le emissioni di CO2  (8), concorrendo in tal modo alla protezione del clima.

5.3.

Il Land tedesco dell’Assia ha pubblicato uno studio in cui si evidenzia (9) il potenziale di innovazione delle nanotecnologie per la tutela dell’ambiente, ad esempio nell’ambito del trattamento e della depurazione delle acque, delle soluzioni finalizzate ad evitare la produzione di rifiuti o a migliorare l’efficienza energetica, e della gestione della qualità dell’aria. Da tutto ciò deriva, in particolare per le PMI, un aumento del volume degli ordinativi, e l’industria chimica svolge attività di ricerca e sviluppo volte a porre le basi della produzione e a sviluppare di conseguenza prodotti a monte e finali.

5.4.

La componente ambientale deve essere integrata come parte di un piano di sostenibilità nelle strategie delle imprese, e quindi anche delle PMI, e i lavoratori vanno coinvolti attivamente in questi processi.

5.5.

Il principio di precauzione costituisce una parte integrante essenziale dell’attuale politica ambientale e sanitaria in Europa. Ne consegue che le fonti di inquinamento e/o pericolo per l’ambiente e/o la salute umana devono essere ridotte al minimo già a monte. È tuttavia necessario che, nell’attuazione delle misure precauzionali, sia garantita la proporzionalità dei costi e degli oneri rispetto ai benefici, in particolare allo scopo di tutelare le PMI.

6.   Le «nano» come componente occupazionale e sociale

6.1.

In tutto il mondo, il potenziale occupazionale derivante dalle nanotecnologie nell’industria chimica si attesta su livelli molto elevati. E, nell’Unione europea, si stima che i posti di lavoro nel settore delle nanotecnologie ammontino già oggi a 300 000 - 400 000 unità (10).

6.2.

Accanto a questa crescita, occorre tuttavia considerare anche i rischi connessi alla soppressione di posti di lavoro, alla delocalizzazione degli impianti di produzione oppure ai mutamenti nella gamma di competenze richieste.

6.3.

Il numero dei posti di lavoro è una faccia della medaglia, la loro qualità rappresenta l’altra faccia: nei «nanosettori» delle varie imprese, e non soltanto nell’industria chimica, si creano solitamente posti di lavoro ben retribuiti per personale qualificato (11).

6.4.

Tutto ciò determina nelle imprese un considerevole fabbisogno in termini di formazione professionale iniziale e continua. E ne risultano nuove forme di cooperazione. In tale contesto, il partenariato sociale diventa esso stesso un fattore di innovazione, in quanto deve aver luogo un dialogo costante su temi quali, ad esempio, l’organizzazione del lavoro, la tutela della salute e il perfezionamento professionale. Nell’industria chimica tedesca esistono al riguardo degli accordi di partenariato sociale di grande portata (12).

7.   Opportunità e rischi delle nanotecnologie

7.1.

Già oggi la Commissione europea devolve ogni anno una cifra compresa tra 20 e 30 milioni di EUR a favore della ricerca sulle nanotecnologie. A questa somma si aggiungono annualmente circa 70 milioni di EUR stanziati dagli Stati membri (13). E ciò costituisce un quadro finanziario adeguato e sufficiente.

7.2.

Occorrerebbe coordinare un ampio programma di ricerca di lungo periodo, pubblica e privata, a livello europeo, al fine di ampliare le conoscenze relative ai nanomateriali, alle loro proprietà e ai rischi e alle opportunità potenziali per la salute dei lavoratori e dei consumatori come pure per l’ambiente.

7.3.

Nel quadro della loro attività di gestione dei rischi, numerose aziende chimiche hanno adottato diverse misure volte ad attuare in modo responsabile una tutela del lavoro e una sicurezza dei prodotti sostenibili. Ciò avviene in vari modi, all’insegna dell’iniziativa «Responsible Care» avviata a livello mondiale dall’industria chimica (14); e anche in altri settori esistono iniziative analoghe.

7.4.

Il principio di gestione responsabile dei prodotti si applica dalla ricerca fino allo smaltimento. Già nella fase di sviluppo le imprese studiano in che modo i loro prodotti possono essere realizzati e utilizzati in modo sicuro. Prima che i prodotti vengano immessi sul mercato, tali ricerche devono essere completate e devono essere predisposte delle indicazioni per l’utilizzo sicuro degli stessi; inoltre, le imprese devono informare in merito alle corrette modalità di smaltimento dei prodotti.

7.5.

Nell’argomentare in merito alla sicurezza dei nanomateriali, la Commissione europea mette in rilievo come studi scientifici abbiano dimostrato che i nanomateriali vanno considerati essenzialmente delle «normali sostanze chimiche» (15). Il livello delle conoscenze relative alle proprietà dei nanomateriali aumenta costantemente. I metodi attualmente disponibili per la valutazione dei rischi sono senz’altro applicabili.

7.6.

La Commissione europea ritiene che REACH (16) costituisca il quadro migliore per la gestione dei rischi dei nanomateriali. Riguardo ai nanomateriali, sarebbero indispensabili alcuni chiarimenti e precisazioni negli allegati al regolamento REACH e nelle linee guida REACH formulate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche — non, tuttavia, nel testo vero e proprio del regolamento (17).

7.7.

Nell’industria farmaceutica, per quanto concerne il trattamento dei nanomateriali svolgono un ruolo centrale le buone pratiche di fabbricazione (Good Manufacturing Practice — GMP). Con tale espressione si intendono degli orientamenti in materia di garanzia della qualità dei processi di produzione nella fabbricazione di farmaci e principi attivi.

7.8.

È evidente che i consumatori devono essere informati: in tal senso i dialoghi sullo sviluppo dei nanomateriali e delle nanotecnologie instaurati dalle grandi aziende chimiche rappresentano altrettanti esempi positivi (18), mirando alla diffusione delle informazioni, alla promozione del consenso e all’individuazione dei pericoli. Per rendere più facilmente accessibili le informazioni sui nanomateriali, alla fine del 2013 la Commissione europea ha attivato una piattaforma web (19) che contiene indicazioni sulle fonti di informazione disponibili, tra cui anche i registri nazionali o settoriali.

8.   Fattori competitivi e impulsi per le nanotecnologie in Europa

8.1.

Un contesto favorevole alla ricerca e all’innovazione rappresenta un fattore competitivo essenziale. Ciò riguarda le innovazioni di prodotti e processi, ma anche le novità sul piano sociale. L’importanza delle nanotecnologie dovrebbe essere riconosciuta e promossa con più vigore anche nel quadro delle priorità dell’UE, nonché nei programmi europei di ricerca e di sostegno regionale.

8.2.

Nell’UE la ricerca e sviluppo deve assumere un ruolo cruciale. A tal fine, è importante che, in tutta Europa, imprese in fase di avviamento (start-up) e già affermate, università ed enti di ricerca orientati alla ricerca applicata e di base si colleghino e cooperino tra loro e si combinino insieme per creare poli d’innovazione (cluster): è in tal modo, infatti, che oggi si riesce a sprigionare potenziali di innovazione efficaci. Nei punti geograficamente strategici vengono creati degli «hub» per ottimizzare la collaborazione tra le varie imprese.

8.3.

La formazione professionale iniziale e continua costituisce un fattore chiave di assoluto rilievo nell’ambito di procedure altamente innovative come quelle riguardanti le nanotecnologie. Una combinazione di lavoratori specializzati e di laureati mostra i suoi effetti di innovazione più marcati laddove viene promosso lo scambio di conoscenze tra i diversi tipi di qualifiche, grazie a misure complementari di politica del personale e organizzativa quali il lavoro di équipe, la rotazione delle mansioni e la delega delle decisioni. La concorrenza globale per le innovazioni implica anche una concorrenza per la manodopera qualificata. Politica ed economia devono sviluppare sistemi di incentivazione adeguati.

8.4.

Una maggiore flessibilità nell’orientamento della ricerca e una minore quantità di requisiti burocratici concorrerebbero ad assicurare la competitività. I farmaci, le tecnologie mediche, i rivestimenti di superficie e le tecnologie ambientali rivestono un’importanza considerevole per le esportazioni e il mercato interno dell’UE. In particolare l’orientamento al mercato interno con priorità regionali offre al riguardo molteplici opportunità per le PMI.

8.5.

I costi del fattore lavoro non devono essere identificati soltanto con i costi salariali: nel loro computo, infatti, devono rientrare anche le spese di gestione sostenute (ad esempio per le attività di ispezione e il controllo della qualità).

8.6.

I costi energetici rappresentano un rilevante fattore competitivo nell’industria chimica a intenso consumo energetico. Prezzi concorrenziali e un approvvigionamento energetico stabile nell’UE sono presupposti essenziali per garantire la competitività, anche e soprattutto per le PMI.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Pareri del CESE sul tema Il tessile tecnico: un motore di crescita (GU C 198 del 10.7.2013, pag. 14) e sul tema Una strategia europea per i componenti e i sistemi micro e nanoelettronici (GU C 67 del 6.3.2014, pag. 175).

(2)  Raccomandazione della Commissione, del 18 ottobre 2011, sulla definizione di nanomateriale. Un nanometro equivale a un miliardesimo di metro. Su tale lunghezza si collocano all’incirca da cinque a dieci atomi. Un nanometro sta ad un metro così come le dimensioni di un pallone da calcio stanno a quelle del globo terrestre. Il termine «nanotecnologie» indica la misurazione, lo sviluppo, la produzione e l’applicazione mirata e controllata di nanomateriali, le cui strutture, particelle, fibre o piastrine presentano una dimensione inferiore a 100 nanometri.

(3)  Fonte: www.vfa.de/…/nanobiotechnologie-nanomedizin-positionspapier.pdf (documento in lingua tedesca).

(4)  In prosieguo, con l’espressione «industria chimica» si intende anche l’industria farmaceutica.

(5)  Fonte: www.vfa.de/…/nanobiotechnologie-nanomedizin-positionspapier.pdf (documento in lingua tedesca).

(6)  Fonte: www.vfa.de/…/nanobiotechnologie-nanomedizin-positionspapier.pdf (documento in lingua tedesca).

(7)  Oxford Economics Report, Evolution of competitiveness in the European chemical industry: historical trends and future prospects, ottobre 2014.

(8)  Ad esempio, il Fraunhofer-Institut für Windenergie und Energiesystemtechnik («Istituto Fraunhofer per l’energia eolica e la tecnologa dei sistemi energetici») (Germania) e l’ENEA (Italia) hanno messo a punto una tecnologia di stoccaggio del CO2 sotto forma di gas metano. Fonte: Fraunhofer-Institut für Windenergie und Energiesystemtechnik, 2012.

(9)  Fonte: ministero dell’Economia e dei trasporti dell’Assia, Einsatz von Nanotechnologie in der hessischen Umwelttechnologie («L’impiego di nanotecnologie nella tecnologia ambientale dell’Assia»), 2009.

(10)  Otto Linher, Commissione europea, Grimm & altri, Nanotechnologie: Innovationsmotor für den Standort Deutschland («Le nanotecnologie: un fattore di innovazione per il «sito Germania»), Baden-Baden, 2011.

(11)  IG BCE/VCI, Zum verantwortungsvollen Umgang mit Nanomaterialien («Per una gestione responsabile dei nanomateriali»), documento di sintesi, 2011.

(12)  IG BCE, Nanomaterialien — Herausforderungen für den Arbeits- und Gesundheitsschutz («I nanomateriali — Sfide per la tutela del lavoro e della salute»).

(13)  Otto Linher, Commissione europea.

(14)  http://www.icca-chem.org/en/Home/Responsible-care/

(15)  Documento di riferimento per le linee guida dell’OMS relative alla protezione dei lavoratori dai rischi potenziali dei nanomateriali di sintesi (Guidelines on Protecting Workers from Potential Risks of Manufactured Nanomaterials).

(16)  REACH è il regolamento dell’Unione europea sulle sostanze chimiche concernente la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle stesse. http://echa.europa.eu/web/guest

(17)  Fonte: Sector Social Dialogue, Committee of the European Chemical Industry («Dialogo sociale settoriale, Comitato dell’industria chimica europea»).

(18)  http://www.cefic.org/Documents/PolicyCentre/Nanomaterials/Industry-messages-on-nanotechnologies-and-nanomaterials-2014.pdf

(19)  https://ihcp.jrc.ec.europa.eu/our_databases/web-platform-on-nanomaterials


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

512a sessione plenaria del CESE dei giorni 9 e 10 Dicembre 2015

24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2014»

[COM(2015) 247 final]

(2016/C 071/06)

Relatrice:

Reine-Claude MADER

La Commissione europea, in data 6 luglio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2014

[COM(2015) 247 final].

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente le diverse iniziative adottate da quest’ultima per promuovere una concorrenza leale e capace di tutelare gli interessi dei vari agenti economici (imprese, consumatori, lavoratori).

1.2.

Il CESE sostiene le azioni intraprese dalla Commissione per assicurare il rispetto delle norme di concorrenza, in particolare le azioni di contrasto di pratiche anticoncorrenziali come gli abusi di posizione dominante: tali pratiche ostacolano infatti lo sviluppo economico dell’UE, in particolare quello delle PMI, che svolgono un ruolo importante ai fini della crescita e dell’occupazione, come pure la crescita delle imprese dell’economia sociale promotrici di coesione sociale.

1.3.

Si rammarica, tuttavia, del fatto che, ancora una volta, la Commissione non abbia adottato un vero e proprio meccanismo giuridico per le azioni collettive in modo da dare effettiva realizzazione ai diritti al risarcimento delle vittime di pratiche che violano le norme antitrust.

1.4.

Il CESE esprime apprezzamento per il lavoro della Commissione volto a far conoscere le norme e a renderle trasparenti, il che garantisce stabilità alle imprese e, di conseguenza, al mercato. Intende sottolineare, a questo proposito, che le pratiche del settore della distribuzione dovrebbero essere oggetto di un’attenzione costante.

1.5.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia dato slancio alla cooperazione con le autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC), le quali hanno un ruolo determinante da svolgere, soprattutto in materia di prevenzione e di sviluppo di programmi di sensibilizzazione al diritto della concorrenza. Ritiene che le ANC debbano avere a disposizione i mezzi necessari per poter ricoprire tale ruolo.

1.6.

Tenuto conto della globalizzazione degli scambi, tale cooperazione deve essere estesa a livello internazionale, affinché l’Europa non debba patire le conseguenze della concorrenza sleale.

1.7.

Il Comitato auspica che il dialogo tra le varie istituzioni europee (Parlamento europeo, Comitato delle regioni, lo stesso CESE) sia quantomeno agevolato, se non rafforzato.

1.8.

Il CESE sostiene le modifiche apportate alle norme sugli aiuti di Stato: queste ultime sono state rese più idonee ad offrire un sostegno alle imprese innovative, in particolare quelle del settore digitale, con un intervento che apre prospettive molto rilevanti in termini di crescita economica e di creazione di posti di lavoro al servizio dei consumatori e delle imprese.

1.9.

Pur essendo consapevole che i poteri di intervento della Commissione in materia di ottimizzazione fiscale sono limitati, il CESE auspica che essa prosegua i suoi sforzi tesi ad ovviare alle distorsioni fiscali e sociali, a ridurle o, per quanto rientra nelle sue competenze, ad eliminarle, assicurandosi però che il suo intervento non determini un livellamento verso il basso.

1.10.

Il CESE è del parere che il mercato dell’energia debba essere oggetto di grande attenzione. È favorevole alla creazione di un’Unione europea dell’energia al fine di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la fornitura di energia a tariffe accessibili su tutto il territorio dell’UE.

1.11.

Considera inoltre importanti le misure che contribuiscono al risparmio energetico, ad un’accresciuta efficienza energetica e allo sviluppo delle energie rinnovabili.

1.12.

Ritiene che l’apertura del mercato dell’energia debba andare a vantaggio dei singoli consumatori, i quali non dispongono di una reale capacità di negoziazione.

1.13.

Il CESE auspica che sia fatto tutto il possibile per garantire il libero accesso al digitale, in modo da consentire lo sviluppo economico delle zone rurali. La realizzazione di questo obiettivo giustifica una complementarità tra investimenti privati e aiuti pubblici.

1.14.

Il CESE invita la Commissione a continuare a prestare particolare attenzione all’offerta di servizi finanziari, in modo tale che l’economia reale sia in grado di finanziarsi e i consumatori possano seguitare a beneficiare delle condizioni migliori per i servizi che utilizzano.

1.15.

Infine, il CESE sottolinea che è indispensabile monitorare le azioni strategiche intraprese ed effettuarne la valutazione.

2.   Contenuto della relazione sulla politica di concorrenza 2014

2.1.

La relazione annuale 2014 concentra l’analisi sostanzialmente sul mercato unico digitale, sulla politica energetica e sui servizi finanziari. Il documento si sofferma inoltre su una serie di questioni relative al rafforzamento della competitività dell’industria europea, al controllo degli aiuti di Stato, alla promozione di una cultura della concorrenza nell’UE e in altre regioni del mondo e al dialogo interistituzionale.

2.2.

La relazione mette l’accento sull’economia digitale, considerata come un fattore potenziale di stimolo all’innovazione e alla crescita nei settori dell’energia, dei trasporti, dei servizi pubblici, della salute e dell’istruzione. Per raggiungere questo obiettivo, tutti gli strumenti del diritto della concorrenza sono stati mobilitati allo scopo di sostenere lo sviluppo e l’ammodernamento delle infrastrutture, compresi gli aiuti di Stato per le reti a banda larga dette «di nuova generazione», pur nel rispetto del principio di neutralità tecnologica.

2.3.

Il mercato dei dispositivi mobili intelligenti conosce una rapidissima evoluzione, come dimostra l’acquisto di WhatsApp (1) da parte di Facebook al termine della prima fase di esame della concentrazione, che è stata autorizzata senza condizioni dalla Commissione europea a norma del regolamento (CE) n. 139/2004 sulle concentrazioni (2).

2.4.

Nel 2014 si è potuto ancora una volta constatare che l’applicazione del diritto della concorrenza al settore digitale è contraddistinta dalla relazione complessa e dal necessario equilibrio inerenti al rispetto dei diritti di proprietà intellettuale legati a un brevetto, come dimostrato dalle decisioni Samsung e Motorola (3), o a un diritto d’autore, come esemplificato dall’avvio di un procedimento formale nei confronti di alcuni importanti studi cinematografici statunitensi ed emittenti televisive a pagamento europee nel caso Cross-border access to pay-TV content («Accesso transfrontaliero a contenuti televisivi a pagamento») (4).

2.5.

La relazione passa quindi ad esaminare il settore dell’energia, insistendo sulla necessità di riformare la politica energetica europea. La Commissione intende sostenere gli investimenti nelle infrastrutture definendo una disciplina per gli aiuti di Stato e semplificandone l’esecuzione: difatti, il nuovo regolamento generale di esenzione per categoria prevede che, a determinate condizioni, non sia più necessaria un’autorizzazione preliminare della Commissione (5) per gli aiuti alle infrastrutture energetiche e gli aiuti alla promozione dell’efficienza energetica negli edifici, nonché per il sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, al risanamento di siti contaminati e al riciclaggio.

2.6.

Le nuove linee direttrici non includono invece gli aiuti nel settore dell’energia nucleare. Pertanto, tali aiuti sono tuttora all’esame dei servizi della Commissione alla luce dell’articolo 107 del TFUE, come è avvenuto per il progetto del Regno Unito riguardo alla possibilità di sovvenzionare la costruzione e il funzionamento di una nuova centrale nucleare a Hinkley Point (6).

2.7.

Infine, la politica di concorrenza è stata usata come strumento per far diminuire i prezzi dell’energia sanzionando i comportamenti abusivi o le pratiche collusive di taluni operatori, ad esempio le borse dell’energia elettrica EPEX Spot e Nord Pool Spot (NPS) (7) e OPCOM in Romania, operatore quest’ultimo che aveva abusato della sua posizione dominante (8), oppure la società Bulgarian Energy Holding (BEH) in Bulgaria (9), o persino Gazprom per quanto riguarda le forniture di gas a monte in Europa centrale e orientale (10).

2.8.

Nel 2014, inoltre, la politica di concorrenza si è adoperata per migliorare la trasparenza del settore finanziario e per rafforzare l’efficacia della regolazione e della vigilanza del settore bancario.

2.9.

La Commissione ha quindi fatto ricorso al controllo degli aiuti di Stato eseguiti in Grecia, a Cipro, in Portogallo, in Irlanda e in Spagna, assicurandosi al tempo stesso che le banche di sviluppo non falsassero la concorrenza (11).

2.10.

Ha inoltre aperto due procedimenti nei confronti delle banche RBS e JP Morgan per aver partecipato, in un caso, a un cartello bilaterale illegale diretto a influenzare il tasso d’interesse di riferimento Libor sul franco svizzero e, nell’altro, per aver costituito con UBS e Crédit Suisse un cartello sui differenziali denaro/lettera dei derivati su tassi di interesse del franco svizzero nell’SEE (Spazio economico europeo) (12). La Commissione ha inflitto alle due banche un’ammenda per un totale di 32,3 milioni di EUR (13).

2.11.

La Commissione, infine, prosegue l’azione di contrasto delle pratiche commerciali anticoncorrenziali basate sulle commissioni d’interscambio (o interbancarie) multilaterali (multilateral interchange fees — MIF) messe in atto da Visa Europe, Visa Inc., Visa International e MasterCard: da un lato, ha reso giuridicamente vincolanti gli impegni assunti da Visa Europe, e, dall’altro, porta avanti il procedimento avviato nei confronti di Visa Inc. e Visa International per quanto riguarda le commissioni interbancarie internazionali.

2.12.

La relazione sottolinea inoltre gli sforzi della Commissione diretti a stimolare la competitività delle imprese europee, in particolare delle PMI, facilitandone l’accesso ai finanziamenti nella loro fase di sviluppo (14), nonché sostenendo la ricerca e l’innovazione grazie a una nuova disciplina degli aiuti che istituisce un regime di esenzione per categoria (15).

2.13.

Le PMI sono anche i soggetti più direttamente interessati dalla revisione della comunicazione «de minimis», che fornisce loro degli orientamenti per aiutarle a stabilire se i loro accordi ricadano o meno nel campo di applicazione dell’articolo 101 del TFUE che vieta gli accordi illegali tra imprese (16).

2.14.

Nel 2014 la Commissione ha inoltre esercitato una vigilanza particolarmente attenta sul ricorso da parte di alcune imprese a regimi fiscali differenti in vigore in determinati Stati membri al fine di ridurre la propria base imponibile, e ha avviato procedimenti formali nei confronti di Apple in Irlanda, Starbucks nei Paesi Bassi e Fiat Finance & Trade in Lussemburgo.

2.15.

L’anno appena trascorso segna soprattutto il decennale dell’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1/2003 e della revisione del regolamento sul controllo delle concentrazioni (17). La relazione in esame sottolinea a questo proposito che sarebbe bene compiere dei passi avanti sia in materia di indipendenza delle autorità nazionali garanti della concorrenza sia per quanto riguarda i meccanismi che dovrebbero consentire a tali organi di perseguire e sanzionare le pratiche illegali. La relazione insiste inoltre sulla necessità di semplificare ulteriormente il controllo delle concentrazioni.

2.16.

La Commissione riferisce inoltre che quest’anno un risultato importante nell’ambito della politica di concorrenza è stata l’adozione della direttiva sulle azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme di concorrenza che è appunto entrata in vigore nel 2014; l’importanza risiede nel fatto che, grazie a questa direttiva, sarà più semplice per le imprese e per i cittadini europei ottenere un effettivo risarcimento per il danno causato da violazioni del diritto della concorrenza, quali i cartelli e gli abusi di posizione dominante sul mercato.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1.

Il CESE sostiene la politica di sviluppo del digitale, nonché le iniziative adottate per promuovere l’innovazione e la crescita. Ritiene che la banda larga debba essere accessibile sull’intero territorio dell’UE, un obiettivo la cui realizzazione può comportare il ricorso ad aiuti di Stato accompagnati da finanziamenti complementari dell’UE. Per raggiungere questo traguardo dovrebbero risultare utili gli orientamenti dell’UE per l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (18).

3.2.

Del resto, senza una rete a banda larga che copra l’intero territorio sarà impossibile creare un mercato digitale. Gli obiettivi che si prefigge la Commissione sono più modesti, tenuto conto anche dello scarso interesse degli operatori privati per determinate zone e in particolare per le aree rurali, il cui sviluppo economico ha bisogno di essere sostenuto.

3.3.

Il CESE appoggia l’intenzione della Commissione di sanzionare le violazioni delle norme della concorrenza: ritiene che l’importo delle sanzioni comminate debba avere un effetto dissuasivo e che tali sanzioni debbano essere aumentate in caso di recidiva. Inoltre, per prevenire i comportamenti anticoncorrenziali è necessario far comprendere la politica di concorrenza, anche e soprattutto nelle imprese.

3.4.

Al pari della Commissione, il CESE constata l’aumento del numero di utenti di dispositivi mobili intelligenti. In questo settore l’innovazione ha un ruolo fondamentale, ma occorre definire per gli operatori delle «regole del gioco» che siano note e trasparenti. Il Comitato è convinto che l’onnipresenza dei grandi gruppi internazionali — come Google, per fare un solo esempio — comporti dei rischi di abuso di posizione dominante, e ritiene che sia importante far rispettare le norme in vigore per consentire l’ingresso di nuovi operatori sul mercato.

3.5.

Ritiene inoltre che i titolari di brevetti debbano proporre accordi di licenza di brevetto a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie.

3.6.

Il CESE è favorevole ad adattare all’era digitale il quadro normativo dell’UE sul diritto d’autore (19): quest’ultimo deve «tenere il passo con i tempi», come sottolinea molto opportunamente la Commissione.

3.7.

Per quanto concerne il funzionamento dei mercati dell’energia, il CESE reputa impossibile uno sviluppo economico senza una politica energetica comune, e plaude pertanto alla volontà manifestata dalla Commissione di creare un’Unione europea dell’energia.

3.8.

Ritiene che tale Unione andrà a vantaggio sia delle imprese che dei consumatori, i quali devono anch’essi poter beneficiare di prezzi accessibili e di un approvvigionamento sicuro.

3.9.

Il Comitato approva la vigilanza esercitata dalla Commissione sul mercato energetico al fine di assicurare un’effettiva concorrenza al suo interno, e concorda con le iniziative adottate per rimuovere gli ostacoli alla concorrenza su tali mercati non regolati. Auspica che la Commissione adoperi tutti i mezzi a sua disposizione per evitare disfunzioni che possono avere delle ripercussioni sull’economia.

