ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2009.317.ita

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 317

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
23 dicembre 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

455a sessione plenaria del 15 e 16 luglio 2009

2009/C 317/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrare le politiche dei trasporti e dell'assetto territoriale ai fini di un trasporto urbano più sostenibile (parere esplorativo)

1

2009/C 317/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La competitività delle industrie europee del vetro e della ceramica, con particolare riferimento al pacchetto clima ed energia dell'Unione europea (parere esplorativo richiesto dalla presidenza ceca)

7

2009/C 317/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nelle relazioni tra UE e Bosnia-Erzegovina (parere esplorativo)

15

2009/C 317/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Emissioni dei trasporti su strada — misure concrete per superare il ristagno (parere d'iniziativa)

22

2009/C 317/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Mercati dei componenti e mercati a valle del settore automobilistico (parere d'iniziativa)

29

2009/C 317/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Spazi urbani e violenza giovanile

37

2009/C 317/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Protezione dei minori dai delinquenti sessuali itineranti

43

2009/C 317/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Quale futuro per le zone non urbane nella società della conoscenza? (parere di iniziativa)

49

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

455a sessione plenaria del 15 e 16 luglio 2009

2009/C 317/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori — COM(2008) 614 def. — 2008/0196 (COD)

54

2009/C 317/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto concerne la prevenzione dell'ingresso nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine — COM(2008) 668 def. — 2008/0261 (COD)

62

2009/C 317/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai conti annuali di taluni tipi di società per quanto riguarda le microentità — COM(2009) 83 def./2 — 2009/0035 (COD)

67

2009/C 317/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Quinta parte — COM(2009) 142 def. — 2009/0048 (COD)

72

2009/C 317/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Valutazione intermedia dell'attuazione del piano d'azione comunitario sulla biodiversità — COM(2008) 864 def.

75

2009/C 317/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per l'internalizzazione dei costi esterni — COM(2008) 435 def.

80

2009/C 317/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società — COM(2008) 689 def.

84

2009/C 317/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori — COM(2008) 816 def. — 2008/0246 (COD)

89

2009/C 317/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo — COM(2008) 852 def. — 2008/0247 (COD)

94

2009/C 317/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori — COM(2008) 817 def. — 2008/0237 (COD)

99

2009/C 317/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1321/2004 sulle strutture di gestione dei programmi europei di radionavigazione via satellite — COM(2009) 139 def. — 2009/0047 (COD)

103

2009/C 317/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde relativo al personale sanitario europeo — COM(2008) 725 def.

105

2009/C 317/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (rifusione) — COM(2008) 815 def. — 2008/0244 (COD)

110

2009/C 317/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) — COM(2008) 820 def. — 2008/0243 (COD)

115

2009/C 317/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure — COM(2009) 28 def. — 2009/0007 (CNS); e alla proposta di direttiva del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale — COM(2009) 29 def. — 2009/0004 (CNS)

120

2009/C 317/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Integrazione regionale per lo sviluppo nei paesi ACP — COM(2008) 604 def.

126

2009/C 317/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa agli animali della specie bovina riproduttori di razza pura (versione codificata) — COM(2009) 235 def. — 2006/0250 (CNS)

132

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

455a sessione plenaria del 15 e 16 luglio 2009

23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/1


455a SESSIONE PLENARIA DEL 15 E 16 LUGLIO 2009

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrare le politiche dei trasporti e dell'assetto territoriale ai fini di un trasporto urbano più sostenibile

(parere esplorativo)

(2009/C 317/01)

Relatore: Frederic Adrian OSBORN

Con lettera datata 3 novembre 2008, la Commissione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Integrare le politiche dei trasporti e dell'assetto territoriale ai fini di un trasporto urbano più sostenibile.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore OSBORN.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli e 1 voto contrario.

1.   Sintesi

1.1.   I cittadini hanno bisogno dei trasporti per raggiungere il luogo di lavoro, i negozi, la scuola e tutte le altre destinazioni della società moderna. Lo sviluppo e la manutenzione dei diversi sistemi di trasporto rappresenta uno dei compiti principali delle politiche pubbliche. Ma i trasporti presentano anche dei risvolti negativi poiché sono causa di inquinamento, di congestione e di incidenti. I collegamenti di trasporto possono rafforzare le comunità, mentre la loro mancanza può dividerle e isolarle. I trasporti sono inoltre uno dei fattori che contribuiscono in larga misura alle emissioni di CO2 e alla crescente minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici.

1.2.   In questo contesto è sempre più necessario che gli enti pubblici, a tutti i livelli di governo, definiscano modelli di trasporto maggiormente sostenibili, in grado di rispondere alle esigenze di spostamento dei cittadini riducendo al minimo i propri effetti negativi. Le aree urbane sono quelle che presentano i problemi maggiori e che richiedono in particolar modo l'adozione di strategie di trasporto più sostenibili.

1.3.   Il modello della mobilità nelle aree urbane è strettamente legato a quello dell'assetto territoriale. Per giungere a forme di trasporto più sostenibili è necessario quindi che siano adottate strategie e politiche integrate di assetto territoriale e di mobilità.

1.4.   La definizione e l'attuazione di strategie integrate è un compito che spetta principalmente alle autorità locali e nazionali. In diverse città e in vari paesi europei sono già stati compiuti alcuni passi avanti sulla via della sostenibilità in questo settore, ma i progressi realizzati finora sono frammentari. È possibile e necessario lanciare un'iniziativa a livello europeo per promuovere e accelerare l'adozione e l'attuazione di strategie integrate di assetto territoriale e di mobilità più sostenibili nelle città di tutta Europa.

1.5.   Tale iniziativa dovrebbe imperniarsi principalmente su:

l'avvio di un nuovo piano di ricerca inteso a identificare con maggiore precisione i punti principali delle buone prassi in questo settore,

la definizione di una serie di indicatori affidabili di progresso in materia di trasporti sostenibili,

l'analisi delle esperienze maturate a livello nazionale e locale e la revisione dei meccanismi di sostegno legislativo e finanziario in relazione ai loro effetti in termini di trasporti e di emissioni di carbonio,

l'elaborazione di un nuovo quadro europeo in materia di sostenibilità del trasporto urbano e dell'assetto territoriale,

la revisione dell'equilibrio con le altre politiche e gli altri programmi europei per rendere la politica europea in generale più favorevole ai trasporti sostenibili,

lo sviluppo dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS).

2.   Riflessioni generali

2.1.   Le società moderne dipendono in larga misura dai trasporti. È su di essi che il singolo cittadino fa affidamento per recarsi al lavoro, a fare acquisti, a svolgere le attività ricreative e in qualsiasi altro luogo. I trasporti sono indispensabili anche per le aziende affinché possano produrre e distribuire le proprie merci e i propri servizi in tutto il mondo.

2.2.   Negli ultimi due secoli i progressi tecnologici nel settore dei trasporti hanno aumentato enormemente le distanze percorribili con comodità, a prezzi accessibili e hanno ampliato la gamma di beni, servizi e stili di vita a disposizione dei cittadini. Questa evoluzione ha trasformato anche le modalità di sviluppo degli insediamenti urbani, che non hanno più bisogno di stringersi strettamente attorno ai piccoli agglomerati con servizi raggiungibili soprattutto a piedi. Gli insediamenti possono ormai spargersi con basse densità su vaste aree del territorio collegate tra loro dalle reti stradali e dai sistemi di trasporto.

2.3.   Questi cambiamenti hanno apportato numerosi vantaggi, ma hanno anche provocato notevoli problemi: la continua crescita della domanda di trasporti causa congestione del traffico e ritardi; le comunità locali perdono coesione man mano che i servizi locali vengono sostituiti da altri più lontani, e i contatti tra vicini scompaiono; la maggior parte dei mezzi di trasporto a motore provoca rumore e inquinamento; inoltre, molti di questi mezzi producono emissioni di CO2 e la continua crescita della domanda di trasporti rappresenta una delle maggiori cause dei cambiamenti climatici.

2.4.   Per molti anni i governi hanno considerato l'ampliamento delle possibilità di viaggio come un bene per il pubblico. Le politiche e gli investimenti pubblici nel settore dei trasporti sono stati indirizzati a estendere le reti di trasporto e a renderle più ampiamente accessibili a tutti.

2.5.   Molte altre politiche e altri programmi hanno anche determinato un aumento della domanda di spostamenti più frequenti e più lontani. Numerosi insediamenti residenziali di nuova costruzione presentano una densità abitativa troppo bassa per essere serviti dai trasporti pubblici e sono pensati per residenti che per i loro spostamenti si serviranno di un mezzo privato. La riorganizzazione di scuole, ospedali e altri servizi pubblici ha portato spesso alla creazione di strutture di grandi dimensioni ma più decentrate. Analogamente, per le aree commerciali si è preferito creare grandi centri fuori città.

2.6.   Ma questo modo di vedere sta gradualmente cambiando. Le persone cominciano a riconoscere sia i vantaggi dei trasporti che i loro risvolti negativi, e anche la politica si sta adattando. Le politiche e i programmi in materia di trasporti devono continuare ad assicurare un adeguato soddisfacimento delle esigenze di base. Nel contempo si diffonde però l'opinione che le politiche dei trasporti, dell'assetto territoriale e di altro tipo devono comprendere misure volte a ridurre o contenere la domanda complessiva di trasporti e a incoraggiare le persone a scegliere forme di mobilità più sostenibili come i trasporti pubblici, gli spostamenti a piedi o in bicicletta, rispetto all'automobile privata.

2.7.   Le minacce crescenti rappresentate dai cambiamenti climatici e dall'insicurezza degli approvvigionamenti petroliferi rendono ancora più pressanti questi dilemmi e la necessità stessa di adottare misure più incisive per ridurre la domanda di trasporti e vincolarla entro alternative più sostenibili. Ciò può comportare un cambiamento radicale dei modelli di assetto del territorio e della mobilità.

2.8.   Quattro nuovi obiettivi politici centrali per la sostenibilità dei trasporti e dell'assetto territoriale:

incoraggiare i cittadini a scegliere un luogo di residenza più vicino a quello in cui lavorano, studiano o svolgono le attività ricreative, e/o impiantare i luoghi di lavoro e di studio più vicino ai luoghi di residenza al fine di ridurre la congestione del traffico, l'inquinamento atmosferico e le emissioni di gas serra, e ridare vita alle comunità locali,

incoraggiare i cittadini che ne hanno la possibilità a fare uso dei trasporti pubblici o a spostarsi, per quanto possibile a piedi o in bicicletta e scoraggiare l'uso dell'automobile,

incoraggiare le aziende a servirsi di più delle fonti di approvvigionamento e di manodopera locali in modo da limitare gli spostamenti legati all'esercizio della loro attività,

risvegliare l'interesse per le destinazioni turistiche locali, in modo da ridurre o limitare la crescente domanda di trasporti aerei e i danni che essi recano all'ambiente.

2.9.   La sempre maggiore domanda di trasporti scaturisce da un forte dinamismo sociale ed economico, e contenere o riorientare tale tendenza non è un compito facile. L'esperienza insegna che questa sfida può essere affrontata con buoni risultati solo adottando un approccio ben integrato che coniughi le politiche dei trasporti con quelle di assetto territoriale e di altro tipo in modo che si rafforzino a vicenda, e definendo tali politiche in modo aperto, trasparente e democratico, affinché esse possano riscuotere sufficiente consenso politico e popolare a tutti i livelli di governo. Nella definizione di nuove strategie e di nuove politiche occorre dedicare particolare attenzione alle esigenze degli anziani, dei disabili e delle famiglie a basso reddito.

3.   Elementi delle politiche coordinate dei trasporti e dell'assetto territoriale e delle politiche sostenibili in materia di trasporti

3.1.   Le politiche di assetto territoriale e le altre politiche analoghe che possono favorire forme più sostenibili di mobilità urbana dovrebbero:

promuovere modelli insediativi a più alta densità,

incentivare forme compatte di sviluppo urbano a breve distanza da tutti i servizi principali,

favorire lo sviluppo o l'espansione di città di piccole e medie dimensioni piuttosto che l'ulteriore urbanizzazione di grandi agglomerati urbani ormai ai limiti delle loro capacità,

ridurre l'ulteriore urbanizzazione delle cinture verdi attorno alle città, creare aree verdi all'interno dei centri urbani e attorno ad essi ecc.,

incoraggiare la creazione di strutture di piccole dimensioni e a carattere più locale (negozi, scuole, chiese, ospedali, uffici civici ecc.), con bacini di utenza ridotti, e disincentivare le strutture di grandi dimensioni e più lontane, con bacini di utenza vasti e più sparsi,

favorire la realizzazione di tipologie edilizie polifunzionali anziché il decentramento di vari servizi in luoghi raggiungibili unicamente in automobile o con i mezzi pubblici,

incoraggiare le persone ad abitare più vicino ai propri luoghi di lavoro o ad altre destinazioni abituali,

incentivare le persone a lavorare da casa, utilizzando tutte le possibilità offerte da Internet,

favorire la collocazione dei servizi principali (pubblici e privati) in luoghi facilmente accessibili dai mezzi di trasporto pubblici e ridurre le aree di parcheggio disponibili in queste strutture o imporre tariffe di parcheggio piuttosto elevate,

incoraggiare le aziende a ubicare le proprie attività in luoghi accessibili ai trasporti pubblici e comodi da raggiungere per i lavoratori, i fornitori e i clienti locali,

incentivare le aziende a servirsi di fornitori e di manodopera del posto e a operare sui mercati locali, evitando il commercio a distanza e attenuando gli effetti derivanti dalla globalizzazione,

introdurre un'internalizzazione dei costi esterni su basi tecniche.

3.2.   Le politiche dei trasporti che possono favorire forme più sostenibili di mobilità urbana dovrebbero:

promuovere la qualità, la pulizia, l'accessibilità e l'efficienza energetica dei trasporti pubblici,

spostare gli investimenti dalle infrastrutture stradali ai trasporti pubblici,

incentivare la creazione di percorsi o corsie preferenziali per i trasporti pubblici,

ridurre gli spazi e i tempi di parcheggio per i veicoli privati all'interno dei centri urbani,

favorire programmi di pedonalizzazione e la creazione di vie e passaggi pedonali e di piste ciclabili,

promuovere programmi di gestione della mobilità,

favorire la sensibilizzare del pubblico attraverso le informazioni sulla viabilità,

favorire sistemi di tariffazione per l'utilizzo dello spazio stradale,

fare in modo che la tassazione dei carburanti e dei veicoli comprenda tutte le esternalità che questi comportano per la società, come le emissioni di CO2 e altre forme di inquinamento,

incentivare le istituzioni pubbliche a insediarsi in complessi di edifici nella stessa area e incoraggiare i funzionari a recarsi al lavoro con i mezzi pubblici e a ricorrere all'orario flessibile.

3.3.   L'esperienza mostra tuttavia che le politiche di questo tipo non possono essere introdotte in maniera frammentata. Esse sono efficaci e accettabili dal punto di vista politico soltanto se la loro attuazione si inserisce in una strategia globale che integra gli obiettivi di assetto del territorio e quelli dei trasporti e coinvolge diverse parti del settore pubblico e numerosi soggetti del settore privato.

3.4.   Ad esempio, i limiti imposti all'uso dei trasporti privati nelle città (come la restrizione degli spazi di parcheggio, i pedaggi stradali o il parcheggio a pagamento) sono accettabili ed efficaci solo se i trasporti pubblici rappresentano un'alternativa sufficientemente interessante (in termini di pulizia, sicurezza, frequenza, affidabilità e accessibilità economica). Inoltre, è necessario tenere conto in modo particolare delle esigenze degli anziani, dei disabili e delle famiglie a basso reddito.

3.5.   Analogamente, l'incoraggiamento agli spostamenti in bicicletta richiede una serie di misure tra cui la creazione di piste ciclabili, la realizzazione di aree di parcheggio adeguate e sicure, sia in spazi pubblici che privati, un sistema che incentivi l'uso della bicicletta anziché dell'automobile da parte di chi ne ha la capacità, la partecipazione del datore di lavoro alle spese di viaggio dei pendolari e la promozione di una cultura favorevole all'uso della bicicletta.

3.6.   Anche in questo caso, l'incentivazione di negozi e altri servizi locali presuppone una zonizzazione adeguata (sia per incoraggiare le strutture locali di piccole dimensioni sia per scoraggiare i grandi centri fuori città, raggiungibili solo in automobile), politiche fiscali locali favorevoli, programmi di rigenerazione urbana che migliorino l'attrattiva dei piccoli esercizi locali e centri di quartiere che fungono da catalizzatore.

3.7.   Arrestare e invertire le tendenze che hanno governato l'evoluzione delle città e dei trasporti urbani negli ultimi 100 anni non sarà facile. La maggior parte delle misure adottate finora è stata presa a livello locale e ha avuto carattere frammentario e sperimentale. I contrasti tra i diversi enti e i diversi livelli di governo hanno ostacolato il raggiungimento di progressi più concreti. È necessario inoltre superare numerosi interessi pubblici e privati ormai consolidati.

3.8.   La minaccia sempre più grave rappresentata dai cambiamenti climatici e il fatto che i trasporti incidono sempre di più sulle emissioni complessive di gas serra in Europa rendono questa problematica ancora più pressante. Non possiamo permetterci di lasciare che l'attuale inerzia continui. È ormai necessario accelerare il ritmo di transizione verso modelli più sostenibili di mobilità urbana e di assetto del territorio.

4.   Azioni a livello locale e nazionale

4.1.   Le autorità locali di pianificazione sono chiamate ad assumere un ruolo di primo piano a livello locale, in collaborazione con le autorità locali preposte ai trasporti e alla viabilità e con altri enti pubblici. Alle autorità di pianificazione spetta il compito di definire piani di assetto territoriale che guidino il modello di urbanizzazione e i collegamenti di trasporto in modo che nel tempo la sostenibilità dei modelli di trasporto possa migliorare (sviluppando i sistemi di trasporto intelligenti). Le autorità preposte ai trasporti devono integrare queste misure di pianificazione con altre misure volte ad assicurare che i sistemi di trasporto pubblico siano sufficientemente frequenti, affidabili e accessibili per poter costituire un'alternativa accettabile al trasporto privato. Insieme, questi enti devono creare strategie integrate per migliorare la sostenibilità dei trasporti e dell'assetto territoriale. Occorre inoltre coinvolgere altri enti pubblici e i maggiori costruttori, invitandoli a sviluppare le proprie strategie future tenendo pienamente conto dell'impatto dei trasporti.

4.2.   L'evoluzione verso modelli più sostenibili di trasporto urbano e assetto del territorio è un processo che richiederà naturalmente tempo. Lo scopo delle strategie integrate deve essere quello di assicurare che ogni successiva fase che segue una modifica delle reti di trasporto o un piano di assetto o di riassetto urbano rappresenti un passo avanti nella giusta direzione. Alcune città europee hanno già compiuto progressi in questo senso, introducendo importanti politiche innovative per promuovere forme di trasporto più sostenibili. Ma in generale la maggior parte delle città rimane frenata dalla mancanza di competenze e risorse finanziarie, di volontà politica e di sufficiente comprensione e consenso da parte dei cittadini; a tutto questo si aggiunge la pressione competitiva ad attrarre nuovi sviluppi di tipo non sostenibile. Quello che occorre è un nuovo modello di cooperazione per avanzare verso una forma più policentrica di città future compatte e sostenibili. Il processo di transizione delle città ha bisogno di sostegno e incoraggiamento.

4.3.   Ai governi nazionali (e regionali) spetta un ruolo centrale nell'incoraggiare e consentire che a livello locale sia adottato il giusto tipo di azioni. Per i governi nazionali può essere talvolta necessario ristrutturare gli enti e gli organi locali o ridisegnarne i confini allo scopo di agevolare la creazione di strategie realmente integrate. Oppure essi possono richiedere ai diversi enti locali e ai ministeri coinvolti di collaborare in partenariato per lo sviluppo di strategie integrate o incoraggiarli in tal senso. Essi possono inoltre dover offrire incentivi, consolidare le conoscenze e le esperienze e assicurare il coordinamento delle politiche a tutti i livelli.

4.4.   I governi nazionali sono generalmente responsabili del quadro normativo di riferimento per la definizione dei piani di assetto territoriale e dei piani regolatori e forniscono gli strumenti attraverso i quali gli enti locali possono regolare i nuovi progetti edilizi in funzione di una strategia integrata.

4.5.   I governi nazionali sono in genere responsabili della definizione del quadro finanziario di riferimento per l'attività delle imprese di trasporto pubblico e spesso possono essere chiamati a fornire fonti di finanziamento per alcuni degli investimenti maggiori necessari. I governi nazionali controllano inoltre i regimi fiscali e i modelli di tassazione, gli oneri e le sovvenzioni che esercitano un impatto determinante sulle decisioni individuali e collettive in materia di assetto del territorio, sviluppo e trasporto.

4.6.   Ma soprattutto i governi nazionali devono svolgere un ruolo chiave nel richiamare l'attenzione della cittadinanza sulle minacce derivanti dai cambiamenti climatici e dall'esaurimento delle risorse e sull'esigenza di agire in maniera molto più urgente e incisiva per mutare le abitudini di trasporto e di viaggio. È necessario che tutti i governi europei elaborino strategie o quadri globali per integrare le politiche dell'assetto territoriale e dei trasporti nelle loro città.

5.   Azioni a livello europeo

5.1.   Finora la politica e gli interventi europei nel settore dei trasporti si sono concentrati sulla creazione ed espansione delle principali reti di trasporto che collegano le diverse parti d'Europa. I fondi regionali e di coesione hanno svolto un ruolo importante nello sviluppo di queste reti e in particolare nell'espansione delle maggiori infrastrutture stradali. In questo modo l'influenza europea ha avuto la tendenza a incoraggiare l'ulteriore espansione e dispersione di numerose grandi città europee e a rendere più difficile l'evoluzione verso modelli più sostenibili di trasporto urbano e di assetto del territorio.

5.2.   Più di recente, la Commissione ha raccolto la sfida di promuovere modelli più sostenibili di trasporto urbano. Essa ha evidenziato numerosi temi di fondo nel Libro verde sui trasporti urbani e nella relazione tecnica giustificativa sui piani di trasporto urbano sostenibile. L'UE ha fornito risorse per gli investimenti attraverso i fondi strutturali e il Fondo di coesione e attraverso la Banca europea per gli investimenti. L'UE ha incoraggiato altresì lo scambio di buone pratiche e ha erogato modesti sostegni finanziari per progetti di ricerca, sviluppo e dimostrazione, ad esempio nell'ambito del programma Civitas. Queste attività sono state utili e potrebbero essere proseguite e ampliate proficuamente, ma non sono assolutamente sufficienti a determinare una trasformazione vera e propria.

5.3.   Le nuove sfide che nascono dai cambiamenti climatici e la necessità di intervenire con urgenza su tutti i fronti per limitare le emissioni di CO2 evidenziano ormai l'esigenza crescente di un nuovo impegno collettivo a livello europeo. Soltanto un'iniziativa europea importante può imprimere l'accelerazione necessaria al passaggio a un migliore coordinamento dei modelli sostenibili di trasporto e assetto territoriale per il futuro.

5.4.   Le competenze dell'UE in materia sono ovviamente limitate e l'applicazione del principio di sussidiarietà significa che la maggior parte delle responsabilità primarie per i trasporti locali e la pianificazione del territorio continueranno a risiedere a livello locale e nazionale. Il Comitato ritiene tuttavia che vi siano margini per un sensibile rafforzamento delle attività europee al fine di incoraggiare e avviare azioni a livello nazionale e locale, tenendo conto in particolare del ruolo di primo piano che l'UE riveste nella lotta contro i cambiamenti climatici e nel promuovere la riduzione delle emissioni di CO2.

5.5.   Il Comitato approva le raccomandazioni formulate recentemente dal Parlamento europeo e dal Comitato delle regioni per conferire maggiore incisività al ruolo dell'Europa in questo campo. Il Comitato invita la Commissione ad adottare subito un approccio articolato in cinque linee d'intervento nell'ambito di un nuovo piano d'azione:

5.6.   A. Intraprendere un nuovo importante sforzo di ricerca sulle interazioni tra l'assetto territoriale urbano e i trasporti

Con il IV e V Programma quadro di RST, l'UE ha dimostrato una tradizione lunga e di alto profilo nel campo dei progetti di ricerca sull'interazione tra i trasporti urbani e l'assetto del territorio (come viene documentato ad esempio nel libro Land Use and Transport: European Research: Towards Integrated Policies a cura di Marshall e Banister, Londra/Amsterdam, Elseviers, 2007). Questa tradizione di ricerca è stata però interrotta nel VI e VII Programma quadro. I cambiamenti climatici e la scarsità di energia che si prospetta per il futuro comportano nuove sfide per la pianificazione urbana e richiedono programmi di ricerca orientati agli interventi, atti a fornire ai decisori informazioni affidabili sui possibili effetti di eventuali strategie integrate per far fronte all'aumento dei costi dell'energia e per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra che l'UE si è prefissata. È necessario pertanto rivedere e aggiornare i risultati degli studi precedenti alla luce di questa probabile mutazione sostanziale del contesto. Un'analisi urgente si impone in particolare per le seguenti questioni politiche:

adattamento ai cambiamenti climatici: quali combinazioni di politiche dei trasporti e di assetto territoriale sono necessarie e fattibili per ridurre i prevedibili rischi derivanti dai cambiamenti climatici, come alluvioni, frane, tempeste improvvise, ondate di caldo ecc.?

contenimento dei cambiamenti climatici: quali combinazioni di politiche dei trasporti e di assetto territoriale offrono le maggiori probabilità di consentire al settore dei trasporti di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra che l'UE e gli Stati membri si sono prefissati per il 2020 e il 2050, con il minore impatto possibile sull'economia, l'equità sociale e la qualità della vita?

accesso ai servizi di base e alla vita sociale: quali combinazioni di politiche dei trasporti e di assetto territoriale sono più idonee per raggiungere standard minimi di accesso, con i trasporti pubblici, ai servizi di base (sanità, vendita al dettaglio, istruzione) e alla vita sociale (tenendo conto in particolare delle esigenze degli anziani, dei disabili e delle famiglie a basso reddito) a fronte dell'invecchiamento e del calo demografico, da un lato, e dei rincari energici dall'altro?

5.7.   B. Definire una serie concordata di indicatori che attestino i progressi compiuti da un'area urbana verso la sostenibilità dei trasporti

Questi indicatori potrebbero ad esempio comprendere il rapporto tra tutti i tragitti compiuti attraverso forme di mobilità sostenibile (a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici) e i trasporti privati. Essi potrebbero includere inoltre le dimensioni dei bacini di utenza di tutti i vari servizi (scuole, ospedali, uffici pubblici e centri commerciali) e le modalità con le quali detti bacini potrebbero essere ridotti nel tempo, promuovendo strutture locali di minori dimensioni e mantenendo unità decentrate di servizi pubblici, raggiungibili con tragitti più brevi.

5.8.   C. Avviare una revisione su scala europea delle prassi attualmente in uso in materia di trasporto urbano e assetto territoriale

L'obiettivo principale dovrebbe essere quello di identificare gli strumenti istituzionali, legislativi e finanziari più utili per la transizione verso una mobilità e un assetto territoriale sostenibili. La revisione potrebbe comprendere in particolare alcune delle idee più nuove e controverse quali:

sistemi di pedaggio stradale urbano e di posteggi a pagamento o restrizione degli spazi di parcheggio nei centri urbani,

schemi per finanziare lo sviluppo di sistemi soddisfacenti di trasporto pubblico e sostenere la loro operatività,

sistemi che richiedano ai costruttori di importanti strutture ad accesso pubblico di assicurare collegamenti adeguati ai sistemi di trasporto pubblico e di ridurre le aree adibite al parcheggio di veicoli privati,

sistemi rivolti a imporre ai costruttori pubblici e privati di tenere conto dell'impatto dei trasporti nell'allestimento dei propri progetti futuri ed eventualmente ad addebitare ai costruttori e ai gestori di strutture di grandi dimensioni l'impatto aggiuntivo in termini di spostamenti e di emissioni di carbonio che le loro decisioni determinano per le comunità locali.

5.9.   D. Elaborare un quadro europeo in materia di sostenibilità dei trasporti urbani e dell'assetto territoriale

Tale quadro potrebbe comprendere i seguenti elementi:

orientamenti per la definizione delle strategie nazionali degli Stati membri volte a promuovere la sostenibilità del trasporto urbano e dell'assetto territoriale; ogni strategia nazionale dovrebbe imporre agli enti locali responsabili dell'assetto territoriale, dei trasporti e delle strade (e ad altri organi pubblici competenti) di lavorare insieme per produrre piani locali di assetto territoriale e trasporto sostenibile per ogni città e grande agglomerato urbano,

linee guida che definiscono le buone pratiche e i parametri di riferimento per lo sviluppo di strategie locali, compresi i dispositivi per la consultazione ampia e sistematica del pubblico e di tutte le parti interessate, al fine di creare una solida consapevolezza dei cittadini riguardo i cambiamenti necessari e un consenso più largo possibile sulle vie da seguire,

indicatori per misurare i progressi compiuti verso la sostenibilità e per valutare il contributo dato da varie città e regioni alla riduzione delle emissioni di carbonio attraverso le soluzioni più sostenibili,

disposizioni che disciplinano l'erogazione di finanziamenti a livello europeo o a livello nazionale per gli investimenti necessari all'attuazione delle strategie individuate; il Comitato ritiene che il programma Civitas, nel cui quadro sono state sostenute alcune eccellenti iniziative, debba essere potenziato.

5.10.   E. Rivedere le altre normative europee e i programmi di spesa che interessano i trasporti e l'assetto territoriale

Buona parte della spesa erogata dall'UE nel settore dei trasporti è stata orientata, nell'interesse della crescita economica, all'ampliamento delle infrastrutture stradali, ferroviarie e aeroportuali, senza che ne sia stato adeguatamente valutato l'impatto in termini di emissioni di CO2 e di sostenibilità. Sarebbe opportuno riesaminare il bilancio di questi programmi, introdurre una valutazione sistematica dell'impatto di tali investimenti in termini di emissioni di carbonio e riorientare i programmi in modo tale che essi sostengano maggiormente i trasporti pubblici, le reti ferroviarie e il trasporto urbano sostenibile, e non promuovano invece un'ulteriore espansione dei trasporti di lunga distanza che sono causa di elevate emissioni di CO2.

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La competitività delle industrie europee del vetro e della ceramica, con particolare riferimento al pacchetto clima ed energia dell'Unione europea

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza ceca)

(2009/C 317/02)

Relatore: Josef ZBOŘIL

Correlatore: Tomasz CHRUSZCZOW

Con lettera del 10 dicembre 2008, Marek Mora, vice primo ministro facente funzione responsabile per gli Affari europei, a nome della presidenza ceca, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

La competitività delle industrie europee del vetro e della ceramica, con particolare riferimento al pacchetto clima ed energia dell'Unione europea.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZBOŘIL e dal correlatore CHRUSZCZOW.

Alla sua 445a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Le industrie del vetro e della ceramica dell'Unione europea sono una componente essenziale della struttura economica della Comunità e forse una delle sue realtà industriali più antiche, con una storia che risale a circa 4 000 anni fa. Al momento, queste industrie devono far fronte a una serie di sfide alla loro competitività, prevalentemente dovute alla globalizzazione, alla crescente regolamentazione in materia ambientale e all'aumento dei costi dell'energia.

1.2.   Entrambi i settori sono ad alta intensità energetica, usano materie prime locali e i loro prodotti vengono in gran parte venduti all'interno dell'UE (tuttavia, il mercato dell'esportazione è particolarmente importante per il sottosettore del vetro per contenitori e per quello del vasellame, in quanto il vasellame è esportato in tutto il mondo e gli imballaggi in vetro sono utilizzati per gran parte delle esportazioni di prodotti europei di alta gamma). Insieme, essi hanno creato direttamente quasi mezzo milione di posti di lavoro e hanno contribuito indirettamente alla creazione di un numero di posti ben superiore a questo sia nel settore della fornitura delle materie prime, sia in quei settori (in particolare l'edilizia) che utilizzano i loro prodotti.

1.3.   Nell'attuale fase di sviluppo della Comunità, i loro prodotti risultano assolutamente indispensabili e non esistono in relazione ad essi molti materiali sostitutivi disponibili subito e che si possano considerare competitivi. Entrambi i settori sono esposti alla concorrenza dei paesi in via di sviluppo, che hanno potuto approfittare delle maggiori difficoltà che il contesto normativo comunitario comporta per le imprese.

1.4.   Se il riciclaggio dei prodotti in vetro avviene correttamente, l'energia necessaria a tale settore e le emissioni di CO2 che esso genera sono largamente compensate in termini di produzione di energia da fonti rinnovabili e di risparmio energetico. L'impiego dei prodotti in vetro, la cui durata d'uso può arrivare a 20 anni o più, è quindi fondamentale per raggiungere gli obiettivi ambientali che l'UE si è posta in materia di abitazioni, trasporti ed energia da fonti rinnovabili. Lo smaltimento finale, dopo ripetuti riciclaggi, avviene sempre a emissioni zero.

1.5.   Il CESE ritiene indispensabile affrontare i principali aspetti che incidono sulla competitività dei settori del vetro e della ceramica e fare in modo che il contesto imprenditoriale dell'UE possa offrire loro un sostegno maggiore, come raccomandato nelle rispettive analisi di settore (1). È necessario tenere conto delle specificità di entrambi i settori, vale a dire: la varietà di applicazioni e di utilizzi nonché delle gamme di prodotti, i benefici per l'ambiente, il livello di intensità energetica, il grado di concentrazione abbinato alla dimensione regionale, nonché la percentuale di PMI attive in ambedue i settori.

1.6.   Il principale e insostituibile punto di forza delle industrie del vetro e della ceramica è rappresentato dalla loro manodopera esperta e specializzata, che è il frutto di una lunga tradizione industriale e artigianale, di una istruzione e formazione di qualità, nonché del patrimonio culturale e sociale delle rispettive zone geografiche e comunità. Tutte le strategie dovrebbero tenere conto di questo dato di fatto: invece nella pratica, purtroppo, l'impatto che talune di esse possono avere su questa preziosa risorsa culturale e storica è spesso sottovalutato, se non addirittura ignorato.

1.7.   A prescindere dall'attuale contrazione economica, è necessario concentrarsi sugli aspetti cruciali per mantenere e rafforzare la competitività di entrambi i settori, giacché si tratta di elementi sistematici, non connessi alla crisi.

1.8.   In primo luogo, entrambi i settori andrebbero sostenuti nella loro spinta verso l'innovazione, poiché ciò aiuterà le loro rispettive industrie a rafforzare la loro posizione di mercato, a migliorare le loro prestazioni ambientali e, naturalmente, a dare un contributo maggiore alle iniziative e agli interventi volti ad attenuare gli effetti del cambiamento climatico in tutta la società.

1.9.   Pertanto, nell'ottica della prestazione ambientale di questi settori e del loro atteso contributo agli sforzi per frenare il cambiamento climatico, la loro eventuale inclusione nel sistema di scambio delle quote d'emissione (sistema ETS) dell'UE dovrebbe essere sostanzialmente valutata in modo corretto, tenendo conto delle analisi sul ciclo di vita dei prodotti dei due settori nel loro complesso, i cui benefici in campo ambientale superano di gran lunga il relativo impatto. In sintesi, per l'intero periodo di scambio fino al 2020 tutte le industrie di trasformazione dovrebbero venire esentate dal partecipare alle aste per l'acquisto di quote di emissione, il che eliminerebbe per queste industrie notevoli incertezze ed ostacoli sul piano degli investimenti. In questo modo, infatti, si potrebbe migliorare in misura significativa la posizione concorrenziale di entrambi i settori.

1.10.   L'impatto del pacchetto clima ed energia dell'UE sui prezzi dell'energia nelle industrie del vetro e della ceramica (che incide anche sui canali di fornitura a monte) dovrebbe essere quanto più possibile attenuato dalla presenza di mercati dell'energia ben funzionanti. A questo proposito, è fondamentale incoraggiare sia la concorrenza nei mercati dell'energia che lo sviluppo di una rete elettrica paneuropea che porti alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico nel lungo termine.

1.11.   Andrebbero ampiamente sostenuti gli sforzi tesi ad aumentare le percentuali di recupero e successivo riutilizzo del vetro, il che si traduce in vantaggi ambientali grazie al miglioramento dell'efficienza energetica e alla diminuzione delle emissioni di biossido di carbonio.

1.12.   Occorre garantire l'applicazione delle normative vigenti e, se necessario, introdurne di nuove volte a eliminare le pratiche commerciali sleali, come la contraffazione di modelli o marchi di fabbrica rinomati. Il concetto di «paese di origine» potrebbe contribuire a fornire una soluzione. Il CESE accoglie inoltre con favore le attività delle organizzazioni dei consumatori e ritiene che esse rappresentino un alleato naturale nella fabbricazione di prodotti dall'alto valore aggiunto. L'appoggio delle organizzazioni dei consumatori nell'UE - e anche nei paesi terzi - è estremamente benefico non soltanto per i consumatori, ma anche per le società che producono beni di alta qualità.

1.13.   Un ulteriore sostegno politico e un'azione congiunta a livello comunitario potrebbero rivelarsi utili al fine di:

rimuovere le barriere alle importazioni nei mercati dei paesi terzi,

migliorare l'accesso delle PMI a una corretta informazione sui mercati,

agevolare l'accesso al sistema di appalti pubblici nei mercati emergenti,

eliminare le barriere commerciali nei confronti delle materie prime provenienti dalla Cina,

promuovere nell'UE il riciclaggio in circuito chiuso degli imballaggi in vetro.

1.14.   L'eccellente prestazione ambientale di molti prodotti in vetro e in ceramica (materiali isolanti, finestre a doppi vetri, ecc.) dovrebbe essere promossa come un parametro di risparmio energetico per l'industria delle costruzioni dell'Unione europea. Inoltre, tali prodotti dovrebbero essere inclusi in ogni futuro trasferimento di tecnologia verso i paesi terzi caratterizzati da un alto potenziale di risparmio energetico. Si pensi, ad esempio, ai paesi dell'ex Unione Sovietica, dati i cambiamenti annunciati in materia di politica energetica. I progetti congiunti (come il meccanismo per lo sviluppo pulito) possono inoltre aiutare i produttori comunitari a compensare le loro emissioni di CO2.

1.15.   Gli incentivi dei governi degli Stati membri a favore dell'industria edilizia per incoraggiare il rendimento energetico ottimale degli edifici rappresentano lo strumento migliore per sostenere l'industria del vetro e contribuire al successo della politica sul cambiamento climatico.

1.16.   Il CESE raccomanda alle autorità competenti dell'UE di dare nuovo slancio all'iniziativa «legiferare meglio», che si è arenata senza aver prodotto risultati concreti (e di cui si avverte un grande bisogno). Inoltre, ogni nuovo atto normativo dovrebbe essere ponderato con molta più attenzione, esaminato con le parti interessate e sottoposto a una valutazione d'impatto assai più rigorosa, basata su dati fattuali e non su ipotesi infondate. Bisognerebbe ampliare il contesto imprenditoriale: qualsiasi ulteriore restrizione andrebbe contro i principi della sostenibilità.

2.   Introduzione: considerazioni sulla competitività

2.1.   Il presente parere esplorativo, che è stato elaborato su richiesta della presidenza ceca, esamina la questione della competitività dei settori del vetro e della ceramica, in quanto esempi particolarmente indicativi di industrie ad alta intensità energetica. Tale analisi, oltre a concentrarsi sull'impatto del pacchetto clima ed energia dell'UE, tiene anche conto di altri fattori che incidono sulla competitività delle industrie ad alta intensità energetica, in generale, e di quelle del vetro e della ceramica, in particolare.

2.2.   Su tale base, il CESE rivolge ai responsabili politici una serie di raccomandazioni sulle possibili modalità per regolamentare le suddette industrie, in modo da permettere loro di mantenere la loro posizione concorrenziale e di esercitare al tempo stesso tutti i loro effetti positivi nel quadro della politica dell'UE sul cambiamento climatico (cfr. la sezione precedente).

2.3.   La ceramica e il vetro sono materiali di base che - come l'acciaio, l'alluminio e altri metalli non ferrosi, i prodotti chimici, il cemento, la calce, la pasta di legno e la carta -, sono caratterizzati da un processo di produzione e trasformazione ad alta intensità energetica e costituiscono una base indispensabile per le catene del valore industriali (2).

2.4.   I fattori determinanti della competitività per le industrie ad alta intensità energetica possono essere sintetizzati come segue:

2.4.1.   Manodopera esperta e specializzata, derivante da una lunga tradizione industriale e artigianale, da una istruzione e formazione di qualità e dal patrimonio culturale e sociale delle rispettive aree geografiche e comunità. Tali valori sono spesso difficili da trasferire altrove.

2.4.2.   Innovazione tecnologica e innovazione di prodotto sostenibili. Si tratta di fattori indispensabili per ottenere un consumo efficiente di materiali ed energia nonché un buon livello di qualità, affidabilità, efficienza economica, durabilità, risultati ambientali, e così via.

2.4.3.   Disponibilità delle materie prime di base, preferibilmente all'interno dell'UE. Tuttavia, è fortemente auspicabile favorire anche l'importazione di materie prime, purché da regioni politicamente sicure e a costi di trasporto ragionevoli.

2.4.4.   Disponibilità dell'energia, comprese le fonti energetiche primarie. Tale disponibilità non può essere valutata unicamente sulla base dell'esistenza di una rete energetica e di una tariffazione efficiente: anche la sicurezza degli approvvigionamenti energetici è fondamentale. L'impronta energetica deve essere giudicata nell'ambito dell'intera catena del valore.

2.4.5.   Organizzazione competitiva dei sistemi di produzione e finanziamento oculato degli investimenti. Non si deve infatti dimenticare che, da un lato, le materie prime e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici sono le principali voci di costo delle industrie ad alta intensità energetica e rappresentano una percentuale piuttosto elevata dei costi totali. Dall'altro, tali industrie di solito operano con margini molto bassi e richiedono notevoli capitali. Tutto questo impone un'organizzazione dei sistemi di produzione altamente concorrenziale e un attento finanziamento degli investimenti.

Sostenibilità ambientale e quadro normativo in materia di energia e cambiamenti climatici. Le normative ambientali dell'UE per questo genere di industrie ad alta intensità energetica sono molto severe, per quanto negli ultimi venti anni le prestazioni ambientali di tali industrie siano straordinariamente migliorate e si possano attendere ulteriori graduali miglioramenti grazie all'attuazione della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento («direttiva IPPC»).

2.4.6.1.   Una particolare attenzione deve essere rivolta al pacchetto clima ed energia dell'Unione europea  (3), di recente adozione, che potrebbe compromettere gravemente la competitività delle industrie ad alta intensità energetica, come è stato generalmente riconosciuto dal CESE, dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo nei rispettivi documenti.

2.4.6.2.   Di recente, sia prima che dopo l'adozione del pacchetto, sono stati presentati numerosi studi d'impatto, da parte sia delle autorità che delle industrie interessate. Tali studi mostrano chiaramente che le industrie ad alta intensità energetica sono sensibili al fenomeno del carbon leakage (la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio) e che l'attuazione del pacchetto deve essere messa a punto con la massima cura per tener conto della contrazione economica e dei risultati dei negoziati della 15a conferenza sui cambiamenti climatici (COP-15), che si terrà a Copenaghen nel dicembre 2009.

2.4.6.3.   Le industrie dei materiali di base, comprese quelle del vetro e della ceramica, utilizzano perlopiù combustibili fossili e risentono dei costi delle diverse fonti energetiche in vari modi. Oltre ai combustibili fossili, tali industrie registrano anche un consumo piuttosto elevato di energia elettrica.

2.4.6.4.   Finora l'esposizione all'impatto finanziario dei provvedimenti in materia di cambiamento climatico è stata unilaterale, cioè limitata agli Stati membri dell'UE e alle attività produttive comunitarie: i paesi terzi, infatti, non prevedono il ricorso obbligatorio a strumenti analoghi al sistema ETS dell'UE. Anche in ambito comunitario, gli oneri gravano esclusivamente sugli impianti di produzione dell'energia elettrica e sulle industrie ad alta intensità energetica.

2.4.6.5.   Di fatto, le industrie europee ad alta intensità energetica hanno adottato un atteggiamento positivo nei confronti della politica in materia di cambiamento climatico e presentano una riduzione in termini assoluti delle emissioni di gas ad effetto serra del 6 % rispetto ai valori del 1990, pur a fronte di un aumento dei volumi di produzione. Ciò dimostra che si è verificato un reale disaccoppiamento fra emissioni e crescita economica. In compenso, non si tratta di un risultato ottenuto a basso costo e, qualora si decidesse di fissare nuovi obiettivi e meccanismi di riduzione, si dovrebbero prendere in seria considerazione i limiti fisici delle singole tecnologie del settore.

2.4.6.6.   Mentre il settore della produzione di energia elettrica può trasferire i costi delle misure relative al cambiamento climatico direttamente sulle tariffe applicate, le industrie ad alta intensità energetica non hanno questa possibilità: a causa della forte concorrenza internazionale da parte dei paesi terzi, tali settori non possono beneficiare né del trasferimento dei costi né di qualsiasi altro beneficio imprevisto.

2.4.6.7.   Pertanto, le industrie ad alta intensità energetica sono esposte all'impatto del sistema ETS a due livelli: in primo luogo, devono fare fronte in modo indiretto all'aumento dei prezzi dell'energia elettrica; in secondo luogo, devono assorbire i costi diretti legati al sistema ETS. È possibile che le decisioni adottate di recente dal Consiglio e dal Parlamento europeo possano in parte attenuare gli oneri derivanti dalla vendita all'asta delle quote di emissione: si tratterebbe comunque, a dire il vero, più che altro di uno slittamento di tali oneri al periodo successivo al 2020.

2.4.6.8.   Al fine di mantenere la loro competitività, negli ultimi venti anni le industrie ad alta intensità energetica hanno subito dei profondi mutamenti tecnologici: è grazie ad essi che la già citata riduzione del 6 % delle emissioni in termini assoluti ha potuto essere raggiunta mentre contemporaneamente il settore della produzione di energia elettrica ha fatto registrare un aumento delle emissioni. Pertanto, la decisione di fissare lo stesso anno di riferimento (il 2005) e gli stessi obiettivi di riduzione sia per le industrie di produzione dell'energia elettrica che per quelle ad alta intensità energetica accentua ulteriormente l'handicap di queste ultime. Dato infatti che, in termini di attività reali, tali industrie hanno già ottenuto prima del 2005 una riduzione in termini assoluti pari al 50 % rispetto alla base di riferimento fissata a Kyoto nel 1990, il nuovo sistema di scambio le obbligherebbe a ottenere un'ulteriore riduzione del 21 % rispetto ai valori del 2005. Una tale pressione finirà per penalizzare queste industrie «virtuose», obbligandole a limitare la loro crescita economica o addirittura a ridurre le loro attività economiche, spingendole alla fine a trasferire le proprie attività al di fuori dello spazio economico dell'UE.

2.4.6.9.   Non vi è dubbio che tale esposizione unilaterale può portare alla delocalizzazione e, dunque, anche al temuto fenomeno del carbon leakage. Se nel 2009 non si riuscirà ad adottare a livello internazionale un accordo post Kyoto realmente adeguato, nulla potrà modificare la situazione di vulnerabilità di tale settore industriale: né la contrazione economica e il conseguente potenziale accumulo delle quote di emissione risparmiate nell'ambito dell'attuale periodo di scambio, né il rinvio al periodo successivo delle quote messe all'asta.

3.   Le industrie europee del vetro e della ceramica: i principali fattori determinanti della loro competitività

3.1.   A grandi linee, il settore del vetro  (4) comprende le attività di produzione di vetro piano, vetro per imballaggio, vasellame (articoli in vetro per la casa), fibre di vetro e articoli specializzati. Nel 2007 il settore del vetro dell'Unione europea ha prodotto circa 37 milioni di tonnellate di diversi tipi di vetro, pari al 32 % della produzione mondiale, per un valore di circa 39 miliardi di euro. A partire dal 2000 la crescita della produzione nell'UE è stata piuttosto debole. In termini di volume, nel 2007 il vetro per imballaggio ha rappresentato il 58 % della produzione e il vetro piano il 27 %. Il vasellame ha rappresentato il 4 % della produzione, le fibre isolanti e di rinforzo hanno registrato volumi rispettivamente pari al 6 % e al 2 %, mentre gli articoli specializzati si sono attestati al 3 % della produzione del settore.

3.2.   In termini di localizzazione, gran parte delle industrie è ancora concentrata nell'UE 15 e, in particolare, in Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito: insieme, infatti, tali paesi hanno fornito il 68 % della produzione del 2007. Ai nuovi Stati membri si deve il 15 % della produzione, mentre i restanti paesi dell'UE 15 coprono il 17 %. La Germania è il maggior produttore assoluto mentre la produzione dell'UE 12 è concentrata in Polonia e nella Repubblica ceca. In Germania, Repubblica ceca e Polonia, il settore del vetro fa parte del patrimonio culturale locale per lunga tradizione; inoltre, i vetri a scopo ornamentale e i cristalli di alta qualità sono anche considerati prodotti artistici tradizionali.

3.3.   Dal 2000 la situazione occupazionale del settore del vetro dell'Unione europea ha mostrato una generale tendenza al peggioramento, determinata in prevalenza da una combinazione di esigenze di produttività, aumento dell'automazione, consolidamento del settore e concorrenza a basso costo. Nel 2007 il settore ha dato lavoro a 234 000 persone, di cui quasi il 40 % concentrato nell'UE 12: si tratta di un dato indicativo delle differenze esistenti fra l'UE 12 e l'UE 15 in termini di intensità di capitale e di manodopera. La maggior parte dei posti di lavoro dell'UE 12 è concentrato in Polonia e nella Repubblica ceca, che insieme arrivano a circa il 71 % degli occupati dell'UE 12. Sempre nel 2007, la produttività per posto di lavoro si è attestata a 160,5 tonnellate l'anno.

3.4.   La produzione del settore mostra livelli abbastanza elevati di concentrazione nell'ambito dei suoi principali sottosettori (vetro piano e da imballaggio), mentre la concentrazione negli altri sottosettori (articoli in vetro per la casa e cristallo) non è molto elevata. Questi ultimi sottosettori sono pertanto esposti a maggiori rischi (di mercato, finanziari, ecc.), dal momento che i produttori più piccoli risentono della mancanza di risorse, in particolare nell'attuale contesto imprenditoriale più severo.

3.5.   In generale, la maggior parte della produzione del settore è venduta all'interno della Comunità: i dati del 2007 parlano del 90,7 % (del volume), mentre sono stati esportati 3,496 milioni di tonnellate (pari a circa il 9,3 % della produzione totale). Gran parte del volume esportato ha riguardato articoli in vetro e cristallo per la casa (25,4 %) e articoli specializzati (38,6 %). Nel 2007 le esportazioni sono aumentate del 5,3 % mentre le importazioni hanno registrato una crescita annua del 35,8 %, superando il volume delle merci esportate (3,601 milioni di tonnellate per il 2007). Il prezzo medio del vetro esportato si è attestato a 1 780,1 euro a tonnellata: un livello decisamente più alto del prezzo del vetro importato, pari a 1 159,5 euro per tonnellata. I maggiori importatori per volume sono la Cina e Taiwan, ma sono in aumento anche i volumi importati da India, Turchia e Giappone. Dal 2004 a oggi le importazioni cinesi di vetro piano sono decuplicate.

3.6.   Per il settore del vetro dell'Unione europea il periodo 2007-2009 è un momento critico, poiché si sta assistendo a un rallentamento dell'attività economica, in conseguenza della stretta creditizia, e a una diminuzione della domanda. Il settore edilizio in particolare risulta vulnerabile, in quanto si è indebolita la fiducia e la capacità di spesa delle famiglie e la domanda di investimenti è frenata. Tale evoluzione ha ovviamente ripercussioni significative sull'industria del vetro: dato infatti che circa il 90 % dei prodotti di vetro sono destinati ai beni di consumo di produzione industriale (industrie automobilistiche e meccaniche, industrie elettrotecniche, industrie chimiche, industrie alimentari, ecc.) e al settore edilizio, la salute del settore dipende in larga misura dalla stabilità e dallo sviluppo di tali comparti.

3.7.   Questa situazione già complessa è destinata a inasprirsi a causa dell'aumento della capacità di produzione dei paesi limitrofi all'UE. Per il periodo 2004-2009 si prevede che diversi paesi - fra cui Russia, Ucraina, Bielorussia, Qatar, Emirati Arabi Uniti ed Egitto - contribuiranno ad aumentare tale capacità di 7,3 milioni di tonnellate. Gran parte di tale aumento interesserà il vetro piano e il vetro per imballaggio. Con una tale espansione, gli scambi commerciali continueranno verosimilmente ad aumentare e ciò renderà ancora più impellente la necessità, da parte dei responsabili politici, di garantire ai produttori comunitari di vetro la possibilità di operare a parità di condizioni.

3.8.   Il settore sta affrontando una serie di sfide in termini di competitività, molte delle quali determinate dalla globalizzazione, dalla crescente regolamentazione a livello ambientale e dall'aumento dei costi dell'energia. L'aumento dei prodotti in vetro a costo relativamente basso che vengono importati dalle economie emergenti è il segnale che il vantaggio concorrenziale del settore del vetro dell'UE sta diminuendo, in special modo sui mercati dei prodotti di valore inferiore.

Mentre infatti il settore europeo del vetro deve far fronte a normative ambientali che riguardano i consumi energetici, le emissioni di CO2, le misure preventive contro l'inquinamento, lo smaltimento dei rifiuti e diverse altre questioni, i produttori dei paesi terzi, e in special modo quelli dei paesi in via di sviluppo, sono soggetti a una legislazione ambientale molto meno severa e, quindi, a vincoli e costi inferiori in termini di produzione. In aggiunta a questa problematica, il settore è confrontato ai seguenti problemi di competitività:

3.9.1.   Pressioni per una riduzione dei costi a causa della domanda a valle. La pressione sui costi derivante dall'accresciuta concorrenza mondiale nei confronti delle industrie europee come in quella automobilistica, dell'elettronica di consumo, delle compagnie aeree e della vendita al dettaglio, può avere ripercussioni negative sul settore del vetro. Queste industrie sono tutte, in un modo o nell'altro, clienti diretti o indiretti dei produttori di vetro dell'Unione europea e quindi la globalizzazione determina un effetto a catena sul profilo della domanda in tale settore.

3.9.2.   Eccesso di capacità produttiva globale del settore. Il settore del vetro europeo presenta un eccesso di capacità in numerosi sottosettori, fra cui quello del vetro piano. Ciò può determinare ripercussioni negative sul settore stesso perché riduce i margini di profitto. D'altro canto, però, una volta superata la crisi, la ripresa della produzione in risposta alle esigenze della clientela dovrebbe essere più rapida.

3.9.3.   Pressioni al rialzo dei prezzi dell'energia (e dei fattori produttivi). A livello globale, l'aumento della domanda di energia incide sugli approvvigionamenti e sui costi a lungo termine. Si tratta di una minaccia grave per un settore che figura fra i primi in termini di intensità energetica e dove i costi energetici rappresentano una percentuale elevata dei costi di produzione totali. È fondamentale a tale proposito richiamare l'attenzione sul probabile effetto domino del pacchetto clima ed energia dell'UE. L'industria del vetro e della ceramica è chiamata ad assorbire il previsto aumento dei prezzi dell'energia nell'ambito delle sue attività: tale aumento è dovuto a una combinazione di fattori, fra cui il sistema di scambio delle quote di emissione, gli investimenti nelle capacità di produzione e nella rete di trasporto dell'energia, nonché l'esigenza di riservare alle fonti rinnovabili una quota più elevata nell'ambito del mix di produzione dell'energia. Inoltre, in linea con la tendenza dei prezzi dell'energia, potrebbero aumentare anche i prezzi delle principali materie prime, come la soda o la sabbia.

3.9.4.   Normative sulle condizioni di lavoro. Una serie di normative concernenti le condizioni di lavoro incidono sulle materie prime e sulle loro modalità di stoccaggio, gestione e utilizzo nella produzione. Molti dei paesi terzi sono invece soggetti a regolamentazioni meno severe e di conseguenza hanno costi di produzione inferiori. Ciononostante, gli operatori industriali dell'UE si fanno carico delle proprie responsabilità in questo campo.

3.9.5.   Le restrizioni commerciali e la contraffazione possono ostacolare le esportazioni verso i mercati dei paesi terzi. Molti mercati di esportazione impongono dazi sulle merci provenienti dall'Unione europea: è il caso ad esempio degli Stati Uniti, che impongono dazi molto elevati sui prodotti comunitari venduti sul loro territorio. La competitività di molti produttori comunitari di vetro ha inoltre subito gravi danni a causa della contraffazione di modelli comunitari da parte di aziende di paesi terzi. Attualmente ciò costituisce un problema grave per molti produttori e continuerà ad esserlo anche in futuro se il problema non verrà affrontato in modo adeguato e globale. Al contempo, però, le industrie che si occupano del design ricevono aiuti grazie ad iniziative come quella della Commissione denominata China IPR SME Helpdesk, che prevede un'assistenza sotto forma di materiale formativo personalizzato, di seminari e di una consulenza diretta puntuale sulle problematiche concernenti i diritti di proprietà intellettuale.

3.10.   Per quanto riguarda il settore UE della ceramica  (5), nel 2006 esso ha fabbricato e venduto prodotti di varia natura per un valore pari a circa 39 miliardi di euro. Negli ultimi anni però la crescita della produzione è stata molto modesta. I due principali sottosettori sono quello delle piastrelle per pavimenti e rivestimenti e quello dei mattoni e delle tegole. Assieme a quello delle tubazioni in argilla vetrificata, detti sottosettori costituiscono il gruppo «materiale da costruzione» che rappresenta, in termini di valore della produzione, il 60 % dell'industria ceramica. I prodotti refrattari, il vasellame e gli articoli di arredamento, la ceramica sanitaria e quella tecnica rappresentano rispettivamente, in termini di valore della produzione, il 13 %, il 9 %, il 10 % e il 5 %. I maggiori paesi produttori sono Germania, Regno Unito, Spagna e Italia. La Germania e il Regno Unito sono i produttori principali nella maggior parte dei sottosettori, mentre l'Italia e la Spagna sono importanti centri di produzione di piastrelle in ceramica, di mattoni e tegole, nonché - anche se in minor misura - di sanitari. Per quanto concerne i nuovi Stati membri dell'UE, la produzione sembra concentrata nella Repubblica ceca, in Polonia e in Ungheria, tutti paesi che vantano un settore della ceramica forte e una tradizione di esportazioni verso altri Stati dell'Unione europea. Globalmente, tuttavia, il peso dei nuovi Stati membri nel settore della ceramica dell'UE è relativamente limitato.

3.11.   Vale la pena ricordare che, sebbene la maggior parte dei fattori che caratterizza il settore del vetro e incide su di esso interessi anche quello della ceramica, tra i due settori rimane una differenza significativa. Mentre infatti il settore del vetro manifesta in generale un'elevata concentrazione, quello della ceramica presenta solo un numero molto ridotto di grandi impianti di produzione concentrati e integrati.

3.12.   A partire dal 2000 la situazione occupazionale del settore della ceramica ha mostrato una generale tendenza al peggioramento, a causa soprattutto di una combinazione di più forti esigenze di produttività e di un aumento della concorrenza a basso costo. Nel 2006 il settore ha dato lavoro a 330 000 persone, il che corrisponde a una leggera flessione rispetto ai 360 000 occupati del 2005. La maggior parte dei posti di lavoro si concentra nell'ambito della produzione di piastrelle per pavimenti/rivestimenti e di mattoni/tegole. Nel 2006 questi due sottosettori hanno complessivamente rappresentato il 52 % circa dei posti di lavoro nell'industria della ceramica, seguiti dal sottosettore del vasellame e degli articoli di arredamento (22 %).

3.13.   Normalmente, circa il 20-25 % della produzione di ceramica dell'UE (più del 30 % nel caso delle piastrelle per pavimenti e rivestimenti) è esportata al di fuori dell'Unione. La penetrazione delle importazioni varia dal 3-8 % nel caso, ad esempio, delle piastrelle per pavimenti/rivestimenti e dei prodotti refrattari, fino ad arrivare a oltre il 60 % per il vasellame e gli articoli di arredamento. I maggiori mercati d'esportazione sono gli Stati Uniti, seguiti dalla Svizzera e dalla Russia. Di recente, si è manifestata una tendenza al peggioramento della bilancia commerciale, principalmente a causa dell'aumento della concorrenza a basso costo nei mercati dell'UE proveniente da Cina e Turchia, del persistere delle restrizioni di accesso verso alcuni mercati di paesi terzi e del graduale apprezzamento dell'euro, dal 2000 a oggi, rispetto alla maggior parte delle valute. Di conseguenza, gli scambi commerciali e, in particolare, le ragioni di scambio per gli esportatori comunitari sono divenuti per il settore problematiche fondamentali.

3.14.   Come quello del vetro, anche il settore comunitario della ceramica deve far fronte a una serie di sfide in termini di competitività, molte delle quali determinate dalla globalizzazione e dalla crescente regolamentazione in campo ambientale.

3.15.   In alcune categorie di prodotti, in special modo in quella del vasellame, il vantaggio concorrenziale dell'UE, basato sull'innovazione e il design, è sempre più eroso per effetto delle esportazioni a prezzo ridotto riversate dalle economie emergenti verso l'UE e verso altri importanti mercati. Tuttavia, l'Unione europea continua a essere uno dei principali attori mondiali in molti sottosettori, particolarmente in quello della produzione di piastrelle per pavimenti e rivestimenti.

3.16.   Il secondo principale fattore di competitività cui il settore europeo della ceramica deve far fronte è rappresentato, in generale, dall'aumento della regolamentazione e dei controlli in campo ambientale, ma in particolare dall'onere conseguente al sistema ETS. Sebbene il costo dell'energia rappresenti in media il 30 % dei costi di produzione nell'industria della ceramica, le emissioni di CO2 per tonnellata sono basse. A questo settore è riconducibile oltre il 10 % di tutti gli impianti industriali nel quadro del sistema ETS, ma meno dell'1 % delle emissioni industriali di CO2. Con l'adozione della nuova direttiva sul sistema ETS, in detto sistema dovrebbero rientrare nel 2013 circa 1 800 stabilimenti ceramici, che rappresenteranno meno dell'1,5 % delle emissioni industriali di CO2 comprese nel sistema ETS. È importante sottolineare che gli stabilimenti per la fabbricazione di prodotti ceramici sono generalmente piccoli; ogni anno, il 40 % di questi stabilimenti emette meno di 25 000 tonnellate di CO2 e il 70 % di essi meno di 50 000 tonnellate di CO2.

3.17.   Le strutture dei costi delle aziende produttrici di ceramica, che sono ad alta intensità energetica, sono penalizzate dall'aumento dei prezzi dei fattori produttivi: un tratto distintivo di alcuni sottosettori è la loro forte dipendenza da una serie di materie prime grezze importate in percentuali sempre maggiori dai paesi terzi. L'analisi dimostra come la scarsa competitività in termini di fattori produttivi, in special modo per quanto attiene ai mercati energetici, stia ostacolando la competitività complessiva dei produttori comunitari del settore.

3.18.   Il principale problema in termini di competitività per il settore comunitario della ceramica è rappresentato dal brusco incremento dei volumi dei prodotti importati da paesi terzi caratterizzati da normative ambientali meno rigide e da leggi più permissive in materia di salute e sicurezza. Il grado relativamente elevato di rigore della regolamentazione comunitaria ha fatto sì che i produttori europei non siano più in grado di competere in condizioni di parità nel contesto mondiale e ciò ha prodotto una serie di sfide concorrenziali ma anche una diversa gamma di prospettive in termini di competitività.

3.19.   In tale contesto, la struttura dei costi dell'industria della ceramica (vale a dire, notevoli spese per l'energia e la manodopera), la redditività relativamente bassa del settore e la crescente concorrenza sia all'interno dell'UE che nei mercati di esportazione renderanno molto difficile per i produttori ceramici trasferire sui consumatori i costi addizionali legati alle quote di emissione di CO2. Inoltre, le tecnologie e le tecniche impiegate nella produzione di oggetti in ceramica volte a ridurre al minimo l'uso di energia nelle fornaci sono già assai progredite e, di conseguenza, rilevanti aumenti dell'efficienza energetica appaiono improbabili nel prossimo futuro.

3.20.   Il settore della ceramica necessita di manodopera altamente qualificata e deve poter disporre degli strumenti e delle competenze necessari per consentire l'utilizzo delle tecnologie e la cooperazione fra i diversi comparti, a prescindere dalla loro localizzazione. Ciò costituisce una sfida sia per le PMI in cerca di opportunità a livello mondiale sia per le grandi aziende che operano in diversi paesi, come è il caso del sottosettore della produzione di mattoni. La base delle competenze può essere migliorata prestando una particolare attenzione all'apprendimento permanente, rendendo il settore più appetibile e organizzando programmi di formazione mirati.

4.   In che modo le industrie del vetro e della ceramica possono contribuire alla sostenibilità dell'UE, in particolar modo alla luce dell'agenda della conferenza di Copenaghen?

4.1.   Considerando il concetto di sostenibilità nel suo insieme, sarebbe opportuno valutare i punti di forza e di debolezza delle industrie del vetro e della ceramica. Entrambi i settori si basano sulla disponibilità a livello nazionale e locale di risorse minerali in quantità sufficienti a garantire la loro longevità sia nello spazio economico comunitario che a livello globale. Entrambi i settori sono riusciti a gestire in ampia misura il loro impatto ambientale e non sono fonte di particolari rischi per la salute umana, sia per i lavoratori che impiegano che per il pubblico in generale.

4.2.   Al momento non dovremmo aspettarci per nessuno dei due processi di produzione significativi passi in avanti in termini di innovazione. La fusione del vetro e la cottura della ceramica avvengono a temperature molto elevate, il che significa che esistono limiti fisici alla possibile riduzione delle emissioni di biossido di carbonio, limiti a cui entrambi i settori si stanno rapidamente avvicinando. Purtroppo di tali limiti non si è tenuto conto in sede di revisione del sistema comunitario di scambio delle quote di emissione, poiché i settori non erano stati inclusi tra le industrie caratterizzate da una alta intensità energetica e da un livello di emissioni strettamente legato alle loro tecnologie di produzione.

4.3.   Le tecnologie e i sistemi di lavorazione impiegati nei settori in esame sono comunque all'avanguardia in termini di consumi energetici e d'intensità di carbonio. Si può dunque affermare che entrambi i settori non rappresentano un problema a livello dei cambiamenti climatici, ma piuttosto una parte integrante della loro soluzione. Il settore del vetro, ad esempio:

contribuisce a ridurre le emissioni di biossido di carbonio attraverso i risparmi energetici derivanti dal suo utilizzo come isolante,

contribuisce alla produzione di energia rinnovabile da fonti prive di carbonio,

produce emissioni di biossido di carbonio nettamente inferiori ai vantaggi che consente in termini di riduzione delle emissioni stesse e,

permette diversi altri vantaggi sociali, ad esempio in ambito sanitario e in quello della conservazione dei cibi, tali da renderlo sostenibile.

4.4.   Il vetro rientra tra i materiali caratterizzati da un'altissima percentuale di riciclaggio. Normalmente, già il processo produttivo prevede dei cicli di recupero e, per certi aspetti, si tratta di una tecnologia che non produce scarti. Il vetro di recupero rappresenta una parte consistente del materiale utilizzato per la fabbricazione, in primo luogo, del vetro per imballaggio. La sua riciclabilità non ha alcun limite fisico in termini di ciclo di vita. Nel 2007 i sistemi di riciclaggio realizzati in tutta l'Europa hanno raggiunto un tasso di riciclaggio del 62 % per il vetro da imballaggio. Aumentando la percentuale di recupero e l'uso del vetro riciclato sarebbe possibile migliorare le prestazioni ambientali del comparto in tre modi: (1) elevandone l'efficienza energetica - se si aumenta dell'1 % la percentuale di vetro riciclato si riducono i consumi energetici dello 0,25 % -, (2) diminuendo le emissioni di biossido di carbonio - se si aumenta dell'1 % la percentuale di vetro riciclato si riducono le emissioni di CO2 dello 0,47 % - e (3) facendo meno uso di materie prime - se si utilizza 1 tonnellata di vetro riciclato per produrre nuovo vetro si risparmiano 1,2 tonnellate di materie prime grezze -.

4.5.   Concretamente, i prodotti di vetro possono contribuire a ridurre i consumi di energia e, dunque, le emissioni di CO2, ad esempio nel campo dell'edilizia, utilizzando negli edifici delle fibre di vetro come isolanti o delle vetrate a bassa emissività. Gli isolanti per pareti e per tetti potrebbero ridurre le emissioni di 460 milioni di tonnellate l'anno (un valore superiore agli impegni totali assunti dall'UE nel quadro del protocollo di Kyoto). Se ad esempio nell'Unione europea tutte le vetrate singole/doppie venissero sostituite da vetrate doppie/triple a bassa emissività, si potrebbe evitare l'emissione di 97 milioni di tonnellate di CO2 l'anno. Questo valore corrisponde a 21 milioni di TEP (tonnellate di equivalente petrolio), oppure al consumo energetico annuale di edifici che ospitano complessivamente 19 milioni di persone. Le fibre di vetro utilizzate per rinforzare la plastica delle turbine eoliche e i materiali di vetro impiegati nel settore automobilistico, ad esempio per ridurre il fabbisogno energetico attraverso l'abbassamento dei requisiti di condizionamento dell'aria, sono altre applicazioni che determinano una riduzione delle emissioni di CO2.

4.6.   Secondo le previsioni, nei prossimi dieci anni le tecnologie solari raggiungeranno un'enorme diffusione; già ora il vetro svolge un ruolo centrale nell'ambito dei materiali trasparenti per i sistemi fotovoltaici e gli impianti solari a concentrazione, compresi i camini solari, gli impianti di produzione di biocombustibili a tecnologia solare, i sistemi fotocatalitici a irraggiamento solare, gli impianti di depurazione e di desalinizzazione solare dell'acqua. Queste applicazioni permettono una rapida compensazione delle emissioni di gas serra e sono compatibili con i principi dell'energia sostenibile. I singoli sottosettori di questo comparto sono fondamentali per la promozione e lo sviluppo di tali applicazioni e, dal punto di vista sia della ricerca sia della produzione, è quindi estremamente importante che la loro ubicazione rimanga nei paesi dell'UE.

4.7.   Le emissioni di gas ad effetto serra imputabili al settore del vetro e a quello della ceramica sono pari, rispettivamente, a 20 e a 27 milioni di tonnellate l'anno. In ambedue i settori le potenzialità intrinseche di riduzione di tali volumi sono molto limitate. Ciò significa che l'inclusione dei settori del vetro e della ceramica nel sistema di scambio delle quote di emissione dell'UE è poco conveniente sia dal punto di vista fisico che da quello economico e, per giunta, rischia di compromettere le potenziali riduzioni dei gas ad effetto serra. Le stime relative al settore sono analoghe a quelle che si possono presentare per quasi tutti i settori industriali di base ad alta intensità energetica e sarebbe opportuno evitare costi eccessivi nel momento in cui si deciderà sulla questione del carbon leakage e sull'assegnazione delle quote in base ai parametri di riferimento per il terzo periodo di scambio. È necessario definire parametri di riferimento distinti che permettano di tenere conto delle differenze esistenti tra i vari settori e sottosettori. Essi dovrebbero riflettere le differenze a livello di tecniche di produzione, di fabbisogno energetico e di potenzialità fisiche degli impianti per quanto riguarda la riduzione delle emissioni.

4.8.   A causa della scarsa concentrazione, dell'ampia gamma di prodotti e del basso livello qualitativo delle statistiche pubbliche disponibili, una corretta attuazione del sistema ETS si rivelerà molto problematica per l'industria della ceramica. Per quanto riguarda la valutazione della sensibilità di questa industria al fenomeno del carbon leakage, il problema della disponibilità e coerenza dei dati può essere risolto soltanto aggregando i dati pertinenti al livello di tre cifre (NACE rev. 2-2008). A questo livello di aggregazione si può dimostrare che il fenomeno della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio si ripercuote su tre sottosettori dell'industria della ceramica, vale a dire i «prodotti refrattari» (NACE 23.2), i «materiali da costruzione in terracotta» (NACE 23.3) e gli «altri prodotti in porcellana e in ceramica» (NACE 23.4).

4.9.   Il settore della ceramica non ha le stesse potenzialità del settore del vetro in termini di riduzione dei gas a effetto serra, anche se non si possono dimenticare le proprietà di isolamento termico dei mattoni, delle tegole e delle fibre minerali moderne. Il settore costituisce tuttavia un buon esempio di consumo e produzione sostenibili, grazie alle proprietà intrinseche che caratterizzano i suoi prodotti, quali durata e igiene, oltre al valore estetico. Una volta prodotta, la maggior parte dei manufatti di ceramica ha una vita potenzialmente lunga e in molti casi non richiede alcun tipo di manutenzione.

4.10.   Nell'ambito dell'industria della ceramica esiste poi un sottosettore molto importante: si tratta del settore di produzione dei materiali refrattari. Questi materiali sono indispensabili per molte industrie che operano ad alte temperature: la siderurgia, il settore del vetro, nonché quello della calce e del cemento. Questi prodotti chimici non potrebbero esistere senza i materiali refrattari ad alte prestazioni che consentono l'uso delle tecnologie più efficienti nell'ambito dei rispettivi settori di produzione.

4.11.   Per migliorare il grado di competitività, in generale, e di efficienza energetica e prestazioni ambientali, in particolare, è importante soprattutto che l'attività di ricerca e sviluppo sia vasta ed efficace. Questo vale senz'altro per tutti i settori del vetro e della ceramica, ma ancora di più per il sottosettore dei vetri speciali, che in genere è quello che destina la percentuale più alta delle entrate all'innovazione a causa della rapida evoluzione che caratterizza il suo tipo di prodotti. Sebbene non si tratti di uno dei sottosettori principali in termini di volumi di produzione e numero di occupati, per il suo sviluppo è di estrema importanza che esso rimanga ubicato nei paesi dell'UE.

4.12.   A breve termine, le rigide normative in materia d'ambiente e d'energia, come anche l'assenza di condizioni paritarie a livello internazionale, determineranno enormi pressioni sulle PMI dell'Unione europea e ridurranno considerevolmente i finanziamenti privati per gli investimenti nell'innovazione e per la R&S. D'altro canto, però, le normative ambientali costituiscono anche un incentivo a investire in ricerca e sviluppo, allo scopo di migliorare l'efficienza energetica e limitare la dipendenza dalle fonti energetiche tradizionali. Ciò potrebbe determinare una diminuzione della percentuale dell'energia nell'ambito dei costi di produzione totali. Si tratta però di effetti a lungo termine, che richiederanno importanti iniziative e assunzioni di rischio a livello imprenditoriale.

4.13.   Sinora i recenti requisiti normativi e gli standard più severi hanno condotto a un aumento dell'innovazione in termini di efficienza energetica e a un'ottimizzazione dei prodotti sotto il profilo ambientale, sanitario e della sicurezza. Sono state altresì sviluppate nuove tecniche di riciclaggio, anche se nel caso della ceramica la possibilità di ulteriori progressi in materia è piuttosto limitata a causa della natura stessa del prodotto.

4.14.   Proseguendo le attività di ricerca, si potrebbe rendere la ceramica più attraente come prodotto alternativo più «pulito». Un esempio di nuovo prodotto è il blocchetto di argilla con una maggiore capacità di isolamento termico, che è ad alta intensità energetica in fase di produzione e che può anche contribuire al risparmio energetico se utilizzato nel settore delle costruzioni. Un altro esempio potrebbe essere l'utilizzo della ceramica nelle automobili: in questo campo la ceramica potrebbe servire come tecnologia di supporto per molte componenti essenziali dei motori del futuro, grazie alla sua straordinaria resistenza al calore, all'usura e alla corrosione, al suo scarso peso e alle sue proprietà di isolamento termico ed elettrico. Le automobili del futuro potrebbero avere parti in ceramica nella struttura del motore, oltre che nell'ambito di applicazioni resistenti all'usura nei sistemi di alimentazione e all'interno dei componenti aggiuntivi delle punterie, quali le valvole e le sedi delle valvole. Le automobili del futuro potrebbero altresì utilizzare celle a combustibile di ceramica per raggiungere un funzionamento quasi senza emissioni.

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Vedi le note a piè di pagina nn. 4 e 5.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto dello sviluppo dei mercati dell'energia sulle catene del valore industriali in Europa, GU C 77 del 31.3.2009, pag. 88-95.

(3)  Vedasi il comunicato stampa della Commissione n. IP/08/1998 consultabile all'indirizzo http://europa.eu/rapid/.

(4)  FWC Sector Competitiveness Studies - Competitiveness of the Glass Sector (Contratto quadro per la realizzazione di studi settoriali sulla competitività - La competitività nel settore del vetro), ottobre 2008.

