ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 211

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

51o anno
19 agosto 2008


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

444a sessione plenaria del 22 e del 23 aprile 2008

2008/C 211/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Regioni europee competitive grazie alla ricerca e all'innovazione — Un contributo al rafforzamento della crescita e al miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione COM(2007) 474 def.

1

2008/C 211/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili COM(2007) 560 def. — 2007/0201 (COD)

9

2008/C 211/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (Euro VI) e all'accesso alle informazioni necessarie alla riparazione e alla manutenzione del veicolo COM(2007) 851 def. — 2007/0295 (COD)

12

2008/C 211/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgimento dei trattori agricoli o forestali a ruote (prove statiche) (versione codificata) COM(2008) 25 def. — 2008/0008 (COD)

17

2008/C 211/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso una politica comune dell'energia

17

2008/C 211/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a

23

2008/C 211/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una politica marittima integrata per l'Unione europea COM(2007) 575 def.

31

2008/C 211/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1172/98 del Consiglio relativo alla rilevazione statistica dei trasporti di merci su strada per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione COM(2007) 778 def. — 2007/0269 (COD)

36

2008/C 211/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piccole, ecologiche e competitive — Un programma inteso ad aiutare le piccole e medie imprese a conformarsi alla normativa ambientale COM(2007) 379 def. [SEC(2007) 906, SEC(2007) 907, SEC(2007) 908]

37

2008/C 211/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul riesame della raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri COM(2007) 707 def.

40

2008/C 211/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (rifusione) COM(2008) 3 def. — 2008/0003 (COD)

44

2008/C 211/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio COM(2008) 104 def. — 2008/0042 (COD)

45

2008/C 211/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione COM(2008) 105 def. — 2008/0038 (COD)

46

2008/C 211/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 999/2001 (recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili) per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione COM(2008) 53 def. — 2008/0030 (COD)

47

2008/C 211/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza COM(2007) 359 def.

48

2008/C 211/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini COM(2007) 424 def.

54

2008/C 211/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Prevenzione del terrorismo e della radicalizzazione violenta

61

2008/C 211/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale COM(2007) 380 def. — SEC(2007) 910

67

2008/C 211/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per le regioni ultraperiferiche: realizzazioni e prospettive COM(2007) 507 def.

72

2008/C 211/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La libertà di associazione nei paesi del partenariato euromediterraneo

77

2008/C 211/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I negoziati sui nuovi accordi commerciali: la posizione del CESE

82

2008/C 211/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Insieme per comunicare l'Europa COM(2007) 568 def. e allegato COM(2007) 569 def.

90

IT

 


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

444a sessione plenaria del 22 e del 23 aprile 2008

19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Regioni europee competitive grazie alla ricerca e all'innovazione — Un contributo al rafforzamento della crescita e al miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione

COM(2007) 474 def.

(2008/C 211/01)

La Commissione europea, in data 16 agosto 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Regioni europee competitive grazie alla ricerca e all'innovazione — Un contributo al rafforzamento della crescita e al miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato può sostenere fermamente l'iniziativa della Commissione solo nella misura in cui essa prenda in considerazione non solo i problemi della domanda ma anche e soprattutto l'ottimizzazione dal lato della offerta evitando fallimenti e burocrazia (failures and red tape).

1.2

Il Comitato è fermamente convinto che la promozione delle azioni a livello locale e regionale e la capacità di metterle in rete per realizzare la strategia di Lisbona sono essenziali per sforzi congiunti di R&S che conducano, con successo, alla creazione e allo sviluppo di imprese innovative in tutto il territorio dell'Unione, ma soprattutto per far partecipare le forze economiche e sociali, operanti sul territorio, ad obiettivi condivisi di maggiore e migliore occupazione in un quadro di sviluppo sostenibile e competitivo globale.

1.3

Il Comitato ribadisce l'importanza del triangolo della conoscenza: istruzione, ricerca e innovazione, che svolge un ruolo essenziale nel promuovere la crescita e l'occupazione e ritiene prioritario accelerare le riforme, promuovere l'eccellenza nell'istruzione superiore e nelle partnership tra università, centri di ricerca e aziende e garantire che tutti i settori dell'istruzione e della formazione svolgano appieno il loro ruolo, nella promozione della creatività e dell'innovazione, specie a livello regionale e locale. Questo include, in particolare, quelle specifiche regioni — Euregio — dove il coinvolgimento a rete di vicini e di partner si colloca in aree che vanno al di là dei confini nazionali.

1.4

Il Comitato ritiene che la competitività e lo sviluppo economico, sociale e occupazionale delle regioni europee debbano essere affrontati da tutti in modo più proattivo e più coordinato, rispetto a quanto avviene attualmente, per privilegiare l'ottimizzazione dei risultati concreti nel raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona.

1.5

Il Comitato condivide pienamente la diagnosi della Commissione sulle carenze di utilizzo, congiunto e coordinato, degli strumenti comunitari, ma manifesta il proprio rammarico che, a distanza di oltre un decennio, tale questione nodale venga affrontata ancora in termini di analisi, senza arrivare al nocciolo del problema, per sviluppare nuove capacità di simultaneous engineering  (1) tra varie tipologie di intervento, comunitario ed europeo.

1.6

Il Comitato ritiene necessario, ma non sufficiente, agire solamente dal lato della domanda. Esso ritiene che si debba superare il momento della denuncia della necessità di rafforzamento dell'attenzione delle regioni, e arrivare a:

una strategia territoriale di ricerca e di sviluppo tecnologico e innovativo,

considerazioni specifiche sulla cooperazione transfrontaliera (Euregio),

a un uso coordinato degli strumenti comunitari,

ad una maggior informazioni sulle opportunità offerte a livello nazionale ed europeo,

una forte riduzione dei carichi burocratici.

1.7

Secondo il Comitato, occorre agire in profondità sul lato dell'offerta, per assicurare un quadro di coerenza e di facile accesso, dell'insieme degli strumenti offerti, per lo sviluppo competitivo delle realtà territoriali europee, oltrepassando gli ostacoli di natura giuridica, le asincronie di tempi d'attivazione ed erogazione del sostegno finanziario.

1.8

Il Comitato ritiene indispensabile lo sviluppo di una guida pratica europea, che riassuma in un quadro sinottico:

le tipologie di interventi comunitari e paneuropei attivabili,

le differenze sui requisiti di esigibilità e sui criteri di valutazione,

le sincronie e le asincronie procedurali e gestionali,

le compatibilità e complementarietà dei possibili interventi.

1.9

Il Comitato ritiene, inoltre, che un'azione comunitaria, precisa e puntuale, non sia più rinviabile e ciò per assicurare nuove capacità di simultaneous engineering, tra varie tipologie di intervento, e per ottimizzare e concentrare le risorse sul territorio.

1.10

Il Comitato ritiene quindi prioritario porre rimedio ai problemi di pluralità di livelli di governance e alla frammentazione degli interventi, necessari per il rilancio competitivo delle regioni europee, conformemente a quanto già espresso dal Comitato (2), e propone il lancio di una nuova iniziativa Jasmine — Joint Assistance Supporting Multiprojects for Innovation Networking in Europe per far fronte ai gap istituzionali esistenti, sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta e per conseguire una forte riduzione dei carichi burocratici.

1.11

Jasmine dovrebbe mirare ad una migliore comprensione e coerenza dei comportamenti dei diversi attori, che sono chiamati a partecipare ad un processo decisionale a rete, all'interno di un quadro unitario e coerente di progettualità territoriale.

2.   Premessa

2.1

Le regioni europee della conoscenza sono confrontate a numerosi fattori di cambiamento che costituiscono altrettante sfide, ma anche opportunità, che influenzano la loro capacità di raggiungere gli obiettivi della rivisitata strategia di Lisbona.

2.2

Tra i fattori di cambiamento si possono ricordare:

—   fattori esogeni: un intensificato processo di globalizzazione, l'emergere di aree continentali con forte dinamismo di crescita, incrementi elevati dei prezzi dell'energia e delle materie prime, sviluppi scientifici e tecnologici imprevisti, l'internazionalizzazione dell'innovazione, i problemi connessi ai cambiamenti climatici, pressioni migratorie spesso non governate o ingovernabili,

—   fattori endogeni: l'invecchiamento della popolazione, la tutela ambientale e la salvaguardia della qualità della vita, l'obsolescenza dell'apparato produttivo e dei servizi, la modernizzazione del settore pubblico, l'interazione crescente tra nuovi saperi emergenti e capitale umano disponibile, le capacità di sviluppo culturale e della creatività, lo sviluppo delle infrastrutture territoriali comuni, sia fisiche che immateriali.

2.3

Su tali temi il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese, sia su un piano generale, nell'ambito degli sviluppi della strategia di Lisbona e delle politiche comunitarie di ricerca e innovazione, dell'ambiente e dell'educazione e formazione, sia su un piano più specifico.

2.4

In particolare, il Comitato ha avuto modo di sottolineare l'esigenza di «mettere tutto il territorio comunitario in condizione di rispondere alle sfide dell'economia della conoscenza, contribuendo in tal modo a far sì che tutte le regioni possano tenere conto degli obiettivi di Lisbona» (3).

2.5

Inoltre, il Comitato ha ribadito che «la nuova configurazione dei modelli competitivi sul mercato globale impone forti cambiamenti. Le nuove piattaforme integrate e i contesti reticolari devono affrontare i temi relativi a ricerca e innovazione, gestione delle nuove risorse umane promozione e marketing, finanza e credito, logistica e cura del mercato e dei servizi dedicati al cliente» (4).

2.6

Il Comitato ribadisce la convinzione che la promozione delle azioni a livello locale e la capacità di metterle in rete per realizzare la strategia di Lisbona risultano,essenziali per incoraggiare la creazione di imprese innovative in un quadro di sviluppo sostenibile e competitivo. Questo dovrebbe anche includere, in particolare, tutte quelle regioni — Euregio — e attività dove i sistemi a rete tra vicini e partner si collocano in aree che vanno al di là dei confini nazionali.

2.7

Nel suo parere in merito al Libro verde sulle nuove prospettive dello spazio europeo della ricerca il Comitato ha raccomandato «di completare lo spazio europeo della ricerca con uno spazio europeo della conoscenza», per creare una società europea della conoscenza, e ha indicato la necessità di «un coordinamento da parte della Commissione affinché vengano creati organismi efficaci di direzione e di consulenza e un'organizzazione del lavoro adeguata» (5).

2.8

Il Comitato ha infine sottolineato l'importanza del «triangolo della conoscenza»: istruzione, ricerca e innovazione, che svolge un ruolo essenziale nel promuovere la crescita e l'occupazione. Per questo è importante accelerare le riforme, promuovere l'eccellenza nell'istruzione superiore e nelle partnership tra università, centri di ricerca e aziende e garantire che tutti i settori dell'istruzione e della formazione svolgano appieno il loro ruolo nella promozione della creatività e dell'innovazione, specie a livello regionale e locale.

2.9

Il Comitato ritiene che la competitività e lo sviluppo economico, sociale e occupazionale delle regioni europee debbano essere affrontati da tutti in modo più proattivo e coordinato: la Commissione deve cercare di andare al di là dei vincoli posti da diverse basi giuridiche, da criteri procedurali, per privilegiare l'ottimizzazione dei risultati concreti nel raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, attraverso i vari strumenti del bilancio comunitario, rispondendo al cittadino contribuente, anche in termini d'efficacia d'accesso congiunto, di coordinamento, di sinergie e di sincronie degli interventi attivabili a livello comunitario e paneuropeo, per raggiungere una massa critica, necessaria per ottenere un effetto moltiplicatore.

2.10

Secondo le linee guida integrate per la crescita e l'occupazione della rinnovata Agenda di Lisbona, la politica di coesione delinea tre priorità strategiche (6):

maggiore capacità d'attrazione di Stati membri, regioni e città (Città della Scienza) (7) migliorandone l'accessibilità, assicurando livelli qualitative adeguati di servizi e preservando l'ambiente,

promozione dell'innovazione e dell'imprenditorialità e sviluppo dell'economia della conoscenza, attraverso la ricerca e le applicazioni innovative, incluse le tecnologie dell'informazione e della comunicazione,

creazione di maggiore e migliore occupazione, attraendo più persone nell'attività lavorativa e imprenditoriale, migliorando l'adattabilità delle imprese e dei lavoratori, aumentando gli investimenti in capitale umano.

2.11

Dal lato dell'offerta, le difficoltà per assicurare un effetto leva ed un uso coordinato degli strumenti finanziari, disponibili per raggiungere tali obiettivi, discendono dalle caratteristiche intrinseche degli strumenti stessi, e cioè:

dai diversi orientamenti gestionali e procedurali che li reggono,

dalla loro dimensione, più squisitamente territoriale o transnazionale,

dalla specificità degli obiettivi loro assegnati,

da basi giuridiche differenti,

dall'attribuzione di responsabilità, decisionali e gestionali, a unità e organismi differenti.

2.12

Dal lato della domanda, da parte delle regioni vi sono spesso:

una mancanza di una chiara, definita e condivisa visione comune di una strategia territoriale di ricerca e sviluppo tecnologico e innovativo,

difficoltà di informazione e comunicazione,

insufficienti capacità di governance di progettualità complesse, strutturate su più livelli e con diversi obiettivi,

insufficiente sviluppo di cluster e di reti distrettuali,

sviluppo inadeguato di capacità professionali, tecniche e organizzative, necessarie per uno sfruttamento ottimale della strategia d'innovazione.

2.13

Le carenze devono essere affrontate assicurando assistenza tecnica e coordinamento, fin dall'origine di tutti i programmi comunitari.

2.14

Le lodevoli iniziative di sinergia, presenti nell'impostazione di differenti programmi e interventi strutturali per lo stesso periodo 2007-2013 appaiono essere condizione necessaria, ma non sufficiente, per ottimizzarne risultati concreti.

2.15

Il Comitato ha avuto modo di esprimersi favorevolmente su iniziative della Commissione come Jeremie, e ha proposto Focal point Jeremie, inteso come unità di coordinamento e di informazione tra le diverse azioni; evidenziando che manca un progetto che sia in grado di coordinare e di finalizzare i numerosi strumenti in materia di credito oggi esistenti (8).

2.16

Il Comitato sostiene e condivide pienamente le dichiarazioni della commissaria Danuta HÜBNER a proposito di Jaspers, Jeremie e Jessica (9)«che hanno creato nuove dinamiche e prospettive d'investimento, di crescita e di occupazione a livello nazionale e regionale e anche tra le parti sociali in tutte le regioni dell'UE».

2.17

Il Comitato ritiene che le linee guida adottate dal Comitato per la ricerca scientifica e tecnologica dell'UE, CREST (10) e pubblicate nel settembre 2007, rappresentino uno strumento d'orientamento importante, anche se limitato alle interazioni tra il Programma quadro comunitario di RSTD ed i nuovi fondi strutturali.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta della Commissione europea evidenzia le sinergie potenziali esistenti nella progettazione degli strumenti di finanziamento delle politiche europee di ricerca, di innovazione, e di coesione a disposizione dei soggetti interessati, per rendere più competitive le regioni europee, secondo le loro capacità d'assorbimento.

3.2

Vengono indicati, come principali strumenti d'azione il Settimo programma quadro (7PQ) di RST ed il nuovo PQ per la Competitività e l'innovazione (CIP), insieme ai nuovi orientamenti dei fondi strutturali e di coesione.

3.3

La Commissione indica di aver operato attraverso una serie di gruppi consultivi di coordinamento, che hanno raccomandato:

lo sviluppo di una strategia specifica per l'uso coordinato del PQ e dei programmi della politica di coesione nell'ambito della loro strategia di RSTI,

il rafforzamento della governance strategica di RST mediante scambi e collegamenti in rete,

sinergie efficaci per il rafforzamento e lo sviluppo della capacità di RST, lo sviluppo dell'eccellenza, l'attenzione alle PMI, l'istituzione di cooperazioni a livello europeo e internazionale e la valorizzazione dei risultati,

il miglioramento della comunicazione e della collaborazione tra gli operatori nazionali e regionali e con i beneficiari,

il ricorso ad azioni del programma specifico «Capacità» del 7PQ, per azioni coordinate,

il rafforzamento delle sinergie tra la politica di coesione e 7PQ sulle infrastrutture di ricerca, con il coinvolgimento degli Stati membri.

3.4

La Commissione invita gli Stati membri a perfezionare le modalità per lo sviluppo e l'uso coordinati degli strumenti comunitari, istituendo sistemi per informare gli operatori coinvolti sulle opportunità loro offerte e si impegna alla pubblicazione, entro il 2007, di una guida pratica sulle possibilità di finanziamento per enti di ricerca, con le modalità previste dai meccanismi nazionali e regionali, per incentivare un accesso coordinato ai finanziamenti.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato condivide pienamente la diagnosi della Commissione sulle carenze di utilizzo, congiunto e coordinato, degli strumenti comunitari da essa indicati, ma non ne condivide la terapia, ritenendola insufficiente per raggiungere gli obiettivi delle politiche comunitarie, soprattutto nel campo della ricerca, dell'innovazione e della formazione.

4.2

Il Comitato concorda con la Commissione (11) sul fatto che «per la realizzazione del partenariato rinnovato “per la crescita e l'occupazione” è indispensabile impegnarsi per promuovere l'economia della conoscenza, soprattutto mediante la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione» ma ritiene che tale partenariato discenda da responsabilità congiunta di tutte le parti in causa, in primis a livello comunitario, oltre che nazionale, regionale e locale.

4.3

Il Comitato ritiene che occorra andare oltre lo sviluppo di una strategia territoriale di ricerca e di sviluppo tecnologico e innovativo, utilizzando di più:

gli strumenti del foresight e dell'analisi SWOT (12) per identificare le opportunità strategiche delle regioni,

le azioni di capacity building e di formazione di professionalità adeguate,

il rafforzamento delle capacità attrattive dell'occupazione in R&S, per evitare la fuga dei cervelli sia all'interno dell'UE, sia verso il resto del mondo,

lo scambio di esperti qualificati e di esperienze innovative,

il sostegno allo sviluppo e al coordinamento dei distretti industriali della conoscenza,

l'utilizzo delle piattaforme tecnologiche europee, insieme con le iniziative congiunte europee,

l'uso coordinato degli strumenti comunitari, con la creazione di sistemi interattivi, per informare gli operatori coinvolti sulle opportunità loro offerte,

le possibilità di comunicazione e di scambi di esperienza, soprattutto tra le PMI.

4.4

Secondo il Comitato, occorre agire in profondità, sul lato dell'offerta, per assicurare un quadro, di facile accesso, dell'insieme degli strumenti offerti per lo sviluppo competitivo delle realtà territoriali europee, secondo gli obiettivi di un «territorio socialmente responsabile», con il coinvolgimento delle parti sociali, delle Camere di commercio, dell'«Accademia», e della società civile organizzata, secondo strategie di sostenibilità della politica industriale europea (13) sia di produzione sia di consumo sostenibili.

4.5

Il Comitato ritiene peraltro che l'indicazione degli strumenti, che contribuiscono al rafforzamento della crescita e al miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e della competitività delle regioni europee, attraverso la ricerca e l'innovazione, sia parziale sotto il profilo degli strumenti d'intervento comunitari interessati, e carente per quanto concerne la gamma delle opportunità disponibili per le regioni europee e le necessità di coordinamento degli strumenti paneuropei e internazionali attivabili.

4.6

Nella comunicazione non viene fatto cenno, se non in modo marginale (14), a possibilità di intervento quali:

la Banca europea per gli investimenti, con le sue numerose offerte,

l'I2I — Innovation 2010 Initiative,

le azioni collaborative varate a livello europeo e comunitario, quali l'European R&D Infrastructures (ESFRI) o le Piattaforme tecnologiche europee,

le Facilities per le risorse umane europee in scienza e tecnologia, Eiburs (EIB University Research Sponsorship Programme),

Starebei (STAges de REcherche BEI), BEI University Networks,

le dotazioni regionali e locali per la R&S e l'Innovazione,

gli investimenti pubblici e privati in R&S e Innovazione,

i servizi TCI e l'audiovisivo,

il Programma d'azione integrato, relativo all'istruzione e alla formazione 2010, composto da ulteriori programmi settoriali per l'«apprendimento permanente per la conoscenza, la creatività e l'innovazione» (15), che costituisce elemento integrante del «triangolo della conoscenza» (istruzione, ricerca e innovazione),

gli strumenti di intervento comunitari della società dell'informazione con i programmi nell'ambito dell'Iniziativa «i2010» (16),

il contributo del dialogo sociale al rafforzamento della società della conoscenza,

il potenziamento della formazione permanente e ricorrente,

il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (17), diretto a fornire un appoggio specifico, e una tantum, allo scopo di facilitare il reinserimento dei lavoratori di comparti o di settori che subiscono lo shock di una grave perturbazione economica (18).

4.7

Inoltre, non vengono menzionati i programmi e le iniziative paneuropee, non comunitarie, che agiscono però in termini di sviluppo innovativo sul territorio UE, come:

l'Iniziativa Eureka, una rete paneuropea per organizzazioni di R&S industriale orientate al mercato, che sostiene la competitività delle imprese europee, attraverso la creazione di collegamenti e reti di innovazione in 36 paesi diversi, con i quali la Commissione ha concluso un accordo di cooperazione,

il programma Eurostars, iniziativa congiunta CE-Eureka, secondo uno schema transeuropeo di sostegno alle PMI per sviluppare nuovi prodotti e servizi di mercato,

la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), che ha concluso con la Commissione un accordo di partenariato, con l'obiettivo di facilitare l'elaborazione di grandi progetti, cofinanziati dal Fondo di coesione e dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), in particolare nei nuovi Stati membri, nel periodo 2007-2013,

il programma LEED-OECD (Local Economic and Employment Development Programme), che identifica, analizza e diffonde idee innovative per lo sviluppo locale, e tende a migliorare la governance delle piccole e medie imprese, anche in cooperazione con la Commissione europea,

la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa — CEB, che ha un accordo di partenariato con la Commissione e che finanzia progetti sociali per una maggiore coesione economica e sociale, e per un rafforzamento dell'integrazione sociale, della protezione ambientale, e dello sviluppo del capitale umano nelle regioni,

varie attività e iniziative Euregio,

le iniziative «Città della Scienza».

4.8

Il Comitato ritiene, inoltre, che le difficoltà e gli ostacoli indicati per un uso congiunto e coordinato degli strumenti attivabili a livello nazionale, regionale e locale e da parte dei singoli operatori (19) — sempre tenendo presente il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, articolo 54, paragrafo 5 — debbano essere meglio precisati, non solo in termini di basi giuridiche differenti, specializzazione tematica, aree geografiche, modalità di attuazione, ma anche in termini di differenze sostanziali, e talora preclusive, quali:

transnazionalità o meno dei progetti,

sincronia dei tempi di attivazione,

sincronia dei tempi di erogazione del sostegno finanziario,

sincronia dei tempi d'attuazione,

possibilità e capacità di scomporre un progetto globale di azione territoriale in una serie di «sottoprogetti», attivabili secondo i requisiti richiesti dai singoli programmi e strumenti comunitari, paneuropei e internazionali.