3.10.

Considera poi particolarmente importanti le misure che contribuiscono al risparmio energetico, ad un’accresciuta efficienza energetica e allo sviluppo delle energie rinnovabili e delle bioenergie.

3.11.

Il CESE auspica che l’intero settore finanziario sia più etico e trasparente, oltre che promotore della crescita.

3.12.

Si compiace del fatto che il controllo degli aiuti di Stato abbia contribuito all’elaborazione di misure politiche coerenti per ovviare alle difficoltà finanziarie, e sia inoltre servito a limitare le distorsioni della concorrenza riducendo nel contempo al minimo indispensabile il ricorso al denaro dei contribuenti. Osserva che il controllo degli aiuti di Stato ha permesso di limitare determinate distorsioni della concorrenza all’interno del mercato, nel contesto del rafforzamento e della creazione dei meccanismi di vigilanza.

3.13.

Il Comitato ritiene di dover mettere in risalto l’intervento della Commissione volto a ridurre i costi delle commissioni sulle carte bancarie, che ha portato a una riduzione del 30-40 % del costo delle operazioni nel mercato unico.

3.14.

L’obiettivo dichiarato di promozione della crescita economica è una necessità assoluta, e potrebbe essere sostenuto dalla strategia sugli aiuti all’innovazione delineata nella Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione.

3.15.

In precedenti pareri, il CESE ha accolto con favore l’iniziativa della Commissione diretta a modernizzare gli aiuti di Stato e ha ritenuto i nuovi orientamenti (20) più in sintonia con le esigenze degli Stati membri e le realtà del mercato. È dell’avviso che una trasparenza rafforzata consentirà di comprendere meglio le modalità di concessione degli aiuti di Stato. La vigilanza esercitata dalla Commissione permetterà di garantire che l’assegnazione degli aiuti rispetti le norme in vigore. Infine, la valutazione consentirà agli Stati membri di verificare il corretto utilizzo degli aiuti concessi.

3.16.

La comunicazione della Commissione sulle condizioni necessarie per promuovere la realizzazione dei progetti europei, unitamente all’annuncio della creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici, dovrà contribuire al conseguimento di questo obiettivo.

3.17.

Il CESE si compiace inoltre del fatto che la Commissione riconosca la necessità di concedere aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà, ma ancora economicamente sostenibili. Sostiene le azioni intraprese per porre fine agli accordi illegali che nuocciono allo sviluppo, in particolare quello delle PMI creatrici di posti di lavoro, e che hanno un’incidenza sull’occupazione e sui prezzi.

3.18.

Il Comitato rileva che le grandi imprese continuano a ricorrere all’ottimizzazione fiscale approfittando delle differenze tra i regimi fiscali degli Stati membri. Si compiace degli sforzi della Commissione per contrastare, limitare o porre fine, per quanto rientri nelle sue competenze, alle pratiche di evasione fiscale risultanti da distorsioni a livello dell’imposizione.

3.19.

Rivestono particolare rilievo le azioni intraprese dalla Commissione per garantire una convergenza con e tra le autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC).

3.20.

Il Comitato seguirà con attenzione le iniziative adottate per dar seguito alle raccomandazioni del Libro bianco Verso un controllo più efficace delle concentrazioni nell’UE, che si prefigge di migliorare i meccanismi esistenti in questo campo.

3.21.

Alla luce della globalizzazione degli scambi commerciali, il CESE sostiene lo sviluppo della cooperazione multilaterale (OCSE, rete internazionale della concorrenza — RIC, Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo — Unctad) e i programmi di cooperazione e di assistenza tecnica.

3.22.

Il dialogo che la DG Concorrenza ha intavolato con il Parlamento europeo, il CESE e il Comitato delle regioni deve garantire un dibattito interistituzionale trasparente sulla politica attuata.

3.23.

Tale volontà di dialogo dovrà tanto più perdurare in quanto il presidente della Commissione Juncker ha insistito su questo partenariato politico nella lettera di incarico indirizzata alla commissaria Vestager.

3.24.

Al contrario della Commissione, il CESE non considera che la direttiva 2014/104/EU del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 (21) e la raccomandazione relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo nel quadro delle violazioni delle norme sulla concorrenza siano tali da dare la necessaria realizzazione alla tutela collettiva dei diritti delle vittime di tali violazioni.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   La realizzazione di un mercato digitale connesso richiede un delicato equilibrio tra innovazione, concorrenza e diritto di proprietà industriale

4.1.1.

La Commissione afferma che l’efficacia della sua strategia digitale si basa su un paio di elementi chiave, ossia delle procedure di standardizzazione migliori e una maggiore interoperabilità. Resta da chiarire che cosa intenda esattamente la Commissione con procedure di standardizzazione «migliori».

4.1.2.

Il caso Motorola (22), uno degli episodi della «guerra dei brevetti per smartphone», viene portato ad esempio degli orientamenti che le imprese del settore dovrebbero seguire. Nel caso citato, la Commissione ha stabilito che Motorola, titolare di brevetti essenziali (brevetti SEP) per lo standard GPRS, aveva abusato della propria posizione dominante cercando di ottenere e di far eseguire da un tribunale tedesco un provvedimento inibitorio contro Apple. Tali brevetti SEP sono detti «essenziali» perché indispensabili per l’applicazione dello standard GSM/GPRS. Dal momento che le imprese titolari di un brevetto SEP dispongono potenzialmente di un notevole potere di mercato, spesso gli organismi di standardizzazione impongono loro di impegnarsi a concedere licenze di tali brevetti essenziali a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie («fair, reasonable and non discriminatory», o FRAND), allo scopo di garantire l’accesso al suddetto standard a tutti gli operatori del mercato.

4.1.3.

Nel caso in questione, senza l’accesso a tale brevetto SEP di cui Motorola era titolare, per il suo concorrente, nella fattispecie Apple, risultava impossibile fabbricare e commercializzare una certa categoria di smartphone.

4.1.4.

Intentare un’azione per ottenere un provvedimento inibitorio dinanzi a un giudice nazionale è legittimo per un titolare di brevetto in caso di violazione di quest’ultimo, ma può configurarsi come un abuso qualora il titolare del brevetto SEP goda di una posizione dominante sul mercato, si sia impegnato ad accordare l’accesso al brevetto a condizioni FRAND e l’impresa concorrente nei cui confronti è diretta l’azione per ottenere il provvedimento inibitorio sia disposta ad acquistare una licenza a condizioni FRAND. Nonostante ciò, la Commissione non ha inflitto alcuna ammenda a Motorola, in assenza di giurisprudenza dei tribunali dell’UE sulla legittimità, a norma dell’articolo 102 del TFUE, dei provvedimenti inibitori nei confronti dei brevetti SEP, e a causa inoltre della divergenza tra le giurisprudenze nazionali, ma ha ingiunto a Motorola di cessare il proprio comportamento abusivo.

4.1.5.

In un caso analogo, la Commissione ha accettato gli impegni proposti da Samsung di non intentare azioni per ottenere provvedimenti inibitori nell’SEE, sulla base di brevetti SEP per smartphone e tablet, nei confronti di imprese che aderiscano a uno specifico quadro per la concessione di licenze.

4.1.6.

I due casi citati dimostrano tutta la difficoltà di pervenire ad un equilibrio tra concorrenza, diritto dei brevetti e innovazione quando si persegue, in definitiva, l’obiettivo di consentire al consumatore di acquistare prodotti tecnologici a un prezzo ragionevole e, al tempo stesso, di fruire della scelta più ampia possibile tra prodotti interoperabili.

4.1.7.

Il CESE sostiene gli sforzi compiuti dalla Commissione in questa direzione e la invita a non perdere di vista il fatto che l’applicazione delle norme di concorrenza non mira alla concorrenza in sé e per sé, bensì ad una concorrenza che vada, in ultima analisi, a vantaggio dei consumatori.

4.1.8.

Il CESE approva l’idea di integrare gli investimenti privati con investimenti pubblici per evitare un divario digitale nell’UE, a condizione che gli aiuti di Stato non rappresentino un ostacolo per gli investimenti privati. Forse un segnale dell’interesse della Commissione per questo tema è dato dal fatto che gli «Orientamenti dell’Unione europea per l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga» (23) sono stati il primo testo adottato in via definitiva nell’ambito del processo di modernizzazione degli aiuti di Stato.

4.1.9.

Tuttavia, il CESE reputa non sufficientemente ambiziosi gli obiettivi stabiliti dalla Commissione, ossia una copertura completa della banda larga veloce (30 Mbit/sec) per i servizi entro il 2020 e l’adozione di servizi a banda larga ultraveloce (100 Mbit/sec) per il 50 % dei cittadini europei.

4.2.   I mercati dell’energia

4.2.1.

Assicurare l’indipendenza energetica dell’Europa e favorire la creazione di un mercato integrato dell’energia sono fattori di primaria importanza per l’accesso all’energia, l’eliminazione delle «isole energetiche» e la sicurezza dell’approvvigionamento. L’UE deve essere animata da una reale volontà politica per raggiungere questo obiettivo, come pure per incentivare la diversificazione delle fonti energetiche utilizzate favorendo le energie rinnovabili. L’Unione europea dell’energia voluta dal presidente Juncker (24) svolgerà sicuramente questa funzione di stimolo politico.

4.2.2.

Secondo il CESE, il terzo «pacchetto energia» deve essere attuato in tempi rapidi, tanto più che le norme che disciplinano il commercio transfrontaliero dell’energia non costituiscono ancora un tutto organico.

4.2.3.

Il CESE sottolinea la necessità di attuare senza indugio le riforme strutturali necessarie per rimuovere gli ostacoli agli investimenti nelle infrastrutture, in particolare quelle con una dimensione transfrontaliera.

4.2.4.

Il CESE non dubita affatto che la promozione delle norme di concorrenza contribuisca ad aprire i mercati nazionali dell’energia, come dimostrano i casi Power Exchanges («Borse dell’energia elettrica») e OPCOM/Romanian Power Exchange («OPCOM/Borsa dell’energia elettrica rumena») citati nella relazione della Commissione (25): nel primo caso la Commissione ha inflitto un’ammenda a norma dell’articolo 101 del TFUE a due borse dell’energia elettrica che avevano deciso di non farsi concorrenza e si erano ripartite dei territori, e nel secondo caso ha inflitto un’ammenda a OPCOM (la borsa dell’energia elettrica rumena) a norma dell’articolo 102 del TFUE per discriminazione nei confronti di commercianti di elettricità di altri Stati membri.

4.2.5.

Tuttavia, il Comitato si chiede se sia vera l’affermazione secondo cui se la maggiore concorrenza ha determinato una riduzione dei prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica, questo però in molti casi non si è tradotto in una diminuzione del livello generale dei prezzi praticati ai consumatori finali (26).

4.2.6.

Il CESE sostiene al riguardo i procedimenti avviati dalla Commissione a norma dell’articolo 102 del TFUE sullo sfruttamento abusivo da parte di Gazprom della propria posizione dominante nel settore delle forniture di gas naturale in Europa centrale e orientale (27).

4.3.   I servizi finanziari e bancari

4.3.1.

Nel 2014 è proseguito il lavoro di revisione approfondita della regolamentazione e della vigilanza bancarie. Le norme proposte per questo settore mirano in particolare a rafforzare la trasparenza dei mercati finanziari.

4.3.2.

La Commissione si è inoltre assicurata che gli istituti finanziari che avevano beneficiato di aiuti di Stato avviassero una ristrutturazione o uscissero dal mercato, e ha prestato particolare attenzione ai rischi di distorsioni della concorrenza tra tali istituti (28).

4.3.3.

Il CESE ha seguito con interesse i procedimenti avviati dalla Commissione sulle pratiche commerciali anticoncorrenziali e si compiace delle decisioni prese da quest’ultima e dalle autorità nazionali garanti della concorrenza di sanzionare le «commissioni d’interscambio (o interbancarie)».

4.3.4.

Il Comitato ha infatti accolto con favore la sentenza della Corte di giustizia dell’UE nella causa MasterCard (29), che conferma l’analisi della Commissione in materia. Le commissioni interbancarie corrisposte dai consumatori per i pagamenti con carta bancaria aumentavano di numero e diventavano sempre più elevate e opache.

4.3.5.

Inoltre, tali pratiche commerciali ostacolavano l’ingresso nel mercato dei pagamenti di altri operatori economici, diversi da quelli bancari e in grado di offrire ai consumatori altri mezzi di pagamento elettronici, mobili e sicuri, ad esempio tramite smartphone.

4.3.6.

La caratteristica saliente del caso relativo a MasterCard risiedeva anche nel fatto che il meccanismo di fissazione delle commissioni interbancarie multilaterali costituiva una restrizione della concorrenza «per effetto» e non «per oggetto».

4.3.7.

Il CESE si compiace del fatto che la Corte, proprio come il Tribunale, abbia constatato che le commissioni interbancarie multilaterali in esame non presentavano carattere oggettivamente necessario per il funzionamento del sistema MasterCard.

4.4.   Un maggiore sostegno alle PMI

4.4.1.

Il CESE esprime il proprio compiacimento per l’attenzione che la relazione rivolge alle PMI, le quali svolgono un ruolo fondamentale per la crescita e rivestono grande importanza per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Approva le decisioni della Commissione dirette ad aiutare le PMI a finanziare le loro attività e ad adattare le norme di concorrenza alle esigenze specifiche di queste imprese.

4.4.2.

Il CESE apprezza che tali politiche abbiano registrato un’apertura nei confronti delle professioni intellettuali, e riconosce il ruolo determinante per la crescita dei professionisti europei, in quanto tali soggetti assicurano, settore per settore, il contributo indispensabile di conoscenza necessario per la soluzione di problemi complessi di cittadini ed imprese; il CESE raccomanda altresì alla Commissione di proseguire e se possibile intensificare gli sforzi in questa direzione.

4.4.3.

Ad esempio, gli «Orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio» (30) potrebbero essere utili agli Stati membri per agevolare l’accesso al credito delle PMI nella loro fase di avvio. Queste linee guida sembrano inoltre essere state elaborate con l’obiettivo di una maggiore aderenza alle realtà del mercato.

4.4.4.

Il CESE sostiene altresì le azioni avviate dalla Commissione contro gli abusi di posizione dominante che possono ostacolare la creazione e lo sviluppo delle PMI e incidere sulle loro attività.

4.4.5.

La comunicazione «de minimis» del 2014 (31) prevede infatti una «zona di sicurezza» (safe harbour) per gli accordi che non incidono in misura sensibile sulla concorrenza poiché sono attuati da imprese che non superano determinate soglie basate sulle quote di mercato. La Commissione ha anche pubblicato un documento orientativo in materia destinato alle PMI. Cionondimeno, il CESE ritiene che sarebbe senz’altro opportuno realizzare iniziative di informazione sul campo.

4.5.   Dotare le autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC) di maggiori risorse e rafforzare la cooperazione internazionale

4.5.1.

Il CESE valuta positivamente la qualità della cooperazione instaurata tra la Commissione europea e le ANC, poiché ritiene che essa consenta di garantire il livello di interazione indispensabile al corretto funzionamento del mercato.

4.5.2.

Il Comitato è favorevole ad adottare tutte le misure necessarie alla cooperazione delle ANC, il che implica che tali autorità dispongano di risorse e siano indipendenti.

4.5.3.

Il CESE approva le iniziative della Commissione volte a creare un autentico spazio europeo della concorrenza, il cui presupposto è l’armonizzazione delle norme di base esistenti in materia nei vari ordinamenti nazionali, poiché ciò garantisce la sicurezza delle attività economiche realizzate all’interno del mercato unico.

4.5.4.

Ritiene altresì che gli Stati membri debbano disporre di un corpus normativo completo che consenta loro di svolgere le necessarie ispezioni e di imporre ammende efficaci e proporzionate.

4.5.5.

I programmi di trattamento favorevole, che si sono dimostrati efficaci nella lotta ai cartelli, devono inoltre essere estesi a tutti gli Stati membri.

4.5.6.

Occorre mantenere operativa la cooperazione multilaterale con l’OCSE, la rete internazionale della concorrenza (RIC) e l’Unctad, una cooperazione nel cui ambito la Commissione deve sforzarsi di ricoprire un ruolo di primo piano.

4.5.7.

Infine, il CESE sottolinea che è necessario che l’assistenza tecnica fornisca un maggiore sostegno ai negoziati di adesione con i paesi candidati.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Caso M.7217 Facebook/WhatsApp, decisione della Commissione del 3 ottobre 2014.

(2)  Regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 024 del 29.1.2004, pag. 1).

(3)  Caso AT. 39985 Motorola — Enforcement of GPRS standard essential patents («Motorola — Esecuzione di brevetti essenziali per lo standard GPRS»), decisione della Commissione del 29 aprile 2014. Caso AT.39939 Samsung — Enforcement of UMTS standard essential patents («Samsung — Esecuzione di brevetti essenziali per lo standard UMTS»), decisione della Commissione del 29 aprile 2014.

(4)  Caso AT. 40023 Cross-border access to pay-TV content («Accesso transfrontaliero a contenuti televisivi a pagamento»), 13 gennaio 2014.

(5)  Regolamento (UE) n. 316/2014 della Commissione, del 21 marzo 2014, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia (GU L 93 del 28.3.2014, pag. 17); comunicazione della Commissione — Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli accordi di trasferimento di tecnologia (GU C 89 del 28.3.2014, pag. 3).

(6)  Caso SA.34947 UK — Support to Hinkley Point C Nuclear Power Station («Regno Unito — Sostegno alla centrale nucleare di Hinkley Point C»), 8 ottobre 2014.

(7)  Caso AT.39952 Power Exchanges («Borse dell’energia elettrica»), decisione della Commissione del 5 marzo 2014.

(8)  Caso AT.39984 OPCOM/Romanian Power Exchange («OPCOM/Borsa dell’energia elettrica rumena»), decisione della Commissione del 5 marzo 2014.

(9)  Caso AT.39767 BEH electricity («BEH energia elettrica»).

(10)  Caso AT.39816 Upstream Gas Supplies in Central and Eastern Europe («Forniture di gas a monte in Europa centrale e orientale»), 4 settembre 2012.

(11)  Caso SA.36061 British Business Bank (BBB), decisione della Commissione del 15 ottobre 2014. Caso SA.37824 Portuguese Development Financial Institution («Instituição Financeira de Desenvolvimento del Portogallo»), decisione della Commissione del 28 ottobre 2014.

(12)  Caso AT.39924 Swiss Franc Interest Rate Derivatives («Derivati su tassi di interesse del franco svizzero»), decisione del 21 ottobre 2014 http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-1190_fr.htm.

(13)  Non è stata inflitta alcuna ammenda a RBS, che ha beneficiato di un’immunità ai sensi della comunicazione sul trattamento favorevole del 2006 per aver rivelato alla Commissione l’esistenza del cartello, vedendosi così condonare un’ammenda di circa 5 milioni di EUR per la sua partecipazione all’infrazione. UBS e JP Morgan hanno beneficiato di una riduzione dell’ammenda per aver collaborato al procedimento nel quadro del programma di trattamento favorevole della Commissione. Le quattro banche che hanno scelto di risolvere la controversia mediante una transazione con la Commissione hanno beneficiato di un’ulteriore riduzione del 10 % dell’ammenda.

(14)  Comunicazione della Commissione — Orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio (GU C 19 del 22.1.2014, pag. 4).

(15)  Comunicazione della Commissione — Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione (GU C 198 del 27.6.2014, pag. 1).

(16)  Comunicazione della Commissione — Comunicazione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de minimis») (GU C 291 del 30.8.2014, pag. 1).

(17)  Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato (GU L 1 del 4.1.2003, pag. 1); cfr. la nota 2.

(18)  Comunicazione della Commissione — Orientamenti dell’Unione europea per l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (GU C 25 del 26.1.2013, pag. 1).

(19)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 72; GU C 44 del 15.2.2013, pag. 104.

(20)  Comunicazione della Commissione — Orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio (GU C 19 del 22.1.2014, pag. 4).

(21)  Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea (GU L 349 del 5.12.2014, pag. 1).

(22)  Caso AT.39985 Motorola — Enforcement of GPRS standard essential patents («Motorola — Esecuzione di brevetti essenziali per lo standard GPRS») e caso AT.39939 Samsung — Enforcement of UMTS standard essential patents («Samsung — Esecuzione di brevetti essenziali per lo standard UMTS»), decisioni della Commissione del 29 aprile 2014.

(23)  GU C 25 del 26.1.2013, pag. 1.

(24)  Jean-Claude Juncker, Un nuovo inizio per l’Europa: il mio programma per l’occupazione, la crescita, l’equità e il cambiamento democratico. Orientamenti politici per la prossima Commissione europea, discorso di apertura della sessione plenaria del Parlamento europeo, 15 luglio 2014.

(25)  Caso AT.39952 Power Exchanges («Borse dell’energia elettrica»), decisione della Commissione del 5 marzo 2014, e caso AT.39984 OPCOM/Romanian Power Exchange (OPCOM/Borsa dell’energia elettrica rumena»), decisione della Commissione del 5 marzo 2014.

(26)  Comunicazione della Commissione — Costi e prezzi dell’energia in Europa, del 29 gennaio 2014.

(27)  Caso AT.39816 Upstream Gas Supplies in Central and Eastern Europe («Forniture di gas a monte in Europa centrale e orientale»).

(28)  Caso SA.38994 Liquidity scheme in favour of Bulgarian banks («Regime di sostegno alla liquidità delle banche bulgare»), decisione della Commissione del 29 giugno 2014.

(29)  Sentenza della Corte dell’11 settembre 2014, causa C-382/12 P, MasterCard e.a./Commissione europea.

(30)  Comunicazione della Commissione — Orientamenti sugli aiuti di Stato destinati a promuovere gli investimenti per il finanziamento del rischio (GU C 19 del 22.1.2014, pag. 4).

(31)  Comunicazione della Commissione — Comunicazione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de minimis») (GU C 291 del 30.8.2014, pag. 1).


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea: i 5 settori principali d’intervento»

[COM(2015) 302 final]

(2016/C 071/07)

Relatore:

Petru Sorin DANDEA

Correlatore:

Paulo BARROS VALE

La Commissione europea, in data 6 luglio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea: i 5 settori principali d’intervento

[COM(2015) 302 final].

La sezione specializzata «Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 169 voti favorevoli, 15 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In questi ultimi anni la lotta alla pianificazione fiscale aggressiva ha costituito una delle preoccupazioni principali non solo degli Stati membri, ma anche della Commissione europea. Il piano d’azione per l’attuazione di un sistema di tassazione delle imprese equo ed efficace che è stato presentato dalla Commissione europea rappresenta un passo importante lungo il cammino diretto a ridurre la portata di questo fenomeno negativo. Il CESE accoglie favorevolmente la presentazione del piano ed esprime il proprio sostegno alla Commissione nella lotta a questo fenomeno che erode le basi fiscali degli Stati membri e incoraggia la concorrenza sleale.

1.2.

Come è stato già indicato (1), il CESE si dichiara d’accordo con l’introduzione di una base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) che sia obbligatoria per le imprese con attività transnazionali. Se la CCCTB fosse facoltativa, la sua adozione perderebbe di efficacia perché le imprese che praticano il trasferimento degli utili per ridurre le tasse da pagare rifiuterebbero di applicare la CCCTB.

1.3.

Il CESE raccomanda agli Stati membri e alla Commissione di prendere in considerazione per il futuro di assoggettare tutte le imprese alla CCCTB, per evitare di dover operare con due regimi fiscali differenti. Prima di estendere il sistema della CCCTB a tutte le imprese occorre effettuare una valutazione d’impatto approfondita, in particolare per quanto riguarda gli effetti di questo sistema sulle microimprese e sulle piccole imprese attive a livello locale.

1.4.

Il CESE raccomanda che la Commissione, al momento di elaborare il progetto di direttiva, presti attenzione alla chiarezza delle definizioni e ai concetti che dovrebbero disciplinare la base comune. Dalla chiarezza di queste definizioni dipendono la qualità del processo di recepimento e la prevenzione di divergenze rilevanti tra gli Stati membri, che potrebbero ridurre in modo significativo l’efficacia dell’atto normativo.

1.5.

Il CESE ritiene che il meccanismo di compensazione transfrontaliera delle perdite, che la Commissione intende applicare fino all’adozione del regime di consolidamento, non debba pregiudicare il diritto di uno Stato membro a tassare gli utili derivanti da attività svolte sul suo territorio.

1.6.

Il CESE accoglie favorevolmente l’elenco, che la Commissione ha pubblicato nell’allegato della comunicazione in esame, delle giurisdizioni che non collaborano in campo fiscale. Il Comitato ricorda la proposta formulata in pareri precedenti, secondo cui i regolamenti dell’UE dovrebbero prevedere sanzioni per le imprese che continueranno a condurre le loro attività attraverso i paradisi fiscali, evitando in questo modo di pagare le tasse conformemente al regime fiscale dello Stato membro in cui operano.

1.7.

Il CESE raccomanda che, dopo l’adozione della direttiva CCCTB e l’introduzione del meccanismo di consolidamento, la Commissione conduca una valutazione d’impatto delle nuove norme. Se da tale valutazione emergerà che il trasferimento degli utili verso gli Stati membri con aliquote fiscali più basse non è diminuito, il CESE propone di adottare adeguate misure complementari.

1.8.

Il CESE raccomanda alla Commissione, nel quadro della procedura di revisione del mandato della Piattaforma per la buona governance fiscale, di prendere in considerazione la possibilità che entrino a farne parte anche dei rappresentanti delle parti sociali europee. Questi possono apportare un contributo importante alle attività della piattaforma.

2.   La proposta della Commissione

2.1.

Il 17 giugno 2015 la Commissione europea ha presentato una comunicazione (2) in cui delinea un piano d’azione per l’attuazione di un sistema di tassazione delle imprese nell’Unione europea che sia equo ed efficace. Il piano d’azione fa seguito al pacchetto sulla trasparenza fiscale presentato dalla Commissione europea nel mese di marzo, che conteneva anche una proposta di direttiva sullo scambio obbligatorio automatico di informazioni in materia di ruling fiscali preventivi.

2.2.