(5)  FWC Sector Competitiveness Studies - Competitiveness of the Ceramics Sector (Contratto quadro per la realizzazione di studi settoriali sulla competitività - La competitività nel settore della ceramica), ottobre 2008; Eurostat 2006.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nelle relazioni tra UE e Bosnia-Erzegovina

(parere esplorativo)

(2009/C 317/03)

Relatore: Patrik ZOLTVÁNY

Con lettera datata 2 settembre 2008, Margot WALLSTRÖM, vicepresidente della Commissione europea, e Olli REHN, commissario europeo per l'Allargamento, hanno invitato il Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'articolo 9 del protocollo di cooperazione fra il CESE e la Commissione europea, a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il ruolo della società civile nelle relazioni tra UE e Bosnia-Erzegovina.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore Patrik Zoltvány.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Principali raccomandazioni del parere

1.1.   Raccomandazioni alle istituzioni e agli altri organi dell'Unione europea:

incoraggiare il governo della Bosnia-Erzegovina ad elaborare una strategia per lo sviluppo della società civile (1),

accrescere il sostegno, anche finanziario, alle organizzazioni della società civile della Bosnia-Erzegovina, onde garantirne l'indipendenza nei confronti del governo e assicurare la sostenibilità dei loro progetti,

creare sistemi di sostegno finanziario più appropriati ed efficienti al fine di abbreviare le lunghe procedure applicative e decisionali. Ciò vale altresì per le nuove strutture create dalla Commissione europea per promuovere lo sviluppo e il dialogo della società civile. Tale sostegno dovrebbe essere reso disponibile per un'ampia gamma di organizzazioni interessate e soddisfarne le esigenze in maniera flessibile,

accelerare i negoziati sul regime di esenzione dal visto e sostenere attivamente il rispetto delle norme tecniche e di altro tipo,

operare una distinzione tra ONG e parti sociali per quanto concerne la creazione e l'adozione di strategie di sostegno,

sostenere programmi mirati di capacity building per le parti sociali onde rafforzarne le capacità in vista di un dialogo sociale efficace,

sostenere attivamente il dialogo sociale e civile in Bosnia-Erzegovina,

partecipare in qualità di intermediari attivi all'elaborazione di una nuova costituzione,

insistere affinché i testi ratificati a livello internazionale e la Costituzione della Bosnia-Erzegovina vengano applicati, e garantire che le organizzazioni dei sindacati e dei datori di lavoro possano essere registrate in base a norme giuridiche specifiche che consentano loro di funzionare efficacemente,

sostenere in maniera sistematica i progetti gestiti dalle organizzazioni della società civile e volti a promuovere il concetto di integrazione europea nella società nel suo insieme. Un dibattito sistematico sulle questioni riguardanti l'integrazione europea dovrebbe coinvolgere tutte le componenti della società, inclusa la società civile,

sostenere i progetti volti a trasferire know-how ed esperienze dagli Stati membri dell'UE alla Bosnia-Erzegovina. Il contributo dei «nuovi» Stati membri dell'Europa centrale e orientale potrebbe recare un effettivo valore aggiunto. Le istituzioni europee dovrebbero riconoscere maggiormente l'importanza delle «iniziative di gemellaggio» e garantire loro un maggiore sostegno. La struttura creata di recente per promuovere lo sviluppo e il dialogo della società civile può garantire il sostegno di tali attività,

mettere i rappresentanti della società civile organizzata bosniaca in condizione di recarsi in visita presso le istituzioni europee e consentire loro di partecipare gratuitamente a convegni e altri eventi organizzati dall'UE,

rafforzare il sostegno alle reti regionali di organizzazioni della società civile dei Balcani occidentali e sviluppare programmi regionali,

mantenere un dialogo sistematico con altri soggetti donatori al fine di offrire alle organizzazioni della società civile della Bosnia - e dei Balcani occidentali in genere - un'assistenza mirata, efficiente, efficace e tempestiva,

tenere regolarmente riunioni con i rappresentanti della società civile organizzata al fine di rispondere con maggiore flessibilità alle loro attese e ai loro bisogni.

1.2.   Intenzioni del Comitato economico e sociale europeo (CESE):

creare un comitato consultivo misto (CCM) tra il CESE e le organizzazioni della società civile della Bosnia-Erzegovina al fine di promuovere e sostenere il dialogo civile in quel paese,

partecipare attivamente al nuovo programma di dialogo People to People, gestito dalla DG Allargamento della Commissione europea: il CESE potrebbe preparare e organizzare visite di studio di rappresentanti delle organizzazioni della società civile bosniaca nell'Unione europea (e in particolare a Bruxelles),

mettere i rappresentanti della società civile organizzata bosniaca in condizione di recarsi in visita al CESE e di venire a conoscenza delle sue attività.

1.3.   Raccomandazioni alle autorità della Bosnia-Erzegovina:

sviluppare un contesto giuridico favorevole allo sviluppo della società civile, e quindi propizio anche alle organizzazioni datoriali e ai sindacati,

sviluppare una strategia di sviluppo della società civile: ciò getterebbe infatti le basi di una società civile solida, che a sua volta è una componente necessaria di una società democratica matura. Tale strategia dovrebbe essere sviluppata in stretta cooperazione con le organizzazioni della società civile,

mantenere sistematicamente il dialogo con i rappresentanti della società civile organizzata sulle questioni attinenti alle rispettive organizzazioni. Il governo dovrebbe adottare un approccio più inclusivo nei confronti della società civile,

introdurre incentivi, anche finanziari, di vario tipo per le organizzazioni della società civile, al fine di sostenerne lo sviluppo e garantire la sostenibilità della loro azione. Bisognerebbe sviluppare un sistema trasparente di sovvenzioni a carico del bilancio statale per le organizzazioni della società civile che ne fanno richiesta,

innalzare il livello del dialogo e della cooperazione con le autorità pubbliche, garantendo il riconoscimento delle organizzazioni della società civile,

risolvere il problema della registrazione della Confederazione dei sindacati della Bosnia-Erzegovina,

sostenere attivamente l'istituzione di un consiglio economico e sociale a livello statale, in linea con i progressi nella creazione di istituzioni di livello statale competenti sulle questioni economiche e sociali,

accelerare le attività volte a soddisfare le condizioni necessarie per beneficiare del regime di esenzione dal visto,

inserire l'educazione alla cittadinanza tra gli ambiti di attività della società civile.

1.4.   Raccomandazioni alle organizzazioni della società civile della Bosnia-Erzegovina:

stimolare gli approcci «dal basso» e l'auto-organizzazione della società civile, contribuendo così al senso di titolarità della società nel suo insieme nei confronti delle organizzazioni della società civile,

diffondere una maggiore consapevolezza riguardo al ruolo della società civile nel processo politico,

agevolare la creazione di reti e di partenariati, al fine di scambiare informazioni e condividere esperienze e know-how,

migliorare la conoscenza e la comprensione dell'integrazione, delle politiche e delle istituzioni dell'Unione europea,

accrescere l'attività di istruzione e formazione in seno alle organizzazioni della società civile,

stimolare il dialogo interetnico e interreligioso e accrescere il livello della cooperazione, la creazione di reti e i gemellaggi tra le organizzazioni della società civile.

2.   Contesto del parere

2.1.   Obiettivi dell'Unione europea nei Balcani occidentali

Le relazioni con i Balcani occidentali sono una delle maggiori priorità regionali della politica estera dell'Unione europea (UE). Il principale obiettivo dell'UE in questa regione è il miglioramento della stabilità e della prosperità regionale. La preparazione dei paesi dei Balcani occidentali all'adesione all'UE può essere considerata un obiettivo altrettanto importante, per conseguire il quale l'UE si avvale di specifici strumenti di preadesione.

Il processo di stabilizzazione e di associazione (PSA) è stato avviato per assistere i paesi della regione nel loro percorso di avvicinamento all'UE. In tale processo rientrano il dialogo politico, la concessione di importanti preferenze commerciali e l'assistenza finanziaria, nonché l'instaurazione di una relazione bilaterale completa con l'Unione europea destinata ad aiutare i paesi della regione a prepararsi per la futura adesione. Tra gli obiettivi del PSA figurano lo sviluppo della società civile e la democratizzazione, che dovrebbero contribuire alla stabilizzazione politica, economica ed istituzionale della regione. In tale contesto, la firma dell'accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) è considerata un passo importante verso l'adesione all'UE.

2.2.   Il Comitato economico e sociale europeo e i Balcani occidentali

Il Comitato economico e sociale europeo svolge un ruolo importante nel sostenere lo sviluppo della società civile nei Balcani occidentali. A tal fine, nel 2004 è stato creato il gruppo di contatto Balcani occidentali, che è l'unico organo permanente e specifico del CESE a occuparsi di questa regione. Il gruppo, che è uno dei numerosi organi comunitari che si occupano dei Balcani occidentali, si sforza di recare un proprio valore aggiunto alle iniziative comunitarie in materia.

L'obiettivo principale del CESE riguardo ai Balcani occidentali può essere così riassunto: monitorare i cambiamenti della situazione politica, economica e sociale nei paesi della regione e l'evoluzione delle relazioni UE-Balcani occidentali, con particolare attenzione all'attuazione dell'agenda di Salonicco e all'evoluzione del PSA; promuovere la cooperazione tra il CESE e le organizzazioni della società civile nei Balcani occidentali, nonché i consigli economici e sociali (CES) o istituzioni analoghe; incoraggiare e incrementare al massimo la condivisione delle migliori pratiche tra le organizzazioni della società civile dell'UE e i loro omologhi nei Balcani occidentali.

3.   Gli sviluppi politici in Bosnia-Erzegovina

3.1.   La situazione politica attuale

Il processo politico in Bosnia-Erzegovina risente ancora dell'eredità della guerra ed è influenzato dall'attuazione dell'accordo di Dayton, che ha sancito la nascita dello Stato indipendente della Bosnia-Erzegovina nella sua forma attuale. Le diverse forze politiche si adoperano per trarre profitto dall'assetto costituzionale definito da questo accordo, cercando nel contempo di superare i limiti da esso imposti. Nella comunità internazionale e nella stessa Bosnia-Erzegovina cresce la consapevolezza circa la necessità di snellire e modernizzare l'amministrazione del paese, anche se questo processo, perlopiù portato avanti grazie alle pressioni internazionali, non è sostenuto in modo uniforme dai responsabili politici delle due entità che compongono lo Stato della Bosnia-Erzegovina.

La maggiore sfida politica che il paese dovrà affrontare negli anni a venire sarà la riforma costituzionale, senza la quale sarà difficile compiere ulteriori progressi verso una struttura statale più democratica ed efficiente, l'attuazione dell'intero programma di riforme e il ravvicinamento all'UE. La riforma dell'assetto costituzionale definito dall'accordo di Dayton non può essere imposta dall'esterno, anche se la comunità internazionale in generale e l'UE in particolare sono disponibili a offrire il loro aiuto. Essa dovrà infatti essere il risultato di un generale consenso tra le parti politiche della Bosnia-Erzegovina e godere di un ampio sostegno da parte dei cittadini. Questo processo, che potrà interessare tutte le aree, sarà estremamente delicato e il suo completo svolgimento richiederà molto tempo.

Va infatti notato che i responsabili politici hanno opinioni discordi in merito al futuro del paese, e che tra gli appartenenti alle diverse etnie regna tuttora un clima di diffidenza. La retorica nazionalista ha preso ovunque il sopravvento e i leader della Bosnia-Erzegovina non hanno fatto progressi verso la creazione, mediante una riforma del quadro costituzionale, di strutture statali più funzionali e meno costose atte a sostenere il processo di integrazione europea.

Viste le preoccupazioni per la stabilità politica della Bosnia-Erzegovina e più in generale di tutta la regione, la chiusura dell'Ufficio dell'Alto rappresentante (Office of the High Representative - OHR) è stata rinviata in diverse occasioni. Nel febbraio 2008 il Consiglio per l'attuazione della pace (Peace Implementation Council - PIC) ha deciso di subordinare tale chiusura al conseguimento di progressi relativamente a cinque obiettivi specifici e a due condizioni particolari (la firma dell'ASA e una situazione politica stabile). Riguardo ai cinque obiettivi (2), i passi avanti, tranne che nelle questioni relative allo status definitivo del distretto di Brčko, sono stati molto limitati.

3.2.   Le relazioni politiche con l'UE e con i paesi vicini

3.2.1.   Le relazioni con l'Unione europea

I negoziati per l'ASA con la Bosnia-Erzegovina sono stati avviati nel novembre 2005. L'accordo è stato siglato il 4 dicembre 2007 e firmato il 16 giugno 2008, in seguito ai progressi compiuti nei quattro settori chiave definiti dalla Commissione e dal Consiglio nel 2005 (3). In attesa della ratifica dell'ASA da parte di tutti gli Stati membri dell'UE, l'entrata in vigore delle sue disposizioni relative al commercio è stata anticipata grazie all'accordo interinale, applicabile dal 1o luglio 2008. L'ASA ha tra l'altro formalizzato le preferenze commerciali accordate (autonomamente) fin dal 2000 dall'UE ai prodotti bosniaci e condotto la Bosnia-Erzegovina alla graduale abolizione delle restrizioni al commercio e alla progressiva riduzione dei dazi doganali sui prodotti dell'UE. Finora l'attuazione dell'accordo interinale è stata soddisfacente.

Contestualmente ai negoziati sull'ASA, si è messo a punto un accordo per agevolare il rilascio dei visti, firmato il 17 settembre 2007 ed entrato in vigore nel gennaio 2008. Tale accordo prevede la riduzione e, per alcune categorie di cittadini, addirittura l'eliminazione dei costi per il visto. L'accordo semplifica anche le condizioni per il rilascio del visto ad alcuni gruppi di cittadini, in particolare a studenti, uomini d'affari, giornalisti, ecc. Dal 26 maggio 2008 l'Unione europea ha avviato una discussione circa l'introduzione di un regime di esenzione dal visto per i cittadini bosniaci. Per completare i negoziati, la Bosnia-Erzegovina dovrà compiere progressi per quanto concerne il rispetto di tutti i criteri.

Per quanto riguarda l'assistenza finanziaria preadesione, nel settembre 2008 è stato adottato il documento di programmazione indicativo pluriennale (Multi-Annual Indicative Planning Document - MIPD) per la Bosnia-Erzegovina. Nel quadro dello Strumento di assistenza preadesione 2008 (Instrument for Pre-accession Assistance - IPA) la Commissione europea (CE) ha stanziato complessivamente 74,8 milioni di euro a favore di tale paese. Le principali aree di intervento sono: il rafforzamento dello Stato di diritto e delle strutture della pubblica amministrazione, lo sviluppo economico e sociale e la stabilizzazione democratica. Nel quadro dello Strumento per la società civile e tramite i programmi nazionali dello Strumento di assistenza preadesione (IPA) per il 2007-2008, 6,5 milioni di euro sono stati assegnati per lo sviluppo della società civile. Le organizzazioni della società civile della Bosnia-Erzegovina fruiscono anche dei programmi per le attività regionali e i visitatori finanziati dal Programma destinato a più beneficiari. Altri 5,7 milioni di euro sono stati messi a disposizione dai fondi comunitari, di qui al giugno 2009, per il bilancio dell'Ufficio dell'Alto rappresentante.

Lo Strumento di assistenza preadesione e il progetto CARDS sono gestiti dalla delegazione della Commissione europea a Sarajevo. La gestione decentrata dell'aiuto comunitario resta un obiettivo a medio termine per la Bosnia-Erzegovina, anche se i preparativi per la sua attuazione procedono lentamente. Al momento, il Fondo nazionale e l'Unità centrale per il finanziamento e gli appalti del ministro delle Finanze e del tesoro della Bosnia-Erzegovina dispongono di un piccolo organico e stanno procedendo ad ulteriori assunzioni. Il complesso contesto istituzionale e politico bosniaco ha causato notevoli ritardi nella ratifica dell'accordo quadro IPA, che non è stato ancora attuato in maniera appropriata. Ciò ha a sua volta ritardato anche l'attuazione del programma IPA 2007.

3.2.2.   Le relazioni con la Croazia

Dal 2000 in poi le relazioni con la Croazia hanno fatto registrare una significativa evoluzione. Bosnia-Erzegovina e Croazia hanno infatti messo a punto alcuni accordi sul ritorno dei rifugiati attraverso il confine tra i due paesi e firmato un accordo di libero scambio, che è stato attuato in tempi brevi. Nel febbraio 2008, inoltre, il Parlamento della Bosnia-Erzegovina ha approvato un accordo con la Croazia sulla doppia cittadinanza. Si stima che circa 400 000 cittadini della Bosnia-Erzegovina abbiano anche la cittadinanza croata. Devono però essere ancora composte alcune controversie relative ai confini, ed esistono ancora ostacoli al trasferimento di procedimenti giudiziari da un paese all'altro e all'estradizione reciproca di imputati di reati e di crimini contro l'umanità.

3.2.3.   Le relazioni con la Serbia

Le relazioni con la Serbia sono notevolmente migliorate dopo il crollo del regime di Miloševic e con l'instaurazione di regolari relazioni diplomatiche il 15 dicembre 2000. Quando la Bosnia-Erzegovina presiedeva il Processo di cooperazione dell'Europa sudorientale (South East-European Co-operation Process - SEECP) nel 2003-2004, i ministri degli Affari esteri dei paesi della ex Iugoslavia hanno incontrato i loro omologhi degli altri paesi dell'Europa sudorientale, rafforzando il reciproco impegno in materia di relazioni di buon vicinato, stabilità, sicurezza e cooperazione nella regione.

In Bosnia-Erzegovina, durante la campagna elettorale dell'ottobre 2006 vi sono state dichiarazioni pubbliche a favore di un rafforzamento dei legami tra la Repubblica Srpska e la Serbia, che è culminato nella firma, il 26 settembre 2007 a Banja Luka, di un accordo riveduto sulle relazioni parallele speciali, anche se entrambe le parti hanno sottolineato che l'accordo non pregiudica assolutamente la sovranità, l'integrità territoriale o l'indipendenza politica della Bosnia-Erzegovina.

Permangono tuttavia potenziali tensioni nelle relazioni tra la Bosnia-Erzegovina e la Serbia. Dopo la dichiarazione d'indipendenza del Kosovo, nella Repubblica Srpska sono aumentate sia le dichiarazioni demagogiche contro l'accordo di Dayton che le minacce di secessione. Il 21 febbraio 2008 l'Assemblea nazionale della Repubblica Srpska (RSNA) ha adottato una risoluzione in cui la situazione di questa repubblica in Bosnia-Erzegovina viene paragonata a quella del Kosovo in Serbia e si precisano le circostanze in cui la Repubblica Srpska avrebbe diritto alla secessione.

3.2.4.   Cooperazione regionale

Le relazioni con il Montenegro sono buone e si sono intensificate ulteriormente. Sono stati firmati accordi di cooperazione in materia di difesa, cooperazione di polizia, protezione civile e cooperazione transfrontaliera.

Le relazioni con l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia sono buone, sia sul piano bilaterale che nel contesto regionale. Sono stati conclusi accordi di riammissione, nonché in materia di cooperazione di polizia e di protezione civile.

Le relazioni con l'Albania si sono intensificate, e la Bosnia-Erzegovina ha deciso di aprire un'ambasciata a Tirana.

La Bosnia-Erzegovina partecipa attivamente ai programmi e alle iniziative di cooperazione regionale, quali ad esempio l'Accordo di libero scambio dell'Europa centrale (CEFTA).

4.   Gli sviluppi economici in Bosnia-Erzegovina

4.1.   La situazione attuale dell'economia in Bosnia-Erzegovina

Nonostante il difficile contesto politico, negli ultimi quattro anni la Bosnia-Erzegovina ha beneficiato di un andamento economico stabile; per il 2008 è prevista una crescita del PIL pari al 5,5 %. Nel primo trimestre del 2007 l'inflazione si è attestata su un modesto 1,5 %, ma nel secondo semestre dell'anno ha iniziato a salire sulla scia dell'aumento dei prezzi dei generi alimentari e dei trasporti, raggiungendo il 4,9 % in dicembre e aumentando ancora fino a toccare il 9,5 % nell'agosto del 2008. Il disavanzo delle partite correnti è sceso dal 21,3 % del PIL nel 2005 all'11,4 % nel 2006, ma in seguito è nuovamente cresciuto fino a toccare il 12,7 % del PIL nel 2007. Il deficit commerciale è calato dal 49,6 % del PIL del 2005 a circa il 37 % del 2006 e del 2007. Al momento, tuttavia, un'ulteriore riduzione sembra poco probabile, dato che nel 2007 l'aumento delle esportazioni ha segnato un rallentamento, le importazioni sono di nuovo aumentate ed è probabile che gli investimenti diretti esteri (IDE) diminuiscano a causa della crisi finanziaria mondiale. Grazie soprattutto all'aumento del gettito dovuto all'introduzione dell'IVA, nel 2006 si è registrato un avanzo fiscale complessivo pari al 3 % del PIL. Tale avanzo è però sceso all'1,3 % nel 2007 e potrebbe trasformarsi in deficit nel 2008, anche a causa dell'aumento dei rimborsi dell'IVA.

Come altri paesi in transizione, la Bosnia-Erzegovina ha un'economia in crescita, ma deve far fronte al diffondersi della povertà e di forti disagi sociali. Stando alle stime, il tasso di disoccupazione si situa tra il 16 % e il 44 %. La Bosnia-Erzegovina risente ora delle conseguenze della crisi finanziaria ed economica la quale rappresenta un pericolo per la situazione economica, sociale ed etnica, come anche per le relazioni all'interno dell'UE e della regione stessa.

La struttura amministrativa del paese è ridondante e assorbe più del 50 % del PIL. Strutture frammentarie, risorse limitate, mancanza di esperienza e di approcci ad hoc a sostegno dei punti forti nazionali pregiudicano la capacità del governo di progettare e attuare interventi politici.

L'UE è il principale partner commerciale della Bosnia-Erzegovina (con oltre il 50 % del volume totale degli scambi di questo paese). Con ogni probabilità la firma dell'ASA e l'entrata in vigore dell'accordo interinale condurranno a un'ulteriore intensificazione delle relazioni con l'UE e a un'espansione dell'integrazione commerciale del paese con l'Unione europea. La maggior parte delle esportazioni della Bosnia-Erzegovina è destinata all'Italia, alla Germania e alla Slovenia. Le importazioni provengono a loro volta da questi stessi paesi e, in misura più limitata, dall'Austria. Vengono esportati principalmente metalli, legname e prodotti in legno, prodotti minerari e chimici; vengono importati soprattutto macchinari e prodotti minerari, alimentari e chimici.

5.   La situazione attuale e il ruolo delle organizzazioni della società civile

5.1.   Il dialogo sociale

5.1.1.   Il contesto giuridico

In Bosnia-Erzegovina non esiste formalmente alcun dialogo sociale a livello nazionale, dato che la costituzione vigente non contiene alcuna disposizione sulla creazione di istituzioni governative di livello statale competenti in materia di politica sociale o di istruzione.

La Bosnia-Erzegovina ha ratificato le otto convenzioni principali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). La libertà di associazione è garantita sia dalla costituzione della Bosnia-Erzegovina che da quelle della Federazione della Bosnia-Erzegovina e della Repubblica Srpska. Ciascuna delle due entità, come pure il distretto di Brčko, dispone di una normativa del lavoro distinta.

La legge della Bosnia-Erzegovina sulle associazioni e sulle fondazioni, adottata nel dicembre 2001, non contempla disposizioni sulla registrazione di organizzazioni sindacali a livello nazionale.

Tuttavia, secondo la relazione intermedia 2008 della Commissione europea, non si sono registrati progressi in questo campo. Il fatto che al livello statale non siano attribuite competenze in materia di politiche sociali e del lavoro rappresenta tuttora un ostacolo allo sviluppo di una strategia nazionale per l'occupazione. Basandosi su argomenti costituzionali, la Repubblica Srpska rifiuta sistematicamente qualsiasi intervento del livello statale nelle questioni relative al proprio mercato del lavoro. Ciascuna delle due entità e il distretto di Brčko hanno messo a punto strategie e progetti riguardanti misure attive a favore dell'occupazione, che sono però coordinate tra loro solo in maniera sporadica.

Anche nel campo del dialogo sociale si registra una situazione analoga. La Confederazione dei sindacati non si è potuta registrare a livello statale. In base alla legislazione vigente la registrazione dei sindacati e il loro riconoscimento/rappresentatività sono sinonimi. Inoltre, la base giuridica e la procedura applicabile alle parti sociali sono le stesse previste per tutte le altre organizzazioni della società civile, come ad esempio le associazioni dei consumatori o le organizzazioni sportive, il che è sproporzionato. La complessa organizzazione politica e sociale del paese ostacola il dialogo tra le parti sociali e non si profilano soluzioni a breve termine. La mancanza di chiarezza riguardo alla registrazione legale dei sindacati ha impedito ulteriori progressi in direzione dell'instaurarsi della contrattazione collettiva. Dovrebbe essere messa a punto una nuova legge che sostituisca quella citata sulle associazioni e sulle fondazioni e privi il governo del potere discrezionale di decidere se registrare o meno una nuova organizzazione.

5.1.2.   Le parti sociali

5.1.2.1.   I datori di lavoro

Nel caso della Bosnia-Erzegovina è difficile parlare di organizzazioni datoriali attive a livello statale. Infatti, dato che a questo livello non esiste un ministero del Lavoro e che molte delle questioni economiche rientrano nelle competenze dei governi delle singole entità federate, manca un coordinamento o una cooperazione ufficiale a livello statale fra le associazioni dei datori di lavoro.

Le due principali organizzazioni datoriali sono l'Associazione dei datori di lavoro della Federazione della Bosnia-Erzegovina e l'Associazione dei datori di lavoro della Repubblica Srpska. Entrambe partecipano a consigli economici e sociali a livello di singole entità. Il problema principale che le organizzazioni datoriali devono affrontare - a livello sia interno che esterno - è costituito dalla loro rappresentatività e dall'effettiva rappresentanza degli interessi dei loro membri nei confronti delle autorità pubbliche.

5.1.2.2.   I sindacati

Una percentuale piuttosto elevata dei lavoratori occupati nel settore formale della Federazione della Bosnia-Erzegovina e dei loro omologhi della Repubblica Srpska è iscritta a un sindacato. Nella Federazione della Bosnia-Erzegovina i lavoratori sono riuniti nella Confederazione dei sindacati indipendenti (Savez Samostalnih Sindikata Bosne i Hercegovine, SSSBiH), mentre nella Repubblica Srpska è la Confederazione dei sindacati della Repubblica Srpska (Savez Sindikata Republike Srpske, SSRS) a riunire i lavoratori. In un'assemblea costitutiva svoltasi a Sarajevo il 24 giugno 2005, le confederazioni sindacali delle due entità hanno istituito un'organizzazione comune, la Confederazione dei sindacati della Bosnia-Erzegovina (Konfederacija sindikata Bosne i Hercegovine, KSBiH). Quest'ultima ha presentato richiesta di registrazione a livello statale, ma la questione non è stata ancora risolta.

5.1.3.   La valutazione dei meccanismi esistenti

A livello statale non è ancora stato istituito alcun consiglio economico e sociale. Ciò è dovuto principalmente alla riluttanza, soprattutto da parte della Repubblica Srpska (4), a portare la questione del dialogo sociale a livello statale. Esistono due codici del lavoro - uno per ciascuna delle entità federate - e non esiste un ministero del Lavoro a livello statale. Le questioni più importanti per le parti sociali, quali le politiche economiche, il diritto del lavoro o l'istruzione, rientrano nelle competenze dei governi delle entità federate e degli enti locali. In Bosnia-Erzegovina non è ancora stato creato un vero e proprio mercato unico (anche per quanto concerne il mercato del lavoro). I consigli economici e sociali esistono solo a livello di singole entità e le loro attività vengono finanziate dal rispettivo governo. L'impedimento formale che osta ancora all'istituzione di un CES a livello statale è costituito dal mancato riconoscimento della federazione sindacale nazionale. Inoltre, vale la pena di aggiungere che le parti sociali dispongono ancora di capacità limitate e che sul piano interno esse dovrebbero accrescere ulteriormente la professionalizzazione del loro lavoro.

5.2.   Il dialogo civile

5.2.1.   Il contesto giuridico

La Bosnia-Erzegovina ha una storia «limitata» di sviluppo della società civile. Prima della guerra esisteva una serie di organizzazioni pubbliche attive principalmente nei settori della cultura e dello sport. Durante e dopo la guerra la maggior parte delle organizzazioni non governative (ONG) ha concentrato le proprie attività sulla distribuzione degli aiuti umanitari e si è riconvertita solo con lentezza ad attività più ordinarie.

Le ONG possono registrarsi a livello statale, di entità, cantonale (solo nella Federazione della Bosnia-Erzegovina) o comunale. Dal 2002 la legge sulle associazioni e sulle fondazioni consente alle ONG di registrarsi presso il ministero della Giustizia della Bosnia-Erzegovina. Tuttavia, a causa della lunghezza delle procedure necessarie per ottenere la registrazione a livello statale, e del mancato riconoscimento della registrazione statale a livello di entità (Repubblica Srpska), molte ONG preferiscono registrarsi a quest'ultimo livello. Un memorandum d'intesa per l'istituzione di un registro comune delle associazioni e delle fondazioni in Bosnia-Erzegovina, firmato nel 2004 tra lo Stato, le due entità e il distretto di Brčko, promuove una sempre maggiore libertà di movimento per tutte le associazioni e le fondazioni e istituisce un sistema di accesso rapido alle informazioni che le riguardano.

La suddetta legge sulle associazioni e sulle fondazioni è stata modificata ed è entrata in vigore nel 2008. Tuttavia la regolamentazione del 2002 sulle registrazioni resta in vigore, e ciò complica il processo di registrazione. Le autorità della Bosnia-Erzegovina dovrebbero emendarla al fine di ridurre il numero di moduli necessari per la registrazione. Inoltre, si prevede di introdurre anche la registrazione on line.

Secondo uno studio predisposto dal country team dell'ONU per la Bosnia-Erzegovina (5), uno dei maggiori problemi per le organizzazioni della società civile è rappresentato dal regime dell'IVA recentemente introdotto nel paese: la legge sull'IVA, entrata in vigore in Bosnia-Erzegovina il 1o gennaio 2006, ha introdotto un'aliquota uniforme del 17 % che comporta un aumento della fiscalità. Inoltre, le organizzazioni della società civile che assumono personale sono soggette anche ad oneri di altro tipo (contributi sociali e sanitari), mentre ulteriori tributi colpiscono le donazioni. La sensazione generale è che tali organizzazioni accoglierebbero con favore la concessione di esenzioni fiscali per gli operatori del settore della società civile, dato che la loro attività ne verrebbe senz'altro agevolata.

Un altro grave problema per le organizzazioni della società civile è costituito dal sistema di finanziamento pubblico in vigore. Nella maggior parte dei casi, infatti, tali organizzazioni lamentano una scarsa trasparenza nella distribuzione dei fondi pubblici. Inoltre, non viene ancora garantito il rispetto della normativa in materia di volontariato. Porre rimedio alle carenze nell'attuazione della normativa vigente e alla mancanza di armonizzazione legislativa rimane una priorità. Infine, alcune organizzazioni della società civile osservano che in Bosnia-Erzegovina il processo di redazione normativa non è né trasparente né accessibile.

Le organizzazioni della società civile godono di scarso sostegno da parte delle autorità pubbliche, alcune delle quali considerano tali soggetti alla stregua di concorrenti. Vi è inoltre un generale fraintendimento da parte delle autorità locali riguardo al valore e ai benefici del partenariato con la società civile.

5.2.2.   La situazione dei diversi gruppi di interesse

Il numero complessivo delle ONG registrate in Bosnia-Erzegovina si avvicina ormai ad 8 000 (6), anche se il numero di quelle attive è molto inferiore. Si stima che i proventi del terzo settore rappresentino il 4,5 % del PIL nazionale, mentre le spese di funzionamento ne rappresentino il 2,4 %. Gli addetti di questo settore rappresentano l'1,45 % della popolazione economicamente attiva del paese (7).

L'ambito di attività principale delle ONG è la promozione dei diritti umani. Altri ambiti di attività in cui si registra un notevole coinvolgimento di tali organizzazioni sono l'istruzione, le questioni di genere, lo sviluppo economico, il soccorso umanitario, lo sviluppo della società civile, la salute, i minori e lo sviluppo della comunità.

5.2.3.   La valutazione dei meccanismi esistenti

A livello statale, sono stati osservati alcuni progressi riguardo all'istituzionalizzazione dei rapporti tra le autorità e il settore non governativo. Il 7 maggio 2007 il consiglio dei ministri della Bosnia-Erzegovina ha firmato con i rappresentanti della società civile un accordo di cooperazione tra il governo nazionale e il settore non governativo in Bosnia-Erzegovina.

In esecuzione di tale accordo, nell'ottobre 2007 è stata istituita una commissione della società civile. Anche se la commissione non rappresenta l'intera società civile, in essa siedono esponenti di 31 sottosettori, che ne fanno il forum di ONG più rappresentativo del paese. È necessario, tuttavia, che le autorità compiano maggiori sforzi per stabilire una comunicazione regolare con la società civile e incoraggiare la sua partecipazione ai processi decisionali.

6.   Il ruolo delle organizzazioni della società civile nell'integrazione europea

6.1.   Le organizzazioni della società civile e il processo di integrazione europea

L'idea europea non è molto presente nell'attività delle organizzazioni della società civile. I cittadini considerano l'integrazione della Bosnia-Erzegovina nell'Unione europea un progetto distante. La maggior parte di dette organizzazioni ha un'esperienza limitata in materia di collaborazione con le organizzazioni omologhe dei paesi dell'UE. In Bosnia-Erzegovina il dibattito sull'Unione europea è appena iniziato. I progetti delle organizzazioni della società civile della Bosnia-Erzegovina si concentrano sulle priorità fissate dai soggetti donatori finanziari (organizzazioni internazionali, governi e donatori locali). Nel paese non è osservabile una vera e propria attività di lobbying a favore dell'integrazione nell'UE riguardo a ciascun settore, se si eccettuano le attività delle ONG internazionali. Ciononostante, l'80 % dei cittadini della Bosnia-Erzegovina è favorevole a una futura adesione della Bosnia-Erzegovina all'UE, e questo rappresenta un buon punto di partenza per le attività di lobbying delle organizzazioni della società civile a favore del rispetto dei criteri previsti per tale adesione.

Bruxelles, 16 luglio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Per «società civile» il Comitato economico e sociale europeo intende le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori, nonché altre organizzazioni non governative e gruppi di interesse.

(2)  1) La soluzione accettabile e duratura del problema della ripartizione della proprietà fra lo Stato e gli altri livelli di governo, 2) la soluzione accettabile e duratura del problema della proprietà della difesa, 3) il completamento del processo di definizione dello status di Brčko, 4) la sostenibilità di bilancio (promossa da un accordo su una metodologia permanente per la fissazione dei coefficienti ad uso dell'autorità per le imposte indirette e sull'istituzione di un consiglio di bilancio nazionale) e 5) il consolidamento dello Stato di diritto (dimostrato dall'adozione di una strategia nazionale per i crimini di guerra, di una legge sugli stranieri e sull'asilo e di una strategia nazionale per la riforma del settore giudiziario).

(3)  1) Attuazione della riforma della polizia in conformità all'accordo dell'ottobre 2005 sulla ristrutturazione della polizia, 2) cooperazione totale con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia (International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia - ICTY), 3) adozione e applicazione di tutta la legislazione necessaria sull'emittenza pubblica e 4) sviluppo del quadro legislativo e della capacità amministrativa necessari per la corretta attuazione dell'ASA.

(4)  Il 22 agosto 2007 il primo ministro della Repubblica Srpska, Milorad Dodik, ha dichiarato che il governo di tale entità non darà il suo appoggio alla creazione di un consiglio sociale a livello statale, ritenendo che le questioni economiche e sociali fondamentali vengano già affrontate a livello di singole entità e che l'istituzione di un tale consiglio sia una questione politica.

(5)  Main Findings on the Level of Cooperation Between the UN Agencies and Civil Society Organizations in BiH («Conclusioni generali sul livello di cooperazione tra le agenzie dell'ONU e le organizzazioni della società civile in Bosnia-Erzegovina»), documento di lavoro del country team dell'ONU in Bosnia-Erzegovina, gennaio 2007.

(6)  Dati relativi al febbraio 2005. Fonte: relazione finale del progetto (finanziato dall'UE) Mapping Study of Non-State Actors (NSA) in Bosnia-Herzegovina (Studio di rilevamento dei soggetti non statali in Bosnia-Erzegovina), settembre 2005.

(7)  Fonte: Employment, social service provision and the non-governmental organisation (NGO) sector. Status and prospects for Bosnia and Herzegovina. Analysis and policy implications («Occupazione, servizi sociali e il settore delle organizzazioni non governative (ONG):situazione attuale e prospettive future in Bosnia-Erzegovina - analisi e implicazioni per le politiche»), studio qualitativo n. 3 realizzato dalla Tecis Ltd. per la Birks Sinclair & Associates Ltd. Nell'ambito di un progetto di politica sociale e del lavoro del ministero britannico per lo Sviluppo internazionale, 2 aprile 2005.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Emissioni dei trasporti su strada — misure concrete per superare il ristagno

(parere d'iniziativa)

(2009/C 317/04)

Relatore: IOZIA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Emissioni dei trasporti su strada - misure concrete per superare il ristagno.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Alla sua 455a a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli e 7 voti contrari.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   La lotta all'inquinamento dell'aria ambiente e acustico coinvolge una pluralità di istituzioni. Un ruolo fondamentale compete alle istituzioni comunitarie europee, che hanno la responsabilità di promuovere ed aggiornare le normative, agli Stati membri, che hanno la responsabilità di attuarle dando disposizioni operative, agli enti locali, che hanno la responsabilità del controllo degli inquinanti e del rumore. La stagnazione dei progressi è dovuta ad una responsabilità comune, ed ogni livello di responsabilità deve accrescere il suo impegno per eliminare o ridurre al minimo possibile i rischi per la salute dei cittadini e per il loro benessere.

1.2.   Le emissioni dei trasporti privati, pubblici e di merci su strada sono causa di malattie anche gravi e del peggioramento della qualità della vita, in particolare per gli abitanti delle aree urbane, ossia più del 75 % dei cittadini europei. Nonostante le iniziative della Commissione, che anche recentemente con il pacchetto di proposte volto a «rendere i trasporti più ecologici» (Greening Transport package) sta adeguando la legislazione europea, si nota ancora nei paesi membri una stagnazione dei progressi nella lotta all'inquinamento dell'aria e nella lotta al rumore causato dal traffico.

1.3.   Se la legislazione, almeno per quanto riguarda la qualità dell'aria ambiente, è stata nel corso degli anni adeguata e migliorata, va evidenziata d'altra parte la mancanza di progressi nella quantità e nella qualità dei controlli, sia delle emissioni degli autoveicoli e dei motoveicoli, che della quantità di gas e di particolato presenti nell'aria. Va riconosciuto alla Commissione di aver dato notevoli impulsi anche tecnici e scientifici, con i programmi Tremove, di analisi degli effetti delle diverse politiche nel settore dei trasporti e con lo sviluppo del sistema Copert 4 (Computer Program for estimating Emissions from Road Transport), nel quadro delle attività del Centro tematico operativo europeo sull'atmosfera e i cambiamenti climatici, che il Centro congiunto di ricerca ha sviluppato ulteriormente. Tale metodologia è parte integrante della Guida sulle emissioni in Europa EMEP/Corinair, sviluppata dalla task force dell'UNECE (Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite), dedicata alla valutazione e alle proiezioni dei dati.

1.4.   Nel pacchetto Trasporto verde è stata presentata una proposta per ridurre l'inquinamento acustico prodotto dal traffico ferroviario, mentre il 22 giugno 2009 è stato approvato il regolamento sulla sicurezza generale dei veicoli (COM(2008) 316 def.) che prevede una riduzione sostanziale del livello di rumore degli pneumatici.

1.5.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda alla Commissione, al Consiglio dei ministri europei dell'Ambiente, al Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori e al Parlamento europeo di prendere immediati provvedimenti per rafforzare le misure di controllo, salvaguardando così la salute dei cittadini. Controlli «off cycle», controlli su strada, in particolare durante l'uso, dimostrerebbero che gli autoveicoli odierni sono più rumorosi di quelli di 30 anni fa ed hanno emissioni notevolmente superiori a quelle rilevate nei «cycle test».

1.6.   Il CESE sottolinea che manca un approccio consolidato: i regolamenti UNECE non dispongono di efficaci sistemi di controllo, come i regolamenti UE e il modello di autocertificazione, e lasciare le verifiche ai meccanismi di controllo di mercato si è dimostrato insufficiente.

1.7.   Il CESE individua molte azioni che le diverse autorità dell'Unione europea, degli Stati membri, e dei territori potrebbero adottare per ridurre gli effetti dell'inquinamento dell'aria ambiente:

coinvolgere la popolazione, inducendola a comportamenti virtuosi per la conquista di un benessere collettivo, incrementando la trasparenza e l'informazione attraverso pannelli visivi, siti web,

sostenere l'educazione e la formazione su tematiche ambientali ed ecologiche,

diffondere buone pratiche come la mobility card, che dà diritto al trasporto pubblico gratuito,

utilizzare per il trasporto urbano pubblico tram elettrici e filobus, oggi con alimentazione anche a batteria, che consente un loro utilizzo in zone non coperte da linea aerea,

limitare il traffico privato, migliorando e potenziando il trasporto pubblico,

adottare una tassazione differenziata sugli autoveicoli e sui carburanti, in relazione al loro grado di inquinamento, nonché permessi a pagamento per entrare nei centri urbani, che tengano conto delle diverse capacità contributive dei cittadini e delle emissioni prodotte,

internalizzare i costi esterni, in particolare quelli causati alla salute dei cittadini,

sviluppare politiche integrate dei trasporti, stabilendo il grado di sostenibilità ambientale dei singoli progetti,

contribuire alla modifica degli stili di vita, in senso più sobrio ed ecologico,

sostenere la mobilità sostenibile a piedi e in bicicletta per percorsi brevi, migliorando le infrastrutture a disposizione dei pedoni e dei ciclisti,

evitare gli spostamenti inutili,

rivedere la gestione della logistica e la produzione just in time,

promuovere ove possibile il telelavoro,

ridurre la congestione del traffico, ottimizzando l'utilizzo di tutti i modi di trasporto e privilegiando il trasporto pubblico,

sostenere la ricerca e lo sviluppo innovativo di materiali e soluzioni tecnologiche per ridurre gli agenti inquinanti prodotti dal traffico e dal trasporto su strada, quali celle a combustibile per auto ad idrogeno, auto elettriche e a idrocarburi a bassa emissione come i gas di sintesi, il metano, il gpl,

effettuare controlli periodici più stringenti specialmente in quei paesi ove il parco veicoli è più obsoleto e inquinante (ad es. in Polonia il 60 % degli autoveicoli ha più di 10 anni …).

1.8.   Per migliorare l'impatto dell'inquinamento acustico si potrebbero prevedere:

limitazioni del traffico privato notturno nelle zone residenziali,

limitatori di velocità sul manto stradale,

miglioramento della qualità degli asfalti,

pannelli fonoassorbenti nelle zone a più alta densità di traffico,

sanzioni effettivamente deterrenti per veicoli che superano i limiti di emissioni rumorose fino a prevedere il sequestro del veicolo, con particolare attenzione per i motoveicoli,

controlli della rumorosità più aderenti alle condizioni «normali» di marcia dei veicoli,

visite mediche più frequenti per coloro che sono esposti maggiormente al rischio di inquinamento acustico,

interventi efficaci per decongestionare il traffico, con particolare riguardo alla diffusione delle corsie preferenziali e alle strade dedicate per il trasporto pubblico,

norme specifiche e dispositivi adeguati per le persone che operano nelle strade e respirano l'aria inquinata e/o sono esposte ad un rumore costante.

1.9.   Le metodologie LCA (Life Cycle Assessment o «valutazione del ciclo di vita») dovrebbero applicarsi anche alle emissioni indirette relative al trasporto:

produzione e trasporto del carburante (estrazione, trasporto alla raffineria, alle pompe di benzina e, nel caso di auto a batteria, le emissioni causate dalla produzione di elettricità),

produzione del veicolo (emissioni causate dall'industria, compreso lo smaltimento dei materiali di scarto),

strade e parcheggi (se vengono utilizzati parchi e zone verdi per costruirli, la qualità dell'aria si deteriora, perché viene a mancare l'effetto della fotosintesi).

1.10.   Il presente parere si sofferma sulle emissioni di inquinanti e sul rumore prodotto dal trasporto su strada. La discussione ha evidenziato la necessità di sviluppare una riflessione sugli altri modi di trasporto e sui veicoli ricreazionali, come sull'inquinamento causato dall'agricoltura. Treni, aerei, navi per la navigazione marittima e per quella interna, macchine mobili non stradali, come i trattori o le macchine movimento terra, macchine per l'edilizia civile e per l'estrazione mineraria dovrebbero essere altrettanto controllati (1).

2.   Introduzione

2.1.   Il Consiglio europeo ha approvato, pur con qualche difficoltà, l'intero pacchetto energia e clima, potendo così presentarsi con tutte le carte in regola all'appuntamento di dicembre a Copenaghen e confermare la sua leadership nella volontà di avviare una concreta lotta alle emissioni di GES (gas effetto serra).

2.2.   Non si può dire altrettanto per i risultati ottenuti nelle iniziative rivolte a contrastare le emissioni degli agenti inquinanti e il rumore prodotti dai mezzi di trasporto.

2.3.   Il traffico produce effetti negativi sulla salute pubblica attraverso due principali fenomeni: l'immissione nell'atmosfera di sostanze inquinanti e il rumore. Le principali sostanze inquinanti dovute al traffico che hanno direttamente effetti negativi sulla salute sono: l'ossido e il biossido di azoto (NO ed NO2), il monossido di carbonio (CO), il biossido di zolfo (SO2), l'ammoniaca (NH3), i composti volatili organici (VOCs) e il particolato, o aerosol. Queste sostanze sono definite primarie, perché direttamente emesse dagli autoveicoli, mentre altre sostanze, dette secondarie, sono prodotte da reazioni nell'atmosfera, come ad esempio l'ozono, il nitrato di ammonio (NH4NO3), il solfato di ammonio ([NH4]2[SO4]) e gli aerosol organici secondari.

2.4.   Il trasporto su strada è il principale responsabile nell'UE-27 delle emissioni di NOx (39,4 %), di CO (36,4 %), di NMVOC (17,9 %) (composti volatili organici con esclusione del metano) e la seconda fonte di emissioni di PM10 (17,8 %) e di PM2,5 (15,9 %) (Agenzia europea dell'ambiente (AEA), Relazione tecnica 2008/7, 28 luglio 2008).

2.5.   Il particolato primario naturale è causato dalle eruzioni vulcaniche, dagli incendi boschivi, dall'erosione e dalla disgregazione delle rocce, dalle piante (pollini e residui vegetali), dalle spore, dallo spray marino e dai resti degli insetti. Il particolato secondario naturale è costituito da particelle fini che si originano in seguito alla ossidazione di varie sostanze quali: il biossido di zolfo e l'acido solfidrico emessi dagli incendi e dai vulcani; gli ossidi di azoto liberati dai terreni; i terpeni (idrocarburi) emessi dalla vegetazione.

2.6.   Il particolato primario di origine antropica è dovuto: all'utilizzo dei combustibili fossili (riscaldamento domestico, centrali termoelettriche, ecc.); alle emissioni degli autoveicoli; all'usura degli pneumatici, dei freni e del manto stradale; a vari processi industriali (fonderie, miniere, cementifici, ecc.). Da segnalare anche le grandi quantità di polveri che si possono originare in seguito a varie attività agricole. Le polveri secondarie antropogeniche sono invece dovute essenzialmente all'ossidazione degli idrocarburi e degli ossidi di zolfo e di azoto emessi dalle varie attività umane.

2.7.   Il particolato si classifica in base alle dimensioni: si va dalle nanoparticelle al particolato fine fino alla polvere visibile. Si definiscono PM10 le particelle di diametro inferiore a 10µm, PM1 le particelle di diametro inferiore a 1μm; le particelle più piccole sono le più pericolose perché arrivano più in profondità nei polmoni.

2.8.   Altre sostanze emesse dagli autoveicoli non sono direttamente nocive per la salute, ma secondo l'AEA danneggiano gravemente l'ambiente, come i gas serra, l'anidride carbonica (CO2), il metano (CH4) e l'anidride nitrosa (N2O). Anch'esse costituiscono una notevole fonte di preoccupazione sociale, e la loro concentrazione è limitata da normative sulle emissioni degli autoveicoli.

2.9.   A parità di livelli di emissione da traffico, la concentrazione a bassa quota delle sostanze inquinanti dipende dalle condizioni meteorologiche. Infatti, condizioni di bassa temperatura al suolo, specie se con inversione termica, inibiscono i moti convettivi che rimescolano l'atmosfera, favorendo l'accumulo di sostanze inquinanti nei suoi strati più bassi. Questo accade in modo particolare nelle valli delle zone montane, che risentono in modo particolarmente preoccupante dell'inquinamento atmosferico.

2.10.   Gli effetti degli inquinanti sulla salute accertati da studi epidemiologici: bronchite cronica e enfisema sono effetti a breve termine correlati ad alte concentrazioni di particelle, mentre si osservano deboli evidenze per correlazioni con fenomeni allergici come asma, riniti e dermatiti.

2.11.   Gli effetti del rumore sulla salute sono sia di tipo uditivo che extrauditivo, e hanno spinto la Comunità europea a introdurre limiti all'esposizione al rumore dei lavoratori e della popolazione residente. Le normative rilevanti per la stima della esposizione al rumore sono contenute nelle norme ISO1996-1:2003, ISO1996-2:2006, ISO9613-1:1993, ISO9613-2:1996 e nella direttiva europea 2002/49/CE.

2.12.   Per tener conto della differente sensibilità del sistema uditivo alle diverse frequenze dello spettro acustico (da 20 a 20 000 Hz), nella valutazione dell'esposizione al rumore si usano delle curve di ponderazione per pesare la densità spettrale misurata in funzione della sensibilità dell'apparato uditivo. La più comunemente usata è la curva di ponderazione A, che fornisce una misura ponderata dell'esposizione, espressa in dB(A).

3.   La legislazione europea

3.1.   Qualità dell'aria

3.1.1.   La qualità dell'aria è uno dei settori in cui l'Europa si è maggiormente attivata negli ultimi anni per sviluppare una strategia globale attraverso la creazione di obiettivi a lungo termine per la qualità dell'aria. Sono state introdotte delle direttive per controllare i livelli di alcuni inquinanti e monitorare le loro concentrazioni nell'atmosfera.

3.1.2.   Nel 1996 il Consiglio dei ministri dell'Ambiente ha adottato la direttiva quadro 96/62/CE sulla valutazione e la gestione della qualità dell'aria ambiente. Questa direttiva incorpora la revisione della legislazione esistente e l'introduzione di nuovi standard di qualità dell'aria per inquinanti atmosferici non regolamentati in precedenza, fissando il calendario per lo sviluppo di direttive seguenti su una serie di inquinanti. La lista degli inquinanti atmosferici considerata nella direttiva include l'anidride solforosa (SO2), il biossido d'azoto (NOx), il particolato (PM), il piombo (Pb) e l'ozono (inquinanti regolati da obiettivi preesistenti sulla qualità dell'aria ambiente), il benzene, il monossido di carbonio, gli idrocarburi poliaromatici, il cadmio, l'arsenico, il nichel e il mercurio.

3.2.   Direttive seguenti

3.2.1.   Alla direttiva quadro hanno fatto seguito altre direttive, dette «seguenti», che stabiliscono i limiti numerici o, nel caso dell'ozono, i valori di riferimento per ciascun inquinante identificato. Oltre a stabilire limiti di qualità dell'aria e soglie di allerta, le direttive si prefiggono di armonizzare le strategie di monitoraggio, i metodi di misurazione e i metodi di calibratura e valutazione della qualità dell'aria per arrivare a misurazioni confrontabili in tutta l'UE e per fornire informazioni utili al pubblico.

3.2.2.   La prima direttiva seguente (1999/30/CE), relativa ai valori limite di concentrazioni di NOx, SO2, Pb e PM nell'aria ambiente, è entrata in vigore nel luglio 1999. Per permettere un sistema di relazioni armonico e strutturato, la Commissione ha provveduto a stabilire dettagliate misure per consentire ad ogni Stato membro di fornire informazioni sui propri piani e programmi. Tali misure sono riportate nella decisione 2004/224/CE.

3.2.3.   La seconda direttiva seguente (2000/69/CE), relativa ai valori limite di concentrazioni di benzene e monossido di carbonio nell'aria ambiente, è entrata in vigore il 13 dicembre 2000. La consegna di relazioni annuali secondo questa direttiva deve attenersi alla decisione della Commissione 2004/461/CE.

3.2.4.   La terza direttiva seguente 2002/3/CE, relativa all'ozono, è stata adottata il 12 febbraio 2002 e stabilisce degli obiettivi a lungo termine equivalenti alle nuove linee guida e ai valori di riferimento imposti dall'Organizzazione mondiale della sanità per le concentrazioni di ozono nell'aria ambiente, da raggiungere entro il 2010. Questi obiettivi seguono la direttiva 2001/81/CE sui tetti nazionali alle emissioni.

3.2.5.   La quarta direttiva seguente 2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, è relativa alla riduzione delle concentrazioni nell'atmosfera di arsenico, cadmio, mercurio, nichel e idrocarburi policiclici aromatici nell'aria ambiente.

3.2.6.   Recentemente è stata adottata la direttiva 2008/50/CE, relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, che riunisce la direttiva quadro e le prime tre direttive seguenti, rinviando l'incorporazione della quarta direttiva seguente all'acquisizione di un'esperienza di attuazione sufficiente. Questa nuova direttiva stabilisce le misurazioni del particolato sottile PM2,5 definendo gli obiettivi nazionali di riduzione, l'indicatore di esposizione media (IEM) e il valore limite, fissato a 25 µg/m3 e a 20 µg/m3 a partire dal 2020. Questa direttiva è stata adottata in seguito al recepimento del rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) intitolato Air Quality Guidelines Global Update 2005 (Orientamenti aggiornati sulla qualità dell'aria nel mondo, edizione 2005), che ha dimostrato la pericolosità dei PM2,5 ed ha individuato anche delle soglie di pericolosità per i NOx, i SOx e l'O3.

3.2.7.   L'argomento più significativo per l'utilizzo dei PM2,5 è dovuto al fatto che essi rappresentano uno strumento migliore per misurare le attività antropogeniche, specialmente le fonti di combustione (Rapporto del Comitato scientifico dei rischi sanitari ed ambientali SCHER, Scientific Committee on Health and Environmental Risk, 2005).

3.3.   Inquinamento acustico

3.3.1.   Risale al 1970 la direttiva che avvicinava le legislazioni nazionali in materia di rumore ammissibile prodotto dal trasporto: la 70/157/CEE.

3.3.2.   Occorre però attendere il 1986 per vedere approvata la direttiva 46/188/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione al rumore.

3.3.3.   La direttiva 2002/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 giugno 2002, è relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, definito come il complesso dei suoni indesiderati o nocivi in ambiente esterno prodotti dalle attività umane, compreso il rumore emesso da mezzi di trasporto.

3.3.4.   Successivamente vengono adottate la direttiva 2007/34/CE della Commissione, del 14 giugno 2007, che modifica, ai fini dell'adattamento al progresso tecnico, la direttiva 70/157/CEE del Consiglio relativa al livello sonoro ammissibile e al dispositivo di scappamento dei veicoli a motore e il regolamento n. 117 della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE) - Disposizioni uniformi relative all'omologazione dei pneumatici per quanto concerne le emissioni sonore prodotte dal rotolamento e l'aderenza sul bagnato (GU L 231 del 29.8.2008). A ciò va aggiunta la recente approvazione del regolamento sulla sicurezza generale dei veicoli (COM(2008) 316 def.) che prevede una riduzione sostanziale del livello di rumore degli pneumatici.

4.   La situazione attuale

4.1.   Secondo uno studio dell'AEA (Exceedance of air quality limit values in urban areas. Core set indicators assessment - dicembre 2008), basato sul decennio 1997-2006, la percentuale della popolazione urbana che è stata potenzialmente esposta nell'aria ambiente a concentrazioni superiori ai limiti previsti dall'UE per la protezione della salute umana è stata, relativamente a:

particolato (PM10): il 18-50 % (50 µg/m3 giornalieri da non superare per più di 35 giorni annui di calendario civile),

biossido di azoto (NO2): il 18-42 % (40 µg/m3 per anno civile), registrando una modesta diminuzione,

ozono (O3): il 14-61 % (120 µg/m3 giornalieri su una media di 8 ore non più di 25 volte in un anno di calendario civile). Il picco del 61 % si è raggiunto nel 2003 e non è possibile determinare un trend affidabile,

biossido di zolfo (SO2): la percentuale di popolazione esposta è risultata inferiore all'1 % ai limiti previsti (125 µg/m3 da non superare per più di 3 giorni in un anno di calendario civile).

5.   I danni causati dall'inquinamento acustico e atmosferico

5.1.   Il rumore oggi è fra le principali cause del peggioramento della qualità della vita nelle città. Infatti, sebbene la tendenza in ambito comunitario negli ultimi 15 anni mostri una diminuzione dei livelli di rumore più alti nelle zone maggiormente a rischio, si è verificato contestualmente un ampliamento delle zone con livelli definiti «di attenzione» che ha comportato un aumento della popolazione esposta ed ha annullato le conseguenze benefiche del primo fenomeno.

5.2.   Il rumore viene comunemente identificato come un «suono non desiderato» o come «una sensazione uditiva sgradevole e fastidiosa».

5.3.   La lotta contro il rumore può essere attuata secondo tre possibili interventi:

agendo sulle sorgenti di rumore (riducendo le emissioni alla fonte o migliorando le condizioni di mobilità all'interno di una certa porzione di territorio),

agendo sulla propagazione del rumore (allontanando il più possibile le aree residenziali dalle aree di maggiore emissione acustica),

adottando dei sistemi di protezione passiva (barriere antirumore) per gli edifici maggiormente esposti alle immissioni di rumore.

5.4.   Le malattie più frequenti causate dal rumore sono di tipo uditivo ed extrauditivo. Ipoacusie, acufeni (il ronzio che a volte si sente all'interno dell'orecchio che può derivare da un danno permanente alle cellule ciliate cocleari), problematiche collegate sia al complesso chiocciola-vie nervose uditive sia alla tromba di Eustachio. L'esposizione al rumore produce danni al sistema uditivo di tipo acuto e cronico. Il rumore da traffico non raggiunge i livelli di rumore in grado di produrre effetti acuti. Il sistema uditivo è in grado di recuperare gli effetti negativi dell'esposizione cronica al rumore, se può usufruire di un sufficiente periodo di riposo. Per questa ragione i limiti di esposizione cronica fanno riferimento all'esposizione complessiva ponderata A dei lavoratori mediata sulle 8 ore lavorative giornaliere. Il limite all'esposizione personale giornaliera è fissato nell'UE a Lex, 8h = 87 dB(A).

5.5.   Per quanto riguarda le malattie a carattere extrauditivo, esse possono interessare l'insorgere di patologie cardiovascolari, dell'apparato digerente per lo stress indotto, cefalee acute e problematiche endocrinologiche, per l'alterazione di parametri essenziali. Effetti extrauditivi noti del rumore comprendono: annoyance, difficoltà nel sonno, complicazioni di patologie psichiatriche preesistenti. La correlazione fra alti livelli dichiarati di annoyance (un parametro soggettivo di fastidio) e livelli di rumore da traffico, come anche da ferrovia, è stata dimostrata da numerosi studi, soprattutto per il rumore notturno. La difficoltà nel sonno, direttamente causata dal rumore da traffico nelle ore notturne, porta spesso con sé l'insorgere di altre patologie cardiovascolari ed endocrine, che tipicamente non regrediscono al prolungarsi dell'esposizione, come accade invece per la difficoltà al sonno.

5.6.   Diverso è il discorso relativo all'inquinamento atmosferico. 500 000 persone l'anno muoiono a causa dell'inquinamento dell'aria ambiente nel mondo e le aspettative di vita diminuiscono (quasi 3 milioni i morti a causa dell'inquinamento dell'aria interna). Da una ricerca svolta dall'Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano, dipartimento di Epidemiologia ambientale e registro tumori, se si riducesse il particolato PM10 da 60 a 30 µg/m3 si avrebbe una riduzione del numero delle morti di 1 575 unità su 13 122 decessi. I cittadini di quella città dovrebbero esserne particolarmente interessati!

5.7.   Questa estrapolazione sul lungo termine proviene dallo studio effettuato da C. Arden Pope III (pubblicato sul JAMA, 2002 - Vol. 287, N. 9) su un campione di 1 200 000 persone aderenti alla Cancer Society in un periodo di osservazione che va dal 1982 al 1998, intitolato Lung Cancer, Cardiopulmonary Mortality and Long-term Exposure to fine Particulate Air Pollution (Cancro del polmone, mortalità cardiopolmonare ed esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico da polveri sottili). L'OMS ha accettato i parametri risultanti da questo studio, che individua nel 6 % l'aumento del rischio di morte per popolazione di età superiore a 30 anni.

5.8.   L'inquinamento dell'aria causa molte malattie, quali le bronchiti acute e croniche, le malattie polmonari e dell'apparato cardiocircolatorio, le difficoltà di respirazione come la dispnea, un aumento dei tumori, un aumento delle crisi asmatiche e le infiammazioni acute degli occhi.

6.   I lavoratori esposti all'inquinamento acustico ed atmosferico

6.1.   Sono molte le categorie di lavoratori interessate da una sovraesposizione in ambiente urbano inquinato. Tutti coloro che operano nelle strade: gli operai addetti alla manutenzione, i vigili urbani e la polizia stradale, gli addetti alle pompe di benzina, gli autisti di autobus e di autoveicoli da trasporto merci. La legislazione europea e nazionale prende in esame in modo approfondito i potenziali rischi delle singole professioni, prescrivendo adeguate misure di sicurezza.

6.2.   La normativa in materia di inquinamento atmosferico nei luoghi di lavoro è particolarmente stringente per le imprese industriali che utilizzano materiali pericolosi, mentre per quanto riguarda il rumore ogni attrezzatura o macchina che causa un'emissione sonora deve rispettare dei limiti all'atto dell'omologazione, salvo casi particolari, che superano i limiti massimi, nei quali devono essere utilizzate obbligatoriamente otoprotezioni (martelli pneumatici, fresatrici stradali).

6.3.   Nulla è specificatamente previsto per i lavoratori che operano nelle strade e respirano aria inquinata o sopportano un rumore continuo. Per quanto riguarda ad esempio gli autisti di autobus, è necessario diminuire le fonti di rumore e di vibrazione dell'autoveicolo e migliorare l'insonorizzazione dell'abitacolo. Un'eccessiva rumorosità influisce negativamente sul rendimento del conducente stressandolo, aumentando la tensione muscolare e pregiudicando la precisione dei movimenti. Il rumore agisce sul sistema nervoso vegetativo e riduce alcune funzioni particolarmente importanti per la guida, come ad esempio la valutazione della velocità e della distanza.

6.4.   Migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori è una responsabilità che deve essere assunta a tutti i livelli politici ed amministrativi, incrementando i controlli e sanzionando severamente chi contravviene al rispetto delle norme di sicurezza. I lavoratori sono spesso vittime di incidenti che si sarebbero potuti evitare se le norme di tutela fossero state adeguatamente aggiornate sulla base dei più recenti studi e dell'evoluzione della tecnologia. Rientrano tra questi i più recenti studi epidemiologici collegati ai fattori inquinanti che collateralmente possono causare perdita dell'attenzione e conseguenze irreparabili.

7.   Quali iniziative assumere contro la stagnazione dei risultati?

7.1.   I rapporti delle agenzie europee dimostrano che la lotta ai fattori inquinanti è ancora tutta da compiere. Occorre rafforzare i presidi di tutela legale dei cittadini attraverso un adeguato sistema di controlli, che devono essere indipendenti dalle amministrazioni e dai governi locali.

7.2.   Secondo un recentissimo studio dell'AEA la principale causa dell'incremento delle emissioni nocive è dovuta alla crescita della domanda di trasporto, pur considerando i risparmi dovuti all'efficienza energetica e ai carburanti: spesso però la domanda è creata da fattori esterni al trasporto (spostamenti per acquisti, lavoro e vacanza). Decisioni prese al di fuori del settore dei trasporti influenzano la «carbon footprint», l'impronta di GES, del settore dei trasporti, senza considerare le conseguenze. È necessaria un'analisi dettagliata delle attività economiche esterne al settore dei trasporti (AEA, Oltre la politica dei trasporti: esplorare e gestire i fattori esterni della domanda di trasporto, relazione tecnica m. 12/2008).

7.3.   In alcune città, per non disturbare il commercio attraverso limitazioni al traffico, si è arrivati a spostare le centraline dalle zone più inquinate della città a sobborghi tranquilli, oppure semplicemente a non rilevare più i dati di quelle zone.

7.4.   Il sistema di autocertificazione da parte delle industrie produttrici degli pneumatici, con controlli che risentono delle specifiche situazioni di asfalto (rugosità, intrinseca capacità fonoassorbente) è essenzialmente orientato a ridurre il rumore interno percepibile negli autoveicoli (in-vehicle noise) piuttosto che quello esterno (pass-by), cioè quello percepito dai cittadini.

7.5.   L'inquinamento acustico è l'introduzione di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo e alle attività umane, pericoli per la salute, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno, o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi. Esso va contrastato attraverso un'opera intelligente di coinvolgimento della popolazione, inducendola a comportamenti virtuosi per la conquista di un benessere collettivo.

7.6.   Oltre a diffondere comportamenti virtuosi, in particolare nelle giovani generazioni, attraverso un'interazione con la scuola fin dalle scuole primarie, è necessario progredire con azioni mirate per raggiungere lo scopo di una società a bassa emissione di CO2 e di inquinanti.

7.7.   Il trasporto urbano sostenibile e collettivo è da sostenere con incentivi. Un'interessante iniziativa è stata adottata dalla città di Basilea, che in accordo con gli albergatori distribuisce gratuitamente (cioè compresa nel prezzo dell'albergo) una mobility card, che dà diritto al trasporto pubblico gratuito pari ai giorni di permanenza negli alberghi: un invito a lasciare a casa l'autovettura.

Limitazioni al traffico urbano, privilegiando il trasporto pubblico delle persone (2), tassazione differenziata sugli autoveicoli e sui carburanti in relazione alle emissioni che producono (3), internalizzando così i costi esterni (4), permessi a pagamento per entrare nei centri urbani che, dopo un primo positivo impatto di riduzione del traffico urbano, tendono però, nel tempo, a perdere di efficacia, come nel caso di Londra, Stoccolma o di Milano. Un SUV dovrebbe essere utilizzato in spazi aperti, e non nelle piccole città europee nate per ospitare carrozze e cavalli (anche loro fattore di emissioni di CH4!).

7.8.1.   Produzione e uso di veicoli più rispettosi dei limiti rispetto agli inquinanti atmosferici rappresentano un fattore fondamentale nel tentativo di raggiungere gli obiettivi posti dalla normativa europea in materia.

7.9.   Lo sviluppo dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS, Intelligent Transportation Systems) (5). I sistemi di trasporto intelligenti variano, a seconda delle tecnologie applicate, dai sistemi di gestione base come navigatori satellitari, sistemi di controllo semaforici o rilevatori di velocità per applicazioni di monitoraggio applicate a sistemi di telecamere a circuito chiuso, fino alle applicazioni avanzate che integrano dati in tempo reale provenienti da varie fonti esterne, tipo informazioni meteorologiche, sistemi di sghiacciamento dei ponti e simili.

7.10.   Possono essere utilizzate: tecnologie computazionali integrate con sistemi operativi in tempo reale, utilizzando microprocessori già presenti nelle nuove auto; il sistema FCD (floating car data o floating cellular data), che utilizza i segnali dei cellulari dei conducenti di veicoli che possiedono un telefono cellulare; tecnologie a sensori interni o esterni; individuazione con cicli induttivi con sensori posizionati nell'asfalto, individuazione video.

7.11.   L'elettronica consente di ovviare anche al problema del pagamento dei pedaggi extraurbani ed urbani. Il sistema di riscossione elettronica dei pedaggi (ETC, Electronic toll collection) oltre che per la riscossione è utilizzato anche per monitorare l'andamento della congestione, misurando i passaggi tempo per tempo.

7.12.   È opportuno aprire una riflessione sui veicoli ricreazionali (buggies, quads, moto fuoristrada, moto d'acqua, motoslitte, aeromobili ultraleggeri). Spesso la componente rumore ed emissioni, con forte rilascio di odori disgustosi, è una parte intrinseca di questi mezzi. Questi veicoli quasi sempre non hanno targa, ma possono essere trasportati e parcheggiati legalmente. I loro motori normalmente devono attenersi alle regole generali, ma ci si domanda se questi regolamenti tengono sufficientemente in conto che questi veicoli sono utilizzati in aree ad alto valore naturalistico. La crescita rapida della diffusione di tali mezzi pone problemi non solo ambientali, ma anche una sfida tecnologica.

7.13.   Internalizzazione dei costi esterni, in particolare quelli causati alla salute dei cittadini e politiche integrate dei trasporti, stabilendo il grado di sostenibilità ambientale dei singoli progetti, il rapporto costi/benefici, miglioramento ambientale, creazione di posti di lavoro, impatti sulla congestione.

7.14.   Modifica agli stili di vita. Sostenere la mobilità sostenibile a piedi e in bicicletta per percorsi brevi, migliorando le infrastrutture a disposizione dei pedoni e dei ciclisti.

7.15.   Rivedere la gestione della logistica e la produzione just in time, che comporta un dispendio enorme in spostamenti di merci. Standardizzazione dei design, riducendo i pezzi di ricambio.

7.16.   Sviluppare ove possibile il telelavoro.

7.17.   Sostenere la ricerca e lo sviluppo innovativo di materiali e soluzioni tecnologiche per ridurre gli agenti inquinanti prodotti dal traffico e dal trasporto su strada.

7.18.   Per migliorare l'impatto dell'inquinamento acustico si potrebbe adottare dei limitatori di velocità sul manto stradale, migliorare la qualità degli asfalti, inserire pannelli fonoassorbenti nelle zone a più alta densità di traffico. Sanzioni effettivamente deterrenti per veicoli che superano i limiti di emissioni rumorose, fino a prevedere il sequestro del veicolo. Controlli della rumorosità più aderenti alle condizioni «normali» di marcia dei veicoli.

7.19.   I motoveicoli sono spesso i principali responsabili di rumori molesti e dannosi. Vanno intensificati i controlli delle loro emissioni acustiche, ordinando il divieto di circolazione fino a che non venga presentato un attestato di conformità alle normative esistenti.

Bruxelles, 16 luglio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 220 del 16.9.2003, pag. 16.

(2)  GU C 168 del 20.7.2007, pag. 77-86.

(3)  GU C 195 del 18.8.2006, pag. 26-28.

(4)  Cfr. pagina 80 della presente Gazzetta ufficiale

(5)  Parere CESE 872/2009 TEN/382 Diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti, relatore: ZBOŘIL (non ancora pubblicato nella GU).


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Mercati dei componenti e mercati a valle del settore automobilistico

(parere d'iniziativa)

(2009/C 317/05)

Relatore: ZÖHRER

Correlatore: LEIRIÃO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Mercati dei componenti e mercati a valle del settore automobilistico.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZÖHRER e dal correlatore LEIRIÃO.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli, 4 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Sintesi, conclusioni e raccomandazioni

1.1.   La produzione di autoveicoli è una delle attività chiave dell'industria europea. Essa rappresenta una forza trainante per la crescita, l'occupazione, le esportazioni e l'innovazione. Altrettanto importanti sono i prodotti e i servizi nei mercati a valle della produzione automobilistica. Gli operatori di tale mercato comprendono i costruttori di autoveicoli, i loro fornitori e gli operatori indipendenti o autorizzati attivi nei segmenti della manutenzione, dei pezzi di ricambio e degli accessori, nonché nella produzione, distribuzione e vendita al dettaglio. Si tratta di una rete di 834 700 imprese (perlopiù PMI), con un fatturato complessivo di 1 107 miliardi di euro e circa 4,6 milioni di addetti.

1.2.   Sia i costruttori automobilistici che i rivenditori di automobili sono esposti a una crescente concorrenza, che riduce progressivamente i loro margini di profitto. Di conseguenza, i mercati a valle della vendita diventano sempre più importanti, ed i costruttori automobilistici assumono un ruolo dominante nei confronti dei fornitori indipendenti.

1.3.   Uno dei primi settori dell'economia reale ad essere stato investito dalla crisi dei mercati finanziari è stato proprio quello della costruzione e delle forniture automobilistiche, colpito in maniera particolarmente grave nella seconda metà del 2008, con un doloroso crollo delle vendite. La correlata diminuzione della produzione sta avendo pesanti conseguenze per le imprese e per i loro dipendenti. Sono colpite anche le imprese che operano nei mercati a valle. Per queste ultime, in particolare, le maggiori difficoltà di finanziamento che incontrano al credito rappresentano una grave minaccia alla loro stessa sopravvivenza. Il Comitato chiede pertanto alla Commissione e agli Stati membri di tener conto, nell'adottare le misure pertinenti, su un piano di parità degli operatori dei mercati a valle.

A prescindere dall'attuale congiuntura, si assiste inoltre all'emergere nel settore automobilistico di tendenze di medio e lungo periodo che condurranno a notevoli ristrutturazioni anche nel mercato a valle. Entro pochi anni questo settore sarà completamente ristrutturato. Da un lato si prospetta uno spostamento delle quote di mercato a favore degli operatori indipendenti, mentre, dall'altro molte imprese - soprattutto piccole e microimprese - sopravviveranno solo se svilupperanno nuovi progetti ed investimenti.

1.4.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) reputa che la ristrutturazione del mercato post-vendita continuerà fino a far emergere molteplici nuove forme di partenariato (anche con altri attori della società civile) e nuovi tipi di relazioni con i clienti. Considerati gli stretti legami del settore automobilistico con altri settori e l'estensione della produzione di componenti e del commercio di autoveicoli, qualsiasi forma di ristrutturazione che abbia un impatto negativo di rilievo sulle PMI si ripercuoterà anche su molte centinaia di migliaia di lavoratori in tutti gli Stati membri. Pertanto, il CESE è dell'avviso che la Commissione dovrebbe seguire attentamente i processi di ristrutturazione nel settore post-vendita e intervenire, se necessario, per garantire la concorrenza.

1.4.2.   Il Comitato raccomanda quindi, in linea con la strategia di Lisbona, di istituire un gruppo di alto livello che, basandosi sui risultati del gruppo CARS 21, elabori prospettive per il futuro, una volta superata la crisi, e sondi le possibili aree di intervento. Al riguardo, considerata l'evoluzione dell'industria automobilistica nel suo insieme, andrebbero fissate le seguenti priorità:

ulteriore sviluppo del quadro giuridico/accesso a una concorrenza libera e leale,

attuazione della strategia di Lisbona,

rilevazione del fabbisogno di qualifiche,

innovazione,

questioni relative ai consumatori,

politica commerciale,

aspetti sociali.

1.5.   Il CESE reputa che, alla luce delle condizioni economiche e sociali attuali, una revisione della normativa comunitaria dovrebbe contribuire ad assicurare una concorrenza libera e leale:

evitando cambiamenti dirompenti in questo periodo di grave crisi,

configurando le disposizioni che incoraggiano una concentrazione eccessiva della distribuzione in modo da favorire il riequilibrio,

istituendo un quadro di riferimento appropriato in materia di sicurezza, ambiente e semplificazione normativa,

anticipando gli obiettivi dei comportamenti anticoncorrenziali dovuti al nuovo assetto del mercato,

promuovendo il principio «pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) dello Small Business Act per favorire lo sviluppo e l'innovazione nelle PMI e proteggere i posti di lavoro.

1.6.   Per garantire la quantità e la qualità dell'occupazione, accrescere la mobilità dei lavoratori e in generale rendere il settore più attraente, è necessario che il settore stesso e le singole imprese affrontino anche le sfide di natura sociale. In particolare vanno trattate le questioni dei cambiamenti demografici e dello sviluppo dei modelli di formazione e perfezionamento professionale, nonché delle nuove esigenze in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Il Comitato chiede pertanto agli operatori del mercato e alla Commissione di promuovere con forza il dialogo sociale a tutti i livelli (settoriale, nazionale e aziendale).

2.   Sfondo

2.1.   L'industria automobilistica è uno dei settori economici più importanti dell'UE. Nel novembre 2007 la CCMI ha elaborato una relazione informativa sul tema Il settore automobilistico europeo: situazione attuale e prospettive future. Tale relazione, tuttavia, era incentrata solo sul segmento principale dell'industria automobilistica, cioè la produzione di autoveicoli (codice NACE 29), mentre, come si segnalava chiaramente nel parere, il NACE 29 non include molti componenti e servizi e numerose attività economiche correlate.