4.9

Il Comitato ritiene indispensabile lo sviluppo di una guida pratica europea, che riassuma in un quadro sinottico le tipologie di interventi comunitari e paneuropei attivabili, i diversi criteri di valutazione,le compatibilità e complementarietà dei possibili interventi.

4.10

Il Comitato ribadisce le esigenze di azione coordinata e congiunta «in materia di rapporti tra le politiche strutturali comunitarie e le politiche di ricerca e innovazione dell'Unione, come auspicato a più riprese dal Comitato stesso», sottolineando «che uno stretto coordinamento tra tali politiche sia indispensabile per attivare livelli ottimali di sinergia operativa e per permettere di rispondere pienamente ai bisogni del cittadino, dell'impresa e della società, con l'obiettivo globale di una crescita durevole e armoniosa a medio/lungo termine, coerentemente all'approccio integrato problem solving di RSTD, e al fattore chiave, che detti livelli di sinergia rappresentano, per lo sviluppo degli investimenti immateriali» (20).

4.11

Il Comitato sottolinea la molteplicità delle politiche comunitarie che concorrono, con la politica di coesione e con la politica della ricerca al raggiungimento dell'obiettivo dello sviluppo competitivo delle regioni europee, ribadisce l'esigenza di un approccio integrato e coordinato e cioè:

la politica industriale sostenibile, come sottolineato dal Consiglio europeo di Bruxelles, del dicembre 2007, per «favorire un approccio integrato alla competitività europea, grazie ad una politica industriale sostenibile, coniugata con innovazione e con competenze specialistiche, e sviluppare al tempo stesso la sua dimensione esterna al fine di assicurare condizioni omogenee» (21),

il riesame della politica di mercato unico europeo, per garantire condizioni favorevoli all'innovazione, alla tutela della proprietà intellettuale e alla collaborazione tra università, imprese e centri di ricerca, al potenziamento della politica di standardizzazione normativa,

la politica sociale e dell'occupazione, assicurando un dialogo sociale strutturato, principi condivisi di flessicurezza (22), favorendo l'invecchiamento attivo e politiche d'inclusione attiva e una formazione continua a tutti i cittadini,

la politica dello sviluppo e del consumo sostenibile, che impegna nella ricerca e nell'applicazione di tecnologie innovative pulite ed implica una politica integrata in materia di clima e di energia e di gestione sostenibile delle risorse naturali, e di produzione e di consumo sostenibili.

4.12

In tale ottica, il Comitato ribadisce quanto aveva già in precedenza espresso (23):

«formulare e adottare una strategia globale comunitaria di razionalizzazione dei meccanismi esistenti e di integrazione delle diverse politiche europee interessate, che pur nel rispetto delle peculiarità delle singole regioni, dia una connotazione univoca all'intervento comunitario, nell'ottica della competitività e dello sviluppo durevole e armonioso del sistema Europa»,

«individuare strumenti integrati dei mercati locali, regionali e nazionali dell'innovazione …»,

«definire i livelli di integrazione e le necessarie interazioni tra gli stessi, anche ai fini di stabilire compatibilità e maggiore sincronizzazione tra i sistemi decisionali e attuativi delle politiche strutturali di coesione e di RST e innovazione, necessarie ad una loro piena ed efficace integrazione»,

«identificare nuove forme di attivazione integrata degli strumenti di coesione e di RSTD, attraverso procedure e metodi semplificati e, per quanto possibile, uniformati e automatici, sfruttando appieno le possibilità di modulare i livelli di sostegno alla RST delle imprese …»,

«realizzare sistemi di controllo e monitoraggio delle azioni congiunte di RSTD e di coesione ai fini di valutarne l'efficacia in termini di risultati raggiunti rispetto agli obiettivi dichiarati, attraverso indicatori di performance predefiniti e armonizzati e benchmarking a livello regionale».

4.12.1

Il Comitato raccomanda inoltre l'integrazione dei programmi comunitari di formazione.

4.13

Il Comitato manifesta il proprio rammarico che, a distanza di un decennio, tale questione nodale venga affrontata ancora in termini di analisi, senza arrivare al nocciolo del problema, che implica l'intervento comunitario per assicurare nuove capacità di simultaneous engineering tra varie tipologie di intervento: tecnologico, dimostrativo, innovativo, diffusivo, formativo, finanziario, ecc., finalizzate ad un impatto positivo sul tessuto occupazionale e produttivo delle diverse realtà territoriali (24).

4.14

Il Comitato ritiene che un'azione comunitaria, precisa e puntuale, non sia più rinviabile, se non a rischio di perdite competitive e occupazionali delle regioni europee.

5.   La proposta del CESE

Iniziativa Jasmine — Joint Assistance Supporting Multiprojects for Innovation Networking in Europe

5.1

Il CESE sottolinea con forza l'esigenza che Jasmine sia uno strumento volontario di semplificazione ed eliminazione degli ostacoli burocratici, procedurali e concettuali all'uso congiunto di programmi pan-europei, comunitari, nazionali e regionali, in linea con un accelerato sviluppo dello Spazio europeo della ricerca — ERA.

5.2

Il Comitato ritiene prioritario, allo stato attuale, porre rimedio ai problemi di pluralità di livelli di governance dei diversi interventi attivabili, per il rilancio competitivo delle regioni europee e propone il lancio di una nuova iniziativa Jasmine — Joint Assistance Supporting Multiprojects for Innovation Networking in Europe, per far fronte ai gap istituzionali esistenti, sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta, di interventi a sostegno dell'innovazione e della ricerca sul territorio.

5.3

L'azione comunitaria dovrebbe basarsi sulla politica di rete — Policy Networking — e potrebbe concretizzarsi come segue:

creazione di un'iniziativa comunitaria che potrebbe chiamarsi, ai soli fini esemplificativi, Iniziativa comunitaria Jasmine , che si affianchi a Jaspers, Jeremie e Jessica, per lo sviluppo di azioni di assistenza tecnica rivolte alle autorità nazionali, regionali e locali, nonché agli operatori interessati, per dare efficacia concreta al coordinamento degli interventi comunitari, paneuropei e nazionali, e per rispondere alle necessità di simultaneous engineering tra varie tipologie di intervento,

l'azione mira a migliorare la comprensione e la coerenza dei comportamenti dei diversi attori come partecipanti ad un processo decisionale a rete ed alla loro mutua dipendenza in termini di informazioni, capacità gestionale, competenze e risorse finanziarie finalizzate all'attivazione sincrona di interventi di governance multilivello all'interno di un quadro unitario e coerente di progettualità territoriale, sia in relazione sia ad azioni di PPP — Public/Private Partnership, che di azioni progettuali nazionali, comunitarie e transnazionali,

politica di rete verticale, che coinvolga le istituzioni di governance ai vari livelli: internazionale, comunitario, nazionale e regionale in sistemi di cooperazione ben definiti e strutturati,

politica di rete orizzontale, che coinvolga soggetti pubblici e privati sul territorio, quali i governi locali, le imprese, le banche, le organizzazioni non governative, i gruppi d'interesse e le istituzioni di dialogo sociale (25),

costituzione di un Focal Point Jasmine come unità comunitaria di collegamento e di informazione — anche attraverso un apposito sito web — ma evitando ogni eccessiva centralizzazione (26) — tra i diversi livelli e le diverse tipologie d'azione — sottoposte a regole differenti e con responsabilità gestionali differenti all'interno ed all'esterno dei servizi della Commissione — al fine di ottimizzarne i risultati,

realizzazione di una rete comunitaria di Focal Point Jasmine nelle regioni che lo desiderino, per rispondere ai problemi di concezione globale dei progetti articolati in più sottoprogetti; collegamento tra territorialità e transterritorialità dei sottoprogetti stessi; ricerca partner transnazionali e nazionali delle proposte di più progetti; sincronia dei loro tempi di attivazione; sincronia dei loro tempi di erogazione del sostegno finanziario; sincronia dei loro tempi d'attuazione; divieti di cumulo,

istituzione volontaria, da parte delle regioni, di Jasmine Holding Fund regionali, sottoposti ad accreditamento da parte della Commissione secondo criteri di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e trasparenza delle procedure, che devono recepire schemi predefiniti, predisposti dalla Commissione,

avvio di un'azione comunitaria di Foresight «Regioni europee competitive» che si avvalga delle esperienze della DG Ricerca, e coinvolga i massimi responsabili di tutti i servizi interessati della Commissione, con rappresentanze politiche delle regioni, con il Parlamento europeo, il Comitato delle regioni e il Comitato economico e sociale europeo,

l'inserimento di azioni di benchmarking specifiche sul «buon esito … (di) nuovi metodi di governance basati sulla trasparenza e sulla semplificazione delle procedure e su forme di partenariato autentico, con le forze economiche e sociali locali e regionali» (27),

azione di capacity building a favore di amministrazioni locali e operatori economici e sociali, sostegno allo sviluppo di reti transnazionali, finalizzate a partnership progettuali, monitoraggio delle sinergie e sincronie progettuali, sostegno ad azioni di comunicazione e di informazione trasparente e interattiva.

5.4

Le nuove priorità dei programmi regionali, focalizzate sull'innovazione, la competitività e il mutuo apprendimento lungo tutta la vita attiva, dovrebbero permettere lo sviluppo di politiche attive di rafforzamento e sostegno della competitività del territorio, grazie al finanziamento di esercizi di foresight regionali e interregionali, di cluster e reti distrettuali che assicurino una visione strategica condivisa di ciascuna regione su cui poter innestare un'azione d'assistenza tecnica all'utilizzo congiunto ottimale degli strumenti nazionali, comunitari, paneuropei e di PPP più appropriati.

5.5

Jasmine, si potrebbe proporre come marchio di garanzia nei confronti dei vari organismi e programmi finanziari per l'accettazione facilitata di progetti diretti, in termini di complementarietà e/o di successione di fasi temporali, grazie a Memorandum of Understanding o accordi di cooperazione tra la Commissione europea e altri organismi comunitari e non comunitari, o tramite regolamenti amministrativi della Commissione nei confronti dei vari servizi della Commissione stessa responsabili dei singoli programmi, per l'accettazione di documentazione progettuale unica, da parte di pluralità di enti eroganti, destinatari di un pacchetto di proposte.

5.6

L'obiettivo di Jasmine è di facilitare la mobilizzazione di risorse finanziarie che fanno capo a responsabilità gestionali differenti ed a livelli diversi di governance sia pubblica che privata per raggiungere la massa critica ottimale di risorse — accentuandone l'effetto-leva complessivo — per la realizzazione di un quadro unitario multiprogettuale che risponda pienamente alla visione strategica condivisa di una regione europea di rafforzamento dei suoi punti di forza in campo tecnologico-innovativo.

5.7

Jasmine dovrebbe basarsi sulle esperienze di Lead Market Initiative, le piattaforme tecnologiche europee e le iniziative tecnologiche congiunte, sui risultati di Eranet ed Eranet-PLUS, delle iniziative Regioni per il cambiamento economico e Pro Inno, nonché di Jeremie, Jaspers e Jessica (28).

5.8

Jasmine potrebbe ottimizzare gli sforzi di innovazione e ricerca del territorio e delle imprese, le risorse umane, le università, e i centri di ricerca e le amministrazioni che su di esso operano, anche attraverso le KIC — Knowledge and Innovation Communities dell'Istituto europeo di tecnologia — IET, ma occorre ricordare che l'innovazione è in massima parte un'attività imprenditoriale che deve potersi sviluppare nelle migliori condizioni quadro di operatività possibili, specie dal punto di vista dell'imposizione fiscale sull'attività di ricerca e sul trattamento e tutela della proprietà intellettuale, così come di strutture educative e formative d'eccellenza per poter generare maggiore e migliore occupazione.

5.9

Infine Jasmine potrebbe contribuire a valorizzare gli specifici vantaggi delle regioni e contribuire a promuovere gli scambi sull'innovazione e sulla ricerca.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Così come utilizzato nei documenti della Commissione, nel senso di «progettare simultaneamente».

(2)  Cfr. parere (relatore: WOLF — GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1), punto 1.14: «Il Comitato raccomanda di definire regole chiare e comprensibili per i molteplici strumenti comunitari di sostegno e coordinamento della R&S, ivi compreso un elenco riassuntivo (nonché un manuale di istruzioni) di tutti gli strumenti e le forme di promozione e coordinamento di cui dispone la Commissione ai fini della R&S. […]».

(3)  Cfr. parere, relatore: MALOSSE — GU C 10 del 14.1.2004, pag. 88.

(4)  Cfr. parere, GU C 255 del 14.10.2005, pag. 1.

(5)  Cfr. parere, GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1.

(6)  Decisione del Consiglio del 6.10.2006.

(7)  Vedi anche: iniziativa Science Cities

(www.sciencecities.eu).

(8)  Cfr. parere, GU C 110 del 9.5.2006.

(9)  Jeremie: Risorse europee congiunte per le micro, le piccole e le medie imprese. Jessica: Sostegno europeo congiunto per gli investimenti sostenibili nelle aree urbane. Jaspers: Assistenza congiunta a sostegno dei progetti nelle regioni europee.

(10)  Linee guida CREST — 1o giugno 2007.

(11)  Cfr. COM(2007) 474 def.

(12)  SWOT: Strengths, Weaknesses, Opportunities, and Threats Analysis.

(13)  COM(2007) 374 def. del 4.7.2007.

(14)  Cfr. SEC(2007) 1045 def. del 16.8.2007.

(15)  Cfr. COM(2007) 703 def. del 12.11.2007.

(16)  Cfr. COM(2007) 146 def.

(17)  Cfr. COM(2006) 91 def.

(18)  Cfr. parere, GU C 318 del 23.12.2006.

(19)  Cfr. parere, GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1, punto 4.8: «Strumenti comunitari impiegati finora per la promozione e il coordinamento. Il Comitato raccomanda invece di definire regole generali, chiare e comprensibili per i molteplici strumenti comunitari di sostegno e coordinamento della R&S. A tal fine sarebbe molto utile se la Commissione mettesse a punto un elenco e una descrizione, vale a dire un manuale di istruzioni comprensibile, di tutti gli strumenti e le forme di promozione e di coordinamento di cui dispone. Da tale elenco risulterebbe anche evidente se il crescente numero di strumenti garantisca ancora compiti sufficientemente chiari e linee di demarcazione sufficientemente nette e se gli strumenti siano tuttora agevoli da comprendere e da utilizzare sia per i potenziali utenti che per gli stessi funzionari della Commissione, o non siano invece da rivedere ai fini di una maggiore chiarezza».

(20)  Cfr. parere, GU C 40 del 15.2.1999.

(21)  Consiglio europeo di Bruxelles del 14 dicembre 2007, conclusioni della presidenza.

(22)  Così come espresso nelle conclusioni del Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008 (punto 16) e dai pareri del CESE.

(23)  Cfr. parere, GU C 40 del 15.2.1999.

(24)  Cfr. nota 23.

(25)  Cfr. DG Politica regionale, CE, gennaio 2003.

(26)  Cfr. parere, GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1, punto 3.14: «[…] In ogni caso si dovrebbe evitare l'impressione che la Commissione punti a una gestione centralizzata della ricerca europea, per non alimentare ulteriormente nei cittadini [20] degli Stati membri i già vivi timori di un eccessivo centralismo da parte di Bruxelles. […]».

(27)  Cfr. parere, GU C 10 del 14.1.2004, pag. 88.

(28)  Cfr. nota 9.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili

COM(2007) 560 def. — 2007/0201 (COD)

(2008/C 211/02)

Il Consiglio, in data 23 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1

Ogni anno nei 27 Stati membri muoiono oltre 44 000 persone e altre 1,7 milioni rimangono ferite a seguito di incidenti stradali. Tra queste, oltre 8 000 morti e 300 000 feriti appartengono alla categoria più vulnerabile degli utenti della strada, vale a dire pedoni e ciclisti (1).

1.2

Per garantire loro una maggiore protezione è stata approvata nel 2003 una direttiva quadro, che prevedeva una significativa revisione nella costruzione della parte anteriore degli autoveicoli da realizzarsi in due fasi: la prima è già stata applicata sulle vetture omologate a partire dal 1o ottobre 2005, mentre la seconda dovrebbe scattare nel settembre 2010, dopo una verifica di fattibilità da effettuare entro il 2004.

1.3

Questa seconda fase, come comprovato dagli studi di numerosi esperti indipendenti, si è rivelata impraticabile, almeno nei termini ipotizzati: la Commissione propone quindi ora di rivederla inserendovi anche nuove misure alternative, che comunque garantiscono, anzi migliorano, il grado di sicurezza rispetto alle previsioni della direttiva esistente.

1.4

In particolare, lo studio realizzato dall'esperto incaricato dalla Commissione (2) ha suggerito varie soluzioni, riprese nella proposta in esame, che integrano misure di sicurezza attiva e passiva, in linea con le raccomandazioni avanzate da CARS 21 (3) e con la proposta di regolamentazione globale (Global Technical Regulation — GTR) per la protezione dei pedoni redatta dalla Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite — Ginevra (United Nations Economic Commission for Europe — UN/ECE).

1.5

Il CESE ritiene inoltre che la proposta non alteri la libera concorrenza tra i costruttori in quanto non pone limiti all'offerta sul mercato di modelli di autovetture ma tende ad orientare la domanda verso modelli con maggiori requisiti di sicurezza.

1.6

Alla luce di quanto sopra, il CESE appoggia quindi senza riserve la proposta della Commissione; non può tuttavia non lamentare il ritardo — circa tre anni — con il quale si è giunti a rivedere le misure risultate inattuabili e ad elaborarne delle nuove, anche se, probabilmente, parte del ritardo stesso è dovuto alla acquisizione di dati e soluzioni tecniche non disponibili al momento dell'approvazione della direttiva attualmente in vigore.

1.7

Il CESE invita a colmare questo ritardo — tanto più grave in quanto riguarda la vita e la salute dei cittadini europei — con una rapida e completa approvazione della proposta da parte del Parlamento e del Consiglio europeo, consentendo così l'avvio della seconda fase nei tempi previsti.

1.8

Il CESE mentre esprime la propria soddisfazione per la maggiore efficacia delle misure tecniche adottate per gli autoveicoli, invita le istituzioni europee e gli Stati membri a portare avanti con maggiore determinazione anche le iniziative che riguardano gli altri due aspetti che concorrono alla sicurezza stradale: da un lato, il miglioramento e la messa in sicurezza delle infrastrutture e dall'altro la formazione e sensibilizzazione di tutti gli utenti della strada. Questo appello non può non riguardare anche le autorità regionali e locali chiamate in misura sempre maggiore ad assumere responsabilità decisive in questo settore.

2.   Introduzione

2.1

Ogni anno nei 27 Stati membri della Comunità europea si contano, a seguito di incidenti stradali, circa 8 000 morti e 300 000 feriti tra pedoni e ciclisti, vale a dire gli utenti della strada più vulnerabili.

2.2

Fin dal 2001 la Commissione europea aveva ottenuto dai costruttori di automobili l'impegno di sviluppare nuove misure in grado di aumentare la protezione di pedoni e ciclisti in termini di sicurezza sia attiva (prima cioè che si verifichi la collisione) che passiva (al momento della collisione).

2.3

Tra le varie misure allora suggerite dai costruttori vanno ricordate l'installazione su tutti gli autoveicoli di sistemi di antibloccaggio dei freni (ABS), l'autoimposizione del divieto di commercializzare paraurti rigidi tubolari (rigid bull bars), l'installazione delle luci di posizione diurne (DRL), misura poi ritirata per l'opposizione di alcuni Stati membri, e infine la futura introduzione di ulteriori sistemi di sicurezza attiva di nuova tecnologia ancora in fase di studio.

2.4

Il Consiglio e il Parlamento europeo espressero apprezzamento per l'impegno dell'industria, chiedendo però al contempo che la materia fosse regolata non da un accordo volontario o da una raccomandazione, ma da una vera e propria normativa in materia di protezione dei pedoni sotto forma di una direttiva specifica.

2.5

Di qui sono nate la direttiva quadro 2003/102/CE (4) sulla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili e, successivamente, la direttiva 2005/66/CE (5) relativa all'impiego di sistemi di protezione frontale sui veicoli a motore (eliminazione dei paraurti rigidi).

2.6

La direttiva quadro sulla protezione dei pedoni si basa su prove e valori limite suggeriti dal Comitato europeo per il miglioramento della sicurezza dei veicoli (EEVC) e prevede una implementazione in due fasi, ambedue incentrate sulla sicurezza passiva. La prima fase, che stabiliva revisioni costruttive e un alleggerimento di cofano e paraurti per i veicoli M1 e N1 (6) con peso non superiore ai 2 500 kg, è entrata in vigore per i veicoli omologati a partire dal 1o ottobre 2005. La seconda fase, che prevede prove e valori limite più severi, è prevista per le auto omologate a decorrere dal 1o settembre 2010.

2.7

Sulla fattibilità dei test previsti per la seconda fase erano sorte, già in sede di discussione della proposta al Parlamento europeo, molte perplessità al punto che, nella sua stesura finale, la direttiva prevedeva che la Commissione elaborasse entro il 1o luglio 2004 uno studio di fattibilità in merito. In particolare lo studio doveva individuare: «altre misure alternative — misure passive o una combinazione di misure attive e passive — che abbiano un'efficacia almeno equivalente» (7).

2.8

Una serie di studi elaborati da esperti indipendenti, ivi compresi quelli incaricati dalla Commissione, ha dimostrato che è tecnicamente impossibile realizzare i requisiti della seconda fase nei termini e con i test che erano stati previsti dall'EEVC. Alla luce di questa conclusione, la nuova proposta prevede dei parametri rivisti per la sicurezza passiva insieme con elementi nuovi di sicurezza attiva, sviluppati nel frattempo dall'industria, in grado di rispondere, e anche andare al di là, al dettato del citato art. 5 della direttiva e cioè di «avere un'efficacia reale almeno equivalente».

2.9

Inoltre i test ora suggeriti sono uguali a quelli contenuti nella proposta di Global Technical Regulation per la protezione dei pedoni redatta dalla Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UN/ECE). La possibile armonizzazione della legislazione europea con quella extraeuropea, che ne conseguirebbe comporterebbe anche evidenti benefici in termini di competitività dell'industria europea dell'auto.

3.   La proposta della Commissione europea

3.1

La nuova proposta, questa volta non più di direttiva ma di regolamento, prevede anzitutto di combinare le prescrizioni della direttiva relativa ai sistemi di protezione frontale con quelle della direttiva precedente relativa alla protezione dei pedoni, alla quale saranno apportate le modifiche necessarie a garantirne l'applicabilità. Di conseguenza, in caso di approvazione del regolamento in esame, le due direttive suddette saranno abrogate.