Il piano prevede quattro obiettivi che favoriscono un nuovo approccio in materia di tassazione delle imprese nell’UE, ossia: ristabilire il legame tra la tassazione e il luogo in cui si svolge l’attività economica, garantire che gli Stati membri possano valutare correttamente l’attività delle imprese, creare un contesto fiscale per le imprese che sia competitivo e favorevole alla crescita economica nell’UE, nonché proteggere il mercato unico e garantire un approccio forte dell’UE in rapporto alle questioni esterne legate alla tassazione degli utili, comprese le misure per l’attuazione del progetto BEPS (erosione della base imponibile e trasferimento degli utili) dell’OCSE.

2.3.

Il piano d’azione presenta una serie di misure volte ad agevolare il conseguimento degli obiettivi. Tali misure sono: la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), la garanzia di un’effettiva tassazione nel luogo in cui gli utili vengono prodotti, misure supplementari per il miglioramento del contesto fiscale delle imprese, una trasparenza fiscale maggiore e gli strumenti di coordinamento dell’UE in materia fiscale.

2.4.

La Commissione intende affrontare anche la questione delle agevolazioni fiscali concesse dagli Stati membri per i brevetti, e punta sia a evitare che questi regimi fiscali particolarmente favorevoli creino distorsioni nel mercato interno che a fornire orientamenti agli Stati membri in merito al nuovo approccio. La Commissione, nella misura in cui constata che gli Stati membri non applicano in maniera coerente il nuovo approccio, elaborerà misure legislative vincolanti.

2.5.

La Commissione continua a collaborare con altri partner internazionali e sottolinea l’importanza di attuare il piano d’azione BEPS dell’OCSE, che dovrebbe creare condizioni di concorrenza eque per la tassazione delle imprese multinazionali, anche nei paesi in via di sviluppo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Con questo piano la Commissione intende combattere il fenomeno negativo del trasferimento degli utili, a cui viene dato impulso dalle imprese con attività transnazionali che trasferiscono gli utili in Stati o in giurisdizioni con aliquote fiscali molto basse o inesistenti, erodendo le basi imponibili degli Stati membri; questi sono così spinti ad aumentare altre tasse o imposte, con la conseguenza di far lievitare l’onere fiscale sui contribuenti onesti, siano essi persone fisiche oppure piccole e medie imprese. Il CESE ha accolto con favore la presentazione del piano d’azione ed esprime il proprio sostegno alla Commissione nella lotta a questo fenomeno.

3.2.

La proposta principale formulata dalla Commissione in questo piano è la CCCTB obbligatoria. La proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel 2011 proponeva che la CCCTB fosse facoltativa. All’epoca, il CESE aveva presentato un parere contenente una serie di proposte sostanziali sulla CCCTB (3) che sostiene tutt’oggi.

3.3.

La Commissione ritiene che l’obbligatorietà della CCCTB sia necessaria, dato che imprese transnazionali che praticano la pianificazione fiscale aggressiva eviteranno di essere assoggettate alla CCCTB, se questa sarà facoltativa. Il CESE si dichiara d’accordo sulla necessità del carattere obbligatorio e raccomanda alla Commissione di valutare la possibilità che la CCCTB sia in futuro applicata a tutte le imprese, evitando in questo modo che gli Stati membri debbano usare due basi imponibili diverse.

3.4.

Alla luce delle consultazioni con gli Stati membri, la Commissione propone che, all’inizio, si punti all’introduzione della base comune, lasciando il consolidamento per una fase successiva. Tenuto conto che la pianificazione fiscale aggressiva influisce pesantemente sulla concorrenza nel mercato unico e porta a una perdita di entrate considerevole per gli Stati membri, il CESE raccomanda di accelerare il calendario di attuazione.

3.5.

La proposta di direttiva dovrebbe essere presentata l’anno prossimo. Il CESE raccomanda che la Commissione, al momento di elaborare il progetto, presti attenzione alla chiarezza delle definizioni e ai concetti che dovrebbero disciplinare la base comune. Dalla chiarezza di queste definizioni dipendono la qualità del processo di recepimento e la prevenzione di divergenze rilevanti tra gli Stati membri, che potrebbero ridurre in modo significativo l’efficacia dell’atto normativo.

3.6.

La Commissione propone che il progetto di direttiva contempli un meccanismo di compensazione transfrontaliera delle perdite, fino all’introduzione del consolidamento in una fase successiva. Dato che il consolidamento rappresenta il principale beneficio economico della base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), sarebbe stato preferibile introdurlo sin dall’inizio. Tenendo però conto delle difficoltà connesse al raggiungimento di un accordo politico su questo tema, il CESE si dichiara d’accordo con il meccanismo proposto. Viste le richieste formulate dal Parlamento europeo — ma anche dagli Stati membri — affinché gli utili siano tassati nel luogo in cui sono prodotti, il CESE ritiene che tale meccanismo non debba indebitamente pregiudicare il diritto di uno Stato membro a tassare gli utili derivanti da attività svolte sul suo territorio.

3.7.

Le analisi della Commissione indicano che vi sono situazioni in cui le imprese con attività transnazionale trasferiscono gli utili verso gli Stati membri con un’aliquota fiscale più bassa. Questo fenomeno è alimentato dalle disposizioni dell’attuale normativa societaria (4). Secondo il CESE, se anche dopo l’introduzione del consolidamento le imprese continueranno a seguire questa pratica a livello del mercato unico, allora dovranno essere adottate le appropriate misure giuridiche supplementari.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

La pianificazione fiscale aggressiva perseguita dalle imprese con attività transfrontaliere provoca ogni anno perdite di gettito pari a centinaia di miliardi per i bilanci degli Stati membri. Il CESE è d’accordo nell’attuare la CCCTB, e ritiene che questa debba diventare una norma generale in materia di tassazione degli utili nell’UE. Questo porterebbe a una semplificazione del regime fiscale per le imprese, ed eliminerebbe la situazione in cui gli Stati membri dovrebbero applicare la CCCTB per le imprese con attività transnazionali e un regime diverso per le altre imprese.

4.2.

Il CESE raccomanda che, dopo l’adozione della direttiva CCCTB e l’introduzione del meccanismo di consolidamento, la Commissione conduca una valutazione d’impatto delle nuove norme. Se da tale valutazione emergerà che il trasferimento degli utili verso gli Stati membri con aliquote fiscali più basse non è diminuito, il CESE propone di adottare misure giuridiche aggiuntive adeguate atte a scoraggiare le imprese con attività transnazionali dal praticare ancora il trasferimento degli utili verso gli Stati membri con aliquote d’imposta più basse.

4.3.

La Commissione propone una migliore regolamentazione del concetto di «stabilimento permanente» dell’impresa. Il CESE ritiene che soltanto la tassazione degli utili derivanti dall’attività svolta sul territorio dello Stato membro considerato possa eliminare la possibilità che, in talune situazioni, le imprese evitino con artifizi una presenza imponibile. L’approvazione del piano BEPS dell’OCSE potrebbe ridurre in modo significativo le situazioni in cui le imprese possono evitare il pagamento dell’imposta sugli utili societari sfruttando le disposizioni dell’attuale legislazione dell’UE.

4.4.

Il consolidamento è l’operazione attraverso la quale è possibile sommare gli utili (o sottrarre le perdite) che un’impresa ha realizzato in tutto il territorio dell’UE. Il CESE riconosce che, quando sarà adottato, il consolidamento rappresenterà l’elemento principale della CCCTB nella lotta contro i prezzi di trasferimento, ossia quelle operazioni complesse di cui le imprese con attività transnazionali sul territorio dell’UE si servono per ridurre le tasse da pagare. Il CESE raccomanda tuttavia alla Commissione di badare a tutelare il diritto degli Stati membri a tassare gli utili derivanti da attività svolte sul loro territorio.

4.5.

La comunicazione della Commissione comprende un allegato contenente un elenco degli Stati e dei territori che non collaborano in campo fiscale. Il CESE ritiene che questo sia solo un primo passo nella lotta contro le giurisdizioni fiscali non collaborative, note con la denominazione generica di paradisi fiscali. Il CESE ricorda la proposta formulata in pareri precedenti (5), secondo cui i regolamenti dell’UE dovrebbero prevedere sanzioni per le imprese che continueranno a condurre le loro attività attraverso i paradisi fiscali, evitando in questo modo di pagare le tasse conformemente al regime fiscale dello Stato membro o degli Stati membri in cui operano.

4.6.

La Commissione riconosce il ruolo importante svolto dai gruppi che hanno assicurato la loro collaborazione con gli Stati membri in materia fiscale. È in particolare il caso del gruppo «Codice di condotta (Tassazione delle imprese)» e della Piattaforma per la buona governance fiscale. Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di valutare la possibilità che le disposizioni del codice di condotta entrino a far parte della legislazione europea, diventando quindi vincolanti.

4.7.

Il CESE raccomanda alla Commissione, nel quadro della procedura di revisione del mandato della Piattaforma per la buona governance fiscale, di prendere in considerazione, oltre alla proroga del mandato al di là del 2016, la possibilità che entrino a farne parte dei rappresentanti delle parti sociali europee. Questi possono apportare un contributo importante alle attività della piattaforma.

4.8.

Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di proseguire nella semplificazione e armonizzazione del quadro giuridico esistente a livello non solo europeo ma anche nazionale. Ne risulterebbe uno stimolo agli investimenti a livello europeo che getterebbe le basi per una crescita sostenibile e offrirebbe la possibilità di creare nuovi posti di lavoro.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Coordinamento dei sistemi di imposizione diretta (GU C 10 del 15.1.2008, pag. 113) e parere del CESE sul tema Creazione di una base imponibile comune e consolidata per le società nell’UE (GU C 88 dell’11.4.2006, pag. 48).

(2)  Un regime equo ed efficace per l’imposta societaria nell’Unione europea: i 5 settori principali d’intervento COM(2015) 302 final

(3)  Base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), (GU C 24 del 28.1.2012, pag. 63).

(4)  Direttiva sulle società madri e figlie (Direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011), e direttiva sugli interessi e canoni (Direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003).

(5)  Parere del CESE sul tema La lotta alla frode e all’evasione fiscali, (GU C 198 del 10.7.2013, pag. 34); parere d’iniziativa del CESE sul tema Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario, (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 33).


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda europea sulla migrazione»

[COM(2015) 240 final]

(2016/C 071/08)

Relatore:

Stefano MALLIA

Correlatore:

Cristian PÎRVULESCU

La Commissione europea, in data 10 giugno 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda europea sulla migrazione

[COM(2015) 240 final].

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 10 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 10 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione Agenda europea sulla migrazione, che rappresenta, a suo parere, una nuova presa di coscienza della necessità di affrontare la migrazione a livello europeo, e incoraggia gli Stati membri a sostenerne collettivamente l’attuazione.

1.2.

La sfida immediata per l’UE consiste nel riprendere il controllo della situazione, attualmente caotica, e nel garantire che le persone in cerca di protezione internazionale siano trattate correttamente. Il CESE sostiene la creazione immediata di «punti di crisi» per sostenere i paesi che devono far fronte a un massiccio afflusso di migranti, e insiste affinché tali punti ricevano le risorse e il sostegno necessari.

1.3.

Il CESE ritiene che, vista la situazione attuale, l’UE dovrebbe instaurare un autentico sistema europeo comune di asilo, basato su procedure armonizzate in tutta l’UE. Tale sistema dovrebbe, tra l’altro, prevedere uno status uniforme in materia di asilo e il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di asilo, la condivisione delle responsabilità e degli sforzi per quanto riguarda la ricollocazione e il reinsediamento, e la revisione del regolamento di Dublino. Sono necessarie soluzioni sistematiche, robuste e solidali di ripartizione degli oneri, e in particolare occorre stabilire un sistema permanente, equo e vincolante per distribuire le persone che cercano protezione tra tutti i paesi dell’UE. Inoltre, si devono ricercare soluzioni a lungo termine per il caso in cui i migranti continuino ad affluire in massa oppure afflussi massicci di persone si verifichino ancora in futuro.

1.4.

Nella popolazione europea si registrano un’età media sempre più avanzata e una penuria di competenze, e la migrazione offre un’opportunità di affrontare tali problemi. L’UE, però, deve dotarsi di una politica più efficace in materia d’immigrazione, sviluppando una politica globale a favore della migrazione legale, incentrata sull’accoglienza dei nuovi arrivati e su criteri di trasparenza, prevedibilità ed equità. Al tempo stesso, occorre riconoscere che l’immigrazione non rappresenta l’unica risposta alle carenze di manodopera sul mercato del lavoro e alle sfide demografiche, e che gli Stati membri possono prendere in considerazione soluzioni alternative più adatte.

1.5.

L’integrazione dei migranti e dei rifugiati è una sfida molto importante, alla quale l’UE e i suoi Stati membri devono far fronte realizzando solidi sistemi di integrazione. Il CESE ritiene che il costo della non integrazione superi di gran lunga quello dell’integrazione. Da tempo impegnato nel Forum europeo dell’integrazione (poi «delle migrazioni»), il Comitato considera l’integrazione un processo bidirezionale, in cui parti sociali, autorità locali e società civile svolgono tutte un ruolo essenziale. Si dovrebbe dare priorità all’accesso al mercato del lavoro e, più specificamente, al riconoscimento delle qualifiche e della formazione professionale e linguistica. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata all’integrazione delle donne.

1.6.

L’UE deve garantire la sicurezza delle sue frontiere esterne. La complessità della situazione attuale in materia di sicurezza rende necessario un impegno a livello europeo piuttosto che nazionale, che potrebbe comportare la condivisione di alcune competenze nazionali in questo campo.

1.7.

Tutte le politiche esterne dell’UE devono essere razionalizzate e concentrate sull’aiuto ai paesi di origine affinché questi raggiungano un livello ragionevole di stabilità e prosperità nonché sul piano della sicurezza delle persone. Il CESE è ben consapevole del fatto che si tratta di un obiettivo a lungo termine, che comporta enormi difficoltà.

1.8.

È necessario rafforzare la cooperazione in materia di riammissione, al fine di garantire un’attuazione efficace e tempestiva della direttiva rimpatri.

1.9.

La società civile svolge un ruolo vitale nell’affrontare la crisi migratoria, ad esempio fornendo ai migranti le prime risposte di cui hanno bisogno al loro arrivo e organizzando le successive attività di integrazione nella società e nel mercato del lavoro. È indispensabile che governi, enti locali e organizzazioni della società civile lavorino assieme per creare un consenso culturale e sociale tra le nazioni europee riguardo all’importanza e all’utilità di investire nell’integrazione degli immigrati nella società e nel mercato del lavoro.

1.10.

Il CESE invita pertanto l’UE e gli Stati membri ad aumentare i finanziamenti e il sostegno materiale alle ONG nazionali e alle organizzazioni della società civile.

1.11.

Le risorse finanziarie necessarie devono essere messe insieme con lo sforzo congiunto di tutti i membri della comunità internazionale. Al riguardo occorre chiarire che le spese sostenute dagli Stati membri per l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati non hanno carattere duraturo e strutturale, per cui non devono essere conteggiate nel calcolo del disavanzo strutturale di bilancio. E, se non si vuol pregiudicarne l’accettazione da parte di alcuni segmenti della popolazione, il reperimento delle risorse necessarie ai suddetti scopi non deve avvenire a scapito di quelle destinate al sociale nell’UE.

2.   La comunicazione della Commissione e gli ultimi sviluppi

2.1.

Il 13 maggio 2015, la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione Agenda europea sulla migrazione, dopodiché tale documento e le conseguenti proposte di attuazione sono stati discussi tra giugno e ottobre dalle varie formazioni del Consiglio. Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione, che considera completa e al tempo stesso focalizzata sui punti essenziali.

2.2.

L’attuazione delle iniziative proposte nell’Agenda è in corso di svolgimento, e la maggior parte degli Stati membri si sta gradualmente rendendo conto che solo un’azione collettiva fondata sui principi di solidarietà e responsabilità condivisa può portare a una gestione efficace delle sfide poste dalla migrazione. Un’azione efficace richiede la mobilitazione di maggiori risorse a titolo del bilancio dell’Unione europea, nonché un aumento dei contributi degli Stati membri. Al riguardo occorre chiarire che le spese sostenute dagli Stati membri per l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati non hanno carattere duraturo e strutturale, per cui non devono essere conteggiate nel calcolo del disavanzo strutturale di bilancio.

2.3.

In termini di finanziamenti, l’UE ha triplicato le risorse per le operazioni congiunte di Frontex: Poseidon e Triton. Parallelamente a quest’aumento dei fondi, vari Stati membri stanno anche dispiegando mezzi (navali e aerei). La Commissione europea ha inoltre stanziato 1,8 miliardi di euro dal bilancio dell’UE per istituire un fondo fiduciario di emergenza per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare in Africa; ha mobilitato 60 milioni di EUR in finanziamenti di emergenza per gli Stati membri in prima linea; ha proposto un programma di reinsediamento da 50 milioni di EUR; e ha liberato 30 milioni di EUR per un programma di sviluppo e protezione regionale.

2.4.

I leader dell’UE si sono impegnati a mettere a disposizione maggiori risorse a favore di Frontex, Europol ed EASO, al fine di rafforzare le frontiere esterne dell’Unione, ponendo in particolare l’accento sui punti di crisi per garantire l’identificazione, la registrazione e il rilevamento delle impronte digitali dei migranti. Occorre tuttavia il sostegno finanziario dell’UE per far sì che tali punti di crisi funzionino in maniera efficiente e raggiungano i loro obiettivi.

2.5.

Nelle riunioni del Consiglio di luglio e settembre, è stato raggiunto un accordo per la ricollocazione di 160 000 migranti dalla Grecia e dall’Italia e il reinsediamento di altre 22 000 persone bisognose di protezione internazionale. Il successo nell’attuazione di tali decisioni, attualmente nella fase iniziale, è fondamentale per la riuscita di ogni futura politica UE in materia di migrazione.

2.6.

Il 23 settembre 2015, la Commissione europea ha adottato 40 decisioni di infrazione nei confronti di diversi Stati membri per mancata attuazione della legislazione che istituisce il sistema europeo comune di asilo. Il CESE accoglie favorevolmente tale decisione, ma è molto preoccupato per il fatto che si sia dovuto far ricorso a questo meccanismo per convincere gli Stati membri ad attuare correttamente la legislazione dell’UE in questo settore cruciale.

2.7.

Sul fronte internazionale, varie decisioni potrebbero condurre a un miglioramento della situazione generale: ad esempio, quelle di aumentare le risorse del bilancio dell’UE per prestare assistenza immediata ai rifugiati e di rafforzare il dialogo e la cooperazione con paesi terzi come il Libano, la Giordania, la Turchia e i paesi candidati dei Balcani occidentali, nonché di potenziare l’aiuto umanitario nel 2016 e istituire il fondo fiduciario di emergenza per l’Africa. E, se non si vuol pregiudicarne l’accettazione da parte di alcuni segmenti della popolazione, il reperimento delle risorse necessarie ai suddetti scopi non deve avvenire a scapito di quelle destinate al sociale nell’UE. Il CESE accoglie con favore l’approvazione, da parte del Consiglio europeo del 23 settembre 2015, del piano d’azione comune con la Turchia, nel quadro di un ampio programma di cooperazione basato su una responsabilità condivisa, impegni reciproci e risultati concreti.

3.   Far fronte alla crisi

3.1.   Azioni immediate

3.1.1.

Il concetto di «frontiere intelligenti», atteso da tempo, merita di essere accolto con favore. E, nel rendere le frontiere più solide e più intelligenti, la sfida principale consiste nel garantire che non vengano violati i diritti umani dei migranti. Inoltre, bisognerebbe evitare di compromettere il principio di non respingimento, anche se ciò potrebbe rivelarsi assai arduo perché la distinzione tra rifugiati e migranti economici non risulta sempre chiara e semplice. Le frontiere intelligenti devono rispettare pienamente i diritti e le libertà fondamentali.

3.1.2.

L’accordo di Schengen è uno dei pilastri dell’UE ed ha un valore più che simbolico per l’integrazione europea. Si tratta di uno dei risultati più concreti di cui hanno beneficiato i cittadini europei, che ha offerto loro una prima esperienza diretta di una vera Europa senza frontiere. Il CESE auspica che il funzionamento del regime Schengen torni al più presto a livelli di normalità, ed esorta fermamente gli Stati membri a intraprendere tutte le misure possibili per impedire il collasso permanente di tale regime.

3.1.3.

Finora è stato raggiunto un accordo per la ricollocazione di 160 000 rifugiati nell’UE. La rapida attuazione di tale accordo consentirebbe di acquisire molte esperienze preziose per sviluppare soluzioni a lungo termine per il caso in cui i migranti continuino ad affluire in massa oppure afflussi massicci di persone si verifichino ancora in futuro. Il CESE ritiene che debbano essere adottate misure più ambiziose. I flussi migratori di massa a livello mondiale continueranno ancora per molti anni.

3.1.4.

È nell’interesse di tutti gli Stati membri attuare soluzioni sistematiche, robuste e solidali per il caso in cui i migranti continuino ad affluire in massa anche in futuro. Una misura immediata deve essere l’adozione di un sistema permanente, equo e vincolante di ripartizione degli oneri, in base al quale distribuire le persone che cercano protezione tra tutti i paesi dell’UE. Tale sistema deve basarsi su un criterio di distribuzione permanente, in funzione di una serie di fattori quali le dimensioni dell’economia e del territorio del paese di accoglienza, il suo PIL, le opportunità di lavoro e le penurie di competenze ivi presenti e l’esistenza, nel paese stesso, di comunità co-nazionali/etniche e di minoranze. Tale criterio di ripartizione dovrebbe essere riesaminato periodicamente. Dovrebbero essere prese in considerazione anche le preferenze dei richiedenti asilo, purché legate ad elementi suscettibili di agevolare l’integrazione (ad esempio: conoscenza della lingua, familiari presenti nel paese ecc.). In tal modo si dovrebbe porre fine alle continue divergenze in sede di Consiglio, che hanno offuscato l’immagine dell’Europa.

3.1.5.

Il CESE accoglie con favore la proposta di attivare il Meccanismo di protezione civile e di mobilitare i gruppi di sostegno per la gestione della migrazione, nonché le squadre di intervento rapido alle frontiere, per aiutare gli Stati membri a far fronte alle situazioni di emergenza.

3.1.6.

Il CESE, inoltre, esprime apprezzamento per l’aumento dei finanziamenti dell’UE a favore di Frontex, EASO ed Europol nel 2015, e per l’aumento di 600 milioni di EUR per le tre agenzie nel 2016, per aiutare gli Stati membri più colpiti. Tali sforzi devono essere integrati da un’efficace politica di rimpatrio. Finora è stato rimpatriato nel proprio paese d’origine soltanto il 38 % circa delle persone che non sono risultate essere bisognose di protezione internazionale.

3.1.7.

L’UE deve vincolare in misura crescente gli aiuti ai paesi in via di sviluppo alle riforme da attuare al loro interno, oltre a promuovere una cooperazione efficace sulle questioni in materia di migrazione, con particolare attenzione alla migrazione legale (anche in relazione alla circolazione temporanea e ai visti) e alla politica di rimpatrio. Tuttavia, è importante che gli Stati membri dell’UE onorino l’impegno che hanno assunto di destinare lo 0,7 % del loro reddito nazionale lordo (RNL) agli aiuti allo sviluppo.

3.1.8.

Il CESE accoglie con favore la proposta di intensificare gli sforzi diplomatici per coinvolgere i paesi d’origine e i paesi di transito in uno sforzo congiunto per far fronte a questa sfida. Il primo appuntamento ha avuto luogo l’11 e 12 novembre 2015 alla Valletta (Malta), con il vertice sulla migrazione.

3.1.9.

A questo proposito, è importante sottolineare che l’UE deve tanto prestare ascolto quanto parlare ai suoi partner, e innanzitutto trattarli come tali. Tra l’UE e i suoi partner dell’Africa e del Medio Oriente prevalgono ancora molti fraintendimenti, nonché percezioni differenti, per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere e i mezzi da utilizzare per conseguirli.

3.1.10.

Il CESE accoglie con favore l’impegno dell’UE a continuare a collaborare più da vicino con le organizzazioni internazionali come UNHCR, PNUS, OIM e Croce Rossa. Tuttavia, osserva che molti Stati membri dell’UE non rispettano i loro obblighi, come dimostra, ad esempio, la desolante situazione relativa al sostegno fornito al Programma alimentare mondiale.

3.1.11.

Il CESE plaude inoltre alla proposta della Commissione di aumentare gli aiuti umanitari di 300 milioni di EUR nel 2016, per affrontare i bisogni essenziali dei rifugiati.

3.1.12.

Il CESE sostiene il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia di asilo. Ai sensi dell’articolo 78 del TFUE, l’UE dovrebbe sviluppare una politica comune sulla protezione internazionale, che preveda uno «status uniforme […] valido in tutta l’Unione». In mancanza di uno status in materia di asilo valido in tutta l’Unione concesso da un’agenzia dell’UE, l’unica alternativa è il riconoscimento reciproco delle decisioni nazionali.

3.1.13.

Il CESE appoggia fermamente l’impegno della Commissione a presentare proposte di riforma del regolamento di Dublino entro il marzo 2016. Sostiene altresì l’impegno della Commissione a presentare, al tempo stesso, un nuovo pacchetto sulla migrazione legale che comprenda anche una revisione della direttiva sulla Carta blu.

3.1.14.

La protezione delle frontiere esterne dell’UE dovrebbe essere il risultato di uno sforzo condiviso, con cui gli Stati membri mettono in comune le risorse fisiche e intellettuali.

3.1.15.

Il CESE appoggia pienamente la creazione immediata di «punti di crisi», che dovrebbero però disporre di tutto il personale e di tutte le risorse necessari per funzionare efficacemente. In paesi come Italia e Grecia, nei quali arrivano quotidianamente migliaia di migranti, soltanto una significativa condivisione di risorse fisiche e finanziarie consentirà di evitare il caos assoluto.

3.1.16.

Il CESE condivide le gravi preoccupazioni dell’UNHCR riguardo alla procedura di registrazione e selezione applicata nei punti di crisi non appena gli immigrati arrivano alle frontiere dell’UE.

3.2.   Azioni a lungo termine

3.2.1.

L’UE potrà ridurre i flussi migratori a proporzioni gestibili soltanto se si impegnerà in modo significativo a risolvere i numerosi problemi che affliggono i paesi di origine dei migranti. L’obiettivo di lungo termine di garantire stabilità, pace e prosperità richiederà uno sforzo senza precedenti, da parte non solo dell’Europa ma di tutta la comunità internazionale. L’UE deve puntare a far sì che siano intensificati gli sforzi intrapresi a livello internazionale, soprattutto attraverso le Nazioni Unite.