2.2.   I mercati dei componenti e quelli a valle del settore automobilistico rappresentano una vasta gamma di attività, alcune legate all'industria (fabbricazione di apparecchi elettrici per motori e veicoli, fabbricazione di vernici per l'industria automobilistica, produzione di pneumatici, prodotti sintetici e tessili, impianti di condizionamento d'aria, batterie e strumenti di misurazione per le automobili), alcune legate al settore dei servizi, come i servizi di manutenzione e riparazione degli autoveicoli.

I soggetti che operano nel mercato a valle europeo sono i costruttori automobilistici, i loro fornitori e gli operatori indipendenti attivi nei segmenti della manutenzione dei veicoli, dei pezzi di ricambio e degli accessori, nonché della produzione, distribuzione e vendita al dettaglio. Queste attività economiche svolgono un ruolo essenziale per l'economia europea, in quanto interessano numerosi settori (grandi industrie così come PMI), e hanno importanti ripercussioni a livello occupazionale.

2.3.1.   Fondamentalmente nel mercato post-vendita si possono distinguere tre categorie principali:

I.   Distribuzione, servizio, riparazione e manutenzione

A tale categoria appartengono le strutture proprie del costruttore (distribuzione e servizio) e i partner contrattuali che da esso direttamente dipendono (importatori generali, autofficine autorizzate, ecc.) e le autofficine indipendenti. Esistono autofficine generali e altre specializzate in un determinato tipo di attività. Le autofficine specializzate in singoli componenti rientrano talvolta nel settore dell'indotto.

II.   Pezzi di ricambio

La fabbricazione e la distribuzione di pezzi di ricambio sono attività svolte in primo luogo dai costruttori automobilistici stessi, dai rivenditori di automobili o dai loro fornitori. Una parte sempre maggiore di pezzi di ricambio, tuttavia, non è commercializzata sotto forma di pezzi originali, ma di copie. Inoltre vi è una serie di pezzi di ricambio di uso generico, che non sono riconducibili a costruttori automobilistici particolari (pneumatici, cerchioni, batterie, candele d'accensione, filtri, lampadine, ecc.).

III.   Accessori e tuning

In questa categoria si potrebbero far rientrare più o meno tutte quelle parti o quei componenti utilizzabili per personalizzare il design, il comfort o la sicurezza di un'automobile. È un settore molto vasto che va da componenti elettronici o idraulici molto complessi (per es. sistemi di navigazione GPS o componenti dell'autotelaio) fino a oggetti in plastica (per es. portabevande).

2.3.2.   La rottamazione e il riciclaggio stanno assumendo un'importanza crescente all'interno di questo mercato. Da un lato, infatti, le parti recuperate dalle automobili vengono rilavorate per essere poi rivendute, mentre, dall'altro, le auto rottamate rappresentano anche una fonte di materie prime, quali acciaio, alluminio e plastica.

2.3.3.   Inoltre, in questo segmento del mercato esiste una serie di altri operatori che forniscono servizi, quali ad esempio i rivenditori di carburanti, gli addetti al soccorso stradale, i revisori/organismi di revisione tecnici e i carrozzieri.

Mancano dati statistici sufficienti: per questi settori della produzione industriale e dei servizi, dati specifici sono disponibili solo in casi eccezionali. In generale, infatti, tali settori rientrano in altri comparti industriali e dei servizi.

2.4.1.   Il mercato post-vendita automobilistico comprende circa 834 700 imprese, prevalentemente piccole e medie (PMI). La struttura degli operatori di questo mercato differisce da uno Stato membro all'altro: in alcuni paesi - soprattutto dell'Europa meridionale - prevalgono le piccole imprese e le microimprese (perlopiù a conduzione familiare), mentre in altri - quali ad esempio la Francia e la Germania - gli operatori del settore sono contraddistinti da strutture più grandi. In questo mercato, che registra un fatturato di 1 107 miliardi di euro, trovano occupazione circa 4,6 milioni di persone nell'Unione europea (1).

3.   Il contesto economico e le tendenze internazionali

Uno dei primi settori dell'economia reale che nel secondo semestre del 2008 ha risentito intensamente dell'impatto della crisi dei mercati finanziari è stata l'industria automobilistica e quella dei fornitori del settore auto. A causa dei problemi verificatisi sui mercati finanziari si sono avuti due effetti, che hanno colpito in misura particolare il comparto. Da un lato, l'automobile rappresenta insieme alla proprietà immobiliare l'investimento maggiore delle famiglie. In periodi di difficoltà economica questi investimenti vengono rimandati e questo ha determinato un crollo non prevedibile delle vendite nel mercato degli autoveicoli privati. Dall'altro l'accesso al credito è più difficile e soprattutto le PMI hanno di conseguenza problemi a finanziare la loro attività. Ciò si ripercuote altresì sugli investimenti aziendali e determina anche un calo delle vendite nel settore dei veicoli commerciali (2)  (3).

3.1.1.   Nel 2008 il numero delle immatricolazioni di autoveicoli per uso privato in Europa è diminuito del 7,8 % rispetto all'anno precedente. Solo nell'ultimo trimestre di quell'anno tale diminuzione è stata pari al 19,3 %. Le vendite di veicoli commerciali leggeri (furgoni) sono diminuite di oltre il 10 %, mentre quelle di autocarri hanno ancora fatto registrare un calo del 4 %. La tendenza si conferma quindi per l'inizio del 2009, anche se, nel caso delle autovetture, appare leggermente attenuata dalle diverse contromisure (incentivi ambientali, incentivi alla rottamazione, ecc.) adottate dagli Stati membri. Nel campo dei veicoli commerciali, per contro, l'andamento delle vendite peggiorerà drasticamente. La situazione del settore dei veicoli commerciali pesanti in Europa in questo scorcio del 2009 è catastrofica, con un calo delle immatricolazioni del 38,9 % per il primo trimestre.

3.1.2.   Il calo della produzione ha gravi ripercussioni non solo sulle imprese, ma anche sui dipendenti: esso conduce infatti soprattutto a tagli di personale (che colpiscono in primo luogo i lavoratori con contratti a termine), riduzioni di orario o misure analoghe, che comportano tutte una perdita salariale.

Indipendentemente dall'evoluzione in corso, la CCMI, nella propria relazione del novembre 2007 (4) ha effettuato un'analisi approfondita delle principali tendenze in atto nell'industria automobilistica. Molti di questi sviluppi saranno accelerati dalla crisi attuale e condurranno a una trasformazione strutturale di grande portata in tale industria. Inoltre, queste tendenze stanno avendo un impatto immediato sugli sviluppi e sui cambiamenti nel mercato post-vendita. Nei punti seguenti, la CCMI intende appunto passare in rassegna gli sviluppi e i cambiamenti più significativi per i mercati dei componenti e i mercati a valle del settore automobilistico.

3.2.1.   I risultati principali sono illustrati di seguito.

Tutti gli attuali studi sulle tendenze e le previsioni fanno pensare che a medio termine e a livello mondiale, il settore automobilistico sarà un comparto industriale in crescita, che però continuerà ad essere caratterizzato da profonde ristrutturazioni,

l'aumento che si registra in termini di valore aggiunto e di occupazione si concentra principalmente nel settore della produzione di componenti e si realizza attraverso il proseguimento dei processi di esternalizzazione,

ci si attendono ulteriori processi di esternalizzazione soprattutto a livello dei produttori di massa (americani), mentre i produttori europei (e in particolare tedeschi) di veicoli di alta gamma sono meno interessati dal fenomeno,

a livello internazionale, l'incremento della produzione automobilistica (settore delle autovetture) si concentrerà soprattutto nei paesi BRIC (Brasile e Russia, ma anche e soprattutto India e Cina) oltre che in Europa,

nonostante la tendenza generale alla crescita, per quanto riguarda le principali aree di crescita non ci si attendono solo spostamenti regionali:

alcuni costruttori del prodotto finale dovranno affrontare crisi che metteranno a repentaglio la loro stessa esistenza,

non è escluso che negli Stati Uniti si assista a un processo interno simile a quello verificatosi nel Regno Unito negli anni Novanta (ampia ristrutturazione con una delocalizzazione regionale),

le relazioni tra costruttori e fornitori si trasformeranno ulteriormente in seguito ai processi di esternalizzazione,

nell'industria dell'indotto ci si deve attendere un'ulteriore ampia concentrazione,

in seguito agli sviluppi tecnologici (per es. nella tecnologia automobilistica e dei motori) vi saranno probabilmente importanti trasformazioni nel settore dell'indotto,

la misura in cui i singoli fabbricanti di componenti saranno interessati da questi processi di ristrutturazione dipende da tutta una serie di fattori diversi, ovverosia:

la gamma dei loro prodotti e il fatto di esserne gli unici produttori,

le attività di R&S e la ripartizione dei loro costi,

il rapporto tra i singoli costruttori di autoveicoli e produttori di componenti,

l'efficienza dell'organizzazione della produzione,

il loro grado d'integrazione nelle reti della catena del valore e le relazioni tra cluster,

la struttura aziendale e i rapporti di proprietà,

la dotazione di capitale e il flusso di cassa disponibile (free cash flow),

la presenza a livello regionale,

la struttura regionale dell'industria automobilistica europea continuerà ad essere caratterizzata da uno spostamento da Ovest verso Est,

è lecito ipotizzare che in futuro l'industria automobilistica continuerà a registrare aumenti accelerati della produttività che risulteranno superiori all'aumento atteso della produzione. Ciò creerà una continua pressione sull'occupazione e sulle condizioni di lavoro (soprattutto a livello dell'industria dell'indotto),

nell'industria automobilistica a livello mondiale, ma anche in Europa, nel comparto della produzione di autovetture vi sono attualmente notevoli sovraccapacità. La pressione di tale eccesso di capacità verrà acuita dall'ulteriore aumento delle capacità che si va delineando,

il mercato è caratterizzato dalle esigenze sempre più differenziate e complesse da parte degli acquirenti. In tale contesto svolgono un ruolo fondamentale non solo l'andamento demografico, ma anche quello dei redditi e dei prezzi di vendita,

i problemi climatici, la scarsità delle materie prime e la sicurezza pongono enormi sfide. Questo aumenta la spinta ad accelerare lo sviluppo nel campo della tecnologia di propulsione (come pure della riduzione dei gas di scarico delle automobili e dei carburanti alternativi) e dei materiali ed allo sviluppo di sistemi di trasporto integrati e intermodali. Sarà questo aspetto ad avere un impatto più forte e a lungo termine sul settore nel prossimo futuro, nonché ad esigere la definizione del futuro ruolo dei trasporti su strada e dell'automobile nel quadro di tali sistemi.

3.3.   Sia i costruttori automobilistici che i concessionari di automobili sono esposti ad un'aspra concorrenza che si traduce in margini di profitto sempre più modesti. La distribuzione soffre in modo particolare a causa di questa situazione visto che i margini si situano intorno allo 0,3 %. Questa tendenza fa sì che gli operatori si concentrino in misura crescente sui mercati post-vendita (servizio, manutenzione, pezzi di ricambio). In questo campo i costruttori automobilistici godono di una posizione dominante rispetto agli operatori indipendenti.

4.   Quadro normativo comunitario

4.1.   A differenza di quanto avviene sul mercato primario, in quello a valle si registrano problemi di concorrenza. Le reti autorizzate detengono quote elevate di questo mercato (pari al 50 % circa) e i costruttori di automobili detengono quote elevate del mercato dei pezzi di ricambio. Esistono inoltre pezzi «prigionieri», disponibili unicamente presso i costruttori di autoveicoli: per garantire il diritto di accesso dei riparatori indipendenti alle informazioni tecniche, è stato necessario l'intervento della Commissione. La diversità di queste condizioni di concorrenza rispetto a quelle presenti sul mercato primario si traduce inoltre nella tendenza dei costruttori di automobili a realizzare margini di profitto notevolmente più elevati sui pezzi di ricambio e nella propensione delle reti di concessionari a ricavare la maggior parte dei loro profitti dall'attività di riparazione e manutenzione piuttosto che dalla vendita di nuove automobili.

4.2.   Per tutelare la concorrenza e le scelte dei consumatori, nonché per assicurare parità di condizioni nel settore dei pezzi di ricambio e delle riparazioni, nel 2003 la Commissione europea ha adottato il regolamento di esenzione per categoria nel settore automobilistico (CE) n. 1400/2002, che detta le norme applicabili agli operatori di questo mercato e rimarrà in vigore fino al 2010.

La natura dei regolamenti di esenzione per categoria è quella di definire gli accordi verticali esclusi dall'ambito di applicazione dell'articolo 81 TUE, che vieta le intese anticoncorrenziali. Questi regolamenti offrono dunque una certa sicurezza agli operatori del mercato: se i loro accordi soddisfano le condizioni poste dal pertinente regolamento di esenzione, essi possono essere certi di conformarsi alla normativa comunitaria antitrust.

4.3.   Lo specifico regolamento di esenzione per categoria applicabile al settore automobilistico, essendo molto più dettagliato del regolamento generale di esenzione per categoria, pone problemi di comprensione per gli operatori di quel mercato, e in particolare per le PMI, a causa della sua notevole complessità. La Commissione si è resa conto di questa situazione di disagio in seguito alle numerose richieste e lamentele ricevute dagli operatori di mercato per motivi non attinenti a questioni di concorrenza. Sul mercato a valle, l'approccio del regolamento di esenzione per categoria applicabile al settore automobilistico è a priori più liberale, poiché, a determinate condizioni, gli accordi sono esenti fino a una quota di mercato del 100 % (mentre nel regolamento generale di esenzione tale quota massima è del 30 %), ma questa maggiore elasticità è in parte compensata da norme più specifiche.

Di conseguenza, il regolamento di esenzione per categoria applicabile al settore automobilistico continua ad essere alquanto controverso, dato che i rivenditori autorizzati sono perlopiù favorevoli al mantenimento della situazione attuale e i costruttori di automobili chiedono regole più semplici e meno restrittive, mentre gli operatori indipendenti (riparatori indipendenti e produttori indipendenti di parti di ricambio) tendono piuttosto a invocare una migliore armonizzazione della normativa vigente.

4.4.   Una migliore armonizzazione del quadro legislativo attuale riguarderebbe tra l'altro:

il regolamento di esenzione per categoria,

la diffusione e la messa a disposizione delle informazioni tecniche sui nuovi modelli e dei nuovi strumenti per tutti gli operatori,

l'aggiornamento della direttiva 96/96/CE concernente il controllo tecnico,

i diritti di proprietà industriale (protezione di disegni, modelli e brevetti),

le disposizioni in materia di garanzia,

la formazione.

4.5.   Tutti gli operatori di mercato chiedono una maggiore certezza giuridica e desidererebbero conoscere ciò che accadrà dopo il 2010. L'attuale incertezza quanto al futuro contenuto del regolamento di esenzione per categoria pone gli operatori, e in particolare le PMI, in una situazione di notevole disagio, tenuto conto della durata dei contratti e del volume degli investimenti necessari affinché gli operatori possano tenersi aggiornati riguardo alle nuove tecnologie automobilistiche e avere accesso ai pezzi di ricambio, alle tecnologie informatiche e alle novità in materia di utensili, attrezzature e formazione.

4.6.   La Commissione si è impegnata a rafforzare il quadro normativo con l'adozione del regolamento (CE) n. 715/2007 («Euro 5»), in vigore dal 3 gennaio 2009, che disciplina l'accesso all'insieme delle informazioni tecniche relative ai veicoli di recente omologazione.

4.7.   Il CESE reputa che, data l'attuale situazione economica e sociale, qualsiasi revisione della normativa comunitaria debba contribuire ad assicurare una concorrenza libera e leale:

evitando cambiamenti dirompenti in questo periodo di grave crisi,

configurando le disposizioni che incoraggiano una concentrazione eccessiva della distribuzione in modo da favorire il riequilibrio,

istituendo un quadro di riferimento appropriato in materia di sicurezza, ambiente e semplificazione normativa,

anticipando gli obiettivi dei comportamenti anticoncorrenziali dovuti al nuovo assetto del mercato,

promuovendo il principio «pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First) dello Small Business Act per favorire lo sviluppo e l'innovazione nelle PMI e proteggere i posti di lavoro.

5.   Situazione attuale del mercato post-vendita automobilistico in Europa

Il mercato post-vendita europeo è attualmente interessato da un importante cambiamento strutturale, previsto da un nuovo e più incisivo intervento normativo. Inoltre, le evoluzioni tecnologiche e i cambiamenti dei processi stanno ridisegnando il modello imprenditoriale di successo per i partecipanti, in tutte le fasi della catena di produzione, commercializzazione e distribuzione del mercato post-vendita.

5.1.   Manutenzione e riparazione

Le innovazioni tecnologiche consentono un più efficace controllo delle emissioni e un miglior livello di sicurezza e di comfort, ma hanno reso sempre più complesse le operazioni di manutenzione e di riparazione dei veicoli. Il mercato in questione è un mercato altamente competitivo, in cui vi è una prevalenza numerica di PMI, e l'offerta di componenti competitivi e di servizi di qualità è decisiva per l'occupazione e la crescita dell'economia europea.

5.1.1.   In particolare, i fabbricanti di strumenti multimarca necessitano di informazioni specifiche (ad esempio, le informazioni specifiche in materia di diagnostica, necessarie per garantire la massima funzionalità degli strumenti generici di diagnostica). Ma senza strumenti multimarca o generici, queste piccole imprese sarebbero costrette ad acquistare un'intera gamma di strumenti per ogni singola marca di veicolo su cui potrebbero trovarsi ad intervenire. E ciò richiederebbe, com'è ovvio, investimenti decisamente superiori alle capacità finanziarie di una piccola e media impresa. Per stare al passo con il numero crescente di sistemi elettronici che vengono continuamente installati sugli autoveicoli, i produttori di strumenti hanno bisogno di ricevere, da parte dei costruttori automobilistici, informazioni e dati affidabili e corretti, in mancanza dei quali, tra l'altro, i produttori di strumenti automatici di diagnosi (scan tool) non possono nemmeno sviluppare i software necessari ai riparatori indipendenti per la loro attività.

5.2.   Pezzi di ricambio

La produzione e la distribuzione di pezzi di ricambio originali di marca è operata in grande misura in primo luogo degli OEM o dai loro subfornitori contrattuali. Una quota sostanziale, tuttavia, è costituita da parti di ricambio multimarca, come pneumatici, ruote, batterie, candele d'accensione, filtri diversi, ecc.

Proprio i fabbricanti di pneumatici, di batterie e di ruote si trovano a sostenere una concorrenza globale crescente e hanno subito una vasta ristrutturazione. Occorrerebbe in questa sede raccomandare studi complementari sui singoli sottosettori.

5.2.1.   Repliche e copie dei pezzi di ricambio

I fornitori alternativi, indipendenti, assumono un'importanza sempre maggiore sul mercato dei pezzi di ricambio. Spesso tali fornitori offrono pezzi di ricambio con un rapporto qualità-prezzo migliore, più adatto alle esigenze dei clienti (ad esempio, nel caso di veicoli vecchi, per cui la durata di vita del pezzo è meno importante di un prezzo più vantaggioso). In questi casi, non si tratta tanto di copiare pezzi originali quanto piuttosto di una questione di funzionalità.

Sul mercato, tuttavia, continuano a essere offerte anche copie illegali o contraffazioni di scarsa qualità. In questo caso si tratta, in ultima analisi, di vera e propria frode, che è però possibile contrastare con sempre maggiore efficacia con le armi costituite dalla tutela dei brevetti e della proprietà intellettuale in genere e dalla politica commerciale.

5.2.2.   Industria del car tuning

Il car tuning rappresenta un sottosettore dell'industria automobilistica in rapida espansione.

Si tratta di un'attività volta a modificare un'autovettura, migliorandone le prestazioni, l'aspetto generale e la sicurezza. Tale operazione può interessare tutti i componenti di una vettura: ruote, pneumatici, sospensioni, motore (miglioramento delle prestazioni), interni, carrozzeria, dispositivi di scappamento, ecc.

Sono molte le imprese che si occupano esclusivamente di car tuning e che commercializzano i loro prodotti sul mercato mondiale. Esse generalmente utilizzano idee e materiali innovativi e lanciano nuove tendenze ingegneristiche, che talvolta vengono persino recepite dagli stessi costruttori automobilistici, per la produzione dei veicoli standard.

Un'apposita normativa per disciplinare le attività di car tuning dovrebbe essere predisposta ed emanata dalla Commissione europea.

5.3.   Sicurezza e vantaggi sostenibili per l'ambiente

Per assicurare la loro conformità alle norme UE in materia di emissioni e standard di sicurezza, non soltanto appena usciti dalla fabbrica ma anche durante tutto il loro ciclo di vita, è necessario che i veicoli siano regolarmente sottoposti a interventi di revisione e a un'adeguata manutenzione e riparazione. Gli operatori indipendenti svolgono un ruolo importante nell'assicurare che sia i nuovissimi modelli sia quelli più vecchi rispettino le norme vigenti in materia di sicurezza e di tutela dell'ambiente. E questi interventi possono essere eseguiti soltanto se i produttori garantiscono un continuo accesso alle informazioni tecniche, alle attrezzature e agli strumenti multimarca, ai componenti e alla formazione.

6.   Profonda ristrutturazione del mercato post-vendita

6.1.   L'intero settore dell'industria automobilistica - produzione, commercio e servizi - è stato duramente colpito dalla crisi economica e finanziaria. Tra le ripercussioni più gravi, le crescenti difficoltà incontrate dalle imprese (specie piccole e medie) a ottenere prestiti e il crollo della domanda di autoveicoli nuovi. Sul mercato post-vendita incidono poi molti altri fattori, tra i quali:

l'aumento dell'età media dei veicoli, associato alla diminuzione del chilometraggio annuo,

la riduzione del volume delle riparazioni, dovuta alla maggiore longevità dei componenti e alla maggiore frequenza della manutenzione,

l'aumento relativo del costo delle riparazioni, dovuto al più ampio utilizzo di parti ad elevata tecnologia nei veicoli,

la pressione esercitata sui costi delle riparazioni dalla diminuzione del reddito delle famiglie e dalla sensibilità dei consumatori ai prezzi,

il maggiore impiego dell'elettronica nei veicoli moderni e la crescente complessità dei dispositivi,

il maggior numero dei pezzi di ricambio, la crescita esponenziale del numero dei modelli e delle varianti degli equipaggiamenti,

la maggiore complessità di individuazione dei pezzi e di concezione degli strumenti, e quindi delle riparazioni e della manutenzione,

gli enormi investimenti necessari per i sistemi informatici, gli strumenti, i pezzi e la formazione,

la politica dei costruttori di autoveicoli di vincolare i clienti con contratti di manutenzione.

6.2.   In conseguenza di ciò, sono in atto dei cambiamenti radicali, che danno luogo a vari livelli di ristrutturazione del mercato post-vendita, tra i quali:

la tendenza alla concentrazione del mercato in virtù di fusioni e acquisizioni, che continuerà e sarà anzi accelerata dalla crisi,

la diminuzione del numero dei riparatori indipendenti e dei grossisti di pezzi di ricambio,

la crescente tendenza dei piccoli e medi riparatori e dei grossisti di pezzi di ricambio ad associarsi, per far fronte alle crescenti esigenze della loro professione, in gruppi o catene indipendenti in grado di offrire una gamma completa di servizi,

l'aumento della pressione sui prezzi praticati dai produttori e distributori di pezzi di ricambio,

in prospettiva, un aumento delle attività dei costruttori di autoveicoli sul mercato post-vendita, stante la bassa redditività delle vendite di autoveicoli nuovi.

6.3.   Come se tutto ciò non bastasse, se è vero che vi sono ancora possibilità di espansione delle sostituzioni sul mercato post-vendita, i fornitori sono però sempre più spesso sollecitati a offrire prodotti innovativi, capaci di migliorare le prestazioni e la sicurezza dei componenti originali dei veicoli, in modo da alimentare la domanda sul mercato post-vendita. Ciò fa sì che le reti di rivenditori affiliati in franchising fatichino a mantenere la loro quota di mercato, soprattutto a causa del calo della domanda di pezzi di ricambio per gli autoveicoli con meno di quattro anni di età, i cui utenti costituiscono la base fondamentale della loro clientela.

6.4.   Il CESE reputa che la ristrutturazione del mercato post-vendita continuerà con la creazione di molte nuove forme di partenariato e la comparsa di nuovi tipi di relazioni con la clientela. Considerati gli stretti legami del settore automobilistico con altri settori e l'ampia diffusione della produzione di componenti e del commercio di autoveicoli, qualsiasi forma di ristrutturazione che abbia gravi ripercussioni negative sulle PMI coinvolgerà molte migliaia di lavoratori in tutti gli Stati membri. Pertanto, il CESE è dell'avviso che la Commissione dovrebbe seguire attentamente l'andamento delle ristrutturazioni nel settore post-vendita e intervenire, se necessario, per garantire la concorrenza.

7.   Aspetti sociali

7.1.   Formazione e perfezionamento professionale

In linea generale, in questo settore i sistemi di formazione e di perfezionamento professionale sono ben sviluppati. Da un lato, infatti, si tratta di un obbligo dei costruttori; dall'altro, la rapidità dell'evoluzione tecnologica rende necessaria una formazione professionale permanente. In ben pochi settori la quota di lavoratori che ogni anno beneficia di un perfezionamento professionale è così elevata come in quello automobilistico. Tuttavia, si tratta di una quota assai variabile, che dipende essenzialmente dal tipo e dalle dimensioni dell'impresa. Soprattutto le piccole imprese (perlopiù a conduzione familiare) incontrano grosse difficoltà a stare al passo in questo campo. Per la sua stessa struttura, la formazione spesso si concentra troppo su uno specifico profilo professionale o su un determinato marchio. Tutto ciò riduce la mobilità dei lavoratori, rendendo più difficile cambiare tipo di occupazione. Il Comitato appoggia dunque gli sforzi volti a creare un sistema uniforme di certificazione a livello europeo.

7.2.   Salute e sicurezza

Per quanto concerne la gravosità dei mestieri del settore automobilistico, occorre distinguere tra i siti di produzione, spesso automatizzati e dotati di notevoli mezzi tecnici, e i siti di riparazione, nei quali predominano ancora le operazioni manuali. La ripetizione di tali operazioni può condurre con una certa frequenza alla comparsa di dolori invalidanti o di disturbi muscolo-scheletrici nei lavoratori. Date le sfide future legate all'evoluzione demografica, si rivelerà indispensabile modificare l'organizzazione del lavoro al fine di mantenere una manodopera sufficientemente qualificata in buona salute e consentire ai lavoratori di continuare a lavorare fino all'età della pensione. In caso contrario il settore potrà trovarsi a fronteggiare una insufficiente disponibilità di manodopera specializzata.

I piani di prevenzione dei rischi professionali e le misure di adeguamento dei posti di lavoro devono quindi non solo tener conto dei diversi agenti inquinanti o tossici, ma anche premunire i lavoratori contro la gravosità delle loro mansioni.

La comparsa sul mercato di nuove tecnologie farà emergere nuovi rischi: presto occorrerà far fronte ai rischi elettrici associati all'uso di sistemi ad alto voltaggio e ai rischi di esplosione indotti dall'uso di idrogeno. Tutto ciò esige un'adeguata preparazione. Allo stato attuale, non si sa ancora quali cambiamenti potranno intervenire sui tipici luoghi di lavoro di questo settore. I diversi soggetti interessati hanno però bisogno di segnali chiari per iniziare a elaborare le strategie appropriate. I rischi professionali nell'industria automobilistica sono dunque al centro di un dialogo che si svolge tra le parti sociali e per il quale occorre dettare disposizioni che incoraggino misure preventive e un monitoraggio della situazione dei dipendenti.

Il CESE appoggia il rafforzamento delle iniziative e dei mezzi dedicati dall'UE e dagli Stati membri alle politiche in materia di igiene, sicurezza, salute o riqualificazione dei lavoratori del settore.

7.3.   Evoluzione demografica

L'invecchiamento della popolazione si ripercuote anche sul mercato automobilistico post-vendita. L'età media della forza lavoro è destinata ad aumentare e le questioni legate alla salute avranno una maggiore incidenza sulle esigenze di organizzazione del lavoro, sul fabbisogno di formazione e sulle condizioni di lavoro.

7.4.   Retribuzione

Le retribuzioni e i salari non rientrano nell'ambito delle competenze dell'UE. Tuttavia, la particolare situazione del mercato automobilistico post-vendita giustifica un esame più approfondito di tale questione. In quasi tutti gli Stati membri, in questo settore i salari sono sottoposti a una pressione superiore alla media. Una pressione esercitata principalmente dai costruttori di automobili. Il rapporto di dipendenza tra rivenditori di automobili od officine di riparazione e costruttori che offrono loro concessioni è estremamente stretto. Sono i costruttori a decidere gli investimenti e gli standard di formazione, nonché a influire anche indirettamente, ad esempio mediante la fissazione di termini, sui prezzi all'utente finale, ma è il rivenditore o riparatore che deve sostenere i relativi oneri finanziari e tutti i rischi economici connessi. Le parti sociali dispongono quindi solo di un margine di manovra limitato per la contrattazione collettiva, e di conseguenza, in questo settore i salari sono relativamente bassi. Questa situazione, sommandosi alle difficili condizioni di lavoro, riduce l'interesse per questo settore dei giovani lavoratori. È probabile che in futuro sorgano difficoltà di reperimento di personale.

8.   Sfide e opportunità

8.1.   Nei prossimi anni i settori a valle vedranno grossi cambiamenti, alcuni positivi, altri meno. Mentre in questi settori i risultati vanno - in larga misura - di pari passo con quelli dell'industria automobilistica, vi sono rami importanti in cui la concorrenza è legata anche ad altri fattori, quali ad esempio le regole di distribuzione e di vendita, l'impatto ambientale, i rischi legati alla sicurezza (prodotti supplementari), le attività di riciclaggio, i diritti di proprietà intellettuale (contraffazione), ecc. In tali rami l'innovazione può svolgere un ruolo fondamentale in tutte le attività a valle.

8.2.   Ad esempio, vi sono fattori importanti che incidono sull'aumento della concorrenza per i settori dei componenti automobilistici, dei concessionari e delle attività di riparazione delle auto: le nuove regole di distribuzione e di vendita per i veicoli nuovi (modifica del regolamento di esenzione di categoria), la nuova normativa europea per la distribuzione, la vendita e la riparazione dei pezzi di ricambio, ad esempio la nuova «clausola relativa alle riparazioni», che modifica la cosiddetta «direttiva disegni e modelli» (direttiva 98/71/CE).

8.3.   In risposta alle sfide politiche, giuridiche e tecnologiche, molti operatori del mercato multimarca e organizzazioni automobilistiche hanno fatto fronte comune per difendere il loro diritto di eseguire interventi di riparazione e il diritto dei consumatori di recarsi presso l'officina di loro scelta per l'assistenza, la manutenzione e la riparazione dei propri veicoli. Il regolamento resterà in vigore fino al 2010 e l'eventuale proroga è al centro di un dibattito in cui si affrontano posizioni contrastanti (5).

8.4.   Le PMI sono la vera e propria spina dorsale dell'economia e dell'occupazione nell'UE, e rappresentano la maggior parte delle imprese del mercato post-vendita automobilistico. Una normativa chiara e mirata è di cruciale importanza per garantire una concorrenza libera e leale nel settore post-vendita automobilistico (6).

8.5.   Nel contesto della crisi attuale, a breve termine occorre adottare misure di sostegno efficaci che consentano all'intero settore automobilistico e ai suoi addetti di superare la recessione. A medio e lungo termine, le imprese - soprattutto le piccole e le microimprese - potranno far fronte alla concorrenza solo se svilupperanno nuovi progetti ed effettueranno investimenti; e, poiché molte piccole imprese non potranno riuscirvi da sole, si assisterà a un aumento dei fenomeni di concentrazione e di cooperazione ed alla nascita di nuovi partenariati fra un vastissimo spettro di attori della società civile; emergeranno altresì reti specializzate indipendenti oppure reti di specialisti in nuove tecnologie (veicoli elettrici ed ibridi).

Bruxelles, 16 luglio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Fonte: Figiefa - International Federation of Automotive Aftermarket Distributors (Federazione internazionale di distributori di ricambi) / WOLK & Partner Car Consult GmbH (Agenzia di consulenza tedesca specializzata in analisi di mercato relative all’aftermarket).

(2)  Cfr. anche il parere del CESE (non ancora pubblicato nella GU) del 13 maggio 2009, CCMI/067.

(3)  L'associazione europea dei costruttori automobilistici (ACEA) ha definito 3 categorie per il settore dei veicoli commerciali: veicoli commerciali leggerei fino a 3,5 t (furgoni); veicoli commerciali oltre le 3,5 t – ad esclusione dei bus e dei pullman (autocarri) e veicoli commerciali pesanti oltre le 16 t, ad esclusione dei bus e dei pullman (autocarri pesanti).

(4)  Relazione informativa della commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del 23 novembre 2007 sul tema L'industria automobilistica in Europa: situazione attuale e prospettive (relatore: ZÖHRER; correlatore: GLAHE).

(5)  La campagna di sostegno del diritto alla riparazione è promossa da:

 

AIRC - Association Internationale des Réparateurs en Carrosserie (Associazione internazionale dei carrozzieri)

 

CECRA - European Council for Motor Traders and Repairs (Consiglio europeo del commercio e della riparazione automobilistica)

 

EGEA - European Garage Equipment Association (Associazione europea dei produttori e importatori di strumenti di diagnosi e attrezzature per l’officina)

 

FIA - Fédération Internationale de l’Automobile (Federazione internazionale dell'automobile)

 

Figiefa - International Federation of Automotive Aftermarket Distributors (Federazione internazionale di distributori di ricambi).

(6)  Parere CESE 38/2009 del 14 gennaio 2009 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - «Pensare anzitutto in piccolo»(Think Small First) - Uno«Small Business Act»per l'Europa - COM(2008) 394 def./2, GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Spazi urbani e violenza giovanile

(2009/C 317/06)

Relatore: ZUFIAUR NARVAIZA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Spazi urbani e violenza giovanile.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 giugno 2009 sulla base del progetto predisposto dal relatore ZUFIAUR NARVAIZA.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1.   Il fenomeno della violenza e della delinquenza dei minorenni e dei giovani costituisce attualmente una preoccupazione per la società europea che intende, tuttavia, promuovere lo sviluppo integrale dei giovani e favorire il loro inserimento sociale e professionale. Sebbene i fenomeni di violenza giovanile trovino ampia risonanza nei mezzi d'informazione nazionali, va tenuto presente che in genere le statistiche (1) relative alla delinquenza minorile non indicano, in Europa, alcun aumento di rilievo e appaiono, anzi, sostanzialmente stabili. Il presente parere d'iniziativa vuole apportare un chiarimento e fornire alcune raccomandazioni in materia di violenza giovanile, senza però cercare di scaricare la responsabilità sulla gioventù né concepirla riduttivamente come l'espressione di certi comportamenti devianti.

1.2.   Nel corso della storia, ciascun ordinamento giuridico dello spazio europeo ha sviluppato un proprio modello di giustizia giovanile e ciò spiega la disparità fra i modelli normativi e le risposte adottate nei confronti della violenza minorile e giovanile. I sistemi giudiziari giovanili vigenti negli Stati membri dell'UE, infatti, presentano notevoli differenze su aspetti quali le politiche di protezione sociale e di prevenzione, l'età della responsabilità penale, le procedure utilizzate, le misure o le sanzioni applicabili, le risorse disponibili ecc. Tale diversità, tuttavia, si produce in società che presentano una volontà di costruzione europea; si tratta, però di società, duramente colpite dalla crisi e le cui risorse per le politiche di inserimento dei giovani, già di per sé modeste, si riducono ulteriormente.

1.3.   Le raccomandazioni del presente parere si basano su due orientamenti, il primo dei quali è costituito da un approccio al fenomeno di tipo preventivo. I comportamenti violenti o antisociali, infatti, sono spesso causati da fattori quali la conformazione e la struttura urbana, nonché l'impoverimento e l'emarginazione delle popolazioni. Inoltre, se da un lato i giovani sono i protagonisti degli atti di violenza che avvengono in tali contesti, dall'altro essi sono anche vittime del mondo che li circonda. Pertanto, la riflessione sulla violenza collettiva minorile e giovanile e sulla sua prevenzione non può trovare unicamente risposta nella repressione e nell'imposizione di sanzioni per i reati commessi. Il secondo orientamento su cui si basa il parere riguarda la convinzione che non convenga affrontare tale fenomeno esclusivamente in un'ottica nazionale, considerata l'interconnessione dello spazio europeo, sul piano economico, dei valori, dei comportamenti sociali e della comunicazione.

1.4.   L'esistenza, da numerosi anni, di fenomeni di violenza e di delinquenza minorili nei paesi europei, in forme ricorrenti, è un dato di fatto. In generale, tali fenomeni sono stati percepiti come una patologia sociale; oggi essi vengono considerati piuttosto fattori di insicurezza, come precisava la relazione Peyrefitte (2) che ha introdotto la distinzione fra crimine e paura del crimine.

1.5.   Nel contesto europeo, dove la questione della violenza minorile suscita un particolare interesse, il Comitato economico e sociale europeo ha approvato, il 15 marzo 2006, il parere dal titolo La prevenzione e il trattamento della delinquenza giovanile e il ruolo della giustizia minorile nell'Unione europea  (3). Tale parere, che sottolineava l'importanza dell'approccio preventivo, è stato fatto proprio dalle istituzioni europee (4) e rappresenta anche un documento di riferimento, a diversi livelli europei e internazionali, per gli aspetti giuridici, penali e sociali della delinquenza giovanile.

1.6.   In questo parere il Comitato invitava ad approfondire l'analisi del fenomeno della delinquenza giovanile. In tal senso, la violenza minorile e giovanile (si intendono gli adolescenti fra i 13 e i 18 anni e i giovani tra i 18 e i 21 oppure fino 25 anni a seconda del paese, talvolta ancora soggetti al sistema di responsabilità penale minorile) è un fenomeno che é sempre più al centro dell'attenzione delle società europee. I fenomeni di violenza, tuttavia, possono assumere forme diverse: si manifestano negli spazi urbani, nell'ambito scolastico in particolare con casi di bullismo, ma anche nel contesto familiare, nel quadro di bande o gang, durante le manifestazioni sportive o attraverso il ricorso alle nuove tecnologie di comunicazione come Internet ecc. Tutte queste espressioni di violenza meritano certamente di essere analizzate, ma si è preferito circoscrivere il presente parere d'iniziativa alle violenze collettive dei giovani negli spazi urbani.

1.7.   Da circa vent'anni, infatti, la questione delle violenze collettive è in primo piano e i quartieri più emarginati vengono osservati e studiati dai ricercatori (sociologi, etnologi, geografi, giuristi, politologi ecc.). I fattori all'origine di tali disordini urbani sono ben noti (disoccupazione, precarietà, destrutturazione della famiglia, dispersione scolastica, insuccesso scolastico, discriminazione ecc.) e la situazione e le soluzioni adottate si sono inasprite nel corso degli ultimi anni. Le crisi hanno infatti accentuato i problemi economici e sociali e hanno provocato un declassamento delle giovani generazioni rispetto a quelle dei loro genitori, con blocco dell'«ascensore sociale» e, come corollario, la crescita dell'individualismo. Ciò genera dei fenomeni e un sentimento di ingiustizia e di ripiego su se stessi, la cui espressione collettiva diventa la manifestazione più visibile di opposizione alle autorità.

1.8.   In assenza di una definizione ufficiale e legale, il termine di violenza collettiva è stato spesso utilizzato per descrivere episodi multiformi e violenti che avvengono negli spazi pubblici e che si traducono o in aggressioni per questioni di discriminazione etnica e razziale tra comunità, le quali sfociano altresì in conflitti tra bande rivali, oppure in un rapporto tra popolazioni e istituzioni, di cui le relazioni tra i giovani e le forze dell'ordine rappresentano un caso emblematico.

1.9.   Sebbene nel corso degli ultimi anni tali fenomeni si siano ripetuti nel continente europeo, manifestandosi in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca, Belgio, Grecia ecc., essi non sono mai stati considerati o affrontati come un problema globale dai governi nazionali o dalle istituzioni europee, ma piuttosto come epifenomeni specifici e circoscritti.

1.10.   Per questa ragione, il presente parere raccomanda il coordinamento delle azioni a livello locale, nazionale ed europeo, esigendo, di conseguenza, delle risposte comunitarie mediante programmi specifici nel quadro delle politiche in materia di famiglia, giovani, istruzione e formazione, occupazione, prevenzione della delinquenza e coordinamento giudiziario. Occorre cercare di inserire tali risposte concrete in strategie di rinnovamento urbano, di adeguamento dei servizi pubblici, di lotta contro qualsiasi forma di discriminazione, nonché in strategie di rivalorizzazione in strategie di rivalorizzazione dei rapporti fra Stato e cittadini, segnatamente attraverso le forze dell'ordine, mediante l'insegnamento dell'educazione civica, dei valori etici e sociali, dell'uso dei media e sostenendo i genitori nel loro ruolo educativo.

2.   Caratteristiche e cause della violenza collettiva minorile negli spazi urbani

2.1.   Proposta di definizione. Non esiste una definizione condivisa e consensuale delle violenze collettive minorili e giovanili negli spazi urbani. Nel diritto belga, per esempio, è presente il concetto di «sommossa» urbana, mentre in altri ordinamenti tale termine indica una serie di reati commessi da delinquenti noti e identificati. Per abbozzare una definizione che abbia un minimo comun denominatore e descriva il fenomeno generale, nel resto del documento ci si riferirà a queste violenze come a una concentrazione nello spazio urbano di comportamenti violenti che diventano anche mezzo di espressione per determinate categorie della popolazione. Le motivazioni dei partecipanti a tali fenomeni sono molteplici (discriminazioni sociali, conflitti con le forze dell'ordine, odio razziale, conflitti religiosi ecc.); ciò mette in evidenza, in un certo modo, le carenze e l'insufficienza dei servizi sociali che con le loro attività di protezione sociale hanno di per sé lo scopo di prevenire questo tipo di violenza. La definizione da noi utilizzata tende a descrivere sia le violenze collettive che avvengono negli spazi pubblici e che si manifestano con aggressioni nei confronti degli abitanti che appartengono a un determinato gruppo etnico ovvero delle forze dell'ordine, sia le distruzioni, accompagnate da saccheggi, come per esempio gli incendi di edifici pubblici o di veicoli.

2.2.   Si osservi che l'aumento degli episodi violenti (atti di distruzione e di vandalismo, percosse e aggressioni, furti con violenza, stupri ecc.) non riguarda esclusivamente i giovani, poiché l'epoca in cui viviamo è contrassegnata da una generale intensificazione della violenza. Ciononostante, l'età degli autori delle violenze urbane è un fattore importante per la comprensione del fenomeno e le soluzioni da adottare, soprattutto poiché la percentuale dei minori e dei giovani appare considerevole. I dati della polizia mostrano che durante i disordini del 2005, in Francia, su 640 persone arrestate 100 erano minorenni. Nell'ottica di una strategia preventiva, occorre concentrarsi in modo particolare sulla ricerca di soluzioni sostenibili orientate alle giovani generazioni, vero e proprio motore del cambiamento e dello sviluppo.

2.3.   Analisi e caratterizzazione in corso. Ciascuno Stato ha elaborato il proprio metodo per calcolare e caratterizzare la violenza collettiva negli spazi urbani. Sistemi complessi come la scala di Bui-Trong (5), che permette di graduare l'intensità delle diverse forme di violenza collettiva in funzione del numero di persone coinvolte, dell'organizzazione e degli obiettivi ecc., consentono di concettualizzare il fenomeno. Da diversi anni, e soprattutto dopo gli eventi del 2005, la Francia ha elaborato degli indicatori di violenza urbana (INVU) basati sulla valutazione dei livelli di violenza nei quartieri sensibili condotta mediante indagini quantitative e qualitative e studi di vittimizzazione. Tali indicatori e i loro equivalenti utilizzati negli altri paesi europei sono ancora troppo recenti per fornire una stima precisa dell'intensità delle violenze urbane e, per giunta, continuano a presentare problemi per quanto concerne le fonti e la raccolta dei dati.

2.4.   Come già precisato nella definizione del problema, ricordiamo che se l'espressione delle violenze collettive s'inserisce in un contesto nazionale specifico, essa presenta comunque alcuni tratti comuni a livello europeo. Per esempio, alla luce dei fatti avvenuti in diversi paesi europei negli ultimi anni, è possibile caratterizzare le seguenti tipologie di episodi:

scontri sociali e politici: queste forme di violenza collettiva si verificano in reazione alla discriminazione o esclusione sociale, economica e geografica, e si manifestano con atti violenti nei confronti delle forze dell'ordine o dei rappresentanti dello Stato ritenuti responsabili di tali problemi sociali. La dimensione di protesta contro il sistema e contro situazioni avvertite come ingiuste innesca uno scontro con le forze di sicurezza, le istituzioni pubbliche che rappresentano lo Stato e una società considerata repressiva. La Francia è stata particolarmente interessata dagli scontri sociali, con la cosiddetta crisi delle banlieues (periferie), zone urbane che vengono percepite in modo molto negativo a causa dell'assenza di un tessuto sociale misto e di diversi decenni di insuccessi delle politiche urbane. Queste rivolte di natura politica (6) sono caratterizzate da un ciclo che si articola in tre fasi: lo scoppio, legato a un avvenimento spesso tragico e ingiusto, l'esaltazione e l'effetto di massa e, infine, l'esaurimento (7).

Fenomeni di perdita di controllo: si tratta di manifestazioni di massa a carattere politico, sportivo o culturale che degenerano e si concludono con una perdita di controllo, non soltanto da parte degli organizzatori, ma anche delle forze dell'ordine. Esempi di tale fenomeno sono la violenza durante le partite di calcio o i «rave party», e la perdita di controllo nel caso di manifestazioni pubbliche. Alla perdita di controllo generale e al numero elevato di persone, si aggiunge la partecipazione dei cosiddetti «casseurs» (devastatori), individui la cui azione è finalizzata a moltiplicare le distruzioni materiali. L'Unione non deve dimenticare che queste violenze incontrollabili suscitano a loro volta in alcuni Stati membri delle tentazioni di violenze più organizzate e ancora più minacciose per la democrazia.

Scontri fra bande violente: lungi dall'essere violente per definizione, le bande si formano come surrogati della famiglia e del'ambiente in cui vive il giovane, offrendogli il senso di appartenenza a un gruppo e, in un certo modo, una risposta concreta alle incertezze dell'adolescenza. Nel caso delle bande violente, questo tipo di comportamento deviante è connotato dalle attività di natura criminale intrinseche al gruppo di adolescenti o giovani che prediligono il ricorso alla forza e all'intimidazione e che organizzano, con una certa regolarità, scontri o atti criminali violenti. Queste bande si affrontano nel contesto urbano, sia in strada sia nei centri commerciali, per controllare un territorio oppure un commercio illecito ovvero per opporsi alle autorità, attraverso il loro rappresentante (poliziotti, guardiani o guardie), come nel nord di Parigi o nel sud di Londra, dove gli scontri tra gruppi rivali sono all'ordine del giorno. In Spagna, sono sbarcate sulla penisola le bande latinoamericane (denominate «Maras» o «Pandillas», come i Latin kings e i Ñetas). Il fenomeno delle bande è un modo per i giovani di proteggersi a vicenda in un mondo ostile, in opposizione agli «altri» che provengono dalla via o dal quartiere vicini. Oggi queste bande si formano tra i più diseredati della società di talune periferie e la loro violenza è da ricondursi a situazioni di fallimento, di precarietà ecc. Una risposta adeguata alle bande violente è inoltre essenziale per evitare che esse vengano reclutate dalla criminalità organizzata.

Scontri etnici e religiosi: questo tipo di violenza si contraddistingue, in primo luogo, per la sua natura etnica, poiché gli autori o gli obiettivi principali degli atti violenti provengono da una comunità etnica, religiosa o assimilata. Numerosi paesi europei, tra cui la Gran Bretagna, la Spagna (scontri ad Alcorcon nell'ottobre 2007 tra giovani spagnoli e latinoamericani), l'Italia, i Paesi Bassi (ottobre 2007 a Amsterdam), la Danimarca (febbraio 2008), il Belgio (maggio 2008 ad Anderlecht), hanno assistito a questo tipo di scontri, a determinare i quali concorrono le dimensioni migratorie e religiose, accanto a una grande complessità di fattori.

2.5.   Gli episodi violenti negli spazi urbani sono dovuti a molteplici cause, più o meno concomitanti a seconda del tipo di avvenimento:

la povertà, la precarietà e la disoccupazione. Le espressioni di violenza collettiva in Europa si sono verificate soprattutto nei quartieri più svantaggiati, per effetto dell'emarginazione e dell'esclusione sociale. La destrutturazione della famiglia, la disoccupazione giovanile, la precarietà professionale, come anche la mancanza di formazione e quindi di inserimento socioprofessionale, rendono questi quartieri particolarmente sensibili agli andamenti dell'economia, specialmente in una situazione di crisi finanziaria come quella attuale.

L'accesso alle armi e alle sostanze illecite. I traffici di droghe pesanti nella maggior parte delle capitali e dei capoluoghi regionali d'Europa, in genere ad opera di adulti e non di minori, favoriscono la comparsa di fenomeni di violenza legati alla messa in vendita illecita di queste sostanze e alla diffusione delle armi da fuoco. I bambini e gli adolescenti, vittime di un mondo che li disorienta, possono essere presi di mira da spacciatori che strumentalizzano alcuni giovani.

La struttura urbana. I quartieri cosiddetti «sensibili» delle città europee presentano caratteristiche comuni e sono spesso considerati alla stregua di ghetti suburbani, che non rispondono più ai criteri attuali di un carattere sociale misto e di urbanizzazione. Questi quartieri e immobili, che si trovano nei centri cittadini (come nel Regno Unito o in Belgio) oppure in periferia (come in Francia, Germania ecc.) sono stati scarsamente curati e si sono progressivamente deteriorati, fino al punto di divenire insalubri e pericolosi.

I rapporti con le forze dell'ordine. Numerosi episodi di violenza collettiva sono alimentati da un risentimento nei confronti di quello che viene percepito come un accanimento della polizia nei confronti delle minoranze visibili o un uso eccessivo della forza (8). Come precisa il Centre d'analyse stratégique, l'ostilità degli abitanti contro la presenza delle forze dell'ordine nel loro quartiere è palpabile come la mancanza di fiducia nello Stato e nelle istituzioni pubbliche (9).

I media. I mezzi di comunicazione tendono spesso a dare un'enfasi negativa, che rischia di peggiorare ancora l'immagine negativa degli abitanti dei quartieri sensibili e di alimentare le manifestazioni di violenza dando un'eccessiva risonanza mediatica a tali fenomeni. In Francia, nel 2005, i media hanno fornito una copertura quotidiana degli avvenimenti, mentre in Belgio e in Germania il governo ha cercato di limitare i resoconti pubblici per evitare altri reati dovuti all'emulazione.

3.   Le tipologie di risposta a un problema transnazionale

3.1.   Nel contesto europeo, gli atti di violenza negli spazi urbani, siano essi sporadici o continui, sono particolarmente gravi, sia da un punto di vista politico, poiché mettono in discussione la capacità dello Stato di far rispettare il patto sociale e di proteggere i cittadini, sia da un punto di vista sociale, poiché sono il sintomo di una frattura sociale e di problemi di integrazione. In questa situazione, lo Stato deve fornire delle risposte chiare al problema delle violenze collettive nelle città. Occorre tuttavia tenere conto del fatto che tali risposte variano ampiamente da un paese all'altro e che sono più repressive in alcuni casi, e più preventive in altri. Sarebbe necessario pertanto compiere uno sforzo continuo di valutazione, a livello europeo, delle politiche pubbliche volte a risolvere tale fenomeno e tentare di rendere più efficaci e comparabili le statistiche in materia (l'analisi dei dati sulla delinquenza non può basarsi unicamente sul numero delle denunce presentate, ma deve tenere conto anche della percentuale dei casi risolti). Occorre elaborare degli indicatori comuni per favorire, a livello nazionale, la messa a disposizione dei registri di polizia e dei casellari giudiziari, anziché effettuare studi di vittimizzazione più o meno soggettive.

3.2.   In generale, gli Stati adottano le seguenti risposte:

iniziative di discriminazione positiva a favore dei quartieri sensibili, come le zone di istruzione prioritaria e di preparazione al primo impiego in Francia o a Berlino, dove giovani volontari e agenti di polizia pattugliano sistematicamente la zona per evitare e prevenire situazioni che rischiano di sfociare in episodi di violenza urbana. Da quando sono state create queste pattuglie di polizia miste (a tal fine è stato necessario convincere gli ex capi banda a collaborare), la criminalità si è ridotta del 20 % nelle zone in cui è attivo l'intervento congiunto (10),

rafforzamento della presenza della polizia e della videosorveglianza nelle zone sensibili, come le scuole o i luoghi di svago, misure queste che da sole non sono sufficienti a risolvere i problemi. Ciò ha creato un'immagine negativa degli spazi oggetto di tali misure e una percezione, da parte dei giovani, di un controllo permanente e di un'azione repressiva,

politiche di rinnovamento urbano, più o meno incisive a seconda dei paesi: in Francia, segnatamente per mezzo della Agence pour la rénovation urbaine  (11); in Germania, mediante interventi di rinnovamento urbano effettuati durante la riunificazione del paese.

3.3.   Una politica di coesione territoriale efficace può contribuire a evitare la concentrazione in determinate zone urbane dei fattori d'incubazione di atteggiamenti violenti da parte dei giovani. Da qui gli sforzi compiuti per rinnovare e rafforzare il carattere residenziale dello spazio urbano. La riqualificazione implica una riflessione a lungo termine sulle operazioni di rinnovamento urbano nel quadro di una pianificazione strategica globale del territorio, di concerto con tutte le parti interessate, compresi i giovani. L'obiettivo è quello di reintegrare i quartieri nella città e di risanarli per favorire lo sviluppo della popolazione locale e promuovere la funzione sociale, economica e culturale di tali spazi pubblici. Il concetto di residenzializzazione (résidentialisation – strategia di rinnovamento dei quartieri d'abitazione che riunisce gli aspetti spaziali, della sicurezza e della gestione e manutenzione), che indica un metodo specifico di riqualificazione del tessuto urbano, è volto a risolvere i problemi specifici delle zone abitate, facendo della città un luogo d'integrazione e di prevenzione, al fine di combattere i problemi urbani attuali: traffico di droga, movimenti d'occupazione, violenza e degrado ambientale. Il principale obiettivo è evitare l'esclusione dal resto della popolazione, favorendo gli spazi di circolazione, affinché tali quartieri possano aprirsi alla città, rafforzando così la visibilità e l'integrazione della popolazione urbana nel suo insieme. Se questi interventi di rinnovamento urbano non sono tuttavia accompagnati da strategie efficaci sul fronte dell'istruzione, della formazione professionale e dell'accesso al lavoro, non sarà possibile conseguire alcun miglioramento duraturo.

3.4.   La violenza giovanile affonda le sue radici in una mancanza di coesione sociale, connessa a una crisi della cittadinanza urbana. Lo spazio pubblico, la cui principale caratteristica è quella di portare cittadini molto diversi tra loro a coesistere comporta che si rispettino regole comuni finalizzate alla tutela delle libertà individuali. Le metropoli si trovano di fronte alla fragile coabitazione di popolazioni con molti codici e molte culture e, come tali, estranee le une alle altre, fattore che può determinare un indebolimento dei legami sociali e di talune forme di solidarietà (12). S'impone dunque una risposta interistituzionale e multifattoriale per mettere in atto misure di prevenzione efficaci e utili per tutti gli attori diretti e indiretti: polizia, giustizia, servizi sociali, alloggi, occupazione e istruzione. Gli enti locali rivestono, tuttavia, un'importanza particolare a tale proposito, poiché le loro competenze si esplicano proprio nella definizione degli spazi urbani e dei servizi ai cittadini.

3.5.   In Europa, la violenza urbana minorile si manifesta in contesti diversi e con differenti gradi di intensità, ma la sua analisi, così come lo studio delle risposte, si inserisce in un quadro giuridico e legale più ampio, a livello di Unione europea. Attualmente, gli studi e le valutazioni sulla prevenzione della delinquenza giovanile richiedono una cooperazione multidisciplinare e interistituzionale delle agenzie governative e, a livello più pratico, degli operatori che agiscono sul campo (assistenti sociali, polizia, tribunali, contesto lavorativo ecc.). I paesi, le regioni e le città d'Europa che hanno conosciuto episodi di violenza collettiva hanno difficoltà a ritrovare una normalità, una convivenza sociale e il rispetto delle istituzioni a livello di tutta la popolazione. Inoltre, la violenza urbana comporta dei costi molto elevati, in termini materiali, ma anche, e soprattutto, sociali e politici (13).

3.6.   In un contesto in cui la delinquenza minorile in Europa resta sostanzialmente stabile, ma nel quale gli atti commessi sono contraddistinti da una intensificazione della violenza, taluni programmi locali condotti in diversi paesi dell'Unione europea dimostrano l'importanza della prevenzione e delle strategie sociali e integrali per i giovani delle zone urbane (14). Nel caso del programma della città di Birmingham per la messa in sicurezza dei quartieri (che è valso a questa città il premio europeo per la prevenzione della delinquenza nel 2004), gli obiettivi fondamentali erano ridurre le diverse forme di violenza e di delinquenza, migliorare la qualità di vita dei cittadini e incoraggiare le comunità a partecipare attivamente alla loro integrazione sociale (15).

3.7.   Il rafforzamento di una società europea organizzata e solidale, grazie al sostegno dell'Unione europea a progetti innovativi aventi una dimensione sociale e d'integrazione, consente di migliorare la sicurezza e lo sviluppo urbano sostenibile. I programmi URBAN, per esempio, sono un'iniziativa comunitaria del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) a favore dello sviluppo sostenibile delle città e dei quartieri in crisi; essi promuovono il netto miglioramento della prevenzione della violenza minorile e della delinquenza in generale.

3.8.   Del resto, incrementare la partecipazione dei cittadini al processo decisionale locale e agli scambi di esperienze e buone prassi permette di promuovere il concetto di «governance urbana», che implica una serie di studi per la riorganizzazione e il miglioramento dei servizi pubblici, la progettazione e realizzazione di nuove strutture di gestione urbana, l'introduzione di indicatori stabili di valutazione della gestione locale e l'organizzazione di campagne d'informazione e di migliore accesso all'informazione rivolte ai cittadini, senza tuttavia scadere nella creazione di immagini negative o nella descrizione compiaciuta della miseria.

3.9.   Esistono anche altre iniziative come il Patto europeo per la gioventù, che si propone di migliorare la formazione, la mobilità, l'inserimento professionale e l'inclusione sociale dei giovani europei, facilitando nel contempo la conciliazione della vita familiare e professionale.

3.10.   In generale, la partecipazione attiva dei giovani alla società è favorita dall'enorme lavoro compiuto dalle organizzazioni impegnate sul campo giorno dopo giorno, le cui attività si inseriscono nel quadro delle strategie europee, nazionali o locali di sviluppo e di lotta contro l'esclusione sociale.

4.   Proposte di una politica europea per far fronte alla violenza giovanile negli spazi urbani

4.1.   Le linee guida od orientamenti qui di seguito descritti risultano da quanto finora esposto nel presente parere d'iniziativa.

Le risposte alla violenza collettiva, si tratti di delinquenza, di atti asociali e altre forme di inciviltà ad opera di minori, devono essere molteplici e soggette a una valutazione continua per poter essere costantemente migliorate, rafforzando sempre la componente educativa e formativa, nonché la partecipazione dei minori al loro sviluppo e al loro futuro.

Le diverse strategie preventive e alternative devono essere promosse mediante una politica europea chiara e sostenibile, fondata su priorità definite a livello di Unione europea per contribuire alla risoluzione dei problemi di violenza minorile negli spazi urbani, evitando, nella misura del possibile, l'intervento giudiziario.

Le strutture sociali dedicate ai giovani meritano un riconoscimento particolare a livello sia europeo che nazionale. Molte di queste organizzazioni, siano esse associazioni private o istituzioni pubbliche, svolgono un ruolo fondamentale nella vita dei giovani, soprattutto proponendo attività che tengono occupati i giovani ed evitano loro quindi un possibile arruolamento nella delinquenza. Il ruolo della scuola e delle associazioni deve trovare pertanto particolare attenzione e sostegno, soprattutto in termini di finanziamento pubblico.

Occorre uniformare i principi europei e internazionali in materia di violenza e delinquenza minorili mediante norme minime da rispettare nel quadro degli ordinamenti nazionali e utilizzare tali principi come indicatori della garanzia dei diritti dei minori. Visto il carattere multidisciplinare degli enti e degli organi di governo coinvolti nella gestione dello spazio urbano europeo, è opportuno attuare delle iniziative e introdurre delle norme di buone pratiche, che potranno essere valutate e analizzate da un osservatorio europeo sulla giustizia giovanile, per esempio, al fine di disporre di dati statistici affidabili e comparabili sulla violenza giovanile negli spazi urbani.

Le sanzioni e le misure imposte dalle giurisdizioni nazionali devono tenere contro dell'interesse superiore dell'adolescente in funzione dell'età, della sua maturità psicologica, delle sue condizioni fisiche, del suo sviluppo e delle sue capacità (16). Esse, inoltre, devono essere sempre adattate alle circostanze personali (principio della personalizzazione delle misure).

Le strategie di rinnovamento urbano, accompagnate da politiche sociali sostenibili, devono essere favorite dalle istituzioni europee, sempre nell'ottica di un miglioramento della distribuzione e della pianificazione del territorio, al fine di evitare l'esclusione e di facilitare l'integrazione urbana delle popolazioni più vulnerabili.

Le autorità devono fornire alle istituzioni le risorse sufficienti per consentire loro di proteggere e reinserire i minori, dotandole dei mezzi e del personale adeguati, per garantire che gli interventi abbiano un'incidenza significativa sulla vita dei minori.

L'opportuna selezione e la formazione specifica, ove possibile secondo gli standard di riferimento europei, degli attori sociali, giuridici e delle forze di polizia, devono essere garantite e continuamente aggiornate secondo uno schema di cooperazione multi-istituzionale e multidisciplinare, in un contesto di scambi transnazionali, soprattutto al fine di instaurare un dialogo e delle relazioni tra le forze dell'ordine e i giovani.

Le istituzioni europee e gli Stati membri devono considerare il 2010, anno europeo della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, un'occasione per dimostrare che sono decisi ad accordare priorità, nell'ambito della lotta contro l'esclusione sociale, alla protezione dei diritti dei giovani in conflitto con la legge e alla prevenzione della violenza negli spazi urbani.

Le istituzioni europee dovrebbero creare una linea di finanziamento per tutelare i minori dall'esclusione sociale negli spazi urbani più emarginati, al fine di sostenere progetti innovativi nel quadro del rafforzamento della coesione sociale della società civile, promovendo anche in questo modo lo spirito d'iniziativa e l'imprenditorialità dei giovani.

L'attuazione di criteri comuni e di buone pratiche deve essere finalizzata alla prevenzione, al trattamento e al reinserimento dei minori trasgressori.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Come emerge ad esempio dalla relazione del Procuratore generale in Spagna, paese nel quale nel 2007 si è registrato un calo della delinquenza di quasi il 2 % rispetto ai dati del 2006.

(2)  Relazione del Comité d'études sur la violence, la criminalité et la délinquance, Réponses a la violence, Parigi, Presse Pocket 1977, pag. 41.

(3)  Parere del Comitato economico e sociale europeo La prevenzione e il trattamento della delinquenza giovanile e il ruolo della giustizia minorile nell'Unione europea (relatore: Zufiaur Narvaiza), GU C 110 del 9.5.2006.

(4)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 21 giugno 2007, sulla delinquenza giovanile: il ruolo delle donne, della famiglia e della società.

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2007-0283+0+DOC+XML+V0//IT.

(5)  Bui-Trong Lucienne, Résurgence de la violence en France, Futuribles, febbraio 1996, pagg. 17-18.

(6)  Le Goaziou, V., Mucchielli, L., Quand les banlieues brulent. Retour sur les émeutes de 2005, La Découverte, Parigi, 2006.

(7)  Bachmann, C., Le guennec, N., Autopsie d'une émeute. Histoire exemplaire du soulèvement d'un quartier, Albin Michel, Parigi, 1997.

(8)  Joyce, P., The Politics of Protest. Extra-Parliamentary Politics in Britain since 1970, Palgrave Macmillan, 2002.

(9)  Centre d'analyse stratégique, Les violences urbaines: une exception française? Enseignements d'une comparaison internationale, note de veille no 31, 23 ottobre 2006 (http://www.strategie.gouv.fr/IMG/pdf/NoteExterneDeVeille31.pdf).

(10)  Jeunes et policiers font cause commune à Berlin http://www.oijj.org/news_ficha.php?cod=54117&home=SI&idioma=es http://www.oijj.org/news_ficha.php?cod=54117&home=SI&idioma=fr http://www.oijj.org/news_ficha.php?cod=54117&home=SI&idioma=en

(11)  www.anru.fr.

(12)  «La dynamique de la disqualification sociale», Sciences humaines n. 28, maggio 1993.

(13)  Nel caso di Clichy-sous-Bois, in Francia, i costi materiali nel 2005 sono ammontati a 150 milioni di euro.

(14)  Centre international pour la prévention de la criminalité, Prévenir la délinquance en milieu urbain et auprès des jeunes. Recueil international de pratiques inspirantes, 2005 (www.crime-prevention-intl.org/publications/pub_113_1.pdf).

(15)  I risultati ottenuti sono stati una riduzione media del 29 % dei reati commessi dai giovani contro il 12 % in altri ambiti comparabili.

(16)  Cfr. la dichiarazione comune di Valencia dell'Osservatorio internazionale della giustizia minorile.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Protezione dei minori dai delinquenti sessuali itineranti

(2009/C 317/07)

Relatrice: Madi SHARMA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Protezione dei minori dai delinquenti sessuali itineranti.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Madi SHARMA.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Raccomandazioni – «Don't Let Child Abuse Travel» (1) («Impediamo che i viaggi siano occasione di abusi sui minori»)

1.1.   È necessario adottare, attuare e riconoscere come prioritaria una strategia europea per la protezione dei minori che rischiano di essere vittime dei delinquenti sessuali itineranti.

I reati a sfondo sessuale NON DEVONO ASSOLUTAMENTE restare di competenza dei giudici stranieri: infatti, le condanne pronunciate al di fuori dell'UE nei confronti dei loro responsabili non sempre si traducono in pene detentive. Di norma, i recidivi rimangono nello stesso paese oppure si spostano in altri per non essere identificati. Di conseguenza, le autorità europee e i governi nazionali non possono sapere quando essi facciano rientro in Europa. E ciò aumenta i rischi per i minori in Europa.

Occorre adottare un approccio olistico, che sia orientato verso i minori e preveda le seguenti azioni:

prevenzione degli abusi: è necessario studiare i profili dei delinquenti sessuali itineranti (2),

protezione dei soggetti «a rischio» e delle vittime, compresa l'identificazione dei minori vulnerabili (3) e l'attivazione di telefoni azzurri e linee telefoniche dedicate,

perseguimento dei reati assicurando l'effettiva applicazione delle normative,

partenariato con le ONG e con i soggetti non ancora attivi in questo settore,

partecipazione dei giovani e della società civile ad azioni di sensibilizzazione.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva le raccomandazioni contenute nella comunicazione della Commissione Verso una strategia dell'UE sui diritti dei minori, nella raccomandazione del Parlamento europeo (4) e nella Convenzione del Consiglio d'Europa (5), tutte incentrate sulla protezione dei minori dal fenomeno dello sfruttamento sessuale. Tuttavia il CESE chiede agli Stati membri (6) che non l'abbiano ancora fatto di sottoscrivere e ratificare urgentemente il Protocollo della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia (CRC) (7) e la Convenzione del Consiglio d'Europa, affinché l'Europa possa rivedere in maniera efficace il trattamento da riservare ai cittadini europei colpevoli di abusi sui minori durante viaggi di lavoro o turismo all'estero.

1.2.   Fra le misure necessarie per la realizzazione di una strategia efficace e proattiva devono figurare:

partenariati internazionali efficaci con una migliore condivisione delle informazioni, che includano la cooperazione tra le forze di polizia e il potenziamento dei mezzi informatici a loro disposizione per individuare e localizzare i delinquenti sessuali itineranti,

accordi bilaterali di cooperazione più efficaci con i paesi interessati,

squadre investigative comuni con gli altri organismi di contrasto,

accordi con governi stranieri per espellere e scortare i pregiudicati nel paese di origine,

vaglio dell'uso dei cosiddetti Foreign Travel Orders (FTO) - misure che limitano i viaggi all'estero da parte di delinquenti sessuali ad alto rischio,

controlli sulle attività professionali esercitate dagli autori di abusi sessuali, e se del caso interdizione dal lavoro all'estero (8),

attuazione di una campagna di sensibilizzazione a livello europeo e, se possibile, globale sulla segnalazione dei delinquenti sessuali; questa iniziativa dovrebbe essere accompagnata dall'attivazione di una linea telefonica gratuita internazionale dotata di un meccanismo di segnalazione on line in tempo reale (9),

coinvolgimento dei soggetti della società civile e delle parti sociali nelle attività di sensibilizzazione,

introduzione di meccanismi per l'educazione, il counselling e l'erogazione di servizi medici/terapeutici in favore delle vittime e la realizzazione di attività di formazione di esperti in materia.

1.3.   La sfida maggiore consiste nel sensibilizzare l'opinione pubblica alla portata del problema, ad esempio attuando il progetto europeo L'Europa combatte lo sfruttamento sessuale dei minori  (10). Le istituzioni europee potrebbero dare l'esempio pubblicizzando su tutti i moduli per il rimborso delle spese di viaggio il loro impegno etico contro gli abusi sessuali sui minori perpetrati durante i viaggi.

1.4.   Il presente parere non concerne la tratta e i rapimenti di minori, un tema che richiede normative e misure distinte e che deve pertanto essere affrontato in un documento specifico.

2.   Contesto

2.1.   Il presente parere riguarda gli abusi sessuali sui minori compiuti durante i viaggi in Europa e altrove.

2.2.   La maggior parte delle persone che abusano sessualmente dei minori o sfruttano i minori a scopi sessuali è del luogo. È così in tutto il mondo. Oggi, tuttavia, il fenomeno degli abusi sessuali compiuti sui minori durante i viaggi fa parte di un'industria globale, quella del sesso, ben consolidata e assai redditizia.

2.3.   Viaggi a basso costo, circolazione senza obbligo di visto e nuove tecnologie consentono ai delinquenti sessuali di raggiungere in tutto il mondo, Europa inclusa, i minori più vulnerabili, specialmente laddove povertà, privazioni, carenze emotive e condizioni sociali precarie si fanno più sentire. Gli abusi così perpetrati vengono spesso registrati su supporto digitale e trasmessi su scala globale. Molte ONG, fra le quali ECPAT (11) è la più nota, collaborano con le forze di polizia e con il settore dei viaggi e del turismo per tutelare i minori a rischio.

2.4.   Il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori si è svolto a Stoccolma nel 1996. In quell'occasione, i 122 paesi partecipanti si sono impegnati per un partenariato globale contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori. Oggi nei convegni locali (12) e internazionali (13) si cita e si ribadisce l'esistenza dei medesimi ostacoli a un'efficace politica di prevenzione.

2.5.   Nell'ambito dell'Unione europea sono state elaborate molte relazioni e sono stati assunti numerosi impegni (14). Tuttavia, come rilevato in una recente relazione del Parlamento europeo (15), molti Stati membri devono tuttora firmare o ratificare le convenzioni in materia.

2.6.   Ciò significa che purtroppo, pur non mancando esempi di ottimo lavoro (16), con numerose iniziative pratiche a livello UE (17), l'Europa si è rivelata incapace di tutelare i minori più vulnerabili, di prevenire abusi da parte di cittadini comunitari e di onorare gli impegni assunti a Stoccolma. Un'effettiva tutela dei minori, nel paese di origine come all'estero, sarà possibile solo garantendo la concreta attuazione delle misure.

2.7.   È impossibile stimare il numero di minori vittime di delinquenti sessuali itineranti. La rilevazione dei dati è resa particolarmente difficile dalla natura occulta e criminale dei reati sessuali compiuti su minori, unita alla vulnerabilità di questi ultimi, specie se in stato di indigenza. Gli abusi sessuali sui minori rientrano nel fenomeno globale del loro sfruttamento sessuale a scopi commerciali. Ciò include:

l'acquisto e la vendita di minori da destinare alla prostituzione,

abusi sessuali su minori connessi alla pedofilia,

produzione di immagini di abusi su minori e altre forme di pornografia che coinvolgono minori.

2.8.   Tipicamente, i responsabili degli abusi scelgono luoghi in cui pensano di non correre il rischio di essere arrestati, spesso ambienti caratterizzati da un basso livello di istruzione, povertà, ignoranza, corruzione, indifferenza, assenza di una strategia di contrasto o di interventi statali. Gli abusi ai danni dei minori sono perpetrati da parte di persone che, deliberatamente, hanno istituito orfanotrofi (18), scuole e progetti destinati ai minori presso le comunità più vulnerabili per il solo scopo di attuare i comportamenti delittuosi propri e dei loro soci. I trasgressori recidivi si spostano da un paese all'altro per evitare di essere individuati e perseguiti grazie ai sistemi previsti per i delinquenti sessuali. È necessario un approfondimento dello studio dei processi mentali che spingono a commettere abusi sessuali sui minori. Finkelhors individua quattro condizioni preliminari che variano in funzione dei reati sessuali che possono (o possono non) essere commessi (19):

motivazione a commettere gli abusi,

inibitori interni connessi con l'etica personale,

inibitori esterni,

resistenza delle vittime.

2.9.   Gli operatori addetti alla protezione dell'infanzia e l'opinione pubblica in generale dispongono d'informazioni limitate sugli abusi commessi all'estero. I mezzi di comunicazione segnalano unicamente i casi più eclatanti. Poco viene detto sul rischio a cui sono esposti i minori in Europa al momento del rimpatrio dei colpevoli.

2.10.   Per indicare coloro che si recano all'estero per compiere abusi sui minori, il centro CEOP (20) utilizza un'espressione particolarmente appropriata: travelling sex offenders («delinquenti sessuali itineranti»). Nell'opinione pubblica è diffusa la convinzione che una persona che commette un reato all'estero venga automaticamente inserita in un registro degli autori di reati a sfondo sessuale, ma ciò avviene raramente, per una serie di ragioni complesse: i registri possono non esistere, le informazioni non vengono trasferite oppure la normativa sulla protezione dei dati impedisce l'esecuzione dei controlli.

2.11.   Il turismo sessuale deve essere considerato come un fenomeno che va ben al di là del turismo inteso come«vacanza». Oggigiorno molte aziende delocalizzano, dispongono di uffici o hanno relazioni di affari all'estero. I datori di lavoro, i sindacati e le organizzazioni dei lavoratori devono dunque dichiarare chiaramente che in nessuna circostanza saranno tollerati abusi sessuali su minori.

3.   Responsabilità globale

3.1.   Tutti i governi sono responsabili nei confronti dei propri cittadini per la tutela dei minori vulnerabili, ovunque essi si trovino. Negli ultimi cinquant'anni il turismo ha conosciuto una forte espansione che di recente è stata caratterizzata da un aumento dei delinquenti sessuali itineranti. Si tratta principalmente di soggetti che approfittano del fatto di essere in un altro paese per ignorare i tabù sociali che normalmente frenerebbero la loro condotta.

3.2.   Il Codice mondiale di etica del turismo (21) definisce un quadro di riferimento per lo sviluppo responsabile e sostenibile del turismo mondiale. Il fatto che cittadini europei siano tra i responsabili dello sfruttamento sessuale dei minori in Europa e altrove nel mondo dovrebbe essere motivo di vergogna per l'intera UE. Questa è responsabile dei cittadini europei e il fatto che i colpevoli di simili reati possano essere processati nei rispettivi paesi e poi autorizzati a viaggiare liberamente in altri paesi, senza alcun controllo, è assolutamente inaccettabile. L'Europa deve affrontare il problema della dicotomia legale che da un lato permette la libera circolazione dei suoi cittadini e dall'altro consente agli autori di abusi di viaggiare senza restrizioni.

3.3.   A livello internazionale esiste il principio giuridico secondo cui una persona non può essere condannata due volte per il medesimo reato. Al rientro nel paese di accoglienza, la persona deve continuare a scontare la condanna. Qualora emergano nuove prove può essere emessa una nuova sentenza: perciò la cooperazione internazionale è di estrema importanza. Il CESE plaude alla nuova decisione quadro adottata dalla Commissione per affrontare il problema (22).