3.2

Le prove che le autovetture dovranno superare per essere omologate in conformità del regolamento proposto riguardano:

3.2.1

l'urto della testa di bambino o adulto di piccola taglia contro la parte anteriore del cofano; l'urto della testa di adulto contro la parte posteriore del cofano e l'urto di gamba e coscia contro il paraurti, con parametri parzialmente rivisti rispetto alla II fase prevista dalla direttiva in vigore. Ai fini non più di omologazione ma di monitoraggio in previsione dei futuri sviluppi tecnologici sono poi richieste le prove di urto del bacino contro il bordo anteriore del cofano e di urto della testa di adulto contro il parabrezza;

3.2.2

per quanto attiene ai sistemi di protezione frontale (ex direttiva 2005/66/CE) sono confermate quali prove di omologazione l'urto di gamba e coscia nonché quello di testa di bambino od adulto di piccola taglia contro il sistema stesso. Altri test sono poi previsti a scopo di monitoraggio, insieme a prescrizioni vincolanti sulla costruzione ed installazione dei sistemi stessi.

3.3

Alle misure di sicurezza passiva si aggiunge inoltre l'installazione di un sistema di sicurezza attiva per garantire i livelli di sicurezza previsti dalle due direttive precedenti. Si tratta del dispositivo di assistenza alla frenata (Brake Assist System — BAS) che fornisce assistenza al guidatore che tenti un azionamento rapido del freno in situazione di emergenza ma senza forza sufficiente. La sua combinazione con l'ABS assicura la massima pressione sul freno e ottimizza i tempi di decelerazione, riducendo sensibilmente la velocità d'impatto con il pedone.

3.4

Considerato infine l'aumento della circolazione di veicoli pesanti sulle strade urbane (in particolare i SUV) si raccomanda fin d'ora che, dopo un periodo transitorio, le prescrizioni previste siano applicate non soltanto ai veicoli M1 e N1 con peso fino a 2 500 kg, secondo l'attuale normativa, ma anche a quelli più pesanti fino a 3 500 kg, vale a dire il limite massimo delle due categorie considerate.

4.   Osservazioni del CESE sulla proposta della Commissione

4.1

Il CESE esprime anzitutto il proprio compiacimento per la decisione della Commissione di fondere nel regolamento proposto le due direttive precedenti. Tale scelta chiarisce meglio e semplifica la normativa in materia, come il CESE stesso aveva a suo tempo suggerito nel parere sulla proposta di direttiva relativa all'impiego di sistemi di protezione frontale (8).

4.2

In questa ottica il CESE apprezza altresì lo strumento legislativo prescelto, vale a dire il regolamento, che assicura tempi e modi certi di applicazione in tutti gli Stati membri, aspetto particolarmente rilevante per una normativa di alto contenuto tecnico.

4.3

Per contro il CESE lamenta che i test previsti dall'EEVC per la II fase si siano rivelati inapplicabili, non avendone sperimentato la fattibilità nei tempi previsti (1o luglio 2004), con un conseguente ritardo di oltre tre anni.

4.4

Il CESE esprime comunque il suo apprezzamento per la soluzione proposta al termine di un percorso lungo ma «virtuoso» che ha visto applicate le raccomandazioni avanzate da CARS 21 in termini di approccio integrato, consentendo anche l'allineamento della legislazione europea a quella extraeuropea. Si compiace in particolare del fatto che tutto questo è stato sostenuto da una valutazione d'impatto rigorosa, che è la prima in ordine di tempo ad essere stata scrutinata e approvata dall'Impact Assessment Board recentemente istituito dalla Commissione europea.

4.5

La soluzione prescelta, utilizzando anche misure di sicurezza attiva, comporterà — secondo le previsioni della Commissione e dei suoi esperti — una riduzione dei decessi e dei feriti gravi rispettivamente dell'80 % e del 44 % rispetto a quello che si sarebbe ottenuto con la II fase (9) originaria, rivelatasi poi irrealizzabile, contribuendo così a salvare ulteriori 1 100 vite e riducendo di oltre 46 000 unità il numero dei feriti. A ciò va aggiunto che le nuove misure comportano costi molto contenuti e avranno quindi un impatto irrilevante sui prezzi delle autovetture.

4.6

Alla luce di quanto sopra il CESE raccomanda fortemente che la proposta della Commissione trovi rapida e piena approvazione presso il Parlamento e il Consiglio europeo, evitando ulteriori ritardi, con un conseguente inevitabile slittamento dovuto al lead time  (10) dell'industria automobilistica.

4.7

Il CESE auspica peraltro che le nuove prescrizioni trovino rapida applicazione anche per i veicoli più pesanti, ivi compresi i SUV, sempre più numerosi nel traffico cittadino. A tal fine sarebbe opportuno stabilire fin d'ora il periodo transitorio previsto dalla proposta.

4.8

Non va infine dimenticato che queste misure di protezione non valgono, ovviamente, per il parco circolante più vecchio, che a questo punto rappresenta uno dei pericoli maggiori per gli utenti vulnerabili. Basterà ricordare che lo stesso ABS, che si combina ora efficacemente con il BAS, pur diffuso su base volontaria dal 2004 diverrà obbligatorio solo con la nuova normativa.

4.9

Il CESE ricorda infine che nel tipo di collisione in causa le lesioni appartengono a due categorie: quelle che derivano dall'impatto «primario» del pedone o ciclista contro la parte frontale del veicolo e quelle originate dall'impatto «secondario» con la sede stradale, verso cui il pedone è spesso proiettato. Va in ogni caso rilevato che è illusorio sperare di proteggere il pedone se l'impatto primario avviene ad una velocità superiore a 40 km/h.

4.10

Con le considerazioni che precedono si vuole sottolineare ancora una volta che la soluzione di questo problema, come d'altronde quella di molti altri problemi legati alla sicurezza degli utenti della strada, passa attraverso un approccio integrato, che deve comprendere — oltre al miglioramento tecnologico delle autovetture — anche altri due aspetti fondamentali: il comportamento degli utenti della strada e le infrastrutture, due aspetti sui quali sia le istituzioni europee che gli Stati membri sono chiamati ad assumere responsabilità decisive.

4.11

Il CESE considera a questo proposito che la Commissione europea dal canto suo ha fatto e continua a fare molto, con proposte di iniziative legislative e politiche, con i finanziamenti messi a disposizione attraverso i programmi quadro europei per la ricerca e il programma di sovvenzioni per la sicurezza stradale e, non ultimo, con il lancio della Carta europea della sicurezza stradale.

4.12

Per contro le altre istituzioni e gli Stati membri, pur attenti al problema, non supportano sempre adeguatamente le iniziative della Commissione. Valga a questo proposito l'esempio recentissimo relativo alla proposta della Commissione intesa ad elevare gli standard di sicurezza delle infrastrutture stradali (11). Questa proposta che il CESE considera necessaria per ridurre il numero di vittime della strada, è stata ritenuta dal Parlamento europeo troppo prescrittiva ed è stata quindi, in nome del principio di sussidiarietà, svuotata delle disposizioni vincolanti più incisive; anche in questo caso, salvo improbabili revisioni in sede di votazione in plenaria, il Parlamento ha demandato ogni decisione agli Stati membri.

4.13

Per quanto riguarda il primo aspetto citato sopra e cioè il comportamento degli utenti della strada, va detto che se spesso gli incidenti sono dovuti all'imprudenza dei conducenti, altrettanto spesso sono i pedoni e i ciclisti a comportarsi in modo scorretto ignorando regole elementari del codice della strada e qualche volta del semplice buon senso. L'educazione e l'informazione in materia vanno impartite sin dalle scuole primarie e attraverso regolari campagne di sensibilizzazione volte ad indurre un comportamento corretto in tutti gli utenti. Di pari importanza è prevedere misure repressive severe per i comportamenti pericolosi di tutti gli utenti della strada.

4.14

L'altro aspetto essenziale per la sicurezza stradale riguarda le infrastrutture, e questo soprattutto nelle città, dove si verificano l'80 % dei decessi di pedoni e ciclisti. La separazione fisica fra gli utenti della strada, ogni qualvolta possibile, rappresenta la maniera più efficace per evitare il contatto tra autovetture, pedoni e ciclisti. In questa ottica i lavori intesi a realizzare attraversamenti pedonali protetti, cavalcavia, piste ciclabili, un'illuminazione e una pavimentazione adeguata, una segnaletica chiara e per quanto possibile uniforme tra i diversi Stati membri, ecc. contribuirebbero a ridurre gli incidenti, oltre a creare un ambiente urbano meno ostile alle persone diversamente abili.

4.15

Lo sviluppo di iniziative di questo tipo rafforza la sicurezza e migliora la qualità della vita nelle città: queste meriterebbero quindi di essere richiamate in ogni proposta della Commissione, ivi comprese in quelle, come l'attuale, che si riferiscono ai soli aspetti tecnici delle autovetture.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Fonte: CARE (Community Road Accident Database): base dati che raccoglie ed elabora i dati sugli incidenti stradali forniti dagli Stati membri.

(2)  Transport Research Limited UK.

(3)  COM(2007) 22 def. del 7 febbraio 2007 — Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo.

(4)  GU L 321 del 6.12.2003, pag. 15.

(5)  GU L 309 del 25.11.2005, pag. 37.

(6)  

M1

=

autovetture con 8 passeggeri + autista e peso max di 3 500 kg

N1

=

veicoli commerciali derivati da M1 con peso max di 3 500 kg.

(7)  Art. 5 della direttiva 2003/102/CE sulla protezione dei pedoni.

(8)  Parere, GU C 118 del 30.4.2004.

(9)  SEC(2007) 1244 — Valutazione d'impatto che accompagna la proposta di regolamento.

(10)  Tempo necessario per implementare qualsiasi nuovo requisito che comporti interventi strutturali sul veicolo.

(11)  COM(2006) 569 def.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/12


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (Euro VI) e all'accesso alle informazioni necessarie alla riparazione e alla manutenzione del veicolo

COM(2007) 851 def. — 2007/0295 (COD)

(2008/C 211/03)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 30 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo degli autoveicoli e dei loro motori riguardo alle emissioni dei veicoli pesanti (Euro VI) e all'accesso alle informazioni necessarie alla riparazione e alla manutenzione del veicolo

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Lo sviluppo della domanda di mobilità, la quota del traffico individuale, i problemi legati alla congestione soprattutto — ma non solo — nelle aree urbane hanno contribuito a rendere il trasporto su strada una delle attività umane sulle quali più si concentra l'attenzione per la valutazione dell'impatto ambientale. In questa ottica si inserisce anche la proposta della Commissione intesa a ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici degli autoveicoli pesanti.

1.2

Il CESE appoggia la proposta, che ritiene pertinente dal punto di vista sia dell'efficacia sia delle tempistiche di applicazione vis-à-vis delle esigenze ambientali e del lead time industriale.

1.3

Il CESE concorda con la Commissione nell'affermare che il regolamento oggetto del presente parere segni un passo avanti nella strada di una progressiva armonizzazione globale a livello di emissioni.

1.4

Il CESE ritiene congruo e particolarmente indicato lo strumento legislativo prescelto, vale a dire il regolamento, che assicura tempi e modi certi di applicazione in tutti gli Stati membri, aspetto particolarmente rilevante per una normativa di alto contenuto tecnico.

1.5

Il CESE sostiene appieno il diritto dei riparatori indipendenti ad avere libero accesso alle informazioni sulle riparazioni del veicolo. Esso esprime tuttavia perplessità in merito alla scelta di utilizzare anche per i veicoli commerciali pesanti il formato standardizzato OASIS previsto per le autovetture, per le ragioni esposte nel seguito.

1.6

Per fugare queste perplessità il CESE auspica che la Commissione indaghi ulteriormente ricercando soluzioni alternative, in grado di apportare gli stessi presunti vantaggi individuati nel sistema OASIS ma che consentano una implementazione più semplice e meno costosa per gli utilizzatori.

1.7

Il CESE tiene a ribadire ancora una volta l'opportunità, nell'ambito delle politiche della Commissione di riduzione delle emissioni inquinanti, di incoraggiare l'introduzione di veicoli a combustibili alternativi, che emettono meno ossidi d'azoto e meno particolato, e di assicurare che anche il concetto di qualità dei combustibili sia presente nel testo del futuro regolamento.

1.8

Il CESE ritiene infine inopportuno l'inserimento dell'obbligo di misurazione delle emissioni di CO2 in un provvedimento che dovrebbe riguardare solamente le emissioni inquinanti. Il CESE teme infatti che la complessità e la specificità del tema, con forti implicazioni competitive, possa innescare un dibattito in grado di compromettere le tempistiche dell'iter legislativo, ritardando i risultati attesi da questo regolamento. Il CESE suggerisce pertanto che il tema del CO2 sia oggetto di un regolamento ad hoc quando saranno disponibili dati più attendibili degli attuali.

2.   Introduzione

2.1

Pur essendo migliorata negli ultimi 10 anni, la qualità dell'aria è ancora un problema grave per l'intera Unione europea, soprattutto nelle aree urbane e nelle regioni densamente popolate.

2.2

Anche nel 2020 l'UE sarà ancora ben lungi dall'avere conseguito gli obiettivi del 6o programma d'azione ambientale. Tra le diverse forme di inquinamento, quella da particolato desta nella comunità scientifica preoccupazioni sempre maggiori: la proposta di regolamento oggetto del presente parere mira ad ottenere un miglioramento della qualità dell'aria, senza incidere negativamente sulla competitività industriale e sulla libera circolazione delle merci.

2.3

Il nuovo standard Euro VI, così come commentato dal vicepresidente VERHEUGEN, costituirà anche un passo avanti verso l'armonizzazione regolatoria globale a livello di emissioni, in quanto prevede valori limite simili a quelli previsti in altri paesi extra europei come gli Stati Uniti d'America.

2.4

Parzialmente di origine naturale e parzialmente prodotte da attività antropiche, e specialmente dai processi di combustione, le polveri che costituiscono il particolato (PM) presentano una composizione complessa e variegata sia dal punto di vista chimico che da quello delle dimensioni.

2.5

Occorre ricordare che, sebbene siano associati spesso alla pressione antropica, gli episodi di inquinamento acuto da polveri sottili si verificano anche lontano dalle aree densamente urbanizzate per effetto di fenomeni naturali, favoriti da particolari condizioni meteorologiche e dalla morfologia del territorio interessato. Inoltre l'incidenza percentuale delle diverse fonti di emissione può variare notevolmente da area ad area: l'Agenzia europea dell'ambiente (EEA) stima che, nell'Europa a 15, sia imputabile al trasporto su strada una quota pari al 26 % delle emissioni complessive collegate alle attività umane.

2.6

Ciò conferma, ancora una volta, che il problema legato alle emissioni e agli inquinanti deve sempre essere valutato in una dimensione complessiva e nel contesto di un approccio integrato.

2.7

In questa ottica il CESE apprezza che la Commissione abbia elaborato la sua proposta nel contesto del programma Aria pulita per l'Europa (CAFE (1)), che ha fornito la base tecnica per preparare la Strategia tematica sull'inquinamento atmosferico.

2.8

Il CESE apprezza altresì l'impostazione per «livelli separati» (split approach) adottata dalla Commissione per affrontare il tema. In effetti, il regolamento proposto stabilisce i principi fondamentali dei nuovi provvedimenti, da adottare secondo la procedura di codecisione. Le prescrizioni tecniche relative all'attuazione di questi ultimi saranno stabilite in un altro regolamento, che verrà adottato dalla Commissione assistita dal comitato di regolamentazione per l'adattamento al progresso tecnico, secondo la procedura di comitatologia.

3.   Proposta della Commissione

3.1

La Commissione ha inteso individuare le misure necessarie per raggiungere i livelli auspicati di qualità dell'aria. Euro VI è un provvedimento importante per ridurre le emissioni gassose (come ossidi d'azoto — NOx e idrocarburi — HC) e quelle di particolato.

3.2

Il regolamento proposto riguarda i veicoli delle categorie M1, M2, N1 e N2, definiti nell'allegato II della direttiva 2007/46/CE, con massa di riferimento superiore a 2 610 kg e tutti gli autoveicoli delle categorie M3 e N3, definiti nello stesso allegato. Esso non si applica invece, su richiesta del costruttore, ai veicoli di categoria M1, M2, N1, e N2 con massa di riferimento minore o uguale a 2 840 kg omologati secondo il regolamento (CE) n. 715/2007 (2).

3.3

Rispetto al livello Euro V (obbligatorio per le nuove omologazioni a partire dal 1o ottobre 2008) i nuovi limiti di emissioni allo scarico proposti (Euro VI) comportano una riduzione dell'80 % per gli ossidi di azoto e del 66 % per il particolato. Il livello di emissioni autorizzato risulta allineato a quello previsto negli USA nello stesso periodo. Il regolamento prevede inoltre l'introduzione, quando la pertinente metodologia di misurazione sarà stata sviluppata, di un limite per il numero di particelle emesse.

3.4

Il regolamento proposto fissa i limiti in base ai cicli di prova attuali, ma prevede l'introduzione dei cicli armonizzati a livello mondiale (WHDC), quando sarà possibile correlare le emissioni misurate con i cicli attuali a quelle misurate con i cicli armonizzati.

3.5

Rispetto alla normativa attualmente in vigore, il regolamento prolunga la vita utile dei veicoli in relazione alla durata dei dispositivi di controllo dell'inquinamento e alla conformità in condizioni d'uso.

3.6

A tal fine, le definizioni di vita utile per le varie categorie di veicoli saranno estese nel modo seguente:

a)

160 000 km o 5 anni, secondo il caso che si verifica per primo, per i motori installati su veicoli delle categorie M1, N1 e M2,

b)

300 000 km o 6 anni, secondo il caso che si verifica per primo, per motori installati su veicoli di categoria N2, N3 di massa massima tecnicamente ammissibile non superiore a 16 tonnellate, ed M3 di classe I e II e di classe A e B con massa massima tecnicamente ammissibile non superiore a 7,5 t,

c)

700 000 km o 7 anni, secondo il caso che si verifica per primo, per motori installati su veicoli di categoria N3 di massa massima tecnicamente ammissibile superiore a 16 tonnellate, e M3, di classe III e di classe B con massa massima tecnicamente ammissibile superiore a 7,5 t.

3.7

Il regolamento in esame prevede che la Commissione emani un ulteriore regolamento attuativo, le cui misure riguarderanno:

le emissioni dallo scarico, compresi cicli di prova, emissioni fuori ciclo, numero delle particelle, emissioni a regime di minimo, opacità del fumo, funzionamento e rigenerazione corretti dei sistemi di post-trattamento,

le emissioni dal basamento motore,

i sistemi OBD e prestazione dei dispositivi di controllo dell'inquinamento in condizioni d'uso,

la durabilità dei dispositivi di controllo dell'inquinamento, dispositivi di controllo dell'inquinamento di ricambio, conformità di motori e veicoli in condizioni d'uso, conformità della produzione e revisioni periodiche,

le emissioni di anidride carbonica e il consumo di carburante,

l'estensione delle omologazioni,

l'attrezzatura di prova,

i carburanti di riferimento,

la misurazione della potenza,

le misure specifiche per garantire il corretto funzionamento dei controlli sugli NOx; tali misure dovranno garantire che i veicoli che richiedono un reagente per rispettare i valori limite delle emissioni di NOx non possano funzionare senza tale reagente.

3.8

Il regolamento prevede inoltre che agli operatori indipendenti venga consentito un accesso illimitato e normalizzato all'informazione sulla diagnostica di bordo (OBD) e all'informazione sulle riparazioni e la manutenzione dei veicoli (3). Tramite il riferimento a un altro regolamento più dettagliato, si prevede anche che le informazioni diagnostiche a bordo del veicolo (OBD) e quelle sulle riparazioni e la manutenzione del veicolo siano diffuse sul web nel formato standardizzato sviluppato da un comitato tecnico di parti interessate (cosiddetto «formato OASIS» (4)).

3.9

Le date di applicazione dei limiti Euro VI previste dal regolamento sono le seguenti:

1o aprile 2013 per le nuove omologazioni,

1o ottobre 2014 per le nuove immatricolazioni.

4.   Osservazioni generali

4.1

Nell'ultimo decennio, malgrado il notevole aumento della circolazione di autoveicoli, la qualità dell'aria è migliorata. Tuttavia nell'intera UE si è ancora ben lontani dalla soluzione del problema dell'inquinamento dell'aria, soprattutto nelle aree urbane e nelle regioni densamente popolate. Pertanto il CESE accoglie favorevolmente la proposta della Commissione di fissare norme armonizzate per la fabbricazione degli autoveicoli al fine di garantire il buon funzionamento del mercato interno e, al tempo stesso, un elevato grado di tutela dell'ambiente.

4.2

I limiti delle emissioni Euro IV per autocarri e autobus sono in vigore dal 9 novembre 2006 e i limiti delle emissioni Euro V saranno applicati, per le nuove omologazioni, a partire dal 1o ottobre 2008. Quindi il CESE ritiene congrue le date proposte per l'applicazione del nuovo regolamento.

4.3

Poiché la proposta non riguarda un campo di competenza esclusivo della Comunità, il CESE appoggia il ricorso al principio di sussidiarietà. Esso tuttavia concorda con il punto di vista della Commissione che giustamente attenta ad evitare barriere al mercato unico e cosciente delle implicazioni transfrontaliere dell'inquinamento atmosferico, ritiene che gli obiettivi della proposta non possano essere conseguiti su iniziativa dei soli Stati membri, ma che siano necessarie misure vincolanti concordate su scala europea.

4.4

Il CESE apprezza altresì lo strumento legislativo prescelto, vale a dire il regolamento, che assicura tempi e modi certi di applicazione in tutti gli Stati membri, aspetto particolarmente rilevante per una normativa di alto contenuto tecnico.

4.5

Il CESE concorda con le affermazioni contenute al punto 5 della introduzione della proposta di regolamento, secondo cui «il conseguimento degli obiettivi di qualità dell'aria dell'UE richiede sforzi continui per ridurre le emissioni dei veicoli. Per questo motivo, l'industria deve ottenere informazioni chiare sui futuri valori limite delle emissioni» e al successivo punto 6, secondo cui il fatto di «fissare immediatamente valori limite per le emissioni di ossido d'azoto darà ai costruttori di autoveicoli sicurezza di progettazione a lungo termine e a livello europeo».

4.6

Il CESE concorda altresì con la Commissione, quando questa ricorda che nello stabilire norme sulle emissioni bisogna considerare da un lato le implicazioni per la competitività di mercati e costruttori e i costi diretti e indiretti per le imprese, e dall'altro i crescenti vantaggi dovuti all'innovazione, al miglioramento della qualità dell'aria, alla riduzione dei costi sanitari e all'aumento della speranza di vita.

4.7

Il CESE sostiene appieno il diritto dei riparatori indipendenti ad avere libero accesso alle informazioni sulle riparazioni del veicolo. Esso esprime tuttavia forti perplessità in merito alla scelta di utilizzare anche per i veicoli commerciali pesanti il formato standardizzato OASIS previsto per le autovetture.