3.2.2.

Occorre quindi prolungare la presenza istituzionale dell’UE nei principali paesi di origine e di transito, creando specifici centri per la migrazione che fungano, ad esempio, da strutture temporanee o permanenti per il trattamento delle domande di asilo. Inoltre, paesi quali l’Algeria, il Marocco, il Mali, la Libia, il Libano e la Turchia hanno bisogno di maggiore attenzione e assistenza.

3.2.3.

Il CESE ritiene che uno dei principali obiettivi dell’Agenda in esame sia varare una politica dell’UE in materia di migrazione che, da un lato, renda concretamente possibile la migrazione legale e, dall’altro, promuova l’effettiva integrazione dei migranti. A questo proposito, è in attesa delle prime proposte legislative e politiche in materia e si dichiara pronto a sostenere gli sforzi della Commissione europea volti a sviluppare tali proposte.

3.2.4.

Il CESE invita gli Stati membri a rispettare pienamente e ad attuare concretamente la convenzione di Ginevra del 1951, nonché a resistere alle pressioni per ridurre il livello di protezione e di servizi concessi ai rifugiati.

3.2.5.

Il CESE sostiene una politica comune in materia di asilo, basata su procedure comuni semplificate. Una tale politica deve basarsi tra l’altro su una definizione comune dello status di rifugiato e dei diritti che ne derivano, onde evitare che i rifugiati vadano alla ricerca dei sistemi «più vantaggiosi».

3.2.6.

Occorre sviluppare ulteriormente il sistema di informazioni sul paese d’origine (IPO). Le domande di asilo presentate da cittadini provenienti dagli stessi Stati membri e che si trovano, presumibilmente, ad affrontare situazioni analoghe, hanno spesso esiti diversi. Il sistema in vigore dovrebbe essere sufficientemente flessibile e affidabile da consentire di analizzare e gestire in tempo reale le evoluzioni nei paesi di origine. La cooperazione tra i servizi di sicurezza degli Stati membri dovrebbe essere rafforzata costantemente, perché tali servizi costituiscono una fonte importante di informazioni.

3.2.7.

Maggiore priorità dovrebbe essere data all’organizzazione dell’immigrazione legale, alla politica dei visti, alla digitalizzazione della procedura, al riconoscimento delle qualifiche e alla mobilità nel campo dell’istruzione.

3.2.8.

L’UE dovrebbe essere maggiormente coinvolta nella gestione dei rimpatri e nel sostegno alle misure di reintegrazione. Il progetto pilota sui rimpatri in Pakistan e in Bangladesh è di interesse limitato ai fini dell’attuale situazione di emergenza. Il CESE raccomanda vivamente di elaborare ed attuare progetti analoghi, dotati di finanziamenti e sostegno istituzionale adeguati.

3.2.9.

Rafforzare i controlli alle frontiere nei paesi di transito, intensificare i pattugliamenti in mare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti può essere utile, ma non è l’unico metodo per affrontare il problema in modo sostenibile. L’UE è sulla buona strada quando adotta un approccio globale che utilizza più efficacemente gli strumenti di vario tipo e le risorse significative di cui dispone.

3.3.   Società civile

3.3.1.

La società civile svolge un ruolo fondamentale nella gestione della crisi migratoria. Gli attori della società civile possono offrire un aiuto essenziale fornendo ai migranti le prime risposte di cui questi hanno bisogno al loro arrivo. Tuttavia, la società civile potrebbe svolgere un ruolo ancora più determinante per quanto riguarda lo sforzo più a lungo termine necessario per l’integrazione dei migranti nella società. La società civile può adottare le risposte interpersonali fondamentali in tutte le fasi dell’accoglienza e dell’insediamento dei rifugiati.

3.3.2.

Il CESE plaude alla solidarietà mostrata da settori della società civile e da soggetti privati che hanno volontariamente assistito i richiedenti asilo. Tuttavia, la portata di questa reazione positiva e spontanea non è sufficientemente ampia da consentire di affrontare con successo le sfide esistenti. Il CESE invita gli Stati membri dell’UE a riconoscere e apprezzare il ruolo svolto dalla società civile, moltiplicando il loro sostegno alle ONG nazionali e alla società civile in genere così da assicurare una risposta più efficace e strutturata. I governi degli Stati membri hanno una responsabilità particolare per quanto riguarda l’individuazione e la creazione di collegamenti con le società civili nei loro territori, nonché l’intensificazione degli aiuti destinati a garantire il rafforzamento delle loro capacità.

3.3.3.

Inoltre, il CESE raccomanda alla Commissione di adoperarsi affinché agli Stati membri siano assegnate maggiori risorse nel quadro degli accordi di partenariato relativi ai fondi strutturali, al fine di orientare maggiormente i fondi dell’FSE e del FESR verso la gestione dei flussi migratori e gli sforzi di integrazione. Le ONG e le organizzazioni impegnate sul campo dovrebbe essere i principali beneficiari di tali fondi, che dovrebbero aggiungersi ai fondi attualmente assegnati nell’ambito del Fondo asilo, migrazione e integrazione.

3.3.4.

Il CESE richiama l’attenzione sul Forum europeo delle migrazioni, che sostituisce il Forum europeo dell’integrazione creato nel 2009 dal CESE e dalla Commissione europea. Si tratta di una piattaforma di dialogo tra le istituzioni europee e la società civile nei settori dell’immigrazione, dell’asilo e dell’integrazione dei migranti.

4.   Integrazione nella società e nel mercato del lavoro

4.1.

Il CESE considera importante ed estremamente pertinente l’adozione di un sistema di migrazione legale verso l’UE che sia trasparente, prevedibile ed equo. La popolazione europea ha un’età media sempre più avanzata e cresce a un ritmo di appena lo 0,2 % circa all’anno, un ritmo che è molto inferiore alla soglia di ricambio generazionale. Si stima che, entro il 2050, l’Europa registrerà la perdita di circa 30 milioni di persone in età lavorativa, e che, a meno che non si intervenga rapidamente, nella maggior parte degli Stati membri dell’UE gli indici di dipendenza continueranno ad aumentare rapidamente, la produttività diminuirà, molte imprese cesseranno la loro attività, e i costi per il mantenimento dei servizi, soprattutto per la popolazione anziana, aumenteranno in modo significativo.

4.2.

Mediante un’azione collettiva e organizzata, basata sulla solidarietà, l’UE può trasformare la situazione attuale in un’opportunità, per invertire l’attuale tendenza demografica e i suoi effetti sul piano economico e sociale. L’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro favorisce la crescita economica e sostiene la loro indipendenza. D’altro canto, le politiche che non tengono conto dell’integrazione spostano sui servizi pubblici l’onere del sostegno ai migranti, con il rischio che ne derivino frizioni sociali con implicazioni considerevoli.

4.3.

Il CESE riconosce che l’integrazione dei migranti dipende fortemente dalla loro integrazione nel mercato del lavoro. Vi sono comunque alcuni fattori associati all’impatto dell’immigrazione sul mercato del lavoro che meritano una spiegazione. Tra questi figurano l’impatto degli immigrati sul livello dei salari, la disponibilità di posti di lavoro, le pressioni sul bilancio (per la sanità e l’istruzione) e gli effetti del multiculturalismo.

4.4.

Il Comitato ha già elaborato un parere esplorativo (1) sul quale si sono basati i lavori preparatori della conferenza ministeriale di Saragozza del 2010 (2), che ha adottato un’importante dichiarazione sull’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro e sulle sfide per le autorità europee e nazionali e le parti sociali.

4.5.

Gli studi dimostrano che, nel complesso, il contributo dei migranti all’economia è maggiore del beneficio che questi ne traggono, che il loro impatto sul bilancio è minimo, e che la loro presenza stimola la crescita economica ed aiuta l’Europa ad affrontare il problema del deficit demografico. Tuttavia, gli effetti della migrazione non incidono allo stesso modo su tutte le regioni d’Europa ed il loro impatto a livello locale deve essere valutato attentamente. Inoltre, vi è una netta differenza tra l’arrivo ordinato di migranti nell’ambito dell’attuazione di una politica di migrazione e l’arrivo improvviso di migliaia di migranti, che risulta difficile da gestire e crea difficoltà per le strutture locali, regionali e nazionali, come è avvenuto nelle ultime settimane.

4.6.

L’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro dipende da una serie di fattori come il livello di disoccupazione nei paesi ospitanti, le competenze dei migranti, il loro livello di specializzazione, il tipo di preparazione prima dell’arrivo (in termini di competenze linguistiche e formazione formale), e le organizzazioni e le strutture create nei paesi di accoglienza per facilitare l’integrazione degli immigrati, compresi i rifugiati, nel mercato del lavoro. È proprio in questi campi che la società civile può svolgere un ruolo fondamentale.

4.7.

Tuttavia, vi sono anche altri fattori che impediscono una rapida integrazione, quali il mancato riconoscimento delle qualifiche, gli ostacoli burocratici, la mancanza di trasparenza, i pregiudizi sui migranti diffusi nell’opinione pubblica, lo sfruttamento e gli ostacoli giuridici derivanti da leggi obsolete, e la mancata attuazione o lenta trasposizione della legislazione dell’UE.

4.8.

Alle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro spetta un ruolo cruciale nella gestione della sfida dell’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro. Il CESE raccomanda pertanto che le parti sociali siano coinvolte a pieno titolo nelle fasi di elaborazione, sviluppo, attuazione e monitoraggio della politica di integrazione e delle relative misure a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

4.9.

Il governo, le autorità locali e regionali e le parti sociali devono collaborare per raggiungere un consenso sociale circa le modalità e i mezzi per integrare gli immigrati nell’economia e nella società, soprattutto per evitare uno scontro tra i diversi gruppi svantaggiati.

4.10.

La società civile svolge un ruolo cruciale nell’aiutare i migranti ad accedere all’istruzione, alla formazione e all’occupazione e nel contrastare le discriminazioni nel settore dell’istruzione, nel mercato del lavoro e nella società nel suo insieme.

Bruxelles, 10 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16.

(2)  http://www.integrim.eu/wp-content/uploads/2012/12/Report-20101.pdf, https://www.uclm.es/bits/archivos/declaracionzaragoza.pdf.


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e che modifica il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide»

[COM(2015) 450 final — 2015/0208 (COD)]

(2016/C 071/09)

Relatore:

Cristian PÎRVULESCU

Il Parlamento europeo, in data 16 settembre 2015, e il Consiglio dell’Unione europea, in data 21 ottobre 2015, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un meccanismo di ricollocazione di crisi e che modifica il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide

[COM(2015) 450 final — 2015/0208/(COD)].

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 10 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 6 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La crisi dei rifugiati nell’UE è arrivata a un tale livello di gravità che persino i principi fondanti della protezione dei diritti umani e della democrazia vengono messi in discussione. Malgrado le difficoltà, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è fermamente convinto che tali principi debbano essere rispettati e attuati correttamente.

1.2.

Il CESE ritiene che le tendenze di alcuni governi a sostegno della sovranità nazionale e le impressioni negative che la migrazione e i rifugiati hanno suscitato in un numero crescente di cittadini possano essere limitate con uno sforzo, ampio e necessario, volto a difendere i valori europei fondamentali e le conquiste istituzionali dell’UE. In queste situazioni eccezionali, abbiamo bisogno di più Europa, più democrazia e più solidarietà.

1.3.

L’attuale crisi dei rifugiati, sebbene prevedibile, si è verificata a causa dell’assenza di una politica comune in materia di asilo, il cui ritardo è dovuto alla mancanza di un’azione politica concertata a livello europeo. In tale contesto, il CESE sollecita il Consiglio europeo, la Commissione e il Parlamento europeo a dare attuazione all’articolo 67, paragrafo 2, e all’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che fissano le condizioni affinché l’UE possa realizzare un’autentica politica in materia di asilo.

1.4.

Il CESE ha costantemente sottolineato la necessità della solidarietà, della responsabilità e di un’azione comune, nonché la centralità dei diritti fondamentali.

1.5.

Il CESE accoglie favorevolmente gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per coordinare una risposta comune alla crisi dei rifugiati, compresa la riunione dei responsabili politici sui flussi di rifugiati lungo la rotta dei Balcani occidentali.

1.6.

Il meccanismo di ricollocazione in caso di crisi rappresenta un esempio concreto di cooperazione basata sulla solidarietà e la responsabilità. Il CESE auspica tuttavia che tale meccanismo di ricollocazione e altre iniziative simili facciano parte di una strategia generale, allo scopo di assicurare coerenza ed efficienza. Risulta in particolar modo necessario mettere a punto sistemi di condivisione degli sforzi sostenibili e basati sulla solidarietà, ma soprattutto definire una chiave permanente, equa e vincolante di ripartizione dei richiedenti protezione fra tutti i paesi dell’UE.

1.7.

La Commissione europea e le altre istituzioni dell’UE devono sostenere attivamente i governi degli Stati membri, in modo da creare le condizioni e le prospettive adeguate per l’integrazione dei richiedenti asilo ricollocati. In tale contesto è opportuno specificare, tra le altre cose, che le spese sostenute dagli Stati membri per l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo o dei profughi non costituiscono spese a lungo termine o strutturali e che pertanto non devono rientrare nel calcolo dei deficit strutturali di bilancio.

2.   Osservazioni generali

2.1.

L’attuale crisi dei rifugiati rappresenta sia una sfida sul piano amministrativo, in quanto l’ampiezza stessa del fenomeno è senza precedenti, che un’ardua impresa dal punto di vista giuridico. L’UE è arrivata a un punto tale in cui persino i principi fondanti della protezione dei diritti umani e della democrazia vengono messi in discussione. La disponibilità degli Stati membri a dare piena attuazione ai trattati internazionali ha risentito dell’aumento della mobilità internazionale, dovuto alla globalizzazione economica. Il CESE ritiene che le tendenze di alcuni governi a sostegno della sovranità nazionale e le impressioni negative che la migrazione e i rifugiati hanno suscitato in un numero crescente di cittadini possano essere limitate con uno sforzo, ampio e necessario, volto a difendere i valori europei fondamentali e le conquiste istituzionali dell’UE. In queste situazioni eccezionali, abbiamo bisogno di più Europa, più democrazia e più solidarietà.

2.2.

Il sistema europeo di asilo sta subendo notevoli pressioni, originate da molteplici crisi. Alcune di queste hanno le loro radici nella politica internazionale degli anni 2000, mentre altre non rappresentano che gli effetti perversi della crisi economica e finanziaria. Quelle più recenti — la cosiddetta «primavera araba», l’instabilità politica in Libia e la guerra civile in Siria — hanno direttamente portato a un aumento considerevole del numero di rifugiati.

2.3.

I 47 paesi membri del Consiglio d’Europa sono tenuti ad applicare le disposizioni in materia di diritti umani che garantiscono la protezione di tutti gli esseri umani, conformemente all’articolo 3 (1) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Al contrario, la Convenzione del 1951 sullo statuto dei rifugiati concede protezione soltanto a una categoria specifica di persone, secondo quanto stabilito nell’articolo 1, e questa protezione può essere persa più facilmente. Secondo la Convenzione, tuttavia, alle persone bisognose di protezione internazionale spetta una serie di diritti. In alcuni Stati membri, ad esempio la Romania, le disposizioni costituzionali danno la preminenza ai trattati internazionali rispetto alla legislazione nazionale. L’articolo 18 (2) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che è diventata vincolante conformemente all’articolo 6 del TFUE, definisce i diritti delle persone che necessitano di protezione internazionale.

2.4.

Il sistema di Dublino ha addossato in modo sproporzionato l’onere di esaminare le richieste di asilo su una serie di Stati che si trovano «in prima linea» (Malta, Italia, Cipro, Grecia, Spagna e — di recente — Ungheria). In queste condizioni è diventato sempre più difficile per alcuni Stati membri rispettare concretamente sia i principi di non respingimento che quelli sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dalle direttive che ne discendono. Malgrado le difficoltà, il CESE è fermamente convinto che tali principi debbano essere rispettati e attuati correttamente.

2.5.

L’articolo 67, paragrafo 2, e l’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea fissano le condizioni affinché l’UE possa realizzare un’autentica politica in materia di asilo. Alla luce di questi articoli, la questione essenziale non consiste nell’elaborazione di norme minime, ma piuttosto nella creazione di un sistema comune che comprenda procedure uniformi. L’attuale crisi dei rifugiati, sebbene prevedibile, si è verificata a causa dell’assenza di una politica comune in materia di asilo, il cui ritardo è dovuto alla mancanza di un’azione politica concertata a livello europeo. In tale contesto, il CESE raccomanda al Consiglio europeo, alla Commissione e al Parlamento europeo di dare attuazione a questi articoli.

2.6.

Il CESE accoglie favorevolmente gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per coordinare una risposta comune alla crisi dei rifugiati, compresa la riunione dei responsabili politici sui flussi di rifugiati lungo la rotta dei Balcani occidentali. Alla riunione hanno partecipato vari capi di Stato e di governo, sia di Stati dell’UE che di paesi terzi, nel tentativo di coordinare meglio l’azione nella suddetta regione in rapporto a tre ambiti fondamentali: fornire rifugio, gestire i flussi migratori e controllare le frontiere (3).

2.7.

Il CESE si augura che il meccanismo di ricollocazione in caso di crisi aiuti l’UE a passare, sulla base di un consenso generale, a un sistema sufficientemente solido e flessibile per affrontare le multiformi sfide legate alla migrazione.

2.8.

Il CESE ha costantemente sottolineato la necessità della solidarietà, della responsabilità e di un’azione comune, nonché la centralità dei diritti fondamentali. Ha inoltre ribadito che bisogna impegnarsi seriamente per facilitare l’integrazione dei migranti e dei rifugiati.

2.9.

Il meccanismo di ricollocazione in caso di crisi rappresenta un esempio concreto di cooperazione basata sulla solidarietà e la responsabilità. Il CESE auspica tuttavia che tale meccanismo e altre iniziative simili facciano parte di una strategia generale, allo scopo di assicurare coerenza ed efficienza. Risulta in particolar modo necessario mettere a punto sistemi di condivisione degli sforzi sostenibili e basati sulla solidarietà, ma soprattutto definire una chiave permanente, equa e vincolante di ripartizione dei richiedenti protezione fra tutti i paesi dell’UE. L’agenda europea sulla migrazione della Commissione rappresenta un passo avanti in questa direzione.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.

Ogni Stato membro che non partecipa al meccanismo di ricollocazione dovrebbe spiegarne i motivi. Se la motivazione è di carattere essenzialmente finanziario oppure è connessa alla mancanza di preparazione per ricevere i richiedenti asilo, bisognerebbe provvedere a una qualche forma di sostegno finanziario anticipato.

3.2.

Il sostegno dell’UE alle organizzazioni della società civile che si occupano della crisi dei rifugiati e dell’integrazione dei migranti è ancora insufficiente. Le norme e procedure burocratiche ostacolano la loro capacità di agire efficacemente sul terreno.

3.3.

Per accertare se si è in presenza di una crisi, la Commissione europea dovrebbe valutare se le condizioni venutesi a creare siano tali da far sì che uno Stato membro, pur disponendo di un «sistema di asilo ben preparato», non sia comunque in grado di gestire questa situazione. Qual è la definizione datane? Quali sono i criteri per descrivere un sistema di asilo come «ben preparato»? La proposta fornisce alcuni criteri che la Commissione europea potrebbe prendere in considerazione, tuttavia tali criteri sono flessibili e la presenza della locuzione «fra l’altro» indica che la Commissione li considera non esaustivi.

3.4.

La proposta non è abbastanza precisa per quanto riguarda l’armonizzazione delle preferenze dello Stato membro beneficiario, dello Stato membro di ricollocazione e dei richiedenti asilo. Non è chiaro come funzioni il meccanismo all’atto pratico.

3.5.

Si raccomanda di mettere a disposizione dei richiedenti asilo informazioni pertinenti e consulenza, fornite dalle autorità competenti negli Stati membri beneficiari e dai funzionari di collegamento dello Stato membro di ricollocazione.

3.6.

Non è chiaro in che modo lo Stato membro di ricollocazione sia incoraggiato ad accogliere adeguatamente i richiedenti ricollocati e a provvedere alla loro integrazione. Lo stato delle infrastrutture, la disponibilità di servizi (ad esempio, sanitari o didattici) e gli assegni sociali influiranno sulla disponibilità dei richiedenti asilo a essere ricollocati in un determinato paese. La Commissione europea e le altre istituzioni dell’UE devono sostenere attivamente i governi degli Stati membri, in modo da creare le condizioni e le prospettive adeguate per l’integrazione dei richiedenti ricollocati.

3.7.

La proposta deve essere più precisa a tale riguardo e delineare una procedura per valutare e incoraggiare lo sviluppo di infrastrutture e servizi per l’asilo in tutti gli Stati membri.

3.8.

Il sistema deve, in certa misura, venire incontro alle preferenze dei richiedenti asilo in rapporto a particolari Stati membri di ricollocazione. Tali preferenze devono essere connesse a prospettive, chiari e dimostrabili, di una riuscita integrazione (familiari già residenti nel paese, conoscenza della lingua locale e precedenti legami con il paese, ad esempio studi o attività lavorative svolti in loco).

3.9.

I «legami culturali» sono indicati come fattore di cui tenere conto al momento di ricollocare una persona in uno Stato membro. Il CESE ritiene che questo criterio non debba essere utilizzato per giustificare il respingimento delle richieste di asilo sulla base della religione professata dai richiedenti.

3.10.

La proposta non precisa in che modo il regime funzionerà per paesi come la Serbia e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, che hanno chiare prospettive di adesione e stanno fronteggiando un notevole afflusso di migranti e di richiedenti asilo.

Bruxelles, 10 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  «Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti». L’asilo e la protezione internazionale non sono trattati soltanto all’articolo 3. L’espulsione di richiedenti asilo la cui domanda di asilo sia stata respinta può risultare problematica tenuto conto dell’articolo 2 (Diritto alla vita), dell’articolo 5 (Diritto alla libertà e alla sicurezza), dell’articolo 6 (Diritto a un equo processo) e dell’articolo 7 (Nulla poena sine lege), oltre che degli articoli 3 (Divieto di espulsione dei cittadini) e 4 (Divieto di espulsioni collettive di stranieri) del Protocollo n. 4. Vengono invocati anche altri articoli: l’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), l’articolo 13 (Diritto ad un ricorso effettivo) e l’articolo 16 (Restrizioni all’attività politica degli stranieri).

(2)  Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal Protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo statuto dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea.

(3)  Cfr. la dichiarazione dei responsabili politici rilasciata dopo la riunione.


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficaci sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio»

[COM(2015) 337 final — 2015/0148 (COD)]

(2016/C 071/10)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Il Parlamento europeo, in data 7 settembre 2015, e il Consiglio, in data 21 settembre 2015, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 192 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficace sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio

[COM(2015) 337 final — 2015/0148 (COD)].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato è convinto che sia centrale per l’Europa una reindustrializzazione sostenibile con una crescita competitiva e generatrice di nuova e migliore occupazione e che il sistema di scambio di quote di CO2 UE debba collocarsi in tale quadro come uno strumento chiave della politica europea per la lotta ai cambiamenti climatici e per il processo di decarbonizzazione dell’economia mondiale.

1.2.

Il Comitato ritiene che il sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS UE) come strumento per la riduzione delle emissioni energetiche UE debba dare un segnale del prezzo del carbonio ma anche influire positivamente su investimenti sostenibili in nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio.

1.3.

Secondo il CESE occorre rendere il mercato del carbonio più stabile, flessibile ed aperto a tutti i grandi interlocutori a livello mondiale, in un quadro ben dettagliato e coordinato, per raggiungere l’obiettivo di un sistema industriale manifatturiero competitivo e sostenibile.

1.4.

Il Comitato sostiene che la Commissione debba seguire rigorosamente il mandato definito dal quadro di politiche energetiche e del clima fino al 2030, concordato dal Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, in particolare nelle sue chiare indicazioni sulle disposizioni di carbon leakage da sviluppare nella riforma del sistema ETS UE.

1.5.

Secondo il Comitato, occorre assicurare adeguati meccanismi di transizione per salvaguardare la competitività delle industrie europee ed evitare rischi di fughe di investimenti e di esposizione di industrie europee a concorrenza sleale da paesi senza strumenti di regolamentazioni climatiche comparabili.

1.6.

Il CESE raccomanda che sia assicurato un quadro adeguato di regole — specie sui livelli d’assegnazione gratuita, ammissibilità del carbon leakage, revisione di parametri di benchmarking, compensazione dei costi indotti dei prezzi dell’energia elettrica — per garantire al 100 % l’assegnazione gratuita e piena compensazione dei costi indiretti in tutti gli Stati membri a livello del 10 % degli impianti più efficienti in settori esposti a rischi elevati di carbon leakage.

1.7.

Il CESE raccomanda i seguenti punti tra quelli qualificanti nella riforma:

abolizione del fattore di correzione intersettoriale, per i costi diretti,

meccanismi armonizzati a livello europeo per compensazione dei costi indiretti in tutta l’UE, ai fini d’evitare distorsioni di concorrenza (1),

sistemi premianti e non penalizzanti per i best performer in qualsiasi modo tale performance sia realizzata, incluso la cattura e l’uso della CO2,

fissazione di benchmark basati su solidi dati industriali e fissati una sola volta a inizio periodo,

assegnazione di quote gratuite per i settori basata su produzioni effettive e non storiche,

possibilità di fall-back approach in Fase 4 per i settori senza parametri di riferimento pregressi,

definizione del rischio per carbon leakage più flessibile con i criteri qualitativi di rischio attuali senza l’introduzione di valori soglia,

utilizzo di parte della Riserva di Stabilità a sostegno del phasing-out dei settori espulsi dalla Lista di carbon leakage,

esenzione dal meccanismo anche ad impianti con emissioni inferiori a 50 000 t CO2,

piena integrazione della dimensione sociale nel sistema ETS UE per sostenere la transizione di processi e competenze industriali e occupazionali verso un’economia carbon-free,

studio su modalità d’estensione dei meccanismi premiali dei best performer alla società civile, assicurando ETS bonus a famiglie, comunità e amministrazioni pubbliche che abbattano sensibilmente i propri consumi energetici generatori di CO2 o ne compensino le emissioni con investimenti verdi ,

studio preliminare, indipendente, per individuare i meccanismi ottimali per il funzionamento del sistema ETS UE per il raggiungimento degli obiettivi climatici stabiliti.