3.4.   È necessario provvedere a un coordinamento delle attività, al monitoraggio e alla valutazione delle statistiche e formulare raccomandazioni pratiche e tempestive. Tuttavia, sul territorio dell'UE solo gli Stati membri sono competenti ad adottare, nel rispetto delle leggi che disciplinano l'operato delle forze di polizia e degli organi giudiziari, decisioni che possono giungere sino alla privazione della libertà, e dunque toccare le libertà fondamentali della persona. Le ONG europee e internazionali svolgono un ottimo lavoro nel settore della protezione dell'infanzia, ma non possono sostituirsi alle forze di polizia o ai sistemi giudiziari.

Gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo, a livello di superamento della povertà (23), istruzione, sanità e sviluppo sociale, devono sostenere maggiormente la protezione dei minori dagli abusi sessuali. Occorre prestare attenzione e offrire sostegno alle ONG e alle parti sociali mediante misure di formazione e assistenza psico-emotiva. È essenziale migliorare l'istruzione e la formazione di quanti operano in questo ambito e nel settore della prestazione di servizi in generale (ad es.: media, industria ricettiva, insegnanti, prestatori di cure e forze di polizia) in modo da comprendere e rimuovere quei fattori che ostacolano la segnalazione di informazioni. Come sottolineato nel rapporto di Save the Children Danimarca (24), i minori, soprattutto quelli più a rischio, devono essere adeguatamente informati e guidati affinché divengano consapevoli del problema e sappiano come affrontarlo. Nei paesi sviluppati come in quelli in via di sviluppo, è necessario insegnare ai minori come usare correttamente Internet, affinché siano al corrente delle pratiche degli autori di abusi, che ben conoscono questo strumento e se ne avvalgono per la ricerca delle possibili vittime.

3.5.   Per gli autori di abusi devono essere resi disponibili servizi terapeutici e di counselling che ne favoriscano il recupero (25).

4.   Responsabilità della società civile

4.1.   La società civile europea deve condannare i reati e intervenire in caso di potenziali minacce nei confronti dei singoli, in patria come all'estero, specie quando si tratta di abusi sui minori. Si stima che oggi in Europa una percentuale compresa fra il 10 % e il 20 % dei minori sarebbe vittima di aggressioni sessuali nel corso dell'infanzia, un fenomeno che sta crescendo e si sta estendendo a livello geografico. Alcuni cittadini europei sono delinquenti sessuali che viaggiano all'interno e all'esterno dell'Europa.

4.2.   L'UE e gli Stati membri devono pertanto sviluppare strategie comuni e ulteriori azioni per prevenire e combattere questa piaga. I datori di lavoro europei dovrebbero ora considerare la lotta contro la prostituzione dei minori e contro la pedopornografia come una questione di responsabilità delle imprese nei confronti della società.

4.3.   Su 842 milioni di viaggiatori, il 4,5% (dati del 2006) sono delinquenti sessuali e il 10% di questi sono pedofili (26). Dal 2003 le agenzie di viaggio possono aderire al Codice di condotta per la protezione dei bambini dallo sfruttamento sessuale commerciale nei viaggi e nel turismo (27), che sinora è stato sottoscritto da più di 600 le agenzie in oltre 30 paesi. Tuttavia, la responsabilità in materia di prevenzione degli abusi sessuali sui minori durante i viaggi non spetta unicamente all'industria del turismo e dei viaggi, bensì a tutti i comparti economici.

4.4.   La Confederazione internazionale dei sindacati (International Trade Union Confederation - ITUC-CIS) incoraggia i propri membri a dotarsi di strutture costituite da apposito personale, comitati e gruppi di lavoro attraverso i quali sostenere le strategie. Per raggiungere la base, la CIS ha adottato un approccio settoriale, dando vita a importanti partenariati per l'attuazione degli accordi quadro internazionali. Poiché lo sfruttamento sessuale dei minori costituisce una grave violazione dei diritti fondamentali dell'uomo e del lavoro, questo aspetto è parte integrante della lotta sindacale contro le forme peggiori di lavoro minorile (28). I sindacati continuano pertanto a svolgere il loro ruolo promuovendo la ratifica delle norme internazionali in materia, monitorando l'effettiva applicazione di regole e politiche da parte dei governi e dei datori di lavoro (29), sensibilizzando i propri membri e l'opinione pubblica (30), e affrontando il problema mediante la contrattazione collettiva (31).

4.5.   Nella convenzione adottata dal Comitato dei ministri il 12 luglio 2007, il Consiglio d'Europa afferma che «ogni Stato parte dovrà incoraggiare il settore privato così come la società civile a partecipare all'elaborazione e all'implementazione di politiche di prevenzione dello sfruttamento e dell'abuso sessuale dei minori e a implementare norme interne di autoregolamentazione o coregolamentazione». Pertanto, un progetto comune europeo è possibile.

5.   Misure specifiche

5.1.   L'unico obiettivo di ciascuna azione deve consistere nel PORRE FINE agli abusi sui minori e nel proteggere i soggetti vulnerabili: estirpando radicalmente il fenomeno non vi sarebbero più vittime. Questo pertanto dev'essere un obiettivo primario e prioritario di tutte le politiche dedicate ai minori.

5.2.   Le istituzioni europee possono dare l'esempio condannando gli abusi sessuali sui minori nell'ambito della loro politica dei viaggi incentrata su valori etici e precisandolo con una menzione esplicita in tutti i moduli per il rimborso delle spese di viaggio.

Le misure e gli esempi riportati in forma sintetica qui di seguito sono frutto della collaborazione con ECPAT (32), una delle maggiori organizzazioni mondiali per la tutela dei diritti dell'infanzia, impegnata nella difesa dei minori dallo sfruttamento sessuale commerciale. ECPAT è attiva in oltre 70 paesi ai più alti livelli di governo ed è anche in contatto con gli operatori e con quanti lavorano direttamente con i minori attraverso la ricerca, la formazione e il rafforzamento delle capacità.

5.3.1.   Controllo e interdizione: attualmente, le scuole non dispongono di alcun meccanismo di verifica del profilo o dell'idoneità dei candidati a lavorare con minori. Ciò rappresenta una grave carenza in materia di protezione dei minori vulnerabili. È necessario creare sistemi attraverso cui le organizzazioni internazionali autorizzate o le forze di polizia possano avere accesso a questo tipo d'informazioni.

5.3.2.   Accordi bilaterali di cooperazione: le ONG di tutto il mondo condividono sempre più spesso informazioni essenziali sugli autori di abusi a sfondo sessuale. Ciò consente l'attuazione di interventi rapidi e tempestivi. Paradossalmente, i governi, imbrigliati da norme sulla protezione dei dati e da oneri burocratici, non possono agire prontamente e si affidano dunque alle ONG perché subentrino al loro posto quando le politiche internazionali non risultano efficaci. La protezione dei minori dovrebbe avere sempre la precedenza rispetto alle norme sulla protezione dei dati. Il fatto di costruire la fiducia e la conoscenza reciproca fra paesi sulla base di un quadro di cooperazione consente l'innesco di una reazione preventiva di lotta agli abusi sessuali. Perché questa strategia si riveli efficace, occorre tuttavia spingersi oltre la formazione o il rafforzamento delle capacità.

5.3.3.   Devono essere attivati telefoni azzurri e linee telefoniche internazionali dedicate alle segnalazioni, per evitare che prevalga la cultura del silenzio e dell'indifferenza. Tali linee devono però offrire la possibilità di interagire in tempo reale. Inoltre occorre un sistema integrato di protezione dei minori nel cui contesto organismi professionali e fornitori di servizi collaborino con le ONG per contribuire alla protezione e all'identificazione delle vittime o dei minori a rischio.

5.3.4.   Squadre investigative comuni e altri organismi di contrasto nazionali: l'Europa deve dotarsi di organismi specifici deputati alla protezione dei minori che siano provvisti delle risorse necessarie per operare anche all'estero, conducendo indagini sui soggetti noti per aver commesso reati a sfondo sessuale che si recano all'estero o raccogliendo prove su quanti commettano tali reati in altri paesi.

5.3.5.   Accordi con governi stranieri per espellere e scortare i responsabili: i sistemi di informazione fra paesi in materia di processi o condanne non sono obbligatori e quindi gli autori di reati a sfondo sessuale possono essere condannati all'estero senza che questo venga reso noto in patria. Qualora siano informate di una condanna in materia, spetta alle ambasciate o alle missioni informare il paese di origine. Dopo la condanna, e dopo aver scontato la pena all'estero, i colpevoli rimangono generalmente nello stesso paese o si spostano altrove, ma non tornano in patria, evitando così di essere inseriti nel registro degli autori di reati a sfondo sessuale. In caso di rimpatrio, il condannato può approfittare di un trasferimento a lungo raggio con scalo per fuggire. Da ciò deriva l'esigenza di stipulare accordi di cooperazione bilaterali e di prevedere apposito personale di scorta per i rimpatri.

5.3.6.   Il modello dei cosiddetti Multi-Agency Public Protection Arrangements (MAPPA) (accordi multi-agenzia di protezione pubblica): si tratta di un modello adottato nel Regno Unito per valutare e «gestire» gli autori di abusi a sfondo sessuale nella collettività. Prevede la cooperazione di diversi organismi (giustizia penale, assistenza sociale, edilizia abitativa, sanità) per limitare per quanto possibile gravi danni al pubblico e collaborare all'individuazione dei recidivi. Questo sistema comporta quattro funzioni principali, anche se per il momento non si applica ai cittadini britannici in viaggio all'estero:

identificazione dei responsabili,

condivisione delle informazioni essenziali per la valutazione del rischio,

valutazione di rischi e danni gravi,

gestione del rischio.

5.3.7.   Uso ed efficacia dei cosiddetti Foreign Travel Orders (FTO): vi possono fare ricorso i tribunali per vietare ai soggetti interessati di recarsi all'estero o in un determinato paese oppure in una qualsiasi parte del mondo. Simili provvedimenti possono essere adottati per la tutela di un minore in particolare o per difendere la fascia minorile della popolazione in generale. La durata di validità di queste misure è limitata a un periodo di tempo determinato. Nel 2005 il governo australiano ha modificato l'Australian Passport Act (la legge australiana in materia di passaporti) per consentire alla polizia di richiedere l'annullamento del passaporto dei delinquenti sessuali ad alto rischio.

5.4.   Una misura molto specifica: il progetto europeo L'Europa combatte lo sfruttamento sessuale dei minori

È possibile sviluppare un progetto europeo che riunisca tutto il lavoro svolto e le carte prodotte sinora e che, tramite una campagna di sensibilizzazione, induca le diverse organizzazioni ad impegnarsi nella lotta contro lo sfruttamento sessuale ai danni dei minori, mettendo semplicemente in rilievo i dati essenziali. Un «codice» o una «carta» già adottati a livello globale potrebbero corredare la «dichiarazione dei valori» riportata nell'allegato I. A tal fine una normativa, nuova o già approvata che sia, potrebbe risultare anch'essa utile purché attuata in maniera efficace.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Slogan della campagna promossa dall'Organizzazione mondiale del Turismo (http://www.unwto.org/protect_children).

(2)  Sex Offenders without Borders. Rapporto di Save the Children-Danimarca, maggio 2009.

(3)  Rio de Janeiro Declaration and Call for Action to Prevent and Stop the Sexual Exploitation of Children and Adolescence (Dichiarazione e invito ad agire per prevenire e arrestare lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti), Rio de Janeiro, novembre 2008.

(4)  Raccomandazione del Parlamento europeo del 3 febbraio 2009 al Consiglio sulla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia (2008/2144(INI)).

(5)  Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale e gli abusi sessuali, 25 ottobre 2007, disponibile in inglese e francese all'indirizzo http://conventions.coe.int/Treaty/EN/treaties/Html/201.htm.

(6)  Cfr. http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=201&CM=&DF=&CL=ENG. Non hanno ancora firmato la Convenzione i seguenti Stati membri: Repubblica ceca, Ungheria, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Slovacchia. La Convenzione è stata ratificata soltanto dalla Grecia.

(7)  Protocollo opzionale sulla vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini della Convenzione relativa ai diritti del fanciullo, adottato nel maggio 2000 ed entrato in vigore nel gennaio 2002. Cfr. http://www.unhchr.ch/html/menu2/6/crc/treaties/opsc.htm. [Il testo in italiano è disponibile al seguente indirizzo: http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3170]. Non hanno ancora ratificato il Protocollo i seguenti Stati membri: Germania, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Regno Unito.

(8)  The End of the Line for Child Exploitation (La fine dello sfruttamento minorile), relazione dell'ECPAT, 2006.

(9)  Si vedano le strategie adottate da Child Wise, membro di ECPAT-Australia.

(10)  Cfr. allegato I.

(11)  ECPAT - End Child Prostitution, Child Pornography and the Trafficking of Children for Sexual Purposes (Porre fine alla prostituzione minorile, alla pedopornografia e alla tratta di minori a scopi sessuali) - gode di uno speciale status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc).

(12)  Cfr. When Travelling, Put a Stop to Indifference (In viaggio … basta con l'indifferenza) slogan dell'iniziativa Stopchildprostitution.be di ECPAT-Belgio e convegno Travelling abusers in Europe (Abusatori sessuali e viaggi in Europa) organizzato il 7 e 8 maggio 2007 nell'ambito di detta iniziativa.

(13)  World Congress III Against Sexual Exploitation of Children and Adolescents (Terzo congresso mondiale sulla lotta allo sfruttamento sessuale dei bambini e degli adolescenti), novembre 2008.

(14)  Cfr. note 4 e 5, nonché:

http://www.nspcc.org.uk/Inform/policyandpublicaffairs/Europe/Briefings/councilofeurope_wdf51232.pdf e http://www.unhchr.ch/html/menu2/6/crc/treaties/opsc.htm [Il testo in italiano è disponibile al seguente indirizzo: http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3170].

(15)  Cfr. nota 4.

(16)  PE 410.671, gennaio 2009.

(17)  COM(1996) 547 def; COM(1999) 262 def; decisione quadro del Consiglio 2000/375/JHA (GU L 138 del 9.6.2000); decisione quadro del Consiglio 2004/68/JHA (GU L 13 del 20.1.2004) e COM(2009) 135 def.

(18)  I responsabili di tali abusi usano il termine «orfanotrofio» per mascherare le proprie attività. Si tratta in realtà di istituti per l'infanzia creati appositamente per compiere abusi sui minori.

(19)  Cfr. Sex Offenders without Borders. Rapporto di Save the Children-Danimarca, maggio 2009.

(20)  CEOP (Child Exploitation and Online Protection Centre, l'organo di polizia britannico per la tutela contro lo sfruttamento sessuale dei minori).

(21)  Adottato mediante risoluzione A/RES/406(XIII) nel corso della tredicesima Assemblea generale dell'Organizzazione mondiale del turismo (OMT) delle Nazioni Unite (27 settembre-1o ottobre 1999).

(22)  COM(2009) 135 def.

(23)  Cfr. Commissione europea, Thematic Study on Policy Measures concerning Child Poverty (Studio tematico sulle misure di politica in materia di povertà infantile), direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità, 2008.

(24)  Save the Children-Danimarca. Sex Offenders without Borders, maggio 2009.

(25)  Cfr. Macgregor, Sarah. Sex offenders treatment programs: effectiveness of prison and community based programs in Australia and New Zealand (Programmi per il trattamento dei delinquenti sessuali: efficacia degli interventi realizzati nei carceri e nelle comunità in Australia e Nuova Zelanda) in: http://www.indigenousjustice.gov.au/briefs/brief003.pdf; Dosio, Dario; Pfaefflin, Friedemann; Eher, Reinhard (cur.). Preventing Sexual Violence Through Effective Sexual Offender Treatment and Public Policy (Prevenire la violenza sessuale attraverso un efficace trattamento dei delinquenti sessuali e una politica pubblica), 10a Conferenza dell'Associazione internazionale per il trattamento dei delinquenti sessuali (IATSO) in: www.iatso.org.

(26)  Fonte: ACPE (Associazione contro la prostituzione minorile).

(27)  Tale codice è un'iniziativa promossa da ECPAT Svezia nel 1998. È riconosciuto dall'Unicef e dall'OMC. Per ulteriori informazioni consultare il sito www.thecode.org.

(28)  Cfr. Convenzione C182 dell'OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile.

(29)  Cfr. http://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/FINAL_EU_CLS_2009_report__2_.pdf.

(30)  Cfr. http://www.itfglobal.org/campaigns/traffickingstate.cfm.

(31)  Cfr. http://www.iiicongressomundial.net/congresso/arquivos/thematic_paper_csr_eng.pdf.

(32)  ECPAT - End Child Prostitution, Child Pornography and the Trafficking of Children for Sexual Purposes (Porre fine alla prostituzione minorile, alla pedopornografia e alla tratta di minori a scopi sessuali).


Allegato I

L'Europa combatte lo sfruttamento sessuale dei minori

L'abuso sessuale ai danni di un minore di 18 anni costituisce REATO in ogni parte del mondo

Le istituzioni europee e le parti sociali non intendono tollerarlo!

In ogni parte del mondo i minori hanno il diritto di crescere nella pace e di essere tutelati da qualsiasi tipo di sfruttamento sessuale, in forma fisica o su Internet.

Dichiarazione dei valori di … (denominazione dell'organizzazione/impresa):

Noi contribuiamo allo sviluppo di una crescita economica etica e responsabile.

Noi rispettiamo e tuteliamo i diritti del minore.

Noi condanniamo qualsiasi tipo di sfruttamento sessuale dei minori, in forma fisica o su Internet.

Ci riserviamo il diritto di segnalare qualsiasi persona sospettata di svolgere attività che comportino la perdita della dignità o l'abuso sessuale ai danni di un minore di 18 anni.

Il personale di … (denominazione dell'organizzazione/impresa) si impegna:

ad aderire ai valori aziendali sopra elencati e a rispettare i diritti fondamentali di tutela del minore,

a contribuire alla crescita etica e responsabile dell'organizzazione/impresa,

a rispettare e a tutelare i diritti del minore,

a non fornire informazioni o materiale che possano condurre all'eventuale sfruttamento sessuale di minori,

a informare le autorità, incluse le forze di polizia, circa qualsiasi attività sospetta suscettibile di mettere a rischio o di portare allo sfruttamento sessuale di un minore.

Impegno dei clienti e dei fornitori di … (denominazione dell'organizzazione/impresa):

Noi apprezziamo e rispettiamo le norme in vigore su scala mondiale per la tutela del minore contro lo sfruttamento sessuale; ci impegniamo a non renderci partecipi di tali pratiche né in forma fisica né su Internet, né in patria né all'estero, in viaggio di lavoro o turismo.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Quale futuro per le zone non urbane nella società della conoscenza?

(parere di iniziativa)

(2009/C 317/08)

Relatore: SANTILLÁN CABEZA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Quale futuro per le zone non urbane nella società della conoscenza?

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SANTILLÁN CABEZA.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   La profonda diversità dell'Europa

1.1.   L'UE presenta una diversità territoriale di straordinaria ricchezza e un modello di insediamento unico. Questo modello di insediamento contribuisce alla qualità della vita nell'UE, sia per gli abitanti delle città, che sono vicini alle zone rurali, sia per i residenti delle zone rurali, che beneficiano della prossimità dei servizi. È inoltre un modello più efficiente dal punto di vista dell'utilizzo delle risorse in quanto evita le difficoltà dei grandi agglomerati e l'elevato uso di energia e di terre che caratterizzano l'espansione urbana. Tali difficoltà assumeranno dimensioni ancora più preoccupanti con il progredire dei cambiamenti climatici e l'adozione di misure per adeguarvisi o per contrastarli (1).

Per differenziare le zone rurali da quelle non rurali l'OCSE opera una distinzione tra unità amministrative locali (UAL di livello 1 o 2) e regioni (livello NUTS 3). Una unità territoriale locale è detta comunità rurale quando la sua densità di popolazione è inferiore ai 150 abitanti per chilometro quadrato. Le regioni (NUTS 3) si differenziano a seconda del grado di ruralità, vale a dire la percentuale della loro popolazione che vive in unità territoriali locali di tipo rurale.

1.2.1.   Secondo l'OCSE si possono inoltre distinguere tre tipi di regioni:

regioni prevalentemente rurali: più del 50 % della popolazione vive in comunità rurali,

regioni significativamente rurali: tra il 15 e il 50 % della popolazione vive in comunità rurali,

regioni prevalentemente urbane: meno del 15 % della popolazione vive in comunità rurali.

Più del 50 % del territorio dell'UE a 25 è considerato zona rurale.

1.2.2.   In base al suo concetto di grado d'urbanizzazione, Eurostat distingue tre tipi di zone:

zona densamente popolata: insieme contiguo di unità locali, ciascuna delle quali presenta una densità superiore ai 500 abitanti per chilometro quadrato. La popolazione totale di questa zona è di almeno 50 000 abitanti,

zona intermedia: insieme contiguo di unità locali non appartenenti ad una zona densamente popolata, ciascuna delle quali presenta una densità superiore ai 100 abitanti per chilometro quadrato. Questa zona ha una popolazione di almeno 50 000 abitanti oppure è adiacente ad una zona densamente popolata,

zona poco popolata: insieme contiguo di unità locali non classificabile in nessuno dei due tipi precedenti (2).

Nella maggior parte degli Stati membri, una «unità locale» corrisponde ad un comune o municipalità. Le zone poco popolate coprono quasi l'84 % del territorio complessivo dell'UE a 25 (3).

2.   Zone urbane e rurali: tendenze contrastanti

2.1.   È opinione concorde ormai da anni che uno sforzo maggiore in materia di R&S permetterebbe di affrontare con successo le sfide della globalizzazione. Inoltre, la strategia di Lisbona fissa espressamente l'obiettivo di aumentare gli investimenti in R&S, portandoli al 3 % del PIL.

2.2.   È opportuno prestare maggiore attenzione al potenziale delle regioni, che varia in funzione delle loro caratteristiche demografiche (ritmi diversi di invecchiamento della popolazione) e sociologiche (capitale umano), nonché dei fattori di produzione (mobilità dei capitali, dei lavoratori qualificati in uscita e dunque di una parte della base imponibile) e della struttura produttiva (eredità del passato, capacità di attirare gli investimenti).

2.3.   Nonostante le zone rurali non possano essere automaticamente associate al declino e le zone «intermedie» allo sviluppo (4), si può generalmente affermare che le zone prevalentemente rurali (il 17,9 % della popolazione europea) e le zone intermedie (il 37,8 % della popolazione, percentuale che sommata alla precedente fa un totale di 55,7 %) si trovano in una situazione meno favorevole. Inoltre, negli Stati membri con redditi più bassi, le differenze tra zone urbane e non urbane sono maggiori (5).

2.4.   Negli ultimi anni sono stati creati e sviluppati molti strumenti volti a stimolare l'innovazione (il Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo, il programma interuniversitario di cooperazione (PIC), l'iniziativa Jeremie, le iniziative tecnologiche congiunte, i «mercati guida», ecc.): iniziative senz'altro lodevoli, ma in stridente contrasto con il disinteresse relativo per le regioni prive del potenziale necessario per cogliere tali opportunità con la speranza di un ritorno positivo.

2.5.   Dato che la maggior parte dell'attività economica si concentra nelle città, è necessario cercare un miglior equilibrio nello sviluppo della società della conoscenza.

3.   Proposte per un riequilibrio a favore delle zone non urbane

3.1.   Servizi di interesse generale (SIG) di qualità per garantire la coesione sociale e territoriale

3.1.1.   Nella comunicazione sui SIG (6) la Commissione europea si era impegnata a «presentare al Parlamento un'analisi globale degli effetti finora riscontrabili della “liberalizzazione”, (…) [ad esaminare] inoltre i progressi nell'applicazione del Protocollo, allorché sarà entrato in vigore il nuovo Trattato, (…) [e a pubblicare] con cadenza biennale una specifica relazione sui servizi sociali, per lo scambio con gli interessati.» Il CESE ritiene che sarebbe particolarmente importante che la Commissione analizzasse gli eventuali effetti prodotti dalle liberalizzazioni sulla coesione territoriale. Tale analisi dovrebbe fornire dei dati disaggregati in funzione della natura urbana o rurale degli enti territoriali e delle percezioni dei loro abitanti.

3.1.2.   Dato che il diritto di accedere all'assistenza sanitaria riconosciuto nella Carta dei diritti fondamentali (articolo 35) può essere particolarmente problematico nelle zone non urbane per la mancanza di personale qualificato, di infrastrutture adeguate e di risorse finanziarie, la Commissione dovrebbe avviare un dibattito con gli enti territoriali e con le federazioni datoriali e sindacali europee interessate al fine di valutare in che modo definire degli strumenti (accordi tra parti sociali, aiuti di Stato, iniziative comunitarie) per dare un nuovo impulso al settore.

3.2.   Società dell'informazione e società della conoscenza

3.2.1.   Anche se a volte si crea confusione, il concetto di società della conoscenza (un ideale o una tappa nella evoluzione dell'umanità) deve essere distinto dal concetto di società dell'informazione (uso massiccio delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione). L'informazione è solo uno strumento per acquisire delle conoscenze.

3.2.2.   L'istruzione è un fattore chiave per progredire verso la società della conoscenza. Nelle zone non urbane, un fattore determinante è l'evoluzione demografica (emigrazione, tasso elevato di dipendenza, invecchiamento della popolazione, ecc.). Ogni anno scuole di piccole dimensioni situate in zone meno dinamiche sono costrette a chiudere a causa di un numero insufficiente di alunni. Questo fenomeno può incrementare la tendenza all'esodo in quanto i genitori preferiscono andare a vivere in zone più dinamiche in termini di attività, creazione di posti di lavoro, disponibilità di scuole e infrastrutture di accoglienza (7).

3.2.3.   Per quanto concerne la percentuale di persone adulte con un'istruzione media o alta, si registra nell'UE una tendenza continua alla riduzione dello scarto tra le regioni prevalentemente rurali e intermedie e quelle prevalentemente urbane dell'UE. I paesi del Nord Europa e alcuni nuovi Stati membri (FR, NL, FI, IE, BE, PL, CZ, HU) presentano una situazione migliore al riguardo (<10 punti di differenza), mentre altri (UK, DE, AT) registrano livelli d'istruzione più elevati nelle zone rurali rispetto a quelle urbane. Le differenze più nette (>20 punti) emergono nei paesi mediterranei (EL, ES, IT, PT).

3.2.4.   La percentuale di persone adulte che ricevono istruzione e formazione professionale (apprendimento permanente) è relativamente bassa (circa il 12 % dell'UE a 25) e non esistono differenze di rilievo tra zone rurali ed urbane. Alcuni paesi sostengono fortemente la formazione degli adulti (DK, ES, NL, AT, SI, SK, SE, UK) mentre in altri paesi tale sostegno è più modesto. La tendenza è verso un incremento della partecipazione degli adulti alla formazione più marcato nelle zone rurali che in quelle urbane (8).

3.2.5.   Anche se la prossimità contribuisce ad una maggiore presenza degli studenti delle zone rurali vicine, la distanza dei centri universitari non sembra essere un ostacolo all'istruzione superiore ma può creare difficoltà nella scelta della facoltà.

3.2.6.   La Commissione europea ha segnalato che determinati Stati membri non compiono sforzi sufficienti per combattere la dispersione scolastica e promuovere l'apprendimento permanente al fine di realizzare gli obiettivi stabiliti dall'Agenda di Lisbona.

3.3.   L'e-learning e l'importanza delle connessioni a banda larga (9)

3.3.1.   È preoccupante constatare che livelli elevati di spesa nella ricerca e sviluppo si concentrino in un numero abbastanza ridotto di regioni comunitarie: il 70 % della ricerca e sviluppo viene condotto in Germania, in Francia e nel Regno Unito. Calcolando la spesa nel campo della ricerca e sviluppo regione per regione si ricava che 35 regioni presentano una concentrazione di ricerca e sviluppo che supera l'obiettivo di Lisbona (10).

3.3.2.   Il Comitato sottolinea che nelle zone rurali e nei piccoli centri urbani in modo particolare l'applicazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione alla formazione permanente è subordinata al sostegno dell'UE e dei governi degli Stati membri alla creazione di connessioni a Internet ad alta velocità (11) che consentano di accedere ai sistemi di apprendimento elettronico.

3.3.3.   Nel dicembre 2007, la copertura della banda larga (DSL) nell'UE-27 ha raggiunto una media del 98 % della popolazione nelle zone urbane, mentre nelle zone rurali la copertura si limitava al 70 % della popolazione (12).

3.3.4.   «La questione dell'accesso alla connessione ad alta velocità va inserita in una strategia più ampia mirante a conferire all'accesso ai servizi elettronici lo statuto di servizio di pubblica utilità» (13). Una particolare attenzione va rivolta al prezzo del servizio, che in alcuni Stati membri è molto elevato.

3.4.   Occupazione e localizzazione geografica

3.4.1.   Il problema della congestione del traffico interessa attualmente il 10 % della rete stradale europea, in particolare i grandi assi che collegano le regioni periferiche utilizzate come zone residenziali e i centri urbani che forniscono opportunità occupazionali. La congestione stradale costa ogni anno lo 0,5 % del PIL. Al fine di ridurre questo problema la Commissione potrebbe, previa consultazione delle parti sociali, adoperarsi per promuovere maggiormente il telelavoro. In tal modo questo elemento di flessicurezza verrebbe messo al servizio della coesione territoriale in quanto promuoverebbe il commercio di prossimità e permetterebbe di ridurre il costo ambientale (14).

3.4.2.   L'efficacia della ricerca di un impiego può diminuire con la distanza dai posti di lavoro (misurata in tempo di trasporto e in costi indotti) poiché le persone dispongono di minori informazioni sulle opportunità di lavoro situate lontano dal loro luogo di residenza (15).

Alloggio, acqua, elettricità, gas e altri combustibili, in % del totale delle spese (2005)

 

Operai

Impiegati

Lavoratori autonomi

Disoccupati

Pensionati

Altri inattivi

Differenza tra valore minimo e massimo

Differenza tra media inattivi e attivi

BE Belgio

26,3

22,5

 

36,3

29,9

23,7

13,8

5,6

DK Danimarca

27,8

25,6

28,7

 

 

33,1

7,5

5,7

DE Germania

29,9

27

27,6

35,8

32,5

35,5

8,8

6,4

IE Irlanda

20,3

21,1

22,3

25

30,4

28,3

10,1

6,7

EL Grecia

22,1

22,1

20,6

24,7

29

31,5

10,9

6,8

ES Spagna

26,3

28,9

26,9

29,5

35

34,9

8,7

5,8

FR Francia

25,8

23,2

22

30,9

31,1

33,4

11,4

8,1

IT Italia

25,8

27,2

26,6

28,1

34,2

35,3

9,5

6,0

LU Lussemburgo

29,6

27,4

30,9

32,9

34,9

34,2

7,5

4,7

NL Paesi Bassi

23,6

22,3

24,3

32

32,8

28,8

10,5

7,8

AT Austria

22,2

20,7

21,5

27,1

24,3

23,4

6,4

3,5

PT Portogallo

 

 

26,3

27,1

30,6

31,7

5,4

3,5

FI Finlandia

25

23

26,6

34,4

35,6

27,1

12,6

7,5

SE Svezia

28,4

27,5

 

32,9

35,5

30,8

8

5,1

UK Regno Unito

27,9

25,4

25,4

39,5

39,7

34,8

14,3

11,8

Fonte: Eurostat, calcoli propri

3.4.3.   Le zone periferiche possono tuttavia trarre dalla loro lontananza relativa un certo vantaggio in termini di alloggi e di qualità della vita Resta un grande potenziale da sviluppare, in particolare nei paesi della coesione, poiché quando il reddito aumenta dell'1 %, anche le famiglie accrescono dello 0,7 - 0,8 % il loro utilizzo di spazio residenziale, una volta tenuto conto dell'effetto prezzo.

3.4.4.   È opportuno menzionare il fenomeno di espansione urbana incontrollata, detto anche «città diffusa» (urban sprawl), particolarmente marcato nei paesi/regioni a forte densità di popolazione, che presentano un dinamismo economico elevato e/o che abbiano beneficiato dei fondi strutturali. In totale, tra il 1990 e il 2000, le zone urbane si sono ampliate di oltre 8 000 km2, ossia una superficie pari al territorio del Lussemburgo (16). Quest'evoluzione produce degli effetti, in particolare sulla biodiversità.

3.5.   Il turismo culturale come fattore di sviluppo

3.5.1.   Il turismo apporta un contributo che va dal 3 all'8 % del PIL degli Stati membri e dà lavoro a 9 milioni di persone nell'UE. «Il turismo è poi un potente traino per altri settori dell'economia: dall'industria, soprattutto nei settori legati alla moda, ai trasporti, all'agroalimentare, al commercio e ad altre categorie di servizi» (17).

3.5.2.   La promozione del patrimonio artistico, gli eventi, le fiere e le manifestazioni, l'enogastronomia, l'agriturismo, il «cineturismo» e i parchi tematici culturali possono essere fonti importanti di investimento e occupazione. Il CESE rimanda alle proposte formulate recentemente per incoraggiare questo settore.

3.5.3.   In questo campo, è opportuno mettere in evidenza le iniziative condotte nell'ambito di Natura 2000 (18).

4.   Le reti di città facilitano la diffusione delle TIC

4.1.   Il Trattato di Lisbona prevede una nuova dimensione della coesione economica e sociale, la coesione territoriale. Una visione integrale dello sviluppo economico e sociale può avere successo solo se è completata da un approccio in materia di assetto territoriale - principale strumento della coesione territoriale - che tenga conto dell'impatto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

4.2.   L'intervento pubblico deve tenere conto di tutti gli ambiti geografici. Per realizzare il nuovo obiettivo della coesione territoriale le aree rurali hanno bisogno di un rafforzamento dei legami delle città di piccole e medie dimensioni. Le reti di città piccole e medie possono e devono contribuire alla coesione territoriale, fungendo da livelli intermedi nella diffusione di processi di introduzione delle TIC nelle aree rurali.

5.   Conclusioni e raccomandazioni

5.1.   No al determinismo: le zone non urbane hanno un futuro. L'UE conta numerose zone rurali in cui la qualità della vita è alta. Nelle zone svantaggiate, la dotazione di adeguate infrastrutture, gli sforzi per migliorare l'istruzione, l'uso efficace delle TIC possono, tra le altre cose, contribuire notevolmente a promuovere lo spirito imprenditoriale (19), a favorire il progresso e a migliorare la qualità della vita nelle zone rurali e intermedie.

5.2.   Necessità di rafforzare i legami tra le zone rurali e quelle urbane. Per decenni, lo sviluppo urbano e quello rurale sono stati visti come due cose diverse. Tradizionalmente, la politica rurale si è concentrata esclusivamente sulla produzione agricola. Ma i tempi cambiano e, grazie ad una maggior interazione e comunicazione tra campagna e città, la distinzione «classica» tra i due territori risulta meno ovvia e il loro confine è più sottile. Occorre pertanto un approccio integrato alle politiche di sviluppo (20).

5.3.   Le potenzialità delle TIC nelle zone rurali. Esistono attualmente, grazie ai fondi strutturali e al FEASR, politiche specifiche di promozione delle TIC nelle zone rurali. Tuttavia, per superare gli ostacoli presenti risultano necessarie azioni più decise a favore delle aziende agricole, delle piccole e medie imprese e delle microimprese, dei giovani, delle donne (soprattutto per promuovere lo spirito imprenditoriale delle donne che vivono nelle zone rurali), degli anziani e dei gruppi svantaggiati (21). Le reti di città di dimensioni medie e piccole contribuiscono sia alla coesione territoriale che all'innovazione tecnologica nell'ambiente rurale.

5.4.   I fondi strutturali costituiscono strumenti di carattere generale. Una riflessione approfondita sul futuro di queste regioni, da condurre nel quadro di un percorso prospettico, consentirebbe di calibrare meglio i fondi strutturali al fine di massimizzarne l'impatto e, se del caso, indicare nuove strade.

5.5.   Partecipazione della società civile. La grande diversità dell'UE-27 impedisce che gli obiettivi di sviluppo delle zone rurali risultino efficaci se vengono stabiliti in modo centralizzato. È dunque fondamentale che la società civile delle zone rurali partecipi alla elaborazione delle politiche concernenti il futuro di tali zone (22).

5.6.   Indicatori adeguati. Come già sottolineato dal CESE, risulta opportuna «l'elaborazione di un indicatore più rappresentativo della coesione che comprenda oltre al PIL parametri come il tasso di occupazione e di disoccupazione, il grado di protezione sociale, il livello di accesso ai servizi di interesse generale, ecc» (23). «Questi indicatori dovrebbero essere inoltre completati da indicatori relativi alle disuguaglianze di reddito (coefficiente di Gini o rapporto interquintile) e alle emissioni di CO2 (pro capite o relativamente all'evoluzione dal 1990 in poi). In linea generale, è fondamentale consolidare gli strumenti statistici europei, in particolare a livello dei NUTS, e rafforzare i legami tra Eurostat e gli istituti di statistica nazionali per disporre al più presto di dati il più possibile completi e precisi (24)  (25)».

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  In Europa sono sparse circa 5 000 città piccole e quasi 1 000 città grandi che fungono da centri di attività economica, sociale e culturale. In questa rete urbana relativamente densa le città molto grandi sono però poche. Nell'UE solo il 7 % delle persone abita in città con oltre 5 milioni di abitanti, rispetto al 25 % negli USA, e solo 5 città europee sono annoverate fra le 100 più grandi città del mondo (Libro verde sulla coesione territoriale, COM(2008) 616 def.).

(2)  Un insieme di unità locali di meno di 100 chilometri quadrati che non raggiunge la densità richiesta ma costituisce una enclave all'interno di una zona densamente popolata o di una zona intermedia, deve essere considerato parte di questa zona. Se l'insieme costituisce una enclave situata tra una zona densamente popolata e una zona intermedia, è considerato parte della zona intermedia.

(3)  Regioni: annuario 2006 (dati 2000-2004 - pag. 162).

(4)  Nel periodo 1995-2004, la crescita del PIL è stata superiore alla media nel 43 % delle zone prevalentemente rurali, contro il 36 % delle zone urbane e il 39 % delle zone intermedie.

(5)  Quarta relazione sulla coesione, pag. 56.

(6)  Commissione europea, comunicazione I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo, COM(2007) 725 def.

(7)  Il CESE ha proposto di istituire un Fondo demografico per far fronte a tutte queste difficoltà.

(8)  «Delivering quality education to rural regions», Elena Saraceno. Innovative Service Delivery: Meeting the Challenges of Rural Regions. Colonia, 3-4 aprile 2008.

(9)  Cfr il parere del CESE sul tema Regioni europee competitive grazie alla ricerca e all'innovazione - Un contributo al rafforzamento della crescita e al miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione (GU C 211 del 19.8.2008, pag. 1).

(10)  Queste 35 regioni rappresentano il 46 % della spesa complessiva nel campo della ricerca e sviluppo nell'UE a 27, il che equivale al doppio della loro quota del PIL. I valori di spesa più elevati si osservano nel Braunschweig (Germania), ove la spesa per la R&S è pari al 7 % del PIL e in altre 12 regioni dove essa supera il 4 %. Dati ricavati dalla quarta relazione intermedia sulla coesione - COM(2006) 281 def.

(11)  Accesso a Internet ad alta velocità/a banda larga: canale di comunicazione ad alta velocità che consente un accesso flessibile e rapido alle fonti di informazione e ai progetti di e-learning (fonte: www.elearningeuropa.info).

(12)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle zone rurali - COM(2009) 103 def. La copertura nelle zone rurali continua ad essere scarsa in Slovacchia (39 %), Polonia (43 %), Grecia (50 %) e Lettonia (65 %), nonché in Bulgaria e Romania.

(13)  Parere d'iniziativa del CESE sul tema Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività europea, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale, (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 20).

(14)  Oltre il 50 % del consumo di carburante deriva dagli ingorghi stradali o da uno stile di guida non adeguato. Il costo ambientale totale (inquinamento atmosferico, acustico, riscaldamento planetario) del settore dei trasporti è stimato all'1,1 %. (cfr. Commissione europea, Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001, COM(2006) 314 def., 22 giugno 2006).

(15)  Y. Zenou, Les inégalités dans la ville in Villes et économie, La documentation française, 2004.

(16)  Agenzia europea dell'ambiente, Urban Sprawl in Europe: the ignored challenge, 2006.

(17)  Parere CESE sul tema Turismo e cultura: due forze al servizio della crescita (GU C 110 del 9.5.2006, pag. 1).

(18)  Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

(19)  Ad esempio, la produzione di energie rinnovabili (tra cui quella eolica) può essere una fonte importante di reddito nelle zone rurali.

(20)  Nel gennaio 2009, la DG REGIO ha promosso un seminario in materia in cui sono stati illustrati casi positivi di collegamento tra città e campagna, ad esempio il programma operativo Skane-Blekinge, in Svezia. Cfr. il documento Inforegio Urban-rural linkages fostering sustainable development in Europe.

(21)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle zone rurali - COM(2009) 103 def.

(22)  Cfr il parere d'iniziativa del CESE sul tema La necessità di un'azione concertata a livello dell'UE per rafforzare la società civile nelle zone rurali, con particolare attenzione ai nuovi Stati membri, GU C 175 del 28.7.2009, pag. 37.

(23)  Parere d'iniziativa del CESE Oltre il PIL: strumenti per misurare lo sviluppo sostenibile, GU C 100 del 30.4.2009, pag. 53.

(24)  In occasione del rilancio della strategia di Lisbona nel marzo 2005, il Consiglio europeo ha precisato che questa strategia si colloca nel contesto più ampio dello sviluppo sostenibile secondo cui occorre soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Il Consiglio europeo ribadisce il suo impegno a favore dello sviluppo sostenibile in quanto principio fondamentale che disciplina il complesso delle politiche e azioni dell'Unione (conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2005).

(25)  Parere CESE in merito alla Quarta relazione sulla coesione, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 73.


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

455a sessione plenaria del 15 e 16 luglio 2009

23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/54


455A SESSIONE PLENARIA DEL 15 E 16 LUGLIO 2009

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori

COM(2008) 614 def. — 2008/0196 (COD)

(2009/C 317/09)

Relatore: Bernardo Hernández BATALLER

Correlatore: Jarosław MULEWICZ

Il Consiglio, in data 6 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori

COM(2008) 614 def. - 2008/0196 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNÁNDEZ BATALLER e dal correlatore MULEWICZ.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 68 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda che la proposta di direttiva sui diritti dei consumatori presentata dalla Commissione venga riformulata nei termini esposti nel presente parere e che quindi, piuttosto che cercare di realizzare un'armonizzazione completa, ci si limiti a un'armonizzazione orizzontale delle vendite negoziate fuori dei locali commerciali e delle vendite a distanza, perché si tratta delle fattispecie più interessate dal commercio transfrontaliero.

Bisognerebbe ritirare e sopprimere i paragrafi relativi alle clausole abusive e alla vendita e alle garanzie dei beni, in quanto affrontano aspetti che, allo stato attuale dell'evoluzione del diritto comunitario, non possono essere trattati adeguatamente con una completa armonizzazione.

1.2.1.   La proposta non presenta innovazioni in alcuni aspetti importanti, come quelli riguardanti l'assistenza post-vendita e i pezzi di ricambio o la responsabilità diretta del produttore e delle reti di distribuzione.

Secondo il CESE, utilizzando definizioni «comuni» si può dare maggiore sicurezza e certezza giuridica agli operatori commerciali e ai consumatori. La Commissione dovrebbe pertanto eliminare le contraddizioni attualmente esistenti a questo riguardo nella proposta.

1.3.1.   A fini di certezza giuridica, il CESE chiede alla Commissione di chiarire nel testo della proposta se le definizioni ivi contenute rappresentano un'armonizzazione completa oppure se gli Stati membri dispongono, ove necessario, di un margine di discrezionalità per completare questi concetti.

1.3.2.   Il consumatore europeo non può essere visto soltanto nella prospettiva del mercato interno o considerato un attore razionale, avveduto e informato, che prende le sue decisioni esclusivamente secondo una logica di concorrenza e la cui protezione potrebbe consistere, in sintesi, nel mettere a sua disposizione informazioni migliori e più ampie.

1.4.   Il CESE constata che le gravi carenze avvertite in relazione alla risoluzione delle controversie e al risarcimento dei danni subiti rappresentano un fattore determinante, «se non il più determinante», del mancato sviluppo del commercio transfrontaliero nella misura auspicata. La proposta della Commissione non tiene però conto di questa preoccupazione rilevata da Eurobarometro.

2.   Introduzione

2.1.   La proposta trae origine da un ampio dibattito a livello comunitario sulle possibilità di un'unificazione della normativa in materia contrattuale a partire da un «quadro comune di riferimento» in questa materia. Tale quadro di riferimento è stato oggetto di una comunicazione della Commissione sul diritto contrattuale europeo (1). Nel campo della politica di tutela dei consumatori si è svolto un dibattito anche sulla revisione del relativo acquis - che comprende aspetti di carattere sia orizzontale (2) che verticale (3) - rispetto alle direttive esistenti sulla tutela dei consumatori in materia contrattuale.

2.2.   Nel parere sulla revisione dell'acquis relativo ai consumatori (4), il Comitato ha affermato che la «politica dei consumatori è considerata dal CESE non solo parte integrante della strategia del mercato interno dell'UE, ma anche elemento essenziale e assertivo della cittadinanza». Per quanto concerne l'armonizzazione su scala comunitaria, il Comitato reputa che essa dovrebbe perseguire il livello di protezione migliore e più alto tra quelli esistenti nei vari Stati membri.

3.   Sintesi della proposta

3.1.   La proposta di direttiva ha come antecedente diretto il Libro verde - Revisione dell'acquis relativo ai consumatori (COM(2006) 744 def.) presentato dalla Commissione l'8 febbraio 2007 con l'obiettivo di semplificare e completare il quadro giuridico vigente, e che copriva otto direttive riguardanti la tutela dei consumatori (5). Le reazioni al Libro verde sono esaminate in una relazione dettagliata eseguita su incarico della Commissione europea. Va notato che la metà dei commenti ricevuti proviene da operatori commerciali (150), mentre l'altra metà è ripartita tra associazioni di difesa dei consumatori (53), giuristi o esponenti di altre professioni (33), pubbliche autorità (39) e organi accademici (32) (6).

3.2.   La proposta consta di cinquanta articoli divisi in sei capi, vale a dire: Capo I - Oggetto, definizioni e campo di applicazione (articoli da 1 a 4); Capo II - Informazioni per i consumatori (articoli da 5 a 7); Capo III - Informazioni per il consumatore e diritto di recesso per i contratti a distanza e per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali (articoli da 8 a 20); Capo IV - Altri diritti del consumatore specifici ai contratti di vendita (articoli da 21 a 29); Capo V - Diritti dei consumatori in materia di clausole contrattuali (articoli da 30 a 39); Capo VI - Disposizioni generali (articoli da 40 a 46); Capo VII - Disposizioni finali (articoli da 47 a 50). Seguono cinque allegati, due dei quali in materia di clausole.

3.3.   La Commissione intende procedere alla completa abrogazione (cfr. l'art. 47) delle seguenti direttive comunitarie: (i) direttiva 85/577/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; (ii) direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori; (iii) direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; (iv) direttiva 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.

4.   Osservazioni generali

Armonizzazione completa: la proposta della Commissione è stata accolta in modo molto diverso dai vari soggetti della società civile organizzata.

4.1.1.   Le associazioni imprenditoriali appoggiano la proposta perché ritengono che contribuisca a un miglior funzionamento del mercato interno e possa accrescerne la competitività, riducendo sia l'attuale riluttanza ad operare a livello transfrontaliero sia gli oneri amministrativi e i costi di adempimento a carico dei commercianti. Ciò può rivestire particolare rilevanza per le PMI.

4.1.2.   Le associazioni dei consumatori ritengono che la proposta riguardi diritti già acquisiti, che fanno parte dell'acquis comunitario, e che una limitazione dei diritti dei consumatori sarebbe inammissibile. In generale si ritiene che la proposta comporti una limitazione dei diritti del consumatore perché gli effetti di un'armonizzazione completa sarebbero eccessivi e sproporzionati rispetto agli obiettivi prefissi nella proposta in esame e ostacolerebbero gli sviluppi futuri.

4.1.3.   Per superare le differenze tra le varie posizioni, il Comitato propone di:

a)

limitare il campo di applicazione della proposta alle sole vendite negoziate fuori dei locali commerciali e a quelle a distanza, perché è in questo ambito del commercio transfrontaliero che la proposta cerca di abbattere gli ostacoli e in cui sembra più logica l'armonizzazione completa. Verrebbe esclusa l'armonizzazione totale per le clausole abusive e per le garanzie a favore degli acquirenti;

b)

inserire nella proposta delle definizioni comuni ed eliminare le contraddizioni in essa contenute;

c)

apportare le altre modifiche suggerite nel presente parere.

4.2.   Mancanza di coerenza all'interno della proposta

4.2.1.   In considerazione delle aspettative generate dai numerosi dibattiti, lavori e studi realizzati negli ultimi venti anni e più in materia di diritto contrattuale europeo, prima del Libro verde o contemporaneamente ad esso o nel contesto del progetto parallelo del quadro comune di riferimento (QCR) (7), il CESE ritiene che la proposta presentata dalla Commissione sia inferiore a quanto atteso ed auspicabile.

4.2.2.   Da un lato nel quadro dell'obiettivo di revisione dell'acquis relativo ai consumatori vengono individuate otto direttive, mentre la Commissione nella sua proposta di revisione e integrazione si limita a quattro di esse. Dall'altro, i lavori svolti nell'ambito del QCR miravano sia ad eliminare le incoerenze sia a riunire le norme del cosiddetto diritto contrattuale europeo in uno strumento facoltativo, che risultasse utile per i commercianti, i consumatori, i soggetti incaricati di applicare il diritto e i legislatori.

4.2.3.   In tale contesto, il contenuto che adesso viene concretamente proposto, pur presentando alcuni aspetti positivi, risulta poco innovativo e carente dal punto di vista della strutturazione, perché si limita a riunire in un unico testo, preceduto da una serie di definizioni comuni, le norme di quattro direttive, senza oltretutto tener conto delle esigenze di consolidamento, chiarimento e perfezionamento derivanti dal livello elevato di tutela dei consumatori che l'UE è tenuta a garantire. Inoltre, dato che alcuni aspetti essenziali del regime giuridico delle direttive modificate vengono disciplinati in base alla legislazione nazionale dei vati Stati membri, e dato che lo strumento giuridico della «direttiva» è stato preferito al «regolamento», la proposta non è nemmeno coerente con l'obiettivo proposto di una completa armonizzazione. Infatti, tale obiettivo non viene conseguito in modo soddisfacente, anzi si creano nuove incertezze e disparità di regime tra gli Stati membri.

4.2.4.   Per quel che riguarda la difesa dei consumatori, il CESE ha assunto un ruolo attivo presentando spesso pareri d'iniziativa in cui ha espresso il suo punto di vista. Sulla base di tali testi il CESE esamina adesso la proposta della Commissione.

4.2.5.   Il CESE condivide l'obiettivo di realizzare un mercato unico sia per le imprese che per i consumatori e riconosce che l'applicazione della normativa sulla tutela dei consumatori in ogni Stato membro comporta costi di transazione che potrebbero rappresentare un ostacolo a un'offerta più variegata di beni e prodotti nel mercato interno a beneficio dei consumatori. Secondo Eurobarometro (8), tuttavia, l'esperienza mostra che esistono altri ostacoli più importanti, come la mancanza di fiducia nel commercio elettronico.

4.3.   Ostacoli transfrontalieri

La Commissione sembra ritenere che il principale ostacolo alla realizzazione del mercato interno, in particolare per quel che riguarda gli acquisti transfrontalieri, sia costituito - dal lato dell'offerta - dai costi a carico dei commercianti e dalle riserve di questi ultimi e - dal lato della domanda - dalla mancanza di fiducia dei consumatori. Secondo la Commissione, le cause dei problemi rilevati sono rintracciabili nella frammentazione e nella diversità delle normative nazionali derivanti dall'armonizzazione minima.

4.3.1.1.   Sebbene le direttive sull'armonizzazione minima siano state lo strumento utilizzato più di frequente nel diritto comunitario relativo ai consumatori, l'esempio della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali mostra che l'armonizzazione completa è un'opzione normativa veramente dannosa in quanto non tiene conto dei diritti acquisiti dei consumatori e rappresenta pertanto una chiara violazione dell'articolo 153 del Trattato (9).

4.4.   Competenze a livello comunitario

4.4.1.   Il CESE ricorda che le politiche comunitarie per la tutela del consumatore e quelle a salvaguardia della concorrenza hanno origini molto diverse.

4.4.2.   Se da un lato il Trattato di Roma attribuiva alla Comunità la competenza esclusiva in materia di politica di concorrenza, dall'altro la tutela del consumatore non veniva considerata un obiettivo politico a sé stante. In realtà, sebbene si fossero prese delle disposizioni in tal senso (10), il quadro di riferimento di questa politica comunitaria è stato una risoluzione del Consiglio riguardante un programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore, che risale soltanto al 14 aprile 1975.

4.4.3.   L'adozione di una politica comunitaria di difesa del consumatore è, pertanto, il risultato dei molteplici e sistematici interventi delle associazioni dei consumatori, che hanno progressivamente spinto i rispettivi Stati membri ad adottare politiche di protezione, che anche l'UE ha finito per riconoscere.

4.4.4.   Per questo motivo l'azione della Comunità in materia di tutela dei consumatori deve, da un lato, assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori, ma è limitata, dall'altro, dalla competenza condivisa e sussidiaria degli Stati membri  (11).

4.4.5.   Gli Stati membri hanno dato seguito alle politiche di tutela dei consumatori, assicurando livelli di protezione più elevati e il mantenimento di disposizioni in questo campo, anche nell'ottica dell'intervento e della concordia sociali.

4.4.6.   Per questo ragione il consumatore europeo non può essere visto soltanto nella prospettiva del mercato interno o considerato un attore razionale, avveduto e informato, che prende le sue decisioni esclusivamente secondo una logica di concorrenza e la cui protezione potrebbe consistere, in sintesi, nel mettere a sua disposizione informazioni migliori e più ampie.

4.4.7.   Come il CESE ha già avuto modo di affermare in passato, qualsiasi proposta che si prefigga la massima armonizzazione in materia di tutela dei consumatori deve occuparsi di aspetti molti concreti ed essere accompagnata da particolari precauzioni per essere conforme all'elevato livello di protezione dei consumatori garantito dal Trattato, nel rispetto del principio di sussidiarietà. Qualora non fosse così, la conseguenza sarebbe quella di ritardare e bloccare lo sviluppo dei diritti dei consumatori in ogni Stato membro.

4.5.   Base giuridica

4.5.1.   Il CESE esprime perplessità in merito alla base giuridica indicata nella direttiva: l'articolo 95 invece dell'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE).

4.5.2.   Il CESE si è ripetutamente espresso a favore dell'utilizzo dell'articolo 153 del TCE come base giuridica per le proposte normative riguardanti la tutela dei consumatori al posto dell'articolo 95, che riguarda il mercato interno. Tuttavia, in tutte le sue ultime proposte la Commissione ha fatto ricorso all'articolo 95 del TCE, ritenendolo appropriato in funzione della natura della proposta di direttiva, che si riferisce al mercato interno.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.   Nell'insieme, il testo della proposta si presenta complesso, con un uso eccessivo di rinvii (cfr. ad esempio l'art. 3 paragrafi 2 e 4, l'art. 6 paragrafo 9 lettera a), l'art. 10, l'art. 21 paragrafi 1 e 3, l'art. 28, l'art. 32 paragrafo 2 e l'art. 35) che ne rendono difficile la lettura e la comprensione. Inoltre, si ricorre spesso a espressioni vaghe o indeterminate che renderanno difficile il recepimento della normativa proposta. A ciò si aggiunga che la sistematizzazione non è sempre comprensibile (ad esempio, l'art. 45 relativo alle forniture non richieste nell'ambito del Capo VI - Disposizioni generali). Se nella direttiva permangono i punti oscuri menzionati, occorre inserire in essa e negli atti di legge nazionali una disposizione in base alla quale nelle controversie le ambiguità emerse siano interpretate a vantaggio del consumatore in quanto parte debole.

5.2.   Inoltre, in pratica non viene affrontato il tema delle norme procedurali e delle sanzioni che - conseguenza logica di un'armonizzazione massima - rimangono di competenza degli Stati membri (cfr. il considerando 58 e l'articolo 42). Questa omissione rischia di dare origine a notevoli incoerenze nell'armonizzazione. A titolo di esempio, si citano i seguenti casi: (i) obblighi d'informazione (art. 5), in cui la determinazione delle conseguenze derivanti dal non adempimento degli obblighi previsti viene rimessa agli Stati membri attraverso una strana formulazione - «nel diritto contrattuale nazionale» -, omettendo di specificare se la determinazione di sanzioni amministrative o penali sarà considerata o no una violazione della direttiva; (ii) le conseguenze derivanti dalla classificazione di una data clausola contrattuale come abusiva, in quanto il testo si limita a precisare che le clausole abusive non sono vincolanti per il consumatore e gli Stati membri sono liberi di utilizzare qualsiasi concetto del proprio diritto contrattuale che sia rispondente agli obiettivi prefissi (cfr. il considerando 54 e l'articolo 37), il regime del diritto di recesso.

5.3.   Le differenze nel regime di recesso previsto dai vari ordinamenti giuridici nazionali. Questo diritto, che sembra derogare al principio pacta sunt servanda del diritto delle obbligazioni, presenta una natura giuridica diversa a seconda dello Stato membro considerato, andando dal recesso unilaterale fino allo scioglimento e alla rescissione contrattuali, che comportano effetti giuridici distinti. La Commissione dovrebbe condurre una riflessione a questo proposito e inserire nella proposta un regime coerente per questo aspetto del diritto contrattuale.

5.4.   Definizioni e ambito di applicazione

Il CESE ritiene che la Commissione dovrà chiarire nel testo della proposta se le definizioni ivi contenute sono suscettibili, o meno, di sviluppo e integrazione da parte degli Stati membri.

5.4.1.   Consumatore (art. 2, paragrafo 1) - La definizione proposta, in linea con la maggior parte dei testi comunitari, tralascia di prendere posizione in merito alla possibile estensione del concetto alle persone fisiche che operano con finalità miste (12), fattispecie riconosciuta in molti Stati membri (13), o a certe persone giuridiche. Questa rigida definizione del termine «consumatore», interpretata conformemente alla giurisprudenza relativa al TCE e alla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, insieme con la norma prevista all'art. 4, che vieta disposizioni più severe volte a garantire al consumatore un livello di tutela diverso, impedisce di proteggere i consumatori vulnerabili, una categoria di persone che potrebbe sottoscrivere contratti del tipo disciplinato dalla proposta. Occorre segnalare che la stessa direttiva 2005/29/CE riconosce - all'art. 5, paragrafo 3 - l'esistenza di consumatori vulnerabili, per i quali sarebbe fondamentale prevedere un regime a parte nella materia in esame.

5.4.2.   Commerciante (art. 2, paragrafo 2) - La proposta in esame non dà chiarimenti sulla situazione delle organizzazioni senza scopo di lucro o degli organismi pubblici quando non operano nell'esercizio delle loro prerogative di autorità pubblica (iure imperium).

5.4.3.   Bene e prodotto (art. 2, paragrafi 4 e 12) - La scelta di dare due definizioni diverse per i termini «bene» e «prodotto» (quest'ultima coincidente con quella della direttiva 2005/29/CE) appare confusa e poco comprensibile. A questo proposito si segnala in particolare il caso dell'elettricità, che sarà considerata un bene o un servizio a seconda che la sua fornitura implichi una responsabilità extracontrattuale o contrattuale, una differenza che certo non contribuisce alla coerenza del diritto comunitario. L'esclusione dell'elettricità dal campo di applicazione della direttiva appare contraddittoria, perché in molti Stati membri la normativa pertinente è applicabile anche agli oggetti che accumulano elettricità, come le pile o le batterie.

5.4.4.   Contratto a distanza (art. 2, paragrafo 6) - Questa definizione è più ampia di quella contenuta nella direttiva vigente riguardante le vendite a distanza e ciò è fonte di problemi. La nuova definizione implica l'uso esclusivo della comunicazione a distanza per «concludere un contratto». A questo modo, molti contratti che in precedenza non erano considerati conclusi a distanza rientreranno in questa categoria. A questo proposito, si adducono due esempi: nel primo, il consumatore X entra in un negozio e discute un possibile acquisto, ritorna a casa e da lì chiama per telefono il commerciante per confermare l'acquisto. Non si comprende la necessità di ampliare la definizione in modo da comprendere questa fattispecie. Nel secondo esempio, il consumatore Y riceve a casa sua un venditore e durante la visita fa un'offerta di acquisto per i prodotti del venditore. L'offerta d'acquisto è verbale oppure fatta per iscritto mediante un buono d'ordine. Più tardi il venditore comunica all'acquirente, per telefono o per posta, di accettare l'offerta di acquisto. Nel secondo esempio il contratto sembra rientrare sia nella categoria dei contratti a distanza sia in quella dei contratti negoziati fuori dei locali commerciali. A quale categoria appartiene? Il termine entro cui si può esercitare il diritto di recesso è di 14 giorni a partire dalla data in cui è stato concluso il contratto (secondo quanto previsto per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali) o a partire dalla data di esecuzione (come per i contratti a distanza)? Le definizioni di «contratto a distanza» e di «contratto negoziato fuori dei locali commerciali» non possono sovrapporsi.

5.4.5.   Locali commerciali (art. 2, paragrafo 9) - Si tratta di un'altra definizione la cui reale portata sembra poco evidente. Se questa definizione viene interpretata alla luce del considerando 15, sorge il seguente dubbio: le vendite a bordo di aerei o navi sono da considerarsi effettuate dentro o fuori dei locali commerciali?

5.4.6.   Garanzie commerciali - La proposta riprende il termine «garanzia commerciale» dal Libro verde sulle garanzie dei beni di consumo e i servizi post-vendita (cfr. l'art. 2, paragrafo 18), ma senza prevedere una distinzione rispetto alla garanzia legale, che è l'unica contemplata nella direttiva 99/44/CE (cfr. l'art. 1, paragrafo 2, lettera e). La sostituzione di un tipo di garanzia con l'altro rischia di confondere i consumatori in merito alla reale portata di ciascun tipo di garanzia. Sarebbe opportuno chiarire che, in ogni caso, la garanzia commerciale si basa sul principio della volontarietà del commerciante, mentre la «garanzia legale» ha un carattere imperativo.

5.4.7.   Intermediario - Sia la definizione di intermediario (art. 2, paragrafo 19) che gli obblighi specifici d'informazione a carico di questa categoria (art. 7) sono poco comprensibili. In effetti, o si tratta di un'attività professionale - e, di conseguenza, è disciplinata dalla direttiva - oppure, in caso contrario, non è disciplinata né necessita di una regolamentazione. Il CESE propone pertanto che venga dato un chiarimento su questo punto.

5.4.8.   Informazioni per i consumatori (art. 5) - Negli obblighi generali di informazione prima della conclusione del contratto si nota che il testo lascia aperta la possibilità di non fornire informazioni («Prima della conclusione di qualsiasi contratto di vendita o di servizi il commerciante fornisce al consumatore le seguenti informazioni, se non sono già apparenti dal contesto»). Il CESE, ritiene che questa formulazione generi molti dubbi e grande incertezza e, pertanto, si dichiara contrario.

5.4.9.   Inoltre, ai sensi del diritto privato internazionale, non risulta chiaro se gli obblighi di informazione sono disciplinati dal regolamento «Roma I» (come suggerisce l'art. 5, paragrafo 3) oppure, in caso di violazione di tali obblighi, dall'art. 12 del regolamento «Roma II» (vedasi il suo considerando 30).

5.4.10.   Secondo l'articolo 6, paragrafo 2, della proposta, le conseguenze di ogni violazione dell'obbligo d'informazione sono determinate conformemente al diritto nazionale applicabile, ma tale disposizione non sembra ragionevole e darà origine a soluzioni divergenti; su questo punto sarebbe quindi opportuna un'armonizzazione.

5.4.11.   Aste. Si dovrebbe chiarire che le aste indette da enti pubblici in via obbligatoria saranno in ogni caso escluse dal campo di applicazione della proposta, che in effetti comprende i concetti di «asta» e «asta pubblica», ma relativamente a quelle indette di propria iniziativa dai commercianti.

5.5.   Contratti negoziati fuori dei locali commerciali e contratti a distanza

Il recepimento nelle varie legislazioni nazionali della direttiva 85/577/CEE, che è stata una delle prime iniziative legislative europee in materia di tutela dei consumatori, ha generato un basso livello di distorsioni. Esse hanno riguardato la facoltà di escludere determinati tipi di contratti (per importi inferiori a un dato ammontare o per certe categorie di beni) o di ampliare la protezione accordata ai consumatori, ampliamento reso possibile dalla clausola di armonizzazione minima (cfr. l'art. 8). Per questo motivo l'armonizzazione massima generalmente prevista non risulta problematica e appare equilibrata e positiva. La direttiva 85/577/CEE si applica unicamente ai casi in cui la visita del commerciante al domicilio o al luogo di lavoro del consumatore non sia dovuta a una richiesta di quest'ultimo. La proposta di ampliare il campo di applicazione per comprendere le visite effettuate su richiesta appare accettabile, a patto di ampliare anche le eccezioni contemplate all'art. 19, paragrafo 2. Tra i contratti a cui non è applicabile il diritto di recesso (come nel caso dei contratti a distanza), andrebbero inclusi:

a)

i contratti per la prestazione di servizi la cui esecuzione sia iniziata, con l'accordo espresso del consumatore, prima della scadenza del termine di recesso, e

b)

i contratti per la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati o che, per loro natura, rischiano di deteriorarsi o alterarsi rapidamente.

5.5.1.1.   Se non si dispone che l'art. 19, paragrafo 2, contempli la prima di queste due eccezioni, i prestatori di servizi potrebbero chiedere ai consumatori che desiderano un servizio eseguito rapidamente (ad esempio, migliorie alla cucina o un taglio di capelli a casa propria) di aspettare almeno 14 giorni. Se non si contempla la seconda eccezione, un commerciante che realizzi beni su misura (ad esempio, elementi di arredamento per la cucina o un vestito) potrebbe rifiutarsi di dare esecuzione al contratto prima che siano trascorsi almeno 14 giorni, altrimenti il consumatore potrebbe recedere dal contratto lasciando al commerciante beni che non riuscirebbe a vendere.

5.5.2.   Per quanto riguarda i contratti a distanza, sebbene un'analisi comparativa (14) non abbia rilevato grandi discrepanze nel recepimento della direttiva 97/7/CE, si nota che anche in questo caso gli Stati membri si sono avvalsi della loro facoltà discrezionale e della clausola di armonizzazione minima per creare regimi più favorevoli per il consumatore. Sarebbe utile prevedere modalità di tutela dei consumatori nel commercio a distanza con i paesi terzi.

5.5.3.   Malgrado ciò, si possono individuare le barriere potenzialmente esistenti nel mercato interno a causa delle differenze tra gli elenchi di esenzioni o tra gli obblighi d'informazione a carico dei commercianti.

5.5.4.   Il CESE ammette l'esistenza di un margine di miglioramento in rapporto al ventaglio di eccezioni riguardanti l'applicazione delle norme, ad esempio l'inclusione di beni (o servizi) dal valore contenuto (15) o l'inclusione facoltativa di beni (o servizi) per motivi sanitari, di igiene o di sicurezza. Questa considerazione vale in particolare per la sicurezza alimentare (cfr. l'art. 20, paragrafo 1, lettera d), dove sarebbe opportuno un rinvio esplicito all'art. 2 del regolamento CE n. 178/2002 (16). Per quanto concerne l'eccezione per i beni (e i servizi) dal valore contenuto, c'è margine di manovra per aumentare in misura significativa l'importo di 60 euro (fissato dalla direttiva 85/577/CEE).

5.5.5.   Per quanto attiene al diritto di recesso da questi due tipi di contratto, la proposta di direttiva prevede che il periodo in cui poter esercitare tale diritto sia pari a 14 giorni in ambedue i casi. Il CESE giudica favorevolmente il chiarimento sulle modalità per calcolare la decorrenza di tale periodo, ma ritiene tuttavia, come già segnalato più sopra, che sarebbe necessaria un'armonizzazione del concetto e degli effetti di questo diritto.

5.5.6.   Il CESE mette anche in discussione l'opportunità di prevedere una norma sulla responsabilità del consumatore (cfr. l'art. 17, paragrafo 2, «Il consumatore è responsabile unicamente della diminuzione del valore dei beni risultante da una manipolazione oltre a quella necessaria per accertare il valore e il funzionamento dei beni»), in quanto reputa che tale norma darà adito a dubbi e potrebbe causare dei problemi in relazione alle prove che i consumatori sarebbero tenuti a fornire.

5.5.7.   Fatto salvo il necessario miglioramento delle norme attualmente proposte, il CESE (17) riterrebbe preferibile che l'armonizzazione completa rimanesse esclusivamente circoscritta a queste due direttive, disciplinando i metodi di vendita che presentano un potenziale maggiore nell'ottica del commercio transfrontaliero.

6.   Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori

Questa materia, attualmente disciplinata dalla direttiva 93/13/CEE, è raccolta nel Capo V e negli allegati II e III. A questo riguardo, tuttavia, il CESE ritiene - in linea con gli stessi studi della Commissione - che tale argomento non dovrebbe essere affrontato nella proposta in esame e, di conseguenza, andrebbe escluso dal suo campo di applicazione perché, allo stato attuale dell'evoluzione del diritto comunitario, l'armonizzazione totale in questo ambito provocherà certamente sgradite disfunzioni negli ordinamenti giuridici dei vari Stati membri.

Ciononostante, qualora la Commissione non ritiri completamente tutte le disposizioni riguardanti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, il CESE desidera comunque richiamare l'attenzione sui seguenti aspetti.

6.1.1.1.   Come è risaputo, questa materia rappresenta un elemento centrale del diritto contrattuale che, prima del varo della suddetta direttiva, era parzialmente disciplinato dalle varie normative degli Stati membri.

6.1.1.2.   L'analisi comparativa sul recepimento della direttiva suindicata evidenzia che gli Stati membri si sono per la maggior parte avvalsi della clausola di armonizzazione minima (art. 8) e, di conseguenza, dispongono attualmente di regimi che prevedono un trattamento più favorevole per il consumatore rispetto a quanto disposto nella direttiva. Inoltre alla luce della situazione attuale un'armonizzazione completa in questo ambito non sembrerebbe consigliabile (14).

6.1.1.3.   Sarebbe pertanto auspicabile che la proposta in esame, che presuppone l'abrogazione della direttiva in vigore, potesse non soltanto equiparare verso l'alto il recepimento delle varie norme, ma anche chiarire i vari punti ambigui che hanno diviso la dottrina e la giurisprudenza.

6.1.1.4.   Si sta ovviamente facendo riferimento al rapporto tra il principio della buona fede e il criterio dello squilibrio dei diritti e degli obblighi contrattuali, menzionato nell'art. 3, paragrafo 1, della direttiva vigente e riportato in maniera quasi identica nell'art. 32, paragrafo 1, della proposta in esame, per quanto concerne le conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi di trasparenza stabiliti nell'art. 31.

6.1.1.5.   Quanto all'ambito di applicazione, va segnalata l'introduzione di una particolare restrizione a danno dei consumatori. In effetti, mentre la proposta in esame si occupa unicamente delle clausole contenute nei contratti in forma scritta («redatte in anticipo», come indicato nell'art. 30, paragrafo 1) e stabilisce che «gli Stati membri non impongono prescrizioni in materia di presentazione per il modo in cui le clausole contrattuali sono espresse o messe a disposizione del consumatore», la direttiva in vigore è applicabile anche ai contratti in forma verbale (direttiva 93/13/CEE, art. 5), analogamente a quanto previsto in alcuni Stati membri.

6.1.1.6.   In effetti, secondo il CESE il mantenimento dell'attuale regime, accompagnato dall'istituzione di un comitato e dalla creazione di un sistema di registrazione delle clausole dichiarate abusive dalle autorità nazionali, rappresenta un passo in avanti sufficiente in materia di informazione sulle clausole abusive e risulta di grande utilità per i commercianti - per la riduzione dei costi di adeguamento alla normativa - come per i soggetti incaricati di applicare il diritto e per i consumatori.

6.1.1.7.   La materia delle clausole contrattuali abusive è applicabile orizzontalmente a tutti i contratti stipulati con consumatori e, in molti casi, anche ai contratti conclusi tra commercianti. Il CESE ritiene che la proposta della Commissione avrà, in questo campo, delle ripercussioni molto rilevanti e negative per quel che riguarda, in generale, il diritto contrattuale e, in particolare, la tutela dei consumatori in tutti gli Stati membri.

7.   Taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo

7.1.   Il CESE giudica inopportuna l'inclusione di questa materia nella proposta di direttiva in esame e, pertanto, chiede che ne venga esclusa, perché questo intervento legislativo comunitario non apporta alcun valore aggiunto né assicura un elevato livello di tutela dei consumatori.

7.2.   La direttiva 99/44/CE ha permesso agli Stati membri di adottare o mantenere misure per una maggiore protezione dei consumatori, che si sono però tradotte in norme nazionali divergenti.

7.3.   In questo caso si constata la mancanza di qualsiasi tipo di tendenze significative nella trasposizione (18), perché tutti gli Stati membri, senza nessuna eccezione, avevano già in vigore una regolamentazione applicabile alle operazioni di compravendita di beni di consumo disciplinate dalla direttiva.

7.4.   Per quel che attiene al passaggio del rischio (art. 23), la proposta punta a risolvere le discrepanze sorte in merito al concetto di consegna, stabilendo che il commerciante diventa responsabile nei confronti del consumatore a partire dal momento in cui avviene tale passaggio del rischio (art. 25). Tale disposizione potrebbe rappresentare un passo in avanti utile e chiarificatore.

7.5.   La fissazione di un termine generale per la consegna dei beni è giudicata priva di coerenza, tranne che per determinati tipi di vendite (quelle negoziate fuori dei locali commerciali o le vendite a distanza), dato che risulta sproporzionato l'obbligo per il commerciante, stabilito dall'articolo 22 della proposta, di consegnare i beni entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto.

7.6.   Tuttavia, avendo eliminato la discrezionalità degli Stati membri nello stabilire un termine di presunzione secondo quanto previsto dalla direttiva vigente ed avendo ora fissato un unico termine pari a sei mesi, la proposta riduce i diritti dei consumatori, nella misura in cui fa ricadere su di essi l'onere della prova per i difetti palesatesi in una fase successiva.

7.7.   Allo stesso modo, per quanto riguarda il termine e l'onere della prova per difetti di conformità, poiché la proposta di direttiva prevede l'obbligo di denuncia, in pratica si ridurrà il termine di validità della garanzia, che diventerà uguale al termine per la presentazione della denuncia in tutti gli Stati membri che non hanno adottato questo meccanismo, come si desume dal contenuto dell'articolo 28, paragrafi 4 e 5.

8.   Carenze procedurali

8.1.   L'articolato della proposta contiene varie disposizioni di carattere procedurale, come l'onere della prova o la legittimazione attiva, che dovrebbero essere definite in modo più concreto per garantire modalità procedurali coerenti. Si avverte l'assenza di una regolamentazione in merito alla possibilità di adottare misure cautelari, nonché di sommare l'azione inibitoria all'azione di risarcimento o alla pubblicazione delle sentenze.

8.2.   Per quel che concerne le azioni collettive di risarcimento, il CESE rimanda a quanto recentemente dichiarato in proposito (19).

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 241 del 7.10.2002.

(2)  GU C 256 del 27.10.2007.

(3)  GU C 175 del 27.7.2007 e GU C 44 del 16.2.2008.

(4)  Cfr. nota 2.

(5)  Il processo di revisione è stato descritto nella comunicazione della Commissione Diritto contrattuale europeo e revisione dell'acquis: prospettive per il futuro, COM(2004) 651 def., GU C 14 del 20.1.2005.

(6)  Lavori preparatori per la valutazione d'impatto della revisione dell'acquis relativo ai consumatori - Relazione analitica sul Libro verde, del 6.11.2007, preparata da GHK/CIVIC Consulting/Bureau Van Dijk e disponibile sul sito Internet della Commissione europea.

(7)  Cfr. COM(2007) 447 def. - Seconda relazione sullo stato di avanzamento relativo al quadro comune di riferimento, del 25.7.2007; vedasi anche la Risoluzione del Parlamento europeo del 3 settembre 2008 sul quadro comune di riferimento per il diritto contrattuale europeo e la Risoluzione del Consiglio del 18 aprile 2008 (2863a sessione del Consiglio GAI, comunicato stampa 8397/08, pag. 18).

(8)  Cfr. Speciale Eurobarometro n. 298 (La tutela dei consumatori nel mercato interno – 2008), Flash Eurobarometro n. 224 (L'atteggiamento delle imprese nei riguardi del commercio transfrontaliero e della tutela dei consumatori – 2008), Flash Eurobarometro n. 250 (La fiducia nella società dell'informazione – maggio 2009) e la Relazione sul commercio elettronico transfrontaliero nell'UE (SEC(2009) 283 def.) del 5 marzo 2009.