4.7.1

Infatti i veicoli di grandissima serie sono esclusi dal regolamento che si applica ai veicoli commerciali con massa superiore a 2 610 kg. I veicoli commerciali hanno un numero di versioni e varianti elevatissimo, il che rende problematico ed oltremodo costoso il tentativo di standardizzazione delle informazioni rispetto al reale vantaggio che se ne otterrebbe, tenendo in considerazione anche il fatto che le imprese di riparazione per autoveicoli pesanti sono poche ed altamente specializzate in determinate marche. Applicare il sistema OASIS ai riparatori di veicoli commerciali pesanti, che sono quasi tutte PMI, significherebbe caricarli di oneri finanziari e organizzativi notevoli per l'installazione e gestione del nuovo sistema: tali oneri risulterebbero sproporzionati rispetto al beneficio atteso per gli utilizzatori del sistema stesso.

4.7.2

Alla luce delle considerazioni precedenti il CESE suggerisce dunque alla Commissione di effettuare una valutazione di impatto che analizzi i costi/benefici dell'utilizzo di OASIS rispetto ad altre soluzioni possibili, più semplici e meno costose.

4.8

Il CESE ribadisce ancora una volta l'opportunità, già sottolineata in passato in relazione ad altre proposte della Commissione di incoraggiare l'introduzione di veicoli a combustibili alternativi, che emettono meno ossidi d'azoto e particolato. Concorda quindi sulla necessità di introdurre valori limite per gli idrocarburi, gli idrocarburi diversi dal metano e il metano.

4.9

Il CESE auspica che nelle prove che sono alla base del regolamento per l'omologazione CE sulle emissioni, la Commissione adotti, appena possibile, cicli di guida armonizzati a livello mondiale.

4.10

Il regolamento prevede anche la misurazione del consumo di combustibile e delle emissioni di CO2, e quindi devia in qualche misura dal suo obiettivo dichiarato che è quello della riduzione degli inquinanti atmosferici.

4.10.1

I dati utilizzati per tali misurazioni sarebbero quelli ottenuti dalla prova del motore al banco freno, che però in realtà non sono rappresentativi di quelli su veicolo. L'efficienza energetica del veicolo, come è noto, dipende infatti da vari aspetti tra i quali il motore è solo un elemento importante insieme con altri (trasmissione, aerodinamica, resistenza al rotolamento, organi ausiliari, ecc.). Lo stesso tipo di motore può trovare applicazione su veicoli con caratteristiche e missioni molto diverse (TIR, mezzo d'opera, bus urbano, ecc.).

4.10.2

Non a caso dunque, e il CESE tiene qui a rammentarlo, nella sua comunicazione sulla strategia di riduzione delle emissioni di CO2 (COM(2007) 19 def.) la Commissione aveva previsto anche l'inclusione dei veicoli commerciali N1, ipotesi poi abbandonata in sede di proposta del relativo regolamento (COM(2007) 856 def.) vista la specificità del tema e l'inadeguatezza dei dati disponibili.

4.10.3

Il CESE ricorda inoltre che per i veicoli commerciali la riduzione del consumo di carburante (proporzionale alle emissioni di CO2) è una forte richiesta del mercato in quanto in molti casi il carburante rappresenta la voce più importante del costo operativo del trasporto. È quindi la concorrenza a spingere i costruttori di veicoli ad offrire le soluzioni più avanzate in termini di consumo, e quindi di emissioni di anidride carbonica.

4.10.4

Non da ultimo, relativamente al tema della misurazione delle emissioni di CO2 il CESE rileva che se i dati sul consumo e il CO2 misurati sul solo motore fossero utilizzati per determinare eventuali incentivi o imposte, si potrebbero generare distorsioni irrazionali del mercato.

4.10.5

Alla luce di quanto precede il CESE conferma il suo accordo sull'opportunità di legiferare al più presto anche sulle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, ma ritiene più opportuno che il tema venga affrontato e approfondito separatamente, mediante la redazione di una proposta specifica, anche per non rischiare un dibattito conflittuale che potrebbe ritardare l'approvazione del presente regolamento.

4.11

Il CESE, vista la riluttanza del mercato ad acquistare dei veicoli più virtuosi dato il loro prezzo inevitabilmente superiore, vede con favore la possibilità di prevedere incentivi finanziari all'acquisto e trova congruo che gli Stati membri possano accelerare con vari sistemi di incentivazione la commercializzazione di veicoli che rispondano ai requisiti fissati a livello comunitario.

4.12

Certamente il CESE non può che supportare la proposta che spetti agli Stati membri stabilire norme sulle sanzioni applicabili in caso di violazione del presente regolamento e che tali sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

4.13

Il CESE ritiene che le date di applicazione proposte dalla Commissione (1o aprile 2013 per le nuove omologazioni e 1o ottobre 2014 per le nuove immatricolazioni) siano appropriate. Infatti, cinque anni di stabilità tra un livello di emissioni e quello successivo sono sufficienti per consentire all'industria di ottenere il ritorno economico sugli investimenti affrontati per commercializzare le nuove soluzioni.

4.14

Il CESE concorda con la proposta della Commissione di non applicare il nuovo regolamento su richiesta del costruttore ai veicoli di categoria M1, M2, N1, e N2 con massa di riferimento minore o uguale a 2 840 kg omologati secondo il regolamento (CE) n. 715/2007. Ovvero il CESE appoggia il fatto che esista, per i veicoli di «confine» a livello di tonnellaggio, un certo grado di flessibilità omologativa per poter rispondere in maniera più efficiente alle diverse richieste dei clienti anche in relazione al trade off consumo/percorrenze/emissioni inquinanti.

5.   Considerazioni specifiche

5.1

Il CESE concorda con i limiti di emissione proposti. Tali limiti sono quelli dello scenario A (5) studiato dalla Commissione e accolto con favore dalla maggioranza degli stakeholder coinvolti nel processo di consultazione.

5.2

Tuttavia il CESE ritiene di dover sollevare ancora una volta il problema del rapporto inverso tra le emissioni di NOx e quelle di CO2. Dal momento che la riduzione di entrambe è un importante obiettivo ambientale, risulta fondamentale bilanciare il limite degli ossidi di azoto in modo da non favorire la crescita delle emissioni di anidride carbonica. In effetti l'attesa riduzione di NOx comporterà un aumento tra il 2 % e il 3 % del CO2. La Commissione, sulla base di uno studio USA del 2001, ritiene che al momento dell'applicazione del regolamento l'aumento ora previsto sarà stato invece annullato grazie al progresso tecnologico del motori. Il CESE si permette comunque di suggerire che lo studio in questione venga aggiornato per disporre di dati quanto più certi possibile sull'effetto dei limiti di NOx proposti sui consumi di combustibile e sulla conseguente produzione di CO2.

5.3

Il CESE, come detto, condivide l'approccio parallelo split approach che limita il processo di codecisione agli elementi con maggior rilevanza politica e delega alla comitatologia le misure attuative e i dettagli tecnici.

5.4

Tuttavia si rileva che molte delle misure demandate al comitato di regolamentazione (OBD, numero delle particelle, sistemi di persuasione del conducente nel caso di uso di reagente, ecc.) sono di grande complessità e impattano pesantemente sulla tecnologia del veicolo. Si raccomanda quindi che tutti questi aspetti siano implementati in un'unica fase insieme con i limiti Euro VI e che, analogamente a quanto rilevato per il presente regolamento, assicurino un adeguato lasso di tempo tra l'entrata in vigore e l'applicazione al fine di garantire all'industria i tempi necessari per lo sviluppo.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  CAFE, Clean Air for Europe. Si tratta di un programma lanciato attraverso la comunicazione COM(2001) 245 def., che è volto a sviluppare una strategia che consenta di valutare le direttive sulla qualità dell'aria e l'efficacia dei programmi in corso negli Stati membri, garantire un costante monitoraggio della qualità dell'aria, promuovere la divulgazione delle informazioni al pubblico, e contribuire alla revisione e aggiornamento dei limiti di emissioni nonché allo sviluppo di nuovi sistemi di monitoraggio e modellazione.

(2)  I veicoli di categoria N sono i veicoli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto di merci. Essi sono suddivisi in 3 classi, N1, N2 e N3, in base alla massa massima: N1 < 3 500 kg; N2 < 12 000 kg; N3 > 12 000 kg. La classe N1 si suddivide poi a sua volta in 3 sottoclassi, dette NI, NII ed NIII, sempre identificate in base alla massa. Per veicoli di categoria M si intendono invece i veicoli con almeno 4 ruote adibiti al trasporto passeggeri. Essi sono suddivisi in 3 classi (M1, M2, M3) in base al numero dei posti e alla loro massa massima: M1 < 9 posti; M2 > 9 posti e < 5 000 kg; M3 > 9 posti e > 5 000 kg.

(3)  Per «informazioni sulle riparazioni e la manutenzione del veicolo» si intende ogni informazione relativa a diagnosi, manutenzione, ispezione, controllo periodico, riparazione, riprogrammazione o rinizializzazione del veicolo, fornita dai costruttori ai loro concessionari e meccanici autorizzati, con gli emendamenti e supplementi successivi a tale informazione. Tali informazioni comprendono tutte le spiegazioni necessarie per installare parti o dispositivi sul veicolo.

(4)  OASIS — Organization for the Advancement of Structured Information Standards (Organizzazione per la promozione delle norme sulle informazioni strutturate).

(5)  Valutazione d'impatto, punto 6.6.2: Euro VI emission limit value sub-options.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgimento dei trattori agricoli o forestali a ruote (prove statiche) (versione codificata)

COM(2008) 25 def. — 2008/0008 (COD)

(2008/C 211/04)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 7 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgimento dei trattori agricoli o forestali a ruote (prove statiche) (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 143 voti favorevoli e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso una politica comune dell'energia

(2008/C 211/05)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Verso una politica comune dell'energia

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, nessun voto contrario e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'approvvigionamento energetico, la diversificazione delle fonti energetiche e lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili costituiscono delle tematiche fondamentali per l'avvenire dell'Europa, l'equilibrio del mondo e lo sforzo teso a limitare i cambiamenti climatici.

1.2

A giudizio del CESE, l'Unione europea costituisce un quadro appropriato per intervenire nel confronto mondiale determinato dalla corsa alle risorse energetiche e dalla ricerca di soluzioni ai cambiamenti climatici, visto che offre la dimensione critica necessaria per esercitare un'effettiva influenza politica sui negoziati internazionali.

1.3

Il CESE prende atto con soddisfazione dell'introduzione nel Trattato di Lisbona di un titolo XX dedicato all'energia, il quale consoliderà il fondamento giuridico dell'azione dell'Unione europea in questo ambito.

1.4

Il CESE sottolinea il ruolo cruciale della ricerca e dello sviluppo nel settore della sostenibilità energetica e ambientale e ribadisce l'importanza di procedere a una destinazione ragionata delle risorse. Occorre studiare con cura il sostegno ad energie e a tecnologie per il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni di cui si può ragionevolmente pensare che non raggiungeranno l'equilibrio economico, per evitare sprechi di denaro pubblico attraverso la concessione di sovvenzioni a tecnologie senza futuro. Bisogna, al contrario, destinare le risorse per la ricerca alle tecnologie che la comunità scientifica considera promettenti per il futuro, come ad esempio quelle che permettono di minimizzare o captare le emissioni di gas ad effetto serra, all'efficienza energetica, al «carbone pulito», ai veicoli a trazione elettrica o funzionanti sulla base di altre energie alternative, alle celle a combustibile, all'energia solare, all'efficienza energetica della valorizzazione dei rifiuti, alla fusione nucleare, alla gestione dei rifiuti radioattivi, ecc.

1.5

Insiste inoltre sull'importanza dell'efficienza energetica delle apparecchiature e degli edifici.

1.6

Reputa essenziale mettere a punto, sul piano europeo, una vera e propria politica di acquisto per far fronte alle pressioni dei produttori talvolta saldamente organizzati tra di loro, e raccomanda di coordinare le politiche energetiche europee e le posizioni assunte in seno alle organizzazioni internazionali come l'OMC, l'ONU, la NATO e l'OCSE.

1.7

Sottolinea l'importanza di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e raccomanda di adottare un atteggiamento costruttivo, ma prudente, per quanto riguarda i partenariati con la Russia e con le repubbliche del Caucaso e dell'Asia centrale.

1.8

Insiste sul fatto che sarebbe opportuno esaminare la possibilità di rilanciare i programmi per l'energia nucleare nei paesi in cui vi è un consenso su questo argomento e di intensificare la ricerca in materia di ritrattamento delle scorie. Incoraggia, inoltre, lo sviluppo della ricerca sulla fusione nucleare nel Settimo programma quadro di ricerca Euratom e attraverso l'iniziativa ITER.

1.9

Giudica necessario rafforzare la cooperazione e il coordinamento nel quadro della politica dell'energia, della rappresentanza e dell'azione in seno alle organizzazioni internazionali, sviluppare la politica di vicinato nel settore dell'energia e considerare la possibilità, in futuro, di creare una politica comune dell'energia eventualmente basata su istituzioni proprie. Considera che il decollo commerciale delle energie rinnovabili in tutti gli Stati membri dimostra l'interesse per questo tipo di fonte di energia. Ciò coincide con la novità della definizione di una politica comune dell'energia nel Trattato di Lisbona e può costituire un'opportunità strategica per la sua accettazione e per il suo sviluppo.

2.   Introduzione: i fondamenti logici di una politica europea dell'energia

2.1   Una situazione geostrategica difficile

2.1.1

In base alle previsioni dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE), da qui al 2030 la domanda di energia a livello mondiale aumenterà del 55 %.

2.1.2

L'Unione europea è essa stessa dipendente in larga misura dai combustibili fossili solidi, dai prodotti petroliferi e dal gas naturale; tale dipendenza dovrebbe ancora incrementarsi negli anni a venire. Con una dipendenza dell'80 % dai combustibili fossili, le importazioni energetiche dell'UE dovrebbero passare dal 50 al 70 % da qui al 2030.

2.1.3

I giacimenti conosciuti di petrolio dovrebbero diminuire a partire dal 2050, mentre altre risorse attualmente non sfruttate diventeranno economicamente sfruttabili a causa della crescente domanda e dei progressi tecnologici.

2.1.4

La transizione verso altre forme di energia è inevitabile ma anche difficile. Eppure, in un preciso momento storico il mondo ha già conosciuto mutamenti di questo genere, in particolare nel XIX secolo quando si è passati dai combustibili derivati dalla biomassa (soprattutto il legno) al carbone, e successivamente al petrolio. Attualmente però non disponiamo ancora dei mezzi per sfruttare le energie rinnovabili di origine non fossile in misura sufficiente da determinare un cambiamento paragonabile a quello intervenuto nel XIX secolo.

2.1.5

Le difficoltà sono dovute a una serie di fattori: la densità energetica, le superfici necessarie alla produzione di biocarburanti (a scapito di altre attività a carattere soprattutto agricolo), la natura intermittente e difficilmente prevedibile dei flussi (vento, energia solare, maree) che comporta l'esigenza di un'accurata pianificazione delle capacità di stoccaggio, e la distribuzione geografica delle fonti energetiche rinnovabili. Per quanto riguarda l'energia nucleare, anche supponendo che ci si lanci in una politica molto ambiziosa di rinnovo e di creazione di centrali, l'industria nucleare mondiale non sarebbe comunque in grado di soddisfare la domanda.

2.1.6

L'Europa stessa è contraddistinta da una situazione di grande dipendenza energetica: attualmente importa il 50 % del suo fabbisogno energetico, quota che dovrebbe salire al 70 % di qui al 2030. Ciò significa che la dipendenza dell'Europa dalle importazioni sarà del 90 % per il petrolio e del 70 % per il gas.

2.1.7

Nel mese di marzo 2006, il Consiglio europeo aveva delineato un quadro preoccupante della situazione che era caratterizzata dai seguenti fattori:

la difficile situazione in cui versavano i mercati del petrolio e del gas,

la crescente dipendenza dell'Unione europea,

prezzi dell'energia elevati ed instabili, che da allora hanno registrato un ulteriore rialzo,

l'aumento della domanda di energia a livello mondiale,

i rischi per la sicurezza dell'approvvigionamento,

le crescenti minacce poste dai cambiamenti climatici,

la lentezza dei progressi nel settore dell'efficienza energetica e dell'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili,

la necessità di una maggiore trasparenza nei mercati energetici e di un'ulteriore integrazione e interconnessione dei mercati energetici nazionali nel quadro della liberalizzazione del mercato dell'energia,

il limitato coordinamento tra le azioni in campo energetico mentre sono necessari cospicui investimenti nelle infrastrutture energetiche.

Questo bilancio preoccupante ha ispirato le proposte contenute nel nuovo pacchetto energia che costituisce, in un certo senso, una risposta alle sfide da cogliere.

2.1.8

I dirigenti europei devono pertanto far fronte a un duplice problema: il progressivo esaurimento delle risorse primarie tradizionali da un lato e l'ubicazione geografica problematica delle risorse dall'altro, visto che queste si trovano per lo più in paesi politicamente instabili che potrebbero servirsi delle loro risorse per esercitare pressioni sui paesi dipendenti, come è del resto già avvenuto.

2.2   L'Unione europea costituisce un quadro adeguato?

2.2.1

Ogni Stato membro dell'Unione europea è interessato dalla situazione, ma è evidente che le azioni individuali occasionali rappresentato un elemento di debolezza di fronte a una serie di produttori spesso organizzati.

2.2.2

È quindi opportuno che gli Stati membri uniscano le forze e si avvalgano dell'Unione europea come strumento efficace per mettere a punto una politica comune dell'energia che si proponga come fondamento e obiettivo un consumo più controllato e una diversificazione delle fonti di approvvigionamento.

2.2.3

Oltre a essere dotata delle dimensioni adeguate, l'Unione europea dispone anche degli strumenti istituzionali necessari. L'UE è quindi in grado di elaborare delle politiche transnazionali, di coordinare le politiche nazionali, di realizzare una maggiore coesione europea in materia di energia e, infine, di sviluppare una politica dell'energia nei confronti dei paesi terzi.

2.2.4

Aggiungiamo in conclusione che, dopo la bocciatura del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa e nella dinamica del Trattato di Lisbona, una politica europea dell'energia potrebbe non solo rappresentare un fattore aggregante, ma anche comprovare l'utilità concreta dell'Unione europea.

2.3   Un quadro giuridico da perfezionare

2.3.1

Attualmente l'Unione europea non dispone di competenze specifiche nel settore dell'energia. La creazione di tali competenze costituisce una delle innovazioni fondamentali del Trattato di Lisbona.

2.3.2

Va certo ricordato che al momento della creazione della Comunità economica europea, buona parte delle questioni energetiche europee rientrava tra le competenze dell'Euratom o della CECA.

2.3.3

Questo significa forse che l'Unione europea si è astenuta da ogni tipo di azione in materia di energia?

2.3.4

Certamente no, visto che essa ha messo a punto, da un lato, una vera e propria politica in materia di energia in base all'articolo 308 del Trattato CE e, dall'altro, una politica in materia di reti transeuropee dell'energia in base all'articolo 154 del medesimo Trattato (cfr. la decisione n. 1364/2006/CE). Infine, le norme relative al mercato interno e alla concorrenza sono state ovviamente applicate al mercato dell'energia (direttiva 2003/55/CE sull'apertura del mercato del gas; direttiva 2003/54/CE sul mercato interno dell'energia elettrica; direttiva 90/377/CEE modificata dalla direttiva 93/87/CEE sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica). I primi effetti di questa apertura dei mercati e della fine dei monopoli pubblici hanno destato qualche preoccupazione circa il livello dei prezzi dell'energia, ma in realtà l'aumento dei prezzi che talvolta si è verificato risulta essenzialmente dall'aumento della domanda a livello mondiale di risorse limitate e talvolta destinate ad esaurirsi.

2.3.5

A ciò vanno aggiunti i documenti della Commissione che non costituiscono dei testi legislativi veri e propri, bensì piuttosto degli strumenti giuridici non vincolanti (soft law), vale a dire il Libro verde Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico (28 novembre 2000), la comunicazione Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico (26 giugno 2002), il Libro verde sull'efficienza energetica: fare di più con meno, piano d'azione per il periodo 2007-2012 (19 ottobre 2006) e la comunicazione sul fondo mondiale per la promozione dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili (6 ottobre 2006).

2.3.6

Così l'Unione europea ha svolto un'approfondita riflessione sulle questioni energetiche, anche se le sue azioni poggiavano su una base giuridica piuttosto incerta, ovvero l'articolo 308 del Trattato CE, la cosiddetta «clausola di flessibilità», in base alla quale quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso. Essa ha anche affrontato la questione in maniera indiretta, utilizzando in particolare le regole relative al mercato interno, alla concorrenza e all'ambiente. Ma il modo di procedere è stato, almeno apparentemente, più di carattere tecnico e giuridico che politico.

2.3.7

È proprio per questo motivo e alla luce dell'importanza cruciale che la questione energetica ha assunto sia per la vita quotidiana dei cittadini europei che per le attività economiche o la stabilità mondiale, che il Trattato di Lisbona prevede un articolo 176 dedicato all'energia che definisce gli obiettivi dell'Unione in questo campo tenendo conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente e in uno spirito di solidarietà tra Stati membri.

2.3.8

Conformemente al futuro Trattato, la politica europea in materia di energia si proporrà i seguenti obiettivi:

garantire il funzionamento del mercato dell'energia,

garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico,

promuovere l'efficienza energetica, il risparmio energetico e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili,

promuovere l'interconnessione delle reti energetiche.

2.3.9

Questa politica costituirà una competenza condivisa e sarà soggetta alla regola della maggioranza qualificata, fatte salve le questioni fiscali alle quali continua ad applicarsi la regola dell'unanimità. Nondimeno, l'articolo 176 A, paragrafo 2, secondo capoverso precisa che le misure necessarie per conseguire gli obiettivi di cui al paragrafo 1 di tale articolo «non incidono sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico».

2.3.10

L'Unione europea disporrà quindi di una competenza, ovvero del primo strumento necessario per intraprendere un'azione più forte e concreta. Ma questo strumento sarà sufficiente oppure bisognerà spingersi oltre sul piano istituzionale? Prima di concepirlo, occorre tuttavia definire le politiche, che possono, a loro volta, svilupparsi sotto l'influenza combinata dei vincoli esterni e dell'evoluzione dei servizi e delle tecnologie.

3.   Quali politiche?

3.1

Le politiche europee in materia di energia sono state finora condizionate da una serie di imperativi economici e/o legati allo sviluppo sostenibile come ad esempio: la volontà di liberalizzare il mercato dell'energia con le direttive e la politica relativa alle imprese di rete, la politica intesa a promuovere l'efficienza energetica, la politica intesa a favorire e sviluppare le energie rinnovabili, la lotta contro le emissioni di CO2, ecc.

3.2

In un certo modo, non disponendo di competenze specifiche in materia di energia, l'Unione europea ha affrontato la questione in maniera piuttosto indiretta, avvalendosi in particolare delle norme previste per il mercato interno, la concorrenza e l'ambiente. Il suo approccio era, almeno in apparenza, di natura più tecnica e giuridica che politica.