1.8.

Il Comitato raccomanda, infine, la massima coerenza, la piena sinergia, la minima sovrapposizione delle prescrizioni e l’eliminazione dei sovraccarichi burocratici tra le nuove normative di revisione del sistema UE di scambio di quote di emissione e le normative parallele e complementari con le quali interagiscono.

1.9.

Il CESE ritiene che dovrebbe essere assicurato un quadro di scambio di crediti internazionali che dovrebbero avere un ruolo da svolgere nel raggiungimento degli obiettivi più ampi di riduzione delle emissioni in Europa, con il sostegno di accordi internazionali multilaterali e bilaterali.

1.10.

Il Comitato ritiene importante elaborare in proposito un proprio parere d’iniziativa dopo la conclusione della Conferenza di Parigi di fine 2015.

2.   Introduzione

2.1.

Il sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE (ETS UE — Emissions Trading System) è diventato operativo dal 1o gennaio 2005 e costituisce uno dei più importanti strumenti della politica climatica dell’UE, grazie alla possibilità che offre di abbattere le emissioni di gas serra.

2.2.

Il sistema ETS UE ha avuto l’obiettivo di fornire, da quando è stato creato, un punto di riferimento per il carbonio volto a consentire di ridurre le emissioni di tutti i settori dell’economia europea responsabili di circa la metà delle emissioni dei gas serra (GHG).

2.3.

Il CESE ha sempre ritenuto l’ETS UE come uno strumento chiave della politica climatica e energetica dell’Unione per la riduzione delle emissioni industriali dell’UE e ne ha invocato un’autentica riforma volta a realizzare gli obiettivi climatici dell’UE all’orizzonte 2030, salvaguardando la competitività industriale dell’Unione ed evitando la delocalizzazione degli investimenti.

2.4.

Il Consiglio europeo del 21 marzo 2014 ha auspicato misure per la piena compensazione dei costi diretti e indiretti derivanti dalle politiche climatiche dell’UE per i settori esposti alla concorrenza globale, fino a quando un accordo internazionale sul clima non arriverà a stabilire parità di condizioni a livello mondiale.

2.4.1.

Tuttavia il CESE fa proprie le osservazioni della Corte dei conti europea, secondo la quale vi sono «notevoli debolezze nell’attuazione dell’ETS UE» e formula una serie di raccomandazioni volte a migliorare l’integrità e l’attuazione di tale sistema, asseverando il concetto d’efficacia industriale che assicuri la piena competitività dell’economia nell’UE.

2.5.

Il 23 e 24 ottobre 2014 il Consiglio europeo ha stabilito il quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030. Ha inoltre adottato conclusioni e, in particolare, ha approvato alcuni importanti obiettivi:

un obiettivo UE vincolante di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, con una riduzione lineare del tasso annuale dell’1,74 %,

un obiettivo, vincolante, di consumo di energie rinnovabili di almeno il 27 % all’orizzonte 2030, ma senza target vincolanti per gli Stati membri,

un obiettivo, indicativo, di miglioramento dell’efficienza energetica di almeno il 27 % all’orizzonte 2030, non vincolante, ma passibile di revisioni per un suo innalzamento al 30 %,

sostenere il completamento urgente, non oltre il 2020, del mercato interno dell’energia realizzando l’obiettivo del 10 % per le interconnessioni elettriche esistenti.

2.5.1.

L’obiettivo UE di riduzione delle emissioni interne di gas a effetto serra di almeno il 40 %, approvato formalmente alla sessione del Consiglio «Ambiente» del 6 marzo 2015, costituisce la base del contributo UE ai negoziati per il nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici.

2.5.2.

Tutti questi elementi del quadro saranno riesaminati periodicamente dal Consiglio, che continuerà a fornire orientamenti strategici, sia sui settori coperti dal sistema ETS sia su quelli non coperti e sulle interconnessioni e sull’efficienza energetica.

2.5.3.

Gli strumenti e le misure devono essere rivolti ad un approccio globale e tecnologicamente neutrale per promuovere la riduzione delle emissioni e l’efficienza energetica.

2.6.

Il 13 maggio 2015 è stato raggiunto l’accordo tra Consiglio e PE sulla riforma del sistema ETS dell’UE con la decisione su una riserva stabilizzatrice di mercato:

nel 2018 sarà costituita una riserva stabilizzatrice del mercato, operativa a partire dal 1o gennaio 2019,

le quote oggetto di «backloading» (900 milioni di quote la cui messa all’asta è stata posticipata dagli anni 2014-16 agli anni 2019-20) saranno integrate nella riserva di mercato,

le quote non assegnate saranno trasferite direttamente alla riserva stabilizzatrice di mercato nel 2020 e il loro futuro utilizzo è da considerare nell’ambito del più ampio riesame dell’ETS UE,

la componente di solidarietà del 10 % delle quote godrà di un’esenzione temporanea dal campo di applicazione della riserva stabilizzatrice del mercato fino alla fine del 2025,

il riesame dell’ETS UE dovrà prendere in considerazione l’eventuale uso di un numero limitato di quote prima del 2021 per integrare le risorse esistenti per la promozione di CCS (raccolta e stoccaggio della CO2),

i riesami dell’ETS UE e della riserva stabilizzatrice del mercato terranno conto:

della ri-localizzazione di emissioni di CO2 e di aspetti relativi alla competitività, e

di questioni legate all’occupazione e al PIL.

2.7.

Nel quadro della Strategia dell’Unione dell’energia e in vista della Conferenza sul clima di Parigi, la Commissione ha proposto un pacchetto di misure volte, fra l’altro, a rivedere il sistema UE di scambio di quote di emissione secondo le indicazioni dettate dal Consiglio, salvaguardando le priorità di re-industrializzazione dell’economia europea e la competitività internazionale dei settori industriali maggiormente esposti al rischio di delocalizzazione della produzione.

2.8.

Le misure di revisione del sistema dell’UE di scambio di quote di emissione coinvolgono, oltre alla politica energetica, molte altre politiche comunitarie.

2.9.

Il CESE ha lanciato uno studio sull’impatto delle misure finanziate grazie all’utilizzo degli strumenti dell’UE per la protezione ambientale (2) in cui si sottolinea l’importanza dell’uso efficace dei proventi generati dagli strumenti fondati sul mercato per realizzare miglioramenti ambientali conformi alla promozione dell’economia verde e di quelli generati dal sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’UE, che costituiscono una possibilità particolarmente rilevante per finanziare tali miglioramenti e per la transizione industriale e occupazionale verso un’economia carbon-free.

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

L’iniziativa della Commissione di modifica della direttiva ETS UE 2003/87/CE mirerebbe, attraverso una serie articolata di proposte, ad accentuare il livello di riduzione annuale delle emissioni ammesse in modo che il livello di quote rilasciate ogni anno in tutto lo Spazio economico europeo (SEE) a partire dal 2021 diminuisca di un fattore lineare aumentato al 2,2 % per raggiungere il 43 % di riduzione nel 2030 rispetto al livello 2005.

3.2.

La proposta prevede vari meccanismi di finanziamento volti a sostenere gli operatori economici che devono lottare contro il carbon leakage e affrontare le grandi sfide poste dall’innovazione e dagli investimenti necessari alla modernizzazione dei loro impianti e al miglioramento dell’efficienza energetica per contribuire alla riduzione delle emissioni.

4.   I sistemi di scambio di quote di emissione a livello globale

4.1.

I sistemi di scambio di quote di emissione sono in aumento in tutto il mondo al di fuori dell’UE, con sistemi nazionali o sub-nazionali già operanti in vari paesi.

4.2.

Negli USA il presidente Obama ha annunciato le regole per il Piano di Clean Power — CPP che indicheranno per ogni Stato i singoli standard per ridurre le emissioni di carbonio dalle centrali elettriche — principalmente a carbone e a gas — entro il 2030.

4.2.1.

In California vi è il programma «cap-and-trade», varato nel 2012. Nel Connecticut, Delaware, Maine, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New York, Rhode Island, Vermont è in vigore la Regional Greenhouse Gas Initiative-RGGI.

4.3.

In Australia è operante un sistema di scambio di quote di emissione che si collegherà a quello europeo entro il 2018, secondo un accordo con la Commissione europea del 2012.

4.4.

In Canada il Québec’s Cap-and-Trade System for Greenhouse Gas Emissions è stato introdotto nel 2012 e dal 2013 copre l’85 % delle emissioni del Québec.

4.5.

In Nuova Zelanda è stato lanciato un sistema di scambio di quote di emissione NZ ETS nel 2008, con l’inclusione delle foreste e dell’agricoltura, dei combustibili fossili liquidi, delle centrali elettriche e dei processi industriali.

4.6.

L’UE e la Cina hanno raggiunto un accordo nel vertice bilaterale di fine giugno 2015 in materia di cooperazione nella lotta al cambiamento climatico.

4.7.

Nella Corea del Sud da gennaio 2015 è in essere il programma KETS, il primo programma operativo in Asia a livello nazionale e il secondo dopo l’ETS UE sul piano mondiale.

4.8.

In Giappone il Tokyo Cap-and-Trade Program — TMG ETS è il primo sistema di scambio obbligatorio, lanciato nell’aprile 2010.

4.9.

In Svizzera l’ETS-CH è iniziato nel 2008 con 5 anni su base volontaria come opzione alternativa alla tassa sulla CO2 sui combustibili fossili; dal 2013 lo schema è diventato obbligatorio per le grandi industrie ad alta intensità energetica.

5.   Osservazioni generali

5.1.

Il Comitato ritiene che il sistema ETS UE rappresenti uno strumento chiave efficiente in vista di una riduzione delle emissioni energetiche dell’UE, se segue una logica di mercato che dovrebbe dare un segnale di un prezzo del carbonio in linea con le ambizioni ma anche influire positivamente sugli investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio e sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sull’aumento dell’efficienza energetica.

5.1.1.

Il CESE è preoccupato per una possibile accelerazione del processo di rilocalizzazione degli investimenti in quanto forma specifica di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio nei settori vulnerabili. Questo processo potrebbe ridurre ulteriormente la competitività di tali settori e le loro capacità di adottare le misure necessarie per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio, secondo le linee espresse in recenti pareri (3).

5.2.

Il CESE è convinto della necessità di rendere il mercato del carbonio più stabile, flessibile e aperto a tutti i suoi grandi interlocutori a livello mondiale.

5.3.

Il quadro di politiche energetiche e del clima all’orizzonte 2030, concordato dal Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, stabilisce ambiziosi obiettivi di riduzione unilaterale, ma ha anche fornito precisi orientamenti sulle disposizioni di carbon leakage da sviluppare nella riforma del sistema ETS UE.

5.3.1.

Il CESE ritiene inoltre che la riforma ETS UE dovrebbe rappresentare un quadro di politica coordinata, specie insieme con la riforma dei settori non ETS (Effort Sharing Decisions-ESD) e le politiche in materia di energie rinnovabili (RED) e d’efficienza energetica (EED ed EPBD).

5.4.

Il CESE ritiene che fra i punti qualificanti della riforma dovrebbero figurare:

abolizione del fattore di correzione intersettoriale, per i costi diretti,

meccanismi armonizzati a livello europeo di compensazione dei costi indiretti,

sistemi premianti e non penalizzanti per i best performer, in qualsiasi modo tale performance sia realizzata, incluso la cattura e l’uso della CO2,

fissazione di benchmark basati su solidi dati industriali una sola volta a inizio periodo,

assegnazione di quote gratuite per i settori basata su produzione effettiva,

possibilità di fall-back approach in Fase 4 per i settori senza parametri di riferimento pregressi,

definizione del rischio per carbon leakage più flessibile con i criteri qualitativi di rischio attuali,

utilizzo di parte della Riserva di Stabilità a sostegno del phasing-out dei settori espulsi dalla Lista di carbon leakage,

esenzione dal meccanismo di impianti minori con emissioni inferiori a 50 000 t CO2,

piena integrazione della dimensione sociale nel sistema ETS UE per sostenere appieno la transizione di processi e competenze industriali e occupazionali verso un’economia carbon-free.

5.4.1.

Alle imprese che rischiano la delocalizzazione dovrebbe essere assegnata gratuitamente una quantità di permessi di emissione.

5.5.

Secondo il Comitato, occorre assicurare adeguati meccanismi di transizione verso una riduzione equilibrata delle quote libere di emissioni CO2 per salvaguardare la competitività delle industrie europee ed evitare rischi di fughe di investimenti e di esposizione di industrie europee e settori occupazionali europei a concorrenza sleale da parte di paesi senza quadri di regolamentazioni comparabili.

5.5.1.

In particolare occorre assicurare un pacchetto di regole adeguate sui livelli d’assegnazione gratuita, sull’ammissibilità del carbon leakage, sulla revisione di parametri di benchmarking, sulla compensazione dei costi indotti dei prezzi dell’energia elettrica, per garantire al 100 % l’assegnazione gratuita e la piena compensazione dei costi indiretti in tutti gli Stati membri a livello del 10 % degli impianti più efficienti in settori esposti a rischi elevati di carbon leakage.

5.5.2.

Occorrerebbe studiare altresì le possibilità di estensione dei meccanismi premiali dei best performer alla società civile, assicurando ETS bonus a famiglie, comunità e amministrazioni pubbliche che abbattano sensibilmente i propri consumi energetici generatori di CO2 o ne compensino le emissioni con investimenti verdi .

5.6.

Il CESE ritiene che il Clean Development Mechanism (CDM) dovrebbe essere mantenuto, migliorato e ampliato, e che debbano essere adeguatamente sostenuti i collegamenti tra il sistema europeo ETS e i nuovi sistemi che stanno emergendo in altre regioni del mondo.

5.7.

Il cambiamento climatico richiede una soluzione globale attraverso un accordo con obiettivi ben definiti e certi per tutte le grandi economie mondiali.

6.   Osservazioni specifiche

6.1.

Il Comitato raccomanda di rivedere la modalità di suddivisione delle quote, garantendo una percentuale a titolo gratuito adeguata a soddisfare le esigenze degli operatori che ne hanno diritto. La definizione dei settori a rischio di rilocalizzazione a partire dal 2020 rischia un taglio significativo con una soglia di 0,18 come prerequisito per l’idoneità.

6.2.

Il CESE è preoccupato di un inasprimento dei benchmark che penalizzerebbe ulteriormente le aziende che devono fronteggiare situazioni di difficoltà: la diminuzione trasversale del benchmark attraverso un fattore di correzione unico lineare, fissato tra un minimo dello 0,5 % e un massimo di 1,5 % su base annua, non considera il tempo di vita dei macchinari e la reale situazione tecnologica in settori molto diversificati.

6.3.

Il CESE ritiene che i parametri di benchmarking di fuga di carbonio debbano essere tecnicamente ed economicamente realizzabili per riflettere i progressi tecnologici reali e raccomanda che la metodologia per ridurre l’elenco dei settori sulla Lista fughe da carbonio da 177 settori a 52 per il periodo 2021-2030 venga condivisa dalle parti sociali e accompagnata da misure di phasing-out.

6.4.

Il CESE ritiene inoltre che il fattore di correzione intersettoriale debba essere abolito. Un fattore di correzione calcolato in maniera inopportuna creerebbe incertezze nell’allocazione gratuita ed esporrebbe gli impianti più a rischio a costi indebiti.

6.5.

Secondo il CESE, occorre prevedere un meccanismo di compensazione dei costi indiretti armonizzato a livello europeo ed erogati sulla base dei parametri già stabiliti (4), che eviti le attuali distorsioni del mercato interno, rendendo obbligatorio l’attuale sistema basato sugli aiuti di Stato e vincolando gli Stati membri a destinare almeno una parte dei proventi delle aste a una sufficiente compensazione dei costi indiretti sostenuti a livello di «best performer» ambientali nei settori esposti.

6.6.

Il CESE chiede che l’assegnazione delle quote gratuite più flessibile e dinamica sia basata su livelli di produzione effettivi aggiornati, sostenendo le unità che migliorano l’efficienza mantenendo per loro la stessa assegnazione di quote gratuite.

6.7.

Rendere il criterio di definizione del rischio fuga di carbonio — carbon leakage più flessibile è necessario per riflettere al meglio l’impatto del prezzo del carbonio sulla competitività dei vari settori, specie per le PMI, secondo il criterio qualitativo, così come definito nel 2008.

6.8.

Il CESE ritiene che i fondi del sistema ETS UE — Fondo Riserva di stabilità, Fondo innovazione, Fondo modernizzazione — dovrebbero essere visti in un quadro sinottico, per assicurare funzionamenti corretti e adeguati sistemi di gestione/controllo, per evitare cumuli e sovrapposizioni.

6.9.

Secondo il CESE:

una quota della Riserva di stabilità dovrebbe essere destinata al sostegno del phasing-out dei settori espulsi dalla Lista di carbon leakage,

il Fondo modernizzazione dovrebbe essere aperto ad interventi nelle aree NUTS 2 per la produzione di energia elettrica oltre che nei paesi con un PIL inferiore al 60 % della media UE per la promozione trasparente di investimenti senza distorsioni nel mercato interno dell’energia,

il Fondo innovazione dovrebbe intervenire per nuove tecnologie e processi industriali a basse emissioni di carbonio specie nei settori in graduale phasing-out,

dovrebbero essere sostenute le aste volontarie del carbonio, «Mercato Carbomark» come impegni aggiuntivi, assunti volontariamente dai proprietari boschivi al fine di massimizzare i benefici ambientali indiretti forniti dal bosco, che danno la possibilità di vedere riconosciuta, anche economicamente, la funzione climatica dell’ecosistema forestale.

6.10.

Il Comitato auspica che le misure previste per gli impianti di piccole dimensioni con emissioni inferiori a 25 000 t CO2 siano estese agli impianti con emissioni inferiori alle 50 000 t CO2, che a livello europeo rappresentano circa il 75 % delle installazioni in ETS, ma rappresentano solo il 5 % delle emissioni totali.

6.11.

Quanto alle emissioni derivanti dal processo mineralogico, il loro potenziale di riduzione da parte degli operatori è sostanzialmente nullo e dovrebbero beneficiare di una assegnazione totale delle quote a titolo gratuito.

6.12.

Dato che le misure di revisione del sistema dell’UE di scambio di quote di emissione coinvolgono, oltre alla politica energetica, molte altre politiche comunitarie, il Comitato raccomanda la massima coerenza e l’eliminazione dei sovraccarichi burocratici tra le nuove normative e le normative con le quali interagiscono.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr.: State aid Modernisation for an integrated EU energy market — Joaquín Almunia, Vice presidente della Commissione europea e responsabile per la politica della concorrenza, Bruxelles 2 dicembre 2013 — Energy: the sector where «more Europe» is most needed. Development of common principles for the assessment of state aid. For aid to be compatible, it needs to -Contribute to a common EU objective — Correct proven market failure/address equity concern — Be an appropriate instrument — Ensure an incentive effect — Be proportional/limited to the minimum — Avoid undue distortions of competiton and trade. Cfr. anche «Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020» (GU C-200/01 del 28.6.2014, pag. 1).

(2)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.nat-publications-reports&itemCode=24097

(3)  Strumenti di mercato — Economia a basse emissioni di carbonio nell’UE (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1), Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo 2020-2030 (GU C 424 del 26.11.2014, pag. 39) e Il protocollo di Parigi (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 74).

(4)  Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020 (GU C-200/01 del 28.6.2014, pag. 1).


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per il mercato unico digitale in Europa»

[COM(2015) 192 final]

(2016/C 071/11)

Relatore:

Raymond HENCKS

Correlatore:

Thomas McDONOGH

La Commissione, in data 12 maggio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per il mercato unico digitale in Europa

[COM(2015) 192 final].

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 9 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 219 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia la strategia per il mercato unico digitale europeo. È tuttavia preoccupato per il fatto che la volontà politica manifestata da una parte degli Stati membri di aprire un varco verso un’Unione digitale creativa e innovativa, e non solo basata sui consumi, risulta insoddisfacente.

1.2.

La strategia per un mercato digitale in Europa proposta dalla Commissione Juncker costituisce un prolungamento delle strategie e dei programmi digitali precedenti e dovrebbe dare nuovo impulso a una politica digitale dell’Unione europea che tarda a realizzarsi. Al tempo stesso la strategia pone un nuovo accento sul commercio e sui consumatori, nonché sulle misure necessarie per incrementarli e per migliorare le condizioni e la protezione di cui beneficiano i consumatori.

1.3.

In questo contesto appare prioritario colmare le lacune in termini di competenze, lacune che potrebbero essere riconducibili sia a difficoltà legate all’alfabetizzazione e alle capacità matematiche sia alla mancanza di competenze digitali e all’incapacità di utilizzarle in maniera responsabile. In secondo luogo, dato che un uso agevole delle piattaforme è essenziale per far funzionare il mercato, bisogna evitare di limitare le loro operazioni. In terzo luogo, considerata l’importanza di disporre di applicazioni adeguate, è apprezzabile che la strategia dedichi un’attenzione particolare alla standardizzazione. Lo sviluppo dell’amministrazione elettronica («e-government») contribuirà ad incoraggiare un maggior numero di cittadini ad impegnarsi nelle attività digitali. Dal punto di vista dei consumatori, il CESE accoglie con favore le iniziative volte a migliorare l’accesso dei consumatori e delle imprese ai beni e servizi digitali in tutta Europa.

1.4.

Alcune delle iniziative — non tutte — illustrate al punto 4.2 («Creare le giuste condizioni per consentire ai servizi e alle reti digitali di prosperare») riguardano le infrastrutture delle reti e fanno parte dell’agenda digitale. L’importanza di tali proposte è legata al contesto del mercato unico e all’urgenza con cui verranno affrontate. Alcune delle altre iniziative presentate in questo punto sono rilevanti per i diritti dei consumatori.

1.5.

Il CESE non può che sostenere la Commissione nella sua determinazione a eliminare la frammentazione in 28 strategie e mercati digitali nazionali per fonderli in un approccio europeo e assicurarsi così una posizione di primo piano nel settore dell’economia digitale globale, divenuto appannaggio di paesi terzi.

1.6.

Il CESE è convinto che l’Unione europea, che dispone di competenze eccellenti e di una vasta esperienza in alcuni settori digitali, possa ancora recuperare il ritardo accumulato. In questo contesto, il CESE ribadisce l’importanza di sviluppare poli di ricerca multidisciplinari e sinergie europee nel quadro dello Spazio europeo della ricerca, in settori quali il cloud computing, la nanoelettronica, la conservazione e l’elaborazione dei megadati (big data), gli apparecchi indirizzabili o controllabili a distanza (oggetti connessi) e i servizi intelligenti.

1.7.

L’Unione potrà recuperare tale ritardo se riesce, nel breve periodo, a unire le proprie risorse per mobilitare e coordinare i finanziamenti pubblici e privati dei 28 Stati membri, coinvolgendo tutte le parti interessate nel dibattito sulla strategia per il mercato unico digitale. Il CESE approva l’impegno della Commissione a lanciare una consultazione pubblica per ciascuna delle sue future azioni nel quadro del mercato unico digitale.

1.8.

Il Comitato deplora tuttavia l’assenza nella strategia per il mercato unico digitale di una dimensione sociale (ad eccezione delle questioni relative alla competenza digitale), considerato che l’evoluzione dei servizi e dei modelli d’impresa comporta profonde trasformazioni del mondo del lavoro. Il CESE ritiene che, oltre ai possibili vantaggi, si debbano prendere in considerazione i molteplici rischi e le sfide che si presentano in particolare nel settore della sicurezza e dell’organizzazione del lavoro e in quello della sicurezza sociale, nonché le procedure previste dal trattato in merito al dialogo sociale e la clausola sociale orizzontale, che devono essere inserite nella strategia per un mercato unico europeo (1). A giudizio del CESE, la dimensione sociale, con tutte le conseguenze che essa comporta per l’occupazione, dovrebbe costituire il quarto pilastro della strategia per il mercato unico digitale europeo.

2.   Introduzione

2.1.

Per «mercato unico digitale» il CESE intende il trasferimento di transazioni e attività dall’attuale mercato interno dell’UE verso Internet. È vero che questo trasferimento è in parte già avvenuto, ma le iniziative presentate dalla Commissione sono concepite per sfruttare appieno le potenzialità del mercato digitale. Le attività e le transazioni sul mercato comportano la produzione di beni e la prestazione di servizi, che sono a loro volta seguite dall’intermediazione, dalla distribuzione e dal consumo. Le transazioni tra il consumatore (C), l’impresa (B) e le autorità pubbliche (G) riflettono sia l’influenza delle reti sociali che la tendenza verso una società della condivisione. Nel mercato unico digitale le autorità pubbliche svolgono il ruolo di prestatori di servizi.

2.2.

I vantaggi legati al trasferimento dei processi commerciali sono evidenti: maggiore integrazione nella catena del valore, accelerazione dei processi dalla concezione alla consegna, miglioramento delle interfacce con i clienti (in particolare nel contesto delle reti sociali) e aumento globale della competitività. Nelle fasi successive la transizione spianerà la strada all’«Internet degli oggetti» e alla quarta rivoluzione industriale.

2.3.

La peculiarità del mercato interno è il suo carattere transnazionale per concezione; pertanto risulta, in principio, adatto a sfruttare Internet. Tuttavia, sussistono dei problemi che riguardano lo stesso mercato interno, ovvero l’adeguamento di regole, norme e regolamenti all’ambiente digitale, la scarsa preparazione al mercato digitale all’interno di ciascuna delle categorie (imprese, autorità pubbliche e consumatori), carenze nelle infrastrutture tecnologiche del mercato unico digitale, nonché potenziali difficoltà legate alla posizione dominante delle grandi piattaforme.

2.4.

Parallelamente al progetto del mercato unico digitale, la Commissione sta portando avanti la sua agenda digitale che affronta una serie di preoccupazioni legittime legate alla scarsa presenza dell’UE nelle industrie produttrici di software e hardware a livello mondiale, preoccupazioni che sono tuttavia di secondaria importanza per il mercato unico digitale. Secondo la Commissione, i benefici derivanti dal completamento del mercato unico digitale sono estremamente importanti in termini di PIL e di occupazione, e le operazioni da compiere per realizzare tali benefici sono alla portata dell’UE e degli Stati membri.

2.5.