(9)  Come dimostra la sentenza della Corte di giustizia del 23 aprile 2009 (cause riunite C-261/07 e C-299/07).

(10)  Ad esempio, con la creazione di un servizio di tutela dei consumatori, che soltanto nel 1989 si è svincolato dalla trattazione di altri argomenti, oppure con l'istituzione di un Comitato consultivo dei consumatori.

(11)  Competenza condivisa come indicato nella Costituzione europea e nell'art. 169 del Trattato di Lisbona; cfr. GU C 115/51 del 9.5.2008.

(12)  «Per consumatore si intende qualsiasi persona fisica che agisce principalmente a fini che non rientrano nella sua attività commerciale, imprenditoriale o professionale», Relazione sintetica del Progetto del quadro comune di riferimento (PQCR), dicembre 2008.

(13)  Ad esempio, l'Austria, il Belgio, la Danimarca, la Grecia, la Finlandia, la Svezia, la Spagna e il Portogallo hanno ampliato il concetto di consumatore.

(14)  Cfr. EC Consumer Law Compendium — Comparative Analysis («Compendio del diritto europeo in materia di consumatori – Analisi comparativa»), a cura di. Hans Schulte-Noltke, in collaborazione con Christian Twigg Flesner e Martin Ebers, febbraio 2008 (preparato su incarico della Commissione europea nel quadro del contratto di prestazione di servizi n. 17.020100/04/389299: Annotated Compendium including a comparative analysis of the Community consumer acquis – («Compendio annotato, compresa un'analisi comparativa dell'acquis comunitario relativo ai consumatori»).

(15)  Cfr. l'art. 3, paragrafo 1, della direttiva 85/577/CE, facoltà discrezionale di cui si sono avvalsi 18 Stati membri.

(16)  Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, 1.2.2002, pag. 1).

(17)  GU C 175 del 27.7.2007 e GU C 162 del 25.6.2008.

(18)  Cfr. nota 14.

(19)  GU C 162 del 25.6.2008.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto concerne la prevenzione dell'ingresso nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine

COM(2008) 668 def. — 2008/0261 (COD)

(2009/C 317/10)

Relatore: MORGAN

Il Consiglio, in data 12 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/83/CE per quanto concerne la prevenzione dell'ingresso nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine

COM(2008) 668 def. - 2008/0261 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore MORGAN.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli e 2 voti contrari.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore questa iniziativa della Commissione. La salute pubblica è un tema che sta a cuore a tutti i membri del Comitato, che sono tuttavia pienamente consapevoli del fatto che, da sola, la direttiva non sarà efficace. Essa costituisce solo una parte di un impegno pluridimensionale che comprende il diritto penale, l'applicazione delle norme, la protezione del diritto di proprietà intellettuale, la sorveglianza doganale e la cooperazione internazionale. Il CESE sollecita gli Stati membri a rafforzare le misure d'esecuzione.

1.2.   Il CESE propone di intensificare gli sforzi intesi ad armonizzare le denominazioni e le marche utilizzate per i medicinali nell'UE, nonché il confezionamento e i codici di identificazione dei medicinali in tutta l'UE. Nell'Unione europea vi sono almeno dieci diversi sistemi di codifica, e nessuno di essi è particolarmente attento agli aspetti della sicurezza in termini di numero di lotto, data di fabbricazione e data di scadenza. Si dovrebbe introdurre uno standard europeo armonizzato di identificazione dei medicinali tale da garantire la tracciabilità lungo tutta la catena di distribuzione, fino al paziente. L'armonizzazione farà avanzare il mercato interno aprendo la porta alla libera circolazione securizzata di medicinali nell'UE. Agevolerà l'autenticazione dei medicinali direttamente presso i fabbricanti in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, in un primo tempo almeno a livello del mercato interno dell'UE. Ciò potrebbe portare, nel lungo termine, ad un'iniziativa globale.

1.3.   La tecnologia può agevolare notevoli progressi in materia di codici, identificazione e autenticazione dei prodotti. L'autenticazione e la tracciabilità sono questioni cruciali. Queste strategie dovrebbero essere utilizzate entro i limiti degli obiettivi ai quali sono destinate, privilegiando le verifiche dirette – senza intermediari – presso registri di riferimento autentici dei fabbricanti, gli unici in grado di certificare l'autenticità della loro produzione. Vi sono diversi sistemi di identificazione, per esempio mediante radiofrequenza (RFID) o mediante codice a barre bidimensionale (Data Matrix). In Belgio è d'applicazione un sistema d'immatricolazione individuale delle confezioni mediante codice sequenziale e codice a barre unidimensionale, istituito dal sistema di assicurazione malattia per evitare che - nel quadro del sistema «tiers payant», in base al quale il farmacista fattura la prestazione direttamente alla mutua - una stessa confezione venga fatturata più volte all'assicurazione malattia. Il sistema belga tuttavia non comporta né numero di lotto, né data di scadenza. L'evoluzione di questo codice a barre unico (CBU) belga verso un sistema Data Matrix permetterebbe di colmare le lacune esistenti in materia di tracciabilità e di autenticazione, come richiesto dal Codice comunitario sui medicinali. Benché tali possibilità tecniche siano perfettamente e rapidamente applicabili a costi assolutamente marginali, la Commissione paradossalmente sostiene che è troppo presto per prendere una decisione in materia di codici d'identificazione e che sono necessarie ulteriori sperimentazioni. Più si ritarderà l'attuazione dei codici di identificazione, più confusa e frammentata diventerà la situazione. Il CESE propone pertanto di istituire una task force sui codici d'identificazione per valutare l'attuazione dei processi normalizzati esistenti, in un primo tempo almeno a livello del mercato interno dell'UE. A lungo termine, ciò potrebbe offrire l'opportunità di diventare leader a livello mondiale.

1.4.   Concentrarsi sulla filiera farmaceutica legale non è sufficiente. Se non si affrontano i problemi legati a Internet, la salute pubblica sarà sempre più a rischio. Anche la dimensione sociale è molto importante: i medicinali illegali a basso costo venduti via Internet creano infatti un sistema sanitario a due livelli. Il CESE sollecita la Commissione ad agire.

1.5.   Il CESE appoggia una lotta spietata contro chiunque consenta l'accesso di farmaci contraffatti nella filiera farmaceutica legale. Le sanzioni dovrebbero essere molto severe, dalle multe fino alla confisca dell'esercizio interessato. Il CESE invita la Commissione a pubblicare orientamenti in materia di sanzioni destinati agli Stati membri.

1.6.   Non sembra esservi una piena comprensione della portata e delle fonti della contraffazione di medicinali. La proposta di direttiva dovrebbe includere piani per affrontare tali carenze nei sistemi di vigilanza e supervisione.

1.7.   In linea con l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il CESE preferirebbe che la direttiva parlasse di prodotti «contraffatti» piuttosto che di prodotti «falsificati».

1.8.   La complessità del testo, con le numerose modifiche apportate in passato e nella proposta attuale, lo rende di difficile comprensione. Il CESE raccomanda di pubblicare un documento che presenti al tempo stesso il testo di base e gli emendamenti, in modo che il testo sui prodotti contraffatti possa essere letto e compreso.

2.   Introduzione

2.1.   Nel novembre 2001 l'UE ha presentato la direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano. Si tratta di un compendio enciclopedico che affronta di tutti gli aspetti dell'argomento. La direttiva è stata poi modificata da un regolamento e da altre cinque direttive. Adesso è composta di 70 pagine, che comprendono 130 articoli, e di 44 pagine di allegati.

2.2.   Il presente parere ha come oggetto un'altra direttiva modificativa, incentrata sulla prevenzione dell'ingresso nella filiera farmaceutica legale di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine. Questa direttiva modificativa è una delle tre direttive introdotte contemporaneamente per trattare i diversi aspetti del codice comunitario. Secondo il CESE sarebbe stato più opportuno, almeno per questa direttiva, elaborare un documento che presentasse la direttiva di base insieme agli emendamenti proposti con la direttiva attuale, in modo da fornire alle parti interessate un testo breve, integrato, coerente e pertinente. L'attuale testo è poco chiaro e di difficile comprensione.

2.3.   I medicinali contraffatti vengono deliberatamente etichettati in maniera fraudolenta per dissimularne l'identità o l'origine. La loro qualità non è prevedibile, in quanto possono contenere una dose non corretta di principi attivi, principi attivi errati o nessun principio attivo. I medicinali contraffatti vengono sempre prodotti in laboratori clandestini, senza alcuna possibilità di controllo.

2.4.   I medicinali contraffatti rappresentano una grave minaccia per la salute pubblica e compromettono la legislazione farmaceutica comunitaria e l'industria farmaceutica europea. Il numero delle contraffazioni dei medicinali innovativi e salvavita è in aumento. Per di più questi prodotti giungono ai pazienti anche attraverso la filiera farmaceutica legale nella quale vengono immessi per conseguire volumi di vendite maggiori.

2.5.   Secondo l'OMS, il problema dei medicinali contraffatti può essere quantificato come segue:

meno dell'1 % nella maggior parte dei paesi industrializzati e dell'UE,

più del 20 % in gran parte dell'ex Unione sovietica,

più del 30 % in alcune zone dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina,

più del 50 % sui siti internet illegali.

Per quanto riguarda Internet, la Commissione ha dichiarato che la soluzione del problema delle filiere illegali richiede una definizione del problema distinta, con cause, finalità e opzioni politiche distinte. Questi aspetti non vengono affrontati nella direttiva in esame.

2.6.   Secondo la Commissione, le ragioni per le quali i medicinali contraffatti non vengono scoperti nella filiera farmaceutica legale, pur essendo molteplici, sono riconducibili ai quattro punti seguenti:

non è sempre facile distinguere i medicinali contraffatti dai medicinali originali, a causa di problemi di tracciabilità e di identificazione,

la catena di distribuzione è diventata molto complessa ed è «forte soltanto quanto il suo anello più debole»,

manca certezza del diritto in merito alla disciplina applicabile ai prodotti che vengono introdotti nell'UE senza, a quanto pare, essere immessi in commercio, e

gli stessi principi attivi farmaceutici (API) utilizzati nel processo di fabbricazione possono essere una contraffazione degli API originali.

3.   Contenuto della proposta di direttiva

3.1.   Sia la direttiva 2001/83/CE, ossia la direttiva di base, che la modifica proposta mirano a stabilire nell'UE un mercato interno funzionante per i medicinali, garantendo nel contempo un livello elevato di protezione della salute pubblica. I principali elementi di modifica sono illustrati dettagliatamente nei punti che seguono. I riferimenti menzionati sono relativi all'articolo 1 della direttiva modificativa.

Tracciabilità e identificazione

3.2.   Audit dei fabbricanti di API. (4)

3.3.   Una base giuridica che consenta alla Commissione di rendere obbligatorie alcune caratteristiche di sicurezza specifiche (quali un codice d'identificazione o sigilli inamovibili) sulla confezione dei medicinali soggetti a prescrizione per poter verificare l'identità, l'autenticità e la tracciabilità dei medicinali. (6), (8), (9)

3.4.   Il divieto di massima a carico dei soggetti che si situano tra il fabbricante iniziale e l'ultimo anello della catena della distribuzione (di norma il farmacista) o l'utilizzatore finale (medico/paziente) di alterare (mediante rimozione, manomissione od occultamento con un'altra etichetta) le caratteristiche di sicurezza sulla confezione. Ogni soggetto della filiera farmaceutica che provvede a confezionare i medicinali deve essere titolare di un'autorizzazione di fabbricazione e deve essere responsabile per qualsiasi danno che può essere provocato dai prodotti falsificati. (9), (10)

Catena di distribuzione

3.5.   Alcuni obblighi a carico di soggetti diversi dai distributori all'ingrosso che intervengono nella catena di distribuzione. Si tratta in genere di soggetti che partecipano alle transazioni senza trattare materialmente i prodotti (ad esempio mediante vendite all'asta o l'intermediazione dei prodotti). (1), (14)

3.6.   Norme che completano le buone prassi esistenti per i distributori. (13)

3.7.   Per i distributori all'ingrosso continuerà ad essere necessaria un'autorizzazione. (12), (13), (14)

3.8.   Audit obbligatori dei fornitori-distributori all'ingrosso di medicinali per garantire l'affidabilità dei partner commerciali. (15)

Incertezza giuridica

3.9.   Eliminazione dell'incertezza giuridica relativa all'importazione di medicinali destinati ad essere riesportati. (2), (7)

Contraffazione degli API originali

3.10.   Certificazione da parte dei produttori che i loro fornitori di API rispettano le buone prassi di fabbricazione. (3), (5), (7)

3.11.   Controlli più rigorosi per le importazioni di API da paesi terzi nel caso in cui non sia stato possibile stabilire che il quadro normativo del paese terzo interessato garantisce, per i prodotti esportati nell'UE, un livello sufficiente di protezione della salute umana. (4), (16)

Disposizioni generali

3.12.   Rafforzamento delle norme relative alle ispezioni, compresa una maggiore trasparenza dei risultati delle ispezioni mediante la loro pubblicazione nella base dati EudraGMP. (12), (15)

3.13.   La vigilanza sarà garantita dalle autorità nazionali competenti, che applicheranno anche le sanzioni necessarie. La Commissione elaborerà nuove linee direttrici in materia. (16), (17)

4.   Posizione del CESE

4.1.   Il CESE accoglie con favore questa iniziativa. La salute pubblica è un tema che sta a cuore a tutti i membri del Comitato.

4.2.   Il CESE osserva che l'OMS definisce i prodotti «falsificati» come prodotti «contraffatti». Raccomanda pertanto alla Commissione di seguire questo esempio. L'aggettivo «contraffatti» esprime infatti più adeguatamente il fatto che si tratta di un'attività criminale. L'OMS afferma che la contraffazione dei medicinali - dalla produzione fino alla fornitura ai pazienti - è un reato vile e grave, che mette a rischio la salute umana e mina la credibilità dei sistemi sanitari (1).

4.3.   Nella filiera farmaceutica legale, bloccare l'ingresso di medicinali contraffatti è possibile grazie alla cooperazione tra partner commerciali di fiducia e affidabili. Per migliorare questa cooperazione, la certificazione di tutti i partecipanti alla filiera dovrebbe essere obbligatoria, e i dettagli di tale certificazione dovrebbero essere disponibili su una base dati accessibile al pubblico.

Tracciabilità e identificazione

4.4.   Il CESE ritiene che la Commissione sottovaluti il problema della tracciabilità e dell'identificazione. In assenza di codici d'identificazione normalizzati non è mai facile distinguere i medicinali contraffatti dai medicinali originali, il che comporta problemi di tracciabilità.

4.5.   Il CESE propone di intensificare gli sforzi intesi ad armonizzare le denominazioni e le marche utilizzate per i medicinali nell'UE e anche il confezionamento e i codici d'identificazione dei medicinali in tutta l'UE. Nell'Unione europea esistono almeno dieci diversi sistemi di codifica, e nessuno di essi è particolarmente attento agli aspetti della sicurezza in termini di numero di lotto, data di fabbricazione e data di scadenza. Si dovrebbe introdurre uno standard europeo armonizzato di identificazione dei medicinali tale da garantire la tracciabilità lungo tutta la catena di distribuzione, fino al paziente. L'armonizzazione favorirà il mercato interno aprendo la porta alla libera circolazione securizzata di medicinali nell'UE. Agevolerà l'autenticazione dei medicinali direttamente presso i fabbricanti in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, in un primo tempo almeno a livello del mercato interno dell'UE. Ciò potrebbe portare, nel lungo termine, ad un'iniziativa globale.

4.6.   Il CESE ritiene che la possibilità di identificare rapidamente la confezione autentica ridurrebbe le frodi. Raccomanda pertanto alla Commissione di prendere l'iniziativa di creare una base dati visuale per le confezioni dei medicinali.

4.7.   Il testo di cui al punto 3.4 sembra escludere i distributori paralleli. Potrebbe essere più esplicito imporre a tutti i soggetti della filiera che non sono titolari di un'autorizzazione di fabbricazione il divieto di alterare le caratteristiche di sicurezza sulla confezione. I distributori paralleli devono procedere a un nuovo confezionamento. Non devono poter sostituire le caratteristiche di sicurezza in modo tale da rompere la catena di tracciabilità.

4.8.   La tecnologia può agevolare notevoli progressi in materia di codici, identificazione e autenticazione dei prodotti. L'autenticazione e la tracciabilità sono questioni cruciali. Queste strategie dovrebbero essere utilizzate entro i limiti degli obiettivi ai quali sono destinate, privilegiando le verifiche dirette – senza intermediari – presso registri di riferimento autentici dei fabbricanti, gli unici in grado di certificare l'autenticità della loro produzione. Vi sono diversi sistemi di identificazione, per esempio mediante radiofrequenza (RFID) o mediante codice a barre bidimensionale (Data Matrix). In Belgio è d'applicazione un sistema d'immatricolazione individuale delle confezioni mediante codice sequenziale e codice a barre unidimensionale, istituito dal sistema di assicurazione malattia per evitare che - nel quadro del sistema «tiers payant», in base al quale il farmacista fattura la prestazione direttamente alla mutua - una stessa confezione venga fatturata più volte all'assicurazione malattia. Il sistema belga tuttavia non comporta né numero di lotto, né data di scadenza. L'evoluzione di questo codice a barre unico (CBU) belga verso un sistema Data Matrix permetterebbe di colmare le lacune esistenti in materia di tracciabilità e di autenticazione, come richiesto dal Codice comunitario sui medicinali. Benché tali possibilità tecniche siano perfettamente e rapidamente applicabili a costi assolutamente marginali, la Commissione sostiene paradossalmente che è troppo presto per prender una decisione in materia di codici d'identificazione e che sono necessarie ulteriori sperimentazioni. Più si ritarderà l'attuazione dei codici di identificazione, più confusa e frammentata diventerà la situazione. Il Comitato propone pertanto di istituire una task force sui codici d'identificazione per valutare l'attuazione dei processi normalizzati esistenti, in un primo tempo almeno a livello del mercato interno dell'UE. A lungo termine, ciò potrebbe offrire l'opportunità di diventare leader a livello mondiale.

Catena di distribuzione

4.9.   Una volta che il medicinale è stato confezionato, procedere a un nuovo confezionamento senza adottare le opportune cautele deve essere considerato un reato. Le confezioni contraffatte sono il canale attraverso il quale i medicinali contraffatti entrano nella catena di distribuzione legale. Il confezionamento dei farmaci proposto su Internet da farmacie legali dovrebbe essere sottoposto a ispezione.

4.10.   Il CESE osserva che la direttiva propone pesanti sanzioni per i casi in cui non si sia riusciti a prevenire l'ingresso dei prodotti falsificati nella catena di distribuzione. Il CESE raccomanda che le sanzioni siano molto severe. Le imprese colpevoli dovrebbero essere chiuse.

Incertezza giuridica

4.11.   Il CESE esprime soddisfazione per il fatto che la proposta di direttiva affronti il problema delle incertezze giuridiche relative alle importazioni ai fini di esportazione.

Falsificazione degli API originali

4.12.   Come già detto per la catena della distribuzione, le imprese coinvolte nella falsificazione dovrebbero essere chiuse.

Filiera illegale

4.13.   La direttiva in esame non affronta l'introduzione di prodotti contraffatti attraverso la filiera illegale. La minaccia alla salute pubblica è però molto seria, soprattutto per quanto riguarda Internet, come dimostrano le statistiche dell'OMS riportate al punto 2.5. Recentemente è stato rilevato che nel Regno Unito un medico su quattro si è trovato a dover curare pazienti colpiti dagli effetti collaterali provocati da farmaci acquistati attraverso Internet. Un ulteriore 8 % ritiene di essersi trovato in una situazione analoga, ma non ne ha la certezza. La recente comunicazione della Commissione dal titolo Medicinali sicuri, innovativi e accessibili: una nuova visione del settore farmaceutico  (2) fa riferimento a una relazione del 2007 sulle attività doganali della Comunità in materia di contraffazione e di pirateria. Tra il 2005 e il 2007 i medicinali confiscati dalle autorità doganali sono aumentati del 628 %. Si tratta non soltanto di prodotti di natura voluttuaria, ma anche di trattamenti contro malattie mortali.

4.14.   L'attenzione va rivolta a Internet. Le farmacie presenti su Internet sono legali solo se sono state registrate e autorizzate in ogni Stato membro, e la registrazione dovrebbe essere facilmente accessibile su una base dati pubblica, come già avviene per le farmacie tradizionali. Mentre in questo campo la necessità di cooperazione internazionale ed europea è evidente, per quanto riguarda Internet ogni Stato stabilisce le sue norme. Inoltre la vendita al dettaglio non è attualmente regolamentata dall'UE: l'ambito in cui la Comunità europea può intervenire è pertanto limitato, mentre invece dovrebbe essere esteso fino a comprendere tale settore, come avviene già per i grossisti e i depositi di medicinali.

4.15.   È facile comprendere i motivi per cui i pazienti ricorrono a Internet piuttosto che al loro medico. Un dato medicinale può non essere disponibile in una certa area, il prezzo di un medicinale, in particolare di un medicinale contraffatto, su Internet può essere inferiore, e, infine, acquistare alcuni medicinali direttamente su Internet può essere meno imbarazzante che affrontare un colloquio potenzialmente difficile con un medico. Inoltre un paziente che acquista medicinali su Internet non è perseguibile.

4.16.   In tutti gli Stati membri è necessaria una campagna d'informazione intesa ad indirizzare il pubblico verso le farmacie su Internet registrate e a distoglierlo dall'effettuare acquisti presso imprese criminali. Tale campagna dovrebbe sottolineare che i prodotti acquistati su Internet da fonti non registrate possono rappresentare un potenziale rischio per la vita. Informazioni al riguardo dovrebbero essere disponibili in ogni farmacia, studio medico, ospedale e sito internet autorizzato.

4.17.   A chiunque sia coinvolto nella vendita di medicinali contraffatti dovrebbero essere comminate severe sanzioni pecuniarie e penali. Analogamente ai controlli effettuati per i siti Internet a sfondo sessuale, si potrebbe prevedere una cooperazione tra le autorità pubbliche (come descritto al punto 4.3) e diverse parti interessate quali i fornitori di servizi Internet (Internet service provider, ISP), i motori di ricerca, i servizi di trasporto merci e le società di gestione delle carte di credito, con l'obiettivo di individuare più facilmente coloro che partecipano illegalmente al commercio di medicinali contraffatti. Come sottolineato dalla Commissione, la direttiva in esame non rappresenta che una parte dell'impegno pluridimensionale per il rispetto delle norme.

Disposizioni generali

4.18.   Non sembra esservi una piena comprensione della portata della contraffazione e delle fonti dei medicinali contraffatti. La proposta di direttiva dovrebbe includere piani intesi a colmare queste lacune del sistema di vigilanza e di supervisione.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Rapporto della task force internazionale contro la contraffazione dei prodotti medicinali (Impact - International Medical Products Anti-Counterfeiting Taskforce) dell'OMS, aggiornato nel maggio 2008.

(2)  COM(2008) 666 def.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai conti annuali di taluni tipi di società per quanto riguarda le microentità

COM(2009) 83 def./2 — 2009/0035 (COD)

(2009/C 317/11)

Relatore: PEZZINI

Il Consiglio, in data 20 marzo 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai conti annuali di taluni tipi di società per quanto riguarda le microentità

COM(2009) 83 def./2 – 2009/0035 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 10 voti contrari e 17 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea l'esigenza di soddisfare i bisogni delle piccole e medie imprese e dell'artigianato, per permettere loro di affrontare le sfide strutturali che sono diffuse in una società complessa, con la piena attuazione della Carta europea per le piccole imprese (1), in un processo integrato nella strategia di Lisbona.

1.2.   Il CESE prende atto dell'iniziativa della Commissione, volta ad esentare le microentità da obblighi amministrativi-contabili, spesso onerosi ed eccessivi, rispetto alla struttura di queste imprese e richiama l'attenzione sulle posizioni adottate precedentemente nei pareri CESE 1187/2008 (2) e CESE 1506/2008 (3).

1.3.   Il Comitato ritiene importante che l'iniziativa rispetti i seguenti principi:

Obbligatorietà, ogni Stato è tenuto a introdurre criteri di esenzione per le microentità,

Flessibilità, occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di adattare i criteri d'esenzione alle esigenze della loro situazione specifica, entro limiti comuni,

Semplicità, le modifiche devono essere di semplice attuazione,

Trasparenza, occorre assicurare, in ogni caso, una adeguata trasparenza nel mercato interno.

1.4.   Il CESE, pur consapevole della competenza non esclusiva della Comunità in materia, ritiene auspicabile che, per l'integrità del mercato unico e per la non discriminazione tra soggetti in esso operanti, nelle future misuredi revisione della quarta e della settima direttiva sul diritto societario le agevolazioni risultino applicabili automaticamente a tutte le microimprese presenti nell'Unione, secondo criteri chiaramente definiti da ciascuno Stato membro.

1.5.   Al riguardo il Comitato chiede sia applicato il principio-guida «Pensare innanzitutto in piccolo» (Think Small First) attraverso un accordo interistituzionale, fondato sulle stesse basi giuridiche dell'accordo Legiferare meglio  (4), con una serie di impegni chiari e trasparenti, a livello comunitario e nazionale, in materia di eliminazione/riduzione degli oneri burocratici, per garantirne l'applicazione sistematica nel processi sia legislativi sia di attuazione, specie per le micro e per le piccole imprese.

1.6.   Il Comitato riterrebbe inoltre opportuno che la Commissione presentasse al Parlamento, al Consiglio e al CESE un rapporto, dopo tre anni dall'entrata in vigore della presente proposta, che valuti gli effetti ed il funzionamento dell'esenzione, a favore delle microentità, in tutti gli Stati membri dell'Unione, e i risparmi effettivamente conseguiti dalle microentità europee.

2.   Introduzione

2.1.   Sin dalla celebrazione dell'«Anno europeo delle PMI e dell'artigianato» (5), al quale fecero seguito la creazione della DG XXIII (6) e una serie di conferenze europee (7), la Commissione europea ha sviluppato un notevole sforzo per soddisfare i bisogni delle piccole e delle medie imprese e dell'artigianato, e per consentire loro di affrontare le numerose sfide economiche e strutturali. Ciò, per altro, è stato messo in luce in numerosi pareri del Comitato (8).

2.2.   Le piccole e medie imprese sono spesso soggette alle stesse norme che si applicano alle grandi imprese. Le loro specifiche esigenze, in materia contabile, sono state analizzate raramente, e le norme in materia di informativa finanziaria comportano un notevole onere finanziario, oltre a ostacolare l'uso efficiente dei capitali, più utili ai fini produttivi e dell'occupazione.

2.3.   Se, da un lato, in materia di contabilità e di revisione, l'obiettivo di migliorare la qualità dei conti delle società di capitali e di aumentare la trasparenza è di fondamentale importanza, dall'altro, i maggiori obblighi imposti alle imprese si rivelano spesso particolarmente gravosi, per le micro e per le piccole.

2.4.   Proprio in considerazione di questo, la Commissione aveva recentemente varato una proposta per esentare da taluni obblighi di comunicazione e dall'obbligo di redigere conti consolidati le medie imprese (9), sulla quale il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi positivamente (10).

2.5.   Gli elevati costi amministrativi derivanti dalla normativa comunitaria limitano la competitività delle imprese europee. Inoltre, la legislazione relativa al diritto, alla contabilità ed alla revisione dei conti delle società non si è evoluta parallelamente al contesto in cui operano le società. Di fatto le direttive che garantiscono la qualità dell'informazione finanziaria e della revisione dei conti, nell'UE, implicano oneri amministrativi elevati per le imprese, specialmente per quelle minori.

2.6.   Secondo stime elaborate per la Commissione, che non sembrano strutturate sul piano scientifico e metodologico, le microentità potenzialmente interessate dal provvedimento di esenzione sarebbero circa 5 milioni e 400 mila e l'onere amministrativo globale, per adempiere agli obblighi amministrativi e contabili, previsti dalla direttiva, ammonterebbe a circa 6,3 miliardi di euro all'anno.

2.7.   Il Comitato sottolinea l'impegno, assunto dalla Commissione, di ridurre del 25 % gli oneri amministrativi per le imprese (11), che è stato appoggiato senza riserve dal Comitato stesso (12).

2.8.   Secondo il Comitato «si dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire che tutti gli Stati membri attuino tempestivamente ed a un livello qualitativamente elevato tutte le direttive e per persuadere i governi e i legislatori nazionali e regionali ad avviare i propri progetti di semplificazione normativa nei casi in cui l'attuazione del diritto comunitario abbia dato luogo ad un'eccessiva sovrapposizione di normative interne (il cosiddetto gold plating (13).

3.   Il contesto

3.1.   Nell'ambito della quarta fase dell'iniziativa di semplificazione della legislazione relativa al mercato interno (Simplification of the Legislation on the Internal Market - SLIM), sono state modernizzate la prima e la seconda direttiva in materia di diritto societario.

3.2.   Il Consiglio europeo dell'8-9 marzo 2007 ha sottolineato che la riduzione degli oneri amministrativi costituisce una misura importante per stimolare l'economia europea, specialmente attraverso il suo impatto sull'impresa minore, mettendo in rilievo la necessità di un forte sforzo congiunto, per ridurre in maniera significativa gli oneri amministrativi all'interno dell'UE.

3.3.   Il Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008 ha invitato la Commissione a formulare nuove proposte legislative per ridurre gli oneri amministrativi, da adottare con iter accelerato (14), individuando nel diritto societario europeo e nella contabilità e revisione contabile i settori prioritari d'intervento.

3.4.   L'European Small Business Act  (15), presentato nel giugno del 2008 dalla Commissione e sul quale il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi (16), ha egualmente sottolineato le esigenze di semplificazione per le imprese minori.

3.5.   Del resto, anche il piano europeo di ripresa economica presentato a fine novembre del 2008 ha indicato quale misura importante la riduzione degli oneri a carico delle piccole e medie imprese (PMI) e delle microentità, tra l'altro eliminando «l'obbligo per le microimprese di redigere i conti annuali» (17).

3.6.   Dal canto suo, nella sua risoluzione dell'8 dicembre 2008 (18) il Parlamento europeo si è pronunciato per l'eliminazione degli obblighi in materia di informativa finanziaria a carico delle microentità, al fine di accrescerne la competitività e realizzare il loro potenziale di crescita, invitando la Commissione a presentare una proposta legislativa per consentire agli Stati membri di esentare tali imprese dal campo di applicazione della quarta direttiva 78/660/CEE.

3.7.   Nel corso degli ultimi venti-trenta anni, la direttiva 78/660/CEE ha subito varie modifiche (19).

4.   Sintesi della proposta della Commissione

4.1.   La Commissione propone di introdurre la nozione di microentità, già prevista da alcuni Stati membri, e di escluderla dal campo d'applicazione della quarta direttiva 78/660/CEE sui conti annuali. Le microentità dovrebbero rispondere, per poter beneficiare dell'esenzione, a 2 dei 3 criteri seguenti:

10 o meno dipendenti,

totale di bilancio inferiore a 500 000 euro e

fatturato inferiore a 1 000 000 di euro.

4.2.   Per queste imprese piccolissime il costo connesso alla formazione di conti annuali è particolarmente pesante. D'altro canto, non esiste una forte domanda per quanto riguarda il loro stato finanziario, trattandosi principalmente di imprese che agiscono a livello locale/regionale.

4.3.   Inserendo un'esenzione nelle direttive contabili, si lascerebbe agli Stati membri la facoltà di determinare le regole che dovrebbero essere rispettate dalle microentità.

4.4.   Perciò la Commissione ha deciso di modificare l'attuale normativa comunitaria. Per quanto riguarda le microentità sono state proposte varie misure:

dispensare tali imprese dall'obbligo di pubblicare i loro conti,

facoltà, per le microentità, di redigere ugualmente, su base volontaria, i conti annuali e sottoporli a revisione e inviarli al registro nazionale,

discrezionalità degli Stati membri di esentare le microentità dall'ambito di applicazione della quarta direttiva sul diritto societario.

5.   Osservazioni generali

5.1.   Il CESE sostiene le finalità dell'iniziativa della Commissione, volte a esentare le microentità dagli obblighi amministrativi contabili, onerosi e del tutto sproporzionati rispetto alle esigenze delle microentità e dei principali utilizzatori delle informazioni finanziarie.

5.2.   Il Comitato ritiene prioritario, specie nell'attuale crisi economica, la quale si ripercuote con maggiore incidenza sulle imprese minori di tutta Europa, che le misure di esenzione delle microentità siano attuate tempestivamente (modello «fast track») (20) ed universalmente in tutto lo Spazio economico europeo, e che esse si caratterizzino per la loro flessibilità, adeguata alle singole situazioni nazionali, e si attuino con trasparenza nei riguardi delle persone fisiche e giuridiche europee.

5.3.   La proposta della Commissione costituirebbe, inoltre, un forte incentivo alla lotta alla economia sommersa (moonlight economy), come è stato ribadito più volte dal Comitato: questo ha sottolineato «l'impatto davvero negativo del lavoro sommerso sulle finanze pubbliche, in termini di perdite sia di gettito fiscale che di contributi sociali» (21) e ha ricordato che «se si vuole scongiurare un'espansione a macchia d'olio dell'economia sommersa il prezzo di un comportamento virtuoso non deve essere esorbitante» (22).

5.4.   Il CESE valuta positivamente la proposta di semplificazione della Commissione, che è tesa a garantire che il quadro regolamentare contribuisca a stimolare l'imprenditorialità e l'innovazione delle micro e delle piccole imprese, perché siano più competitive e sfruttino al meglio le potenzialità del mercato interno.

5.5.   Il CESE, pur consapevole della competenza non esclusiva della Comunità in materia, e della necessaria applicazione dell'articolo 5 del Trattato, in tema di principio di sussidiarietà, ritiene che, per l'integrità del mercato unico e per la non discriminazione tra soggetti in esso operanti, sia auspicabile che, nelle misure futuredi revisione complessiva della quarta e della settima direttiva sul diritto societario, le agevolazioni per le microentità non siano lasciate alla discrezione dei singoli Stati membri, ma risultino applicabili automaticamente a tutte le microimprese dell'Unione.

5.6.   Il Comitato chiede alla Commissione, al Parlamento europeo ed al Consiglio che, nella annunciata prossima revisione generale della quarta e della settima direttiva sul diritto societario, sia applicato il principio-guida «pensare innanzitutto piccolo» (Think Small First) attraverso un accordo interistituzionale, fondato sulle stesse basi giuridiche dell'accordo Legiferare meglio  (23), con una serie di impegni chiari, in materia di riduzione/eliminazione degli oneri burocratici.

5.7.   Il Comitato chiede, inoltre, che la Commissione presenti al Parlamento, al Consiglio ed al Comitato stesso un rapporto, dopo tre anni dell'entrata in vigore della presente proposta, il quale valuti gli effetti e il funzionamento dell'esenzione, a favore delle microentità, in tutti gli Stati dell'Unione ed i risparmi raggiunti dalle microentità europee.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. Consiglio europeo di Lisbona, 2000.

(2)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 7.

(3)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 37.

(4)  Cfr. parere CESE GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30, raccomandazione n. 1, relatore: Malosse e correlatore: Cappellini.

(5)  Anno 1983.

(6)  Venne creata, prima, una Task Force sotto la guida di Edith Cresson, che divenne poi una nuova DG: la DG XXIII.

(7)  Avignone, 1990; Berlino, 1994; Milano, 1997.

(8)  Cfr. tra gli altri: GU C 161 del 14.6.1993, pag. 6; GU C 388 del 31.12.1994, pag. 14; GU C 295 del 7.10.1996, pag. 6; GU C 56 del 24.2.1997, pag. 7; GU C 89 del 19.3.1997, pag. 27; GU C 235 del 27.7.1998, pag. 13; GU C 221 del 7.8.2001, pag. 1; GU C 374 del 3.12.1998, pag. 4; GU C 116 del 20.4.2001, pag. 20.

(9)  COM(2008) 195 def. del 18 settembre 2008.

(10)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 37, relatore: Cappellini.

(11)  COM(2006) 689, 690 e 691 def. del 14 novembre 2006.

(12)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8.

(13)  Cfr. GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8, punto 4.3.6, come pure GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9, punto 6.2.

(14)  Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 13-14 marzo 2008, punto 9.

(15)  COM(2008) 394 def. del 25 giugno 2008.

(16)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30, relatore: Malosse, correlatore: Cappellini.

(17)  Comunicazione della Commissione al Consiglio europeo Un piano europeo di ripresa economica (COM(2008) 800 def. del 26 novembre 2008, punto 4).

(18)  Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2008 sui requisiti contabili per quanto riguarda le piccole e medie imprese, segnatamente le microentità.

(19)  Trattasi di oltre una decina di modifiche: direttiva 83/349/CEE, direttiva 84/569/CEE, direttiva 89/666/CEE, direttiva 90/604/CEE, direttiva 90/605/CEE, direttiva 94/8/CE, direttiva 1999/60/CE, direttiva 2001/65/CE, direttiva 2003/38/CE, direttiva 2003/51/CE, direttiva 2006/43/CE, direttiva 2006/46/CE.

(20)  Fast track: per ottenere rapidamente dei primi risultati, la Commissione ha presentato tre proposte di questo tipo. La prima, intesa ad allineare alcune norme in materia di relazioni di esperti nel caso di fusioni e scissioni in ambito nazionale con le norme della direttiva sulle fusioni transfrontaliere (direttiva 2005/56/CE), è stata approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel novembre 2007 (direttiva 2007/63/CE). Inoltre, nell'aprile 2008 la Commissione ha presentato due proposte di modifica relative alla prima e all'undicesima direttiva in materia di diritto societario e alle direttive contabili.

(21)  Cfr. GU C 101 del 12.4.1999, pag. 30, relatore: Giron.

(22)  Cfr. GU C 255 del 14.10.2005, pag. 61.

(23)  Cfr. GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30, raccomandazione n. 1, relatore: Malosse, correlatore: Cappellini. In particolare par. 3.2: «Per quanto riguarda il principio pensare anzitutto in piccolo il CESE ribadisce la posizione precedentemente espressa (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 27) e chiede che venga sancito come norma vincolante in una forma ancora da definire (codice di condotta, accordo interistituzionale, decisione del Consiglio), ma che dovrebbe impegnare il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio. La “pista” di un accordo interistituzionale fondato sulle stesse basi giuridiche dell'accordo Legiferare meglio del 2003 …».


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente punto del parere della sezione è stato respinto a favore di un emendamento adottato dall'assemblea, ma ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

«2.6.

Secondo stime elaborate per la Commissione, le microentità potenzialmente interessate dal provvedimento di esenzione sarebbero circa 5 milioni e 400 mila e l'onere amministrativo globale, per adempiere agli obblighi amministrativi e contabili, previsti dalla direttiva, ammonterebbe a circa 6,3 miliardi di euro all'anno.»

Esito della votazione sull'emendamento

L'emendamento è stato accolto con 89 voti favorevoli, 40 voti contrari e 30 astensioni.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Quinta parte

COM(2009) 142 def. — 2009/0048 (COD)

(2009/C 317/12)

Relatore generale: RETUREAU

Il Consiglio, in data 14 maggio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 152 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo - Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo - Quinta parte

COM(2009) 142 def. - 2009/0048 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 12 maggio 2009, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, di preparare i lavori in materia.

Conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), ha nominato relatore generale RETUREAU e ha adottato il presente parere con 122 voti favorevoli e 2 voti contrari.

1.   Conclusioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accetta le proposte della Commissione riguardanti la procedura di regolamentazione con controllo, ma si interroga sulla necessità di prendere in considerazione una procedura specifica quando le modifiche, senza alterare l'oggetto e le finalità dello strumento, vanno un po' oltre il criterio della modifica non fondamentale e comportano ripercussioni significative sul piano sociale ed economico o su quello della salute.

1.2.   Ritiene tuttavia che il controllo sia difficile da realizzare per ragioni legate all'organizzazione dei lavori parlamentari.

1.3.   Il valore aggiunto della nuova procedura non è ancora chiaro agli occhi dei cittadini, perché le organizzazioni della società civile interessate dalla regolamentazione «suppletiva» realizzata attraverso la comitatologia possono incontrare difficoltà a seguire le successive modifiche regolamentari dello strumento originale.

2.   Riepilogo delle procedure di adeguamento alla regolamentazione con controllo nel 2007 e 2008

2.1.   Negli ultimi due anni la procedura di regolamentazione con controllo del Parlamento ha subito un'accelerazione per effetto di un adeguamento «omnibus» degli strumenti giuridici adottati in passato mediante la procedura di comitatologia «normale». Quest'ultima resta valida quando non si applicano le condizioni della procedura con controllo.

2.2.   La decisione del Consiglio 2006/512/CE, del 17 luglio 2006, ha modificato la decisione del Consiglio del 28 giugno 1999, recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (1999/468/CE), in particolare aggiungendovi un articolo 5 bis che istituisce una nuova procedura detta di «regolamentazione con controllo». Questa procedura permette al Parlamento di esercitare un controllo sulle modifiche apportate agli atti in questione attraverso la comitatologia, nel caso in cui si tratti di modifiche non fondamentali o nel caso in cui esse consistano nell'aggiunta o nella soppressione di disposizioni o di elementi di carattere non fondamentale.

2.3.   Le procedure di comitatologia che assicurano il seguito di ciascun atto legislativo comporteranno quindi un'opzione supplementare, che rafforzerà il controllo del Parlamento sull'esercizio delle competenze di esecuzione conferite dall'atto stesso alla Commissione, nel caso di certi atti sottoposti a questa nuova opzione e che rientrano nella codecisione e nell'articolo 251 del Trattato, o nella procedura Lamfalussy in materia finanziaria (1).

Con una dichiarazione congiunta, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento hanno stabilito un elenco di atti che a loro giudizio è urgente adattare alla decisione modificata per introdurvi la procedura di regolamentazione con controllo in sostituzione di quella prevista inizialmente. Nella dichiarazione congiunta si afferma inoltre che i principi di una corretta legislazione esigono che le competenze di esecuzione siano conferite alla Commissione senza limiti di durata.

2.4.1.   La Commissione ha deciso di procedere all'allineamento degli atti già esistenti interessati dalla nuova procedura mediante proposte di regolamento «omnibus», ossia riguardanti una serie di atti, piuttosto che adottando un regolamento distinto per ciascuno degli atti in questione.

2.4.2.   Le prime tre serie sono state adottate alla fine del 2007, la quarta il giorno 11 febbraio 2008 (2). La Commissione ha quindi proposto di modificare retroattivamente tutti gli atti che a suo parere rientravano nella nuova procedura di comitatologia con controllo, per introdurre quest'ultima nel testo degli atti stessi e, ove necessario, sopprimere le limitazioni temporali alle competenze di esecuzione.

2.5.   Il Parlamento, dal canto suo, con una risoluzione del 23 settembre 2008, ha raccomandato alla Commissione di esaminare un elenco di 14 atti per i quali il Parlamento stesso propone di introdurre la procedura di regolamentazione con controllo in sostituzione della comitatologia senza controllo originariamente prevista. Il presente parere riguarda la risposta data dalla Commissione alla risoluzione e le azioni da essa proposte di conseguenza.

2.6.   Il Parlamento considera d'altronde che le procedure per l'attuazione della decisione 1999/468/CE del Consiglio sono molto insoddisfacenti e che, ad eccezione delle modalità della nuova procedura con controllo, restano tali, inter alia a causa del modo di funzionamento della base dati «comitatologia». Considera altresì che i documenti sono spesso trasmessi in modo raffazzonato, senza una chiara spiegazione del loro status, talvolta con un'indicazione fuorviante, ad esempio progetti di misure di esecuzione che non sono stati ancora oggetto di una votazione in commissione sono inviati con l'indicazione «diritto di controllo», quando invece dovrebbero essere inviati con l'indicazione «diritto d'informazione», il che suscita dubbi sulle scadenze applicabili (3).

3.   Proposte della Commissione

3.1.   Nella proposta di regolamento in oggetto, la Commissione propone un adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo di due degli atti presentati dal Parlamento. Per quanto riguarda i restanti atti, la Commissione spiega il rifiuto adducendo motivazioni giuridiche concernenti la natura degli stessi, che non risponderebbe alle condizioni di applicazione della regolamentazione con controllo.

Si tratta dei seguenti atti:

Strumenti il cui allineamento è già stato realizzato o proposto

Direttiva 2000/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante modifica della direttiva 74/150/CEE del Consiglio (4).

Direttiva 2001/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, recante modifica della direttiva 92/23/CEE del Consiglio (5).

Direttiva 2004/3/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, recante modifica delle direttive 70/156/CEE e 80/1268/CEE del Consiglio. Secondo la Commissione, le due direttive rientrano automaticamente nella PRCC (6).

Direttiva 2005/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, recante modifica della direttiva 70/156/CEE del Consiglio (7).

Direttiva 2006/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006, recante modifica della direttiva 70/156/CEE del Consiglio (8).

Direttiva 2005/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, recante modifica della direttiva 1999/32/CE del Consiglio (9).

Strumento che non rientra nella codecisione

Regolamento del Consiglio (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999 (10).

Strumento adottato dopo l'entrata in vigore della riforma del 2006

Regolamento (CE) n. 1905/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006. Adottato dopo il 23 luglio 2006, ossia dopo l'entrata in vigore della riforma che ha istituito la PRCC, questo strumento non deve essere oggetto di nessun adeguamento (11).

Strumenti che non contengono alcuna disposizione rientrante nella PRCC

Direttiva 2001/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2001, recante modifica della direttiva 95/53/CE del Consiglio e delle direttive 70/524/CEE, 96/25/CE e 1999/29/CE del Consiglio (12).

Direttiva 2002/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2002, recante modifica delle direttive 90/425/CEE e 92/118/CEE del Consiglio (13).

Direttiva 2004/41/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che abroga alcune direttive recanti norme sull'igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/CEE del Consiglio e la decisione 95/408/CE del Consiglio (14).

Decisione n. 676/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002 (15).

3.3.   Infine, la Commissione riconosce che deve essere adeguata alla PRCC una serie di disposizioni degli atti di base seguenti:

Direttiva 2000/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 aprile 2000, recante modifica della direttiva 64/432/CEE del Consiglio relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina (16), e

Regolamento (CE) n. 1760/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 luglio 2000, che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione dei bovini e relativo all'etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a base di carni bovine, e che abroga il regolamento (CE) n. 820/97 del Consiglio (17).

3.4.   La proposta di regolamento è volta a realizzare l'adeguamento dei due atti di base summenzionati alla procedura di regolamentazione con controllo.

4.   Osservazioni generali del Comitato

4.1.   Il CESE ha seguito con interesse l'introduzione di una nuova procedura di comitatologia, denominata procedura di regolamentazione con controllo.

4.2.   Il CESE accetta le proposte della Commissione, ma si interroga sulla necessità di prendere in considerazione una procedura specifica quando le modifiche, senza alterare l'oggetto e le finalità dello strumento, vanno un po' oltre il criterio della modifica non fondamentale e comportano ripercussioni significative sul piano sociale ed economico o su quello della salute, come nel caso del regolamento RAEE.

4.3.   Il CESE ritiene che la comitatologia con controllo costituisca un passo avanti sotto il profilo della democrazia per quanto riguarda il seguito della gestione di alcuni strumenti evolutivi, in quanto permette di evitare procedure più onerose, come la revisione, che sovraccaricherebbero inutilmente le istituzioni. Ritiene tuttavia che il controllo resti di difficile realizzazione per il Parlamento, per ragioni legate all'organizzazione dei lavori parlamentari.

4.4.   Il valore aggiunto della nuova procedura non è ancora chiaro agli occhi dei cittadini, perché le organizzazioni della società civile interessate dalla regolamentazione «suppletiva» realizzata attraverso la comitatologia possono incontrare difficoltà a seguire le successive modifiche regolamentari dello strumento originale.

4.5.   La situazione si complica ulteriormente se le modifiche regolamentari hanno in realtà una portata che va ben al di là del criterio di «modifica non fondamentale», concetto che rimane poco preciso rispetto a determinate applicazioni. È il caso, per esempio, della nuova regolamentazione relativa ai prodotti tossici nei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. L'aggiunta o la soppressione di sostanze tossiche dall'elenco è proposta secondo la procedura con controllo, ma il Comitato, nel suo parere (18), ha chiesto che in caso di modifica dell'elenco siano consultati le industrie e i lavoratori interessati, nonché le organizzazioni dei consumatori, e che si effettui una valutazione d'impatto, in quanto modifiche di questa natura appaiono fondamentali nel caso specifico di questa regolamentazione.

4.6.   Con questa osservazione, che può riguardare alcuni casi pratici ed essere utilizzata nella pratica senza che sia necessaria una modifica delle regole attuali, il CESE può accettare le proposte della Commissione.

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  L'articolo 5 bis della decisione 1999/468/CE modificata ha introdotto una nuova procedura di regolamentazione con controllo (in appresso «PRCC») per le misure di portata generale volte a modificare elementi non essenziali di un atto di base adottato secondo la procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, anche sopprimendo taluni di questi elementi o completando l'atto tramite l'aggiunta di nuovi elementi non essenziali.

(2)  COM(2008) 71 def.; COM(2007) 740 def.; COM(2007) 741 def.; COM(2007) 822 def. e COM(2007) 824 def., GU C 224 del 30.8.2008.

(3)  PE, commissione Affari costituzionali, relatrice: Monica Frassoni, A6-0107/2008. Proposta di decisione, considerando B.

(4)  GU L 173 del 12.7.2000.

(5)  GU L 211 del 4.8.2001.

(6)  GU L 49 del 19.2.2004.

(7)  GU L 310 del 25.11.2005.

(8)  GU L 161 del 14.6.2006.

(9)  GU L 191 del 22.7.2005.

(10)  GU L 210 del 31.7.2006.

(11)  GU L 378 del 27.12.2006.

(12)  GU L 234 dell’1.9.2001.

(13)  GU L 315 del 19.11.2002.

(14)  GU L 157 del 30.4.2004.

(15)  GU L 108 del 24.4.2002.

(16)  GU L 105 del 3.5.2000.

(17)  GU L 204 dell’11.8.2000.

(18)  COM(2008) 809 def. e CESE 1032/2009 del 10 giugno 2009.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Valutazione intermedia dell'attuazione del piano d'azione comunitario sulla biodiversità

COM(2008) 864 def.

(2009/C 317/13)

Relatore: Lutz RIBBE

La Commissione, in data 16 dicembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262, 1o comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Valutazione intermedia dell'attuazione del piano d'azione comunitario sulla biodiversità

COM(2008) 864 def.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rammarica profondamente del fatto che l'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 non sarà raggiunto.

1.2.   Constata tuttavia con soddisfazione che grazie alla direttiva sugli habitat e alla direttiva sulla protezione degli uccelli sia stato possibile realizzare sviluppi positivi per un certo numero di specie e di habitat. Ciò dimostra che la legislazione europea sulla protezione della natura, se applicata correttamente, dà dei risultati.

1.3.   Tuttavia tale legislazione non è in grado di porre termine alla tuttora grave sparizione di specie viventi che si verifica al di fuori delle aree protette a causa di pratiche economiche pienamente legali. Il CESE condivide il giudizio della Commissione secondo cui l'integrazione della biodiversità negli altri settori di intervento continua ad essere del tutto insufficiente.

1.4.   Il CESE ritiene tuttavia che non occorra prefiggersi obiettivi radicalmente nuovi, è necessario invece che la Commissione e gli Stati membri prendano sul serio e perseguano con più energia l'obiettivo, correttamente formulato già nel 2001, di fermare la perdita di biodiversità e di recuperare gli habitat naturali.

1.5.   La protezione della natura viene spesso considerata come un ostacolo o una minaccia dal punto di vista della politica economica, e nelle politiche concrete non viene ancora tenuta in considerazione l'argomentazione secondo cui la biodiversità ha di per sé un valore economico. Il CESE invita la Commissione a spiegare come intende risolvere questo problema, ad esempio nel quadro delle discussioni su una maggiore internalizzazione dei costi esterni.

1.6.   Bisognerebbe divulgare meglio gli esempi di sviluppi positivi che dimostrano quanto sia stretto il rapporto tra sviluppo economico regionale (ad esempio nel campo del turismo) e biodiversità.

1.7.   La decisione del Consiglio di finanziare la rete Natura 2000 con risorse dei fondi strutturali e del secondo pilastro della PAC si è rivelata poco efficace; gli Stati membri non riconoscono alla tutela della natura e della diversità una priorità sufficiente nei propri programmi. Il CESE propone di istituire, nel periodo finanziario 2014-2020, una voce di bilancio apposita. Occorre inoltre reintrodurre le componenti di incentivazione nei programmi agroambientali.

1.8.   In numerose regioni e aree, come torbiere, aree montane e costiere, pascoli e bacini fluviali, la protezione e il recupero di habitat naturali rappresenta anche un importante contributo alla prevenzione dei cambiamenti climatici. La politica per il clima e quella per la biodiversità vanno coordinate meglio, sebbene la tutela della diversità sia ovviamente giustificata da molte altre ragioni a parte quelle relative al clima.

1.9.   Per consentire alle specie viventi di adeguarsi alle mutate condizioni climatiche occorre collegare meglio tra loro gli habitat. Bisognerebbe valutare l'opportunità di creare una «rete transeuropea della natura».

1.10.   I suoli vengono sempre più impermeabilizzati, edificandoli o asfaltandoli, e ciò costituisce un serio problema per la tutela della natura. Occorre limitare il consumo dei suoli in Europa.

1.11.   La protezione dell'ambiente gode di un ampio consenso presso la società civile, ma le conoscenze in questo campo sono del tutto inadeguate. Il CESE si compiace del fatto che è stato finalmente previsto di promuovere in misura maggiore la necessaria comprensione dei motivi della sparizione di specie viventi e di studiare contromisure. Tale impegno si estenderà anche a una migliore informazione dei consumatori in merito alle conseguenze di determinati processi di produzione e allo sviluppo di prassi produttive sostenibili.

2.   La comunicazione della Commissione

2.1.   Nella comunicazione la Commissione giunge alla conclusione, alquanto preoccupante, che malgrado il piano di azione per la salvaguardia della biodiversità presentato nel 2006, che consisteva di ben 160 misure «è molto improbabile che venga raggiunto l'obiettivo generale di arrestare la perdita di biodiversità nell'UE entro il 2010. È quindi necessario un ulteriore impegno significativo da parte della Comunità europea e degli Stati membri nei prossimi due anni, se vogliamo anche solo avvicinarci a tale obiettivo». Nel frattempo il commissario responsabile dell'Ambiente, DIMAS, ha ammesso che l'obiettivo di arrestare entro il 2010 la perdita di biodiversità non sarà raggiunto!

2.2.   La perdita di diversità biologica in corso su scala mondiale viene descritta come disastrosa. Non solo vengono perturbati i processi naturali, ma si constatano anche gravi conseguenze economiche e sociali. La Commissione osserva che l'Europa è corresponsabile anche dei processi negativi in corso su scala globale. Essa constata che «ci troviamo di fronte a nuove sfide, quali l'espansione del settore agricolo per soddisfare la crescente domanda di prodotti alimentari e la nascita di sbocchi di mercato alternativi come, ad esempio, i biocarburanti».

2.3.   Sebbene le cause dell'attuale insuccesso su vasta scala della politica in favore della biodiversità siano varie, la Commissione sottolinea nelle conclusioni della valutazione intermedia che «Una sfida fondamentale è quella di tenere conto delle questioni legate alla biodiversità anche in altre politiche settoriali.» Un fattore decisivo del deludente bilancio di medio periodo consiste nel fatto che negli ultimi anni non sono stati compiuti autentici passi in avanti in termini di inserimento delle questioni inerenti la biodiversità nelle altre politiche settoriali.

2.4.   I risultati delle prime verifiche sullo stato di salute delle specie eseguite conformemente al piano di azione per la biodiversità mostrano che il 50 % delle specie e fino all'80 % degli habitat oggetto di tutela a norma della direttiva flora fauna e habitat (1), e la cui conservazione riveste interesse europeo, «si trovano in uno stato di conservazione sfavorevole».

2.5.   Nondimeno si riscontrano delle tendenze positive per alcune specie protette a norma della direttiva flora, fauna, habitat o della direttiva sugli uccelli. Per alcune specie protette è stato possibile arrestare il declino. «La direttiva ha indubbiamente aiutato queste specie, in particolare grazie alla designazione di zone di protezione speciale (ZPS)».

2.6.   Secondo la Commissione la rete Natura 2000 comprende attualmente circa 25 000 zone protette, che coprono circa il 17 % del territorio comunitario. Ma la tendenza, specialmente al di fuori delle aree protette, rimane negativa.

2.7.   La Commissione menziona i primi risultati presentati nello studio sul valore economico degli ecosistemi e della biodiversità (relazione Sukhdev: The Economics of Ecosystems and Biodiversity  (2)). Questa relazione giunge a conclusioni simili a quelle raggiunte a suo tempo dal rapporto Stern in materia di protezione del clima: si deve preservare la biodiversità non soltanto per ragioni etiche e morali ma anche per ragioni economiche. «La perdita di biodiversità e degli ecosistemi rappresenta una minaccia per il funzionamento del pianeta, dell'economia e della società. In uno scenario immutato, si stima che la perdita annuale di benessere causata dalla perdita dei servizi ecosistemici entro il 2050 sarà pari al 6 % del PIL mondiale.»

3.   Osservazioni generali

3.1.   Solo adesso l'UE ammette pubblicamente che non sarà mantenuto il fondamentale impegno ambientale assunto dai capi di Stato e di governo e dalla Commissione nei confronti dei cittadini: bloccare entro il 2010 la perdita di biodiversità.

3.2.   Questa ammissione non sorprende il CESE, che nel parere relativo al piano di azione aveva condiviso le analisi critiche della Commissione e riconosciuto come sostanzialmente appropriate e necessarie tutte le 160 misure, ma aveva anche espresso seri dubbi sull'eventualità che le amministrazioni, le politiche e i responsabili politici non direttamente coinvolti negli interventi in materia di biodiversità intraprendessero con il dovuto impegno le azioni necessarie. Purtroppo tali dubbi si rivelano adesso ben fondati.

3.3.   Le posizioni del CESE in merito al piano d'azione sulla biodiversità sono - purtroppo - altrettanto attuali oggi quanto due anni fa; al momento dell'adozione in plenaria. Il Comitato affermava (3):

il Comitato economico e sociale europeo e la Commissione concordano sull'analisi della situazione: la conservazione della biodiversità è un compito necessario e centrale, alla base del quale non vi è solo un obbligo etico-morale. Esistono infatti anche sufficienti motivi economici che rendono necessario un intervento più rapido ed efficace. Le perdite economiche dovute alla diminuzione dei servizi ecosistemici sono già ora valutabili in diverse centinaia di miliardi di euro. È uno spreco che le nostre economie non possono in alcun modo permettersi.

La perdita di biodiversità in Europa è il risultato di milioni di singole decisioni di valore prese negli ultimi decenni, decisioni che nella grande maggioranza dei casi rispettano le leggi in vigore. Fra le misure che hanno portato alla diminuzione della biodiversità, la percentuale di quelle illegali è marginale.

Nonostante le promesse politiche, il trend negativo della biodiversità purtroppo continua e questo non perché non si sappia come affrontare il problema, ma perché è mancata finora la volontà politica di attuare effettivamente le misure riconosciute necessarie da tempo. Le esperienze maturate con la rete Natura 2000 parlano da sé.

Nella comunicazione all'esame la Commissione individua correttamente le cause di questa situazione, che sono da ricercarsi fra l'altro negli «insuccessi in termini di governance e [nel] mancato riconoscimento, da parte dell'economia tradizionale, del valore economico del capitale naturale e dei servizi ecosistemici».

Il futuro ci dirà se, con la presentazione del programma d'azione in esame, la politica avrà finalmente trovato la forza di effettuare le modifiche radicali ritenute necessarie, o se invece si dimostreranno fondati i timori di molti ecologisti, cioè che ancora una volta i politici si esprimono su un tema di scottante attualità sociale ma senza andare al di là di mere dichiarazioni di intenti.

Il Comitato reputa particolarmente necessario affrontare in via prioritaria il settore 4 («La base di conoscenze»), in modo che sia i cittadini sia i politici siano consapevoli delle reali conseguenze delle loro azioni.

3.4.   Nella comunicazione in esame la Commissione ribadisce molte delle affermazioni fatte a quel tempo, che hanno come conseguenza un'ulteriore perdita di biodiversità. Non occorre pertanto che il CESE elabori un parere interamente nuovo. Il presente documento si soffermerà piuttosto sugli aspetti nuovi o che si presentano in forma differente rispetto a due anni fa.

4.   Osservazioni specifiche

Quadro giuridico e amministrazione

4.1.   Negli ultimi anni è emerso chiaramente che le direttive europee in materia di protezione della natura sono in grado di dare impulso a sviluppi positivi, a condizione che le si applichi correttamente e che vengano rispettati gli interessi dei proprietari dei terreni (4). Ma il CESE constata anche che nelle aree Natura 2000 permangono molti problemi che devono essere risolti. Per di più «solo» il 17 % del territorio è oggetto di tutela a norma delle suddette direttive.

4.2.   Ora che la rete Natura 2000 è stata quasi ultimata, sia pure con notevoli ritardi, la tutela europea della natura entra in una nuova fase. Bisogna definire i piani di gestione per le zone prescelte. Il CESE dubita che negli Stati membri siano disponibili le risorse umane e finanziarie occorrenti per redigere e applicare tali piani. Affinché sia garantita una buona accoglienza di detti piani è importante che essi vengano preparati in stretto coordinamento con tutti i gruppi sociali coinvolti.

4.3.   Resta da chiarire come, malgrado l'enorme pressione sul territorio che la stessa Commissione giustamente descrive, si possa recuperare una grande quantità di biotopi distrutti. Il CESE fa notare che al vertice di Göteborg i capi di Stato e di governo si sono impegnati non soltanto ad arrestare entro il 2010 la perdita di biodiversità, ma anche a ripristinare habitat e sistemi naturali. La relazione intermedia non dice nulla a questo proposito.

4.4.   La rete Natura 2000 è stata appena realizzata e già iniziano le discussioni sull'esclusione di determinati aree o parti di esse, per lo più allo scopo di realizzare interventi infrastrutturali che non di rado sono finanziati dall'UE. La stessa comunicazione della Commissione menziona l'esempio certamente più noto, quello della valle della Rospuda nella Polonia nordorientale. Anche se il nuovo governo polacco cerca adesso un tracciato alternativo per la Via Baltica, è evidente che il conflitto tra protezione della natura e sviluppo economico è lungi dall'essere risolto.

4.5.   Si può quindi essere certi che negli anni a venire i servizi dell'UE dovranno far fronte a un'ondata di simili procedimenti relativi a «deroghe». A giudizio del CESE la Commissione non dispone attualmente delle risorse umane necessarie per far fronte a quest'incombenza sul piano del contenuto e su quello amministrativo.

4.6.   Già nel parere relativo al piano d'azione per la biodiversità il CESE affermava che la perdita di biodiversità continua a verificarsi nelle nostre campagne anche a causa di «buone pratiche professionali» e nel quadro di ciò che l'UE, nelle sue disposizioni, definisce «buone condizioni agronomiche e ambientali», insomma in un contesto di legalità e non a causa di infrazioni. Tutto ciò è inaccettabile.

4.7.   Proprio per questo motivo ferve il dibattito anche sui cosiddetti «criteri di ecocondizionalità». Questi ultimi, insieme con le buone condizioni agronomiche e ambientali e le buone pratiche professionali, dovrebbero garantire che gli aspetti legati alla biodiversità siano tenuti in considerazione. Tuttavia se gran parte della perdita di biodiversità è causata da comportamenti conformi alle leggi vigenti, è logico che tali criteri siano oggetto di controversia. Anche la Corte dei conti europea, nella relazione speciale sull'ecocondizionalità, ha avanzato delle osservazioni in materia. Gli Stati membri, ma anche la Commissione, devono finalmente reagire.

4.8.   Spesso le proposte legislative in questione non lasciano immaginare a prima vista alcuna relazione diretta con la biodiversità. Il regolamento (CE) n. 1774/2002, nell'ottica di limitare la BSE/TSE, vieta di abbandonare carcasse animali in aperta campagna. Ciò ha comportato una grave carenza di cibo per gli animali che si nutrono di carogne, come lupi, orsi o avvoltoi. Il fatto che questi uccelli vengono adesso avvistati lontano dalle loro zone tipiche di diffusione non costituisce un segnale positivo, ma indica soltanto che, spinti dalla fame, coprono distanze estreme. La Commissione ha reagito solo dopo molto tempo, dopo che dei gruppi ambientalisti e una europarlamentare spagnola avevano segnalato quest'anomalia della legislazione europea. È evidente che non esiste una verifica preliminare della compatibilità con la biodiversità.

Conseguenze politiche/Finanziamento

4.9.   Specie al di fuori delle aree protette, il conflitto tra utilizzazione economica del territorio e protezione della natura e delle specie viventi rimane irrisolto. La Commissione asserisce che nel quadro della verifica dello stato di salute della PAC ha avanzato varie proposte in questo campo, ad esempio quella rivolta a «mettere a disposizione ulteriori finanziamenti dello sviluppo rurale destinati, fra l'altro, alla tutela della biodiversità, tramite il trasferimento crescente di denaro dal primo al secondo pilastro della PAC (ovvero, mediante la modulazione)». Si constata tuttavia che il Consiglio non ha deciso di adottare tutte queste proposte. Gli Stati membri non prendono parte in misura sufficiente alle azioni ritenute necessarie dall'UE.

4.10.   Ne consegue che uno dei problemi che occorre risolvere è quello del finanziamento della rete Natura 2000, compresa la compensazione di specifici requisiti. Il CESE constata con grande preoccupazione che in seguito alla definizione dei programmi da parte degli Stati membri le risorse destinate al finanziamento di Natura 2000 sono di gran lunga insufficienti, il che comporta degli acuti conflitti. È quindi in favore dell'introduzione di un'apposita voce di bilancio nel periodo finanziario 2014-2020.

4.11.   In linea generale il Comitato chiede con insistenza che la protezione della natura venga finanziata in modo più adeguato e mirato. Già nel parere relativo al piano d'azione per la biodiversità ha fatto presente che:

i pagamenti diretti ai produttori agricoli, che costituiscono la parte maggiore del bilancio agricolo, non sono diretti in linea di principio verso la promozione della biodiversità, ma a preparare i produttori alle sfide del mercato,

«fintantoché le condizioni vigenti sui mercati mondiali ostacoleranno un'agricoltura compatibile con la tutela della natura e diffusa su tutto il territorio, la politica deve fare sforzi particolari» ad esempio nel senso di «accrescere i tassi d'intervento per le misure agroambientali, in modo da convertire tutti gli agricoltori dell'Unione europea a metodi di produzione più compatibili con l'ambiente» (5). Anche in questo caso gli annunci fatti non sono stati seguiti da azioni commisurate.

4.12.   Nella prospettiva dell'imminente riforma della PAC e in riferimento al bilancio, il CESE invita la Commissione a fare finalmente chiarezza su questo punto. I programmi agroambientali possono avere successo solo se comportano anche incentivi finanziari per i produttori agricoli. Sopprimere tali componenti di incentivazione è stato un errore, che andrebbe riconsiderato. Il messaggio politico agli agricoltori (e alla società) dev'essere: per noi, per la società, il fatto che l'agricoltura contribuisca a preservare la biodiversità anche al di là di quanto prescrive la legge, ha un valore.

4.13.   Negli Stati membri sono in corso dei dibattiti preliminari sul corso futuro della politica agricola comune. Tali discussioni hanno rilevanza ai fini della biodiversità a livello nazionale, europeo e globale, anche in considerazione dell'esigenza di ricorrere maggiormente alle energie rinnovabili, e quindi alle bioenergie. La Commissione afferma che «La sfida principale sarà garantire un seguito alle raccomandazioni formulate nelle valutazioni d'impatto della sostenibilità (VIS) e di approfondire le conoscenze sugli effetti del consumo dell'UE di materie prime agricole e non agricole (per esempio, carne, semi di soia, olio di palma, minerali metalliferi) che potrebbero contribuire alla perdita di biodiversità. In seguito, si potrebbero prendere in considerazione opzioni politiche per ridurre tale impatto». Il CESE invita la Commissione a occuparsi intensamente degli studi in questo campo.

4.14.   La riforma della PAC per il periodo successivo al 2013 mostrerà se si sia riusciti a garantire una politica agricola che dia maggior spazio alla biodiversità e alla sostenibilità.

Aspetti economici e generali

4.15.   Il CESE osserva che una coerente azione di salvaguardia della natura consente al tempo stesso di realizzare obiettivi di politica del clima. Ad esempio la riattivazione di torbiere e di zone umide costituisce un efficace contributo alla prevenzione dei cambiamenti climatici. Altrettanto vale per tutte le forme di utilizzazione dei terreni erbosi in Europa (ad esempio le dehesas nella penisola iberica). Tuttavia negli ultimi anni molte delle attività agricole necessarie per preservare questi habitat hanno gradualmente perso il loro interesse economico per gli agricoltori. La biodiversità non ha un valore di mercato! I prezzi dei prodotti non ne riflettono la compatibilità con la natura, ma la politica dell'UE e degli Stati membri non ha finora tenuto conto di ciò.

4.16.   Ancora nel maggio 2006, proprio quando la Commissione ha presentato il piano d'azione per la biodiversità, 15 Land tedeschi su 16 hanno chiesto che le direttive comunitarie sulla protezione della natura venissero modificate in modo da risultare indebolite. In particolare l'Assia mantiene la sua richiesta in tal senso, tra l'altro in base all'argomentazione (economica) che uno Stato industriale non può permettersi obblighi così restrittivi in materia di protezione della natura. In altri termini numerosi esponenti politici non vedono ancora l'importanza economica della biodiversità.

4.17.   Si deve constatare che la società e la politica quasi non reagiscono alle cifre indicate nel summenzionata relazione Sukhdev (L'economia degli ecosistemi e della biodiversità), secondo cui la perdita di biodiversità può comportare una riduzione del benessere pari al 6 % del PIL mondiale, laddove contrazioni del PIL molto minori, dovute all'attuale crisi finanziaria ed economica, sono all'origine di vertici di crisi e di programmi congiunturali per svariati miliardi. Uno dei più importanti compiti della Commissione sarà quello di accertare il valore economico della biodiversità, che si affianca a quello etico e morale, e di convertirlo in azione politica.

4.18.   La pressione che viene esercitata sulla biodiversità negli Stati membri continua ad essere enorme: sempre più superfici vengono rese impermeabili, costruendovi sopra o asfaltandole, il che costituisce un grave problema per la tutela della natura. Questo consumo dei suoli permane eccessivo, la pressione sul paesaggio aumenta costantemente. Le questioni ambientali rischiano di essere messe ai margini.

Sensibilizzazione/comunicazione

4.19.   Nella sezione E, (Istruzione, sensibilizzazione e partecipazione del pubblico), al punto 4, la Commissione constata che «solo una minoranza dei cittadini dell'Unione ritiene di avere una conoscenza sufficiente in materia di perdita della biodiversità». Altrettanto si potrebbe dire dei politici e degli addetti alle amministrazioni. Si tratta della premessa meno adeguata per un efficace intervento politico. Se la Commissione e gli Stati membri stanno «valutando azioni prioritarie per una campagna di comunicazione pubblica da avviare a sostegno di campagne nazionali o altre campagne», il CESE intende fornire il proprio pieno sostegno.

4.20.   Già adesso sono in corso numerose utili iniziative di sensibilizzazione, anche nelle città, dove in genere manca un accesso diretto alla natura. Tali iniziative meriterebbero un sostegno pubblico più consistente. A titolo di esempio, a Berlino si svolge una volta all'anno una «Giornata della natura cittadina» cui partecipano centinaia di migliaia di persone.

4.21.   Il CESE ritiene importante che i cittadini vengano sensibilizzati nella maniera più diretta e concreta possibile in merito alle questioni attinenti la protezione della natura, per esempio comunicando a livello locale dove e perché determinate zone sono state inserite nella rete Natura 2000, quali specie viventi popolano tali zone, come e da chi tali specie viventi vengono protette. I cittadini devono sperimentare e comprendere cosa sia la protezione della natura nel senso più autentico. La maggior parte delle persone non comprende il concetto di «biodiversità», e quindi non ne può riconoscere l'importanza.

4.22.   Nell'interesse dell'informazione dei consumatori il CESE propone di consentire ai produttori che utilizzano particolari procedimenti volti a proteggere la natura di renderlo noto mediante un apposito marchio.

Il coinvolgimento attivo dei cittadini nella protezione della natura e nel mantenimento della biodiversità è imprescindibile. A tal fine non è sufficiente che la Commissione lanci delle campagne volte a promuovere uno stile di vita sostenibile, occorre anche elaborare strategie che forniscano al consumatore strumenti pratici per misurare gli effetti delle sue azioni quotidiane e provochino quindi il necessario riorientamento dei modelli di consumo.

Qui di seguito figurano dei possibili esempi di tali misure:

introdurre nei programmi scolastici unità pratiche relative alla protezione della natura e alla biodiversità,

realizzare, grazie al metodo dell'analisi del ciclo di vita, strumenti di misurazione degli effetti sulla biodiversità derivanti dal consumo di determinati alimentari (in riferimento a un paniere di prodotti di uso quotidiano e di possibili alternative).

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

(2)  http://ec.europa.eu/environment/nature/biodiversity/economics/pdf/teeb_report.pdf

(3)  GU C 97 del 28.4.2007, pag. 6.

(4)  GU C 97 del 28.4.2007, pag. 6.

(5)  Parere CESE sul tema La natura e la tutela della natura in Europa (GU C 221 del 7.8.2001, pag. 130-137).


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per l'internalizzazione dei costi esterni

COM(2008) 435 def.

(2009/C 317/14)

Relatore: SIMONS

La Commissione, in data 8 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Strategia per l'internalizzazione dei costi esterni

COM(2008) 435 def.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 maggio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 6 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1.   Il Comitato constata che la Commissione ha già profuso molti sforzi per arrivare ad un'internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto. Vista la difficoltà dell'impresa, il Comitato esprime il suo apprezzamento per questo lavoro, ma osserva che sul piano dell'applicazione pratica occorre ancora superare una serie di ostacoli e che, in questo contesto, è importante mantenere l'ampia base di consenso esistente in materia.

1.2.   L'internalizzazione dei costi esterni deve ridurre gli inquinamenti e gli effetti nocivi originati da ciascuno dei modi di trasporto attuali.

1.3.   Il Comitato esorta la Commissione a fare in modo che, sin dall'inizio, i vettori dei paesi terzi siano effettivamente inclusi nell'internalizzazione dei costi esterni, in modo da evitare che essi si trovino ad operare in condizioni più vantaggiose.

1.4.   La situazione attuale, in cui i costi esterni non sono imputati ai diversi modi di trasporto ed ai loro utenti, conferisce un vantaggio competitivo ai modi di trasporto che generano costi esterni elevati. L'internalizzazione di tali costi permetterebbe di garantire, da parte sua, una concorrenza sana e ciò avrebbe come conseguenza uno spostamento verso modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente. Il Comitato ritiene importante comunicare con molto più vigore questo principio poiché esso potrebbe indurre anche modifiche nella struttura dei gestori e degli utenti del settore dei trasporti.

Al pari della Commissione, il Comitato ritiene necessario creare un quadro a livello comunitario. È inoltre dell'avviso che nessuno Stato membro debba avere la possibilità di sottrarvisi.

1.5.1.   Secondo il Comitato, questo quadro dovrà stabilire una serie di condizioni generali, come ad esempio il livello dei prelievi, che deve essere definito in base al livello di vita ed essere fortemente differenziato geograficamente, a prescindere dai confini nazionali, in relazione al luogo e al tempo; tali condizioni dovranno essere soddisfatte, entro una certa forbice, dai prelievi imposti per la neutralizzazione dei costi esterni.

1.5.2.   Le autorità responsabili dell'imposizione dei prelievi, ad esempio uno Stato membro o un ente regionale o locale, dovranno poi affinare la tariffa, nei limiti della suddetta forbice, in funzione della loro conoscenza dettagliata della realtà locale.

1.6.   Il Comitato giudica quindi urgente che la Commissione presenti, nonostante la crisi attuale, proposte concrete concernenti un quadro europeo sull'internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto, prevedendone l'ulteriore sviluppo e l'attuazione da parte degli Stati membri, insieme con la Commissione stessa. Queste proposte dovranno - beninteso - poter ottenere il sostegno dei cittadini e di tutti i modi di trasporto, e tener conto delle preoccupazioni ambientali. I pagamenti e i prelievi che ne deriveranno dovranno inoltre essere correlati all'uso, e non al possesso, dei modi di trasporto.

1.7.   Il Comitato ritiene inoltre che, se l'internalizzazione dei costi esterni verrà messa in pratica, le entrate che ne deriveranno dovranno essere destinate, nel rispetto delle regole di bilancio nazionali, a misure volte a ridurre - preferibilmente alla fonte - le esternalità provocate dai modi di trasporto, quali i danni ambientali o per la salute ad esse direttamente collegati.