3.3

Come si è visto, ciò non le ha impedito di svolgere un'attività legislativa importante e di definire una serie di orientamenti nel settore dell'energia. Del resto è stata da poco pubblicata (19 settembre 2007) una serie di proposte legislative intese a modificare i testi attuali (modifica del Regolamento relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia, il Regolamento che istituisce un'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia, modifica del Regolamento relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas naturale, modifica delle direttive relative a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e dell'energia elettrica).

3.4

Se il Trattato di Lisbona viene ratificato nella sua forma attuale, l'UE potrà esaminare questa importante questione politica in maniera più chiara e diretta. Tuttavia, la competenza giuridica non rimuove di per sé tutte le difficoltà politiche, economiche e sociali. Sono ben note le significative disparità nelle scelte nazionali, in particolare in materia di energia nucleare. Dopo il vertice europeo informale di Hampton Court, il Consiglio europeo ha definito i fondamenti di una vera e propria politica europea dell'energia che si rispecchia nel nuovo pacchetto energia elaborato congiuntamente dalla DG Energia e dalla DG Ambiente.

3.5

Come si è visto, l'Unione europea ha voluto in primo luogo utilizzare i meccanismi del mercato, visto che desiderava creare un mercato competitivo e presumibilmente più efficace per realizzare, grazie alle reti transeuropee nel settore dell'energia, un mercato interconnesso.

3.6

L'UE ha voluto inoltre promuovere l'efficienza energetica, in particolare nei settori ad alta intensità energetica: il riscaldamento e raffrescamento degli edifici, l'industria manifatturiera e i trasporti.

3.7

È noto che l'obiettivo più ambizioso del piano d'azione per il periodo 2007-2012 (ottobre 2006) è quello di realizzare un risparmio del 20 % del consumo annuale di energia entro il 2020, vale a dire un risparmio d'intensità energetica di circa l'1,5 % all'anno.

3.8

L'UE ha inoltre insistito parecchio sulla necessità di sviluppare le energie rinnovabili. Anche in questo ambito l'obiettivo dell'Unione è molto ambizioso, visto che si è fissato per tali fonti energetiche un obiettivo del 20 % della quantità totale di energia consumata di qui al 2020, cui dovrebbe aggiungersi un obiettivo minimo vincolante di una quota del 10 % di biocarburanti (tabella di marcia per le energie rinnovabili del 10 gennaio 2007).

3.9

Tuttavia, queste energie hanno sinora presentato una serie di svantaggi rispetto alle energie fossili: una minore densità energetica, l'occupazione di superfici più estese (ad esempio i campi fotovoltaici), l'intermittenza nella produzione e, ovviamente, il costo delle tecnologie necessarie. Ciò significa che, sebbene gli svantaggi relativi in termini di costi si riducano costantemente, la transizione verso tali tecnologie sarà probabilmente progressiva e lunga, a meno che non aumenti considerevolmente il sostegno politico e finanziario. Tutte le fonti energetiche rinnovabili richiederanno delle valutazioni d'impatto approfondite (cfr. Osservatorio OCSE, dicembre 2006, n. 258/259: 21st century energy: some sobering thoughts, di Vaclav Smil).

3.10

Nel settore dell'energia destinata ai trasporti, la Commissione si è occupata in particolare della promozione dei biocarburanti, delle celle a combustibile e di quelle alimentate a idrogeno. Tuttavia l'entità della crescita prevista per i biocarburanti solleva una serie di problemi. Le celle a combustibile sono in effetti dei convertitori d'energia estremamente efficaci, che permettono di ridurre sensibilmente la produzione di gas a effetto serra e di sostanze inquinanti. Tuttavia è poco probabile che queste tecnologie siano disponibili sul mercato in tempi brevi.

3.11

Per questo motivo, nel contesto del Settimo programma quadro per la ricerca e delle iniziative tecnologiche congiunte per istituire partnership pubblico/privati, la Commissione ha proposto un regolamento che istituisce l'Impresa comune Celle a combustibile e idrogeno (COM(2007) 571 def.), allo scopo di avviare un programma di attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione nel settore delle celle a combustibile e idrogeno.

3.12

Per promuovere lo sviluppo del mercato degli autoveicoli alimentati a idrogeno, la Commissione ha anche proposto un regolamento relativo all'omologazione-tipo di tali autoveicoli (COM(2007) 593 def.), per impedire il proliferare di norme sui prodotti diverse da uno Stato membro all'altro con il solo risultato di ostacolare la diffusione di questa tecnologia.

4.   Questi orientamenti sono necessari, ma sono anche sufficienti?

4.1

La domanda di carburanti fossili continuerà ad essere sostenuta e anche ad essere determinante. È quindi essenziale tenere conto di questo dato di fatto ineluttabile nella discussione e cercare di restare realistici al riguardo.

4.2

A questo proposito è necessario che gli Stati membri dell'UE definiscano una politica concertata nei confronti dei paesi produttori di combustibili fossili nello «spirito di solidarietà» caldeggiato dal Trattato di Lisbona. Sarebbe inoltre auspicabile mettere a punto una politica d'acquisto la quale, tuttavia, dipende principalmente dalle multinazionali del settore del petrolio.

4.3

Il mercato del petrolio è organizzato in maniera ufficiale dall'OPEC. In questo contesto i 27 Stati membri insieme avrebbero chiaramente un peso maggiore rispetto a ogni singolo paese da solo, tanto più che essi fanno parte dei paesi industrializzati più avanzati e sono quindi grandi consumatori di energia. Va ricordato che l'Unione europea rappresenta un mercato integrato di mezzo miliardo circa di consumatori.

4.4

Un tale blocco di acquisto può esercitare una vera pressione politica nei confronti del cartello dei produttori petroliferi, mentre nel caso del gas la situazione è diversa visto che il fenomeno del cartello non sussiste.

4.5

Per quanto riguarda la sicurezza dell'approvvigionamento, la diversificazione è essenziale. A questo proposito, le relazioni con una grande nazione europea come la Russia sono almeno altrettanto importanti quanto quelle che l'UE intrattiene con l'OPEC. Analogamente, bisognerebbe riflettere sull'opportunità di definire una politica di approvvigionamento con le Repubbliche del Caucaso e dell'Asia centrale.

4.6

Sempre nel settore dei combustibili fossili, sarebbe estremamente auspicabile sviluppare delle filiere alternative, in particolare per quanto riguarda il carbone. La ricerca sul «carbone pulito» sta facendo significativi progressi e dovrà essere accelerata, per evitare che una nuova espansione dell'uso del carbone aggravi ulteriormente il problema del riscaldamento climatico. Occorre sviluppare un vasto piano europeo di ricerca e di sviluppo in questo ambito, tanto più che l'Europa rimane un continente ricco di carbone e che si tratta di una risorsa nettamente meno cara rispetto al petrolio sul mercato mondiale. Resta il fatto che le modalità di estrazione del carbone continuano a essere una questione molto delicata. Tutti conoscono le condizioni difficili e talvolta pericolose del mestiere di minatore. Un'attenzione del tutto particolare, quindi, deve essere prestata alle condizioni di lavoro, alla sicurezza e alla salute sul posto di lavoro in questo settore.

4.7

Anche i pneumatici usati delle automobili potrebbero essere usati come risorsa rinnovabile, a condizione di captare correttamente le emissioni dovute alla loro combustione. In molti paesi sono già in funzione da molti decenni centrali elettriche alimentate da pneumatici.

4.8

Le tecniche di stoccaggio di CO2, pur avendo registrato notevoli progressi, sono ancora costose e comportano rischi di fughe, ad esempio nel caso di fessure nelle rocce o di scosse telluriche e di inquinamento delle falde freatiche profonde. Pareri del CESE in preparazione tratteranno in dettaglio queste questioni.

4.9

Oltre ai combustibili fossili esiste una risorsa locale abbondante, se non addirittura troppo abbondante: i rifiuti. Si tratta di miliardi di tonnellate prodotte sul territorio dell'Unione europea. Generalmente si ritiene che il migliore uso possibile dei rifiuti siano il riciclaggio e il riutilizzo, che riducono la domanda di materiali vergini di tutti i tipi e evitano la produzione di gas a effetto serra, associata alla maggior parte dei sistemi di eliminazione dei rifiuti. Laddove questo non fosse possibile, si dovrà senza dubbio considerare l'ipotesi di usare i rifiuti come fonte di energia. Anche in questo settore sarebbe opportuno incoraggiare la ricerca e lo sviluppo per realizzare una maggiore efficienza energetica pur riducendo al massimo le emissioni di gas a effetto serra e di altri agenti inquinanti.

4.10

È necessario incoraggiare l'evoluzione della legislazione e della giurisprudenza su questo punto, visto che il recupero energetico non viene riconosciuto in quanto tale. La proposta riveduta di direttiva quadro sui rifiuti, attualmente in discussione al Parlamento europeo, ha tuttavia segnato una svolta favorevole al riguardo.

4.11

Infine, inevitabilmente si presenterà la questione dell'energia nucleare. Sarà difficile realizzare una riduzione del 20 % dei gas a effetto serra entro il 2020 senza interrogarsi sull'opportunità di rilanciare i programmi che prevedono centrali nucleari di nuova generazione negli Stati membri che hanno deciso di usare questo tipo di energia. Gli altri dovranno invece migliorare le proprie politiche in materia di energie rinnovabili.

4.12

Siamo ovviamente consapevoli delle grosse sfide che si presentano, con lo sviluppo di questo settore, sul piano della sicurezza e della gestione delle scorie. Ma possiamo seriamente farne a meno?

4.13

La scelta delle fonti di energia è all'origine di non poche polemiche, ma nessuna di queste è accesa quanto il dibattito tra i sostenitori e gli avversari dell'energia nucleare, che fa apparire come molto opportuna la scelta di lasciare integralmente agli Stati membri la decisione di utilizzare o meno questo tipo di energia.

4.14

Con l'Euratom l'Europa dispone di uno strumento efficace, che deve servirle per mantenere il proprio primato tecnologico, garantire la propria competitività, ridurre la dipendenza energetica e accrescere gli sforzi e la cooperazione internazionale per la sicurezza e la non proliferazione. Si potrebbe anche considerare la possibilità di definire dei nuovi orientamenti per l'Euratom.

4.15

Una delle principali sfide cui si deve far fronte è la ricerca sulla fusione. Il Settimo programma quadro di ricerca dell'Euratom prevede un bilancio di 2,75 miliardi di euro, due terzi dei quali sono destinati alla ricerca a favore dell'energia di fusione. Questa priorità va incoraggiata e mantenuta dal momento che il controllo di questa tecnologia permetterebbe una più agevole gestione delle scorie riducendone sensibilmente la durata di vita. Il lancio di ITER sul territorio dell'Unione europea costituisce un avvenimento assai promettente.

4.16

Per quanto riguarda la propulsione dei veicoli, l'Unione europea dovrebbe occuparsi dei veicoli ibridi, dell'energia solare, delle celle a combustibile e della propulsione ad aria compressa. Anche in questo settore si registrano notevoli progressi sul piano della ricerca e dello sviluppo, e un ingegnere francese ha messo a punto un veicolo estremamente economico che è in grado di raggiungere i 150 km all'ora mediante propulsione ad aria compressa, la cui produzione dovrebbe essere lanciata nei prossimi mesi. La nota casa automobilistica indiana Tata ha acquistato i diritti per la produzione di tale veicolo in India.

4.17

In questo contesto il Comitato ribadisce inoltre le raccomandazioni formulate in precedenza su questa problematica, le quali suffragano e stanno alla base di quanto affermato nel presente parere.

5.   Quali strumenti?

5.1

La definizione delle politiche e la scelta delle priorità sono sì essenziali, però è anche necessario disporre degli strumenti politici e giuridici per applicarle. A questo riguardo ci chiediamo se le disposizioni del Trattato di Lisbona (a patto che sia ratificato) saranno sufficienti oppure se bisognerà prevederne altre.

5.2

Proclamare l'esigenza di uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri nel settore dell'energia è indubbiamente un'iniziativa lodevole e definire quattro assi per questa politica costituisce un'innovazione di cui non ci si può che rallegrare, anche se gli assi stessi sono poco innovativi.

5.3

È tuttavia inevitabile pensare che la gravità delle sfide energetiche mondiali meriterebbe un maggiore impegno.

5.4

Il Trattato di Lisbona è stato forse troppo vago e cauto, anche se probabilmente non è ancora possibile lanciare una politica comune dell'energia sostenuta da un quadro istituzionale specifico, sul modello passato della CECA e di quello attuale dell'Euratom.

5.5

Nella corsa mondiale all'energia, i partecipanti competono su scala continentale. Il quadro comunitario dà indubbiamente un maggiore rilievo all'Europa, però la creazione di un'autorità specifica, responsabile in particolare della «diplomazia» nel campo dell'energia, della politica di acquisto, nonché della definizione e del finanziamento di programmi quadro di ricerca e sviluppo permetterà probabilmente al vecchio continente di trasformarsi in protagonista del grande gioco energetico mondiale, cosa che i singoli Stati membri non possono fare.

5.6

La situazione attuale è contraddistinta da una serie di approcci nazionali profondamente diversi, indubbiamente dovuti al fatto che, dopo la prima crisi petrolifera del 1973, ogni paese ha voluto garantire la propria sicurezza dell'approvvigionamento energetico. Vi sono numerosi esempi di questa frammentazione degli sforzi e di questa diversità degli approcci.

5.7

Per evitare un'eventuale discordanza negli approcci, che provocherebbe un indebolimento dell'Europa, è necessario concepire una grande politica europea dell'energia, strettamente legata alla posizione di leader in materia di cambiamento climatico che l'Europa sta tentando di consolidare nel quadro dei negoziati internazionali. Questa politica dovrebbe prevedere innanzitutto uno stretto coordinamento all'interno di organizzazioni internazionali quali l'OMC, l'ONU, la NATO e l'OCSE non appena sorgano delle questioni in materia di energia. A ciò dovrebbero aggiungersi un coordinamento delle politiche energetiche e, in particolare, una vera e propria politica di acquisto nonché una politica di interconnessione delle reti non più esclusivamente empirica bensì ispirata a un'autentica volontà politica. Infine, al momento opportuno, questa politica di coordinamento, concertazione e progetti comuni potrebbe appoggiarsi a istituzioni specifiche per aiutare l'Europa a raccogliere la sfida energetica. Avremo il coraggio di farlo?

Bruxelles, 23 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riporta l'emendamento che, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 4.11

Modificare come segue:

«Infine, inevitabilmente si presenterà la questione dell'energia nucleare, una questione che compete ai singoli Stati membri. Non è possibile realizzare una riduzione del 20 % dei gas a effetto serra entro il 2020 senza interrogarsi sull'opportunità di rilanciare i programmi che prevedono centrali nucleari di nuova generazione.»

Motivazione

La Germania, un paese nel quale al momento sono attive 10 centrali nucleari, ha presentato un programma che prevede una riduzione di quasi il 40 % dei gas a effetto serra che procederà di pari passo con l'abbandono progressivo del nucleare di qui al 2020. Intende forse il relatore (e con lui il CESE) mettere in discussione la serietà di questo programma?

Esito della votazione

Voti favorevoli: 46, voti contrari: 103, astensioni: 27


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/54/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/55/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1775/2005 relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas naturale

COM(2007) 528 def. — 2007/0195 (COD)

COM(2007) 529 def. — 2007/0196 (COD)

COM(2007) 530 def. — 2007/0197 (COD)

COM(2007) 531 def. — 2007/0198 (COD)

COM(2007) 532 def. — 2007/0199 (COD)

(2008/C 211/06)

Il Consiglio, in data 18 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 44, paragrafo 2, e degli articoli 55 e 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito a:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/54/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica,

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/55/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale,

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia,

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica,

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1775/2005 relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas naturale

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CEDRONE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 100 voti favorevoli, 4 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte

1.1   Conclusioni

1.1.1

Il CESE valuta positivamente, nel suo complesso, le ragioni che hanno spinto la Commissione a presentare il terzo pacchetto sull'energia, una materia complessa e difficile sul versante giuridico ed economico, che ha suscitato giudizi e reazioni contrastanti.

1.1.2

Il CESE ritiene che la modifica della situazione attuale del settore energetico non possa essere procrastinata ulteriormente. Dopo aver avviato il processo di integrazione e liberalizzazione, ci troviamo in mezzo al guado: bisogna decidere da che parte andare. La liberalizzazione del mercato dell'energia ha subito una fase di arresto, causando alti costi di transizione che potrebbero superare i benefici. In alcuni casi tali costi dipendono dalla mancanza di un'autentica volontà di liberalizzare, di un quadro di regole omogenee a livello europeo e di una chiara attribuzione di responsabilità tra i diversi soggetti. Questa mancanza di certezza regolamentare può essere la causa del livello modesto degli investimenti nel settore e dello scarso sviluppo della concorrenza. Ciò ha creato un mercato europeo frammentato, guidato in alcuni casi dagli ex monopolisti, ragion per cui è necessario riaffermare con convinzione la necessità che il processo di liberalizzazione prosegua in modo determinato.

1.1.3   Gli aspetti politici: il mercato unico

1.1.3.1

L'elemento centrale di tale strategia è la realizzazione del mercato unico europeo dell'energia. Occorre che l'Unione europea elabori una strategia comune per poter agire in tempi brevi con una voce unica ed avere maggior forza negoziale a livello internazionale. È più che mai necessaria la cooperazione tra gli Stati membri, le autorità di regolamentazione e i gestori dei sistemi di trasmissione. Bisogna procedere a trasformazioni strutturali volte a integrare la gestione dei sistemi e il loro sviluppo a livello regionale. I singoli Stati devono mettere in comune esperienze, conoscenze e regole per agire insieme e proporre (imporre) una propria politica dei costi per l'approvvigionamento, per creare uno scenario quanto più concorrenziale possibile che si traduca in prezzi più equi, evitando la speculazione finanziaria. Occorre che gli Stati siano più coesi e rispettino le regole concordate insieme, nell'interesse degli utenti-consumatori, applicando a livello nazionale la legislazione comunitaria precedentemente approvata.

1.1.4   Gli aspetti economici

1.1.4.1

Ad avviso del CESE una concorrenza leale e opportunamente regolata (l'attuale proposta della Commissione non consente di averla) favorirebbe l'aumento delle fonti alternative e degli investimenti in infrastrutture energetiche. Ciò comporterebbe a sua volta un aumento della produttività delle imprese (come ad esempio le PMI), permettendo di ottenere prezzi equi favorendo la trasparenza, e riducendo i rischi di posizione dominante.

1.1.4.2

Uno degli obiettivi prioritari del terzo pacchetto è quello di incoraggiare gli investimenti necessari nelle infrastrutture energetiche, e assicurare un loro coordinamento a livello europeo. Per quel che riguarda questo aspetto le misure proposte dalla Commissione vanno nella giusta direzione. Bisogna, comunque, assicurare che tali misure permettano di effettuare gli investimenti necessari per la generazione, che infondano fiducia negli investitori. In riferimento allo sviluppo delle reti, tali misure devono assicurare che si effettui una pianificazione adeguata, che tenga conto di tutte le parti coinvolte, e si realizzi ad un livello appropriato secondo il calendario previsto. Occorre, inoltre, un controllo sugli investimenti a livello europeo (svolto dall'Agenzia dei regolatori). In presenza di un mercato poco elastico, con aziende che operano in condizioni di oligopolio, con alcuni Stati restii a delegare il potere sulle forniture, viene meno la fiducia degli operatori e degli utenti con conseguente blocco della liquidità: tale condizione andrebbe rimossa.

1.1.5   Gli aspetti sociali

1.1.5.1

I processi di ristrutturazione generati dagli effetti del terzo pacchetto dovranno essere accompagnati da una politica a favore dell'occupazione, con il pieno coinvolgimento dei sindacati e delle imprese tramite strumenti quali corporate social restructuring, e ammortizzatori sociali previsti a livello nazionale ed europeo. È di conforto rilevare che nei paesi che hanno implementato la separazione proprietaria nelle reti di trasporto non si sono registrati effetti negativi sull'occupazione.

1.1.5.2

Sebbene la salvaguardia delle fasce deboli e dei consumatori vulnerabili sia e sia destinata a rimanere una competenza strettamente nazionale, è fondamentale che la Commissione riconosca l'importanza di queste misure a livello internazionale. La Commissione dovrà assicurare anche il monitoraggio della loro implementazione affinché tali strumenti siano in linea con i prerequisiti di un mercato aperto e concorrenziale. Sarebbe necessario introdurre il concetto di energy poverty («povertà energetica») a livello europeo (tariffa di soglia minima) e perseguire gli obblighi di servizio pubblico e di interesse generale così come previsti nelle attuali direttive.

1.1.6   Gli utenti (imprese e consumatori)

1.1.6.1

Una nuova strategia sulle politiche energetiche deve essere capace quindi di favorire una reale concorrenza tra le imprese per aumentare la possibilità di scelta degli utenti. Le reti di trasporto devono essere accessibili a chiunque voglia utilizzarle. Per le grandi imprese energivore bisogna arrivare ad un contratto europeo per l'acquisto di energia a prezzi omogenei (prezzi comparabili ovvero «legge del prezzo unico»), eliminando gli aiuti di Stato (distorsione della concorrenza). Gli stessi consumatori devono veder riconosciuti i loro diritti previsti dall'UE ed avere la libertà di scegliere il fornitore che vogliono al prezzo più basso possibile.

1.1.7

Il CESE, infine, ritiene che la proposta della Commissione debba essere orientata ad evitare l'azione combinata non volontaria per il consolidamento dello «status quo» tra le grandi imprese monopolistiche, che mirano a mantenere la propria rendita di posizione, e i sindacati, che mirano alla difesa del posto di lavoro.

1.2   Le proposte del CESE

1.2.1   Mercato unico dell'energia

1.2.1.1

La Commissione, per rendere più incisivo il cammino verso il mercato unico dell'energia, deve introdurre delle modifiche alle proposte presentate nel terzo pacchetto energia per avere il potere di agire autonomamente nel contesto internazionale, in particolare rispetto alle fonti energetiche. A tal fine le proposte di cooperazione regionale, previste nel pacchetto, devono essere considerate dei passi intermedi verso il raggiungimento dell'obiettivo finale, che rimane il mercato unico dell'energia. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero cercare di integrare i loro mercati dell'elettricità e i gestori di sistema dovrebbero operare in diversi Stati membri. Il CESE ritiene che la proposta di cooperazione regionale tra gestori di rete, contenuta nel terzo pacchetto, non debba assolutamente essere considerata un sostituto temporaneo o un'alternativa al mercato unico. È fondamentale la cooperazione a livello regionale, basata sulla separazione proprietaria, tra gestori di rete che siano effettivamente separati dalla produzione/vendita. Le recenti iniziative regionali promosse dal gruppo dei regolatori europei, ERGEG, dovrebbero essere usate anche per verificare l'omogeneità della regolazione e delle regole di mercato.