Il mancato completamento del mercato unico dei servizi ha profonde ripercussioni sullo sviluppo del mercato unico digitale. Quello dei servizi costituisce il settore dominante nelle economie degli Stati membri. La fornitura di servizi è sempre più trainata dalle transazioni su Internet; far avanzare la strategia relativa al mercato unico digitale potrebbe, di per sé, agevolare il mercato unico dei servizi.

2.6.

Le regole, i regolamenti e le norme messi a punto per le operazioni effettuate con supporto cartaceo nei primi decenni del commercio elettronico sono diventati degli ostacoli alla realizzazione del mercato unico digitale. Il CESE accoglie con favore il programma legislativo proposto e l’ambizioso calendario stabilito:

proposte legislative su norme contrattuali transfrontaliere semplici ed efficaci a favore di consumatori e imprese,

revisione del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori,

misure sulla consegna dei pacchi,

analisi a tutto campo in preparazione di proposte legislative sul problema dei geoblocchi ingiustificati,

indagine sulla concorrenza nel settore del commercio elettronico, vertente sulla cessione online di merci e sulla prestazione online di servizi,

proposte legislative per riformare il regime del diritto d’autore,

proposte legislative per ridurre l’onere amministrativo gravante sulle imprese a causa dei diversi regimi dell’IVA,

iniziative in tema di proprietà dei dati, libero flusso dei dati (ad esempio, tra prestatori di cloud computing) e nuvola informatica europea,

riesame della direttiva sulla e-privacy.

2.7.

Mentre il programma legislativo illustrato nel precedente punto 2.6 è ben definito, le azioni previste per rafforzare, all’interno delle tre categorie «B», «G» e «C», la sensibilizzazione, le competenze e la preparazione in materia di Internet sono molto meno chiare:

le capacità e le competenze digitali, in particolare all’interno di numerose categorie di cittadini dell’UE, sono di gran lunga insufficienti, analogamente alle proposte della Commissione al riguardo. Il CESE si rammarica che la Commissione non dia la priorità necessaria a questo fattore critico per il successo del mercato unico digitale e per la società dell’informazione europea,

adozione di un piano per le norme prioritarie nel settore delle TIC e ampliamento del quadro europeo di interoperabilità per i servizi pubblici,

nuovo piano d’azione per l’e-Government, comprensivo di un’iniziativa sul principio di «una tantum» e di un’iniziativa finalizzata all’interconnessione dei registri delle imprese.

L’insieme di queste iniziative avrà ripercussioni sui cittadini, le PMI, i servizi pubblici e privati e le applicazioni settoriali che sono determinanti per la realizzazione del mercato unico digitale. Tali proposte appaiono poco precise e sembra che non tengano conto dell’urgenza di intervenire. Il CESE seguirà da vicino lo sviluppo di queste iniziative, che sono tutte sottoposte al controllo dell’UE e degli Stati membri.

2.8.

Vengono proposte alcune iniziative essenziali in materia di infrastrutture:

revisione della direttiva sulla trasmissione via satellite e via cavo,

proposte legislative per riformare le vigenti norme sulle telecomunicazioni,

revisione della direttiva sui servizi di media audiovisivi (la Commissione procederà alla revisione della direttiva sui servizi di media audiovisivi),

istituzione di un partenariato pubblico-privato contrattuale sulla cibersicurezza.

Le telecomunicazioni e la sicurezza informatica costituiscono evidentemente le priorità, ma il chiarimento delle norme di diffusione dei contenuti audiovisivi via cavo, via satellite e attraverso le reti a banda larga è anch’esso urgente.

2.9.

Sono le piattaforme a trainare il mercato unico digitale e la maggior parte dei membri delle categorie «C», «B» e «G» le usano quotidianamente. Esse sono accessibili, facili da usare e spesso gratuite. È indispensabile continuare a svilupparle, tuttavia permangono diverse preoccupazioni:

esse favoriscono delle applicazioni rivoluzionarie che rappresentano una sfida per alcuni settori e imprese consolidate; gli utenti ne traggono vantaggio, ma le imprese consolidate ne mettono in discussione la legittimità,

molte di esse detengono posizioni dominanti il che solleva dei problemi in relazione al potenziale abuso di posizione dominante,

la maggior parte delle grandi piattaforme sono domiciliate in paesi terzi, ma esiste un’industria delle piattaforme nell’UE che ha bisogno di condizioni paritarie per sopravvivere e prosperare.

Per questi motivi il CESE accoglie con favore lo studio «Analisi globale del ruolo delle piattaforme nel mercato, compresi i contenuti illeciti su Internet». Il successo del mercato unico digitale dipende da quello delle piattaforme, il cui margine di manovra non deve pertanto essere limitato dall’applicazione della legislazione.

2.10.

Alla luce di quanto precede, il CESE ritiene che i programmi che coinvolgono le categorie di utilizzatori (cfr. il punto 2.7) potrebbero costituire il tallone di Achille della strategia ed esprimerebbe alcune riserve in merito alle piattaforme.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1.

È innegabile che finora l’Unione europea non abbia utilizzato al meglio le enormi possibilità offerte dalle tecnologie digitali. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che il mercato europeo è rimasto frazionato in 28 mercati nazionali.

3.2.

Infatti, alcuni Stati membri preferiscono chiaramente mantenere e sviluppare una strategia digitale puramente nazionale, invece di aprire un varco verso un’Unione digitale europea creativa e innovativa. Parallelamente, i ministri dell’Economia di Germania e Francia hanno esortato a istituire un quadro comune guidato in particolare da questi due paesi.

3.3.

Il CESE osserva inoltre che i primi ministri di alcuni Stati membri hanno scritto al presidente del Consiglio per esprimere le loro riserve circa l’attuazione della strategia. Essi hanno affermato quanto segue: «Dovremmo regolamentare solo se vi sono prove evidenti che ci inducono a farlo, sulla base dei principi di regolamentazione intelligente e di una valutazione d’impatto approfondita. È evidente che un mercato unico digitale efficace non potrà soffocare l’innovazione, gli investimenti e l’imprenditorialità». Il CESE condivide questo punto di vista a condizione che gli interessi dei consumatori siano messi sullo stesso piano di quelli dei lavoratori.

3.4.

La Commissione propone la nuova strategia per il completamento del mercato unico digitale come il prolungamento dell’Agenda digitale europea lanciata nel 2010. Essa prevedeva 101 azioni delle quali, secondo la Commissione, 72 sono state portate a termine e 23 dovrebbero concludersi entro i termini stabiliti; tuttavia, dato che il mercato unico digitale non è stato completato, una parte di queste iniziative si ritrova nella nuova strategia in esame.

3.5.

Al momento della presentazione degli orientamenti politici della nuova Commissione europea, il presidente Juncker ha affermato che «creando un mercato unico del digitale connesso potremo generare un’ulteriore crescita in Europa che potrà raggiungere i 250 miliardi di euro, creando in tal modo centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro». Secondo la comunicazione in esame, l’abbattimento delle barriere all’interno dell’Europa «potrebbe arricchire il PIL europeo di 415 miliardi di euro», mentre i due commissari responsabili del digitale parlano di 3,8 milioni di posti di lavoro generati da un mercato unico digitale.

3.6.

Il CESE ritiene che sia controproducente bombardare i cittadini con cifre che variano in misura consistente a seconda della fonte all’interno della Commissione, ma che nonostante ciò vengono presentate come verità inconfutabili mentre invece sono poco credibili. Dichiarazioni di questo tipo finiscono per creare sfiducia nei confronti dei responsabili politici e provocare indifferenza ai problemi reali.

3.7.

Finora la Commissione non ha mai dimostrato che questo tipo di previsioni si siano realizzate. Il CESE chiede che, al termine del suo mandato, l’attuale Commissione faccia un bilancio per poi confrontarlo con le sue previsioni.

3.8.

A giudizio del CESE, è poco realistico credere che sia possibile completare il mercato unico digitale nel corso dell’attuale mandato della Commissione, tanto più che non sono state pubblicate valutazioni d’impatto o ricerche scientifiche che confermino tali affermazioni. Il CESE ritiene che le stime della Commissione dovrebbero tenere conto degli studi secondo i quali i cambiamenti digitali provocheranno significative perdite di posti di lavoro (2).

3.9.

Secondo la Commissione, la realizzazione del mercato digitale connesso consentirebbe all’Europa di mantenere una posizione di primo piano nel settore dell’economia digitale a livello mondiale, offrendo nel contempo alle imprese europee la possibilità di svilupparsi anche al di fuori dell’Unione.

3.10.

Il CESE constata che l’ambizione dell’UE, espressa nella strategia di Lisbona del 2000 in cui si prefiggeva di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale, è stata significativamente rivista al ribasso.

3.11.

L’Unione europea è in ritardo.

L’economia digitale è diventata appannaggio degli Stati Uniti e dell’Asia. Una cinquantina di grandi operatori europei delle comunicazioni elettroniche sono soggetti a 28 quadri normativi nazionali distinti, mentre i sei grandi operatori del mercato statunitense e i tre giganti del mercato cinese sono disciplinati da un quadro normativo unico. La visione del mercato digitale all’interno dell’UE come fattore di integrazione non è più adeguata a un mondo digitalizzato senza frontiere; tuttavia, essa non ha impedito alle grandi piattaforme dei paesi terzi di creare dei monopoli o degli oligopoli in gran parte degli Stati membri dell’UE.

3.12.

Il CESE continua a sperare che l’UE possa ancora recuperare il ritardo accumulato e che la strategia per un mercato unico digitale in Europa possa imprimere un nuovo slancio al settore, a condizione, tuttavia, di essere creativa e di non limitarsi al ruolo di utilizzatrice del digitale, di promuovere un salto di qualità sociale verso un’alfabetizzazione digitale precoce dei giovani e l’impiego responsabile di queste competenze, di eliminare il divario digitale, di garantire l’accessibilità per tutti i cittadini (compresi i disabili) e di assicurare investimenti pubblici e privati adeguati per l’istruzione, la formazione professionale e la ricerca.

3.13.

A tal fine l’UE ha bisogno di unire le proprie risorse per mobilitare e coordinare finanziamenti pubblici e privati nei 28 Stati membri. Si tratta di un approccio indispensabile se non vuole perdersi delle svolte fondamentali dell’economia digitale come, ad esempio, le applicazioni mobili il cui numero ha registrato un forte aumento nel giro di pochi anni, il cloud computing, i megadati (big data) o le sfide strategiche che si pongono ormai a livello delle piattaforme di servizi digitali giganti che costituiscono passaggi indispensabili per accedere a Internet. La discussione sulla strategia per il mercato unico digitale deve coinvolgere tutte le parti interessate e tenere conto della protezione dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori e dei disabili e dei loro diritti fondamentali in vista di realizzare una società inclusiva.

3.14.

Il CESE non può che constatare la totale assenza di una dimensione sociale nella strategia per il mercato unico digitale. L’impatto della digitalizzazione sull’occupazione e le sfide che ne derivano sono ampiamente ignorati, mentre la costante evoluzione dei servizi e dei modelli di impresa comporta profonde trasformazioni del mondo del lavoro, con ripercussioni sostanziali sulla natura del lavoro e la struttura delle imprese e con il rischio di compromettere i contratti collettivi. In questo contesto, le procedure previste dal trattato in merito al dialogo sociale e la clausola sociale orizzontale devono essere inserite nella strategia per un mercato unico digitale. Nel suo parere CCMI/136 in merito all’impatto della digitalizzazione sull’industria dei servizi e sull’occupazione, il CESE ha formulato una serie di raccomandazioni per evitare che l’evoluzione del digitale pregiudichi l’efficacia dei sistemi esistenti in materia di formazione professionale, protezione dell’occupazione, previdenza sociale e fisco. A giudizio del CESE, la dimensione sociale, con tutte le conseguenze che comporta per l’occupazione, dovrebbe costituire il quarto pilastro della strategia per il mercato unico digitale europeo.

3.15.

Un altro settore in cui l’UE ha l’opportunità di far valere la sua posizione è quello dei megadati, settore in cui devono ancora essere definite le norme tecniche per la raccolta e il trattamento dei dati. A tal fine, è necessario unificare le varie normative nazionali in un quadro europeo coerente che, grazie a una politica intelligente in materia di trattamento dei dati, si distingue per un equilibrio tra interessi economici e protezione della vita privata, in diversi settori quali quello medico, la salute pubblica, i servizi alla persona, il settore agroalimentare ecc.

3.16.

L’Unione europea, avvezza al dibattito sulle norme tecniche tra gli Stati membri, può ricorrere alla sua esperienza in materia per definire una politica europea relativa ai dati, basandosi su un quadro normativo di qualità, e mantenere saldamente nelle sue mani le norme relative alla protezione dei dati personali (ad esempio Swift), per evitare che siano imposte da altri soggetti.

3.17.

Il CESE osserva inoltre che il settore digitale è anche caratterizzato da un notevole squilibrio nella rappresentanza dei due sessi e che i professionisti delle TIC sono in gran parte uomini. Alla luce dell’elevato numero di posti vacanti nel settore delle TIC, l’Unione europea e gli Stati membri dovrebbero incoraggiare un maggior numero di candidati di sesso femminile ad impegnarsi per trovare un’occupazione nel digitale.

3.18.

Nella sua relazione Golden growth: Restoring the lustre of the European economic model, la Banca mondiale ha diviso l’Unione europea in 6 blocchi per evidenziare, sulla base di indicatori numerici, le considerevoli differenze tra gli Stati membri nella diffusione delle tecnologie, competenze e applicazioni digitali e del commercio elettronico. Il CESE invita la Commissione a tenere pienamente conto di queste differenze nella definizione delle azioni prioritarie del suo piano di lavoro.

3.19.

Infine, il CESE prende atto della dichiarazione della Commissione secondo la quale — oltre a un finanziamento dell’UE pari a circa 21,4 miliardi — il Fondo europeo per gli investimenti strategici dovrebbe sostenere un’ampia gamma di progetti digitali, e osserva che la Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti offrono considerevoli possibilità di finanziamenti aggiuntivi. Il CESE si compiace del fatto che la Commissione lavorerà con la BEI, i promotori dei progetti e gli Stati membri per garantire che i fondi disponibili siano pienamente utilizzati, ma si interroga tuttavia sui motivi per cui i fondi dell’UE assegnati agli Stati membri sono rimasti sostanzialmente sottoutilizzati. Il CESE chiede che si proceda a un’analisi della situazione in modo da garantire un uso efficace ed efficiente dei fondi in futuro.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.    Migliore accesso dei consumatori e delle imprese ai beni e servizi digitali in tutta Europa

4.1.1.   Proposte legislative su norme contrattuali transfrontaliere semplici ed efficaci a favore di consumatori e imprese

Si tratta di un’iniziativa ambiziosa ma auspicabile, purché sia realizzabile. Tuttavia, anche se lo fosse, il commercio transfrontaliero — elettronico o non — continuerà a rappresentare una sfida importante per le PMI e i privati a causa di problemi di natura linguistica e culturale. Se l’introduzione di testi contrattuali equi, semplici, standardizzati e disponibili in tutte le lingue dell’UE eliminerà un ostacolo importante, ne rimarranno comunque degli altri, come i timori circa la sicurezza del commercio elettronico, transfrontaliero o di altro genere. In tale contesto, si accoglie con favore l’iniziativa sulla sicurezza informatica.

Il CESE si aspetta che nella fase di sviluppo della strategia per il mercato unico digitale tutte le proposte assicurino un elevato livello di tutela dei consumatori e non comportino, in nessuno Stato membro, una diminuzione del livello di protezione attualmente esistente.

Vi è un’ultima preoccupazione tra le parti sociali le quali temono che il commercio elettronico transfrontaliero possa perturbare le attività delle imprese a livello nazionale. Questa preoccupazione pone in evidenza la necessità di includere la dimensione sociale nella strategia.

4.1.2.   Revisione del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori

Una cooperazione efficace costituisce chiaramente la condizione essenziale per assicurare una protezione transfrontaliera totale dei consumatori. L’adozione di procedure che garantiscano un risarcimento e un ricorso tempestivi probabilmente costituirà l’elemento fondamentale per l’accettazione del commercio elettronico transfrontaliero.

È necessario impegnarsi al massimo per ridurre gli oneri normativi per le PMI.

A giudizio del CESE la Commissione dovrebbe:

garantire che i consumatori possano accedere a contenuti disponibili legalmente a condizioni eque e ragionevoli in tutta l’Unione europea,

valutare fino a che punto i consumatori sono discriminati online sulla base del paese in cui vivono e le relative conseguenze per l’economia e i consumatori, nonché proporre le misure necessarie per combattere la discriminazione,

esaminare l’attuazione e il rispetto dei diritti dei consumatori, definire le modalità di applicazione dei diritti dei consumatori ai prodotti digitali e garantire che i consumatori e le imprese comprendano i loro diritti e confidino nella loro applicazione.

4.1.3.   Misure sulla consegna dei pacchi

La consegna rapida dei pacchi è fondamentale per la soddisfazione dei clienti nel commercio elettronico all’interno dei mercati nazionali e sta dando buoni risultati. È logico che il commercio elettronico transfrontaliero debba essere sostenuto in maniera analoga, anche se il Comitato fa notare che i principali servizi internazionali di consegna pacchi sono già operativi in Europa.

4.1.4.   Analisi a tutto campo in preparazione di proposte legislative sul problema dei geoblocchi ingiustificati  (3)

Questa osservazione si applica sia al commercio elettronico che ai servizi audiovisivi. Nel caso del commercio elettronico, la ricerca di beni e servizi raramente produce risultati al di fuori della zona geografica della persona che effettua la ricerca. All’estremo opposto, invece, l’offerta di risultati su scala UE potrebbe essere eccessiva.

In effetti, la persona che effettua la ricerca mediante un motore di ricerca può selezionare l’area geografica richiesta. Uno dei problemi che sorgono è che ai clienti di una zona geografica diversa possono essere applicati prezzi discriminatori, come ha dimostrato la recente causa Disneyland Paris. Il CESE è pronto a sostenere le azioni volte ad assicurare che il commercio transfrontaliero si svolga su un piano di parità, in modo da garantire la protezione dei consumatori. Un altro problema è dovuto al fatto che, in alcuni casi, l’accesso transfrontaliero ai siti web viene semplicemente negato.

I blocchi audiovisivi presentano due dimensioni: la restrizione dell’accesso esterno per i cittadini in viaggio che hanno il diritto di accesso ai servizi a livello nazionale, e la restrizione dell’accesso esterno per i non cittadini il cui diritto di accesso si basa sulla cittadinanza dell’UE. Nel primo caso, il CESE raccomanda l’introduzione di identità digitali per facilitare l’accesso. Nel secondo caso invece il CESE è consapevole del fatto che la maggior parte dei geoblocchi è causata da restrizioni dei diritti o da preoccupazioni di natura commerciale. La definizione di un quadro razionalizzato dei diritti sarebbe utile, ma occorre fare attenzione a non perturbare i modelli commerciali legati alla pubblicità e all’accesso al mercato.

4.1.5.   Indagine sulla concorrenza nel settore del commercio elettronico, vertente sulla cessione online di merci e sulla prestazione online di servizi

Il CESE accoglie con favore la vigilanza del mercato da parte delle autorità garanti della concorrenza e un rigoroso regime di sanzioni contro l’abuso di posizione dominante. Al tempo stesso rileva tuttavia che è grazie ad alcune grandi imprese che la tecnologia e l’economia digitale hanno fatto enormi progressi, a beneficio dell’economia e della società nel suo complesso. Pertanto il CESE raccomanda vivamente che le indagini previste siano basate rigorosamente sui principi riconosciuti del diritto commerciale e del diritto in materia di concorrenza.

4.1.6.   Proposte legislative per riformare il regime del diritto d’autore

Il CESE sostiene queste proposte fintantoché i diversi modelli imprenditoriali commerciali restano redditizi e i diritti dei titolari della proprietà intellettuale vengono rispettati.

4.1.7.   Revisione della direttiva sulla trasmissione via satellite e via cavo

La direttiva in esame verte sul coordinamento di alcune norme in materia di diritto d’autore e diritti connessi applicabili alla radiodiffusione via satellite e alla ritrasmissione via cavo. Il Comitato concorda sul fatto che è necessario rivedere la direttiva non solo nel quadro delle proposte legislative esposte al punto 4.1.6 ma anche per tenere conto dei profondi mutamenti che questi settori stanno attraversando.

4.1.8.   Proposte legislative per ridurre l’onere amministrativo gravante sulle imprese a causa dei diversi regimi dell’IVA

Un fattore importante del successo della strategia per un mercato unico digitale è la fiscalità del digitale, in un contesto in cui risulta evidente che il diritto tributario europeo e nazionale non è adeguato alla realtà dell’economia digitale ed è causa di evasione fiscale e di concorrenza sleale. Il CESE approva l’approccio adottato dalla Commissione in merito all’IVA (che verrà riscossa nel luogo in cui è basato il cliente e non in quello in cui è ubicato il prestatore) nonché il principio relativo all’imposizione diretta, in base al quale gli utili devono essere tassati nel paese dove il valore viene generato, e sostiene la Commissione nel suo intervento teso a ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese a causa dei diversi regimi dell’IVA. Per quanto riguarda il punto iv), una soluzione più semplice consisterebbe nell’estendere l’esenzione alle transazioni all’interno dell’Unione.

4.2.    Creare un contesto favorevole affinché le reti e i servizi digitali possano svilupparsi

4.2.1.   Proposte legislative per riformare le vigenti norme sulle telecomunicazioni

La palese differenza tra l’Europa, l’Asia e gli Stati Uniti nel settore delle telecomunicazioni è costituita dalla frammentazione del mercato europeo. Al fine di creare organizzazioni dotate del livello di capacità in termini di investimenti e ricerca necessario per competere su scala globale, qualsiasi riesame dovrebbe tenere conto anche della capacità dei fornitori di servizi di comunicazione su Internet di livello 1 e 2, in vista della crescita esponenziale del traffico digitale. Il riesame dovrebbe anche cercare di trovare una soluzione equilibrata al problema della neutralità della rete. Nella misura in cui i media audiovisivi sono e saranno erogati via Internet, gli operatori delle telecomunicazioni devono avere la libertà di soddisfare le aspettative degli utenti sul piano della qualità e della velocità dei servizi.

Per quanto riguarda le proposte della Commissione, il Comitato accoglie con favore l’attenzione costante per la protezione dei consumatori, nonché la volontà di ridurre la frammentazione e rafforzare l’armonizzazione.

4.2.2.   Revisione della direttiva sui servizi di media audiovisivi

Esistono notevoli disparità tra la regolamentazione dei fornitori di servizi che detengono una licenza e i prestatori di servizi non regolamentati. I confini sono resi ancora più sfumati dalla ritrasmissione di programmi regolamentati sulla banda larga, dal gran numero di siti web che distribuiscono video a richiesta, dagli eserciti di blogger nella sfera delle notizie e dalla dimensione digitale ormai associata alla maggior parte dei giornali.

Tuttavia il Comitato dubita che sia opportuno cercare di regolamentare tutti i servizi in maniera uniforme. La trasmissione lineare deve rispettare una serie di norme a causa degli obblighi di servizio pubblico e della scelta limitata degli spettatori. L’accesso ai siti web a banda larga è lasciato alla discrezione dello spettatore, come anche il controllo parentale. Data la rapidità dei mutamenti nel settore, è opportuno procedere a una revisione e sarà necessario introdurre dei cambiamenti; ma in tutto ciò occorre realizzare un giusto equilibrio.

4.2.3.   Analisi globale del ruolo delle piattaforme nel mercato, compresi i contenuti illeciti su Internet

È chiaro che l’agenda digitale dell’UE dipende fortemente dalle piattaforme e che è promossa dalle stesse, come d’altronde avviene anche in altre regioni del mondo. Il successo delle principali piattaforme ha permesso loro di assumere una posizione dominante della quale non bisogna abusare. Tuttavia, il CESE mette in guardia la Commissione riguardo alla necessità di non ostacolare le operazioni di tali società soltanto perché hanno raggiunto dimensioni considerevoli e un notevole successo. Questo rischierebbe infatti di ostacolare lo sviluppo del mercato unico digitale in Europa.

Ciò detto, i cinque interventi proposti dalla Commissione appaiono fondati e ragionevoli; essi sono potenzialmente in grado di rafforzare l’utilità delle piattaforme nel mercato unico digitale. È estremamente importante che la Commissione adotti un approccio equilibrato e che non ignori i legittimi interessi commerciali delle piattaforme.

4.2.4.   Riesame della direttiva sulla e-privacy

Il CESE condivide l’approccio adottato in materia di protezione dei dati personali. Tuttavia non è convinto che il «diritto all’oblio» nella sua versione attuale sia sostenibile nel lungo periodo, a causa dell’interpretazione eccessivamente ampia che ne viene data dall’UE e della difficoltà tecnica di far rispettare tale diritto nella rete a livello mondiale. Il Comitato esorta la Commissione a perfezionare il «diritto» di proteggere i soggetti vulnerabili al fine di conseguire l’accettazione di tale diritto su scala mondiale.

4.2.5.   Istituzione di un partenariato pubblico-privato contrattuale sulla cibersicurezza

Nell’economia digitale, i diversi anelli della catena del valore non conoscono frontiere e vanno al di là della dimensione nazionale, il che favorisce ampiamente la criminalità informatica. Il CESE apprezza il fatto che la strategia per il mercato unico digitale preveda un partenariato con l’industria in materia di cibersicurezza, per dare finalmente forma concreta a una cultura della gestione dei rischi e della diffusione efficace delle informazioni, annunciata da lungo tempo.

Inoltre, la cibercriminalità presenta un aspetto particolare che non viene affrontato dalla Commissione: le tecnologie dell’informazione e della comunicazione offrono possibilità di sorveglianza informatica che potrebbero essere utilizzate per controllare i dati e le comunicazioni personali in violazione delle libertà individuali, se non addirittura a scopo di spionaggio a danno degli Stati membri e dei relativi quadri politici. A questo proposito il CESE ritiene che sarà necessario organizzare degli scambi di informazioni e potenziare le capacità di rilevamento e di intervento a livello dell’UE.

La Commissione non fornisce alcuna indicazione circa l’ambito di applicazione della proposta di partenariato, i risultati attesi o la struttura del partenariato (uno o più partner). Il Comitato insiste anche sulla dimensione degli investimenti di mercato nella cibersicurezza allo stato attuale. Per questi due motivi il CESE non può pronunciarsi su tale proposta fino a che non disporrà di maggiori informazioni in merito.