2.   Introduzione

2.1.   La problematica dell'internalizzazione dei costi esterni non è nuova: basti pensare alle teorie degli economisti inglesi Pigou (nel 1924) e, più tardi, Coase (nel 1960), sui modi in cui i costi degli effetti esterni, positivi e negativi, possono essere integrati nel meccanismo di mercato attraverso la formazione dei prezzi, vale a dire tramite sovvenzioni e prelievi secondo Pigou, mediante diritti di proprietà negoziabili, ma a condizioni molto precise (spese di transazione nulle o pressoché nulle, danni quantificabili e un numero limitato di parti interessate) secondo Coase.

2.2.   Anche nei trasporti, e cioè nel movimento guidato di veicoli sulle infrastrutture di trasporto, si producono effetti esterni. Laddove i soggetti coinvolti sono numerosi, ad esempio nel trasporto interno, risulta preferibile l'approccio di Pigou, tanto più che quando esso si applica ai costi marginali si determina un'allocazione efficiente delle risorse.

2.3.   In ambito CEE il tema è stato portato all'attenzione già alla fine degli anni '60. All'epoca però lo stato delle conoscenze non permetteva ancora di avere indicazioni su come in pratica misurare questi effetti e calcolarne il prezzo per avere risultati efficaci. L'obiettivo consisteva allora nel correggere le presunte distorsioni della concorrenza fra i diversi modi di trasporto.

2.4.   Le cose non sono rimaste però a questo stadio, come testimoniano il Libro verde del 1995 Verso una tariffazione equa ed efficace nei trasporti, il Libro bianco del 1998 Tariffe eque per l'utilizzo delle infrastrutture: un approccio per tappe per l'istituzione di un quadro comune in materia di tariffazione delle infrastrutture di trasporto nell'UE, il Libro bianco del 2001 La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte (CES 869/2002 - COM(2001) 370 def.) e la valutazione intermedia del Libro bianco del 2001 compiuta nel 2006.

2.5.   Nel 2006 la Commissione è stata invitata (1) a presentare «entro il 10 giugno 2008, (…), dopo avere esaminato tutte le opzioni, compresi i costi legati all'ambiente, al rumore, alla congestione e alla salute, (…) un modello generalmente applicabile, trasparente e comprensibile per la valutazione di tutti i costi esterni che serva da base per i calcoli futuri della tassazione sulle infrastrutture. Tale modello è accompagnato da un'analisi dell'impatto sull'internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto e da una strategia di applicazione graduale di tale modello a tutti i modi di trasporto».

2.6.   L'obiettivo perseguito è quello dell'internalizzazione dei costi esterni per tutti i modi di trasporto, in modo da fissare un livello di prezzo appropriato per far sì che gli utenti sostengano i costi reali da essi generati. Conoscendo tali costi gli utenti diventerebbero consapevoli delle conseguenze del loro comportamento e potrebbero modificarlo al fine di ridurre i costi esterni.

2.7.   In passato, in alcuni suoi pareri il Comitato si era già occupato del problema del calcolo dei costi esterni. Ad esempio, nel parere del 1996 aveva osservato che «l'imputazione incompleta di entrambi i costi a seconda dei diversi modi di trasporto rischia di falsare le condizioni di concorrenza». Nel parere in merito al Libro bianco del 2001 aveva dichiarato di condividere il punto di vista della Commissione secondo cui «l'intervento della Comunità deve mirare a sostituire progressivamente le tasse che gravano attualmente sul sistema dei trasporti con strumenti più efficaci per integrare i costi di infrastruttura e i costi esterni».

2.8.   Nel parere riguardante il Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea, il Comitato si dichiara d'accordo sull'approccio - modificato - adottato dalla Commissione circa il passaggio da una politica di trasferimento modale obbligato alla cosiddetta «co-modalità» (2), consistente nell'ottimizzazione di ciascun modo di trasporto attraverso processi che rendano ciascun modo più competitivo, sostenibile, socialmente proficuo, rispettoso dell'ambiente e sicuro. Ciò consente di moltiplicare e migliorare le combinazioni.

2.9.   Secondo il Comitato ciò significa quindi che ciascun modo di trasporto (3) deve sostenere la totalità dei suoi costi.

2.10.   Il Comitato si è pronunciato anche sui trasporti urbani sostenibili, fra l'altro con un parere sul Libro verde Verso una nuova cultura della mobilità urbana  (4) e un parere esplorativo sul tema Mix energetico nel trasporto  (5). L'approccio del Comitato si arricchisce di una nuova dimensione nella misura in cui il principio «l'utente paga» diventa ora «l'inquinante - in casu l'utente - paga».

2.11.   L'essenza della nuova strategia proposta adesso consiste nell'adozione del principio della «tariffazione al costo marginale sociale» come principio generale per l'internalizzazione dei costi esterni.

2.12.   Questo principio implica che il prezzo dei trasporti dovrebbe essere uguale ai costi aggiuntivi causati da un utente addizionale dell'infrastruttura. In linea di massima tali costi supplementari devono coprire sia i costi relativi all'utente sia i costi esterni, permettere un utilizzo efficiente delle infrastrutture e istituire una relazione diretta fra l'impiego delle risorse pubbliche e i servizi di trasporto. Una tariffa stabilita sulla base del «costo marginale sociale» comporta quindi un uso efficace dell'infrastruttura esistente (6).

2.13.   Secondo il Comitato la presa in considerazione dei costi esterni potrà avere delle ripercussioni a livello sociale. È pertanto necessario che le parti sociali vengano coinvolte quanto prima nel dibattito, per concordare le modalità di attuazione nei diversi settori.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione in esame e delle conclusioni del Consiglio

3.1.   Con il suo pacchetto di misure intese a rendere più ecologico il settore dei trasporti, che include una comunicazione di carattere generale, una proposta di modifica riguardante la direttiva sull'Eurobollo (o «Eurovignetta»), una comunicazione sulle misure antirumore per il parco rotabile esistente e una comunicazione strategica, la Commissione intende integrare nei prezzi del trasporto i cosiddetti «costi esterni» (CO2, inquinamento atmosferico, rumore e congestione), in modo che gli utenti sostengano i costi effettivi da loro generati.

3.2.   Restano indispensabili misure supplementari, ad esempio provvedimenti per affrontare i problemi alla fonte, misure che interessano il mercato interno e incentivi alle innovazioni tecnologiche. Le entrate percepite andrebbero investite nella riduzione dei costi esterni, ad esempio investendo nella ricerca e nell'innovazione, in infrastrutture rispettose dell'ambiente e nello sviluppo dei trasporti pubblici. Una valutazione dovrebbe essere condotta nel 2013.

3.3.   In occasione della sessione dell'8 e 9 dicembre 2008 il Consiglio ha già sottolineato «la necessità di attuare tale strategia gradatamente, in modo equo, efficiente ed equilibrato in relazione ai diversi modi di trasporto e neutro sotto il profilo tecnologico», e ha preso atto della proposta della Commissione di valutare l'attuazione della strategia nel 2013. Il Consiglio ha poi insistito sul fatto che «Il rispetto di questi principi è imperativo per assicurare il sostegno pubblico all'internalizzazione dei costi esterni».

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1.   Il Comitato ritiene che a partire dal 2006 la Commissione abbia portato avanti il suo lavoro. Dopo aver organizzato un sondaggio pubblico e seminari con le parti interessate, ha infatti proposto un quadro comune per l'internalizzazione dei costi esterni, ha realizzato una valutazione d'impatto e ha definito una strategia per l'internalizzazione graduale dei costi esterni relativi a tutti i modi di trasporto.

4.2.   In sostanza, la Commissione ha effettuato una grande mole di lavoro, in un periodo relativamente breve e su un argomento specifico e delicato come l'internalizzazione dei costi esterni. Il Comitato ritiene che i documenti di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2008) 2209, SEC(2008) 2208 e SEC(2008) 2207, indipendentemente dalle conclusioni cui giungono, siano ben ponderati. Il Comitato si rammarica tuttavia che la comunicazione ufficiale della Commissione non tenga maggiormente conto di questi documenti, e in particolare delle «migliori soluzioni» che emergono dall'analisi effettuata. A suo giudizio sarebbe opportuno esaminare la possibilità di sviluppare ulteriormente i dati di base forniti dallo Handbook on estimation of external costs in the transport sector (manuale per la stima dei costi esterni nel settore dei trasporti).

4.3.   La Commissione e il Consiglio giudicano essenziale mantenere il sostegno generale esistente nella società, soprattutto nel caso dei modi di trasporto, per un sistema obiettivo, di applicazione generale, trasparente e comprensibile.

4.4.   Con riferimento a quanto precede, il Comitato ritiene che dovranno essere soddisfatte varie importanti condizioni: gli sviluppi tecnologici, le conseguenze sociali dell'introduzione del sistema, le ripercussioni per le regioni insulari, quelle che non hanno sbocchi sul mare e quelle periferiche della Comunità, il volume degli investimenti nel settore e il contributo agli obiettivi di una politica dei trasporti sostenibile.

4.5.   Al pari della Commissione, il Comitato ritiene indispensabile che il gettito derivante dall'imputazione dei costi esterni sia destinato a misure che promuovano il funzionamento sostenibile e siano in linea con la combinazione e l'ottimizzazione dei modi di trasporto, privilegiando anzitutto di preferenza nei modi di trasporto misure che possono produrre il massimo effetto nella lotta contro l'inquinamento, il rumore e la congestione.

4.6.   Il gettito dovrebbe essere destinato a prevenire gli effetti esterni indesiderati e/o a rimediarvi, ad esempio adottando iniziative «alla fonte», oppure compensando i costi sanitari chiaramente e direttamente connessi ai trasporti oppure mediante pozzi di CO2.

4.7.   Il Comitato ritiene altresì necessario che le diverse componenti dei costi esterni siano note e riconosciute per ogni modo di trasporto.

4.8.   Ad esempio, nel caso dei trasporti su strada i costi provocati dalla congestione del traffico dovrebbero essere imputati, in base a criteri di proporzionalità ed equità, al trasporto sia di merci che di persone.

4.9.   Ai fini di uno sviluppo sostenibile dei modi di trasporto, il Comitato auspica che nel dibattito sull'internalizzazione dei costi esterni si tengano in maggiore considerazione gli aspetti sociali.

4.10.   Il Comitato intende poi insistere sul fatto che l'internalizzazione dei costi esterni non deve in alcun caso ripercuotersi sui redditi dei lavoratori; i costi devono essere sostenuti dagli utenti dei diversi modi di trasporto.

4.11.   In linea di principio il Comitato è quindi d'accordo sull'idea di fondo della Commissione d'internalizzare tutti i costi esterni (7). Tuttavia, l'effetto ricercato potrà essere conseguito unicamente applicando questo principio in eguale misura a tutti i settori che generano costi esterni.

4.12.   La situazione attuale, in cui i costi esterni non sono imputati ai diversi modi di trasporto ed ai loro utenti, conferisce un vantaggio competitivo ai modi di trasporto che generano costi esterni elevati. L'internalizzazione di tali costi permetterebbe di garantire, da parte sua, una concorrenza sana e ciò avrebbe come conseguenza uno spostamento verso modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente. Il Comitato ritiene importante comunicare con molto più vigore questo principio poiché esso potrebbe indurre anche modifiche nella struttura dei gestori e degli utenti del settore dei trasporti.

Al pari della Commissione, il Comitato ritiene necessario creare un quadro a livello comunitario.

4.13.1.   Secondo il Comitato, questo quadro dovrà stabilire una serie di condizioni generali, che dovranno essere soddisfatte, entro una certa forbice, dai prelievi imposti per la neutralizzazione dei costi esterni. Sarà necessario in particolare considerare i diversi tipi di costi esterni e il livello dei prelievi, che deve essere definito in base al livello di vita ed essere fortemente differenziato geograficamente, a prescindere dai confini nazionali, in relazione al luogo e al tempo.

4.13.2.   Le autorità responsabili dell'imposizione del prelievo, ad esempio uno Stato membro o un ente regionale o locale, dovranno poi affinare la tariffa, nei limiti della suddetta forbice, in funzione della loro conoscenza dettagliata della realtà locale. Ciò consentirà di tenere conto delle differenze tra le varie regioni in termini di livello di vita.

L'internalizzazione dei costi esterni nei trasporti marittimi e aerei dovrà tener conto della realtà della concorrenza mondiale cui sono esposti questi modi di trasporto.

4.13.3.1.   Per considerazioni di concorrenza, ai cosiddetti trasporti terrestri classici (stradale, ferroviario e per via navigabile), che operano sul continente europeo, deve essere applicata in modo equilibrato una strategia e metodologia identiche, che potranno beninteso dare risultati diversi a seconda delle caratteristiche di ciascuno di tali modi.

4.13.3.2.   Un'internalizzazione così concepita è coerente con la politica della co-modalità dei trasporti e con la politica di concorrenza, e ci avvicina al «1992» (!), cioè al completamento del mercato interno senza frontiere nazionali.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.   Con riferimento alla navigazione interna la Commissione menziona a giusto titolo la convenzione di Mannheim come quadro normativo degno di nota. Essa si applica al Reno (anche nel territorio svizzero) e ai suoi affluenti. Essendo anteriore ai Trattati europei, la convenzione, cui ha aderito un paese terzo, prevale su di essi (8), e inoltre vieta l'imposizione di prelievi nel settore della navigazione (ossia della navigazione interna).

5.2.   Confrontato da un lato alla profonda crisi mondiale e dall'altro favorevole all'idea dell'internalizzazione dei costi esterni, che comporta soprattutto aspetti ambientali, il Comitato invita a non perdere coraggio.

5.3.   Il Comitato chiede invece che, proprio in questo periodo di crisi, si facciano altri passi avanti, sviluppando e rafforzando ulteriormente il quadro dell'internalizzazione dei costi esterni, così come descritto al punto 4.13.1 e ai punti successivi: un compito da svolgere nel quadro di una stretta cooperazione tra le istituzioni europee, gli Stati membri e le imprese.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  All'articolo 11 della direttiva 2006/38/CE.

(2)  Pagina 4 e pagina 24, punto 9 del Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea (COM(2006) 314 def.).

(3)  Quelli che rientrano nella legislazione europea. Restano quindi esclusi, ad esempio, i veicoli militari.

(4)  GU C 224 del 30.8.2009, pag. 39.

(5)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 52.

(6)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Strategia per l'internalizzazione dei costi esterni (COM(2008) 435 def.).

(7)  Il Comitato richiama l'attenzione sulla necessità di escludere da queste disposizioni i mezzi di trasporto storici (veicoli stradali, imbarcazioni, aerei).

(8)  Articolo 307 del Trattato CE.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società

COM(2008) 689 def.

(2009/C 317/15)

Relatore: BOUIS

La Commissione, in data 4 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società

COM(2008) 689 def.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 26 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore BOUIS.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con interesse la comunicazione della Commissione in esame, che mira a incoraggiare gli Stati membri a integrare la telemedicina nelle rispettive politiche sanitarie.

1.2.   Il Comitato prende atto della volontà della Commissione di promuovere fiducia e accettazione riguardo alla telemedicina, assicurare una maggiore chiarezza giuridica in questo campo, risolvere problemi tecnici e agevolare lo sviluppo del mercato, fermo restando il rispetto del principio di sussidiarietà. Gli Stati membri restano responsabili della loro politica in materia di sanità pubblica nonché dello sviluppo della telemedicina, in funzione delle loro capacità d'investimento.

1.3.   Il CESE giudica necessaria una migliore informazione delle autorità sanitarie, dei professionisti del settore e dei pazienti, ai quali ritiene che occorra dimostrare costantemente l'efficacia in termini di costi.

1.4.   Il CESE vigilerà affinché i lavori di ricerca/sviluppo offrano tutte le garanzie di sicurezza d'impiego, di ergonomia semplificata e di contenimento dei costi di acquisizione e di utilizzo. Prende atto che la Commissione intende sostenere un progetto di telemonitoraggio su vasta scala.

1.5.   Constatando le difficoltà che si frappongono allo sviluppo della telemedicina, nonostante essa costituisca un fattore di miglioramento del sistema sanitario a vantaggio dei pazienti, dei professionisti della salute e degli organismi di sicurezza sociale (qualora funzioni in condizioni definite con chiarezza), il Comitato giudica necessario definire i suoi campi di applicazione e conferirle una base giuridica solida.

1.6.   Il CESE giudica che sia opportuno limitarsi a una definizione semplificata degli atti sanitari che rientrano nella telemedicina, allo scopo di garantire la riservatezza dei dati personali e la ricerca della massima sicurezza possibile per il paziente.

1.7.   Il CESE si compiace della volontà di istituire, sin dal 2009, una piattaforma europea per sostenere gli Stati membri nella condivisione delle informazioni sugli assetti giuridici nazionali.

1.8.   A giudizio del Comitato, l'atto sanitario per il quale si fa ricorso alla telemedicina in quanto tecnica complementare deve non solo ottemperare ai diritti e agli obblighi inerenti a qualsiasi atto sanitario, ma anche tener conto degli obblighi connessi alla sua specificità, come l'informazione sugli strumenti tecnici di trasmissione dei dati e la loro messa in sicurezza.

1.9.   Esso ritiene evidente che una pari diffusione dell'accesso alla banda larga (1) in tutti gli Stati membri e la capacità dei fornitori di consentire una connettività completa siano tra le condizioni essenziali per lo sviluppo della telemedicina. Occorre sviluppare ulteriormente la digitalizzazione del territorio, specie nelle zone rurali e ultraperiferiche, in modo da garantire la parità di accesso all'assistenza sanitaria.

1.10.   Il CESE appoggia l'intento della Commissione di pubblicare un documento di strategia politica, basato su norme esistenti o emergenti a livello europeo, per assicurare l'interoperabilità, la qualità e la sicurezza dei sistemi di telemedicina.

1.11.   Il Comitato ritiene che, al di là degli aspetti tecnici e organizzativi, occorra sviluppare gli scambi di buone pratiche cliniche inerenti alla telemedicina.

1.12.   Esso si compiace della proposta di definire tre livelli di azione per gli anni a venire.

1.13.   Al livello degli Stati membri occorre prestare particolare attenzione alla classificazione, ai costi e ai tassi di rimborso degli atti.

1.14.   Al livello degli Stati membri che beneficeranno di un aiuto da parte dell'Unione europea è necessario istituire degli strumenti di orientamento e di valutazione per quanto riguarda gli aspetti tecnici e l'efficienza della telemedicina.

1.15.   Nel quadro delle azioni previste dalla Commissione, il CESE ritiene che, per rispondere ai timori degli utenti e rafforzare la loro fiducia, la Commissione dovrebbe dare il suo sostegno a programmi d'informazione e di formazione sull'uso delle nuove tecnologie destinati ai professionisti della salute e ai cittadini.

1.16.   Il CESE si rammarica che non si presti particolare attenzione alla formazione dei professionisti della salute. Giudica in effetti indispensabile un programma strutturato di formazione universitaria abbinato a una formazione in servizio. Occorrerà però assicurarsi che detta formazione non finisca per formare «telemedici», bensì prepari opportunamente tutti i medici alla telemedicina.

1.17.   Il CESE esorta la Commissione e gli Stati membri ad attenersi rigorosamente sia alle raccomandazioni formulate nella comunicazione in esame sia al relativo calendario di attuazione.

1.18.   Esso ritiene che le organizzazioni rappresentative dei pazienti, dei consumatori e dei professionisti della salute vadano coinvolte nella definizione delle modalità di sviluppo di queste nuove tecnologie e considera importante essere associato alle valutazioni periodiche sulle diverse fasi di attuazione degli impegni assunti.

1.19.   Per il CESE, lo sviluppo della telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società dev'essere concepito nel quadro dell'evoluzione generale delle politiche e dei sistemi sanitari.

2.   Sintesi della comunicazione

2.1.   Contesto

2.1.1.   La telemedicina (2), ossia la prestazione di servizi di assistenza sanitaria a distanza, può contribuire al miglioramento della qualità della vita dei pazienti e dei professionisti della salute, e nel contempo far fronte alle sfide che si pongono ai sistemi di assistenza sanitaria (invecchiamento della popolazione, aumento delle malattie croniche, mantenimento dei pazienti nel loro domicilio, malati isolati o a mobilità ridotta, demografia medica, squilibri nella ripartizione territoriale della disponibilità di prestazioni sanitarie, ecc.).

2.1.2.   Oltre a migliorare le prestazioni e l'efficacia dei sistemi sanitari, la telemedicina può anche contribuire all'economia dell'Unione europea grazie al dinamismo di questo settore d'attività (caratterizzato da una prevalenza di PMI). Il ricorso ai suoi servizi permane tuttavia limitato e il mercato presenta ancora una certa frammentazione.

2.2.   L'approccio della comunicazione

2.2.1.   La comunicazione mira a incoraggiare gli Stati membri a integrare la telemedicina nelle rispettive politiche sanitarie individuando e contribuendo ad affrontare le barriere che ostacolano il ricorso alle sue prestazioni, nonché fornendo informazioni atte a suscitare interesse per questi servizi, in modo da favorire la loro accettazione da parte del personale medico e dei pazienti.

2.2.2.   Considerando che gli Stati membri sono i principali responsabili dell'organizzazione, del finanziamento e della prestazione dei servizi di assistenza sanitaria, e che essi rimangono gli unici soggetti in grado di fare della telemedicina una realtà nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, la Commissione definisce le azioni che dovranno essere intraprese, rispettivamente, dagli Stati membri, dalla stessa Commissione e dalle parti interessate.

Osservazioni generali

3.1.   Il CESE prende atto della definizione dell'ambito trattato dalla comunicazione della Commissione in esame, ma al tempo stesso desidera rammentare l'interesse della digitalizzazione delle cartelle mediche e del suo stretto rapporto con lo sviluppo della telemedicina.

Il CESE è favorevole allo sviluppo della telemedicina come strumento per conseguire un obiettivo di capitale importanza come la parità di accesso di tutti i cittadini ad un'assistenza medica di qualità. Rileva l'impatto prevedibile che ciò avrà sul sistema sanitario e sui metodi dei professionisti, e ritiene necessaria una maggiore vigilanza dinanzi ai rischi della mercificazione.

3.2.1.   Anche se lo sviluppo della telemedicina serve a promuovere i metodi di lavoro collegiali dei professionisti della salute e l'organizzazione dell'assistenza sanitaria in rete, e contribuisce al miglioramento della qualità e dell'accessibilità delle prestazioni, occorre tuttavia anticipare e accompagnare questi cambiamenti con una riflessione sull'organizzazione, la gerarchizzazione e la delega dei compiti, nonché sulla definizione di protocolli per i suoi metodi di lavoro.

Il CESE si compiace dei tre livelli d'azione proposti e formula alcune osservazioni in proposito.

3.3.1.   Creare fiducia nei servizi di telemedicina e favorire l'accettazione dei medesimi

3.3.1.1.   Il CESE giudica necessaria una migliore informazione delle autorità sanitarie, dei professionisti e dei pazienti, nonché dei loro rispettivi organismi rappresentativi creando dei forum di dibattito ed evidenziando l'efficacia della telemedicina. A questo proposito dovrà esserne comprovata l'efficacia in termini di costi. Occorre altresì far presente che lo sviluppo e la continuità del ricorso alla telemedicina dipendono dal livello del rimborso dei costi delle sue prestazioni e della quota di spese a carico dei pazienti.

3.3.1.2.   Il CESE desidera far presente che in materia di ricerca e sviluppo le PMI del settore non dispongono di capacità finanziaria sufficiente. Di conseguenza l'intervento del settore pubblico e del partenariato pubblico/privato può costituire uno strumento di diffusione su larga scala dei sistemi di telemonitoraggio. Il CESE presterà inoltre grande attenzione agli sviluppi tecnici relativi alle attrezzature onde assicurare che esse garantiscano sicurezza, ergonomia semplificata e minori costi di acquisizione e di utilizzo. Non spetta unicamente al settore industriale impegnarsi per lo sviluppo tecnico.

3.3.1.3.   Il CESE sottolinea che la più ampia diffusione dei servizi di telemedicina, e in particolare del telemonitoraggio, solleva nuove preoccupazioni di ordine etico, specie per il modificarsi delle relazioni fra i pazienti e i medici. Giudica indispensabile che per far accettare queste tecniche, che non potrebbero comunque sostituirsi ai contatti umani, si definisca la relazione fra soggetti prestatori e destinatari dell'assistenza sanitaria onde tener conto delle esigenze di pazienti bisognosi di calore umano e di informazioni comprensibili, corrette e rassicuranti.

3.3.1.4.   Per il CESE è essenziale democratizzare l'impiego degli strumenti tecnici affinché i pazienti possano mantenere il controllo sulla loro vita e sulle loro scelte.

3.3.1.5.   Inoltre, il personale medico con cui hanno contatti per telefono oppure attraverso lo schermo dovrà aver ricevuto una formazione psicologica, in modo da umanizzare la relazione a distanza e da rimediare alla mancanza di quella presenza fisica sulla quale si era sinora basato il dialogo fra il medico e il paziente.

3.3.1.6.   Il Comitato prende atto con interesse della volontà della Commissione di sostenere, nel quadro del suo programma Competitività e innovazione, un progetto di telemonitoraggio su vasta scala che associ gli organismi paganti. D'altro canto fa presente che è compito degli Stati membri valutare le loro esigenze e priorità in materia di telemedicina di qui alla fine del 2009.

3.3.1.7.   Il Comitato è altresì favorevole al finanziamento di iniziative quali il programma comune «Domotica per categorie deboli» (Ambient Assisted Living - AAL) (3), attuato ai sensi dell'articolo 169 del Trattato, e incoraggia gli Stati membri a parteciparvi.

3.3.2.   Garantire maggiore chiarezza giuridica

3.3.2.1.   Il Comitato constata che la telemedicina stenta a svilupparsi pur costituendo un fattore di miglioramento del sistema sanitario a vantaggio dei pazienti, dei professionisti della salute e degli organismi di sicurezza sociale, poiché accelera le comunicazioni e favorisce l'efficienza dell'impiego del tempo nel contesto sanitario (sempre che funzioni in determinate condizioni definite con chiarezza). Giudica pertanto necessario definire i campi di applicazione della telemedicina e conferirle una base giuridica soddisfacente.

3.3.2.2.   Il CESE ritiene opportuno limitarsi a una definizione semplificata degli atti sanitari che rientrano nella telemedicina, quali:

teleconsultazione: atto sanitario che interviene in collegamento con il paziente, il quale interagisce a distanza con il medico. La diagnosi può dar luogo alla prescrizione di farmaci o di cure,

teleconsulto: diagnosi e/o scelta di una terapia senza la presenza fisica del paziente. Si tratta di un'attività di consulenza a distanza fra professionisti i quali formulano la loro diagnosi sulla base delle informazioni contenute nella cartella clinica,

teleassistenza: atto consistente nell'assistenza fornita da un medico ad un altro professionista della salute impegnato in un atto sanitario o chirurgico. Il termine viene pure utilizzato per la consulenza fornita a quanti prestano un soccorso d'urgenza.

Per questi atti è primordiale migliorare la chiarezza giuridica in modo da rafforzare i sistemi di protezione dei dati e garantire la massima sicurezza per i pazienti, a livello sia di raccolta che di archiviazione e utilizzo dei dati.

3.3.2.3.   Il CESE constata che le definizioni degli atti sanitari e le loro conseguenze sia sul piano giuridico e giudiziario, sia sul piano dei rimborsi variano a seconda degli Stati membri. Ricorda che tutti i pazienti hanno la facoltà di chiedere, e di ricevere, cure sanitarie in un altro Stato membro, a prescindere dalle modalità di prestazione del servizio (4), e che ciò comprende anche la telemedicina.

3.3.2.4.   Il CESE rammenta che auspica sia l'istituzione di sistemi di ricorso in caso di danno, sia modalità chiare per la risoluzione delle controversie, compreso a livello transnazionale, il che implica prevedere per tutti i professionisti un sistema di assicurazione obbligatoria in materia di responsabilità per danni.

3.3.2.5.   Il CESE si compiace della volontà della Commissione di istituire, sin dal 2009, una piattaforma europea intesa ad agevolare lo scambio d'informazioni fra gli Stati membri sulle legislazioni nazionali e sulle loro eventuali modifiche in relazione alla telemedicina.

3.3.2.6.   A giudizio del Comitato, le telemedicina non può e non deve sostituirsi all'atto sanitario: essa viene infatti utilizzata come tecnica complementare, con tutte le limitazioni che ne conseguono data l'assenza di esami clinici. La telemedicina deve altresì ottemperare a tutti i diritti e obblighi inerenti a qualsiasi atto sanitario. Inoltre, occorre prestare un'attenzione del tutto particolare ai seguenti aspetti:

la funzione specifica del professionista della salute deve essere precisata chiaramente,

il paziente deve beneficiare delle conoscenze più recenti in campo medico, a prescindere dalla sua età, dalle sue possibilità finanziarie e dalla sua patologia,

il paziente deve essere informato circa l'opportunità e la portata dell'atto, nonché sui mezzi utilizzati,

il pazienze deve poter dare liberamente il suo consenso,

il segreto medico deve essere garantito,

la prescrizione rilasciata nel quadro della telemedicina deve essere riconosciuta,

le domande formulate, e le risposte date, dal professionista devono essere comprensibili per il paziente,

i documenti che ne risultano devono essere accessibili unicamente alle persone autorizzate e vanno inseriti nella cartella clinica,

occorre assicurare la continuità delle cure,

in questi casi la qualità dell'atto sanitario deve essere almeno equivalente a quella dell'atto tradizionale,

l'assenza di esami clinici non deve essere compensata con la moltiplicazione degli esami radiologici o biologici,

occorre assicurare la rigorosa confidenzialità per quanto concerne le modalità tecniche di trasmissione delle informazioni e il trattamento loro riservato dal personale medico e paramedico.

In particolare, in caso di ricorso alla telemedicina devono essere rese disponibili anche informazioni sugli strumenti tecnici di trasmissione dei dati.

3.3.3.   Risolvere i problemi tecnici e agevolare lo sviluppo del mercato

Il CESE ritiene che l'accesso alla banda larga (1), necessario per garantire la massima sicurezza, e la connettività completa siano fattori in grado di condizionare lo sviluppo della telemedicina. In pratica questa godrà della fiducia sia dei professionisti della salute che dei pazienti solo se verranno garantite la sicurezza delle tecnologie applicate e la facilità d'uso.

3.3.3.1.1.   Occorre consolidare la digitalizzazione del territorio, specie nelle zone rurali e ultraperiferiche, perché la telemedicina necessita di una rete efficiente, e perché essa riveste un'importanza particolare per le popolazioni rurali.

3.3.3.1.2.   L'assenza della banda larga comporta tempi di risposta inaccettabili per i professionisti e impedisce il trasferimento di dossier voluminosi. Inoltre, il degrado di talune informazioni può provocare gravi rischi di natura medica.

3.3.3.2.   Il CESE appoggia l'intento della Commissione di pubblicare, in collaborazione con gli Stati membri, un documento di strategia politica volto ad assicurare l'interoperabilità, la qualità e la sicurezza dei sistemi di telemonitoraggio basati su norme esistenti o in fase di definizione a livello europeo. A giudizio del CESE, visto il costante evolvere di queste tecnologie, il rafforzamento della fiducia può venire unicamente da regolari valutazioni dell'affidabilità delle attrezzature.

3.4.   Il Comitato ritiene che lo sviluppo di queste tecnologie presenti un'opportunità per l'economia in generale. È però anche convinto che occorra valutarne l'impatto sul debole finanziamento dei sistemi di assistenza sanitaria, e che sarebbero opportuni aiuti comunitari per la ricerca e lo sviluppo. Inoltre ritiene che in futuro gli aspetti specifici della telemedicina dovrebbero essere tenuti presenti anche nel programma in favore delle «TIC per invecchiare bene» (5).

4.   Osservazioni specifiche

La telemedicina non deve essere considerata unicamente sotto il profilo dello sviluppo del commercio elettronico, visto che rimane un atto sanitario a tutti gli effetti. Perciò il CESE si compiace della proposta di definire tre livelli di azione per gli anni a venire.

Circa il livello nazionale il CESE sottolinea che occorre prestare attenzione alla classificazione degli atti e del relativo rimborso. In effetti, i sistemi assicurativi non tengono già tutti conto della telemedicina in quanto atto sanitario, e sono assai prudenti per quanto concerne le condizioni relative alle prescrizioni.

4.1.1.1.   Beninteso, visti i costi relativi agli investimenti, sembra necessario che le istituzioni e/o gli organismi della sanità pubblica dotati di responsabilità in materia di politica sanitaria esplorino, nel quadro della piattaforma di scambi tra le molteplici parti interessate, le possibilità di finanziamento e ne assicurino le fonti. Ad ogni modo, il CESE teme che questi nuovi sviluppi servano da pretesto per un consistente aumento dei contributi di assicurazione malattia a carico dei pazienti.

Riguardo agli Stati membri che beneficeranno di un sostegno dell'Unione europea, il CESE constata che, vista la disparità sia delle regolamentazioni nazionali in materia, sia dell'utilizzo pratico della telemedicina, occorrerà pubblicare sin dal 2009 un'analisi del quadro normativo comunitario suscettibile di essere applicato al settore della telemedicina.

4.1.2.1.   A giudizio del CESE, oltre a questa analisi, sarebbe utile realizzare, con l'ausilio dell'Unione europea, degli strumenti di orientamento e di valutazione, nonché definire obiettivi strategici coerenti per realizzare quella visibilità di cui i decisori hanno bisogno. Questa presuppone una valutazione medico-economica che tenga conto delle sfide demografiche e degli sviluppi dei sistemi di assistenza sanitaria a beneficio dei pazienti.

Circa le azioni intraprese dalla Commissione, il CESE ritiene che, per ovviare ai timori degli utenti e ai problemi legati alla sfiducia, la Commissione dovrebbe dare il suo sostegno a programmi d'informazione che consentano ai pazienti di familiarizzarsi con questi nuovi metodi e strumenti, tanto più che spesso si tratta di persone anziane.

Il CESE si rammarica che la Commissione non presti particolare attenzione agli aspetti legati alla formazione dei professionisti della salute, per dar loro dimestichezza con questi nuovi metodi per l'esercizio della loro professione. La continuità e il coordinamento dell'assistenza sanitaria richiedono anche la capacità di servirsi di nuovi strumenti di dialogo con il paziente.

4.1.3.1.1.   Il CESE afferma che nell'ambito della telemedicina, come del resto anche in molti altri, una formazione specificamente mirata a ciascuna categoria di professionisti della salute vada considerata come uno degli strumenti cardine del cambiamento. Giudica in effetti indispensabile un programma strutturato di formazione universitaria, abbinato a una formazione in servizio, volto a ottimizzare l'uso della telemedicina per migliorare la qualità dell'assistenza. Ciò comporta anche un intenso impegno d'informazione del pubblico.

4.1.3.1.2.   Il CESE ritiene inoltre che la natura interattiva e interprofessionale dell'impiego di queste nuove tecnologie costituisca già di per sé un supporto pedagogico atto a favorire l'autoapprendimento nel quadro di una collaborazione in partenariato destinata a svilupparsi.

4.1.4.   A giudizio del CESE, sul piano sia della ricerca tecnologica che dello sviluppo delle attrezzature e dei software, e anche in considerazione degli aspetti economici della fornitura di queste ultime e del rimborso delle prestazioni, come anche dell'accettazione del ricorso alla telemedicina e della fiducia in essa riposta, è indispensabile che la telemedicina venga considerata come un vero metodo di assistenza sanitaria, e non già come una semplice moda o surrogato. È auspicabile prevedere un'armonizzazione e disposizioni per l'autorizzazione in modo da agevolare gli scambi fra operatori sanitari e il coinvolgimento dei pazienti, creando condizioni atte a facilitare l'utilizzo della telemedicina.

5.   Conclusioni

5.1.   Costituendo una sorta di «rivoluzione culturale», la telemedicina necessita di una comunicazione idonea. Per accompagnare questa evoluzione potranno svilupparsi nuove professioni.

5.2.   Il Comitato ritiene che lo sviluppo della telemedicina debba essere visto nel quadro di un'evoluzione generale delle politiche e dei sistemi sanitari.

5.3.   Gli utenti del sistema sanitario dovranno diventare maggiormente «attori» della loro salute. Di qui l'esigenza che le organizzazioni rappresentative dei pazienti, come anche dei professionisti della salute, siano coinvolte nella definizione delle modalità di sviluppo e finanziamento di queste nuove tecnologie.

5.4.   Il CESE considera importante essere associato alla valutazione periodica dei progressi compiuti nella realizzazione degli impegni assunti, visto che, oltre allo sviluppo operativo della telemedicina e degli strumenti resi disponibili, è in gioco la parità dei cittadini nell'accesso all'assistenza sanitaria.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 8.

(2)  La telemedicina include tutto un ventaglio di servizi come la teleradiologia, la telepatologia, la teledermatologia, la teleconsultazione, il telemonitoraggio, la teleoftalmologia, ma non la telechirurgia. Tuttavia, nella comunicazione in esame non sono considerati come servizi di telemedicina: i portali dell'informazione in materia di sanità, i sistemi di cartelle cliniche elettroniche, la trasmissione delle prescrizioni o delle impegnative per via elettronica (e-prescrizioni, e-impegnative).

(3)  GU C 224 del 20.8.2008.

(4)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 116.

(5)  Nell'ambito del Settimo programma quadro.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori

COM(2008) 816 def. — 2008/0246 (COD)

(2009/C 317/16)

Relatore: Bernardo Hernández BATALLER

Correlatore: Jörg RUSCHE

Il Consiglio, in data 12 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili interne e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori

COM(2008) 816 def. - 2008/0246 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNÁNDEZ BATALLER e dal correlatore RUSCHE.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 65 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione e considera che l'applicazione del regolamento contribuirà in linea generale all'approfondimento del mercato interno e all'affermazione dei diritti dei passeggeri, specie di quelli disabili.

1.2.   Si rammarica tuttavia del fatto che la proposta non si soffermi in maniera più specifica e dettagliata sulla situazione dei disabili, e non definisca norme più avanzate in materia di salvaguardia dei diritti fondamentali e dei diritti economici dei consumatori.

1.3.   Occorre definire, nei termini indicati dal presente parere, un quadro normativo che garantisca l'accessibilità da parte dei disabili.

1.4.   In materia di sicurezza si dovrà fare sempre riferimento agli standard più elevati tra quelli contenuti nei quadri normativi che gli Stati membri applicano o prevedono di applicare in questo campo.

1.5.   Serve inoltre una regolamentazione specifica concernente altri diritti fondamentali della persona, come la tutela della riservatezza nei confronti delle banche dati.

1.6.   Per quanto riguarda i diritti economici dei consumatori, occorre migliorare sostanzialmente differenti aspetti della normativa, come il trasporto alternativo e il rimborso, il risarcimento del prezzo del biglietto, l'informazione dei passeggeri e il sistema di reclami.

2.   Contesto

2.1.   L'articolo 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (1) stabilisce che nelle politiche dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori. Inoltre, il Trattato che istituisce la Comunità europea prevede, all'articolo 3, il rafforzamento della protezione dei consumatori come una delle azioni della Comunità e, all'articolo 153, la promozione degli interessi dei consumatori per assicurare loro un livello elevato di protezione.

2.2.   Nel Libro bianco intitolato La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte  (2), la Commissione europea prevedeva di stabilire i diritti dei passeggeri di tutti i modi di trasporto mediante la definizione di alcuni principi comuni (3). La Commissione aveva inoltre rilevato la necessità di rafforzare una serie di diritti, grazie tra l'altro a misure specifiche a favore delle persone a mobilità ridotta, soluzioni automatiche e immediate in caso di interruzione del viaggio (ritardi prolungati, cancellazioni o rifiuto del trasporto), obblighi di informazione dei passeggeri e di trattamento dei reclami, e mezzi di ricorso.

2.3.   Nel 2006 la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sui diritti dei passeggeri marittimi, che si concentrava in parte sulla protezione dei diritti delle persone a mobilità ridotta in caso di viaggi via mare e per vie navigabili interne. La maggior parte delle risposte ricevute propugnava un livello minimo comune di tutela dei diritti dei passeggeri in tutta l'UE, indipendentemente dal modo di trasporto utilizzato o dal fatto che il viaggio si svolgesse all'interno di un unico Stato membro o attraversasse una frontiera interna o esterna.

2.4.   D'altro canto, secondo le conclusioni generali di uno studio indipendente (4), la protezione dei passeggeri nell'UE non risulta del tutto soddisfacente a causa fra l'altro della poca uniformità riguardo alla portata e al grado di tutela dei loro diritti, della mancanza di un quadro che preveda soluzioni immediate e predefinite in caso di cancellazioni e di ritardi, nonché dell'assenza di informazioni ai passeggeri circa i loro diritti in caso di situazioni critiche.

2.5.   La valutazione d'impatto si è essenzialmente soffermata sui principi del risarcimento e dell'assistenza in caso di cancellazioni e ritardi, sulle norme in materia di accessibilità, sulla non discriminazione e l'assistenza alle persone con disabilità e a mobilità ridotta, sulle norme di qualità e gli obblighi di informazione, nonché sulle regole per il trattamento dei reclami e il controllo della conformità.

3.   Proposta della Commissione

3.1.   Scopo della proposta di regolamento in esame è stabilire norme minime comuni che disciplinino: la non discriminazione fra i passeggeri riguardo alle condizioni di trasporto offerte dai vettori; la non discriminazione e l'assistenza obbligatoria nei confronti delle persone con disabilità e a mobilità ridotta; gli obblighi dei vettori nei confronti dei passeggeri in caso di cancellazioni o ritardi; le informazioni minime da fornire ai passeggeri; il trattamento dei reclami e l'esecuzione dei diritti dei passeggeri.

3.2.   La proposta di regolamento riguarda i servizi passeggeri commerciali via mare e per vie navigabili interne, comprese le crociere, fra o nei porti o in qualsiasi punto di imbarco/sbarco situato sul territorio di uno Stato membro a cui si applica il Trattato.

3.3.   In caso di interruzione del viaggio sono previsti alcuni obblighi a carico dei vettori, in particolare fornire informazioni e assistenza, offrire itinerari alternativi e il rimborso, risarcire il prezzo del biglietto e attuare altre misure a favore dei passeggeri.

3.4.   La proposta prevede che ogni Stato membro designi uno o più organismi indipendenti, incaricati dell'applicazione del regolamento proposto, attribuendo a detti organismi il potere di adottare le misure necessarie per garantire il rispetto dei diritti dei passeggeri, compresa l'osservanza delle norme in materia di accessibilità.

4.   Osservazioni generali

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di una regolamentazione minima comune contenuta nel documento in esame e si augura che la sua futura evoluzione possa condurre verso un livello di protezione superiore e più favorevole per i consumatori, conformemente a quanto stabilito nel Trattato CE. La Commissione dovrebbe indicare esplicitamente che le gite turistiche di durata inferiore a un giorno non rientrano nel campo di applicazione della proposta in oggetto.

4.1.1.   Si tratta di una proposta innovativa che, coerentemente con le impostazioni più recenti della Commissione europea, assegna ai consumatori una posizione centrale nel funzionamento del mercato interno e li identifica come i beneficiari finali dell'apertura dei mercati nazionali.

4.1.2.   In effetti, oltre a fissare un insieme di regole e principi che garantiscano i diritti economici degli utenti del trasporto marittimo e fluviale in acque interne o internazionali, la proposta di regolamento stabilisce un regime per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei cittadini e delle persone in generale.

4.1.3.   D'altro canto, la proposta completa la legislazione di molti Stati membri dell'UE che non hanno legiferato in questa materia o lo hanno fatto in modo incerto, senza garantire nella pratica i diritti dei disabili o degli anziani. Questa situazione riguarda attualmente i sistemi di accessibilità, informazione e assistenza a bordo delle navi, nonché le informazioni da fornire preliminarmente, che risultano chiaramente migliorabili in molti casi.

4.1.4.   Il CESE esprime tuttavia il proprio disaccordo in merito alla facoltà concessa agli Stati membri di escludere dal campo di applicazione i servizi coperti da contratti di servizio pubblico, proprio perché si tratta dei servizi che i cittadini utilizzano maggiormente e di cui le persone con disabilità potrebbero aver più bisogno. La Commissione potrebbe inserire, dopo l'articolo 19, lettere a) e b), un paragrafo in cui si chiede alle autorità responsabili di prevedere un sistema di indennizzo automatico per questi casi.

Malgrado la normativa vigente in materia di sicurezza della navigazione marittima (direttive 1999/35/CE, 98/18/CE e 98/41/CE), il CESE ritiene opportuno introdurre esplicitamente nel regolamento il diritto alla sicurezza quale diritto specifico dei passeggeri.

In tale contesto si intende che la nozione di sicurezza si estende anche qui all'accessibilità, vale a dire che la sicurezza dev'essere garantita non solo nel momento dell'imbarco e dello sbarco dei passeggeri, ma anche per tutta la durata del tragitto.

Inoltre, in tutte le imbarcazioni e in tutti i tragitti oggetto del regolamento occorre garantire espressamente l'accesso ai cani guida, che costituiscono un'unità inscindibile con il disabile ai fini del suo pieno esercizio del diritto alla libera circolazione e alla mobilità.

4.1.5.   Il CESE ricorda alla Commissione che essa deve adottare e proporre a livello comunitario tutte le misure necessarie affinché le persone con disabilità o a mobilità ridotta godano degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini per quel che riguarda la libera circolazione, la libertà di scelta e la non discriminazione. Occorre tradurre in realtà il «modello sociale di disabilità», ricomprendendovi anche l'obesità, affinché i mezzi di trasporto possano essere utilizzati da tutti.

4.1.6.   Per quanto riguarda la base giuridica del regolamento proposto, ossia gli articoli 70 e 81 del Trattato CE, il Comitato giudica opportuno aggiungervi l'articolo 153, che prevede un livello elevato di protezione dei consumatori nelle azioni della Comunità.

4.1.7.   Il Comitato considera pertinente la scelta del regolamento come strumento giuridico, in quanto le norme contenute nella proposta devono essere applicate in modo uniforme ed effettivo in tutta l'Unione europea, per garantire un livello adeguato di protezione ai passeggeri marittimi e condizioni omogenee ai vettori.

4.1.8.   Il CESE condivide il punto di vista dei legislatori europei, secondo cui i meccanismi di coregolamentazione e autoregolamentazione «non si applicano se sono in gioco i diritti fondamentali o scelte politiche importanti, oppure nelle situazioni in cui le regole devono essere applicate uniformemente in tutti gli Stati membri» (5). Pertanto, la proposta di regolamento risulta conforme ai principi di sussidiarietà e proporzionalità.

4.1.9.   Tuttavia, per quanto attiene al capo III, l'obiettivo di garantire condizioni uniformi per gli operatori economici nel mercato interno è raggiunto soltanto in misura limitata, perché il regolamento proposto concede agli Stati membri un ampio margine discrezionale per quel che riguarda i diritti dei passeggeri in caso di ritardi o cancellazioni. Nella relazione che è tenuta a presentare entro tre anni dall'adozione del regolamento (art. 30) la Commissione dovrebbe concretamente valutare se un'eventuale divergenza tra le normative in questo campo influisca, o meno, sulla concorrenza o sul buon funzionamento del mercato interno.

4.1.10.   Il CESE riconosce che i trasporti effettuati a scopo principalmente turistico, in particolare le escursioni e le visite turistiche, non rientrano nel campo di applicazione del regolamento. Tuttavia, si dovrebbe tener conto del caso in cui i passeggeri si trovino in difficoltà nel prendere una coincidenza a causa di uno dei vettori del viaggio.

Il CESE considera importante che il biglietto emesso costituisca una prova della conclusione del contratto di trasporto, e ritiene essenziale che le norme del regolamento proposto vengano considerate un diritto vincolante e irrinunciabile dei passeggeri, senza che ciò pregiudichi l'acquis attualmente vigente in materia di protezione dei consumatori, in particolare per quel che riguarda le clausole abusive (6) e le pratiche commerciali sleali (7).

Occorrerà ricercare una soluzione specifica per far sì che la vigente disposizione, applicata in maniera quasi generale, che impone ai disabili di comunicare ai vettori con almeno 48 ore di anticipo la loro intenzione di effettuare un viaggio, ammetta delle deroghe o sia eventualmente modificata in modo quanto più possibile favorevole ai disabili. È infatti evidente che l'obbligo di rispettare questa rigida scadenza limiti il diritto dei disabili ad avvalersi di determinati diritti collegati alla libera circolazione delle persone, come il diritto allo svago o il diritto a far fronte a eventuali situazioni di urgenza.

Il CESE chiede che il sistema di notifica per l'assistenza a bordo consenta un certo grado di flessibilità. Il modo di trasporto in questione non comporta per i passeggeri l'obbligo di prenotare anticipatamente, ma impone ai disabili di notificare in anticipo le loro esigenze di assistenza, cosa che lede il loro diritto alla parità di trattamento. Bisognerebbe pertanto differenziare i viaggi lunghi da quelli a corto raggio, o i tipi di imbarcazione utilizzati per il trasporto. La Commissione europea dovrebbe prevedere l'obbligo per i vettori di confermare ai passeggeri l'avvenuto ricevimento della notifica, in modo da garantire, in caso di malfunzionamento del sistema di trasmissione delle informazioni, che i passeggeri siano in grado di dimostrare di aver effettivamente notificato le proprie esigenze di assistenza.

4.2.1.   Per dare attuazione concreta alla Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità, bisogna far sì che queste persone ricevano assistenza nei porti, nei punti di imbarco e sbarco e a bordo delle navi passeggeri. Il Comitato condivide pienamente il principio secondo cui ai fini dell'inclusione sociale l'assistenza dev'essere fornita gratuitamente, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sull'inserimento dei disabili.

4.2.2.   Pertanto il CESE ritiene che le deroghe che consentono di rifiutare il trasporto delle persone con disabilità o a mobilità ridotta debbano essere basate su criteri oggettivi, non discriminatori, trasparenti e verificabili.

4.3.   Il Comitato giudica positivamente la disposizione contenuta nell'articolo 8 della proposta di regolamento, riguardante il dialogo e la concertazione tra le associazioni della società civile organizzata e le autorità pubbliche competenti, che prevede la collaborazione tra vettori, organizzazioni delle persone con disabilità e organismi nazionali responsabili dell'applicazione per la definizione delle norme di accesso. Per quanto concerne la determinazione delle norme di qualità, anch'esse dovrebbero essere fissate in collaborazione con le associazioni dei consumatori, conformemente all'articolo 22 della proposta, tenendo conto delle raccomandazioni dell'Organizzazione marittima internazionale e di altri organismi internazionali competenti in materia.

4.4.   La riscossione di un diritto nei termini stabiliti all'articolo 9, paragrafo 3, della proposta appare totalmente in contrasto con il principio della gratuità finalizzata all'inclusione sociale, soprattutto per il carattere unilaterale della disposizione contenuta in questo paragrafo. Malgrado ciò, la separazione contabile è una naturale conseguenza della trasparenza minima esigibile, anche se un resoconto annuale verificato dovrebbe essere messo a disposizione delle organizzazioni che rappresentano le persone con disabilità e delle associazioni dei consumatori. Il CESE raccomanda tuttavia di verificare se l'onere di realizzare tale contabilità debba gravare sulle piccole e medie imprese.

4.5.   Il risarcimento per il danneggiamento o la perdita di sedie a rotelle e di attrezzature per la mobilità appare adeguato agli obiettivi di tutela che si prefigge il regolamento proposto, così come la disposizione che prevede la fornitura di attrezzature sostitutive agli interessati. Il risarcimento deve essere totale e comprendere tutti i danni arrecati.

Gli obblighi in caso di interruzione del viaggio, che costituiscono norme minime uniformi vista l'attuale mancanza di una normativa in materia, risultano ragionevoli. Il CESE può capire che, in un primo tempo, venga introdotto al livello comunitario un certo grado di equiparazione con le norme che tutelano i passeggeri del trasporto aereo, ma auspica che si raccomandi di raggiungere molto rapidamente il livello di protezione più elevato.

4.6.1.   Il risarcimento del prezzo del biglietto, ove avvenga in modo automatico, può essere un sistema equo, purché funzioni in modo flessibile ed efficiente. Questo sistema dovrà evolvere in futuro verso percentuali di risarcimento superiori per i casi di ritardo.

4.6.2.   Si dovrebbe chiarire la disposizione contenuta nell'articolo 20, paragrafo 4, della proposta, che prevede la non applicazione delle norme sul risarcimento quando il ritardo è stato provocato da «circostanze eccezionali». Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia (8), tale disposizione dovrà essere chiarita nel senso che essa non si applica nel caso di un problema tecnico a bordo che provochi la cancellazione del viaggio, a meno che questo problema sia imputabile ad avvenimenti che, per la loro natura od origine, non sono inerenti al normale esercizio dell'attività del vettore. Inoltre, il fatto che un dato vettore abbia rispettato le norme minime di manutenzione dell'imbarcazione non deve ritenersi una prova di per sé sufficiente a dimostrare che ha adottato tutte le «misure ragionevoli» e opportune e che, quindi, può essere esentato dall'obbligo di pagare un risarcimento. In tale contesto bisognerà tenere conto anche delle specificità nautiche dei servizi di trasporto interessati.

4.6.3.   Ad ogni modo, la disposizione contenuta nell'articolo 21 della proposta - secondo cui nulla impedisce ai passeggeri di rivolgersi ai tribunali nazionali per ottenere risarcimenti in caso di danni subiti per cancellazione o ritardo dei servizi di trasporto - è in piena sintonia con il diritto a un'effettiva tutela giurisdizionale, previsto dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

4.7.   L'informazione è un aspetto importante per i passeggeri; occorre quindi garantire che sia accessibile e in linea con l'evoluzione tecnologica. La proposta risulta pertanto opportuna su questo punto.

4.8.   Per quanto riguarda i reclami, finché riguardano danni di natura civile e/o commerciale, essi dovrebbero essere presentati agli organi extragiudiziali per la risoluzione delle controversie in materia di consumo, già istituiti in base alla raccomandazione 98/257/CE della Commissione del 30 marzo 1998, o almeno ad organismi che rispettino i principi di indipendenza, trasparenza, contraddittorio, efficacia, legalità, libertà e possibilità di farsi rappresentare.

4.9.   Agli organismi nazionali preposti al controllo dell'osservanza delle norme deve essere attribuita la competenza per la piena applicazione di un sistema che possa irrogare sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate e che preveda sempre la possibilità di emanare un'ingiunzione di pagamento a titolo di risarcimento per i passeggeri che hanno sporto un reclamo.

Il regolamento dovrebbe prevedere l'obbligo di rendere accessibile un'informazione adeguata e pertinente sulle sanzioni e i reclami che devono essere effettuati dai passeggeri.

4.10.   Per quanto concerne la protezione dei dati personali e la loro libera circolazione (9), il CESE condivide la preoccupazione della Commissione, che giudica necessario applicare rigorosamente la normativa vigente al fine di garantire il rispetto della vita privata dei passeggeri, conformemente alla direttiva 95/46/CE e alla giurisprudenza della Corte di giustizia. La rigorosa applicazione si rende necessaria specialmente quando si tratta di dati personali che possono essere trasmessi a paesi terzi a motivo di una prestazione di servizi di trasporto. Le persone i cui dati sono registrati in un archivio devono sempre sapere che i loro dati vi sono racchiusi, avere la possibilità di accedere a detto archivio e chiedere la modifica o la cancellazione dei propri dati.

4.11.   Il CESE ricorda alla Commissione la necessità di modificare la direttiva 90/314/CEE per renderla più coerente sia con la proposta di regolamento in esame che con altre norme del diritto comunitario derivato e, in ogni caso, per:

aggiornare le definizioni e i chiarimenti riguardanti termini come «prezzo forfetario», «viaggio tutto compreso» o «combinazione prefissata»,

definire con maggior chiarezza la precisa responsabilità dell'operatore e dell'agente in caso di inadempimento contrattuale o adempimento imperfetto, indipendentemente dal fatto che l'operatore o l'agente abbia eseguito la prestazione di servizi in questione in modo diretto o indiretto,

fissare un indennizzo più chiaro e integrale per i consumatori qualora l'organizzatore annulli il contratto.

4.12.   Il Comitato ricorda inoltre alla Commissione l'esigenza di menzionare espressamente nel regolamento le direttive in materia di navigazione marittima e sulle vie navigabili interne, che perseguono un elevato livello di tutela, in particolare delle persone a mobilità ridotta, e di adeguare eventualmente l'area geografica di applicazione di tali direttive.

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 303 del 14.12.2007, pag. 1.

(2)  COM(2001) 370 def. del 12 settembre 2001.

(3)  Simili a quelli previsti nel regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato (GU L 46 del 17.2.2004).

(4)  Studio indipendente commissionato dalla DG TREN nel 2005-2006 sull'analisi e la valutazione del livello di protezione dei diritti dei passeggeri nel settore del trasporto marittimo dell'UE.

(5)  Accordo interistituzionale «Legiferare meglio» tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione (GU C 321 del 31.12.2003, pag. 1), punto 17.

(6)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile del 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29).

(7)  Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22).

(8)  Sentenza del 22 dicembre 2008, causa C-549/07 (Friederike Wallentin-Hermann/Alitalia - Linee Aeree Italiane SpA).

(9)  Diritto al rispetto della vita privata e familiare, articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d'Europa.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/94


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo

COM(2008) 852 def. — 2008/0247 (COD)

(2009/C 317/17)

Relatore: FORNEA

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo

COM(2008) 852 def. - 2008/0247 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 26 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore FORNEA.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra della proposta di regolamento della Commissione, che rappresenta un passo avanti verso la creazione di corridoi internazionali per il trasporto merci su rotaia e verso lo sviluppo di questo modo di trasporto in Europa.

1.2.   Per mobilitare energie allo scopo di sviluppare corridoi ferroviari dedicati al trasporto merci, occorre un'azione politica concreta a livello dei corridoi, a prescindere da qualsiasi iter legislativo. Una semplice regolamentazione da sola non basta a promuovere i corridoi ferroviari per il trasporto merci. Fra le priorità fondamentali dovrebbero figurare quella di riuscire a ottenere investimenti pubblici e privati allo scopo di aumentare globalmente qualità, efficienza e capacità dell'infrastruttura e la piena attuazione del primo e del secondo pacchetto ferroviario in tutta l'UE.

1.3.   Onde conseguire progressi in termini di miglioramento dell'infrastruttura ferroviaria, occorre un efficiente coordinamento ad alto livello per ogni corridoio interessato ed è quindi assolutamente fondamentale riunire tutti i ministri dei trasporti per l'esame di ciascun corridoio. Al termine delle discussioni intergovernative, gli Stati membri dovranno stabilire le condizioni e assumersi gli impegni. Lo stesso commissario per i Trasporti dovrebbe svolgere un ruolo più attivo riguardo alla mobilitazione dei ministri per i singoli corridoi, nel contesto di un'azione politica coordinata a livello di UE.

1.4.   Il CESE accoglie con favore la scelta di non rendere obbligatorie le riserve di capacità anticipate, lasciando che siano determinate dai gestori dell'infrastruttura laddove considerate necessarie. Imporre ai gestori dell'infrastruttura di riservare capacità anticipatamente può provocare uno spreco di capacità anziché un'ottimizzazione. I gestori dell'infrastruttura dovrebbero in ogni caso mantenere la possibilità di riservare capacità.

Il CESE è del parere che sia opportuno concedere ai gestori dell'infrastruttura una certa flessibilità affinché possano applicare le regole di priorità in modo pragmatico. In tale ambito ciò che conta è ridurre al minimo i ritardi complessivi sulla rete, piuttosto che dare priorità a un tipo di traffico rispetto a un altro. Di fatto, quali che siano le norme in vigore, è necessario che quelle applicate sui treni in ritardo dai gestori dell'infrastruttura risultino trasparenti per gli operatori.

1.5.   Tutti i soggetti interessati dovrebbero essere obbligatoriamente consultati o fare parte dell'organo di gestione dei corridoi ferroviari per il trasporto merci: gestori dell'infrastruttura, imprese ferroviarie, rappresentanti degli Stati membri, sindacati del settore, utenti e organizzazioni ambientali. È opportuno garantire la piena rappresentanza degli operatori ferroviari nella gestione dei corridoi, in quanto più vicini al mercato e poiché molto probabilmente saranno chiamati ad attuare le decisioni sui miglioramenti o saranno comunque destinati a sentirne gli effetti.

1.6.   Per favorire la concorrenza fra le diverse entità infrastrutturali, le imprese ferroviarie non dovrebbero essere obbligate a ricorrere allo sportello unico. Sarebbe opportuno mantenere il metodo tradizionale per richiedere una traccia, tramite il gestore dell'infrastruttura nazionale o il gestore principale, almeno come soluzione di riserva in caso di mancato funzionamento dello sportello unico.

1.7.   Ai richiedenti autorizzati non dovrebbe essere consentito l'accesso all'intero corridoio, qualora uno dei paesi attraversati negasse loro l'accesso a livello nazionale. È necessario che la Commissione approfondisca l'analisi della questione relativa ai richiedenti autorizzati, onde consentire all'opinione pubblica una piena comprensione delle conseguenze economiche e sociali di tale disposizione. Il CESE non è necessariamente contrario al concetto di accesso non discriminatorio all'infrastruttura, ma ritiene che in questo particolare caso sia opportuno svolgere ulteriori ricerche nonché consultare i governi degli Stati membri, le parti sociali europee e nazionali, gli utilizzatori dei servizi ferroviari e le altre organizzazioni della società civile interessate.

1.8.   L'appartenenza alla rete TEN-T non dovrebbe essere un criterio esclusivo per la scelta dei corridoi merci. I corridoi non devono essere definiti dall'esterno, esclusivamente sulla base di criteri politici e geografici: occorre garantire una scelta dei corridoi che sia flessibile e determinata dal mercato. La selezione dei corridoi dovrebbe basarsi su obiettivi di mercato comprendenti consistenti flussi reali o potenziali di merci. I fattori determinanti devono essere il mercato e il rapporto costi/benefici.

1.9.   Sarebbe opportuno inserire nel regolamento la possibilità di ampliare la selezione oltre la rete TEN-T. Ad esempio, se una tratta che non fa parte della rete TEN-T si rivela importante per il dinamismo del trasporto merci su rotaia, occorre prevedere la possibilità di inserirla nel corridoio fin dall'inizio, e nella rete TEN-T in una fase successiva.

1.10.   Il concetto di terminal strategico è anticoncorrenziale. Tale concetto può portare a un ulteriore consolidamento della già forte posizione dei cosiddetti terminal strategici a danno di quelli considerati «non strategici». Il riferimento ai terminal strategici dovrebbe essere eliminato dalla proposta di regolamento per offrire ai terminal non strategici di oggi un'opportunità di sviluppo che potrebbe forse condurli a divenire i terminal strategici di domani.

1.11.   La libertà di circolazione delle merci non dovrà essere presa a pretesto per negare a chiunque lavori su questi corridoi merci l'esercizio dei suoi diritti fondamentali.

2.   La proposta della Commissione

2.1.   La Commissione si è impegnata ad accelerare la creazione e l'organizzazione di una rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo che si basi sui corridoi ferroviari internazionali dedicati al trasporto merci. Per raggiungere tale obiettivo, al termine di un ampio processo di consultazione pubblica e dopo aver valutato diverse opzioni tramite uno studio d'impatto, la Commissione ha deciso di presentare la proposta di regolamento in esame. Lo studio d'impatto ha dimostrato che un approccio legislativo potrebbe offrire risultati economici migliori rispetto a un approccio volontario, che comporta un rischio maggiore di non raggiungere gli obiettivi prefissati.

2.2.   Le disposizioni del regolamento si rivolgono essenzialmente agli attori economici interessati, ai gestori dell'infrastruttura e alle imprese ferroviarie e riguardano in particolare:

le procedure per la selezione dei corridoi ferroviari per il trasporto merci,

la gestione dell'intero sistema dei corridoi,

le caratteristiche che i corridoi ferroviari per il trasporto merci devono possedere.

2.3.   Il regolamento non viene applicato alle:

reti locali e regionali autonome adibite ai servizi di trasporto passeggeri che circolano su un'infrastruttura ferroviaria,

reti adibite unicamente alla prestazione di servizi passeggeri urbani e suburbani,

reti regionali adibite unicamente alla prestazione di servizi merci regionali da un'impresa ferroviaria esclusa dall'ambito di applicazione della direttiva 91/440/CEE, finché non vi siano richieste di utilizzo della capacità della rete da parte di un altro richiedente,

infrastrutture ferroviarie private adibite unicamente alle operazioni merci del proprietario (1).

3.   Osservazioni generali

3.1.   Come indicato nel Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea (COM(2006) 314 def.), la politica europea dei trasporti punta allo sviluppo ottimale di tutti i mezzi di trasporto all'interno degli Stati membri, nel rispetto della protezione dell'ambiente, della sicurezza, della concorrenza e dell'efficienza energetica.

3.2.   L'Unione europea si è fermamente impegnata a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra del 20 % entro il 2020. Tale obiettivo non potrà essere raggiunto se non attraverso una drastica riduzione delle emissioni provenienti dal settore dei trasporti. Per tale ragione è fondamentale attribuire una priorità elevata ai modi di trasporto più efficienti dal punto di vista energetico e più rispettosi dell'ambiente. Al riguardo, tutti concordano nel ritenere che il trasporto ferroviario rispetti l'ambiente sia in termini di consumi energetici che di emissioni (2).

3.3.   Il Comitato economico e sociale europeo ha già espresso il proprio parere riguardo al concetto di rete ferroviaria a priorità merci  (3). Nel presente parere non ripeteremo le osservazioni generali già formulate che sono valide anche per la proposta di regolamento in esame.

3.4.   L'attuale situazione del trasporto merci nell'UE richiede strumenti legislativi nazionali ed europei efficaci e una mobilitazione politica al fine di reperire i fondi necessari agli investimenti nell'infrastruttura ferroviaria. In questo contesto, il CESE si compiace della proposta di regolamento presentata dalla Commissione, che considera un passo in avanti per incoraggiare l'istituzione di corridoi ferroviari internazionali per il trasporto merci e per lo sviluppo di questo modo di trasporto in Europa (4).

3.5.   I potenziali vantaggi derivanti dalla creazione di questi corridoi sono:

un modo di trasporto rispettoso dell'ambiente: una riduzione dell'impatto ambientale complessivo delle attività di trasporto in Europa,

la riduzione degli incidenti nel settore dei trasporti,

la conformità agli obiettivi di crescita dell'agenda di Lisbona,

un forte contributo alla riduzione della congestione nei trasporti su strada,

la promozione della co-modalità (rotaia-mare-via navigabile interna-strada),

il contributo dato dalla creazione dei corridoi alla sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime per le industrie dell'UE, grazie al ricorso a uno dei modi di trasporto più ecologici per spostare grandi quantità di merci alla rinfusa,

il sostegno alla costruzione di centri logistici collegati alle ferrovie (i terminal logistici potrebbero sempre più spesso fungere da magazzini di distribuzione, che oggi nella maggior parte dei casi sono annessi agli impianti di produzione),

il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale dell'Unione europea.

3.6.   Gli obiettivi ambientali per l'esercizio dei corridoi ferroviari per il trasporto merci sono:

un'infrastruttura e dei veicoli adibiti al trasporto merci rispettosi dell'ambiente,

basse emissioni specifiche,

un basso livello di emissioni sonore in fase di esercizio grazie alle barriere antirumore e all'utilizzo di tecnologie silenziose per il materiale rotabile e l'infrastruttura ferroviaria,

una quota pari al 100 % di linee elettrificate per i corridoi ferroviari adibiti al trasporto merci,

l'aumento della quota di energia da fonte rinnovabile nel mix della corrente di trazione.

4.   Osservazioni particolari sulla proposta di regolamento

4.1.   Investimenti per l'infrastruttura dei corridoi ferroviari per il trasporto merci, i terminal e le relative attrezzature

4.1.1.   Negli ultimi dieci anni, grazie alle politiche europee è stato possibile ottenere progressi verso l'apertura dei mercati. Tuttavia, negli Stati membri si sono ottenuti risultati limitati per quanto concerne la concorrenza leale fra i modi di trasporto e gli investimenti efficaci a favore di un'infrastruttura interoperabile moderna.

4.1.2.   La capacità finanziaria degli Stati membri sembra non essere adeguata agli ambiziosi obiettivi della Commissione. Per tale motivo, le istituzioni europee dovranno svolgere un ruolo rilevante nell'agevolare il ricorso agli strumenti di sostegno dell'UE ai fini dello sviluppo di una rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo, cofinanziando la creazione di corridoi ferroviari per il trasporto merci mediante le risorse destinate alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) e quelle provenienti dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e dal Fondo di coesione, nonché mediante i prestiti della BEI.

4.1.3.   Il CESE ritiene opportuno che il regolamento evidenzi più chiaramente le necessità di investimento (e il relativo finanziamento) (5). Fra il 1970 e il 2004 la lunghezza della rete autostradale dell'UE a 15 è aumentata del 350 %, mentre quella della rete ferroviaria è diminuita del 14 %. Quando le strade risultano congestionate, le decisioni di migliorare le infrastrutture stradali esistenti o di costruirne di nuove vengono attuate in tempi rapidi. Il CESE è del parere che il trasporto ferroviario non sia in grado di assorbire un volume maggiore di merci se non applicando a tale settore la stessa politica in materia di investimenti che ha caratterizzato il settore dei trasporti su strada negli ultimi quaranta anni.

4.1.4.   Al riguardo, non va trascurata l'esigenza di finanziare i collegamenti ferroviari tra i siti industriali e la rete ferroviaria principale. I collegamenti stradali dalle zone industriali alla rete stradale principale sono di solito finanziati tramite i bilanci pubblici. Nella maggior parte dei paesi UE, però, le connessioni ferroviarie dai siti industriali alla rete ferroviaria principale non ricevono di solito lo stesso trattamento. Tali collegamenti sono generalmente finanziati dall'impresa che opera nel sito industriale e dall'operatore di trasporto merci per ferrovia in affari con l'azienda. Per agevolare il trasporto merci su rotaia occorrono soluzioni d'investimento sia a livello europeo che nazionale (ricorrendo, ad esempio, a strumenti quali i regimi di finanziamento pubblico, come già avviene in Germania, Austria e Svizzera).

4.1.5.   Uno degli obiettivi della Commissione è l'applicazione di tutti gli strumenti tecnici e legislativi concernenti la sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime per le industrie europee. I corridoi ferroviari offriranno un rilevante contributo per la realizzazione di tale obiettivo strategico e in questo ambito il traffico merci fra l'Unione europea e i partner orientali riveste un'importanza fondamentale. A tal fine, è molto importante che l'UE preveda investimenti destinati a migliorare l'infrastruttura ferroviaria Est-Ovest e le infrastrutture di trasbordo connesse. Inoltre, contribuirà a raggiungere tale obiettivo anche la revisione delle TEN-T.

4.1.6.   È bene prestare una particolare attenzione ai servizi doganali, allo scopo di semplificare le procedure all'interno dell'UE (6) e conseguentemente garantire un rapido transito attraverso le frontiere delle merci trasportate su rotaia. Si rende necessario un sostegno finanziario europeo in previsione di un sistema relativo agli obblighi doganali basato sull'EDI (7) e al fine di garantire gli investimenti su quelle ferrovie che attualmente non dispongono di sistemi automatizzati per soddisfare gli obblighi doganali.

4.1.7.   A giudizio del CESE è importante poter disporre di orientamenti precisi in materia di aiuti di Stato, allo scopo di evidenziare più agevolmente gli aiuti pubblici destinati al settore ferroviario che possono incontrare il favore dei servizi della Commissione. Al contempo, il Comitato sottolinea che l'uso di contratti pluriennali potrebbe contribuire al finanziamento sostenibile della rete ferroviaria europea.

4.1.8.   Con riferimento al concetto di «terminal strategici» di cui all'articolo 9 della proposta di regolamento in esame, il CESE fa presente che ciò può condurre a un consolidamento della già forte posizione dei cosiddetti terminal strategici a danno di quelli considerati «non strategici».

4.1.9.   La libertà di circolazione delle merci non dovrà essere presa a pretesto per negare a chiunque lavori su questi corridoi merci l'esercizio dei suoi diritti fondamentali.

4.2.   Selezione dei corridoi ferroviari per il trasporto merci e la gestione della rete

4.2.1.   La revisione della politica TEN-T offre al settore ferroviario l'occasione per sottolineare quanto sia importante sviluppare ulteriormente corridoi ferroviari destinati al trasporto merci flessibili e a lungo raggio, quale struttura portante della rete di trasporto dell'UE.

4.2.2.   Il CESE sottolinea che non ci si dovrebbe limitare a considerare esclusivamente i corridoi facenti parte della rete TEN-T (come stabilito al capo II, articolo 3, paragrafo 1, lettera a)) o gli attuali corridoi ERTMS, poiché un approccio di tal genere potrebbe escludere tratte che, pur non essendo ancora parte dei corridoi TEN-T o ERTMS, hanno o potrebbero assumere un ruolo importante per il trasporto merci. Al contrario, nel momento in cui vengono creati nuovi corridoi ferroviari per il trasporto merci, sarebbe opportuno adattare la rete TEN-T.

4.2.3.   Tutte le parti interessate, compresi i sindacati del settore, gli utenti e le organizzazioni ambientaliste, dovrebbero essere obbligatoriamente consultate o fare parte dell'organo di gestione. Le imprese ferroviarie dovrebbero farne parte allo stesso titolo dei gestori dell'infrastruttura, dal momento che sono i fruitori dei corridoi, hanno contatti con i clienti e sono più vicine al mercato. Le imprese ferroviarie saranno direttamente interessate dalle decisioni prese dall'organo di gestione e potrebbero persino essere chiamate ad applicarne alcune. Pertanto, è giusto che siano rappresentante all'interno dell'organo di gestione stesso.

4.2.4.   Un'adeguata rappresentanza delle imprese ferroviarie che utilizzano i corridoi, senza appesantire la struttura di gestione, è possibile ricorrendo, ad esempio, alla rappresentanza di singole aziende, di «gruppi di aziende» o alla combinazione di entrambe le soluzioni. Tuttavia, per riuscire realmente a contribuire al miglioramento dei corridoi, vanno considerate soltanto le imprese che li utilizzano.

4.3.   Misure operative

4.3.1.   Il CESE è del parere che sia difficile e delicato discutere di regole di priorità (ubicazione delle tratte, riserva di capacità, priorità in caso di ritardi) in modo generale per tutti i corridoi merci (articoli 11, 12 e 14 del capo IV). Tali regole dovrebbero essere formulate in modo da rendere possibile una loro attuazione pragmatica al livello di ciascun corridoio e da far sì che l'assegnazione delle tracce da parte dei gestori dell'infrastruttura avvenga nel modo più equo e trasparente possibile.

4.3.2.   La riserva della capacità, laddove considerata necessaria, non deve essere obbligatoria ma definita dai gestori dell'infrastruttura. Imporre ai gestori dell'infrastruttura di riservare delle capacità in anticipo può determinare uno spreco anziché un'ottimizzazione delle capacità, in special modo nei casi in cui è impossibile stabilire con certezza la circolazione dei treni con molti mesi di anticipo.

4.3.3.   Allo stesso modo, la modifica delle regole di priorità può non rivelarsi necessaria e non aumenta in alcuna maniera la capacità. Tale modifica non farà altro che trasferire le frustrazioni da una categoria di utenti a un'altra. In ogni caso, la regola prevalente dovrebbe essere quella di ridurre al minimo il ritardo complessivo sulla rete ed eliminare le congestioni il più rapidamente possibile.

4.3.4.   Per quanto concerne le disposizioni di cui all'articolo 10 del capo IV riguardo all'uso dello «sportello unico», il CESE è del parere che ciascuna struttura di corridoio dovrebbe essere messa in condizione di scegliere, tenendo conto delle esigenze del mercato o dei bisogni delle imprese ferroviarie che utilizzano i corridoi.

4.3.5.   Le imprese ferroviarie dovrebbero continuare a essere libere di chiedere le tracce in base alle modalità che preferiscono (tramite uno sportello unico oppure nel modo tradizionale). Il ricorso facoltativo allo sportello unico offre alle imprese ferroviarie l'opportunità di mettere in concorrenza fra loro le diverse entità infrastrutturali (vale a dire lo sportello unico e i singoli gestori dell'infrastruttura lungo il corridoio), incentivandole al miglioramento.

4.3.6.   L'uso obbligato degli sportelli unici potrebbe portare alla creazione di un vasto monopolio sulle infrastrutture dei corridoi, senza fornire alcuna garanzia del fatto che lo sportello unico possa realmente offrire servizi migliori rispetto ai singoli gestori dell'infrastruttura. Inoltre, lo «sportello unico» tradizionale non funziona bene.