1.2.2   Separazione verticale integrata (unbundling)

1.2.2.1

Il CESE ritiene che la CE debba dare la preferenza alla separazione della proprietà (ownership unbundling), sicuramente più efficace, rispetto alla separazione funzionale, nel favorire gli investimenti. Ciò aumenterebbe la trasparenza e la fiducia degli operatori, migliorerebbe la sicurezza di sistema e consentirebbe il controllo sulle attività di monopolio, prevenendo i comportamenti discriminatori e ottimizzando l'utilizzo e la manutenzione della rete.

1.2.2.2

Sono necessari ulteriori approfondimenti e analisi sulle implicazioni strategiche legate alla proprietà delle reti e alla necessità di garantirne l'indipendenza anche in relazione a eventuali interessi di paesi terzi, inclusa la scelta circa la proprietà delle reti (pubblica o privata). La proposta della Commissione non richiede, con l'applicazione della separazione proprietaria, la privatizzazione delle reti di trasporto attualmente di proprietà pubblica.

1.2.2.3

Tra il settore elettrico e quello del gas (vedi Stati Uniti, Danimarca, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia) non ci sono differenze tali da giustificare un trattamento non omogeneo in termini di separazione proprietaria. La separazione proprietaria tra le attività di produzione/vendita e quelle di trasporto è necessaria in entrambi i settori. I potenziali comportamenti discriminatori che derivano da un livello insufficiente di separazione verticale sono uguali. Le compagnie che vendono gas non dovrebbero infatti essere interessate a chi trasporta il loro gas, ma solo ad avere come controparte compagnie affidabili e forti dal punto di vista finanziario, in grado di vendere il loro gas.

1.2.3   Agenzia europea

Il CESE è profondamente convinto che si debbano conferire più poteri all'Agenzia europea per la cooperazione tra le autorità di regolamentazione dell'energia (ACER), affinché essa possa:

svolgere un ruolo regolamentare autonomo e indipendente,

monitorare l'operato del Gruppo europeo di gestori di rete ENTSO e, insieme con quest'ultimo e con il comitato permanente per il mercato, coadiuvare la Commissione europea nella definizione di un elenco di regole necessarie per elaborare e approvare le linee direttrici e i codici tecnici e di mercato,

stabilire i criteri e approvare i codici tecnici e di mercato,

fissare le metodologie tariffarie e le tariffe per il meccanismo di compensazione dei costi sostenuti dai gestori di rete per i transiti transfrontalieri di elettricità,

elaborare linee direttrici sui principi di sviluppo della rete di trasmissione e approvare il piano decennale di investimenti proposto da ENTSO,

presentare segnalazioni e pareri al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione,

consultare gli operatori del mercato,

coordinare il lavoro delle autorità nazionali,

favorire la trasparenza, ivi comprese le modalità di nomina del suo gruppo dirigente.

1.2.4   Autorità nazionali

1.2.4.1

Le autorità di regolamentazione nazionali svolgono un ruolo essenziale nel favorire la concorrenza e assicurare una corretta implementazione delle direttive a livello nazionale, soprattutto per quel che concerne il rispetto delle regole nell'utilizzo imparziale delle infrastrutture. È necessario quindi armonizzare le loro competenze e aumentare la loro indipendenza rispetto ai governi e alle compagnie in modo che esse siano in grado di vigilare e prevenire abusi derivanti da posizioni dominanti. Un'autorità di regolamentazione più indipendente creerà fiducia nel mercato e potrà interagire più attivamente con l'ACER.

1.2.5   Meccanismo di coordinamento dei gestori di rete nazionali (European Networks of Transmission System Operators — ENTSOs)

1.2.5.1

Il CESE ritiene utile un coordinamento più efficace tra i gestori di rete nazionali per realizzare gli investimenti e per ottimizzare la gestione delle infrastrutture che lo sviluppo di una rete integrata europea richiede. L'Agenzia dovrebbe avere un ruolo maggiore di quello previsto per proporre, disegnare, monitorare e approvare i codici, per assicurare che l'interesse pubblico sia tenuto nella dovuta considerazione. Il ruolo dell'ENTSO dovrebbe rimanere nei limiti delle sue capacità e competenze. Di conseguenza la responsabilità per l'elaborazione delle linee direttrici e dei codici dovrebbe spettare all'ACER.

1.2.6   Reti europee e investimenti

1.2.6.1

Il CESE ritiene che l'Unione debba anticipare l'evoluzione futura dell'utilizzo delle reti, attraverso un programma di investimenti, volto a creare un sistema di reti europee pubbliche e/o private regolate dall'Unione, accessibili a tutti, sia per il trasporto che per l'utilizzo dell'energia. A tal fine si dovrebbe garantire che le procedure di gestione delle interconnessioni siano realmente trasparenti, basate su procedure di mercato, che permettano di incrementare al massimo il commercio. Gli investimenti dovrebbero essere effettuati quando apportano vantaggi socioeconomici in una prospettiva regionale, e tutti i partecipanti al mercato dovrebbero essere coinvolti nelle decisioni riguardanti lo sviluppo di codici e il piano di investimenti decennale.

1.2.7   Democrazia e rappresentanza

1.2.7.1

Il CESE ritiene che, sulla base delle disposizioni già esistenti, o in via di definizione, occorra prevedere la presenza dei consumatori nel CdA dell'Agenzia. Lo stesso dicasi per tutti gli altri operatori interessati (agenti, sindacati, imprese), che, oltre che nel CdA, potrebbero essere presenti in un apposito consiglio di sorveglianza, in modo tale che lo sviluppo normativo possa contare sul più ampio consenso e sulla maggiore partecipazione possibili, non solo negli stadi finali ma già dalle fasi iniziali.

2.   Introduzione

2.1

Da circa dieci anni la Commissione ha iniziato (con molto ritardo) a muovere i primi passi verso una normativa europea per un mercato unico dell'elettricità e del gas. Il Comitato ha avuto così a più riprese l'occasione di pronunciarsi, con accenti a volte diversi da quelli della CE (Commissione europea), su una materia divenuta, col passare degli anni, sempre più importante e controversa.

2.2

Con l'adozione del terzo pacchetto di proposte legislative sul mercato dell'elettricità e gas, la CE intende completare l'iter già iniziato, sullo sfondo di uno scenario internazionale profondamente mutato e che pone nuovi problemi a tutti. Le proposte non sono unanimemente condivise dagli Stati membri e ciò rischia di ritardare l'approvazione e l'applicazione delle nuove proposte, compromettendo la realizzazione del mercato unico europeo dell'energia.

2.3

Il CESE ha di fronte una grande responsabilità: quella di formulare un parere su uno dei dossier più rilevanti (e scottanti) degli ultimi anni, da cui dipende non solo il mercato dell'energia, ma anche il destino delle imprese europee del settore, dei consumatori europei, nonché delle imprese dei paesi terzi.

2.4

Il CESE valuta positivamente, lo «studio di impatto» svolto dalla CE, che offre già buoni spunti sulla efficacia di una liberalizzazione e di una concorrenza «leale» (cfr. il testo).

3.   Le ragioni delle proposte della Commissione

3.1

Garantire che i consumatori siano veramente liberi di scegliere il proprio fornitore, di fronte ad un'ampia offerta, e di godere dei «vantaggi» che questa scelta «dovrebbe» comportare. Queste migliori condizioni per gli utenti dovranno rappresentare un obiettivo comune per le imprese dei paesi terzi che operano all'interno dell'UE.

3.2

Disaggregare, separare l'attività di produzione e trasmissione dalla proprietà e dalla gestione delle reti di trasmissione di elettricità e gas. Viene, inoltre, formulata una seconda opzione, quella del «gestore di sistema indipendente», attraverso la quale le imprese integrate verticalmente possono restare proprietarie della rete solo se la gestione del loro capitale fisso viene assicurata da un organismo indipendente o da un'altra impresa: ciò dovrebbe favorire gli investimenti nelle infrastrutture.

3.3

Introdurre misure efficaci contro la frammentazione del mercato sulla base dei confini nazionali, contro l'integrazione di tipo verticale esistente e contro la forte concentrazione dell'offerta, che di fatto ha impedito sinora una vera concorrenza e l'affermazione di un mercato unico dell'energia.

3.4

Semplificare gli scambi transfrontalieri, con la creazione di un'apposita agenzia avente lo scopo di coordinare le autorità di regolamentazione nazionale e offrire le stesse opportunità alle imprese europee del settore che operano nei diversi paesi: questo dovrebbe garantire l'instaurazione di un'autentica rete europea a salvaguardia della sicurezza dell'approvvigionamento e della diversificazione dell'offerta. Le stesse autorità nazionali dovrebbero così vedere realmente rafforzata la loro indipendenza.

3.5

Favorire la collaborazione mediante la creazione di nuove regole da parte dei gestori delle reti europee e assicurare una maggiore cooperazione tra i vari mercati nazionali anche in presenza di rischio di approvvigionamento.

3.6

Aumentare la trasparenza attraverso la semplificazione delle regole di mercato e fornendo informazioni ai consumatori, per «aumentare» la fiducia degli utenti sulla bontà del mercato (ma è stato veramente sempre così sinora?).

3.7

Permettere ai consumatori di godere dall'anno prossimo dei diritti degli utenti dell'energia garantiti da un'apposita «Carta» (obbligatoria) che dovrebbe contenere, tra l'altro, informazioni sui fornitori, sulle varie opzioni del mercato, sulla semplificazione delle pratiche burocratiche, sulla povertà in funzione del consumo di energia (fuel poverty), ecc. (1).

4.   Le proposte di direttiva (elettricità e gas)

4.1

Disaggregazione effettiva (giuridica e funzionale) del sistema di approvvigionamento e trasmissione dell'energia elettrica e del gas in tutti gli Stati membri, attraverso sistemi non verticalmente integrati. Questo rappresenta un elemento chiave per risolvere possibili conflitti di interessi e:

assicurare adeguati investimenti per un più efficiente sistema di approvvigionamento e trasmissione, includendo anche miglioramenti nella gestione dei trasferimenti transfrontalieri,

evitare privilegi o trattamenti di favore messi a disposizione di imprese e affiliate, inserite in sistemi di distribuzione e produzione verticalmente integrati,

assicurare un corretto e trasparente accesso alle informazioni a tutti i partecipanti del mercato e non solo a quelli collegati all'impresa in questione.

4.2

In presenza di imprese ad integrazione verticale e restie a passare ad un'effettiva separazione della proprietà, una possibile soluzione è rappresentata dalla creazione di un operatore di sistema indipendente (ISO). Tale operatore, pur permettendo alle imprese di mantenere la proprietà della rete non permette alle stesse di gestirla. Tale indipendenza potrà essere realizzata solo in presenza di un efficiente sistema di regolamentazione.

4.2.1

L'indipendenza dell'operatore di rete si applica sia a imprese pubbliche che private, come la separazione tra la proprietà della rete di distribuzione e i sistemi di produzione.

4.2.2

L'obiettivo principale è quello di ottenere che in tutti i paesi dell'UE le imprese che operano nel settore di produzione e approvvigionamento dell'elettricità e del gas si trovino ad operare in modo completamente separato.

4.2.3

La direttiva proposta prevede deroghe temporanee alle norme di disaggregazione della proprietà qualora le imprese effettuino investimenti in infrastrutture energetiche.

4.3

La disaggregazione degli operatori di sistema da quelli di approvvigionamento e produzione è prevista non solo a livello nazionale ma in tutta l'UE. Nessuna impresa produttrice di energia può gestire o possedere un sistema di trasmissione in un altro paese membro. Ogni operatore che entri a far parte del sistema deve dimostrare la propria indipendenza dalle attività di approvvigionamento e generazione.

4.4

La disaggregazione della proprietà dovrà generare un corretto funzionamento del mercato e della rete, che da ultimo si tradurrà in una corretta formazione dei prezzi dell'elettricità e del gas, con la possibile conseguente riduzione dei prezzi e con un chiaro beneficio per i consumatori e gli investitori del settore.

4.5

Il corretto comportamento dell'operatore indipendente di rete, come l'effettiva disaggregazione della proprietà del sistema di generazione e di approvvigionamento, potrà essere realizzato solo grazie alla presenza di un'autorità di regolamentazione indipendente e operativa. Le autorità di regolamentazione dovranno essere giuridicamente distinte e funzionalmente indipendenti da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato e dovranno agire indipendentemente da qualsiasi interesse di mercato. Dovranno avere pieni mandati e potranno cooperare tra di esse fra i vari paesi membri al fine di:

verificare gli obblighi di trasparenza dei vari operatori nel mercato,

assicurare l'efficacia delle misure protettive per i consumatori,

verificare il buon funzionamento della distribuzione dell'energia elettrica e del gas,

controllare i piani di investimento degli operatori del sistema di trasmissione e verificare che siano fra loro compatibili,

controllare la presenza di abusi di mercato o di operatori dominanti che impediscono la corretta formazione del prezzo.

Le agenzie esterne (il CESR, Agenzia per la cooperazione dei regolatori dell'energia) hanno il compito di svolgere mansioni consultive presso la Commissione per l'applicazione delle norme elencate.

5.   Le proposte di regolamento (istituzione dell'Agenzia per la cooperazione, accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di elettricità e accesso alle reti di trasporto del gas naturale)

5.1

Un consolidamento dei mercati interni, con regole e impostazioni comuni, rappresenta un elemento chiave per lo sviluppo del mercato europeo dell'energia e per realizzare gli scambi transfrontalieri necessari. Una armonizzazione delle norme esistenti (ad esempio le regole tecniche in base alle quali le imprese elettriche devono operare codici di trasmissione e dispacciamento) tra i vari paesi è necessaria, e al momento non sembra essere stata ancora realizzata con l'aiuto dell'ERGEG. Tale armonizzazione delle decisioni potrà essere realizzata solo da un organismo distinto ed indipendente che può essere costituito, visti i vincoli dati dagli articoli del Trattato, nella forma di un'Agenzia.

5.2

I principali compiti di tale Agenzia dovrebbero essere:

migliorare la gestione delle situazioni transfrontaliere,

controllare l'attività degli operatori dei sistemi di trasmissione per l'elettricità e per il gas,

verificare l'efficacia dei piani di investimento decennali previsti sulle reti,

assicurare che la cooperazione tra gli operatori proceda in modo efficace e trasparente a beneficio del mercato interno,

intervenire con decisioni individuali su singoli aspetti tecnici e sulle domande di deroghe,

esercitare un ruolo consultivo relativamente ai problemi di regolamentazione del mercato e proporre orientamenti volti a migliorare le pratiche adottate dagli organismi nazionali di regolamentazione.

5.3

La struttura organizzativa riprenderà l'organigramma tipico delle agenzie di regolamentazione della CE, con una particolare attenzione ad adottare un sistema che garantisca l'indipendenza delle funzioni regolamentari. Si potrà pertanto istituire, oltre al CdA che nomina il direttore dell'Agenzia, un consiglio di regolatori responsabile di tutte le questioni inerenti la regolamentazione ed un comitato per i ricorsi che dovrà gestire i ricorsi contro le decisioni adottate dall'Agenzia. L'Agenzia potrà essere composta al più da 40-50 persone ed avrà un costo totale pari a 6-7 milioni di euro l'anno coperto con sovvenzioni comunitarie.

5.4

La Commissione ha il ruolo di custode dei Trattati e di «controllore del controllore». L'Agenzia esercita il potere decisionale ed ha discrezionalità solo su specifiche questioni tecniche. Le decisioni di intervento a tutela della cooperazione o del corretto funzionamento del mercato possono essere prese dalla Commissione in risposta a segnalazioni dell'Agenzia o indipendentemente da essa.

5.5

Un'efficiente cooperazione tra gli operatori del sistema di trasmissione è indispensabile per realizzare una reale integrazione del mercato. Attualmente esiste solo una cooperazione a livello volontario, che però non ha fornito risultati soddisfacenti, specie in occasione di incidenti di rete e black-out. L'integrazione della gestione di sistema a livello regionale permetterebbe di:

definire una serie coerente di codici tecnici e di mercato con validità internazionale,

fare ricorso alla definizione di codici tecnici in assenza di cooperazione effettiva fra le reti,

garantire un comportamento non discriminatorio in relazione alla gestione e allo sviluppo di rete,

facilitare l'integrazione di mercato, permettendo così la convergenza dei prezzi, riducendo le preoccupazioni riguardanti la concentrazione del mercato, stimolando la liquidità, ecc.,

promuovere il finanziamento e la gestione della ricerca e dell'innovazione.

5.6

Le strutture di cooperazione degli operatori dei sistemi di trasmissione devono essere pienamente riconosciute a livello europeo. Potranno essere adottate le strutture esistenti quali i GTE ed ETSO, o esserne istituite di nuove, centrali e permanenti sia in termini di organizzazione che di strumenti pratici per la pianificazione e gestione delle reti.

6.   Osservazioni di carattere generale

6.1

Il principale problema delle reti, in particolare per quelle elettriche, non è tanto quello della liberalizzazione, quanto piuttosto quello di renderle fruibili ai cittadini ed alle imprese. Per esempio, si potrebbe pensare a delle reti europee pubbliche, o regolate dall'Unione, accessibili a tutti.

6.2

Sarebbe auspicabile che la Commissione europea favorisse gli investimenti per la realizzazione di un sistema di trasmissione completamente innovativo, tale da consentire l'utilizzo dell'elettricità a livello europeo, attraverso una rete interattiva intelligente. Una rete simile a Internet, che grazie alla tecnologia dei contatori intelligenti, consenta il flusso di energia nei due sensi.

6.3

Ciò favorirebbe molto gli investimenti e porterebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro ed a realizzare concretamente il vecchio slogan power to people: scambiare energia a seconda dei bisogni di ognuno con reti aperte a tutti, con regole uguali e applicate in tutti i paesi dell'Unione, senza eccezioni (come già avviene per Internet).

6.4

Per queste ragioni si potrebbe arrivare ad una separazione totale per il sistema distributivo dell'elettricità e ad una opzione tra la separazione e l'indipendent system operator per le reti del gas.

6.5

Gli obiettivi perseguiti dalla Commissione (rafforzare le autorità nazionali, rafforzare la cooperazione tra gli operatori del trasporto (ISO, TSO), rafforzare la trasparenza del mercato, ecc.) difficilmente potranno essere raggiunti se non si superano le logiche nazionali, non solo per le reti, ma anche per l'approvvigionamento, gli investimenti, ecc. Queste sono le uniche misure capaci di assicurare una migliore qualità del servizio anche se insufficienti a contenere i prezzi.

6.6

La concentrazione delle riserve di petrolio in poche aree del mondo [61,8 % in Medio Oriente, 11,7 % in Europa e Russia, 9,4 % in Africa, l'8,5 % in Sud America, il 5,1 % in Nord America e il 3,5 % in Estremo Oriente (F. Profumo, Politecnico di Torino)] dovrebbe spingere la Commissione a praticare una politica comune, una politica più incisiva sia verso queste aree che negli organismi internazionali presso i quali vengono stipulati accordi e prese decisioni. In caso contrario la liberalizzazione pura e semplice rischia di diventare lo specchio per le allodole, insufficiente a contenere i prezzi, spesso aumentati a causa dei monopoli che dettano le condizioni anche alla politica.

6.7

L'UE deve progredire sulla strada della concorrenza regolata e della trasparenza, per rendere il sistema economico più competitivo e trasparente. Le vittorie sulla Microsoft e sulla WW rappresentano un precedente incoraggiante a favore della concorrenza, anche se ovviamente questo da solo non basta. Occorre predisporre contemporaneamente misure più efficaci per ridurre l'impatto e le conseguenze sull'occupazione e misure e investimenti capaci di rendere più dinamico il sistema economico, per creare più opportunità per i lavoratori e per i giovani, e renderli così meno bisognosi di «protezione». Infatti se gli ultimi dati sulla crescita economica dell'Europa non sono incoraggianti (si veda la comunicazione della Commissione), ciò è dovuto, oltre che alla forza dell'euro, alla scarsa competitività delle imprese ed alla «protezione» di cui molte di esse godono. Lo smantellamento dei monopoli, avviato a seguito dell'Atto unico europeo, deve assolutamente andare a buon fine, poiché, in caso di fallimento, la disorganizzazione e l'eventuale reintroduzione dei finanziamenti pubblici per la sopravvivenza delle reti andrebbero a ledere l'interesse dei cittadini-consumatori, come è avvenuto nel caso delle ferrovie del Regno Unito.

6.8

Il confronto su questo pacchetto non può rimanere chiuso nelle aule istituzionali o tra gli addetti ai lavori. La Commissione ed il CESE devono portare all'esterno il confronto, che deve essere aperto, deve vedere coinvolti cittadini-consumatori, lavoratori ed imprese, per evitare che comunque siano solo le aziende del settore, spesso monopolistiche, a influenzare le decisioni: ad esempio, si potrebbe aprire un apposito blog per i cittadini, si dovrebbero fare audizioni aperte nella gran parte degli Stati membri, in alcune città europee, e riportare i risultati in una grande conferenza pubblica a livello comunitario. Inoltre, il controllo esercitato dalla Commissione sulle agenzie europee di regolamentazione dovrebbe avere anche una dimensione democratica ed essere confermato da quello del Parlamento europeo.

7.   Osservazioni specifiche

7.1

Separazione proprietaria delle varie attività della filiera: approvvigionamento e produzione dalla gestione della rete (ownership unbundling).L'applicazione di tali misure è condizione necessaria per le riduzioni delle barriere all'entrata. L'obiettivo è quello di evitare che le imprese integrate, che svolgono più attività della filiera, possano «trasferire» parte dei costi delle attività liberalizzate a carico delle attività regolamentate e quindi godere di un indebito vantaggio competitivo rispetto a chi opera nelle sole attività in concorrenza. Gli Stati membri hanno adottato in maniera disomogenea le direttive sul mercato del gas naturale e dell'elettricità permettendo in alcuni casi la creazione di imprese di produzione e fornitura e di imprese di gestione delle reti di trasmissione integrate verticalmente.

7.2

Effettivo rafforzamento dei poteri degli organismi nazionali di regolamentazione, garanti nel contempo della neutralità della gestione delle reti e, più in generale, delle infrastrutture gestite in concessione ovvero essenziali per la liberalizzazione (trasmissione, distribuzione e misura, nel settore dell'energia; trasporto, distribuzione, misura, stoccaggio e rigassificazione, nel settore del gas).

7.3

Ruolo determinante dell'agenzia per la cooperazione degli organismi di regolamentazione nel settore dell'energia volto a controllare l'operato degli organismi nazionali indipendenti. L'istituzione di un organismo di regolamentazione sovranazionale con poteri di supervisione sull'operato dei singoli paesi coinvolti indurrebbe a un'attività regolatoria di cooperazione ben definita, riducendo lo squilibrio tra le prospettive dell'UE nel suo insieme e quelle dei singoli paesi a favore di soluzioni orientate verso un mercato dell'energia integrato.