4.3.

Massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale

4.3.1.   Iniziative in tema di proprietà dei dati, libero flusso dei dati (ad esempio, tra prestatori di cloud computing) e nuvola informatica europea

Il CESE è consapevole dell’esistenza di un conflitto nell’ambiente dei «big data» tra la sicurezza dei dati personali, da un lato, e la necessità di aggregare gli insiemi dei dati personali nel quadro di mega analisi realizzate a fini economici, sociali e medici, dall’altro. Il CESE esorta la Commissione ad utilizzare il riesame previsto per risolvere questo conflitto.

4.3.2.   Adozione di un piano per le norme prioritarie nel settore delle TIC e ampliamento del quadro europeo di interoperabilità per i servizi pubblici

Il CESE sostiene l’iniziativa proposta. Se da un lato gli organismi internazionali realizzano un certo grado di standardizzazione dell’hardware e del software di sistema, vi è chiaramente un ampio margine di standardizzazione e interoperabilità a livello di settore, programmi e applicazioni, con enormi possibilità di accrescere il valore e la pertinenza del mercato unico digitale.

4.3.3.   Nuovo piano d’azione per l’e-Government, comprensivo di un’iniziativa sul principio di «una tantum» e di un’iniziativa finalizzata all’interconnessione dei registri delle imprese

La responsabilità in materia di e-Government incombe agli Stati membri, i quali in alcuni casi sono leader in questo campo mentre in altri segnano il passo. Per la creazione di un mercato unico digitale è indispensabile compiere dei progressi verso la realizzazione di un e-Government pienamente funzionante.

4.3.4.   Capacità e competenze digitali

La Commissione non prevede un programma legislativo sulle capacità e competenze digitali, e lascia la questione alla discrezione degli Stati membri. Il CESE si rammarica del fatto che non vi siano nuove iniziative in questo ambito. Come minimo, auspicherebbe una comunicazione della Commissione che presenti le norme e le migliori pratiche in materia. È inoltre necessario porre l’accento sulle capacità matematiche e sull’alfabetizzazione dal momento che sono componenti chiave dell’insieme delle competenze digitali.

La comunicazione auspicata dal CESE presenterebbe un quadro strutturato per le diverse fasi della vita, unitamente a una serie di proposte generali relative all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Tale quadro dovrebbe articolarsi in quattro capitoli: istruzione, occupazione, pensionamento e disabilità.

A

ISTRUZIONE

A1

Istruzione primaria — competenze di base.

A2

Istruzione secondaria — sono previsti 2 indirizzi:

insieme completo di competenze che consenta agli studenti di vivere e lavorare con fiducia nella società dell’informazione,

insieme di competenze digitali specifiche per gli studenti che hanno il potenziale per diventare professionisti delle TIC in grado di colmare il divario di competenze nel settore. È in questo contesto che è necessario intensificare gli sforzi per conseguire un migliore equilibrio di genere nel campo delle tecnologie dell’informazione.

A1&A2 È importante sviluppare l’impiego responsabile delle competenze digitali nell’istruzione sia primaria che secondaria.

A3

Istruzione terziaria — sono previsti 2 indirizzi:

competenze relative ai diversi mestieri, integrate negli insegnamenti e negli esami previsti per corsi di studio quali ingegneria, matematica e biotecnologie,

istruzione avanzata in materia di tecnologia che permetta agli studenti di ottenere le qualifiche necessarie per occupare i posti vacanti nel settore delle tecnologie.

B

OCCUPAZIONE

B1

Formazione legata all’occupazione erogata dai datori di lavoro con un’attenzione costante per la riqualificazione professionale e lo sviluppo professionale continuo per mantenere delle competenze sempre aggiornate.

B2

Formazione dei disoccupati organizzata dalle autorità pubbliche, con l’ausilio di agenzie specializzate.

C

PENSIONAMENTO

C1

Le competenze legate alla società dell’informazione devono essere messe a disposizione di tutti coloro che non hanno avuto modo di accedervi nel loro percorso personale e professionale.

C2

Programmi speciali per aiutare gli infermi a restare integrati nella società dell’informazione.

D

DISABILITÀ

Sostegno a ogni fase per consentire alle persone con disabilità di entrare nella società dell’informazione e di mantenersi al suo interno, anche con l’aggravarsi della disabilità.

Dai dati riportati dalla comunicazione della Commissione risulta chiaramente che esistono lacune di competenze a ogni età e in ogni regione. Per garantire che solo un numero limitato di cittadini, se non addirittura nessun cittadino, sia escluso dalla società dell’informazione e dal mercato unico digitale, il Comitato ritiene che l’unica soluzione sia ricorrere a un programma strutturato e controllato in ogni Stato membro. Il CESE ha ripetutamente sollecitato un’azione risoluta nell’ambito delle competenze. Nel quadro della strategia sul mercato unico digitale, è giunto il momento per la Commissione di agire.

Bruxelles, 9 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema L’impatto della digitalizzazione sull’industria dei servizi e sull’occupazione, (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161).

(2)  Cfr. la nota a piè di pagina 1.

(3)  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36).


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (2015-2020)»

[COM(2015) 285 final]

(2016/C 071/12)

Relatrice:

Brenda KING

La Commissione europea, in data 6 luglio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (2015-2020)

[COM(2015) 285 final].

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre (seduta del 10 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 176 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore gli obiettivi dichiarati del piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti (1), ovvero: «prevenire e combattere il traffico di migranti», garantendo al contempo la protezione dei diritti umani dei migranti, e «affrontare le cause profonde della migrazione irregolare». Il CESE ricorda che i rifugiati beneficiano dello statuto speciale previsto dalla convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo statuto dei rifugiati.

1.2.

Il CESE sostiene gli sforzi del piano d’azione volti a smantellare le reti della criminalità organizzata attraverso attività investigative basate sull’intelligence e indagini di natura finanziaria, porre fine al riciclaggio di denaro e confiscare i proventi di attività illecite; tuttavia, raccomanda vivamente che il piano adotti un approccio più equilibrato e globale, descrivendo in dettaglio come l’UE prevede di proteggere e assistere le persone che sono oggetto di traffico.

1.3.

Partendo da quanto affermato nella comunicazione della Commissione europea, ovvero che «le reti di trafficanti possono indebolirsi se un minor numero di persone ricorre ai loro servizi», il CESE osserva che l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine dichiara che è «difficile, se non impossibile, ottenere attualmente un visto per lo spazio Schengen per molte persone che vivono in zone o in paesi colpiti da povertà, conflitti armati e instabilità politica. Individui e gruppi in cerca di profitti, hanno approfittato di tale situazione, sviluppando imprese redditizie per rispondere alla domanda di attraversamento delle frontiere» (2). Il CESE raccomanda pertanto di adottare misure preventive, dando ascolto alla richiesta rivolta dal segretario generale delle Nazioni Unite all’UE di «prendere in considerazione un aumento delle rotte legali e sicure verso l’Europa per [i rifugiati e i migranti], per evitare che vengano lasciati nelle mani delle reti criminali e che intraprendano viaggi rischiosi». Tali dichiarazioni riflettono la raccomandazione di numerosi pareri del CESE in materia di migrazione.

1.4.

Il CESE concorda sulla necessità di assicurare l’attuazione del principio di solidarietà e di condivisione delle responsabilità, affinché le richieste di asilo siano ripartite in modo più equilibrato tra gli Stati membri. La convenzione di Dublino dovrebbe essere adattata per tenere conto di questo sistema più inclusivo e proteggere l’accordo di Schengen.

1.5.

Il CESE accoglie quindi con favore la dichiarazione del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, che mette in guardia gli Stati membri dall’approfittare della crisi dei migranti per smantellare l’accordo di Schengen (3). Il CESE chiede alla Commissione di seguire questi sviluppi con grande attenzione e garantire un rapido ritorno alla normalità.

1.6.

Il CESE raccomanda inoltre di rafforzare le competenze dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (UESA) nello svolgimento dei suoi compiti, in particolare le attività operative di sostegno e le squadre di sostegno congiunto per l’asilo attive negli Stati membri che abbiano bisogno di un aiuto speciale o di emergenza. È fondamentale che l’Unione garantisca un uso più armonizzato, coerente, indipendente e flessibile dei visti rilasciati dagli Stati membri per motivi umanitari, come stabilito nel Codice comune dei visti.

1.7.

Il CESE si compiace dell’ultima proposta della Commissione in cui si esorta a rivolgere l’attenzione alla «dimensione esterna della crisi dei rifugiati» (4); tale approccio include l’istituzione di un fondo fiduciario europeo di emergenza per l’Africa. Questa ultima proposta sembra riconoscere il fatto che affrontare le cause profonde della migrazione è un compito che va oltre il campo degli affari interni e della sicurezza ed è connesso ad altri settori politici quali commercio, sviluppo, politica esterna, integrazione. Tale considerazione è in linea con il principio di coerenza delle politiche dell’UE in materia di cooperazione internazionale allo sviluppo.

1.8.

Il CESE raccomanda che, per affrontare alla radice le cause socioeconomiche del traffico di migranti, dovrebbe essere utilizzata l’agenda per lo sviluppo sostenibile come soluzione a lungo termine. Il CESE desidera ricordare agli Stati membri l’impegno che hanno assunto di destinare lo 0,7 % del loro reddito nazionale lordo (RNL) agli aiuti allo sviluppo. In molti casi, tale impegno non è stato onorato ed alcuni Stati membri hanno ridotto l’assistenza ufficiale allo sviluppo.

1.9.

Considerate le sfide che l’Europa si trova ad affrontare, quali la stagnazione della crescita, l’invecchiamento e il calo demografico, nonché la carenza di manodopera, è altresì importante combinare le politiche sulla migrazione dell’UE con le politiche incentrate sulla migrazione di manodopera e sull’integrazione come parte del mercato del lavoro europeo, tenuto conto del fatto che è stato ampiamente dimostrato che la migrazione rappresenta un fattore vitale per la ripresa economica e lo sviluppo in Europa.

1.10.

Il CESE concorda sulla necessità di migliorare la politica di rimpatrio all’interno dell’UE e ricorda alla Commissione le sue numerose raccomandazioni sull’importanza di rispettare in ogni momento i diritti umani dei richiedenti asilo.

1.11.

Il presente parere invita i rappresentanti delle istituzioni dell’UE e i governi nazionali a tener conto del ruolo fondamentale che le parti sociali e la società civile organizzata svolgono nell’offrire alle politiche europee sulla migrazione una dimensione sociale e un valore aggiunto.

1.12.

Il CESE chiede inoltre che sia prestata maggiore attenzione al finanziamento sistematico delle organizzazioni della società civile che forniscono assistenza essenziale ai migranti lungo tutto il percorso verso la sicurezza nonché nei loro sforzi di integrazione, che spesso compensano la mancanza di capacità istituzionali. Il CESE accoglie con favore l’approccio secondo il quale le organizzazioni della società civile vengono riconosciute per il loro ruolo di comprensione del problema del traffico di migranti e di intermediari nel fornire assistenza alle persone in situazioni in cui né gli Stati nazionali né l’UE sono in grado di intervenire.

2.   Contesto

2.1.

L’agenda europea sulla migrazione (5), adottata il 13 maggio 2015, mette in evidenza le misure immediate che la Commissione deve prendere al fine di rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e identifica la lotta contro il traffico di migranti come una priorità per «evitare lo sfruttamento dei migranti ad opera delle reti criminali e agire da deterrente all’immigrazione irregolare».

2.2.

Dall’adozione di questa agenda, la rapida evoluzione della situazione con un elevato numero di arrivi di richiedenti asilo ha creato una situazione eccezionale, a seguito della quale la Commissione europea è intervenuta in maniera risoluta adottando un pacchetto globale di proposte, il 9 settembre 2015, per affrontare la crisi dei rifugiati.

2.3.

La proposta della Commissione (6) trae origine dall’intensificazione dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale e orientale. Stando ai dati di Frontex, dal 1o gennaio al 30 agosto 2015 le rotte del Mediterraneo centrale e orientale e la rotta dei Balcani occidentali sono state le più utilizzate per l’attraversamento irregolare delle frontiere dell’UE, totalizzando il 99 % di tutti gli attraversamenti irregolari. Frontex riferisce altresì che la rotta dei Balcani occidentali rappresenta oltre il 30 % degli attraversamenti irregolari delle frontiere totali nel 2015. Si tratta di un flusso di richiedenti asilo di circa 500 000 individui, che esercita una forte pressione sugli Stati dell’UE situati alle frontiere esterne (7). Tra le persone arrivate attraverso la rotta del Mediterraneo centrale figurano principalmente migranti provenienti dalla Siria e dall’Eritrea, con un tasso di riconoscimento del diritto di asilo superiore al 75 % (dati Eurostat). Analogamente, la maggior parte dei migranti che giungono nell’Unione attraverso le rotte del Mediterraneo orientale e dei Balcani occidentali provengono dalla Siria e dall’Afghanistan. Ciò è in linea con la dichiarazione dell’UNODC che oltre l’80 % delle persone che sono arrivate in Europa via mare quest’anno appartiene ai dieci Stati del mondo che producono il maggior numero di rifugiati (8).

2.4.

Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) alla data del 4 ottobre 2015 risultano registrati 4 185 302 rifugiati siriani. Questa cifra comprende: 2,1 milioni di siriani registrati da Egitto, Iraq, Giordania e Libano; 1,9 milioni di siriani registrati dal governo della Turchia, nonché più di 26 700 rifugiati siriani registrati in Nord Africa (9).

2.5.

Mentre il conflitto siriano si avvicina al suo quinto anno, uno studio dell’UNHCR mostra un rapido deterioramento delle condizioni di vita dei rifugiati siriani in Giordania, con numerose persone che scivolano nella povertà assoluta a causa dell’entità della crisi e del sostegno insufficiente da parte della comunità internazionale (è stato finanziato solo il 37 % delle richieste di aiuto dell’UNHCR per la Siria). L’UNHCR afferma che, fino a quando non vi saranno abbastanza fondi per rafforzare le infrastrutture nei paesi ospitanti (vicini dell’UE) e migliorare le condizioni di vita e le prospettive delle popolazioni di rifugiati che accolgono, le persone continueranno a partire alla volta dell’Europa. Mentre la stragrande maggioranza dei rifugiati sono troppo poveri per abbandonare i campi profughi, quelli che invece hanno i mezzi per andarsene si avvalgono dei servizi dei trafficanti.

2.6.

Nella proposta della Commissione per una decisione del Consiglio del 9 settembre 2015 (10), si afferma che la Commissione continuerà a monitorare l’evoluzione dei flussi migratori e che misure analoghe potrebbero essere adottate qualora la situazione nell’Ucraina orientale dovesse ulteriormente peggiorare.

2.7.

Questa crisi eccezionale si sta verificando in un contesto in cui, al contempo, la situazione economica nell’UE incide sulla capacità e sulla prontezza ad agire di alcuni Stati membri, in particolare gli Stati dell’UE situati alle frontiere esterne, per fornire servizi umanitari conformemente alla convenzione di Ginevra (11). Le misure di austerità hanno colpito altresì le organizzazioni della società civile che forniscono servizi ai richiedenti asilo. Alcuni Stati membri hanno reagito inasprendo i controlli alle frontiere, mentre altri hanno emanato leggi volte a trattenere e punire coloro che attraversano le frontiere di Schengen per richiedere asilo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE intende ribadire il proprio messaggio indirizzato a tutti gli organi decisionali, in cui si esorta l’UE ad agire come un’unione vera e propria adottando, rispettando e attuando regole comuni. La nuova fase della politica di immigrazione dell’UE deve avere un’impostazione strategica, con una visione di medio e lungo termine, e puntare ad agevolare in maniera generale e globale canali legali, aperti e flessibili per l’ammissione nell’UE (12). In merito alla crisi attuale, ciò richiederà un approccio comune in termini di gestione delle frontiere esterne e, al contempo, si dovrà abilitare la Commissione e le agenzie europee ad assumersi compiti operativi con il livello adeguato di finanziamenti.

3.2.

Il Comitato desidera contribuire con proposte strategiche basate su pareri elaborati in precedenza riguardanti temi connessi alla migrazione (13). Occorre tener conto del ruolo delle parti sociali e dei rappresentanti della società civile organizzata, oltre che del dialogo sociale, in tutte le discussioni che precederanno la prossima fase della politica europea di migrazione. La «prospettiva sociale» è cruciale al momento di assicurare un valore aggiunto e di stabilire la proporzionalità e l’impatto di queste politiche.

3.3.

Il CESE chiede di prendere in considerazione la situazione demografica e l’invecchiamento sia della popolazione che dei mercati del lavoro negli Stati membri. Nel parere esplorativo del 2011 (14) sul ruolo dell’immigrazione nella situazione demografica dell’Europa, il CESE ha messo in rilievo che bisognerà aumentare l’immigrazione di lavoratori e famiglie provenienti da paesi terzi. L’UE deve poter contare su una legislazione aperta e flessibile, che permetta l’immigrazione per motivi di lavoro — attraverso canali legali e trasparenti — sia per i lavoratori con qualifiche alte o nella media che per quelli che svolgono attività in cui sono richieste meno qualifiche, a condizione che gli Stati membri restino liberi di stabilire il numero di ingressi. Al tempo stesso è riconosciuto che l’immigrazione non rappresenta l’unica risposta alle carenze di manodopera e gli Stati membri possono prendere in considerazione soluzioni alternative più adatte.

3.4.

Il CESE raccomanda fermamente di procedere a una revisione del regolamento Dublino, poiché la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno sottolineato che sussiste una debolezza intrinseca a tale regolamento. L’attribuzione della responsabilità riguardante l’esame dello status di rifugiato agli Stati di primo ingresso nell’UE situati alle frontiere esterne di quest’ultima, ha comportato per tali paesi un sovraccarico.

3.5.

Il CESE esprime profonda inquietudine per l’attuale erosione dell’accordo di Schengen, realizzazione fondamentale dell’UE a beneficio dei suoi cittadini. Il Comitato deplora la decisione degli Stati membri che hanno reintrodotto o prevedono di reintrodurre i controlli alle frontiere all’interno dello spazio Schengen; chiede inoltre alla Commissione di seguire con attenzione questi sviluppi e di assicurare un rapido ritorno alla normalità.

3.6.

Nella comunicazione in questione si sostiene che il piano d’azione andrebbe inquadrato nel più ampio contesto dell’impegno profuso dall’UE per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare; nella frase successiva a tale affermazione si prende in considerazione l’avvio di un’operazione che permetta di identificare, catturare e distruggere sistematicamente le imbarcazioni usate dai trafficanti. Il CESE è in forte disaccordo con la dichiarazione in base alla quale l’accesso a un’imbarcazione costituisce una causa fondamentale della migrazione irregolare. Al contrario, focalizzarsi esclusivamente sulla confisca delle imbarcazioni aggrava soltanto i rischi per i migranti oggetto dei traffici, dato che i trafficanti utilizzano i mezzi meno costosi e più pericolosi.

3.7.

Il CESE sottolinea che occorre affrontare il problema riguardante l’inefficacia delle politiche di aiuto allo sviluppo per i paesi di origine dei migranti ed è necessario che gli Stati membri dell’UE riaffermino il loro impegno a destinare lo 0,7 % del reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo, come da loro promesso. Inoltre, l’UE dovrebbe garantire che altre politiche pertinenti, come il commercio internazionale, l’agricoltura, l’energia e la politica estera, abbiano effetti positivi per la stabilità sociale ed economica e lo sviluppo dei paesi di origine, in linea con il principio della coerenza delle politiche dell’UE in materia di cooperazione internazionale allo sviluppo.

3.8.

Il CESE riconosce che gli aiuti provenienti da Stati membri dell’UE e l’assistenza dell’UE possono raggiungere i loro obiettivi solo in una società sicura, senza guerre e gravi problemi di sicurezza. È quindi importante che la comunità internazionale attui gli obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dai leader mondiali al vertice delle Nazioni Unite nel settembre 2015. Tali obiettivi spaziano dallo sradicamento della povertà allo sviluppo di società pacifiche e inclusive, passando dalla responsabilizzazione di tutte le donne e le ragazze, dalla riduzione delle diseguaglianze all’interno dei paesi e tra di essi, e dalla promozione di una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, nonché di condizioni di lavoro dignitose per tutti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE accoglie con favore gli obiettivi dichiarati contenuti nella comunicazione della Comunicazione in merito al piano d’azione dell’UE contro il traffico di migranti, ma raccomanda vivamente che detto piano adotti un approccio più equilibrato e globale per poter conseguire tali obiettivi. Il CESE osserva che non vengono forniti dettagli su come l’UE prevede di proteggere e assistere le vittime del traffico, né vengono fatti specifici riferimenti all’impatto positivo della migrazione sul mercato del lavoro e sullo sviluppo economico in Europa.

4.2.

Il CESE rileva che se, da un lato, vi è una distinzione tra traffico di migranti e tratta di esseri umani, dall’altro lato non viene fatta alcuna distinzione tra migranti e richiedenti asilo. Si tratta di un aspetto importante, come ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite ai responsabili politici europei «la maggior parte delle persone che intraprendono questi viaggi difficili e pericolosi sono rifugiati che fuggono da luoghi come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan. Il diritto internazionale ha sancito il diritto (che gli Stati hanno da tempo riconosciuto) dei rifugiati alla protezione e all’asilo. In sede di esame delle domande di asilo, gli Stati non possono fare distinzioni basate sulla religione o su altri elementi relativi all’identità, né possono costringere le persone a ritornare nei luoghi da cui esse sono fuggite se sussiste un fondato timore di persecuzione o aggressione. Non è soltanto una questione di diritto internazionale, è anche un nostro dovere di essere umani». Il segretario generale ha poi aggiunto: «invito tutti i governi interessati a fornire risposte globali, ad ampliare i canali di migrazione legali e sicuri, nonché ad agire con umanità e compassione e nel rispetto dei propri obblighi internazionali» (15). Il CESE raccomanda che tutti coloro che affrontano pericolosi viaggi verso l’Europa siano trattati come rifugiati conformemente alla convenzione di Ginevra del 1951 ed al suo protocollo del 1967, fino a prova contraria.

4.3.   Rafforzare l’azione della polizia e delle autorità giudiziarie

4.3.1.

Il CESE raccomanda, come approccio più globale per contrastare il traffico, di consentire ai richiedenti asilo di accedere a canali di migrazione legali e sicuri. Tale approccio, combinato con azioni volte a smantellare le reti della criminalità organizzata attraverso attività investigative basate sull’intelligence e indagini di natura finanziaria, costituirà un intervento più efficace, umano ed efficace sotto il profilo dei costi.

4.3.2.

Il CESE raccomanda vivamente che i responsabili politici dell’UE assicurino l’applicazione del principio «non nuocere» e tengano conto degli effetti sia desiderati che indesiderati dei loro interventi. La decisione dell’UE di passare dalla missione Mare Nostrum (focalizzata su ricerca e soccorso) all’operazione Triton (incentrata sul controllo delle frontiere) non ha contribuito a ridurre il numero di persone che intraprendono viaggi pericolosi per raggiungere l’Europa. Questa decisione ha tuttavia contribuito ad aumentare drammaticamente il numero di perdite umane nel Mediterraneo. Al 31 maggio 2015, 1 865 persone erano morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, rispetto alle 425 nello stesso periodo del 2014 (16). Ciò spiega anche il cambiamento relativo ai flussi di migrazione che si concretizza in viaggi via terra attraverso i Balcani occidentali per giungere ed entrare in Ungheria. Coloro che sono stati intervistati su entrambi i lati della frontiera ungherese hanno affermato di aver optato per la rotta dei Balcani, perché era meno costosa ed era stata raccomandata dai trafficanti.

4.3.3.

Il CESE evidenzia che i trafficanti sono capaci di adattarsi alle decisioni politiche dell’UE quali il rafforzamento dei pattugliamenti alle frontiere nel Mar Mediterraneo e la distruzione di imbarcazioni. Il risultato non intenzionale dell’approccio basato sulla «lotta ai trafficanti» adottato dall’UE è stato l’emergere di situazioni caotiche alle frontiere dell’Unione, perdite di vite umane sulle strade dell’Europa e in mare, nonché tensioni tra gli Stati membri dell’UE.

4.4.   Intensificare la prevenzione del traffico e assistere i migranti vulnerabili

4.4.1.

Il CESE concorda sulla necessità che la Commissione intensifichi la prevenzione del traffico e fornisca assistenza ai migranti vulnerabili; tali operazioni devono tuttavia svolgersi in maniera coerente e nel rispetto della priorità principale che consiste nel salvare vite umane.

4.4.2.

Dai dati di Frontex emerge che il 70 % di coloro che ricorrono ai trafficanti per attraversare le frontiere dell’UE sono siriani, eritrei e iracheni. Tali nazionalità presentano un tasso di riconoscimento del diritto di asilo a livello dell’UE pari o superiore al 75 %, stando ai dati Eurostat. Dato che questi individui e famiglie fuggono dal loro paese per paura di persecuzioni o attacchi, qualsiasi campagna mediatica sui rischi del traffico risulta inutile.

4.4.3.

Il CESE ricorda alla Commissione che esistono già gli strumenti per intraprendere misure contro l’impiego dei migranti irregolari a livello nazionale. La proposta della Commissione di destinare risorse limitate a determinati settori economici a livello dell’UE risulterà costosa e inefficace.

4.4.4.

Il CESE si compiace dell’affermazione presente nel piano d’azione in cui si sottolinea la necessità di aumentare gli sforzi «per offrire assistenza e protezione ai migranti vittime di traffico, specialmente ai gruppi vulnerabili come i minori e le donne». Il Comitato, tuttavia, constata che, al di là di tale dichiarazione, nel piano d’azione non sono stati indicati con esattezza i provvedimenti che saranno attuati. Questo è un aspetto importante poiché un elevato numero di individui che cercano protezione in Europa sono minori non accompagnati e separati. In Italia, in Ungheria e a Malta, nei primi nove mesi del 2015 sono giunti circa 19 000 minori non accompagnati e separati. Alcuni Stati dell’UE situati alle frontiere esterne non ottemperano pienamente agli standard internazionali, dal momento che presentano condizioni di accoglienza inadeguate, procedure di determinazione dello status poco efficienti, bassi tassi di riconoscimento, nonché una mancanza di accesso a soluzioni durevoli in termini di servizi igienico-sanitari e alloggi. Il piano d’azione deve indicare con esattezza in che modo aiuterà gli Stati membri con le risorse necessarie per adempiere ai loro obblighi e alle loro responsabilità, ai sensi del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani e, in particolare, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (17).