4.3.7.   L'ipotesi di consentire ai richiedenti autorizzati (ad esempio i mittenti, gli spedizionieri, gli operatori intermodali) di acquistare tracce può scoraggiare le imprese ferroviarie (soprattutto le ultime arrivate) dall'effettuare investimenti relativi ai macchinisti e alle locomotive, a causa dell'elevato rischio connesso alla disponibilità delle tracce. Ciò potrebbe determinare una distorsione della concorrenza sui mercati interni a danno delle imprese ferroviarie e della qualità dei posti di lavoro che esse offrono. I prezzi potrebbero aumentare, le capacità disponibili resterebbero limitate e la speculazione potrebbe crescere.

4.3.8.   Nell'Europa di oggi, tuttavia, è un fatto che imprese diverse da quelle ferroviarie (servizi logistici, commercio, produzione) hanno un forte interesse a utilizzare di più la ferrovia (8). Alcune imprese ferroviarie europee hanno già acquistato imprese di servizi logistici nel tentativo di portare su ferrovia merci che finora erano state trasportate su strada. In queste condizioni, è possibile che nel prossimo futuro, grazie a un approccio innovativo e socialmente responsabile, i richiedenti autorizzati assumano un ruolo significativo nello sviluppo dei corridoi ferroviari per il trasporto merci.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2008) 852 def., articolo 1, paragrafo 2.

(2)  Circa l'80 % del traffico ferroviario in Europa viaggia su linee elettrificate.

(3)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 41-44.

(4)  La necessità di strumenti legislativi efficaci, di una mobilitazione politica e degli investimenti è stata messa in rilievo ancora una volta nel corso dell'audizione sul tema Rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo, organizzata dal CESE a Brno (Repubblica ceca) il 28 aprile 2009, in collaborazione con la presidenza ceca dell'UE.

(5)  Secondo uno studio della Comunità delle ferrovie europee (CER) sui corridoi ferroviari per il trasporto merci, realizzato dalla società di consulenza McKinsey, investendo 145 miliardi di euro da qui al 2020, si potrebbe aumentare del 72 % la capacità del trasporto ferroviario dei sei principali corridoi ferroviari di trasporto merci basati sul sistema ERTMS, pari al 34 % dei volumi trasportati in Europa.

(6)  In tal senso è fondamentale garantire a livello comunitario un'efficace attuazione del regolamento (CE) n. 1875/2006 della Commissione che istituisce il codice doganale comunitario.

(7)  Interscambio elettronico di dati.

(8)  Clecat Position Paper, Bruxelles, 19 gennaio 2009.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori

COM(2008) 817 def. — 2008/0237 (COD)

(2009/C 317/18)

Relatrice: DARMANIN

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori

COM(2008) 817 def. - 2008/0237 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice DARMANIN.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 75 voti favorevoli e 3 voti contrari.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di regolamento della Commissione relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus, riconoscendo che questo mezzo, ampiamente diffuso tra la popolazione, costituisce un'alternativa più economica rispetto ad altri tipi di trasporto.

1.2.   La proposta di regolamento predisposta dalla Commissione fa riferimento a una serie di diritti essenziali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, come la libera circolazione delle persone, la tutela del consumatore e il divieto di qualsiasi discriminazione motivata dalla disabilità. Alla luce di ciò, il CESE esprime il proprio appoggio di massima al documento, formulando tuttavia alcuni suggerimenti per migliorarlo.

1.3.   Il CESE ritiene necessario chiarire alcuni punti del testo che nella formulazione attuale possono dare luogo a interpretazioni erronee. Si tratta dei punti seguenti:

l'onere della fornitura del servizio alle persone con disabilità: dal testo dovrebbe risultare più chiaro che l'intento principale della Commissione è quello di ridurre le discriminazioni sul fronte dell'informazione (o mancata informazione) ai passeggeri riguardo ai servizi accessibili ai disabili,

occorre specificare chiaramente la responsabilità dell'operatore in caso di perdita del bagaglio e creare una qualche forma di check-in,

dato che è alquanto problematico fornire informazioni presso le fermate degli autobus una volta iniziato il percorso del veicolo, occorre garantire la possibilità di ottenere e comunicare tali informazioni,

l'uso della parola «terminale» o «stazione» nel contesto del trasporto effettuato con autobus risulta inappropriato, giacché in molti casi tali strutture non esistono o, laddove presenti, esulano dalla competenza dell'operatore.

1.4.   Il CESE osserva che l'estensione ai trasporti urbani e suburbani delle disposizioni relative ai diritti dei passeggeri contribuirebbe a migliorare la qualità del servizio e l'immagine del settore. Rileva tuttavia che, effettivamente, tra il servizio degli autobus urbani e quello del trasporto internazionale esistono numerose differenze. Riconosce pertanto che è più fattibile tenere distinti i diritti dei passeggeri dell'uno e dell'altro modo di trasporto e stabilire diritti specifici per i passeggeri dei trasporti urbani e suburbani. Ritiene quindi che le disposizioni del regolamento proposto non vadano necessariamente applicate al trasporto urbano e suburbano.

1.5.   Per la fornitura dei servizi alle persone con disabilità è fondamentale la formazione del personale. A questo proposito il CESE sostiene con forza le disposizioni dell'articolo 18, che precisano il tipo di formazione da impartire ai conducenti di autobus.

2.   Proposta della Commissione

2.1.   Il processo di consultazione in merito ai diritti dei passeggeri nel trasporto internazionale con autobus, avviato dalla Commissione nel 2005, ha permesso di ottenere risposte esaurienti da parte delle organizzazioni del settore, della società civile, delle agenzie nazionali e degli Stati membri.

2.2.   La Commissione ha inoltre effettuato una valutazione d'impatto, nella quale sono state esaminate le seguenti opzioni di intervento:

mantenimento della situazione attuale,

protezione minima,

protezione massima,

impegno volontario e autoregolamentazione.

A seguito della suddetta valutazione è stato scelto di utilizzare una combinazione di opzioni per i vari aspetti di tutela individuati.

2.3.   Sostanzialmente, l'obiettivo della proposta è quello di definire i diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus, allo scopo di migliorare l'attrattiva di questo tipo di trasporto e la fiducia del pubblico nei suoi confronti, nonché di garantire pari condizioni di concorrenza tra i vettori dei vari Stati membri e fra i diversi modi di trasporto.

2.4.   In generale, la proposta contiene disposizioni per quanto riguarda:

la responsabilità in caso di decesso o lesioni subite da un passeggero e di perdita o danneggiamento del bagaglio,

il divieto di qualsiasi discriminazione motivata dalla nazionalità o dal luogo di residenza in relazione alle condizioni offerte ai viaggiatori dalle imprese che forniscono servizi di trasporto a mezzo autobus,

l'assistenza alle persone disabili e alle persone a mobilità ridotta,

gli obblighi delle imprese di trasporto con autobus in caso di annullamento del viaggio o in caso di ritardo,

gli obblighi di informazione,

il trattamento dei reclami,

le regole generali per garantire l'applicazione del regolamento.

3.   Osservazioni generali

3.1.   Il CESE accoglie positivamente la proposta della Commissione relativa ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus, che sono tuttora molto diversi da uno Stato membro all'altro. Ritiene necessario introdurre orientamenti precisi per proteggere i diritti dei passeggeri che utilizzano questo specifico modo di trasporto, specialmente in quanto nella maggior parte dei paesi quello con autobus è il modo di trasporto meno regolamentato.

3.2.   Il CESE plaude alle modalità con cui la proposta rafforza il principio della non discriminazione e sostiene le persone disabili o a mobilità ridotta. Chiede, tuttavia, che siano apportati chiarimenti specifici al testo della Commissione, al fine di limitare le imprecisioni che potrebbero dare luogo a interpretazioni erronee.

3.3.   Tenuto conto del fatto che alcuni degli obblighi previsti nella proposta sono tratti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili, sarebbe opportuno che gli Stati membri istituissero un sistema di sanzioni da applicare alle imprese di trasporto in caso di violazione di tali diritti.

3.4.   Il CESE è fermamente convinto che la strategia più appropriata da adottare nei confronti dei diritti dei passeggeri disabili sia quella della protezione massima, la quale garantisce l'effettiva salvaguardia del rispetto, della dignità e dei diritti dell'individuo. Esprime tuttavia preoccupazione riguardo alla corretta attuazione di tali norme regolamentari: è infatti imperativo applicarle quanto prima possibile e sorvegliarne attentamente l'attuazione.

3.5.   È giusto che la proposta contenga disposizioni riguardo ai servizi di trasporto effettuati a mezzo autobus. L'articolo 2, paragrafo 2, assicura un livello di diritti simile su tutto il territorio dell'Unione, garanzia che rispetta pienamente il principio di sussidiarietà e tiene conto della diversità delle situazioni.

3.6.   Per quanto attiene alla responsabilità delle imprese di trasporto con autobus verso i passeggeri e il loro bagaglio, occorre chiarire che i livelli di risarcimento stabiliti nella proposta non devono precludere la facoltà dei consumatori interessati di ottenere, se del caso, una tutela giurisdizionale. Occorre creare un sistema di risarcimento analogo a quello utilizzato per altri modi di trasporto.

3.7.   Il CESE rileva che molto spesso a scegliere questi mezzi di trasporto per gli spostamenti transfrontalieri sono i settori più vulnerabili della popolazione: per tale motivo, apprezza le nuove misure di tutela che la Commissione intende applicare.

3.8.   Il CESE ritiene necessario adottare piani d'azione intesi a garantire che le persone con ridotta capacità motoria ricevano l'assistenza necessaria nelle autostazioni, alle fermate degli autobus e a bordo dell'autoveicolo stesso e che i rappresentanti dei disabili e dei vettori svolgano un ruolo chiave in questo processo.

3.9.   Fermo restando che l'obiettivo primario, a giudizio del CESE, deve essere sempre quello di ridurre al minimo gli inconvenienti ai passeggeri, gli indennizzi e i risarcimenti dovrebbero basarsi sulle considerazioni seguenti:

lesioni o decesso risultanti dall'uso di tale modo di trasporto,

annullamento, ritardi o deviazioni,

perdita di beni personali imputabile all'operatore,

assenza di informazioni.

3.10.   In tutte le circostanze di cui sopra è tuttavia necessario provare la responsabilità dell'operatore, mentre l'onere del risarcimento non deve essere tale da provocare il fallimento dell'impresa di trasporto. Il risarcimento, pertanto, deve essere ragionevole e tempestivo sia per il consumatore sia per l'operatore.

3.11.   Il ricorso deve essere un'opzione facilmente accessibile. Nelle norme che stabiliscono il luogo in cui è possibile ricorrere in giustizia vanno pertanto inclusi lo Stato membro di destinazione del passeggero e il suo paese di residenza.

3.12.   L'accesso alle informazioni riveste grande importanza: per questo motivo il CESE plaude all'approccio di protezione massima adottato al riguardo, tanto più in considerazione del fatto che l'informazione è uno strumento basilare per limitare gli inconvenienti ai consumatori nei trasporti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Trasporto urbano

4.1.1.   Il CESE appoggia la proposta della Commissione nella misura in cui, in linea generale, l'applicazione del regolamento in esame comporterà un approfondimento del mercato interno e dei diritti dei passeggeri, in modo particolare di quelli con disabilità.

Il CESE giudica positivamente il fatto che agli Stati membri sia data la possibilità di escludere dal campo di applicazione del regolamento i servizi di trasporto urbani, suburbani e regionali, disciplinati dal regolamento (CE) n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007.

Ritiene tuttavia che, per tutelare i diritti dei consumatori nella misura richiesta dalla proposta di regolamento, sarebbe necessario modificare tutta una serie di contratti di servizio pubblico già concordati nel quadro del regolamento (CE) n. 1370/2007. Analogamente, data la profonda differenza tra le condizioni, le infrastrutture e le attrezzature necessarie per i servizi di trasporto stradale (disciplinati dal regolamento (CE) n. 1370/2007) e quelle necessarie per il trasporto internazionale di passeggeri a mezzo autobus, le due categorie non sono realmente comparabili.

Il CESE ritiene preferibile escludere completamente i servizi di trasporto urbano, suburbano e regionale dal campo di applicazione della proposta di regolamento, e dedicare ai diritti degli utenti di questi tipi di trasporto pubblico un regolamento distinto.

4.2.   Accessibilità

4.2.1.   Il CESE si rammarica che la proposta non riconosca specificamente e in modo più dettagliato la situazione dei disabili e che non stabilisca norme più avanzate per la protezione dei diritti dei disabili e delle persone a mobilità ridotta: è essenziale garantire che questi gruppi abbiano accesso ai trasporti.

L'applicazione pratica dei diritti dei disabili non comporterebbe nuovi oneri per i vettori, in quanto la maggior parte degli obblighi previsti dal regolamento deriva dalle disposizioni contenute in altri strumenti legislativi comunitari, come quale ad esempio la direttiva 2001/85/CE (1), il cui undicesimo considerando recita: «è altresì necessario stabilire le prescrizioni tecniche atte a garantire alle persone con ridotta capacità motoria l'accessibilità dei veicoli oggetto della direttiva in armonia con gli indirizzi della politica sociale e della politica dei trasporti della Comunità. Si deve fare tutto il possibile per migliorare l'accessibilità di questi veicoli.»

4.2.2.   Il CESE ritiene pertanto che i nuovi obblighi che incombono all'operatore debbano essere considerati obblighi di servizi pubblico, e che vada quindi previsto un risarcimento finanziario, come stabilito dal regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia.

4.2.3.   L'obiettivo è quello di fare in modo che le persone con ridotta capacità motoria, comprese quelle affette da obesità, abbiano opportunità di viaggiare in autobus comparabili a quelle di cui godono gli altri cittadini. Il CESE sostiene quindi l'adozione di norme atte a impedire la discriminazione e chiede che a questi gruppi di passeggeri venga fornita un'assistenza di viaggio quanto più possibile conforme a quanto previsto dalla proposta di regolamento. Secondo il CESE, le associazioni dei vettori e quelle dei disabili dovrebbero incontrarsi e consultarsi a vicenda, allo scopo di individuare i punti di accessibilità di un determinato servizio.

4.2.4.   L'accessibilità può essere negata per validi motivi, quali, ad esempio, la sicurezza stradale. Le ragioni di ordine economico non debbono invece costituire l'unico deterrente alla fornitura di tale servizio. L'accesso dovrebbe essere negato soltanto per ragioni obiettive e non discriminatorie, proporzionate all'obiettivo, che siano state precedentemente pubblicate e interpretate in senso restrittivo, in quanto limitano la libera circolazione delle persone. Si tratta infatti di diritti inalienabili, come giustamente specifica l'articolo 5 della proposta di regolamento.

4.2.5.   Il CESE invita la Commissione a intraprendere il processo necessario per standardizzare la produzione di sedie a rotelle e di sistemi per il fissaggio delle sedie a rotelle, in modo da poterle utilizzare sugli autobus in condizioni di sicurezza.

4.2.6.   Il CESE è a favore di iniziative quali il trasporto su richiesta, che spesso offrono una valida alternativa per il trasporto delle persone disabili. A tal fine, incoraggia l'inclusione di tale tipo di servizio nelle gare d'appalto del settore dei trasporti.

4.2.7.   Il capo III della proposta di regolamento vieta di rifiutare l'accesso alle persone con disabilità e a mobilità ridotta. Esso contiene inoltre disposizioni circa il diritto all'assistenza presso le stazioni e a bordo degli autobus, le condizioni per la fornitura di tale assistenza, la trasmissione delle informazioni e il risarcimento in caso di perdita o danneggiamento di sedie a rotelle e attrezzature per la mobilità. Pur essendo accettabili, queste disposizioni possono tuttavia essere migliorate. Il CESE raccomanda di istituire un premio per gli operatori che fanno più di quanto effettivamente richiesto per offrire un servizio di trasporto realmente adeguato alle esigenze dei disabili.

4.3.   Formazione del personale

4.3.1.   Il CESE ritiene che la formazione sia fondamentale per riuscire a fornire un servizio adeguato alle persone disabili. Sostiene quindi integralmente il contenuto dell'articolo 18. Ritiene altresì che la formazione costituisca un'ottima opportunità per sviluppare ulteriormente la cooperazione tra le associazioni delle imprese di trasporto e le associazioni delle persone disabili. Queste ultime potrebbero anche fornire questo tipo di formazione.

4.4.   Risarcimento dei danni in caso di decesso

4.4.1.   Il CESE riconosce che, allo stato attuale, i tempi di erogazione dei pagamenti anticipati nel risarcimento dei famigliari a carico delle persone vittime di incidenti su mezzi di trasporto possono essere eccessivamente lunghi. Ritiene, tuttavia, che un lasso di tempo di quindici giorni sia un termine ragionevole per il versamento di tali pagamenti anticipati al fine di soddisfare le necessità economiche immediate dei famigliari delle vittime di incidenti mortali, tenendo conto dei danni da loro subiti, o delle vittime stesse per le lesioni fisiche o mentali subite a causa dell'incidente.

4.4.2.   A tale proposito, il CESE raccomanda una messa a punto più precisa del testo dell'articolo 8, in modo da definire specificamente il famigliare a carico come un minore che abbia perso il genitore (o, in assenza di questi, il tutore) che lo mantiene.

4.5.   Perdita del bagaglio

4.5.1.   Il CESE riconosce che i diritti dei passeggeri in caso di furto o perdita del bagaglio vanno difesi e che in tali evenienze vi è titolo a un risarcimento. I vettori dovrebbero essere responsabili dello smarrimento del bagaglio loro affidato. Ai fini della certezza giuridica, la Commissione dovrebbe pertanto chiarire le disposizioni dell'articolo 9, giacché la formulazione attuale risulta poco chiara e prevede diverse risposte a una varietà di circostanze.

4.5.2.   A tal fine, il CESE precisa che l'operatore non ha l'obbligo di fornire al consumatore un servizio di check-in.

4.5.3.   Il CESE ritiene inoltre giusto prevedere disposizioni particolari per il caso di perdita o danneggiamento delle attrezzature utilizzate dai disabili.

4.6.   Informazioni in caso di interruzione del servizio

4.6.1.   Il CESE ritiene che si debba compiere ogni sforzo onde assicurare che in caso di ritardi o interruzioni del servizio i passeggeri ricevano l'informazione in maniera tempestiva. Reputa, tuttavia, che talvolta sia particolarmente difficile trasmettere le informazioni in questione. Per tale motivo, giudica l'articolo 21 impraticabile e molto complesso da attuare, data la natura delle fermate e il fatto che solitamente sono sprovviste di personale.

4.6.2.   Il CESE propone di utilizzare parte dei fondi per la ricerca e lo sviluppo della Commissione sia per realizzare e applicare strumenti TIC (tecnologia dell'informazione e della comunicazione) affidabili, tempestivi e sicuri per i sistemi di informazione ai passeggeri alle fermate degli autobus, sia per sviluppare sistemi informatici leggeri a bordo degli autobus che consentano di razionalizzare la gestione del viaggio (intelligent transport system o ITS).

4.7.   Stazioni di autobus o terminali

4.7.1.   Il testo in esame contiene numerosi riferimenti alle stazioni o terminali presenti lungo l'itinerario degli autobus. È opportuno tuttavia osservare che siffatte strutture solitamente non esistono, e che, laddove presenti, esse sono per lo più di competenza di stazioni ferroviarie o di aeroporti. Nella maggior parte dei casi non esistono stazioni di autobus o terminali, bensì semplicemente fermate sprovviste di personale.

Bruxelles, 16 luglio 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU L 42 del 13.2.2002, pag. 1-102.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1321/2004 sulle strutture di gestione dei programmi europei di radionavigazione via satellite

COM(2009) 139 def. — 2009/0047 (COD)

(2009/C 317/19)

Relatore: Thomas MCDONOGH

Il Consiglio, in data 21 aprile 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 156 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1321/2004 sulle strutture di gestione dei programmi europei di radionavigazione via satellite

COM(2009) 139 def. - 2009/0047 (COD).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 giugno 2009 sulla base del progetto predisposto dal relatore MCDONOGH.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con grande favore la proposta della Commissione, dato che la legislazione adottata nel 2004 potrebbe essere del tutto superata.

1.2.   La sicurezza dei sistemi è di vitale importanza, e occorre intervenire per eliminare i pirati informatici.

1.3.   Bisognerebbe sottoporre il personale ai proposti controlli di sicurezza sui precedenti personali, dal momento che la struttura di gestione è composta da personale civile. Il personale dovrebbe inoltre essere consapevole delle proprie grandi responsabilità nei confronti degli utenti finali in relazione alla continuità e all'affidabilità.

1.4.   I costi a carico degli utenti devono essere compatibili con quelli di altri sistemi simili.

1.5.   È importante che l'Unione europea sia indipendente da altri fornitori, che potrebbero disattivare a piacimento i loro sistemi o sorvegliare per fini commerciali o militari l'attività degli utenti finali.

1.6.   Il programma Galileo inciderà direttamente o indirettamente sulla vita della maggior parte delle persone, dai piloti ai minatori agli agricoltori; affinché il suo potenziale sia pienamente sfruttato bisognerebbe illustrarlo adeguatamente ai cittadini.

1.7.   Il CESE dovrebbe essere consultato, in varie fasi del processo decisionale, in merito agli avanzamenti compiuti nell'attuazione del progetto.

1.8.   Il CESE è favorevole al finanziamento del programma GNSS dell'UE e sottolinea che per garantire una buona riuscita dei programmi bisogna provvedere al loro finanziamento per vari anni.

1.9.   Il ruolo del CESE dev'essere riconosciuto. I programmi GNSS hanno un impatto diretto sui cittadini e il CESE dovrebbe essere pienamente informato e consultato. Il programma Galileo viene sviluppato e controllato da civili ed è necessario garantire la trasparenza. La Commissione europea dovrebbe continuare a consultare il CESE perché in una successiva fase si dovrà far fronte a importanti questioni relative alla sorveglianza, ai diritti individuali e alla tutela della vita privata.

2.   Introduzione

2.1.   Il CESE ha già adottato vari pareri sul programma Galileo (1).

2.2.   È importante che il sistema Galileo entri in funzione al più presto, in modo che l'Europa, al pari degli Stati Uniti, abbia un proprio sistema di navigazione satellitare e non debba dipendere dai servizi forniti da altri.

2.3.   Ciò permetterà, sul piano nazionale, di accrescere la sicurezza e, sul piano commerciale, di produrre un reddito. Inoltre dovrebbe essere possibile sfruttare commercialmente il sistema, realizzando così dei considerevoli proventi.

2.4.   Il CESE dovrebbe dare il suo pieno sostegno alla Commissione nell'elaborazione dei provvedimenti legislativi in questo campo, che sono urgenti e necessari.

3.   Osservazioni generali sul programma GNSS dell'UE

3.1.   È importante che l'UE sia indipendente dagli altri principali fornitori di servizi per la navigazione satellitare. In ogni caso il sistema Galileo sarà più efficiente sul mercato globale e EGNOS integrerà altri sistemi e migliorerà la qualità dell'informazione.

3.2.   Il programma Galileo offre inoltre un accesso alle attività del settore spaziale a Stati membri che altrimenti non vi parteciperebbero. Inoltre i programmi GNSS dovrebbero beneficiare di buone «relazioni pubbliche», cosa che contribuirà all'immagine pubblica dell'UE e garantirà il successo dei programmi stessi. È necessario svolgere delle attività di sensibilizzazione sui vantaggi derivanti dai programmi GNSS, in modo da consentire al pubblico di avvalersi nel modo migliore delle nuove opportunità.

3.3.   I programmi GNSS europei possono avere un impatto positivo su altre politiche dell'UE.

3.4.   Bisogna incoraggiare la ricerca in questo campo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   È necessario modificare esplicitamente e rapidamente il regolamento (CE) n. 1321/2004 per le ragioni seguenti:

la situazione attuale, caratterizzata dalla coesistenza di due testi in parte contraddittori – il regolamento (CE) n. 1321/2004 e il regolamento (CE) n. 683/2008 – non è accettabile sul piano giuridico.

In effetti il regolamento (CE) n. 683/2008 prevede che la Commissione gestisca tutti gli aspetti relativi alla sicurezza dei sistemi, ma affida nel contempo all'Autorità di vigilanza il compito di assicurare l'accreditamento («accreditation») in materia di sicurezza. Occorre chiarire rapidamente il ruolo dell'Agenzia per quanto riguarda la sicurezza e l'accreditamento.

4.2.   La modifica del regolamento assegna all'Agenzia gli obiettivi seguenti:

accreditamento in materia di sicurezza: l'Agenzia deve avviare e controllare l'attuazione delle procedure di sicurezza ed effettuare audit di sicurezza dei sistemi GNSS europei,

contribuire alla preparazione della commercializzazione dei sistemi GNSS europei, procedendo anche alle analisi di mercato necessarie,

gestire il centro di sicurezza Galileo.

4.3.   La valutazione ex ante è stata realizzata al momento dell'istituzione dell'Agenzia nel 2004.

4.4.   L'attuale modifica del regolamento dell'Agenzia mira a tenere conto degli insegnamenti tratti dall'esperienza della gestione dell'Agenzia e del suo contributo e del suo ruolo nei programmi europei di radionavigazione satellitare.

4.5.   Occorre pertanto un nuovo quadro per la gestione pubblica. Il regolamento (CE) n. 683/2008 stabilisce:

l'esatta ripartizione delle competenze tra la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione, l'autorità e l'Agenzia spaziale europea,

la responsabilità della Commissione per la gestione del programma,

i compiti assegnati a quel tempo all'autorità.

4.6.   Il compito di realizzare sistemi di navigazione satellitare supera le possibilità finanziarie e tecniche di ogni singolo Stato membro e non può pertanto essere realizzato a livello nazionale. L'azione a livello comunitario è pertanto la più adeguata per realizzare adeguatamente i programmi GNSS europei (Galileo e EGNOS).

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 73-75.

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 47.

GU C 324 del 30.12.2006, pag. 41-42.

GU C 221 dell’8.9.2005, pag. 28.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/105


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde relativo al personale sanitario europeo

COM(2008) 725 def.

(2009/C 317/20)

Relatore: METZLER

Il 10 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione destinata al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni dal titolo:

Libro verde relativo al personale sanitario europeo

COM(2008) 725 def.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore METZLER.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli, 29 voti contrari e 29 astensioni.

1.   Valutazioni e raccomandazioni del Comitato

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la presentazione, da parte della Commissione, del Libro verde relativo al personale sanitario europeo, che illustra il cambiamento demografico, le sue ricadute sulla forza lavoro e il maggior carico di lavoro per il personale sanitario.

1.2.   A giudizio del CESE, è necessario adottare provvedimenti intesi ad aumentare l'attrattività delle professioni del settore sanitario per i giovani, in modo che un maggior numero di essi si indirizzi verso queste carriere.

1.3.   Il CESE raccomanda di prevedere capacità sufficienti in termini di personale sanitario per far fronte ai bisogni di cure e rafforzare screening, promozione della salute e prevenzione delle malattie.

1.4.   Secondo il CESE, l'esodo indesiderato degli addetti del settore sanitario verso altri paesi può essere contrastato solo garantendo a tali lavoratori una migliore remunerazione e migliori condizioni di lavoro oppure, eventualmente, conferendo loro nuove responsabilità. Queste ultime presuppongono adeguate qualifiche. In questo modo, inoltre, si aumenterebbe l'attrattiva del settore in generale.

1.5.   Occorre migliorare sensibilmente l'ampiezza dei dati statistici relativi al personale sanitario dell'UE, specie nell'ambito dei movimenti migratori e della mobilità, dati che vengono utilizzati a sostegno del processo decisionale.

1.6.   Nel settore sanitario è necessario promuovere l'utilizzo di nuove tecnologie idonee ad alleggerire il carico di lavoro per il personale, a migliorare la qualità delle prestazioni e ad assistere i pazienti. Il CESE è consapevole che ciò può comportare un riesame delle modalità di funzionamento della catena di responsabilità del corpo medico.

1.7.   Il CESE sottolinea il ruolo importante degli standard sociali per garantire la sicurezza dei pazienti e una qualità elevata dell'assistenza e delle cure loro prestate e si oppone recisamente a qualsiasi tentativo di indebolirli (nessuna corsa al ribasso).

1.8.   Il CESE sottolinea il ruolo fondamentale del lavoro autonomo nel settore sanitario, accanto al polo centrale costituito dagli ospedali e dai servizi di sanità pubblica, in quanto il libero professionista in particolare può garantire servizi di assistenza e di cura alle persone in condizioni di competenza e sicurezza. I liberi professionisti hanno avuto l'opportunità di seguire formazioni di ottimo livello grazie all'impegno della società civile degli Stati membri a favore dell'insegnamento pubblico. I membri del CESE, che rappresentano questa società civile, nutrono quindi perplessità circa il desiderio della Commissione di incoraggiare il personale sanitario ad esercitare la propria attività come libera professione. Al tempo stesso il CESE giudica in modo critico la sempre più marcata tendenza verso il lavoro autonomo fittizio in tutti i casi in cui tale fenomeno risulti problematico per l'attività in questione (ad esempio nell'assistenza ai malati ed agli anziani).

1.9.   Il CESE segue con preoccupazione il dibattito in corso sulle nuove ripartizioni dei compiti nel settore sanitario intese a sostituire l'esercizio della professione sanitaria da parte di personale qualificato con alternative meno costose. Il CESE è convinto che le considerazioni strutturali relative alla ripartizione dei compiti delle professioni sanitarie debbano tener conto delle esigenze mediche, del livello delle qualifiche e delle necessità dei pazienti.

1.10.   Il CESE è risolutamente dell'opinione che gli istituti sanitari, insieme ai loro addetti, costituiscano organi dei servizi d'interesse generale, e che quindi i fondi strutturali dovrebbero essere impiegati in misura più massiccia per garantire la formazione del personale sanitario. Il CESE insiste sull'assoluta necessità di garantire a tale personale le condizioni per seguire delle formazioni continue, per consentirgli di acquisire le qualifiche necessarie per ampiezza e profondità, ma anche perché si possa ovviare all'insufficienza di cure nelle regioni con maggiori carenze strutturali.

1.11.   Il CESE sottolinea il ruolo fondamentale delle parti sociali e del dialogo sociale nella definizione delle condizioni di lavoro e di retribuzione, come pure delle qualifiche del personale del settore sanitario.

1.12.   Secondo il CESE le professioni sociali svolgono una funzione essenziale nella cura e nell'assistenza ai pazienti e quindi rivestono una particolare rilevanza nel settore sanitario.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1.   Il Libro verde è inteso come base per avviare un intenso processo di discussione fra le istituzioni dell'Unione europea, gli Stati membri dell'UE e i principali attori sociali ed economici a livello europeo e nazionale. Il Libro verde rappresenta un quadro entro il quale le esigenze possono essere considerate in una prospettiva di lungo periodo.

2.2.   Il documento si concentra in particolare su nove aspetti chiave:

cambiamento demografico,

capacità in materia di sanità pubblica,

formazione,

gestione della mobilità del personale sanitario all'interno dell'UE,

migrazione del personale sanitario su scala globale,

dati a sostegno del processo decisionale,

introduzione e diffusione di nuove tecnologie per accrescere l'efficienza e migliorare la qualità dell'assistenza,

rafforzamento del principio del lavoro autonomo,

politica di coesione.

2.3.   Il contesto

2.3.1.   I sistemi sanitari dell'UE devono far fronte ad un incremento crescente della domanda di servizi, rispondere ad esigenze sanitarie in evoluzione ed essere pronti ad affrontare crisi rilevanti della sanità pubblica. Tutto ciò nel contesto di notevoli aspettative per quanto riguarda il livello qualitativo dei servizi. Si deve riconoscere che si tratta di un settore economico ad elevata intensità di manodopera che fornisce un'occupazione a un decimo dell'intera forza lavoro comunitaria e che in media il 70 % delle spese sanitarie è assorbito dalle retribuzioni.

2.3.2.   A norma dell'art. 152, par. 5, del Trattato CE, «l'azione comunitaria nel settore della sanità pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica». Al tempo stesso (par. 2) la Comunità incoraggia la cooperazione fra gli Stati membri per promuovere il coordinamento delle loro politiche e dei loro programmi, nonché gli scambi d'informazioni sui programmi riusciti dei singoli Stati membri.

2.3.3.   Nel Libro verde la Commissione europea solleva questioni di fondamentale importanza relative ai problemi e alle sfide sul fronte dell'assistenza sanitaria allo scopo d'incoraggiare dibattiti, in particolare:

l'invecchiamento della popolazione,

le nuove tecnologie,

la necessità di migliorare l'accesso alle prestazioni sanitarie,

la qualità dell'offerta e, di conseguenza, il continuo aumento del costo dei trattamenti,

l'emergere di nuove malattie e il loro potenziale epidemico, e

la disponibilità di un'assistenza sanitaria di prossimità.

Definizione di personale sanitario: per personale sanitario si intendono: tutto il personale che presta servizio nel settore della cura e dell'assistenza dei malati, delle cure infermieristiche e dell'assistenza sociale e sociosanitaria e tutti gli appartenenti alle professioni specialistiche del settore.

2.3.4.   Attualmente in tutti gli Stati membri è in corso un dibattito sull'entità e sulla disponibilità del potenziale di forza lavoro che si renderà necessario nel prossimo decennio e oltre. Alcuni Stati membri già registrano notevoli carenze di nuove leve e di personale qualificato, specie negli ambiti in cui il personale occupato è prevalentemente anziano.

2.3.5.   Alla carenza di personale che ne deriva si aggiunge un esodo di lavoratori dall'Unione europea verso altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti o la Svizzera, che interessa in particolare i settori altamente qualificati dell'assistenza sanitaria.

Una mobilità elevata esiste anche all'interno dell'UE, dove si registrano flussi migratori consistenti anche fra singoli Stati membri.

L'esodo della forza lavoro del settore sanitario è un fenomeno di interesse vitale, fra le cui cause figurano le disparità salariali e di condizioni di lavoro. La diversità strutturale dei sistemi si ripercuote sensibilmente sulle strutture dell'offerta e delle qualifiche.

2.3.6.   Con il Libro verde la Commissione consente inoltre, anche attraverso una consultazione pubblica sul futuro del personale sanitario in Europa, di porre in primo piano le tematiche attinenti al personale sanitario e di tracciare un quadro chiaro delle sfide future. Così facendo la Commissione riconosce che l'assistenza sanitaria rappresenta un bisogno centrale ed elementare di tutti i cittadini dell'Unione e che l'assenza di un'adeguata assistenza sanitaria può rapidamente limitare le libertà fondamentali all'interno della Comunità europea.

2.3.7.   L'assistenza sanitaria preventiva e curativa ha una componente economica. Il settore della sanità necessita di personale adeguatamente formato e di grande esperienza, con qualifiche riconosciute, che costituiscono una componente essenziale della società della conoscenza.

3.   Osservazioni del CESE in merito alle soluzioni proposte dalla Commissione

3.1.   Soluzioni proposte dalla Commissione

Disponendo di competenze limitate nel settore sanitario, la Commissione mostra una certa cautela nel proporre possibili soluzioni. Da un lato, rilevando che negli ultimi anni è aumentata la presenza femminile nel personale sanitario, propone le necessarie misure per conciliare lavoro, famiglia e vita privata in modo da assicurare la disponibilità di personale sanitario e specializzato. Dall'altro, chiede solide strategie di pianificazione e raccomanda di aumentare gli investimenti per diffondere la formazione in tutti gli Stati europei, onde evitare che il personale sanitario venga formato solo in alcuni paesi e trovi poi lavoro solo in altri. In effetti, una situazione del genere potrebbe determinare un'ulteriore riduzione delle capacità formative. Migliorando le possibilità di qualificazione professionale, specie attraverso la formazione continua e il perfezionamento, si incentiverebbero i datori di lavoro ad assumere e a formare il personale.

3.2.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del Libro verde giudicandolo un ampio documento di riflessione sulle grandi sfide riguardanti la sanità, i sistemi sanitari e il personale del settore in Europa. Esso stimola il dibattito pubblico nel quadro della strategia di Lisbona sui servizi basati sulla conoscenza e presenta l'assistenza sanitaria come un insieme integrato.

3.3.   Il CESE ritiene che il mercato delle prestazioni sanitarie vada visto come un mercato soggetto a regole particolari perché ha un impatto diretto sulla salute della popolazione. Il CESE propone pertanto un dibattito sui problemi derivanti dal carattere frammentario dell'assistenza sanitaria in taluni paesi, specie nel caso dei sistemi non controllati direttamente dallo Stato, che rendono particolarmente difficile applicare regole uniformi per lo sviluppo delle qualifiche e della formazione permanente.

3.4.   Demografia e promozione della sostenibilità nel campo del personale sanitario

3.4.1.   Il CESE sottolinea che già una quota elevata di donne lavora nelle professioni del settore sanitario e il loro numero molto probabilmente è destinato ad aumentare. Ciò vale per tutti i tipi di attività. È necessaria una parità di genere per raggiungere, conformemente alle direttive sulle pari opportunità, pari condizioni fra i sessi e convincere più uomini ad intraprendere un'attività in diversi campi del settore sanitario. Fra le misure da intraprendere figurerebbero anche quelle che contribuiscono a conciliare meglio la vita professionale con la vita familiare, a riconoscere le competenze utilizzate e la pesantezza del lavoro, nonché a sostenere il mantenimento in attività e il reinserimento delle donne nel mondo del lavoro dopo lunghi periodi di assenza per motivi familiari.

3.4.2.   Non meraviglia notare l'effetto che buone condizioni di lavoro, salute e sicurezza sul luogo di lavoro hanno sul personale sanitario. Il senso di soddisfazione e di sicurezza lo inducono a una maggiore attenzione nei confronti dei pazienti. Per assicurare livelli qualitativi elevati, la sicurezza dei pazienti e delle cure, assumono un ruolo tutto particolare la qualità del posto di lavoro, nonché le misure di prevenzione per il personale e il modo di affrontare le difficoltà sul luogo di lavoro. Sono tutti aspetti che non vengono praticamente trattati dal Libro verde.

3.4.3.   Il CESE richiama l'attenzione sulla ricerca attualmente condotta dalle parti sociali sui programmi di ritorno al lavoro. Il CESE è convinto che tali programmi possano svolgere un ruolo decisivo sia per trattenere che per reinserire gli operatori sanitari, in particolare le donne, nel mondo del lavoro, e che tali programmi diverranno sempre più importanti per far fronte alla carenza di lavoratori qualificati.

3.4.4.   A giudizio del CESE, in alcuni Stati membri si rendono necessari provvedimenti per accrescere l'attrattività delle professioni del settore sanitario per i giovani, in modo da incoraggiarli a orientarsi verso queste carriere o a un'attività in questo settore. Per invogliare un numero maggiore di giovani, ma anche di uomini, a intraprendere professioni nel settore delle cure mediche e sociosanitarie, occorre accrescerne l'attrattiva migliorando le condizioni retributive e di lavoro per l'intera durata della carriera.

3.5.   Capacità nel settore della salute

3.5.1.   Una prevenzione e una promozione della salute efficaci nonché una migliore gestione sanitaria possono ridurre il bisogno di trattamenti e di cure. Il CESE raccomanda pertanto di prevedere sufficienti capacità nel settore sanitario, per poter rafforzare lo screening, la promozione della salute e la prevenzione. Il presupposto è però l'esistenza di misure scientificamente fondate che vengano poi finanziate su tutto il territorio e a lungo termine. Secondo il CESE, la Comunità dovrebbe mirare alla promozione della salute sul luogo di lavoro anche per le professioni sanitarie stesse, in modo che gli operatori del settore possano restare in buona salute ed efficienti (sindrome burn-out). Si dovrebbe dedicare un'attenzione particolare all'efficienza dei lavoratori in fine carriera per metterli in condizione di lavorare senza problemi di salute, e tener conto della gravosità della loro vita lavorativa per determinare le condizioni del loro pensionamento.

3.6.   La formazione

3.6.1.   Il CESE chiede di esaminare i problemi connessi alla frammentazione delle strutture sanitarie di taluni paesi, specie quelli in cui non esiste una gestione statale diretta. Si tratta di una situazione che rende difficile ottenere un livello omogeneo elevato di qualificazione, formazione continua e perfezionamento professionale in tutti gli Stati. Giudica importante verificare in che misura sia possibile garantire un miglior sostegno a tali strutture formative così frammentate ai fini della creazione di posti di lavoro. Il CESE solleva la questione riguardante gli obblighi in materia di formazione continua e perfezionamento, l'applicazione di standard elevati e una maggiore trasparenza da conseguire e garantire mediante certificazioni e norme comuni a livello europeo. Si domanda inoltre fino a che punto i vari paesi siano stati incentivati a conseguire progressi in materia.

3.6.2.   Il CESE solleva alcuni interrogativi riguardo al rapporto tra la direttiva sul riconoscimento dei diplomi e l'eventuale direttiva sulle qualifiche del personale sanitario. Si chiede come ciò si concili con le direttive specifiche esistenti per alcune professioni, e in quale modo tali direttive abbiano influito sull'uniformazione di qualifiche e competenze, formazione continua e perfezionamento in Europa, e come incidano sull'uniformità delle condizioni di lavoro quotidiane.

3.6.3.   Il CESE intende riflettere sul rapporto costi-benefici di un insieme adeguato di requisiti per il perfezionamento delle competenze degli operatori sanitari europei.

3.7.   La gestione della mobilità e dell'esodo del personale sanitario nell'Unione europea

3.7.1.   Il CESE si interroga sull'impatto dell'offerta assistenziale e sull'effetto dei programmi di aiuto e chiede che si illustri sulla base di criteri scientifici in che misura le frontiere nazionali, ma anche i confini linguistici o eventualmente le diversità culturali in Europa, incidano sui flussi migratori dei lavoratori operanti in un settore che esige particolari conoscenze e doti di empatia.

3.8.   La migrazione del personale sanitario a livello mondiale

3.8.1.   Come auspicato dal Libro verde, è necessario che l'assunzione degli operatori sanitari avvenga nel rispetto di principi etici. Ad esempio, accanto alla possibilità di assumere personale proveniente da altri Stati, si dovrebbe promuovere in misura sufficiente il ricambio nel proprio paese invogliando i giovani. La scarsa incentivazione di nuove leve a livello nazionale non va compensata con l'assunzione di personale proveniente dall'estero. Considerando la molteplicità degli impegni già assunti e l'attiva partecipazione dell'Unione europea all'elaborazione del codice di condotta dell'Organizzazione mondiale della sanità, il CESE chiede di verificare quale potrebbe essere il valore aggiunto di un codice di condotta dell'Unione europea da affiancare a quello dell'OMS.

3.8.2.   Occorre anche prevenire la fuga dei cervelli dai paesi in via di sviluppo. Per quanto possibile l'assunzione del personale sanitario dovrebbe avvenire in un contesto istituzionalizzato, in cui la mobilità dei lavoratori sia supportata da programmi di cooperazione bilaterale o multilaterale. Ciò è possibile grazie ad investimenti nelle infrastrutture di formazione per il personale sanitario e a miglioramenti delle condizioni di lavoro. Se non si affronteranno le cause della migrazione, ossia le enormi disparità nelle retribuzioni e nelle condizioni di lavoro, il fenomeno migratorio proseguirà e le carenze di personale sanitario nei paesi in via di sviluppo si aggraveranno.

3.9.   Le statistiche a sostegno del processo decisionale

3.9.1.   Il CESE chiede la comparabilità delle statistiche nazionali a livello europeo. Essa è però ostacolata dal fatto che la classificazione delle professioni sanitarie non è sempre uniforme in tutti gli Stati membri. Le peculiarità nazionali in termini di competenze e denominazioni delle professioni sanitarie non possono essere mascherate in nome dell'esigenza di disporre di indicatori comuni. Il CESE propone di rilevare dati statistici sia sulle professioni sanitarie in Europa sia sulla migrazione transfrontaliera. Circa l'idea, formulata nel Libro verde, di creare un osservatorio per monitorare le dinamiche relative al personale sanitario, è lecito chiedersi se esso sia veramente necessario, o se a tale scopo non possano essere invece utilizzate strutture già disponibili, come Eurostat o la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino.

3.9.2.   In generale le possibilità d'informazione andrebbero migliorate mediante un registro dei dati. Il CESE propone di collegare il monitoraggio delle professioni del settore sanitario previsto nel Libro verde con altri progetti comunitari, ad esempio quelli relativi alla promozione dei sistemi di informazione sanitaria, e di migliorare la comunicazione dei registri nazionali - laddove esistenti - per tutte le professioni.

3.9.3.   Poiché nella maggior parte degli Stati membri i servizi sanitari sono organizzati e regolamentati a livello statale, il CESE è favorevole a un sostegno da parte della Commissione finalizzato a migliorare la pianificazione. Pertanto chiede che l'Unione europea metta a disposizione delle risorse per l'elaborazione di analisi sull'assistenza sanitaria negli Stati membri. Esse costituiranno la base per creare un'assistenza sanitaria capillare e di prossimità che offra alla popolazione servizi medici e di assistenza.

3.10.   Introduzione e diffusione di nuove tecnologie per accrescere l'efficienza e migliorare la qualità dell'assistenza

3.10.1.   Il CESE chiede di verificare se le nuove tecnologie, associate alle nuove opportunità terapeutiche collegate alle reti di comunicazione elettronica e in grado di garantire una copertura assistenziale capillare anche alle zone periferiche, possano essere utilizzate, nell'interesse degli operatori, anche a fini di autodiagnosi o di assistenza coadiuvata dal paziente. Al riguardo sarebbe utile prendere in considerazione le esperienze acquisite negli altri paesi. Tuttavia, prima di poter introdurre le nuove tecnologie, occorre assicurarsi che siano accettate dal personale medico. A tal fine è necessario che quest'ultimo sia coinvolto nello sviluppo delle tecnologie relative alla telemedicina (e-health), onde garantire un utilizzo agevole e sicuro degli strumenti elettronici nella prassi quotidiana. Un'adeguata formazione del personale medico in vista dell'utilizzo ottimale delle nuove tecnologie è indispensabile per il successo della loro introduzione. Il CESE fa presente che, malgrado i numerosi vantaggi delle nuove tecnologie, occorre sempre e comunque tenere conto dei rischi che esse comportano, ad esempio riguardo alla protezione dei dati. L'impiego delle nuove tecnologie deve essere orientato in funzione dei diversi sistemi sanitari nazionali. Esso può portare ad un adeguamento delle normative nazionali in materia di responsabilità riguardanti il corpo medico. Il CESE si domanda fino a che punto le diverse misure e i vari progetti pilota promossi dalla Commissione possano ostacolare la creazione di infrastrutture nazionali relative alle tecnologie dell'informazione, o addirittura contribuire al loro livellamento verso il basso.

3.11.   Ruolo dei lavoratori autonomi per il potenziamento della forza lavoro del settore sanitario

3.11.1.   In alcuni paesi dell'Unione europea gli operatori sanitari che lavorano in proprio, mettendo in pratica il principio dell'imprenditorialità, svolgono un ruolo importante nell'offerta di servizi sanitari negli Stati membri. Il Libro verde riconosce il ruolo delle libere professioni nel settore della sanità e la funzione che esse svolgono accanto al servizio pubblico. Spesso è proprio grazie ai liberi professionisti che si possono garantire servizi di assistenza e di cura alle persone in condizioni di competenza e sicurezza. Ciò nonostante il Comitato sottolinea che, nell'Unione europea, i liberi professionisti del settore sanitario hanno nella maggior parte dei casi acquisito le loro qualifiche in lunghi periodi di studio grazie all'impegno della collettività a favore dell'insegnamento pubblico gratuito. La società civile ha quindi il diritto di aspettarsi una contropartita (in termini di prezzi e di costi), e i suoi rappresentanti possono considerare solo con cautela l'auspicio espresso dalla Commissione al punto 6 del Libro verde, con cui essa sembra incoraggiare un incremento delle forme private di questa componente del sistema sanitario. Al tempo stesso, tuttavia, il CESE giudica in modo critico la sempre più marcata tendenza verso il lavoro autonomo fittizio in tutti i settori in cui tale fenomeno risulti problematico per l'attività in questione (ad esempio nell'assistenza ai malati ed agli anziani).

3.12.   La politica di coesione

3.12.1.   Il CESE è favorevole a un maggiore utilizzo dei fondi strutturali per la formazione e il perfezionamento del personale sanitario. Ad esempio, il problema della carenza di questo personale nelle regioni caratterizzate da ritardi strutturali potrebbe essere risolto introducendo e agevolando la formazione e il perfezionamento proprio in quelle regioni in cui il personale qualificato risulta più urgentemente necessario. Questa proposta si basa sulla constatazione che gli operatori sanitari tendono prevalentemente a stabilirsi nel luogo in cui hanno conseguito la qualifica. La politica di coesione potrebbe anche offrire un quadro per finanziare progetti pilota che affrontino i problemi in materia. Il CESE propone, inoltre, di mettere a disposizione le risorse dei fondi strutturali europei per migliorare le infrastrutture sanitarie nonché, eventualmente, per potenziare le capacità di comunicazione o mettere a punto nuovi standard di cura (evidence based medicine).

3.12.2.   Il Comitato segue con preoccupazione il dibattito, essenzialmente motivato da ragioni economiche, che coinvolge principalmente il settore manageriale e le categorie professionali interessate e che riguarda nuove ripartizioni dei compiti nel campo dei servizi sanitari, con l'obiettivo di sostituire l'attività medica esercitata da personale qualificato con alternative a minor costo. Una soluzione migliore sarebbe invece costituita da un migliore coordinamento, dall'ottimizzazione dei processi e dal collegamento in rete, unitamente a una flessibilizzazione della ripartizione dei compiti. In tale contesto il CESE ritiene di fondamentale importanza prevedere misure di qualifica adeguate per escludere un'eventuale diminuzione della qualità delle cure.

3.12.3.   Il CESE ritiene che la ripartizione delle qualifiche e delle professioni in funzione dei compiti dovrebbe avvenire tenendo conto dei seguenti criteri:

1.

esigenze mediche;

2.

formazione, descrizione delle funzioni e responsabilità;

3.

esigenze dei pazienti.

3.12.4.   Il CESE è del parere che, anche in questo periodo di crisi finanziaria, gli Stati membri debbano mostrarsi disponibili a fornire finanziamenti adeguati a favore dei loro sistemi sanitari (gestione finanziaria), in particolare anche per assicurarsi risorse umane sufficienti in grado di fornire servizi di qualità elevata, il che presuppone anche il miglioramento delle condizioni di lavoro degli addetti del settore.

3.13.   Partenariato sociale

3.13.1.   Il CESE sottolinea sia la funzione importante e la responsabilità delle parti sociali nella definizione delle condizioni di lavoro del personale sanitario, sia la grande diversità delle professioni sanitarie e rimanda ai lavori preliminari già realizzati dalle parti sociali in questo settore.

3.13.2.   Il cambiamento demografico, che porta ad una scarsità di nuove leve, non deve determinare un abbassamento dei livelli retributivi e delle qualifiche (corsa al ribasso). Il Comitato ritiene che gli Stati membri abbiano il dovere di assumersi la relativa responsabilità in materia.

3.13.3.   Il CESE accoglie con favore l'istituzione di un dialogo sociale nel settore ospedaliero europeo e osserva che il programma di lavoro concordato dai partner sociali copre tutte le questioni discusse nel Libro verde. Il CESE deplora pertanto che il Libro verde non faccia riferimento a tale processo.

3.13.4.   Il CESE sottolinea il ruolo importante del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro a prescindere dal genere.

3.13.5.   Le condizioni di lavoro particolari, che richiedono la disponibilità 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, rendono necessari meccanismi di compensazione specifici (pagamento degli straordinari e del lavoro notturno, compensazione sotto forma di tempo libero), per compensare le pressioni che gravano sul personale sanitario. In questo contesto il CESE giudica in modo assai critico i sempre maggiori incentivi concessi in numerosi Stati membri a favore del lavoro autonomo fittizio e la conseguente erosione della protezione sociale e dei diritti dei lavoratori.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (rifusione)

COM(2008) 815 def. — 2008/0244 (COD)

(2009/C 317/21)

Relatrice: LE NOUAIL-MARLIÈRE

Il Consiglio, in data 1o aprile 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (rifusione)

COM(2008) 815 def. - 2008/0244 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL MARLIÈRE.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1.   Preoccupato dell'appoggio implicito che un quadro eccessivamente restrittivo o scarsamente accogliente nei confronti dei richiedenti asilo rischia di dare ai regimi più autoritari e meno democratici, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva la rifusione e i miglioramenti apportati alla direttiva sulle norme relative all'accoglienza. Ribadisce tuttavia una serie di raccomandazioni formulate nei suoi precedenti pareri e, in particolare, nella risposta al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo  (1) e al futuro piano strategico sull'asilo (2).

Per quanto riguarda l'accoglienza dei richiedenti asilo, la proposta di rifusione della direttiva dovrebbe promuovere delle norme «comuni», non «minime», e prevedere delle clausole di salvaguardia delle norme applicate dagli Stati membri più rispettosi dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale, status di rifugiato o protezione sussidiaria, in particolare:

la garanzia dell'accesso al territorio,

la libertà di scelta del luogo in cui presentare la domanda di asilo e di protezione,

l'esame, in primo luogo, della qualifica prevista dalla convenzione e, in secondo luogo, della protezione sussidiaria se e soltanto se le condizioni richieste per la prima qualifica prevista dalla convenzione non vengono soddisfatte,

il non respingimento se la vita del richiedente è in pericolo nel suo paese di origine o nell'ultimo paese di transito,

il ricorso, con effetto sospensivo, contro i provvedimenti di espulsione fintantoché la decisione non venga pronunciata dal tribunale competente, al fine di rendere pienamente effettivo tale diritto di ricorso conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (cfr. infra, punto 4.8.1),

la protezione particolare di cui necessitano i minori o i presunti tali,

il rispetto dei diritti autonomi delle persone, e in particolare delle donne, di presentare domanda di protezione.

1.2.   Il Comitato auspica che, qualora si tratti di minori, si precisi in maniera sistematica che «il prevalente interesse del minore» va considerato con riferimento all'articolo 3-1 della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia (articolo 22, paragrafo 1).

1.3.   Il ricorso al trattenimento dovrebbe avvenire solo in ultima istanza, una volta che si siano esaurite le alternative, e mai prima che un tribunale competente abbia pronunciato una decisione in materia, nel rispetto del diritto alla difesa, conformemente alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

1.4.   Le ONG competenti e attive nell'ambito dei diritti dell'uomo dovrebbero sempre avere accesso ai richiedenti protezione, e questi ultimi devono sempre poter beneficiare di un'assistenza legale e umanitaria, prestata dagli Stati membri o dalle stesse ONG.

1.5.   Il Comitato incoraggia gli Stati membri ad accelerare i negoziati in vista dell'adozione, in codecisione con il Parlamento europeo, della rifusione in esame, che consentirà all'Unione europea di rafforzare la propria capacità di fare fronte con dignità alle domande di protezione dei richiedenti asilo che le vengono rivolte.

1.6.   Il Comitato approva la creazione di un «Ufficio europeo di sostegno» per gli Stati membri in materia di asilo e protezione internazionale, a condizione che esso consenta di ripartire più speditamente i rispettivi obblighi di accoglienza e protezione tra gli Stati membri e l'UE, di assicurare la trasparenza in materia di accoglienza dei richiedenti asilo e protezione internazionale, di sfruttare al meglio l'esperienza delle associazioni ed organizzazioni attive nel settore del sostegno e dell'assistenza ai richiedenti asilo o protezione internazionale, nonché di migliorare le procedure di valutazione dei singoli casi.

2.   Introduzione e sintesi del documento della Commissione

2.1.   Il regime comune europeo in materia di asilo (CEAS) si è sviluppato in due fasi distinte. La prima è iniziata con il Consiglio europeo di Tampere (1999), all'indomani dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam che ha conferito alle politiche di immigrazione e asilo una dimensione comunitaria, e si è conclusa nel 2005.

2.2.   Durante questa prima fase sono stati compiuti dei progressi per quanto concerne l'elaborazione di alcune direttive in materia di asilo, si è raggiunto un certo miglioramento nella cooperazione tra Stati membri e si sono realizzati passi avanti riguardo alla dimensione esterna dell'asilo.

2.3.   La seconda fase di costruzione del regime comune europeo di asilo è iniziata con l'attuazione del programma dell'Aia (approvato nel novembre 2004), in base al quale entro il 2010 dovranno essere conseguiti i principali obiettivi previsti da detto regime, attraverso l'adozione di strumenti e misure volti a garantire una più ampia armonizzazione e un miglioramento delle norme di protezione in vista dell'introduzione del CEAS.

2.4.   Come presupposto per nuove iniziative, nel 2007 la Commissione ha pubblicato un Libro verde  (3) allo scopo di avviare un dibattito tra le diverse istituzioni, gli Stati membri e la società civile (4); sulla base di questo documento la Commissione ha in seguito adottato un piano strategico sull'asilo. Tale piano stabiliva una tabella di marcia per gli anni a venire ed elencava le misure che la Commissione intendeva adottare per completare la seconda fase del CEAS.

2.5.   È in questo contesto che va inquadrata la direttiva (adottata dal Consiglio il 27 gennaio 2003 e in merito alla quale il CESE aveva elaborato un parere (5)) di cui la Commissione propone la rifusione in esame.

2.6.   Il principale obiettivo della proposta in esame è stabilire norme più elevate di trattamento in materia di condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, per garantire a questi ultimi un livello di vita dignitoso in conformità con quanto stabilito nel diritto internazionale. Essa prevede altresì un'ulteriore armonizzazione delle disposizioni nazionali sulle condizioni di accoglienza per limitare il fenomeno dei movimenti secondari dei richiedenti asilo fra Stati membri, nella misura in cui tali movimenti sono provocati dalla coesistenza di politiche nazionali di accoglienza divergenti tra loro.

2.7.   La proposta estende il campo di applicazione della direttiva alla protezione sussidiaria e ne stabilisce l'applicabilità a tutti i tipi di procedura d'asilo e a tutte le strutture e le aree geografiche che ospitano richiedenti asilo.

La proposta mira inoltre ad agevolare l'accesso al mercato del lavoro. Essa prevede infatti che i richiedenti asilo possano accedere all'occupazione dopo al massimo sei mesi a decorrere dalla presentazione della domanda di protezione internazionale e precisa che le condizioni nazionali di accesso al mercato del lavoro non devono limitare indebitamente l'ingresso dei richiedenti asilo in quel mercato.

2.8.   Per fare in modo che l'accesso alle condizioni materiali di accoglienza assicuri «una qualità di vita adeguata per la salute ed il sostentamento dei richiedenti asilo», la proposta obbliga gli Stati membri a tenere conto del livello di assistenza sociale garantito ai propri cittadini quando assegnano un aiuto finanziario ai richiedenti asilo.

2.9.   La proposta garantisce che il ricorso al trattenimento sarà autorizzato soltanto in casi eccezionali indicati nella direttiva.

2.10.   La proposta garantisce inoltre che ai richiedenti asilo trattenuti sia riservato un trattamento umano e dignitoso nel rispetto dei loro diritti fondamentali e della normativa nazionale ed internazionale.

2.11.   La proposta prescrive che siano prese misure nazionali per individuare immediatamente le esigenze particolari dei richiedenti asilo.

Inoltre, essa prevede numerose garanzie per assicurare che le condizioni di accoglienza siano specificamente intese a soddisfare le esigenze particolari dei richiedenti asilo.

2.12.   Per quanto riguarda l'attuazione e il miglioramento dei sistemi nazionali, la proposta contiene varie norme intese ad assicurare un monitoraggio costante e a rafforzare il ruolo della Commissione in quanto custode del diritto dell'Unione.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1.   Il Comitato approva i miglioramenti che le proposte della Commissione intendono apportare alle condizioni di accoglienza delle persone alla ricerca di protezione internazionale. Esso condivide inoltre la volontà di armonizzare le disposizioni nazionali e di estendere il campo di applicazione della direttiva alla protezione sussidiaria. Tuttavia ribadisce la necessità di esaminare sempre caso per caso la situazione personale di ogni richiedente, anche nella fase della determinazione della competenza dello Stato membro in vista dell'esame completo della richiesta, e di considerare la protezione sussidiaria solo se le condizioni richieste per la prima qualifica prevista dalla convenzione (status di rifugiato) non vengono soddisfatte.

3.2.   Il CESE sostiene l'obiettivo di garantire un livello di vita dignitoso a coloro che chiedono protezione e di agevolarne l'integrazione nel paese di accoglienza (6), nonché la realizzazione concreta di tale obiettivo mediante l'accesso al mercato del lavoro dopo al massimo sei mesi e senza che le condizioni nazionali di accesso al mercato del lavoro possano imporre delle restrizioni indebite (art. 15, par. 2). In questo modo si garantirebbe il rispetto assoluto dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo o protezione internazionale che discendono dal diritto positivo stabilito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 23, paragrafo 1) (7), dal Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (articoli 2, 9, 10, 11 e 12), dalla Convenzione n. 118 dell'OIL concernente l'uguaglianza del trattamento dei nazionali e dei non nazionali in materia di sicurezza sociale, dalla Carta sociale europea, dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati (8). Approva inoltre il livello di assistenza sociale previsto, la differenziazione delle condizioni di alloggio in funzione dei bisogni specifici delle persone, nonché la definizione più ampia dei vincoli familiari del richiedente e l'indicazione che occorre tenerne debitamente conto nell'esame della richiesta.

3.3.   Per quanto riguarda i principi generali e i riferimenti internazionali su cui si basano il riconoscimento e la difesa dei diritti fondamentali delle persone in situazioni di emergenza e il trattenimento di coloro che richiedono protezione internazionale, in virtù della Convenzione di Ginevra e nella fattispecie dell'articolo 26 sulla libertà di circolazione e dell'articolo 31 sui rifugiati che soggiornano irregolarmente nel paese ospitante (9), come ricordato dalla Commissione stessa al punto 16 della Relazione, nessuno può essere trattenuto per il solo fatto di chiedere protezione internazionale. Di conseguenza, il trattenimento deve essere previsto solo in caso di necessità assoluta e debitamente giustificata: esso non va considerato una pratica accettabile in circostanze che non siano da ricondurre ad un disegno fraudolento o dilatorio del richiedente.

3.4.   Per quanto riguarda i minori, il Comitato approva le misure raccomandate dalla direttiva per rispondere alle loro esigenze specifiche. Osserva tuttavia che il riferimento alla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia del 1989 risulterebbe più preciso se, oltre all'articolo 37 (10), si facesse sistematicamente riferimento all'articolo 3-1 (11) senza limitarsi al concetto di «interesse superiore del fanciullo» il quale, ed è ben noto, può dare adito a interpretazioni divergenti.

3.5.   Infine, il Comitato riserva una particolare attenzione all'introduzione sistematica di mezzi di ricorso di cui i richiedenti o i rifugiati possono avvalersi contro le decisioni giudiziarie o amministrative che li riguardano. Osserva tuttavia che, per essere pienamente efficace, tale ricorso deve sempre avere effetto sospensivo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Informazione (capo II - articolo 5)

4.1.1.   Il Comitato raccomanda di aggiungere il seguente testo: «Gli Stati membri informano i membri della famiglia del richiedente asilo in merito alla possibilità di presentare una domanda separata».

4.2.   Trattenimento e condizioni di trattenimento (capo II - articoli da 8 a 11)

Secondo il Comitato, la norma generale per il trattamento dei richiedenti asilo deve ispirarsi all'articolo 7 del progetto di direttiva in cui si afferma il principio della libertà di circolazione delle persone e la necessità di privilegiare le soluzioni alternative al trattenimento.

4.2.1.1.   Ciò significa che si può ricorrere al trattenimento (articolo 8) solo in circostanze eccezionali, vale a dire:

se la domanda di asilo viene presentata quando al richiedente sia già stato notificato un provvedimento di espulsione,

nel contesto di un procedimento volto a stabilire se il richiedente abbia il diritto di entrare nel territorio, nel caso di trattenimento o di assegnazione a una zona di attesa.

4.2.1.2.   A giudizio del Comitato, fatti salvi i due casi di cui sopra, nessun richiedente può essere trattenuto e in nessun caso un'eventuale decisione relativa al trattenimento di un richiedente può essere giustificata dalla necessità di «determinarne, accertarne o verificarne l'identità o la cittadinanza», e tanto meno di «determinare gli elementi su cui si basa la domanda di asilo, che potrebbero altrimenti andare perduti».

4.2.1.3.   Il CESE propone di modificare come segue il testo dell'articolo 9, paragrafo 5, della rifusione: «Il provvedimento di trattenimento è riesaminato d'ufficio da un'autorità giudiziaria ad intervalli ragionevoli e su richiesta del richiedente asilo qualora si verifichino circostanze o si rendano disponibili nuove informazioni che mettono in discussione la legittimità del provvedimento».

4.2.2.   Il CESE ritiene che le condizioni di trattenimento debbano garantire un trattamento umano con rispetto della dignità inerente alla persona. Per quanto riguarda le condizioni di trattenimento (articolo 10) in centri appositi diversi dagli istituti penitenziari, appare legittimo che il raggruppamento del richiedente asilo con cittadini che non hanno presentato domanda di asilo non possa avvenire senza il consenso scritto dell'interessato (articolo 10, paragrafo 1).

Inoltre, alla luce delle diverse forme di trattenimento applicate dai vari paesi dell'UE, va ricordato che l'ACNUR ed altre organizzazioni hanno la possibilità di comunicare con i richiedenti e rendere loro visita in tutti i centri di trattenimento (articolo 10, paragrafo 2); la stessa terminologia va utilizzata nell'articolo 10, paragrafo 3.

4.2.3.1.   Inoltre, anche per quanto riguarda la proposta di rifusione del regolamento di Dublino 2 Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide  (12), il Comitato raccomanda che al richiedente protezione internazionale vengano notificate le informazioni di cui all'articolo 10, paragrafo 3, nella propria lingua o in una lingua che riconosce di comprendere, anche tramite un interprete giurato o una traduzione asseverata.

4.2.4.   Per motivi di omogeneità del testo, l'espressione «richiedenti asilo» deve essere sostituita da «richiedenti protezione internazionale» (articolo 11, paragrafo 4).

4.2.5.   Il CESE accoglie con favore il divieto di trattenere i minori non accompagnati (articolo 11, paragrafo 1, della rifusione) nonché la conferma del principio per cui le persone con particolari esigenze non dovrebbero essere trattenute (articolo 11, paragrafo 5, della rifusione).

4.3.   Scolarizzazione dei minori, lavoro e formazione professionale (capo II - articoli da 14 a 16)

Il progetto di direttiva intende facilitare e accelerare l'integrazione dei richiedenti nei rispettivi paesi di accoglienza. La scolarizzazione dei minori, l'accesso all'occupazione e la formazione professionale sono fattori che contribuiranno alla realizzazione di questo obiettivo.

4.3.1.1.   A tale scopo, il CESE reputa importante rinviare il meno possibile l'integrazione dei minori nel sistema educativo, considera il termine di «tre mesi» inutilmente lungo e reputa che vi sarebbe tutto da guadagnare se fosse ridotto a due mesi (articolo 14, paragrafo 2).

Il Comitato approva l'iniziativa della Commissione di permettere ai richiedenti asilo di accedere al mercato del lavoro dopo al massimo sei mesi. Ritiene tuttavia necessario ridurre il margine di interpretazione dell'articolo 15, paragrafo 1, precisando che «Gli Stati membri garantiscono l'effettivo accesso dei richiedenti al mercato del lavoro», il che presuppone l'accesso delle persone in cerca di lavoro ai servizi sociali di assistenza.

4.3.2.1.   Il Comitato riconosce che i dispositivi di accoglienza possono andare a vantaggio sia dello Stato ospitante che del richiedente asilo, laddove forniscano a quest'ultimo l'opportunità di raggiungere un certo livello di autonomia.

4.3.3.   Facendo presente il proprio parere (13) sulla prima direttiva in materia di accoglienza, il Comitato insiste sul fatto che: «La formazione va offerta con la massima ampiezza ai cittadini dei paesi terzi affidati alle cure di uno Stato membro. Questa considerazione è dettata da due ragioni. Anzitutto, qualsiasi formazione impartita a tali persone si ripercuoterà positivamente sullo sviluppo del loro paese d'origine nel caso in cui vi facciano ritorno. (…) In secondo luogo, nel caso in cui tali persone rimangano in uno Stato membro, il loro successivo accesso al mercato del lavoro sarà agevolato dalla formazione ricevuta». A tale scopo ritiene necessario limitare il margine di interpretazione dell'articolo 16 da parte degli Stati membri adottando una formulazione più diretta e completa, vale a dire: «Gli Stati membri autorizzano e organizzano l'accesso dei richiedenti asilo alla formazione professionale indipendentemente dal fatto che abbiano accesso al mercato del lavoro».

4.4.   Disposizioni generali relative alle condizioni materiali di accoglienza e all'assistenza sanitaria (articolo 17)

4.4.1.   Il Comitato raccomanda di precisare che le norme continuano ad applicarsi durante le procedure di ricorso.

4.4.2.   Il CESE approva l'articolo 17, paragrafo 5, della rifusione che dovrebbe innalzare gli standard dell'accoglienza materiale in quegli Stati membri che offrono attualmente un livello insufficiente.

4.5.   Riduzione o revoca delle condizioni materiali di accoglienza (capo III - articolo 20)

4.5.1.   Il Comitato esprime preoccupazione per l'adozione di questa misura qualora il richiedente asilo «abbia già presentato una domanda nel medesimo Stato membro». In effetti, la pratica dimostra che una prima domanda può essere seguita da una domanda di riesame giustificata dalla presentazione di informazioni complementari sulla situazione del richiedente o dalla presentazione di documenti supplementari. La disposizione in questione, quindi, penalizzerebbe notevolmente il richiedente, che si vedrebbe escluso dal sistema materiale di accoglienza. Di conseguenza il CESE ne chiede la soppressione (articolo 20, paragrafo 1, lettera c)).

Il provvedimento appare inoltre in contraddizione con lo spirito del progetto di rifusione della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale  (14) e delle relative disposizioni.

4.5.2.   Il Comitato accoglie con favore le proposte intese a ridurre la possibilità di revocare le condizioni di accoglienza (articolo 20, paragrafo 2, della rifusione) e a rafforzare la disposizione volta a garantire condizioni materiali minime di accoglienza a tutti i richiedenti asilo (articolo 20, paragrafo 4, della rifusione).

4.6.   Disposizioni a favore di persone portatrici di esigenze particolari (capo IV - articoli da 21 a 24)

Il Comitato auspica che, qualora si tratti di minori, si precisi in maniera sistematica che «il prevalente interesse del minore» va considerato con riferimento all'articolo 3-1 della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia (articolo 22, paragrafo 1).

4.7.   Vittime di tortura e di violenza (articolo 24)

4.7.1.   Il Comitato raccomanda che le vittime di tortura o di violenza e le persone affette da problemi di salute fisica e mentale siano seguite in un centro ospedaliero adeguato.

4.7.2.   In caso di necessità deve essere loro consentito l'accesso a centri specializzati. Il personale sanitario generico e specialistico deve avere accesso ai centri di accoglienza o di trattenimento, e i richiedenti protezione internazionale devono poter beneficiare di una diagnosi e di cure specifiche da parte di personale sanitario competente e riconosciuto come tale nel sistema sanitario generale in vigore nello Stato membro.

4.7.3.   Benché la Commissione non abbia proposto emendamenti all'articolo 13, ai sensi del quale gli Stati membri possono disporre che i richiedenti siano sottoposti ad esame medico per ragioni di sanità pubblica, il Comitato vorrebbe ricordare che sottoporre le persone ad un test AIDS/HIV obbligatorio viola tutta una serie di diritti umani, in particolare il diritto al rispetto della vita privata (15). La somministrazione del test non dovrebbe quindi costituire un presupposto per consentire l'ingresso nel territorio o l'avvio delle procedure di asilo di persone richiedenti protezione internazionale. Più in generale, l'esame medico dovrebbe essere accompagnato da un'adeguata informazione in una lingua compresa dal richiedente (cfr. punto 4.2.3.1). Si dovrebbero inoltre offrire delle garanzie in termini di consenso dell'interessato, sostegno socio-psicologico e rispetto della riservatezza dei dati raccolti, ma anche assicurare un seguito e un trattamento adeguati sul piano sanitario.

4.8.   Mezzi di ricorso (capo V - articolo 25)

4.8.1.   Il Comitato appoggia la nuova disposizione per cui gli Stati devono assicurare l'accesso all'assistenza legale ai richiedenti asilo (articolo 25, paragrafo 2). Ritiene tuttavia necessario precisare che il ricorso ha effetto sospensivo (articolo 25, paragrafo 1), altrimenti si rischia di privarlo del suo carattere operativo (16).

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. il parere del CESE del 12 marzo 2008 in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo, relatrice: Le Nouail Marlière (GU C 204 del 9.8.2008).

(2)  Cfr. il parere del CESE del 25 febbraio 2009 in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Piano strategico sull'asilo: un approccio integrato in materia di protezione nell'Unione europea, relatore: Pariza Castaños, correlatrice: Bontea (GU C 218 dell’11.9.2009).

(3)  COM(2007) 301 def. del 6 giugno 2007.

(4)  A questo proposito il CESE ha espresso la propria posizione nel parere in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo, del 12 marzo 2008, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 204 del 9.8.2008).

(5)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, del 28 novembre 2001, relatore: Mengozzi, correlatore: Pariza Castaños (GU C 48 del 21.2.2002).

(6)  Idem.

(7)  «Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione».

(8)  Adottata nel 1951.

(9)  Convenzione di Ginevra, articolo 31: «Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali per ingresso o soggiorno irregolare a quei rifugiati che, provenienti direttamente dal paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata nel senso previsto dall'articolo 1, entrano o si trovano sul loro territorio senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità ed espongano ragioni ritenute valide per il loro ingresso o la loro presenza irregolari.»

(10)  L'articolo 37 fa riferimento in modo particolare al trattenimento.

(11)  Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, articolo 3-1: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

(12)  Cfr. pagina 115 della presente Gazzetta ufficiale.

(13)  Cfr. nota 3 e direttiva 2003/9/CE.

(14)  Cfr. nota 12.

(15)  Come stabilito, tra l'altro, all'articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

(16)  Sentenza Gebremedhin/Francia; Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), del 26 aprile 2007: Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d'Europa, 1950, articolo 3 e articolo 13, natura irreversibile del danno che può essere causato in caso di realizzazione del rischio di tortura o maltrattamento, ricorso con pieno effetto sospensivo, punti 66 e 67. http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=816069&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/115


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)

COM(2008) 820 def. — 2008/0243 (COD)

(2009/C 317/22)

Relatrice: LE NOUAIL-MARLIÈRE

Il Consiglio, in data 1o aprile 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)

COM(2008) 820 def. - 2008/0243 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL MARLIÈRE.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 6 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1.   Il Comitato accoglie con favore l'evoluzione che la Commissione propone di dare al regolamento detto «Dublino II» per rendere più efficace il sistema, assicurarsi che nell'applicazione della procedura siano rispettati i diritti di tutte le persone bisognose di protezione internazionale e per risolvere quelle situazioni di alcuni Stati membri che presentano difficoltà nelle capacità di accoglienza che non permettono loro di garantire il necessario livello di protezione.

1.2.   Il Comitato approva e sostiene la volontà di garantire un accesso effettivo alla procedura di domanda di asilo e l'introduzione dell'obbligo per ogni Stato membro di effettuare una valutazione completa delle esigenze di protezione dei richiedenti trasferiti nel suo territorio.

1.3.   Il Comitato prende atto dei progressi contenuti nella proposta della Commissione per garantire norme di protezione più elevate, in particolare per mezzo di una migliore informazione ai richiedenti asilo sullo stato della procedura di esame della loro domanda; esprime tuttavia alcune riserve riguardo all'aspetto linguistico e alla lingua nella quale vengono date le informazioni sullo status della domanda o del trasferimento. Considerato che queste informazioni hanno valore di notifica e implicano diritti di ricorso e determinate scadenze, il richiedente protezione internazionale dovrebbe infatti ricevere la notifica sempre nella sua lingua o in una lingua che riconosce di comprendere, anche attraverso un interprete giurato o una traduzione asseverata e un difensore designato d'ufficio dai tribunali o scelto dal richiedente.

1.4.   I richiedenti protezione internazionale dovrebbero beneficiare d'ufficio di difesa e di assistenza legale gratuite.

1.5.   Il Comitato apprezza l'estensione delle clausole umanitarie a clausole discrezionali, ma auspica che ne sia precisato il quadro di applicazione affinché le clausole discrezionali e di sovranità non si trasformino in modo tale da ledere l'interesse e la protezione dei richiedenti asilo.

1.6.   Il Comitato sottolinea la necessità che la situazione di ogni richiedente sia sempre esaminata individualmente, anche nella fase di determinazione della competenza dello Stato membro per l'esame esaustivo della domanda, e che la protezione sussidiaria sia presa in considerazione solo e soltanto se non sono soddisfatte le condizioni del primo status (di rifugiato) previsto dalle convenzioni.