7.4

Creazione di operatori dei sistemi di trasmissione indipendenti dal sistema di produzione, che cooperino fra loro per gestire in modo efficiente i problemi di distribuzione. Gli operatori del sistema di trasmissione di imprese integrate verticalmente tendono infatti a privilegiare le imprese affiliate determinando un serio deficit di informazione per i nuovi competitor. Gli investimenti, all'interno delle società fortemente integrate, risultano spesso distorti, dato che l'impresa dominante non ha nessun interesse a migliorare la rete, giacché questo favorirebbe principalmente le imprese concorrenti. Una separazione formale e sostanziale degli operatori di trasmissione assicurerebbe le stesse garanzie d'accesso alle reti per tutte le imprese di distribuzione, consentendo quei miglioramenti tecnologici necessari a garantire una più efficiente gestione e, in ultima analisi, tariffe più basse per gli utenti.

7.5

Creare maggiore trasparenza e facilità di accesso nei mercati al fine di aumentare la liquidità del mercato dell'elettricità e del gas. Si evidenzia una carenza informativa in merito all'attendibilità e tempestività sul mercato (tra le parti coinvolte nella filiera). L'asimmetria informativa tra gli incumbent e le società loro concorrenti è marcata. Una maggiore trasparenza minimizzerebbe i rischi di entrata per i nuovi market player riducendo anche le barriere all'entrata, migliorando la fiducia nei mercati all'ingrosso e quindi nei segnali di prezzo. È necessario tuttavia che sia assicurata una certa uniformità/corrispondenza delle informazioni che, senza mai sottovalutare l'importanza della riservatezza strategico-commerciale societaria, non lasci spazio a interpretazioni ondivaghe che compromettano una reale trasparenza del mercato.

7.6

Garantire la disponibilità di informazioni a tutti gli operatori del mercato al fine di creare fiducia permettendone un corretto sviluppo. Molti operatori hanno poca fiducia nel meccanismo di formazione dei prezzi. I contratti di importazione del gas sono stipulati in base agli indici di prezzo costruiti su un paniere di prodotti derivati dal petrolio, quindi i prezzi seguono rigorosamente gli sviluppi dei mercati petroliferi. Questa relazione si ripercuote nei prezzi all'ingrosso che quindi non si formano sulla base del meccanismo di domanda e offerta di mercato, a danno della garanzia di fornitura (offerta). Per i contratti di importazione a lungo termine non si osservano chiari trend verso meccanismi di formazione di prezzi basati sulle dinamiche di mercato.

7.7

Definizione dei requisiti particolarmente dettagliati per garantire trasparenza nella generazione dell'elettricità e del gas. Occorre fornire accurate informazioni sulle previsioni della domanda e dell'offerta di breve periodo. Tali requisiti dovrebbero essere rispettati dai vari produttori di elettricità e si rende quindi necessaria l'attribuzione di maggiore potere alle autorità nazionali di regolamentazione.

7.8

Istituzione di mercati derivati. Gli strumenti derivati rappresentano un efficace canale per la gestione del rischio di prezzo, oltre a fornire un naturale strumento per lo sviluppo dei mercati dell'elettricità e del gas. Sebbene i mercati elettrici negozino contratti derivati direttamente o indirettamente, e quindi il percorso di omogeneità in questo senso sia già stato intrapreso, resta ancora molto lavoro da fare. Il mercato del gas naturale europeo presenta infatti evidenti disomogeneità: se alcuni mercati presentano un buon grado di liberalizzazione (ad es. Regno Unito) altri non possiedono neanche un mercato di scambio a pronti del gas naturale (ad es. Italia).

7.9

Regolamentazione dei campi (o giacimenti) di stoccaggio in modo da assicurare che tutto lo stoccaggio disponibile a terzi sia offerto in maniera trasparente ed equa evitando accumulo di capacità.

7.10

Criteri pubblici ed univoci che stabiliscano quando e come si applica l'accesso dei terzi nella capacità di stoccaggio offerta al mercato.

7.11

Definizione di norme trasparenti e dettagliate sull'accesso ai terminali GNL, che permetteranno di individuare le infrastrutture oggetto di esenzione. Si tratta di stabilire norme corrette di applicazione della cosiddetta procedura di open season. Tale procedura, prevedendo un meccanismo di prenotazione della capacità anticipato rispetto alla costruzione della stessa, potrebbe non essere sufficiente a garantire una maggiore apertura agli operatori, poiché, nell'ambito della procedura stessa, si deve comunque dare priorità di allocazione della capacità di trasporto sulla rete di trasporto nazionale all'impresa che realizza il gasdotto o il terminale GNL e che è titolare dell'esenzione. Inoltre un ostacolo allo sviluppo della concorrenza sul mercato degli approvvigionamenti potrebbe derivare dalla procedura di assegnazione della quota residua di un 20 % che privilegia i soggetti che si impegnano a saturare tale quota con contratti di lunga durata, penalizzando quindi sia il mercato spot che la flessibilità delle forniture.

7.12

Individuazione di accordi bilaterali di approvvigionamento a lungo termine a valle che siano compatibili con il diritto europeo della concorrenza. Il grado di concorrenza a livello di mercato al dettaglio è molto limitata. L'effetto cumulato di contratti a lunga scadenza, contratti di durata non definita, contratti con clausole di rinnovo tacite e periodi di estinzione lunghi può risultare un sostanziale ostacolo alla competitività. I vincoli contrattuali che legano i clienti industriali e i produttori (incumbent) a lungo termine differiscono da paese a paese. Tuttavia, la richiesta di un'offerta più concorrenziale, fornita dai non-incumbent, sta crescendo; manca un'offerta di fornitura paneuropea, che è necessario considerare seriamente. L'attuale livello competitivo (pochi offerenti) è particolarmente insoddisfacente in alcuni Stati membri caratterizzati da elevati livelli di concentrazione (Austria, Belgio). Le restrizioni su come i consumatori possono disporre del gas loro assegnato, combinate alle pratiche restrittive dei fornitori ai punti di consegna, sollevano quindi non poche preoccupazioni in termini di concorrenza.

7.13

Stimolare il mercato al dettaglio dell'elettricità e del gas al fine di realizzare effettivamente il processo di liberalizzazione. Solo con un vero mercato al dettaglio i cittadini dell'UE potranno beneficiare del sistema di concorrenza. Questo significa stabilire regole di accesso al mercato semplificate affinché i piccoli produttori e distributori possano parteciparvi, in modo da stimolarne la liquidità e da avere prezzi più competitivi. Assicurare liquidità è a sua volta fondamentale per migliorare la fiducia degli operatori nella formazione dei prezzi sia presso i marketplace elettrici che presso gli hub del gas in quanto, soprattutto in quest'ultimo caso, permette di svincolarsi dal legame con i prodotti.

7.14

Un mercato dell'elettricità e del gas liberalizzato svolge un ruolo chiave nella sensibilizzazione delle imprese e dei cittadini verso forme di consumo «intelligente» che potrà permettere un contenimento e il controllo dei costi. Ciò implica educare il cittadino sulle fonti di energia attualmente disponibili e sulle fonti di sviluppo energetico alternative (energie rinnovabili) affinché comprenda l'importanza vitale di tale bene, considerandone la sua attuale scarsità. L'offerta ai clienti finali di contratti personalizzabili, in base alle modalità di consumo, risulta indispensabile sia in termini di risparmio energetico sia in termini di costi.

7.15

In qualità di consumatori finali responsabili, i cittadini dovranno essere anche informati sul rispetto delle regole da parte delle istituzioni di regolamentazione e sui loro eventuali abusi, affinché possano far valere i loro diritti tramite anche associazioni di difesa dei diritti dei consumatori.

7.16

Garanzia di soddisfazione della domanda anche nei periodi di picco. Nel caso dell'elettricità questo pone il problema di capacità di generazione, di dimensione della rete di trasmissione e di trasporto dell'energia nella rete. Nel caso del gas occorre predisporre sufficiente capacità di importazione e stoccaggio. È noto tuttavia che la capacità di importazione è particolarmente limitata in quanto il trasporto di capacità è prenotato dagli incumbent con contratti pluriennali che arrivano anche oltre i venti anni. Ciò significa che i nuovi progetti e i progetti di ristrutturazione/ampliamento delle infrastrutture elettriche e di gas naturale (gasdotti) devono procedere speditamente sia a livello europeo che nazionale. Un'importanza primaria è rivestita dagli impianti di rigassificazione, che soprattutto nel Mediterraneo svolgono un ruolo cruciale per il collegamento con i principali paesi produttori di tale risorsa naturale (Libia, Algeria).

7.17

Aumento di solidarietà: è necessario che i paesi dell'UE, sia a livello regionale che bilaterale, promuovano un accordo di cooperazione, di mutua assistenza e collaborazione reciproca qualora uno Stato dell'Unione si trovasse in situazioni energetiche deficitarie per cause diverse non direttamente imputabili allo stesso.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della CommissioneVerso una Carta europea dei diritti dei consumatori d'energia, CESE 71/2008.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una politica marittima integrata per l'Unione europea

COM(2007) 575 def.

(2008/C 211/07)

La Commissione europea, in data 10 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una politica marittima integrata per l'Unione europea

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BREDIMA e dal correlatore CHAGAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea con favore il carattere unico del processo di consultazione di cui è stato oggetto il Libro verde Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari, e ricorda di avervi contribuito attivamente adottando un parere in materia (1) e partecipando a due convegni.

1.2

La comunicazione sottolinea l'importanza del fattore umano per il settore marittimo. Il CESE si rallegra dell'accordo raggiunto dalle parti sociali (ETF e ECSA (2)) per integrare nel diritto comunitario alcune disposizioni della Convenzione dell'OIL (3) sul lavoro marittimo (2006). Auspica di vedere attuate quanto prima a livello mondiale le norme sul lavoro marittimo in modo da garantire a tutti i lavoratori del settore parità di condizioni in materia di impiego, conformemente alla Convenzione stessa. Altrettanto importante è che gli Stati membri ratifichino gli strumenti internazionali relativi al comparto alieutico, ivi compresa la Convenzione dell'OIL del 2007 sul lavoro nel settore della pesca.

1.3

Il CESE sottoscrive la proposta di riesaminare, in stretta collaborazione con le parti sociali, le esenzioni applicate ai lavoratori marittimi e ai pescatori nel quadro del diritto del lavoro comunitario, e chiede chiarimenti in merito al certificato di eccellenza marittima. Bisognerebbe esaminare la reale fattibilità di un certificato di eccellenza marittima per la gente di mare, su base vincolante per i servizi di traghetti intracomunitari e volontaria per altri servizi.

1.4

La Scholar Ship organizza traversate per consentire a studenti di fare un'esperienza pratica di navigazione. L'idea di un campus galleggiante che solca gli oceani è in sintonia con le tendenze generali e andrebbe esplorata ulteriormente dalla Commissione nel contesto degli sforzi per attirare studenti brillanti verso la carriera marittima (4). Inoltre, le parti sociali dell'UE dovrebbero considerare ed esaminare con urgenza le questioni relative allo stile di vita dei marinai.

1.5

In materia di incidenti marittimi, la futura politica europea dovrebbe essere guidata dalle seguenti considerazioni:

gli Stati costieri dovrebbero assumere la propria parte nella catena di responsabilità riguardante la sicurezza marittima e la tutela ambientale. Ciò renderà necessario inasprire le norme di registrazione delle navi e allestire una rete funzionale di vigilanza e di assistenza dotata di sistemi di localizzazione via satellite e di pattuglie marittime e aeree adeguatamente attrezzate,

la prevenzione dei gravi incidenti marittimi non dovrebbe essere orientata a scapito del fattore umano, attribuendo cioè ai marittimi responsabilità che non hanno, ma basarsi su un sistema integrato tale da ridurre la possibilità di errore umano (da parte del capitano e dell'equipaggio) attraverso moderni dispositivi elettronici di sicurezza e uno sforzo teso a migliorare la concezione costruttiva e le attrezzature di bordo. Occorrerebbe inoltre prevedere un sistema giuridico marittimo tale da ripartire in maniera equa e netta le responsabilità tra professioni del mare, servizi costieri di vigilanza, armatori, registri navali e autorità marittime.

1.6

Il CESE ribadisce che l'industria marittima è costretta a utilizzare un gasolio di pessima qualità perché le raffinerie non ne producono di migliore. Sostiene pertanto le iniziative su scala internazionale volte a esaminare la qualità dei combustibili di bordo per permettere progressi decisivi sulla questione delle emissioni atmosferiche prodotte dalle navi.

1.7

La comunicazione e il piano d'azione ignorano la parte cospicua di inquinamento marittimo proveniente dalle attività di navigazione da diporto, il che è tanto più grave quando si considera la vulnerabilità degli Stati costieri in cui generalmente si svolgono tali attività (5). Inoltre, il problema dell'inquinamento è aggravato dalle attività delle navi militari, le quali sono esenti dalle norme comunitarie.

1.8

La contaminazione dei fiumi e dei mari (in particolare il Mar Baltico e il Mar Nero) è un altro ambito in cui occorrono ulteriori sforzi da parte dell'UE. Per motivi di opportunità politica, questi problemi andrebbero affrontati a livello multilaterale, anziché bilaterale.

1.9

Nella lotta ai problemi ambientali l'UE dovrebbe svolgere un ruolo guida sul piano internazionale. Esiste il margine per un rafforzamento della cooperazione e del coordinamento tra le posizioni degli Stati membri dell'UE all'interno delle organizzazioni internazionali, senza per questo comprometterne la partecipazione individuale. Il contributo di conoscenze ed esperienze che gli Stati membri dell'UE apportano alle organizzazioni internazionali è universalmente riconosciuto: esso non va indebolito, bensì valorizzato.

1.10

Per quanto riguarda lo «spazio per il trasporto marittimo europeo senza frontiere», il CESE riconosce il vantaggio derivante dal suo riconoscimento come spazio marittimo virtuale. In linea con il punto di vista del CESE, la comunicazione sottolinea che questo concetto ha il solo scopo di semplificare le pratiche amministrative e doganali e di facilitare gli scambi commerciali nel contesto del mercato unico europeo.

1.11

Il CESE approva il messaggio simbolico convogliato dalla comunicazione, secondo cui l'Europa è ed è sempre stata un continente marittimo. Attende ancora, tuttavia, misure concrete per tradurre queste parole in azione.

1.12

Il CESE ribadisce di poter svolgere un ruolo nell'attuazione della politica marittima, anche per quanto riguarda la pianificazione del territorio, nella promozione dell'identità e del patrimonio culturale marittimo dell'UE e nel sensibilizzare l'opinione pubblica europea al problema del surriscaldamento globale.

1.13

Il CESE appoggia la proposta di creare una rete europea per la sorveglianza marittima e di migliorare la cooperazione tra le guardie costiere degli Stati membri. Tali misure promuoveranno la sicurezza e la protezione in mare, il controllo della pesca, il controllo delle frontiere esterne e la tutela dell'ambiente marino.

Il CESE ribadisce che è auspicabile che gli Stati membri dell'UE adottino un approccio coordinato riguardo agli accordi bilaterali con paesi terzi in materia di fermo, in modo da tenere conto delle crescenti esigenze di sicurezza. Caldeggia inoltre un intervento dell'UE per far fronte al proliferare degli attacchi a mano armata e degli atti di pirateria in mare, in particolare nell'Asia sudorientale e in Africa.

2.   Introduzione

2.1

La comunicazione in oggetto su una politica marittima integrata per l'Unione europea, unitamente al piano d'azione a essa allegato, che prevede la futura elaborazione di 29 azioni specifiche, tengono conto dei pareri espressi dalle istituzioni dell'UE e dalle parti interessate dal Libro verde in materia.

2.2

La tornata di consultazioni senza precedenti avviata nel quadro del Libro verde ha fatto emergere un ampio consenso sulla necessità di adottare un approccio organico, integrato, intersettoriale e strategico nei confronti degli oceani. L'idea di sostituire all'attuale frammentazione, e alle conseguenze indesiderate che a volte essa comporta, una visione globale merita di essere sostenuta.

2.3

Il CESE sottoscrive il messaggio simbolico convogliato dalla comunicazione, secondo cui l'Europa è ed è sempre stata un continente marittimo. Le 29 misure previste dal piano d'azione sono tutte accolte con favore (salvo osservazioni specifiche), ma non sono sufficienti.

3.   Osservazioni generali

3.1   Aspetti ambientali

3.1.1

Il CESE ritiene molto importante preservare l'integrità dell'ambiente marino e garantire che la vasta gamma di attività umane che lo interessano non ne provochino il progressivo degradamento.

3.1.2

Il CESE accoglie con favore i piani della Commissione mirati a potenziare l'efficacia della cooperazione internazionale, a migliorare l'integrazione delle politiche e ad applicare le normative in vigore, come pure a incoraggiare le tecnologie ambientali (Sesto programma di azione comunitario per l'ambiente). Bisognerebbe porre l'accento sulla necessità di attuare la Convenzione per la prevenzione dell'inquinamento marino di origine terrestre (6).

3.1.3

L'accumulo di CO2 e di altri gas a effetto serra nell'atmosfera per via delle eccessive emissioni fa sì che gli oceani stiano già assorbendo anidride carbonica in misura maggiore del solito, un processo che secondo le previsioni è destinato a protrarsi, ed è probabile che la conseguente acidità degli oceani si traduca in una tensione crescente per l'ambiente marino. Le ricerche su questi effetti per l'ambiente marino devono essere ulteriormente approfondite, così come quelle sullo sviluppo di metodi ecocompatibili per il riassorbimento di CO2. Inoltre, le risorse energetiche marine saranno importanti ai fini della diversificazione dell'approvvigionamento energetico europeo.

3.1.4

La comunicazione ignorano la parte cospicua di inquinamento marittimo e fluviale proveniente dalle attività di navigazione da diporto, il che è tanto più grave quando si considera la vulnerabilità degli Stati costieri in cui generalmente si svolgono tali attività (7). Inoltre, il problema dell'inquinamento marino è acuito dalle attività delle navi militari — esenti dalle norme comunitarie — che incidono sempre più negativamente sull'ambiente e sul turismo.

3.1.5

Il CESE ribadisce che l'industria marittima è costretta a utilizzare un gasolio di pessima qualità perché le raffinerie non ne producono di migliore. Sostiene pertanto le iniziative su scala internazionale volte a esaminare la qualità dei combustibili di bordo (8) per permettere progressi decisivi sulla questione delle emissioni atmosferiche prodotte dalle navi.

3.1.6

L'inquinamento marino e atmosferico di qualsiasi origine provoca il deterioramento dell'ambiente marino, con conseguenze sanitarie, sociali ed economiche. Sono già in vigore misure adeguate, comprese sanzioni contro i responsabili, per controllare e attenuare gli effetti dell'inquinamento marittimo prodotto dalle navi, misure che andrebbero applicate rigorosamente. Non è stato invece ancora adottato un quadro analogo per affrontare l'inquinamento marittimo e fluviale di altra origine (attività industriali, urbane e agricole, pesticidi, ecc.). Il CESE teme che, se non si intraprende un'azione generale ed efficace, si metterà a rischio la salute del turismo costiero e marino, principale industria europea collegata al mare. Un'azione in questo senso contribuirebbe peraltro anche a preservare l'entità e la diversità delle risorse biologiche marine, comprese quelle ittiche.

3.1.7

Il CESE sottolinea la necessità per l'UE di negoziare un accordo bilaterale con i paesi del Mediterraneo meridionale nel quadro dei piani annuali d'azione della politica di vicinato. In base a tale accordo, i paesi terzi interessati dovrebbero condividere con gli Stati membri dell'UE la responsabilità di mantenere puliti i mari controllando le emissioni aeree e lo scarico di rifiuti nei fiumi (per esempio nel delta del Nilo). Lo scopo ultimo di tale iniziativa sarebbe la preservazione del patrimonio comune del Mediterraneo.

3.2   Aspetti sociali

3.2.1

La comunicazione sottolinea l'importanza del fattore umano per il settore marittimo. Nella ricerca di un giusto equilibrio tra dimensione economica, sociale e ambientale all'interno di una politica marittima sostenibile, il piano d'azione dovrebbe tenere in debito conto la dimensione sociale.

3.2.2

Il CESE si rallegra dell'accordo tra le parti sociali (ETF e ECSA) per integrare nel diritto comunitario alcune delle disposizioni della Convenzione dell'OIL sul lavoro marittimo (2006). Auspica di vedere attuate quanto prima a livello mondiale le norme sul lavoro marittimo in modo da garantire a tutti i lavoratori del settore parità di condizioni, conformemente alla Convenzione stessa. Altrettanto importante è che gli Stati membri ratifichino gli strumenti internazionali pertinenti relativi al comparto alieutico, ivi compresa la Convenzione dell'OIL del 2007 sul lavoro nel settore della pesca.

3.2.3

Per quanto riguarda l'elaborazione di un piano d'azione sulla qualifica dei lavoratori marittimi comunitari, il CESE richiama l'attenzione sul riesame della Convenzione STCW (9) dell'OMI, che disciplina la formazione e la certificazione della gente di mare a livello mondiale. Ogni proposta dell'UE dovrebbe essere conforme al regime OMI/OIL.

3.2.4

Il CESE sottoscrive la proposta di riesaminare, in stretta collaborazione con le parti sociali, le esenzioni applicate ai lavoratori marittimi e ai pescatori nel quadro del diritto del lavoro comunitario. Invita però la Commissione a fornire chiarimenti riguardo al certificato di eccellenza marittima. Bisognerebbe anche chiedersi se l'adozione di un certificato di eccellenza marittima per la gente di mare, vincolante per i servizi di traghetti intracomunitari e volontario per altri servizi, sia davvero praticabile.

3.2.5

Per promuovere efficacemente le carriere marittime all'interno dell'UE occorre investire risorse nel rafforzamento degli standard qualitativi, migliorando così il vantaggio competitivo dei lavoratori marittimi europei grazie alla qualità, anziché ai costi.

3.2.6

La crescente carenza di marittimi qualificati su scala mondiale lascia intravedere conseguenze allarmanti per l'infrastruttura della sicurezza marina, e la situazione è destinata ad aggravarsi a meno che non vi sia uno sforzo concertato da parte dell'UE e degli Stati membri. Senza un'adeguata disponibilità di personale qualificato, l'Europa perderà le conoscenze e l'esperienza necessaria per l'espletamento di attività marittime fondamentali ai fini della sicurezza (ispezioni delle navi, rilevamenti, aspetti giuridici e assicurativi, servizi di traffico marittimo, salvataggio, guardia costiera e pilotaggio). Inoltre, certi poli marittimi potrebbero trasferirsi in altre regioni. Le azioni in corso non si sono rivelate sufficienti e il CESE si rammarica che la Commissione non abbia intenzione di affrontare questo tema prima della fine del 2009.