4.4.5.

Il CESE è dell’avviso che il modo più efficace per fornire assistenza e, al contempo, indebolire le reti di traffico, sia limitare il numero di coloro che ricorrono ai servizi di queste ultime offrendo alternative e mezzi legali per giungere in Europa da paesi terzi nelle regioni limitrofe all’Europa. Così facendo, verranno tutelati i diritti fondamentali come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

4.4.6.

Il CESE ribadisce che è fondamentale distinguere i trafficanti che agiscono per fini di lucro da coloro che invece forniscono assistenza ai migranti. Migliaia di cittadini europei hanno fornito loro trasporto e alloggio, a titolo gratuito oppure a costi normali o ridotti. L’assistenza umanitaria e la solidarietà dovrebbero essere incoraggiate e non penalizzate nell’ambito dell’agenda dell’UE contro il traffico di migranti.

4.4.7.

Il CESE concorda sulla necessità di migliorare la politica di rimpatrio all’interno dell’UE e approfitta per ricordare alla Commissione le sue numerose raccomandazioni sull’importanza di rispettare in ogni momento i diritti umani dei richiedenti asilo: a partire dal salvataggio o dall’accoglienza e durante il processo di valutazione delle richieste per accertare l’esistenza del diritto allo status di protezione o di una situazione di irregolarità. Il rimpatrio dei migranti deve avvenire in conformità delle norme vigenti, che garantiscono che nessuno potrà essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui corre un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (principio del non respingimento). Il CESE ribadisce di essere contrario al rimpatrio di minori non accompagnati, persone bisognose di cure mediche e donne in stato di gravidanza.

4.5.   Cooperare più strettamente con i paesi terzi

4.5.1.

Il CESE sostiene con risolutezza una stretta cooperazione con i paesi terzi lungo l’intera rotta del traffico. Se, da un lato, il Comitato condivide l’affermazione in base alla quale l’attenzione dovrebbe essere rivolta al sostegno in termini di gestione delle frontiere, dall’altro lato ritiene altresì che in tale ambito la collaborazione e il coordinamento dell’UE tra la rete esistente di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione, i funzionari di collegamento europei per la migrazione e i rappresentanti diplomatici degli Stati membri dovrebbe costituire una priorità centrale.

4.5.2.

L’obiettivo di tale coordinamento per le istituzioni dell’UE, vale a dire la CE, il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e gli Stati membri, dovrebbe essere quello di mettere in atto processi concordati volti a consentire alle persone interessate di presentare una richiesta di visto per motivi umanitari e una domanda di asilo dai loro paesi di origine o da un paese limitrofo sicuro, approccio che consente di fornire una rotta alternativa, umana e legale per giungere in Europa. I punti di crisi potrebbero essere istituiti in paesi limitrofi quali Turchia, Libano, Giordania e Libia. Qui le persone potrebbero essere valutate e a coloro che rispettano il tasso di riconoscimento del diritto di asilo a livello dell’UE può essere concesso un visto per motivi umanitari, come avviene al momento in Brasile. È altresì importante promuovere il dialogo e coinvolgere le organizzazioni della società civile che sono in contatto diretto con i rifugiati in tali azioni, al fine di garantire la tutela dei diritti umani e una maggiore efficienza dell’esame delle domande.

4.5.3.

Questi visti rilasciati per motivi umanitari hanno il vantaggio di ridurre la pressione sugli Stati membri dell’UE con frontiere esterne; in tal modo, si garantisce che i richiedenti asilo vengano trattati nel rispetto dei diritti fondamentali e in conformità con la Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e che il traffico di migranti si trasformi in un’operazione ad alto rischio e basso rendimento. Il diritto di restare nell’UE potrebbe dipendere provvisoriamente dalla valutazione in base alla quale sia sicuro o meno ritornare nel paese di origine oppure potrebbe essere legato a considerazioni relative al mercato del lavoro, alla luce della carenza di personale qualificato e delle sfide demografiche che incidono sulla crescita in Europa.

Bruxelles, 10 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2015) 285 final.

(2)  Rappresentante dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), Martina Hanke. Discorso pronunciato durante l’audizione pubblica sul traffico di migranti, organizzata dal CESE a Bruxelles il 12 ottobre 2015.

(3)  http://ec.europa.eu/commission/2014-2019/president/announcements/call-collective-courage_en

(4)  Crisi dei rifugiati: intervento risoluto della Commissione europea, Strasburgo, 9 settembre 2015.

(5)  COM(2015) 240 final.

(6)  COM(2015) 451 final.

(7)  Cfr. la nota 6.

(8)  Cfr. la nota 2.

(9)  http://data.unhcr.org.

(10)  Comunicato stampa Crisi dei rifugiati: intervento risoluto della Commissione europea (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5596_it.htm).

(11)  http://www.unhcr.org/.

(12)  Parere esplorativo del CESE sul tema Le politiche europee di immigrazione, GU C 458 del 19.12.2014, pag. 7.

(13)  EESC, «Immigration: Integration and Fundamental Rights», 2012 (http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/qe-30-12-822-en-c.pdf).

(14)  Parere esplorativo del CESE sul tema Il ruolo dell’immigrazione legale in un contesto di sfida demografica, relatore: Luis Miguel Pariza Castaños (GU C 48 del 15.2.2011, pag. 6).

(15)  Dichiarazione, New York, 28 agosto 2015.

(16)  Dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (disponibili al seguente indirizzo: http://missingmigrants.iom.int/incidents). «Migration Read All About It, Mediterranean Update: 101 900 migrant arrivals in Europe in 2015» (http://weblog.iom.int/mediterranean-flash-report-0) (entrambe le pagine sono state consultate il 10 giugno 2015).

(17)  http://www.ohchr.org/Documents/ProfessionalInterest/crc.pdf.


24.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 71/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri ai fini della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, e che modifica la direttiva 2013/32/UE»

[COM(2015) 452 final]

(2016/C 071/13)

Relatore:

José Antonio MORENO DIAZ

Il Parlamento europeo e la Commissione europea, rispettivamente in data 16 settembre 2015 e 15 ottobre 2015, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri ai fini della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, e che modifica la direttiva 2013/32/UE

[COM(2015) 452 final].

Anche il Consiglio dell’Unione europea, in data 21 ottobre 2015, ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo sullo stesso tema.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 novembre 2015.

Alla sua 512a sessione plenaria, dei giorni 9 e 10 dicembre 2015 (seduta del 10 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 180 voti favorevoli, 4 voti contrari e 6 astensioni.

Conclusioni

1.

Ai sensi della direttiva 2013/32/UE (1), la Commissione europea ritiene opportuno istituire un elenco comune di paesi di origine sicuri.

1.1.

Nell’allegato alla proposta di regolamento in esame, la Commissione presenta un elenco iniziale di paesi terzi da includere nell’elenco comune dell’UE dei paesi di origine sicuri, vale a dire: Albania, Bosnia-Erzegovina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia.

1.2.

Per il CESE è necessario stabilire in maniera più concreta e sicura, oltre che in modo da dare più garanzie, i criteri specifici atti a definire un paese sicuro per le finalità di cui alla direttiva 2011/95/UE e, in particolare, l’allegato I della direttiva 2013/32/UE.

1.3.

Nella stessa ottica, pur accogliendo con favore l’iniziativa della Commissione, il CESE ritiene che in questo momento possa risultare precipitoso compilare un elenco preciso dei paesi considerati sicuri per gli scopi previsti.

2.   Raccomandazioni

2.1.

Il CESE accoglie positivamente la proposta e ritiene opportuno istituire un elenco comune dell’UE di paesi di origine sicuri, sulla base dei criteri comuni stabiliti dalla direttiva 2013/32/UE, in quanto gli Stati membri saranno facilitati nell’utilizzo delle procedure connesse all’applicazione del concetto di paese di origine sicuro e, in questo modo, verrà aumentata l’efficienza complessiva dei loro sistemi di asilo.

2.2.

In ogni caso, l’istituzione di un elenco comune dell’UE punta a rimediare ad alcune delle attuali discrepanze negli elenchi nazionali dei paesi di origine «sicuri» elaborati dagli Stati membri.

2.3.

Anche se gli Stati membri avessero la possibilità di adottare disposizioni giuridiche che consentano di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri diversi da quelli che figurano nell’elenco comune dell’UE, l’elenco comune garantirà che il concetto venga applicato in tutti gli Stati membri in modo uniforme nei confronti dei richiedenti asilo il cui paese di origine figuri in tale elenco.

2.4.

L’articolo 2 del regolamento deve comunque stabilire espressamente gli indicatori e i criteri — che devono essere specifici, concreti e precisi — da valutare per inserire uno Stato nell’elenco dei paesi di origine sicuri, sulla base — ad esempio — delle informazioni aggiornate provenienti da fonti come la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), l’EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni per i diritti umani.

2.5.

La decisione di includere un paese in tale elenco comune deve essere motivata e giustificata mediante una valutazione di tutti i criteri di cui al punto precedente, facendo riferimento a tutti i motivi di persecuzione o danno grave che hanno dato luogo al riconoscimento della protezione internazionale.

2.6.

Per quanto concerne eventuali modifiche, l’elenco deve essere dotato di un apposito meccanismo che dimostri maggiore flessibilità e che possa rispondere entro un termine ragionevole al mutare delle circostanze nei paesi inclusi nell’elenco.

2.7.

Il CESE è consapevole della necessità di spiegare e giustificare qualsiasi modifica apportata all’elenco, tenendo conto del parere di esperti dell’UNHCR, dell’EASO, del Consiglio d’Europa e di altre organizzazioni per i diritti umani.

2.8.

Il Comitato ritiene inoltre opportuno istituire un meccanismo che autorizzi gli organismi riconosciuti per la difesa dei diritti umani, ad esempio i difensori civici (Ombudsman) o i consigli economici e sociali, ad avviare la procedura per la modifica dell’elenco.

2.9.

Il CESE propone di richiedere una decisione motivata in merito alla pertinenza di applicare il concetto di paese di origine sicuro a un caso specifico, al termine di una valutazione individuale come previsto dalla direttiva 2013/32/UE.

2.10.

È d’altro canto necessario rafforzare le garanzie procedurali relative agli iter accelerati, assicurando in ogni caso l’esame individuale di ciascun caso specifico e la pertinenza dell’applicazione del concetto di paese di origine sicuro.

2.11.

Il CESE ritiene che il concetto di paese di origine sicuro non possa essere in alcun modo applicato in caso di mancato rispetto della libertà di stampa o di impedimento del pluralismo politico, oppure nel caso di paesi dove i cittadini vengono perseguitati per motivi di genere, di orientamento sessuale o di appartenenza a minoranze nazionali, etniche, culturali o religiose.

2.12.

Il CESE è inoltre del parere che occorra migliorare i meccanismi di identificazione dei richiedenti asilo che sono vulnerabili. Nei casi in cui tale identificazione avvenga quando già è stata avviata la procedura accelerata, va immediatamente applicata la procedura ordinaria.

2.13.

Bisogna infine garantire un ricorso effettivo, con effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32/UE, avverso le decisioni negative basate sul presupposto che il paese di origine sia sicuro.

3.   Contesto

3.1.

L’Unione europea ha tentato più volte di eliminare le discrepanze tra i sistemi d’asilo degli Stati membri, ma finora i suoi sforzi si sono rivelati infruttuosi. Dal 1999 l’Unione europea ha adottato una serie di strumenti giuridici per istituire un Sistema europeo comune di asilo (CEAS), il cui obiettivo è quello di armonizzare la legislazione in materia di procedure di asilo, condizioni di accoglienza e altri aspetti connessi al sistema di protezione internazionale.

3.2.

Come ha affermato il Consiglio europeo nelle conclusioni del 15 ottobre 2015 (EUCO 26/15), «affrontare la crisi migratoria e dei rifugiati è un obbligo comune, che richiede una strategia globale e un impegno deciso nel corso del tempo, in uno spirito di solidarietà e di responsabilità». Il Consiglio sostiene infine che «gli orientamenti sopra esposti rappresentano un ulteriore passo avanti importante verso la nostra strategia globale, coerentemente con il diritto di chiedere asilo, i diritti fondamentali e gli obblighi internazionali. Vi sono tuttavia altre importanti azioni prioritarie che richiedono ulteriori discussioni nelle sedi pertinenti, comprese le proposte della Commissione, e occorre portare avanti le riflessioni sulla politica complessiva dell’UE in materia di asilo e migrazione».

3.3.

La direttiva 2013/32/UE permette agli Stati membri di applicare deroghe e procedure accelerate, in particolare le procedure accelerate alle frontiere o nelle zone di transito, qualora il richiedente sia cittadino di un paese dichiarato sicuro in virtù delle leggi nazionali e si ritenga che il paese considerato non presenti pericoli per il richiedente tenuto conto delle sue circostanze particolari. Solo alcuni Stati membri hanno adottato elenchi nazionali di paesi di origine sicuri.

3.4.

La direttiva recante procedure comuni ai fini del riconoscimento o della revoca dello status di protezione internazionale (2013/32/UE del 26 giugno 2013), che è stata oggetto di rifusione, tende a ridurre le disparità tra le procedure nazionali e ad assicurare decisioni più rapide ed eque per quanto concerne le richieste di asilo presentate più volte o quelle che non contengono elementi nuovi. Malgrado i miglioramenti apportati al nuovo testo, gli Stati membri continuano a disporre di un ampio margine di discrezionalità che può ostacolare l’obiettivo di stabilire una vera e propria procedura comune.

4.   Analisi

4.1.

Il concetto di paese di origine sicuro ha importanti implicazioni pratiche, quali la possibilità di applicare alle domande la procedura accelerata [articolo 31, paragrafo 8, lettera b) della direttiva 2013/32/UE], la conseguente riduzione dei termini entro cui prendere una decisione sul merito della domanda, la difficoltà di individuare i richiedenti particolarmente vulnerabili in questi termini ridotti (articolo 24 della direttiva 2013/32/UE) e, infine, una maggiore difficoltà di accesso alla protezione internazionale per i cittadini di questi paesi, data la presunzione che la loro domanda è infondata (articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2013/32/UE).

4.2.

Questa maniera diversa di gestire le domande di protezione internazionale a seconda della nazionalità può essere incompatibile con il divieto di trattamento discriminatorio dei rifugiati in funzione del loro paese di origine, previsto all’articolo 3 della convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati. Tenendo conto di tutti questi fattori, il CESE raccomanda di applicare in modo restrittivo il concetto di paese terzo sicuro.

4.3.

È opportuno sottolineare che l’adozione di un elenco comune di paesi di origine sicuri non porterà necessariamente a una maggiore armonizzazione, in quanto è consentita la coesistenza di questo elenco comune con gli elenchi nazionali di ciascuno Stato membro.

4.4.

La proposta di regolamento include un elenco di sette paesi basato sugli indicatori utilizzati nella proposta della Commissione, ossia: esistenza di un quadro legislativo di protezione dei diritti umani, ratifica dei trattati internazionali in materia di diritti umani, numero di condanne inflitte al paese considerato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, status di paese candidato all’adesione all’UE, percentuali di riconoscimento della protezione internazionale ai cittadini del paese considerato, e inclusione del paese considerato negli elenchi nazionali dei paesi di origine sicuri.

4.5.

Questi indicatori non sembrano tuttavia valutare nel modo adeguato i criteri stabiliti nell’allegato I della direttiva sulle procedure di asilo, in quanto non esaminano — per esempio — l’applicazione concreta del diritto e il rispetto effettivo dei diritti umani, oppure l’assenza di persecuzioni o danni gravi per i motivi che danno diritto al riconoscimento della protezione internazionale:

4.5.1.

Quadro legislativo nazionale e internazionale in materia di diritti umani: si tratta senza alcun dubbio di un requisito minimo da richiedersi a qualsiasi Stato che si voglia inserire nell’elenco dei paesi di origine sicuri, ma non è sufficiente, in quanto l’allegato I della direttiva 2013/32/UE prevede la valutazione del rispetto dei diritti umani nella pratica. In ogni caso, la stessa Commissione non sembra valutare nel modo appropriato questo requisito minimo, in quanto nella sua proposta inserisce tra i paesi sicuri degli Stati che, in alcuni casi, non hanno ratificato i principali trattati internazionali in materia di diritti umani, come il Kosovo.

4.5.2.

Il numero di sentenze di condanna pronunciate nel 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nei confronti dei paesi considerati non rispecchia l’attuale situazione dei diritti umani nei paesi proposti. La maggior parte dei casi giudicati nel 2014 si riferisce a fatti avvenuti parecchi anni fa, a causa sia del ritardo accumulato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo che per la necessità di esaurire le vie di ricorso interne prima di adire la CEDU.

L’analisi dei dati che la Commissione realizza può generare confusione. La Commissione mette in rapporto le sentenze di condanna con il numero totale delle decisioni che la CEDU ha preso riguardo al paese considerato, senza distinguere in quante di queste sentenze si sia espressa sul merito della causa, vale a dire nel grado di rispetto dei diritti umani. Ad esempio, nel caso della Turchia, delle 2 899 cause sottoposte alla CEDU che la Commissione prende in considerazione, sebbene non siano indicati né gli intervalli temporali né i tempi di decisione di dette cause, si è realmente giunti a una decisione nel merito soltanto in 110 casi e in 94 di essi — ossia nel 93 % — è stata accertata una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (2). Nel caso della Bosnia-Erzegovina, nel 2014 le decisioni sul merito della causa sono state 7 e in 5 di esse (71 %) è stata accertata una violazione dei diritti umani (3). La percentuale sarebbe del 100 % nel caso del Montenegro (4), mentre per la Serbia sarebbe dell’88 % (5) e del 66 % sia per l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (6) che per l’Albania (7).

La Commissione non accenna neppure quali diritti umani sono stati violati, né fa riferimento al contenuto di queste sentenze che costituisce un’informazione essenziale al momento di valutare l’esistenza di persecuzioni che motivano la concessione di protezione internazionale.

4.5.3.

Lo status di paese candidato all’adesione all’Unione europea non presuppone che il paese considerato soddisfi già i criteri di Copenaghen, ma piuttosto che ha avviato un processo per convalidarne il rispetto. Al contrario, le relazioni sui progressi (8) compiuti dai paesi candidati verso l’adesione all’UE, inclusi nell’elenco della proposta di regolamento, segnalano le carenze in settori come il rispetto dei diritti umani, lo Stato di diritto, la corruzione, il controllo politico sui mezzi d’informazione e l’indipendenza del sistema giudiziario.

4.5.4.

Le percentuali di riconoscimento della protezione internazionale durante il 2014 nell’UE a richiedenti asilo provenienti da questi paesi: l’analisi statistica dei dati relativi all’UE nel suo insieme realizzata dalla Commissione per il 2014 può generare ambiguità. Un’analisi disaggregata delle percentuali di riconoscimento negli Stati membri presenta una situazione più eterogenea. Così, ad esempio, le percentuali di riconoscimento di cittadini provenienti dal Kosovo nel secondo quadrimestre del 2015 raggiungono il 18,9 % a livello dell’UE, ma con notevoli differenze tra paesi, come l’Italia (60 %) o la Germania (0,4 %) (9).

4.5.5.

L’inserimento di Stati negli elenchi nazionali dei paesi di origine sicuri: non sono omogenei neanche gli elenchi nazionali dei paesi di origine sicuri, dato che ogni Stato membro applica una varietà di criteri che pertanto non possono essere riproposti per la compilazione di un elenco comune.

4.6.

La proposta della Commissione volta a inserire questi sette paesi nell’elenco dei paesi di origine sicuri dovrebbe fare riferimento ad altri indicatori utili ed efficaci per misurare sia il grado di applicazione del diritto che il rispetto dei diritti umani, come le fonti di informazione che la CEDU (10) ha considerato pertinenti, secondo la sua costante giurisprudenza, per valutare la situazione del paese di origine e il rischio in caso di rimpatrio. La stessa proposta di regolamento contiene infatti — all’articolo 2, paragrafo 2 — queste fonti per il riesame dell’elenco, ma non per la sua elaborazione; tale fonti sono, in particolare «il SEAE, l’EASO, l’UNHCR, il Consiglio d’Europa e altre organizzazioni internazionali pertinenti».

4.7.

Secondo il CESE, inoltre, bisognerebbe fare riferimento a indicatori che possano rispecchiare la situazione dei diritti umani in rapporto a tutti i motivi che danno diritto al riconoscimento della protezione internazionale, ad esempio, il rispetto della libertà di espressione e di stampa, il rispetto del pluralismo politico, la situazione di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI) e le minoranze etniche, culturali o religiose.

4.8.

L’articolo 2, paragrafo 2, della proposta di regolamento stabilisce il riesame periodico dell’elenco comune dei paesi di origine sicuri. La procedura di modifica a cui la proposta di regolamento rinvia è la procedura legislativa ordinaria (articolo 2, paragrafo 3, della proposta di regolamento) oppure — in caso di cambiamenti repentini nella situazione del paese considerato (articolo 3 della proposta di regolamento) — una procedura di sospensione della durata di un anno, prorogabile di un altro anno.

4.9.

I due iter — vale a dire, la procedura legislativa ordinaria di codecisione e la procedura di sospensione dell’articolo 3 — non sembrano offrire un meccanismo rapido, agile e flessibile per affrontare i cambiamenti nella situazione dei paesi di origine compresi nell’elenco comune. Purtroppo, in una serie di paesi si sono verificati vari casi di rapido deterioramento della situazione politica, delle garanzie democratiche e del rispetto dei diritti umani che difficilmente potrebbero essere affrontati con i meccanismi istituiti. Queste situazioni possono inoltre protrarsi più in là nel tempo, e quindi la durata massima della sospensione — che è di due anni — risulta molto breve.

4.10.

Questa valutazione dei cambiamenti repentini nella situazione del paese considerato dovrebbe avvalersi del giudizio di esperti «dell’UNHCR, dell’EASO, del Consiglio d’Europa e di altre organizzazioni internazionali pertinenti», come già avviene in caso di modifica secondo la procedura legislativa ordinaria.

4.11.

D’altro canto, l’adozione di un regolamento esclude la possibilità che le persone richiedenti asilo possano contestare innanzi le autorità nazionali che uno Stato venga inserito nell’elenco dei paesi di origine sicuri, possibilità al contrario esistente per gli elenchi nazionali. Sarebbe opportuno contemplare la possibilità che tale modifica sia sollecitata da organizzazioni dei diritti umani o da richiedenti asilo.

4.12.

L’articolo 31, paragrafo 8, lettera b), della direttiva 2013/32/UE autorizza gli Stati membri a esaminare mediante procedure accelerate le domande presentate da cittadini di paesi di origine sicuri. Questo iter accelerato non può in alcun caso pregiudicare le garanzie procedurali (11) a causa della brevità dei termini, né può portare a una valutazione collettiva di queste domande di protezione internazionale, vietata dall’articolo 10, paragrafo 3, lettera a) della direttiva 2013/32/UE.

4.13.

Difatti, l’articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE stabilisce che gli Stati inseriti negli elenchi dei paesi di origine sicuri potranno essere considerati come tali soltanto per uno specifico richiedente asilo, previo esame individuale. Tale esame individuale dovrebbe valutare — mediante decisione motivata in cui l’onere della prova è a carico dello Stato membro ed è possibile l’impugnazione — la pertinenza dell’applicazione del concetto di paese di origine sicuro al caso specifico.

4.14.

Visto che l’adozione di un regolamento presuppone una limitazione delle possibilità — per i richiedenti asilo — di opporsi all’inserimento di un certo Stato nell’elenco dei paesi di origine sicuri, bisogna rafforzare le garanzie di accesso — in ogni caso specifico — a un ricorso effettivo con effetto sospensivo, ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva sulle procedure d’asilo.

4.15.

Bisogna inoltre garantire l’identificazione dei richiedenti che si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità ai quali, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE, non può essere applicata la procedura accelerata. In questi casi occorre prevedere l’obbligo di realizzare tale identificazione prima della decisione di applicare la procedura accelerata oppure, se l’identificazione della situazione di vulnerabilità è compiuta successivamente, la possibilità di abbandonare la procedura accelerata e di tornare alla procedura ordinaria.

Bruxelles, 10 dicembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU L 180 del 29.6.2013, pag. 1.

(2)  Corte europea dei diritti dell’uomo — Profilo nazionale: Turchia, luglio 2015

http://www.echr.coe.int/Documents/CP_Turkey_ENG.pdf

(3)  Corte europea dei diritti dell’uomo — Profilo nazionale: Bosnia-Erzegovina, luglio 2015

http://www.echr.coe.int/Documents/CP_Bosnia_and_Herzegovina_ENG.pdf

(4)  Corte europea dei diritti dell’uomo — Profilo nazionale: Montenegro, luglio 2015

http://www.echr.coe.int/Documents/CP_Montenegro_ENG.pdf Un caso giudicato nel merito e nel quale è stata accertata la violazione dei diritti umani.

(5)  Corte europea dei diritti dell’uomo — Profilo nazionale: Serbia, luglio 2015

http://www.echr.coe.int/Documents/CP_Serbia_ENG.pdfI In 16 casi, dei 18 giudicati nel merito, è stata accertata la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(6)  Corte europea dei diritti dell’uomo — Profilo nazionale: Ex-Repubblica jugoslava di Macedonia, luglio 2015

http://www.echr.coe.int/Documents/CP_The_former_Yugoslav_Republic_of_Macedonia_ENG.pdf

(7)  Corte europea dei diritti dell’uomo — Profilo nazionale: Albania, luglio 2015

http://www.echr.coe.int/Documents/CP_Albania_ENG.pdf Dei 150 casi in cui è stata emanata una sentenza nel 2014, si è giunti a una decisione sul merito solo in 6 e in 4 di essi è stata accertata la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(8)  Cfr. http://ec.europa.eu/enlargement/countries/package/index_en.htm

(9)  Eurostat: Decisioni di primo grado sulle domande, ripartire per cittadinanza, età e sesso del richiedente, dati trimestrali http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/submitViewTableAction.do

(10)  Cfr. NA v UK, Application No. 25904/07, 17 luglio 2008; Gaforov c. Russia, 21/10/2010.

(11)  CGUE C-175/11 del 31 gennaio 2013, paragrafi 74 e 75.