1.7.   Il Comitato raccomanda ancora una volta agli Stati membri e all'Unione europea di non utilizzare gli elenchi di paesi terzi cosiddetti sicuri finché non sarà definito un elenco comune per tutti gli Stati membri, sottoposto alle ONG attive nel campo dei diritti umani, al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali, specialmente nella fase di determinazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda.

1.8.   Il Comitato si rammarica che il trattenimento dei richiedenti asilo non sia dichiarato pratica inaccettabile, a meno che non sia ordinato da un'autorità giudiziaria.

1.9.   Il Comitato auspica che, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, i «ricorsi» siano considerati sistematicamente come «sospensivi ai fini del rimpatrio forzato o del cosiddetto rimpatrio volontario».

1.10.   Il Comitato raccomanda di valorizzare l'esperienza delle ONG attive nel campo dei diritti umani consentendo loro di accedere ai richiedenti protezione internazionale e dando ai richiedenti asilo la possibilità di essere assistiti; raccomanda altresì agli Stati membri di utilizzare le competenze di tali organizzazioni facendole partecipare eventualmente ai programmi di formazione destinati agli agenti incaricati di esaminare le richieste di protezione, anche nella fase cruciale della determinazione dello Stato membro competente, e di tenere conto della dimensione locale permettendo agli enti regionali e locali di ricorrere all'aiuto e al sostegno delle ONG competenti.

1.11.   Il Comitato raccomanda agli Stati membri di essere più attivi contro i criminali responsabili della tratta di esseri umani, di ratificare gli strumenti internazionali di lotta contro la criminalità, compresi i due protocolli aggiuntivi alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, di radiare dal proprio elenco di paesi terzi sicuri quei paesi che non hanno ratificato questi strumenti, come anche la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, di assicurare la protezione e di sollevare dall'azione giudiziaria le vittime del traffico e della tratta di esseri umani, rispettando meglio i loro diritti alla protezione internazionale quando esse chiedono asilo e protezione e ciò dal momento in cui gli agenti delle autorità pubbliche ne vengono a conoscenza, nonché di assicurare a questi ultimi una formazione conforme ai loro compiti.

1.12.   Riservatezza e gestione dei dati personali

Il Comitato accoglie con favore le proposte volte ad assicurare un maggior grado di sicurezza dei dati inseriti nel sistema Eurodac (COM(2008) 825 def.), come pure l'introduzione dell'obbligo per ogni Stato membro di adottare un piano di sicurezza finalizzato a proteggere fisicamente i dati personali, a negare l'accesso alle persone non autorizzate e a impedire, tra l'altro, che i dati possano essere utilizzati, letti, copiati o inseriti senza autorizzazione (1). La particolare vulnerabilità dei richiedenti asilo rispetto ai pericoli che potrebbero derivare dalla diffusione di dati personali impone l'applicazione di elevati requisiti di riservatezza e di sicurezza.

Il Comitato è favorevole anche ad altre disposizioni volte ad assicurare la «gestione più efficace della cancellazione di dati» per il fatto che esse eviteranno che le informazioni sensibili rimangano memorizzate nella banca dati più del necessario, in particolare dopo il rilascio del permesso di soggiorno o dopo che il richiedente asilo non sia più nel territorio degli Stati membri.

1.13.   Protezione dei rifugiati nei paesi terzi vicini dell'UE

Il Comitato esorta l'UE a non delegare il trattamento e l'esame individuale delle domande di asilo a paesi che non hanno ratificato la Convenzione internazionale relativa allo status dei rifugiati (2) o il suo protocollo aggiuntivo (3).

2.   Introduzione e sintesi della proposta della Commissione

2.1.   Il sistema comune europeo di asilo (CEAS) si è sviluppato in due fasi distinte. La prima è cominciata con il Consiglio europeo di Tampere (1999), dopo l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam che ha conferito alle politiche di immigrazione e asilo una dimensione comunitaria, e si è conclusa nel 2005.

2.2.   Questa prima fase ha permesso l'elaborazione di una serie di direttive in materia di asilo e ha posto le premesse di una certa cooperazione tra gli Stati membri.

2.3.   La seconda fase di costruzione del sistema comune europeo di asilo è iniziata con il programma dell'Aia (adottato nel novembre 2004), che stabilisce la scadenza del 2010 per il raggiungimento dei principali obiettivi di detto sistema, mediante l'adozione di strumenti e misure tesi a una maggiore armonizzazione e a un miglioramento delle norme di protezione ai fini di un regime comune europeo di asilo.

2.4.   Come presupposto per nuove iniziative, nel 2007 la Commissione ha pubblicato un Libro verde  (4) sottoposto alle diverse istituzioni europee, agli Stati membri e alla società civile (5); sulla base di questo documento la Commissione ha in seguito adottato un piano strategico sull'asilo. Tale piano elenca le misure che la Commissione intende mettere in atto per completare questa seconda fase del CEAS.

2.5.   Il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (di seguito «regolamento Dublino» (6)), di cui la Commissione propone la rifusione, è stato oggetto di un parere del CESE (7).

2.6.   La rifusione in esame ambisce innanzitutto a migliorare l'efficienza del sistema e a garantire norme di protezione più elevate alle persone soggette alla procedura Dublino, che mira essenzialmente a determinare lo Stato membro competente per l'esame individuale di una domanda di asilo o di protezione sussidiaria, di protezione internazionale ai sensi della Convenzione di Ginevra (1965), del Protocollo di New York (1967) e delle direttive «accoglienza» 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 e «qualifiche» 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, anch'esse in corso di rifusione. Nel contempo, essa intende anche contribuire ad affrontare meglio le situazioni di particolare pressione sui sistemi di accoglienza degli Stati membri.

2.7.   Essa conferma i principi sottesi al vigente regolamento Dublino, in particolare quello per cui la competenza per l'esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primis sullo Stato membro che ha svolto il ruolo maggiore in relazione all'ingresso o al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo alcune eccezioni mirate a proteggere l'unità del nucleo familiare.

2.8.   Essa mantiene la parte essenziale degli obblighi reciproci degli Stati membri e le disposizioni che definiscono gli obblighi di questi nei confronti dei richiedenti asilo soggetti alla procedura Dublino, nella misura in cui queste disposizioni incidano sul corso della procedura fra gli Stati membri o siano necessarie per assicurare la coerenza con altri strumenti in materia di asilo. Migliorando le garanzie procedurali esistenti per una maggiore protezione, le nuove disposizioni sono volte unicamente a rispondere meglio alle esigenze particolari dei richiedenti soggetti alla procedura, evitando di creare lacune nella loro protezione.

Allo scopo di renderlo conforme alla direttiva «qualifiche» 2004/83/CE, la proposta di rifusione in esame estende il campo di applicazione del regolamento per comprendere anche i richiedenti (e i beneficiari di) protezione sussidiaria, mentre il regolamento (CE) n. 343/2003 originario includeva solo i richiedenti asilo, e migliora alcune disposizioni per garantire il buon funzionamento della procedura e del sistema di determinazione della competenza di ogni Stato membro, potenziando le garanzie giuridiche per i richiedenti protezione internazionale e consentendo loro di difendere meglio i loro diritti.

Inoltre, la proposta accresce l'importanza delle misure destinate a preservare l'unità familiare e a proteggere i minori non accompagnati e «altri gruppi vulnerabili».

Infine, per evitare che, in casi di particolare pressione su alcuni Stati membri che presentano capacità limitate di accoglienza e assorbimento, i trasferimenti ai sensi della procedura Dublino aggravino la situazione, è inserita nel regolamento una nuova procedura che consente la sospensione dei trasferimenti a titolo di tale procedura.

3.   Osservazioni generali

3.1.   Questa proposta, che fa parte di un insieme di misure annunciate nel piano d'azione in materia di asilo in vista dell'applicazione del regime comune europeo di asilo (8), rientra nel quadro dell'armonizzazione auspicata dal Comitato e tiene in considerazione le lacune messe in evidenza al momento della consultazione in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo. Va però constatato che essa non rimette in discussione il principio che prevede la competenza per l'esame della domanda di asilo, salvo eccezioni, dello Stato membro che ha svolto il ruolo maggiore in relazione all'ingresso o al soggiorno del richiedente asilo, principio che la Commissione stessa si propone di modificare più sostanzialmente senza precisare scadenze (sintesi della valutazione d'impatto SEC(2008) 2962/2963-2, capitolo Monitoraggio e valutazione, terzo paragrafo), basando la determinazione della competenza in funzione del luogo in cui è introdotta la domanda (COM(2008) 820 def., Consultazione delle parti interessate, paragrafo 3).

3.2.   Il Comitato nota che la posizione adottata dalla Commissione sembra la stessa difesa dalla maggioranza degli Stati membri, ma ricorda di essersi pronunciato fermamente, dopo il 2001, perché il richiedente asilo possa scegliere il «Paese al quale rivolgere la domanda, tenendo conto delle implicazioni culturali e sociali (…) determinanti per una più rapida integrazione» (9). Osserva inoltre che sul futuro sistema comune di asilo (10) la sua posizione è sostenuta anche da «numerose organizzazioni della società civile» e dallo stesso Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).

3.3.   Una volta formulata tale riserva sul principio, il Comitato approva il fatto che sia prevista una nuova procedura per sospendere i trasferimenti a titolo del regolamento Dublino verso uno Stato membro competente che subirebbe pressioni supplementari.

3.4.   Il CESE osserva che tali misure traducono in pratica l'intenzione di una migliore garanzia giuridica e procedurale per il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo.

3.5.   Il Comitato si rammarica che il trattenimento dei richiedenti asilo non sia dichiarato pratica inaccettabile - tranne che nei casi in cui siano stabilite in via giudiziaria un'intenzione fraudolenta e una manovra dilatoria del richiedente asilo -, e venga previsto sì per casi cosiddetti «eccezionali», ma secondo criteri di valutazione che lasciano un margine di discrezionalità troppo ampio agli Stati membri coinvolti, obbligando i difensori dei richiedenti a ricorrere a numerose e lunghe procedure.

3.6.   Il CESE approva la sistematizzazione del principio di ricorso contro qualsiasi decisione, in special modo quelle che porterebbero al «trasferimento»; ritiene che tali ricorsi debbano essere definiti «sospensivi» al fine di assicurare il loro pieno effetto di garanzia del diritto, in conformità con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Sui considerando

4.1.1.   In merito all'integrità del nucleo familiare (12): il trattamento congiunto delle domande d'asilo dei membri di una stessa famiglia non dovrebbe mirare solo a consentire «di non separare i membri di una stessa famiglia», ma dovrebbe avere l'obiettivo di garantire la riunificazione familiare delle persone richiedenti protezione internazionale, nel rispetto dei diritti autonomi di ogni richiedente e in special modo di quelli delle donne.

4.1.2.   Il CESE sostiene con forza la proposta che ogni Stato membro possa derogare ai criteri di competenza, soprattutto per motivi umanitari (14).

4.1.3.   Il diritto di ricorso in materia di trasferimento verso lo Stato membro competente (16, 17) deve essere qualificato come sospensivo, altrimenti si rischia di contraddirne l'obiettivo di efficacia (11).

4.1.4.   In applicazione della Convenzione di Ginevra, il trattenimento dei richiedenti asilo (18) è previsto soltanto in «circostanze eccezionali». Tali circostanze però, contrariamente al testo proposto, non sono definite qui con precisione. Il Comitato ritiene che dovrebbe essere previsto il trattenimento di un richiedente asilo soltanto se questi abbia presentato la domanda dopo essergli stato notificato un provvedimento di allontanamento.

4.2.   Sull'oggetto e le definizioni (capo I, articoli 1 e 2)

4.2.1.   Il Comitato esprime dubbi sulla pertinenza dell'introduzione del «rischio di fuga» (articolo 2, lettera l)) nella serie di definizioni, dal momento che tale concetto viene utilizzato in seguito nel testo di rifusione del regolamento al fine di determinare i casi di «trattenimento». In ogni caso, è necessario limitare i «motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge» che permettono di ipotizzare il rischio di fuga di una persona oggetto di una decisione di trasferimento, precisando che tali motivi devono essere stati giudicati da un tribunale competente nel rispetto dei diritti della difesa, in conformità alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

4.3.   Sui principi generali e le garanzie (capo II, articoli 3-6)

Diritto all'informazione

4.3.1.   Il richiedente asilo deve venire informato del suo diritto di«impugnare una decisione di trasferimento» e disporre di informazioni sui mezzi per farlo, e non solo essere informato dell'esistenza di questa possibilità (articolo 4, paragrafo 1, lettera e)).

4.3.2.   Il Comitato ritiene che limitarsi a prevedere che le informazioni «vengono fornite per iscritto al richiedente in una lingua che ragionevolmente si suppone a lui comprensibile» conferisca ai rappresentanti delle autorità un potere di valutazione quando non è possibile garantire che dispongano di competenze linguistiche sufficienti per esercitarlo (articolo 4, paragrafo 2). Auspica che si precisi che le informazioni debbano essere fornite in una lingua che il richiedente riconosca di comprendere.

Garanzie in favore dei minori

4.3.3.   Se la considerazione del «prevalente interesse del minore» deve costituire un criterio fondamentale nell'attuazione delle procedure (articolo 6, paragrafo 1), è opportuno precisare espressamente che ciò è in conformità dell'articolo 3, paragrafo 1 della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, in modo tale che questa considerazione possa essere invocata giuridicamente davanti al giudice.

Parenti a carico (articolo 11, paragrafo 1)

4.3.4.   Per rendere omogeneo il testo, è opportuno sostituire l'espressione «richiedente asilo» con quella di «richiedente protezione internazionale».

4.3.5.   La necessità che il richiedente formuli per iscritto il desiderio è una richiesta tale da limitare la capacità di espressione del richiedente, il che è in contraddizione con lo spirito del testo. Sarebbe più giusto precisare che tale domanda può essere formulata in qualsiasi forma che permetta alle autorità di registrarla (per iscritto, nel corso di un colloquio, in un questionario).

Sulle clausole discrezionali (capo IV, articolo 17)

4.3.6.   Il Comitato approva il fatto che «l'eventuale decisione di rifiuto della richiesta [da parte dello Stato cui si presenta richiesta di presa in carico] deve essere motivata» (articolo 17, paragrafo 2, 3o comma), e ritiene che si dovrebbe egualmente precisare che, «in assenza di una risposta entro un limite di due mesi, lo Stato in questione diviene competente per l'esame della domanda».

Sulle procedure di presa in carico e ripresa in carico (capo VI, articoli 20-31)

4.3.7.   Il Comitato invita gli Stati membri a formulare quanto prima la richiesta di ripresa in carico (articolo 23, paragrafo 2) e in ogni caso entro il termine raccomandato dalla Commissione (due mesi nel caso di Eurodac e tre mesi in tutti gli altri casi).

4.3.8.   La volontà di dare al richiedente l'informazione più completa e comprensibile possibile non può esaurirsi in una notifica data «in una lingua che ragionevolmente si suppone comprensibile all'interessato» (articolo 25, paragrafo 1). Nelle stesse condizioni che per l'articolo 4, paragrafo 2, il Comitato auspica che venga precisato che tale notifica sia fatta in una lingua che il richiedente riconosca di comprendere.

Precisare che il ricorso è sospensivo (articolo 25, paragrafo 2 e articolo 26, paragrafo 1), come già richiesto sopra (considerando 16 e 17):

4.3.9.   Al Comitato pare contraddittorio promuovere il diritto al ricorso (sospensivo) per il richiedente raggiunto da una decisione di trasferimento e, al tempo stesso, prevedere che l'interessato potrebbe non essere autorizzato a rimanere sul territorio in attesa dell'esito del procedimento o della richiesta di revisione (articolo 26, paragrafo 3 e 4).

4.3.10.   Al fine di sostenere il principio che discende dalla Convenzione di Ginevra, secondo il quale nessuno Stato può trattenere una persona per il solo motivo che questa sia un richiedente protezione internazionale (articolo 27, paragrafo 1), il Comitato suggerisce di spostare l'articolo 27, paragrafo 3 prima dell'articolo 27, paragrafo 2 in modo tale da valorizzare le soluzioni alternative al trattenimento.

4.3.11.   Il Comitato apprezza che venga specificato esplicitamente che solo i minori accompagnati possono eventualmente essere trattenuti (articolo 27, paragrafo 10).

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. articolo 19, COM(2008) 825 def.

(2)  Ginevra 1951.

(3)  New York 1967.

(4)  COM(2007) 301 def., pubblicato il 6 giugno 2007.

(5)  A questo proposito il CESE ha espresso la propria posizione nel parere in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo del 12 marzo 2008, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 204 del 9.8.2008).

(6)  Cfr. il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50 del 25.2.2003, pag. 1).

(7)  Cfr. il parere del CESE del 20.3.2002 in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, relatore: SHARMA (GU C 125 del 27.5.2002).

(8)  Il CESE non è stato consultato sui cambiamenti apportati a Eurodac (COM(2008) 825 def.). Il regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio dell'11 dicembre 2000 è strettamente complementare al regolamento Dublino.

(9)  Cfr. soprattutto:

il parere del CESE del 20 marzo 2002 in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (Dublino II - COM(2001) 447 def.), relatore: SHARMA (GU C 125 del 27.5.2002, pag. 28-31);

il parere CESE del 12 marzo 2008 in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo (COM(2007) 301 def.), relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 204 del 9.8.2008, pag. 77-84).

(10)  Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo (COM(2007) 301 def.).

(11)  Sentenza Gebremedhin c) Francia; CEDU del 26 aprile 2007: Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio europeo, 1950, articolo 3 e articolo 13, natura irreversibile del danno che può essere causato nel caso in cui si concretizzi il rischio di tortura o maltrattamenti, ricorso di plein droit suspensif. Paragrafi 66 e 67: http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?action=html&documentId=816069&portal=hbkm&source=externalbydocnumber&table=F69A27FD8FB86142BF01C1166DEA398649.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure

COM(2009) 28 def. — 2009/0007 (CNS)

e alla

proposta di direttiva del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale

COM(2009) 29 def. — 2009/0004 (CNS)

(2009/C 317/23)

Relatore: Sergio SANTILLÁN CABEZA

Il Consiglio, in data 13 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure

(COM(2009) 28 def. - 2009/0007 (CNS))

e alla

Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (COM(2009) 29 def. – 2009/0004 (CNS)).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SANTILLÁN CABEZA.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con soddisfazione le proposte di direttiva sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti fiscali e sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale perché esse rispondono a una necessità urgente. Le norme che si sostituiscono, risalenti a tre decenni fa, hanno dimostrato tutta la loro inefficacia rispetto alle esigenze attuali. Il fatto che oggi solo il 5 % dei crediti fiscali per cui si chiede l'assistenza per il recupero siano effettivamente recuperati impone di agire con urgenza.

1.2.   Le proposte della Commissione sono il risultato di studi, suggerimenti e raccomandazioni formulati nell'UE, negli Stati membri e in diverse sedi e istituzioni internazionali, come il G-20 e l'OCSE. Anche il CESE, in diversi suoi pareri, ha appoggiato senza riserve le proposte volte a conferire maggiore efficacia ai sistemi di cooperazione tra gli Stati membri nel settore fiscale (cfr. il punto 4.8 del presente parere).

1.3.   La necessità di una riforma è resa ancora più evidente da una congiuntura come quella attuale, in cui le società devono far fronte alle conseguenze sociali ed economiche del grave sconvolgimento economico causato dalle pratiche finanziarie speculative e fraudolente scoperte a cominciare dalla fine del 2007. Proprio questa crisi, che rappresenterà per diversi anni un onere pesante per i contribuenti, è all'origine di una domanda urgente di adozione di misure efficaci per lottare contro gli autori di frodi che agiscono al riparo dei paradisi fiscali o che si avvalgono di scappatoie legali per eludere il pagamento delle imposte.

1.4.   La globalizzazione accresce la necessità di cooperazione tra gli Stati in materia fiscale. Le libertà fondamentali che costituiscono l'essenza del funzionamento dell'UE non possono servire da alibi per la mancata osservanza del dovere pubblico di pagare le imposte.

1.5.   In conseguenza di tutto ciò, la Commissione ha optato, correttamente, per l'introduzione di una nuova disciplina della materia, e non di una riforma parziale delle norme attuali.

1.6.   Il CESE è d'accordo con l'obiettivo principale delle proposte, consistente nel creare una cultura amministrativa comunitaria e nel dotare le amministrazioni degli strumenti adeguati offerti dalle moderne tecnologie (per esempio i formulari inviati per via elettronica) per pervenire a una semplificazione delle procedure e a una loro maggiore rapidità. Vanno segnalate anche le misure previste per quanto riguarda il regime linguistico, che oggi è uno dei grandi ostacoli alla cooperazione nel settore fiscale (cfr. il punto 5.1).

1.7.   Gli obblighi di informazione e i limiti ad essi relativi (punto 5.2) previsti nelle proposte sono conformi ai suggerimenti dell'OCSE e puntano a impedire, giustamente secondo il CESE, l'uso indebito del segreto bancario e di altre procedure apparentemente legali per frodare il fisco.

1.8.   Per quanto riguarda la partecipazione dei funzionari dello Stato richiedente alle indagini svolte nello Stato interpellato, esistono precedenti in materia in determinate norme attualmente vigenti (punto 5.3). In questo come in altri aspetti le proposte conservano intatta la sovranità degli Stati (punto 5.5).

1.9.   Le garanzie per il contribuente nei confronti dell'amministrazione fiscale sono mantenute nel quadro della cooperazione tra Stati, dato che questi ha la facoltà di impugnare la legalità delle indagini e degli atti emananti dalle autorità fiscali (punto 5.4).

1.10.   Il CESE suggerisce alla Commissione di prendere in considerazione, in futuro, l'unificazione delle norme in materia tributaria (punto 5.6).

2.   Proposta di direttiva del Consiglio sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure (COM(2009) 28 def.)

2.1.   Relazione della Commissione

2.1.1.   Le norme giuridiche attualmente vigenti in materia di assistenza reciproca (1) soffrono di lentezza, difformità e mancanza di coordinamento e di trasparenza.

2.1.2.   Le amministrazioni fiscali non hanno competenza per procedere al recupero dei crediti al di fuori del territorio dei rispettivi Stati membri, perché le norme hanno carattere nazionale. Per poterlo fare devono quindi richiedere l'assistenza di un altro o di altri Stati mediante procedure che si sono dimostrate inefficaci. Visto l'aumento della mobilità delle persone e dei capitali, questo limite di competenza genera un problema di dimensioni crescenti. Ne consegue che la libera circolazione, obiettivo fondamentale dell'Unione europea, ha in questo caso conseguenze negative perché favorisce gli autori di frodi, ed è quindi evidente la necessità di adottare nuove misure.

2.1.3.   A dimostrarlo è sufficiente il fatto che nel 2007 gli Stati membri hanno ricevuto 11 794 richieste di assistenza per il recupero di crediti fiscali provenienti da altri Stati membri. Gli importi effettivamente riscossi, tuttavia, raggiungono soltanto il 5 % circa del totale.

2.1.4.   Le frodi sono particolarmente consistenti nel caso dell'IVA, con due effetti assolutamente da evitare: la distorsione delle condizioni di concorrenza nel mercato interno e il calo del gettito fiscale, a danno sia degli Stati membri che della Comunità (2).

2.2.   Misure proposte in materia di recupero dei crediti

2.2.1.   Estensione del campo d'applicazione dell'assistenza reciproca. A differenza della direttiva 2008/55/CE, che contiene un elenco limitato dei crediti suscettibili di recupero, la proposta comprende ora «la totalità delle imposte e dei dazi riscossi dalle ripartizioni territoriali o amministrative degli Stati membri, o per conto delle stesse, comprese le autorità locali», i contributi previdenziali pubblici, «le restituzioni, gli interventi e le altre misure» connesse al FEAGA (3) e al FEASR (4) e «i contributi e gli altri dazi previsti nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero» (art. 1 e 2).

2.2.2.   Miglioramento dello scambio di informazioni. Oltre allo scambio spontaneo di informazioni (art. 5), si prevede, ed è una novità significativa, la possibilità che i funzionari di uno Stato membro partecipino attivamente alle indagini condotte dalle autorità di un altro Stato (art. 6).

2.2.3.   Semplificazione della procedura di notifica dei documenti (art. 7 e 8).

2.2.4.   Maggiore efficacia delle misure di recupero e delle misure cautelari (capo IV). Queste disposizioni, che costituiscono un elemento di rilievo della proposta, si riferiscono ai seguenti aspetti:

la disciplina delle domande di recupero da eseguire nello Stato membro richiedente (art. da 9 a 12),

trattamento del credito: «ai fini del recupero nello Stato membro adito, ogni credito per cui è stata presentata una domanda di recupero è trattato come un credito dello Stato membro adito, salvo diversa disposizione della presente direttiva» (art. 12, par. 1) (5). Il recupero avverrà nella valuta dello Stato membro adito,

altri aspetti concernenti il recupero: informazione dello Stato richiedente, trasferimento delle somme eventualmente riscosse, interessi di mora, pagamento rateale (art. 12, parr. da 2 a 5),

le misure cautelari per garantire il recupero dei crediti (art. 15 e 16),

limitazioni agli obblighi dell'autorità adita (art. 17),

la prescrizione dei crediti (art. 18),

le spese della procedura (art. 19).

2.2.5.   Uniformità e semplificazione delle norme generali relative alle richieste di assistenza in materia di moduli, comunicazioni, regime linguistico, ecc. (art. da 20 a 23).

3.   Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (COM(2009) 29 def.)

3.1.   Relazione della Commissione

3.1.1.   Sia il gruppo ad alto livello del Consiglio sulle frodi (6) che la Commissione (7) e gli Stati membri hanno constatato che le norme relative alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette e di imposte sui premi assicurativi (8) non sono adeguate. Secondo la Commissione, le gravi carenze della direttiva 77/799 rendono sempre più difficile accertare correttamente le imposte, si ripercuotono negativamente sul funzionamento dei sistemi fiscali e comportano una doppia tassazione, la quale a sua volta incentiva l'evasione e la frode fiscale, mentre, d'altro canto, i poteri di controllo continuano ad essere esercitati a livello nazionale (9).

3.1.2.   Si propone quindi di adottare un approccio innovativo, che vada oltre la semplice introduzione di modifiche alla direttiva vigente. Il nuovo regime costituisce pertanto un quadro giuridico nuovo e integrato, che contempla tutti gli aspetti fondamentali della cooperazione amministrativa nel settore fiscale, rafforzando notevolmente la capacità delle autorità di lottare contro la frode e l'evasione fiscale.

3.1.3.   Poiché si tratta di stabilire meccanismi efficaci di collaborazione sia tra le autorità comunitarie e quelle degli Stati membri che tra gli Stati membri stessi, entrambe le proposte hanno come obiettivo centrale l'adozione di regole comuni, nel rispetto della piena sovranità nazionale in materia fiscale.

3.2.   Misure proposte per migliorare la cooperazione amministrativa tra gli Stati

3.2.1.   Estensione del campo d'applicazione in termini analoghi a quelli della proposta precedente (recupero dei crediti).

3.2.2.   Scambio d'informazioni. Si prevedono in particolare tre situazioni di scambio di informazioni:

su domanda dell'autorità richiedente (art. da 5 a 7). La richiesta di informazioni può comportare lo svolgimento di «qualsiasi indagine amministrativa» necessaria per ottenere tali informazioni,

scambio automatico di informazioni (art. 8). Si tratta della comunicazione sistematica e senza preventiva richiesta di informazioni predeterminate a un altro Stato membro, a intervalli regolari prestabiliti o quando tali informazioni siano disponibili (art. 3, par. 4). Gli aspetti specifici di questo scambio di informazioni saranno tuttavia precisati entro due anni, tramite la procedura di comitatologia di cui all'art. 24,

scambio spontaneo di informazioni, quando l'autorità competente di uno Stato membro lo ritenga opportuno (art. 9).

3.2.3.   Altre forme di collaborazione:

presenza di funzionari dell'autorità richiedente negli uffici amministrativi e partecipazione alle indagini amministrative dell'autorità interpellata (art. 10),

controlli simultanei di una o più persone in territori diversi (art. 11),

formalità della notificazione amministrativa decisa in un altro Stato (art. 12).

3.2.4.   Aspetti generali della cooperazione amministrativa:

feedback (art. 13). Si insiste tra l'altro sulla rapidità delle risposte,

scambio di buone pratiche e delle esperienze (art. 14),

altri aspetti della cooperazione. Le autorità (richiedente o interpellata) potranno trasmettere le informazioni e la documentazione ottenute ad altre autorità e utilizzarle per fini diversi da quelli originariamente previsti (art. 15). Altri aspetti contemplati sono: le condizioni cui sono sottoposti gli obblighi degli Stati membri (art. 16); i limiti agli obblighi di cooperazione (art. 17); l'applicazione del principio della «nazione più favorita» (art. 18); i formulari e formati elettronici (art. 19); l'utilizzo della rete comune di comunicazione/interfaccia comune di sistema (rete CCN, art. 20).

4.   Osservazioni generali

4.1.   Il CESE condivide pienamente l'affermazione della Commissione secondo cui «nell'era della globalizzazione la necessità per gli Stati membri di prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità, e in particolare della fiscalità diretta, si fa sempre più pressante. La mobilità dei contribuenti, il numero di operazioni transfrontaliere e l'internazionalizzazione degli strumenti finanziari conoscono un'evoluzione considerevole, che rende sempre più difficile per gli Stati membri accertare correttamente l'entità delle imposte da percepire; essi peraltro continuano ad attenersi al principio della sovranità nazionale per quanto riguarda la determinazione del livello delle imposte» (10).

4.2.   Le due proposte partono dalla constatazione che le norme adottate oltre 30 anni fa (quando la Comunità aveva soltanto nove Stati membri) sono oggi insufficienti in virtù dei cambiamenti avvenuti da allora nel mercato interno. Nella seconda metà degli anni '70 la libertà di circolazione non era ancora stata realizzata e l'integrazione era minima.

4.3.   Già da anni gli elevati livelli di frode e di evasione fiscale nell'UE sono motivo di allarme. Nel 2004 la Commissione ha fatto riferimento alla questione a proposito degli scandali provocati dalle pratiche irregolari di alcune imprese (11), ha suggerito una serie di misure per «migliorare la trasparenza dei sistemi fiscali», proponendosi di elaborare «proposte concrete riguardanti i casi di frode ed evasione fiscale in cui siano coinvolte strutture complesse e opache». Citando casi concreti (12), la Commissione faceva presente che i suddetti scandali «hanno provocato incertezza nei mercati dei capitali, danneggiando l'economia nel suo complesso».

4.4.   Cinque anni dopo si constata che i fatti riportati nella comunicazione del 2004 risultano insignificanti rispetto a quelli esplosi negli ultimi tempi, e che anche i danni all'economia sono notevolmente più gravi.

4.5.   Oggi questa materia ha ripercussioni globali, in conseguenza della catastrofe economica e finanziaria causata dalle pratiche fraudolente che hanno cominciato a venire alla luce a cominciare dalla fine del 2007. Uno dei compiti del G-20 è quello di proporre l'adozione di regole internazionali per dare trasparenza e affidabilità alle transazioni commerciali e lottare contro la frode e l'evasione fiscale (13).

4.6.   Gli scandali scoppiati in alcuni paesi dell'Unione a proposito dei meccanismi che consentono di evadere le imposte al riparo di paradisi fiscali (come nel caso delle frodi avvenute in Liechtenstein a danno del fisco tedesco) hanno causato un rifiuto generalizzato di questi comportamenti da parte della popolazione, che reclama misure più efficaci per combattere l'evasione fiscale e la criminalità finanziaria.

4.7.   Lo scambio di informazioni e la maggiore facilità di accesso ai dati per la lotta contro la frode fiscale sono anche uno degli obiettivi dell'OCSE (14).

4.8.   Nel corso degli anni il CESE ha sempre appoggiato fermamente le misure volte al rafforzamento della cooperazione, chiedendo che venissero introdotti più strumenti e meccanismi di controllo (15).

4.9.   Coerentemente con tutti questi precedenti, il CESE accoglie con soddisfazione le due proposte di direttiva, che permetteranno di fare un passo avanti significativo sulla strada dell'integrazione europea. L'adempimento degli obblighi fiscali è un fondamento essenziale del funzionamento dello stato sociale.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.   La creazione di una cultura amministrativa comunitaria

5.1.1.   A giudizio del CESE, l'aspetto più rilevante delle due proposte, e in particolare di quella riguardante la cooperazione amministrativa, è la volontà di creare una cultura amministrativa comunitaria, che risulta fondamentale nella lotta contro la frode, come evidenziato dalla comunicazione del 2006 (16).

5.1.2.   Questa decisione, che risponde all'esperienza constatata nel corso del tempo nelle amministrazioni fiscali, si traduce in aspetti diversi, tra i quali: l'obbligo di designare in ciascuno Stato membro un unico ufficio fiscale di collegamento, con la possibilità di designare servizi specifici di collegamento in comunicazione diretta tra loro; la possibilità di designare funzionari competenti con la facoltà di partecipare direttamente alle indagini; l'introduzione di termini (attualmente non esistenti) per la trasmissione delle informazioni; l'obbligo di fornire un feedback, ecc.

5.1.3.   Il CESE approva l'introduzione di formulari e formati elettronici tipo, che consentiranno di snellire notevolmente le procedure.

5.1.4.   Vanno messi in rilievo anche la semplificazione del regime linguistico – che rappresenta un grande ostacolo alla cooperazione e un fattore di complicazione delle procedure – e l'uso in quest'ambito delle nuove tecnologie, che consentono la traduzione automatica dei formulari.

5.2.   Le limitazioni alla cooperazione amministrativa, il segreto bancario, l'azione degli intermediari e la partecipazione al capitale

5.2.1.   La cooperazione amministrativa prevista sarà soggetta a limitazioni. Lo Stato membro interpellato dovrà fornire le informazioni richieste «purché non impongano» (…) un onere amministrativo eccessivo e sempre che lo Stato richiedente «abbia esaurito le fonti di informazione consuete» che avrebbe potuto utilizzare. In determinati casi, tuttavia, lo Stato interpellato potrà respingere la richiesta: a) se le indagini o la raccolta di informazioni richieste violano la sua legislazione; b) se, per motivi di diritto, lo Stato richiedente non è in grado di fornire informazioni equivalenti a quelle richieste; c) se accogliere la richiesta comporta la divulgazione di un segreto commerciale, industriale o professionale, di un processo commerciale o di un'informazione la cui divulgazione sia contraria all'ordine pubblico (17). A giudizio del CESE le suddette limitazioni sono adeguate.

5.2.2.   Lo Stato interpellato, tuttavia, non potrà respingere una richiesta «perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona» (18). Data l'esperienza ricorrente di frode fiscale, il CESE approva questa disposizione, senza la quale gli obiettivi perseguiti da entrambe le proposte per conseguire l'adempimento degli obblighi fiscali potrebbero rivelarsi pregiudicati (19).

5.2.3.   Va messo in rilievo che gli obblighi di informazione e i relativi limiti sono trattati in termini analoghi a quelli della convenzione modello dell'OCSE (20).

5.3.   La presenza di funzionari di un altro Stato membro

5.3.1.   Sia la proposta di direttiva sulla cooperazione amministrativa sia quella sull'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti stabiliscono la possibilità che funzionari dello Stato richiedente siano presenti alle indagini amministrative realizzate nello Stato interpellato/adito. Il CESE reputa adeguata tale forma di cooperazione, che è soggetta a due condizioni importanti: l'esistenza di un accordo tra l'autorità richiedente e quella interpellata/adita e il fatto che i funzionari agiscano «nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interpellato» (21).

5.3.2.   La presenza di funzionari di altri Stati membri è già prevista nel caso delle accise (22) e dell'IVA (23) sebbene nel caso presente le competenze siano più ampie dato che i funzionari possono esercitare i poteri di controllo.

5.4.   Legalità del titolo di esecuzione del credito risultante da dazi, imposte ed altre misure

5.4.1.   È di particolare interesse la questione della legalità delle procedure di indagine che possono realizzare le autorità fiscali. Il CESE ritiene che la proposta di direttiva sull'assistenza per il recupero di crediti tratti la questione in maniera adeguata. Per cominciare, va tenuto presente che i sistemi previsti, sia nelle due proposte di direttiva oggetto del presente parere sia nei casi dell'IVA e delle accise, stabiliscono soltanto procedure di cooperazione tra gli Stati, i quali conservano piena sovranità ai fini della determinazione della legalità delle procedure di indagine che svolgono nel loro territorio.

5.4.2.   Conformemente ai principi generali, i funzionari devono agire nel rispetto della legge (24) e gli atti amministrativi hanno presunzione di validità. Di conseguenza, essi devono essere rispettati, fatto salvo il diritto dell'interessato ad avviare un'azione davanti al giudice. In materia di controversie relative al recupero di crediti, è di competenza dello Stato membro che chiede assistenza ai fini del recupero (vale a dire lo Stato richiedente) determinare la validità del credito, del titolo iniziale di esecuzione, del titolo uniforme e delle notifiche che detto Stato effettua (25).

5.4.3.   Invece, in caso di controversia sulle misure di esecuzione o notifica realizzate dallo Stato adito, incombe agli organi competenti di tale Stato determinare la loro validità (26). In ambedue i casi, il contribuente è garantito perché, a meno che la legge non preveda la possibilità menzionata nel punto seguente, si sospende la procedura di esecuzione per la parte del credito contestata. È previsto l'obbligo degli Stati di informare sulle azioni avviate, sebbene possano farlo, naturalmente, anche gli interessati.

5.4.4.   Nel caso di crediti per cui è stata avviata un'azione giudiziaria si potranno adottare misure cautelari se la legislazione dello Stato adito lo permette. Inoltre, se la legislazione dello Stato richiedente lo stabilisce, questo può domandare il recupero davanti a un giudice con una domanda motivata (27).

5.4.5.   Per quanto riguarda la legislazione penale, si ricorda che essa è di competenza esclusiva degli Stati membri (28).

5.5.   La sovranità degli Stati membri

5.5.1.   Il CESE mette in evidenza il fatto che le proposte rispettano pienamente la sovranità degli Stati membri che, in ultima istanza, nel quadro definito dalle direttive, applicano la loro legislazione e i loro istituti negli ambiti di loro competenza. Ciò è illustrato, tra l'altro, dai casi menzionati nei punti 5.3 e 5.4 del presente parere.

5.5.2.   Ciò riguarda anche la comunicazione di informazioni e documenti ricevuti a norma della direttiva, nella misura in cui è previsto che:

l'autorità (richiedente o interpellata) può comunicarli ad altre autorità all'interno dello stesso Stato membro, purché ciò sia consentito dalla legislazione di tale Stato, anche se tali informazioni potrebbero essere utilizzate per finalità diverse da quelle fiscali.

L'autorità competente di uno Stato membro li trasmetta all'autorità competente di un terzo Stato membro «purché tale trasmissione sia conforme alle norme e alle procedure stabilite nella presente direttiva».

D'altra parte, tutti i documenti e tutte le informazioni ottenute dall'autorità richiedente possono da questa essere addotti o utilizzati come elementi di prova allo stesso titolo di quelli ottenuti nel suo stesso territorio (29).

5.5.3.   A differenza di quanto contemplato dall'Accordo sullo scambio di informazioni fiscali dell'OCSE (30) non si esige l'autorizzazione dello Stato interpellato.

5.6.   Necessità di unificazione delle norme

5.6.1.   In ambedue le proposte di direttiva figurano norme con contenuto identico o simile. Ne è un esempio la notifica di documenti (31) e se ne possono citare altri. Come si è già segnalato, la presenza di funzionari di altri Stati membri è contemplata in due direttive e in due regolamenti che, peraltro, differiscono per quanto riguarda l'ampiezza dei poteri previsti.

5.6.2.   Il CESE ritiene che la tecnica legislativa migliore consisterebbe in futuro nel fare uno sforzo per unificare la legislazione fiscale nella misura del possibile.

5.7.   La realizzazione concreta del nuovo sistema

5.7.1.   Far entrare in vigore il nuovo complesso sistema proposto comporterà uno sforzo considerevole per le istituzioni comunitarie e nazionali. In primo luogo, per le scadenze: si stabilisce come data limite per il recepimento delle direttive (che hanno ripercussioni su diverse materie dell'ordinamento giuridico) il 31 dicembre 2009, termine che sembra difficile da rispettare. L'elaborazione nel termine di due anni delle norme relative allo scambio automatico di informazioni da parte del comitato di cooperazione amministrativa nel settore fiscale richiederà un lavoro intenso.

5.7.2.   In secondo luogo, l'adattamento degli apparati amministrativi alle nuove esigenze implicherà la messa a disposizione delle amministrazioni fiscali di risorse materiali ed umane adeguate. Va sottolineata in particolare la necessità di realizzare uno sforzo per la formazione dei funzionari, cosa che richiederà in molti casi stanziamenti di bilancio supplementari.

5.7.3.   In ogni caso, il CESE osserva che gli obiettivi delle proposte si concretizzeranno sotto forma di risultati tangibili nella lotta contro la frode e l'evasione fiscali solo se esiste una volontà politica determinata di impegnare le risorse adeguate.

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 maggio 1976, successivamente codificata dalla direttiva 2008/55/CE del Consiglio, del 26 maggio 2008.

(2)  COM(2009) 28 def.: «la soppressione, prevista dalla direttiva 2000/65/CE, della possibilità di richiedere la designazione di rappresentanti fiscali e l'aumento delle frodi sull'IVA – in particolare le cosiddette» frodi carosello «– hanno fatto sì che attualmente il 57,50 % di tutte le domande di recupero riguardano crediti IVA (situazione nel 2007)». Cfr. inoltre la comunicazione della Commissione su Una strategia coordinata per migliorare la lotta contro le frodi a danno dell'IVA nell'Unione europea, COM(2008) 807 def.

(3)  Fondo europeo agricolo di garanzia.

(4)  Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.

(5)  La direttiva 2008/55/CE vigente contiene una disposizione analoga (art. 6, secondo comma), ai sensi della quale il credito non è dello Stato adito, ma è considerato come tale, ossia il trattamento che riceve è simile a quello che lo Stato adito riserva ai propri crediti.

(6)  Relazione del maggio 2000 (documento 8668/00 del Consiglio, Fight against tax fraud - Lotta alla frode fiscale).

(7)  Cfr. le comunicazioni del 2004 (COM(2004) 611 def.) e del 2006 (COM(2006) 254 def.).

(8)  Direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977.

(9)  COM(2009) 29 def., pag. 2.

(10)  COM(2009) 29 def., Relazione.

(11)  Comunicazione della Commissione sulla prevenzione e la lotta alle pratiche societarie e finanziare scorrette (COM(2004) 611 def.).

(12)  Come Parmalat ed Enron, i cui azionisti hanno perso un totale di 67 miliardi di dollari.

(13)  G-20, Dichiarazione di Washington del 15.11.2008: «Le autorità fiscali, basandosi sul lavoro svolto da organismi competenti come l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) devono continuare a adoperarsi per promuovere lo scambio di informazioni in ambito fiscale. Si deve agire con determinazione per porre rimedio alla scarsa trasparenza e al mancato scambio di informazioni.»

(14)  Global Forum on Taxation, cui hanno partecipato anche paesi non membri dell'OCSE. Cfr. Tax co-operation: towards a level playing field – 2008 Assessment by the Global Forum on Taxation. OCSE, agosto 2008.

(15)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale, GU C 161 del 13.7.2007, pag. 8. Il parere fa riferimento in modo esaustivo alla normativa comunitaria. Cfr. inoltre i pareri in merito alle seguenti proposte:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia d'imposta sul valore aggiunto ed alla Proposta di direttiva del Consiglio e del Parlamento europeo che modifica la Direttiva 77/799/CEE del Consiglio relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette, GU C 80 del 3.4.2002, pag. 76.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise e Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 77/799/CEE del Consiglio relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri in materia di imposte dirette, di talune accise e imposte sui premi assicurativi e la direttiva 92/12/CEE del Consiglio relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, GU C 112 del 30.4.2004, pag. 64.

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario inteso a migliorare il funzionamento dei sistemi d'imposizione nel mercato interno (Fiscalis 2013), GU C 93 del 27.4.2007, pag. 1.

(16)  Riprende una considerazione del gruppo ad hoc del Consiglio sulla frode fiscale (cfr. COM(2006) 254, punto 3.1).

(17)  COM(2009) 29 def., art. 16.

(18)  COM(2009) 29 def., art. 17, par. 2.

(19)  Si calcola che in Svizzera si trovi circa un terzo degli 11 000 miliardi di dollari di capitale clandestino esistenti in tutto il mondo. Swiss banks ban top executive travel. Concern that employees will be detained (dal Financial Times del 27.3.2009).

(20)  Model Convention with respect to taxes on income and capital, articoli 16 e 26. OCSE, 17 luglio 2008.

(21)  COM(2009) 29 def., art. 10, par. 2.

(22)  Regolamento (CE) n. 2073/2004 del Consiglio, del 16 novembre 2004, relativo alla cooperazione amministrativa in materia di accise, art. 11.

(23)  Regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio, del 7 ottobre 2003, relativo alla cooperazione amministrativa in materia d'imposta sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) n. 218/92, art. 11.

(24)  Secondo il codice europeo di buona condotta amministrativa «il funzionario farà in modo che le decisioni che incidono sui diritti o gli interessi dei cittadini siano fondate sulla legge e che il loro contenuto rispetti la legislazione».

(25)  COM(2009) 28 def, art. 13.4.

(26)  COM(2009) 28 def., art. 13.2.

(27)  Se l'esito della contestazione risulta favorevole al debitore, l'autorità richiedente è tenuta alla restituzione di ogni importo recuperato unitamente ad ogni compensazione dovuta, secondo la legislazione in vigore nello Stato membro dell'autorità adita. COM(2009) 28 def., art. 13, par. 4, ultimo capoverso.

(28)  «… Il presente titolo non osta all'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna», Trattato sull'Unione europea (versione consolidata), art. 33.

(29)  COM(2009) 29 def., art. 15, parr. 1, 2 e 3.

(30)  Le informazioni non possono essere comunicate ad altre persone, ad altri enti o autorità o ad altre giurisdizioni senza il consenso scritto espresso dell'autorità competente della parte interpellata (Les renseignements ne peuvent être divulgués à toute autre personne, entité ou autorité ou à toute autre autorité étrangère sans l'autorisation écrite expresse de l'autorité compétente de la partie requise - The information may not be disclosed to any other person or entity or authority or any other jurisdiction without the express written consent of the competent authority of the requested Party) (art. 8).

(31)  COM(2009) 28 def., artt. 7 e 8; COM(2009) 29 def., art. 12.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/126


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Integrazione regionale per lo sviluppo nei paesi ACP

COM(2008) 604 def.

(2009/C 317/24)

Relatore: DANTIN

Correlatore: JAHIER

La Commissione europea, in data 1o ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Integrazione regionale per lo sviluppo nei paesi ACP

COM(2008) 604 def.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 maggio 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN e dal correlatore JAHIER.

Alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 16 luglio 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Come già indicato nel quadro di precedenti lavori, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che l'integrazione regionale dei paesi ACP (Africa-Caraibi-Pacifico) sia una delle condizioni essenziali del loro sviluppo. Lo sviluppo, a sua volta, contribuirà ad approfondirne l'integrazione, creando così le premesse per innescare un circolo virtuoso.

1.2.   Per questo motivo accoglie con favore le analisi e gli orientamenti contenuti nella comunicazione in esame ed auspica inoltre che l'integrazione regionale divenga uno degli aspetti strutturanti della revisione dell'Accordo di Cotonou prevista per il 2010.

1.3.   Ciò nonostante, il CESE si rammarica che nella comunicazione non vengano esaminate le difficoltà incontrate finora e non vengano affermate più chiaramente le priorità di attuazione.

1.4.   Il CESE sottolinea che un certo numero di fattori contribuiscono in modo imprescindibile al progresso dell'integrazione regionale. Su ciascuno di essi l'UE può e deve dare un contributo importante.

1.5.   L'integrazione regionale non potrà essere approfondita senza una maggiore stabilità degli Stati. La pace e la sicurezza devono figurare tra le priorità dell'UE.

1.6.   Lo sviluppo degli Stati ACP è una delle condizioni della loro integrazione regionale che, a sua volta, ne favorirà lo sviluppo.

1.7.   Tale sviluppo dipende in particolare dai seguenti fattori:

un nuovo orientamento del contenuto della crescita che porti ad una diversificazione dell'economia, delle strutture di produzione e dei sistemi di servizio,

uno sviluppo rurale e sostenibile che garantisca la sicurezza alimentare,

il rafforzamento del settore privato, in particolare delle PMI,

la buona governance intesa nella sua globalità, in particolare per quanto riguarda i diritti umani e dei lavoratori, lo Stato di diritto, la democrazia e la lotta alla corruzione. Riguardo a quest'ultimo punto il CESE esprime sorpresa per il fatto che la corruzione non sia menzionata in nessun punto della comunicazione. Nel caso specifico, il CESE auspica che l'assegnazione degli 1,75 miliardi di euro previsti nel 10° FES per lo sviluppo dell'integrazione sia subordinata alla possibilità di verificarne l'utilizzo,

una partecipazione effettiva degli attori non statali, come è avvenuto nel caso dell'APE Cariforum-CE. A questo proposito occorrerà dare un sostegno, sia politico che finanziario, alle reti sociali professionali a livello regionale.

1.8.   Il CESE auspica che venga proseguita o avviata la riflessione sui seguenti aspetti:

l'utilità e la possibilità di promuovere cooperazioni regionali che coinvolgano le regioni ultraperiferiche dell'UE e le regioni ACP integrate che costituiscono il loro ambiente geografico,

il possibile freno alla conclusione di APE regionali costituito dagli APE temporanei che interessano singoli Stati, e i rimedi che possono essere adottati al riguardo,

l'ulteriore freno all'integrazione regionale che potrebbe essere costituito dai negoziati APE che interessano insiemi regionali diversi da quelli già costituiti,

le possibili conseguenze per l'integrazione regionale, in particolare in Africa, della natura e della diversità delle «potenze» economiche che si sono trasformate e rafforzate nel corso degli ultimi anni,

le conseguenze della crisi economica e finanziaria in atto.

2.   Introduzione

2.1.   Si può ragionevolmente affermare che la concorrenza su scala mondiale sia la tendenza di fondo del nuovo millennio. Una delle risposte alle opportunità e alle sfide poste dalla globalizzazione, per tutti gli Stati e in tutti i continenti, è l'integrazione economica con gli altri paesi della regione e la conseguente formazione di blocchi economici regionali più importanti e competitivi (NAFTA, ASEAN, APEC, Mercosur, Cariforum, ecc.), che consentano agli Stati interessati di partecipare agli scambi internazionali non solo in quanto singoli paesi, ma anche come potenza regionale.

2.2.   In nessun luogo questa evoluzione è più urgente che nei paesi ACP, in particolare in Africa (1), dove gli effetti combinati di più fattori (economia relativamente poco sviluppata, grande povertà, termini dello scambio, frontiere ereditate dal passato coloniale, cattiva gestione, conflitti spesso endemici, corruzione, ecc.) non hanno ancora consentito a questi paesi di partecipare in maniera significativa agli scambi internazionali, malgrado le dimensioni non trascurabili dei loro mercati e le loro potenzialità.

2.3.   Il sostegno all'integrazione regionale è quindi uno dei capisaldi della politica di cooperazione dell'UE nei confronti dei paesi ACP. Il sostegno della Comunità europea alla politica di integrazione economica dei paesi ACP affonda le sue radici nella convenzione di Yaoundé del 1969, in cui veniva definito il concetto di cooperazione accompagnata da un sostegno al partenariato. Da allora l'UE ha proseguito, tramite diverse convenzioni (Lomé, Cotonou), la cooperazione sia politica che tecnica e finanziaria (2). Successivamente questa è stata sviluppata ed estesa, al di là dei paesi ACP, a tutti i paesi in via di sviluppo (3). Ricordiamo inoltre che uno degli otto piani d'azione adottati al vertice UE-Africa svoltosi a Lisbona l'8 e il 9 dicembre 2007 riguardava «l'integrazione regionale e le infrastrutture» (4).

2.4.   La comunicazione in esame è intesa a ridefinire il quadro e il contesto dell'integrazione regionale, stilare un bilancio dei progressi constatati e indicare le sfide da affrontare. Fissa inoltre gli obiettivi da conseguire e propone un approccio di sostegno per la loro realizzazione.

2.5.   Il presente parere, dopo aver illustrato ed esaminato i contenuti principali della comunicazione, formula una serie di considerazioni e osservazioni generali, particolari e specifiche, avvalendosi a questo fine di tutti i lavori già realizzati dal CESE su questo tema, sia nell'ambito dei pareri precedenti sia nel quadro di seminari regionali che hanno coinvolto la società civile di diverse regioni ACP e di convegni organizzati a Bruxelles per gli attori non statali (ANS) dell'insieme dei paesi ACP.

3.   Sintesi della comunicazione

3.1.   Dopo aver descritto sinteticamente l'attuale «contesto in evoluzione» e ricordato l'azione costante svolta dall'UE nel corso di lunghi anni nonché un certo numero di iniziative politiche adottate recentemente a favore dell'integrazione regionale dei paesi ACP (programmazione regionale del 10° Fondo europeo di sviluppo (FES), negoziati intensi per gli accordi di partenariato economico (APE), ecc.), la comunicazione si propone di stilare un bilancio, verificare la coerenza dell'azione europea e tracciare la via da seguire utilizzando gli strumenti comunitari.

3.2.   Il bilancio degli interventi precedenti e le prospettive future sono suddivise in 4 capitoli:

principali obiettivi dell'integrazione regionale,

risultati e sfide dell'integrazione regionale nei paesi ACP,

sviluppo dell'approccio proposto per il sostegno europeo, articolato intorno a 5 priorità:

potenziare le istituzioni regionali,

creare mercati regionali integrati,

promuovere lo sviluppo imprenditoriale,

collegare le reti infrastrutturali regionali,

elaborare politiche regionali per lo sviluppo sostenibile,

trarre il massimo beneficio dagli strumenti dell'UE rafforzando il dialogo politico a livello globale, regionale e nazionale e sostenendo al tempo stesso in modo sistematico la creazione o lo sviluppo di forum regionali della società civile. Tale sostegno comunitario rafforzato porta al potenziamento del 10° FES.

4.   Osservazioni generali

La questione dell'integrazione economica regionale dei paesi ACP è stata affrontata più volte nei lavori del CESE.

4.1.1.   Sul tema dell'integrazione regionale il CESE ha organizzato tre seminari, svoltisi rispettivamente a Yaoundé (maggio 2003), alle Isole Figi (ottobre 2004) e a Bamako (febbraio 2006), che hanno dato luogo alla formulazione di due pareri.

4.1.2.   Questa riflessione ha assunto forma concreta nella conferenza degli ANS dei paesi ACP, svoltasi a Bruxelles nel giugno 2005, i cui atti recitano: «L'adeguamento dei paesi ACP all'apertura commerciale implica un rafforzamento dell'integrazione di questi ultimi a livello regionale. Occorre accelerare la creazione di veri e propri mercati comuni in Africa, nei Caraibi e nella regione del Pacifico. Un miglioramento organizzativo di questo tipo consentirà a tali paesi di difendere meglio i loro interessi economici e sociali di fronte alla globalizzazione».

4.1.3.   Più recentemente, in un parere esplorativo elaborato su richiesta del commissario MICHEL sulla strategia UE-Africa (5), il Comitato indicava sostanzialmente che: «lo sviluppo economico dell'Africa dipende anzitutto e in primo luogo dall'approfondimento del suo mercato interno, che è in grado di sviluppare una crescita endogena che consentirebbe al continente di stabilizzarsi e consolidarsi nell'ambito dell'economia mondiale. L'integrazione regionale e lo sviluppo del mercato interno sono i punti di partenza, le molle che permetteranno all'Africa di aprirsi al commercio mondiale con esito positivo. Sotto questo profilo il CESE si rammarica che non si sia ancora conclusa la negoziazione regionale degli accordi di partenariato economico, che per l'appunto hanno per oggetto, tra l'altro, l'integrazione economica».

4.2.   Alla luce delle sue riflessioni e prese di posizione precedenti, il CESE accoglie con favore la comunicazione in esame e l'insieme degli orientamenti in essa contenuti. Ritiene inoltre che l'integrazione regionale, data la sua importanza, debba occupare un posto centrale nella revisione dell'accordo di Cotonou in programma nel 2010, sia per quanto concerne la valutazione congiunta degli attori del partenariato, sia ai fini del rafforzamento e del rilancio del dispositivo, interventi prioritari negli anni a venire.

4.3.   Si rammarica tuttavia dell'assenza, nella comunicazione, di un inventario più completo, se non esaustivo, e di un'analisi critica delle difficoltà che finora hanno ostacolato l'integrazione regionale. Una tale analisi avrebbe consentito di individuare gli scogli da evitare e quindi di definire in modo razionale gli orientamenti da proporre in materia di cooperazione. Il CESE ritiene inoltre che la comunicazione sarebbe risultata di più facile lettura e comprensione se fosse stata stabilita una più chiara gerarchia delle priorità, pur tenendo conto degli adeguamenti che si renderanno necessari nella fase di applicazione a causa del diverso grado di sviluppo dei paesi interessati.

4.4.   Nel quadro delle osservazioni generali e particolari che seguono, il CESE ritiene utile sottolineare un certo numero di problematiche che nella comunicazione vengono a volte affrontate sommariamente o addirittura ignorate, ma che, essendo a suo giudizio di un'importanza determinante per l'approfondimento dell'integrazione regionale, meritano di essere messe in risalto e presentate come le chiavi di volta, tappe obbligate e inevitabili di tale costruzione.

5.   Osservazioni generali e specifiche

5.1.   In generale si riconosce che al successo dell'integrazione regionale contribuisce un certo numero di fattori: tra questi, l'impegno politico, la pace e la sicurezza, lo Stato di diritto, la democrazia, la buona gestione della cosa pubblica e la stabilità macroeconomica. Occorre inoltre un ambiente economico favorevole al funzionamento efficace dei mercati, un'apertura nei confronti dei paesi terzi, istituzioni sufficientemente forti e dotate di un mandato preciso, risorse adeguate, un sostegno politico nonché un'ampia partecipazione del settore privato e della società civile.

5.2.   Tuttavia, per progredire nell'attuazione dell'integrazione regionale, in particolare quando si fissano come obiettivi i concetti contenuti nell'ampia definizione proposta dall'accordo di Cotonou (6), è indispensabile tenere conto in via prioritaria degli aspetti esaminati nei punti successivi, che contribuiscono allo sviluppo dei paesi ACP: se è vero infatti che l'integrazione è fonte di sviluppo, è altrettanto vero che lo sviluppo favorisce l'integrazione. Per ciascuno di questi aspetti l'UE deve compiere tutti gli sforzi possibili.

5.3.   Pace e sicurezza - Lo sviluppo, in particolare in Africa, e quindi l'integrazione regionale, non può realizzarsi senza una maggiore stabilità degli Stati. Tuttavia, un gran numero di paesi continua ad essere in balia di conflitti interminabili. I conflitti degli ultimi dieci anni in Guinea, Liberia e Sierra Leone, paesi provvisti di risorse naturali e soprattutto di diamanti e legname, hanno precipitato la regione in una grave crisi che ha dato origine a un consistente flusso di rifugiati. Senza parlare del conflitto del Darfur che imperversa in Sudan, della «guerra dimenticata» nel Nord dell'Uganda, dei massacri nel Kivu nel contesto della corsa al coltan e di una guerra etnica che ricorda in parte il genocidio in Ruanda, dell'insicurezza persistente nelle zone orientali e settentrionali della Repubblica centrafricana, dell'instabilità in Congo, in Mauritania e nelle Figi, delle «difficoltà» incontrate recentemente dal Kenya o dallo Zimbabwe, ecc. Questi conflitti costituiscono un ostacolo insormontabile per l'integrazione regionale. Contribuire a una maggiore stabilità degli Stati e alla pace deve essere una delle priorità principali dell'UE, in particolare ai fini della promozione dello sviluppo – che, a sua volta, potrà portare a un approfondimento dell'integrazione.

5.4.   Prima i singoli Stati - Se l'integrazione regionale è fondamentale per lo sviluppo dei paesi ACP, essa presuppone tuttavia lo sviluppo dei singoli paesi (7) nonché un certo grado di complementarietà tra il livello di sviluppo delle loro economie e le politiche da loro praticate. Sarebbe inutile, infatti, voler integrare ciò che non esiste: è possibile integrare i trasporti a livello regionale e collegare fra loro le infrastrutture soltanto nella misura in cui tali attrezzature esistono e sono sviluppate nei singoli paesi. Da questo punto di vista, è fondamentale la qualità dell'elaborazione (partecipazione degli ANS), dei contenuti e dell'esecuzione dei piani indicativi nazionali e successivamente regionali. L'UE è responsabile in particolare per quanto riguarda l'«utilizzo» delle risorse del FES messe a disposizione. Il CESE suggerisce inoltre di dedicare particolare attenzione al problema del finanziamento delle misure di coesione nel caso in cui venga accordato un sostegno all'integrazione economica regionale di paesi che presentano strutture economiche e livelli di sviluppo molto diversi. In caso contrario, il rimedio potrebbe essere peggiore del male.

5.5.   La corruzione - La corruzione è presente, in Africa in special modo, praticamente a tutti i livelli della società: essa costituisce un freno allo sviluppo economico (8) e, di conseguenza, anche all'integrazione regionale (9). Il CESE si stupisce che la comunicazione non faccia alcun accenno alla corruzione in quanto tale, dato che la sua eliminazione costituisce uno degli obiettivi dell'Unione africana e occupa un posto importante nell'accordo di Cotonou (cfr. articolo 30, paragrafo 1, lettera f)). Sicuramente le implicazioni politiche ed economiche sono notevoli, in particolare per quanto riguarda gli Stati africani, e la diplomazia deve svolgere un ruolo importante. Tuttavia, essa non sarà in alcun modo sufficiente: se è vero infatti che non spetta all'UE, in quanto erogatrice di fondi, imporre ai suoi partner le azioni da realizzare, è altrettanto vero che essa ha l'obbligo di vigilare sul corretto utilizzo e sull'effettiva destinazione dei fondi per la cooperazione, in quanto si tratta - né più né meno - del denaro dei cittadini/contribuenti europei. A questo fine il CESE auspica, nel caso specifico, che l'assegnazione degli 1,75 miliardi di euro previsti nel 10° FES per lo sviluppo dell'integrazione sia subordinata alla possibilità di verificarne l'utilizzo.

5.6.   Riorientare il contenuto della crescita tramite la diversificazione dell'economia, delle strutture produttive e dei sistemi di servizi - Un mercato diversificato e in crescita faciliterà l'integrazione economica regionale. Non basterà tuttavia sfruttare le risorse naturali o le produzioni agricole tradizionali e di massa (canna da zucchero, cotone, banane, arachidi, cacao, ecc.). Occorrerà sviluppare un'industria di trasformazione che crei prodotti lavorati dal congruo valore aggiunto: a lungo termine, infatti, questo è il modo migliore per evitare il deterioramento dei termini dello scambio e per partecipare all'economia regionale contribuendo al suo sviluppo (8).

5.7.   Garantire la sicurezza alimentare, lo sviluppo rurale e lo sviluppo sostenibile - Non vi sarà integrazione economica regionale se non può essere garantita la sicurezza alimentare per la totalità dei paesi partecipanti (8). A questo fine l'agricoltura, pilastro essenziale dello sviluppo sostenibile, deve costituire una priorità strategica. Essa deve trarre il massimo insegnamento dalla crisi alimentare del 2007-2008 e da quella in corso, conseguente al forte aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e dell'energia verificatosi nel 2008. Lo sviluppo progressivo dell'agricoltura, che porta in sé la nascita e/o lo sviluppo della filiera agroalimentare e più in generale l'attribuzione di una nuova priorità alla dimensione rurale dello sviluppo, presuppone l'adozione di una seria politica integrata in materia di agricoltura, sicurezza alimentare e sviluppo rurale a livello tanto nazionale quanto regionale, con una struttura e una pianificazione a breve, medio e lungo termine. Questa politica deve costituire una priorità a livello finanziario, nel senso più ampio del termine, e di bilancio ed essere adeguata ai vincoli specifici che presenta ciascun paese integrando contemporaneamente al proprio interno l'approccio regionale. Nel quadro del 10° FES occorrerebbe promuovere un programma prioritario di sviluppo agricolo in ciascuno dei paesi ACP che partecipano all'integrazione regionale. È necessario porre fine al sistema utilizzato nel quadro del 9° FES, per cui soltanto 4 dei 78 paesi ACP hanno dato priorità al settore agricolo, mentre 15 hanno scelto lo sviluppo rurale. In questo modo solo il 7 % delle risorse del 9° FES è stato dedicato allo sviluppo sostenibile e l'1,1 % alle attività esplicitamente legate all'agricoltura. A questo proposito, un coinvolgimento più ampio, costante e strutturale degli ANS, in particolare degli agricoltori e delle organizzazioni rurali, e degli enti locali costituisce un elemento decisivo per un'appropriazione duratura delle politiche di sviluppo.

5.8.   Sviluppare il settore privato - Il potenziamento e la diversificazione del settore privato riveste un'importanza fondamentale per lo sviluppo sostenibile, la creazione di posti di lavoro dignitosi e quindi la riduzione della povertà. Lo sviluppo del settore privato, in particolare delle PMI industriali (8), è indispensabile per il successo dell'integrazione in quanto alimenta le possibilità di scambi commerciali. Per esercitare un impatto, tuttavia, esso deve essere sostenuto da un rafforzamento organizzativo delle PMI a livello regionale e al tempo stesso dalla valorizzazione delle risorse umane  (10) non solo sul piano dell'istruzione e della formazione, ma anche per quanto riguarda le questioni legate alla salute: lotta all'HIV/AIDS (11), accesso all'acqua potabile, facilità di accesso alle cure sanitarie (sicurezza sociale), salute e sicurezza sul lavoro, ecc. Il CESE si rallegra quindi che la Commissione faccia dello sviluppo delle imprese, e in particolare delle PMI, uno degli assi della sua azione di sostegno all'integrazione regionale. A questo proposito, l'efficacia del processo è subordinata all'esistenza di un dialogo sociale e della contrattazione collettiva e, più in generale, alla partecipazione delle parti sociali rappresentative. Si tratta quindi di promuovere tale processo a livello regionale. L'OIL, nel quadro del programma di formazione Prodiaf (12), aveva favorito lo sviluppo del dialogo sociale nell'Africa occidentale. Il Comitato auspica, come ha già indicato in numerose dichiarazioni finali emesse al termine di seminari e convegni, che questo esempio sia riprodotto nei paesi africani di lingua inglese e nella regione del Pacifico, in particolare sviluppando il concetto di accordo collettivo regionale, come è già stato fatto nell'Africa francofona.

5.9.   La buona governance - Una cattiva governance, priva di coordinamento tra gli Stati che compongono la regione, costituirà un freno all'integrazione e al tempo stesso sarà un disincentivo agli investimenti diretti esteri (IDE). Una buona governance presuppone un approccio globale, in particolare per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell'uomo, del bambino e dei lavoratori, lo Stato di diritto, la democrazia e l'assenza di corruzione (13). Perché essa risulti efficace, occorre garantire, al tempo stesso, la presenza di associazioni sindacali e datoriali rappresentative, forti e indipendenti dal potere politico.

5.10.   La partecipazione degli attori non statali (ANS)  (8) - Il CESE si rallegra che la comunicazione si riproponga di «sostenere, sistematicamente, lo sviluppo o il rafforzamento di forum regionali della società civile» per seguire l'integrazione regionale. Da questo punto di vista, i negoziati per la firma degli accordi di partenariato economico (APE) rappresentano un'opportunità. Al riguardo si può portare l'esempio dell'APE Cariforum-CE: in quel caso, infatti, tale opportunità è stata colta istituzionalizzando la partecipazione degli attori non statali al monitoraggio dell'attuazione dell'accordo stesso. Il CESE chiede alla Commissione e ai paesi ACP che partecipano ai negoziati che questo principio venga applicato a tutti i futuri APE regionali in quanto ritiene che esso contribuisca, attraverso la condivisione delle conoscenze, all'approfondimento dell'integrazione regionale e alla sua appropriazione da parte dei cittadini, valorizzando così il partenariato ACP-UE. Tuttavia, per far sì che la volontà espressa a parole prenda forma e si realizzi nei fatti e per garantire la partecipazione piena ed efficace della società civile al processo di integrazione regionale, sarebbe necessario promuovere, sia politicamente sia finanziariamente, la creazione e/o il rafforzamento delle reti socioprofessionali a livello regionale. L'esperienza dimostra infatti che ciò costituisce una tappa indispensabile nell'organizzazione di un dialogo coerente ed efficace tra gli ANS a livello regionale.

Nell'applicazione di un tale orientamento occorre tenere conto, pena il fallimento, delle difficoltà incontrate su questo fronte nell'attuazione dell'accordo di Cotonou, in particolare per quanto riguarda il rafforzamento delle capacità degli ANS. Ciò è assolutamente necessario, visti i bisogni e la debolezza spesso riscontrata in ambito statale a livello sia nazionale sia regionale.

6.   Osservazioni specifiche

6.1.   Proseguire la riflessione - Il CESE invita la Commissione a valutare l'impatto degli aspetti culturali ed etnici e del tracciato delle frontiere sugli sforzi di integrazione regionale e a definire le eventuali azioni da intraprendere per attenuarne gli effetti.

6.2.   Avviare cooperazioni - Il CESE chiede alla Commissione di promuovere e/o sostenere il lancio di cooperazioni regionali che coinvolgano le regioni ultraperiferiche dell'UE e gli Stati o regioni ACP integrati che costituiscono il loro ambiente geografico, in vista di una cooperazione fondata sui bisogni di sviluppo dei diversi partner e sul rispetto degli interessi di ciascuno di loro.

6.3.   Gli APE e l'integrazione regionale - Al punto 4.1.3 si ricorda che, nel parere del CESE sul tema La strategia UE-Africa del settembre 2008, il Comitato si rammaricava sostanzialmente per il fatto che finora, ad eccezione di Cariforum-CE, non sono stati conclusi APE regionali che abbiano per oggetto, per l'appunto, l'integrazione regionale. Oggi, gli APE regionali vengono sostituiti, per il momento, da APE temporanei che interessano singoli Stati. Il CESE ritiene che questo approccio possa ostacolare la conclusione di APE regionali e quindi l'integrazione regionale stessa, nella misura in cui privilegia, in gran parte, le peculiarità dei singoli Stati rispetto agli elementi comuni che costituiscono l'identità specifica della regione. Questa situazione renderà delicato il passaggio da APE nazionali ad APE regionali, e va quindi considerata con grande attenzione.

Il CESE ritiene inoltre necessario valutare le possibili conseguenze, ai fini dell'integrazione regionale, dei negoziati APE che interessano insiemi regionali diversi da quelli già costituiti (14).

6.4.   Presenza di nuove forze - In numerosi paesi ACP, in particolare quelli africani, si è assistito a un cambiamento e a una maggiore diversificazione delle «potenze» attive sulla scena economica. Per garantire l'efficacia della futura politica della Commissione, sarebbe stato utile analizzare nella comunicazione le conseguenze che potrebbero avere per l'integrazione regionale l'onnipresenza cinese, l'evidente ritorno sulla scena degli USA e l'inizio della penetrazione di India, Giappone e Corea. Sarebbe stato opportuno, a questo proposito, fare riferimento alla comunicazione UE, Africa e Cina: verso un dialogo e una cooperazione trilaterali  (15), esaminata alla luce dell'integrazione regionale.

6.5.   La comunicazione in esame non tiene conto, nella sua analisi, della crisi economica mondiale, essendo stata redatta molto prima che quest'ultima raggiungesse le proporzioni attuali. Secondo il CESE, la crisi non fa che confermare, in modo ancora più lampante, la necessità dell'integrazione. Gli sviluppi osservati negli USA e in Europa fanno tuttavia temere un'evoluzione di segno opposto, vale a dire una chiusura degli Stati su se stessi, sotto forma di autarchia e di nazionalismo. Chiaramente, l'Unione europea non ha poteri sulle scelte che opereranno i paesi ACP. Tuttavia, tramite l'applicazione dell'accordo di Cotonou e la conclusione di APE regionali, vigilando in modo particolare per evitare un'eventuale revisione verso il basso degli impegni finanziari inizialmente assunti dagli Stati membri e garantendo la corretta esecuzione delle decisioni del G20 a favore dei paesi in via di sviluppo, essa può svolgere un ruolo centrale nell'evitare che si verifichi un'evoluzione contraria allo sviluppo economico dei paesi ACP. Da un'evoluzione di questo tipo, infatti, potrebbe derivare un'intensificazione dei flussi migratori, tanto più che il volume dei fondi che, tramite gli immigrati, transitano dall'Europa verso tali paesi, in particolare verso l'Africa (16), rischia di ridursi notevolmente.

Inoltre, il rafforzamento della dimensione regionale è, molto probabilmente, una delle poche opportunità concrete che si offrono ai paesi ACP, e all'Africa in special modo, per fronteggiare attivamente la crisi finanziaria ed economica, così da svolgere un ruolo nello sviluppo futuro della globalizzazione e garantirsi una prospettiva di sviluppo.

Bruxelles, 16 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  L'Africa, oltre a essere il più esteso rispetto agli altri raggruppamenti di paesi, riceve il 95 % degli aiuti destinati ai paesi ACP.

(2)  Si vedano, a questo proposito, i dispositivi molto chiari contenuti nell'accordo di Cotonou per quanto riguarda sia gli obiettivi (art. 1) sia la strategia di cooperazione e di integrazione regionale (artt. 28, 29 e 30 – cfr. allegato 1). Questi dispositivi, tuttora attuali, andrebbero riproposti e rilanciati.

(3)  Comunicazione della Commissione Sostegno della Comunità europea alle iniziative d'integrazione economica regionale dei paesi in via di sviluppo, COM(95) 219 def., del 16 giugno 1995.

(4)  L'obiettivo è «sostenere il programma d'integrazione africana; ampliare le capacità africane in materia di regole, norme e controllo di qualità; dare attuazione al partenariato UE-Africa in materia di infrastrutture». Si veda a questo proposito il parere sul tema La strategia UE-Africa (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 148-156).

(5)  Parere REX/247, relatore: Dantin (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 148-156).

(6)  «… l'integrazione regionale è il processo che consiste nel superare, di comune accordo, gli ostacoli politici, fisici, economici e sociali che dividono i paesi dai loro vicini, e nel collaborare nella gestione delle risorse comuni e dei beni comuni …»

(7)  A questo riguardo si vedano le analisi e le proposte formulate dal CESE nel parere sul tema La strategia UE-Africa (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 148-156).

(8)  Ibidem 7.

(9)  A titolo di esempio si citerà una relazione della Banca mondiale sulla Costa d'Avorio, pubblicata nel maggio 2008, in cui viene indicato che «il racket gestito dalle forze di sicurezza del paese e le vessazioni imposte ai blocchi stradali costituiscono un ostacolo alla libera circolazione delle merci e delle persone. Al tempo stesso, esso ha un impatto negativo sull'attività economica poiché costa ai trasportatori tra i 230 e 363,3 milioni di dollari all'anno, che vengono “prelevati” e “sottratti” illegalmente». Lo studio fa osservare che questo importo equivale al 35-50 % delle spese per gli investimenti iscritte nel bilancio del paese per il 2007.

(10)  Ibidem 7, punto 7.5 e allegato V.

(11)  Ibidem 7. A questo proposito è interessante rileggere il parere del CESE del maggio 2006 sul tema Dare la priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea, relatore: BEDOSSA (GU C 195 del 18.8.2006, pag. 104-109).

(12)  Programma di promozione del dialogo sociale nell'Africa francofona.

(13)  Ibidem 7. Cfr. anche l'art. 30 dell'Accordo di Cotonou in vigore.

(14)  A titolo di esempio, la Comunità di sviluppo dell'Africa australe (SADC) comprende 15 Stati membri, di cui 7 partecipano ai negoziati nel quadro dell'Africa australe, 6 nel quadro dell'Africa orientale (ESA), 1 nel quadro della Comunità dell'Africa orientale (EAC) e 1 nel quadro dell'Africa centrale.

(15)  COM(2008) 654 def.

(16)  Si veda il parere sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, relatore: SHARMA (GU C 120 del 16.5.2008, pag. 82-88).


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 317/132


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa agli animali della specie bovina riproduttori di razza pura (versione codificata)

COM(2009) 235 def. — 2006/0250 (CNS)

(2009/C 317/25)

Il Consiglio, in data 26 giugno 2009, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37 e 94 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa agli animali della specie bovina riproduttori di razza pura (versione codificata)

COM(2009) 235 def. - 2006/0250 (CNS).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere adottato il 15 febbraio 2007 (1), il Comitato economico e sociale europeo, alla sua 455a sessione plenaria, dei giorni 15 e 16 luglio 2009 (seduta del 15 luglio), ha deciso, con 185 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 15 luglio 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa agli animali della specie bovina riproduttori di razza pura (versione codificata), GU C 97 del 28.4.2007, pag. 13.