3.2.7

Il CESE si dice allarmato per gli elevati tassi di abbandono registrati negli istituti nautici di alcuni Stati membri e per la rinuncia precoce alla carriera marittima da parte di quanti sono già nel settore. La vocazione marittima dell'UE potrebbe risultarne gravemente compromessa, a meno che non si presti immediata attenzione all'attuale crisi: in particolare, si deve pensare a soluzioni nel quadro di una strategia olistica che rendano più attraente la carriera marittima. A tal fine, bisognerebbe approfondire ulteriormente l'esercizio di mappatura delle possibilità di carriera già effettuato dalle parti sociali (ECSA e ETF). Le misure mirate ad «attirare» i giovani verso la professione marittima andrebbero abbinate ad azioni per «trattenere» i lavoratori in questo settore.

3.2.8

La Scholar Ship organizza traversate per consentire a studenti di fare un'esperienza di navigazione. L'idea di un campus galleggiante che solca gli oceani merita di essere esplorata dalla Commissione nel contesto degli sforzi per attirare studenti brillanti verso la carriera marittima. Allo stesso modo, nei grandi porti europei si potrebbero creare delle scuole di tipo Harbour School  (10), in cui si insegnino ai bambini delle scuole primarie, ed eventualmente delle secondarie, tutte le discipline necessarie per far loro conoscere l'ambiente acquatico marino e le imbarcazioni, nonché i rudimenti della navigazione. Per motivi pratici, tale esercizio andrebbe condotto sulla terraferma, ma in vicinanza del mare.

3.2.9

Il CESE chiede alla Commissione di esaminare le migliori pratiche in uso presso le scuole secondarie degli Stati membri per attirare i giovani verso la carriera marittima.

3.2.10

In materia di incidenti marittimi, la futura politica dovrebbe essere guidata dalle seguenti considerazioni:

gli Stati costieri dovrebbero assumere la propria parte nella catena di responsabilità riguardante la sicurezza marittima e la tutela ambientale. Ciò renderà necessario inasprire le norme di registrazione delle navi e allestire una rete funzionale di vigilanza e di assistenza dotata di sistemi di localizzazione via satellite e di pattuglie marittime e aeree adeguatamente attrezzate,

la prevenzione degli incidenti marittimi non dovrebbe accordare un'eccessiva importanza al fattore umano, attribuendo cioè ai marinai responsabilità che non hanno, bensì basarsi su un sistema integrato tale da ridurre la possibilità di errore umano (da parte del capitano e dell'equipaggio) attraverso moderni dispositivi elettronici di sicurezza e uno sforzo teso a migliorare la concezione costruttiva e le attrezzature di bordo. Il sistema giuridico marittimo dovrebbe ripartire in maniera equa e netta le responsabilità tra le professioni del mare, i servizi costieri di vigilanza, gli armatori, i registri navali e le autorità marittime.

3.2.11

In condizioni meteorologiche estremamente pericolose, i marinai di professione possono trovarsi a intraprendere azioni che vanno ben al di là delle loro mansioni ordinarie. Come ha affermato il segretario generale dell'OMI, «la natura primordiale dell'ambiente in cui operano fa sì che i marinai di professione si trovino di tanto in tanto in situazioni per le quali non esiste di fatto alcuna — o quasi — preparazione adeguata. Il modo in cui affrontano tali situazioni è una vera e propria prova di coraggio che merita di essere riconosciuta e apprezzata» (11). Si invita la Commissione a tenere conto in futuro delle considerazioni che precedono al momento di proporre misure per far fronte agli incidenti marittimi.

3.3   Questioni economiche

3.3.1

Il futuro Libro bianco sulla politica del trasporto marittimo dell'UE (2008-2018) dovrebbe creare un quadro adeguato per attirare gli investimenti nel settore marittimo e contribuire a rafforzare la leadership mondiale dei trasporti marittimi europei, nonché il loro ruolo catalizzatore rispetto al settore marittimo.

3.3.2

Il CESE è lieto che la Commissione abbia preso atto della necessità di adottare norme internazionali per un'industria divenuta ormai globale, che essa riconosca l'importanza di una regolamentazione internazionale dei trasporti marittimi e che sostenga la ricerca di soluzioni ai problemi normativi nel quadro di organismi internazionali come l'OMI. In effetti, il carattere mondiale dei trasporti marittimi, la globalizzazione del mercato del lavoro in cui essi operano e la posizione competitiva dei trasporti marittimi europei nel mercato mondiale sono aspetti da tenere in considerazione.

3.3.3

Inoltre, occorre ribadire la necessità di migliorare l'efficienza dei porti e dei servizi portuali esistenti e di aumentare la capacità portuale e i collegamenti con l'entroterra.

3.3.4

Il CESE osserva che si è tenuto conto delle sue proposte riguardanti la necessità di promuovere la ratifica delle convenzioni dell'OMI da parte degli Stati membri dell'UE e a livello internazionale, di sviluppare i porti, di ridurre i livelli di inquinamento atmosferico causato dalle navi e infine di creare poli multisettoriali e una rete europea dei poli marittimi. Si è inoltre riconosciuto il ruolo essenziale dei trasporti marittimi europei nel commercio europeo e internazionale e nella vita quotidiana dei cittadini europei.

3.3.5

Per quanto riguarda lo «spazio per il trasporto marittimo europeo senza frontiere», la comunicazione sottolinea, conformemente al punto di vista del CESE (12), che tale concetto si riferisce unicamente alla creazione di uno spazio marittimo virtuale all'interno del quale le pratiche amministrative e doganali risultino semplificate e il commercio facilitato, nel contesto del mercato unico europeo. Il CESE prende atto della consultazione avviata dalla Commissione per decidere l'adozione di altre proposte eventuali per un'efficace attuazione di tale concetto.

3.3.6

Il CESE ritiene che esista il margine per un rafforzamento della cooperazione e del coordinamento tra gli Stati membri dell'UE all'interno delle organizzazioni internazionali, senza con ciò compromettere la loro partecipazione individuale. Il contributo di conoscenze ed esperienze che gli Stati membri dell'UE apportano alle organizzazioni internazionali è universalmente riconosciuto: esso non va indebolito, bensì valorizzato.

3.3.7

Il CESE condivide l'idea secondo cui l'UE dovrebbe esercitare la propria influenza nei confronti dei paesi terzi per incoraggiarli a ratificare e applicare le principali convenzioni marittime internazionali. Le autorità di controllo dei porti europei dovrebbero condurre ispezioni a bordo delle navi sia europee che extracomunitarie per accertare l'osservanza delle norme ambientali e sociali internazionali.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Le regioni costiere e insulari

4.1.1

Il CESE esprime soddisfazione nel constatare che si è tenuto conto delle sue proposte per la promozione del turismo costiero e la creazione di una banca dati sui finanziamenti europei alle regioni costiere. L'UE dovrebbe mettere le regioni insulari al centro delle sue preoccupazioni attraverso misure finalizzate a:

migliorarne le infrastrutture in modo da incoraggiare il turismo marittimo,

prolungarne la stagione turistica (tramite attività culturali e sportive),

migliorare le comunicazioni tra isole e terraferma grazie alle nuove tecnologie, con il sostegno di finanziamenti europei,

fornire alle isole impianti di desalinizzazione che rispettino gli equilibri degli ambienti naturali per rimediare alla carenza idrica, che sarà una delle principali sfide cui dovrà far fronte l'area mediterranea a causa dei cambiamenti climatici.

4.2   L'Oceano artico e le relazioni con i paesi terzi

4.2.1

Il CESE accoglie con favore le proposte riguardanti l'incremento della cooperazione nella gestione del Mediterraneo e del Mar Nero, la politica di allargamento, la politica europea di vicinato e la dimensione nordica.

4.2.2

Sotto l'Oceano Artico giacciono dal 20 al 30 % delle riserve mondiali di greggio non ancora scoperte. È possibile che, per via del cambiamento climatico, entro il 2015 le rotte di navigazione artiche diventino accessibili per buona parte dell'anno. L'apertura delle rotte artiche appare vantaggiosa in termini sia di distanza che di sicurezza: ad esempio, passare dall'Oceano Artico anziché dal Canale di Suez permetterebbe di ridurre il tragitto da Shanghai a Rotterdam di 1 000 miglia marine. La riduzione delle rotte marittime potrebbe tradursi in una riduzione significativa del consumo di carburante e delle emissioni prodotte. Il CESE fa osservare che, data la moltitudine di problemi giuridici e ambientali che affliggono più paesi, sarà fondamentale chiarire il diritto internazionale relativo ai ghiacci marini; in tale contesto, attende con interesse l'annunciata relazione sull'Oceano Artico, che passerà in rassegna le conseguenze geopolitiche del cambiamento climatico. Occorrerebbe esaminare in anticipo l'eventuale impatto ambientale derivante dallo sfruttamento di nuove rotte di navigazione marittima attraverso l'Oceano Artico.

4.3   Sorveglianza marittima

4.3.1

Il CESE appoggia la proposta di creare una rete europea per la sorveglianza marittima e di migliorare la cooperazione tra le guardie costiere degli Stati membri. Tali misure promuoveranno la sicurezza e la protezione in mare, il controllo della pesca, il controllo delle frontiere esterne e la tutela dell'ambiente marino.

4.4   Contaminazione dei mari e dei fiumi

4.4.1

Nel contesto del piano d'azione, andrebbero intensificati gli sforzi dell'UE per lottare contro la contaminazione dei fiumi e dei mari (Mar Baltico e Mar Nero). Per motivi di opportunità politica, questi problemi andrebbero affrontati a livello multilaterale, piuttosto che bilaterale.

4.5   La pesca

4.5.1

Di fronte al fenomeno allarmante della diminuzione e della scomparsa di alcune specie marine, il CESE sottolinea la necessità di uno sfruttamento razionale delle risorse alieutiche. Le proposte riguardanti la gestione della pesca vanno nella giusta direzione. Dato che la pesca è una delle professioni più pericolose, occorrerebbe intensificare gli sforzi per potenziare la cultura della sicurezza tra gli operatori del settore. In particolare, occorre adottare misure di sicurezza per i pescherecci di lunghezza inferiore ai 24 metri per colmare la lacuna esistente nelle convenzioni internazionali e nelle direttive europee in vigore. Il CESE rammenta che la necessaria conservazione delle specie ha conseguenze sociali che andrebbero trattate come tali: l'impegno dei pescatori in mare è spesso legato alla mancanza di risorse ed è in tali frangenti che essi mettono a repentaglio la propria vita.

4.5.2

I pericoli fisici e finanziari legati alla pesca sono gravi e spiegano perché in tanti abbandonino il settore. Occorre adottare quanto prima progetti e programmi comunitari volti a migliorare la tecnologia dei pescherecci. Nel contesto dello scambio delle migliori pratiche sugli strumenti utilizzati per rendere più attraente il mestiere della pesca, il CESE raccomanda di diffondere su vasta scala il manuale per la prevenzione degli incidenti in mare e la sicurezza dei pescatori (Handbook for the Prevention of Accidents at Sea and the Safety of Fishermen), recentemente pubblicato dalle parti sociali europee Europêche e ETF. Altrettanto importante è che gli Stati membri accelerino il processo di ratifica della Convenzione dell'OIL sul lavoro nel settore della pesca (giugno 2007). L'obiettivo ultimo è rendere le attività alieutiche più sostenibili e attraenti.

4.6   Riciclaggio delle navi

4.6.1

Nel recente parere sul Libro verde Per una migliore demolizione delle navi (COM(2007) 269 def.), il CESE manifesta preoccupazione per la «grave mancanza di impianti di smantellamento compatibili con i principi della sostenibilità ambientale e sociale» riscontrata a livello mondiale, e aggiunge che «questa situazione sarà resa più grave dall'accumularsi di navi da ritirare dal servizio nei prossimi anni in seguito alla messa al bando in tutto il mondo delle petroliere monoscafo» (13). Occorre migliorare le strutture e le condizioni di lavoro nell'Asia meridionale (dove si svolge la maggior parte delle attività di riciclaggio delle navi), per portarle a livelli internazionalmente accettabili.

4.6.2

Il CESE sostiene i progressi effettuati a livello internazionale per favorire lo smantellamento delle navi obsolete secondo modalità efficienti, sicure ed ecologicamente sostenibili. La priorità al riguardo è adottare una convenzione vincolante nel biennio 2008-2009, promuovendo nel frattempo le linee guida dell'OMI. L'esistenza di un parametro di riferimento concordato a livello internazionale imporrebbe ai proprietari di navi l'obbligo di fornire indicazioni precise sui materiali potenzialmente pericolosi utilizzati nelle loro navi e consentirebbe di stabilire norme minime per i cantieri di demolizione in materia di salute e sicurezza e di gestione delle sostanze pericolose.

4.7   Accordi in materia di fermo e sicurezza

4.7.1

La crescente importanza dei temi della sicurezza ha spinto diversi Stati membri dell'UE a concludere accordi bilaterali con paesi terzi in materia di fermo. Il CESE ribadisce che da parte degli Stati membri dell'UE è auspicabile un approccio coordinato rispetto a tali iniziative e una visione coordinata della divisione del lavoro tra loro, come pure tra le rispettive flotte, nell'applicazione delle relative norme. Un'alternativa potrebbe essere la ratifica in tempi brevi, da parte degli Stati membri dell'UE, dei protocolli sulla soppressione degli atti illeciti, i quali prevedono garanzie per la tutela degli interessi commerciali legittimi degli operatori marittimi e dei diritti umani della gente di mare.

4.7.2

Il CESE esprime preoccupazione riguardo alla recrudescenza degli attacchi a navi mercantili e al proliferare degli attacchi a mano armata e degli atti di pirateria in mare, in particolare nell'Asia sudorientale e in Africa, e caldeggia un intervento dell'UE per fare in modo che in acque pericolose le navi mercantili possano essere scortate dalle forze navali.

4.8   Reti elettriche terrestri

4.8.1

Per ridurre le emissioni di gas a effetto serra delle navi ormeggiate nei porti comunitari, la Commissione propone (nel piano d'azione) di utilizzare le reti elettriche terrestri. In questo modo, le navi non utilizzerebbero combustibile e quindi non emetterebbero sostanze inquinanti (SOx, NOx, particolato) e CO2.

4.8.2

Il CESE condivide tale proposta, ma richiama l'attenzione sui seguenti punti: una soluzione unica può non essere confacente per tutti i tipi di navi; l'elettricità terrestre può essere prodotta da centrali che bruciano combustibili e carbone, e quindi producono altro CO2, con il rischio di annullare i benefici ottenuti. Esorta quindi la Commissione a tenere conto delle considerazioni che precedono al fine di proporre una politica oculata su scala internazionale.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 168 del 20.7.2007, pag. 50.

(2)  ETF: Federazione europea dei lavoratori dei trasporti; ECSA: Associazione armatori della Comunità europea.

(3)  OIL: Organizzazione internazionale del lavoro.

(4)  Cfr. The Economist, 1.9.2007.

(5)  OMI/FAO/Unesco-CIO/OMM/OMS/AIEA/UN/UNEP, Gruppo congiunto di esperti sugli aspetti scientifici dell'inquinamento dell'ambiente marino (Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Pollution — Gesamp).

(6)  Questa convenzione, adottata a Parigi il 4.6.1974 e modificata dal protocollo del 26.3.1986, è stata sostituita dalla convenzione per la protezione dell'ambiente marino dell'Atlantico nordorientale (OSPAR), adottata a Parigi nel settembre 1992 ed entrata in vigore nel marzo 1998.

(7)  OMI/FAO/Unesco-CIO/OMM/OMS/AIEA/UN/UNEP, Gruppo congiunto di esperti sugli aspetti scientifici dell'inquinamento dell'ambiente marino (Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Pollution — Gesamp).

(8)  Parere del Comitato economico e sociale europeo, del 13 febbraio 2008, sul tema Mix energetico nel trasporto (TEN 305) (CESE 269/2008).

(9)  Standard di addestramento, certificazione e tenuta della guardia per i marittimi.

(10)  Cfr. New York Harbor School,

http://www.newyorkharborschool.org

(11)  Premio OMI per atti di eccezionale coraggio in mare, 19.11.2007.

(12)  Cfr. parere del CESE sul tema Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 50; parere del CESE sul tema La politica portuale comune nell'UE, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 57; parere del CESE sul tema Le autostrade del mare nel contesto della catena logistica, TEN 297, CESE 1204/2007 del 18.12.2007.

(13)  Cfr. parere CESE, del 13 dicembre 2007, sul Libro verde Per una migliore demolizione delle navi (COM(2007) 269 def.), CESE 1701/2007.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1172/98 del Consiglio relativo alla rilevazione statistica dei trasporti di merci su strada per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

COM(2007) 778 def. — 2007/0269 (COD)

(2008/C 211/08)

Il Consiglio, in data 27 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 285, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1172/98 del Consiglio relativo alla rilevazione statistica dei trasporti di merci su strada per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto (1) con 145 voti favorevoli e 2 astensioni.

 

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Il parere del Comitato sulla procedura di regolamentazione con controllo è attualmente in preparazione (COM(2007) 741 def., COM(2007) 822 def., COM(2007) 824 def. e COM(2008) 71 def.).


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piccole, ecologiche e competitive — Un programma inteso ad aiutare le piccole e medie imprese a conformarsi alla normativa ambientale

COM(2007) 379 def. [SEC(2007) 906, SEC(2007) 907, SEC(2007) 908]

(2008/C 211/09)

La Commissione europea, in data 8 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piccole, ecologiche e competitive — Un programma inteso ad aiutare le piccole e medie imprese a conformarsi alla normativa ambientale

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 marzo 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CHIRIACO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie favorevolmente l'iniziativa della Commissione di un programma di assistenza specificamente destinato ad aiutare le piccole, medie e micro imprese a conformarsi alla legislazione ambientale, data la complessità di quest'ultima e considerato il peso economico e sociale delle PMI nel quadro dell'economia europea. In questo contesto, tuttavia, il CESE sottolinea che un'attenzione particolare dovrebbe essere accordata alle micro imprese, in considerazione delle difficoltà strutturali che le rendono più vulnerabili.

1.2

Il CESE, consapevole del fatto che le PMI possano incontrare delle difficoltà a conformarsi alla legislazione ambientale, data la sua complessità, accoglie favorevolmente lo sviluppo di strumenti mirati a promuoverne una più chiara comprensione. Nonostante nell'ultimo decennio l'attenzione al tema sociale e, in particolare, a quello ambientale, sia cresciuta, la funzione della responsabilità dell'impresa (Corporate Social Responsibility) non è ancora avvertita come un fattore di vantaggio competitivo da tutte le realtà imprenditoriali.

1.3

Il CESE ritiene che l'iniziativa della Commissione di un programma inteso ad assistere le PMI a conformarsi alla legislazione ambientale rappresenti un primo passo molto importante.

1.4

Il CESE considera necessario che la Commissione sviluppi un approccio proattivo nei confronti delle PMI definendo un sistema strutturato di cooperazione al livello territoriale delle imprese. In questo contesto, particolare attenzione dovrà essere dedicata alla cooperazione transfrontaliera.

1.5

In particolare, è essenziale:

definire, data l'alta complessità della legislazione, l'unicità della normativa ambientale uniformando la legislazione a livello nazionale, al fine di ottenere una maggiore coesione giuridica,

semplificare e qualificare il contesto normativo anche attraverso un miglioramento in termini di semplicità e chiarezza della qualità dei testi,

ridurre gli oneri burocratici e amministrativi,

sviluppare sistemi settoriali di gestione ambientale «su misura» in modo da renderli più accessibili alle PMI,

sviluppare le competenze delle PMI, soprattutto tramite le organizzazioni, attraverso la formazione di esperti locali che garantiscano loro un'assistenza professionale,

riorganizzare le risorse finanziarie del programma per renderlo più semplice e funzionale,

migliorare la comunicazione e l'informazione, in particolare in merito alla diffusione dei risultati delle buone pratiche.

2.   Sintesi della comunicazione della Commissione

2.1

L'obiettivo della comunicazione della Commissione è quello di aiutare le piccole e medie imprese (PMI) ad utilizzare l'energia e le risorse in modo efficiente (1). Essa fornisce quindi un quadro giuridico e propone delle misure intese a rafforzare le politiche e le iniziative esistenti in linea con le caratteristiche specifiche delle piccole imprese. A questo fine la Commissione propone di creare un programma inteso ad aiutare le PMI ad attuare la legislazione ambientale: per mezzo di tale programma sarà possibile liberare delle risorse finanziarie destinandole allo sviluppo di reti di sostegno, semplificare l'accesso ai sistemi di gestione ambientale e aumentare la consapevolezza ambientale di queste imprese.

2.2

Anche se ogni piccola o media impresa conta meno di 250 dipendenti, complessivamente le PMI raggiungono nell'Unione europea la cifra di 23 milioni e rappresentano il 99 % circa di tutte le imprese e il 57 % del valore aggiunto dell'economia dell'UE. Essendo responsabili di una quota così importante del fatturato dell'UE, le PMI hanno un notevole impatto sull'ambiente.

2.3

Molte imprese non sono consapevoli delle ripercussioni ambientali delle loro attività, e una maggioranza di esse ritiene di esercitare sull'ambiente un impatto scarso o nullo. Inoltre, le PMI tendono a considerarsi pienamente conformi alla legislazione vigente, a meno che non venga loro fatto presente che non è così. In una situazione siffatta le attività delle PMI possono comportare un aumento dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, come pure costituire una notevole minaccia per l'ambiente. Infine, non integrando gli aspetti ambientali nelle loro attività economiche, le PMI rischiano di perdere i benefici economici derivanti da una gestione più rispettosa dell'ambiente e dall'eco-innovazione.

2.4

Il programma proposto dalla Commissione per aiutare le piccole e medie imprese a conformarsi alla normativa ambientale prevede delle misure intese, da un lato, a garantire che le PMI riducano il più possibile l'impatto ambientale delle loro attività e, dall'altro, ad agevolare il rispetto della legislazione in vigore. Il programma si prefigge di ridurre gli oneri derivanti dal rispetto delle norme creando strumenti e politiche intesi a porre le esigenze ambientali al centro delle attività delle PMI.

2.5

Le misure presentate nella comunicazione contemplano anche la diffusione di informazioni specificamente rivolte alle PMI e la promozione di reti di sostegno e di attività di formazione intese a sviluppare competenze locali in materia di ambiente.

2.6

Il programma sarà finanziato dalla dotazione di LIFE+ (5 milioni di euro per il periodo 2007-2013) e ulteriori finanziamenti saranno messi a disposizione dal programma quadro Competitività e innovazione (CIP) e dai fondi strutturali.

2.7

Un sito web sulla politica ambientale dell'UE a favore delle PMI è già disponibile in sette lingue ed è prevista la pubblicazione di linee guida operative su temi quali l'efficienza energetica, le emissioni atmosferiche, la produzione di rifiuti e l'immissione di sostanze inquinanti nel suolo e nelle acque. Verrà anche pubblicato un manuale che illustra le nuove opportunità di finanziamento.

2.8

La nuova rete di sostegno alle imprese e all'innovazione parteciperà all'attuazione del programma a partire dal 2008. Insieme con altre reti di sostegno alle PMI essa svolgerà un ruolo importante nell'aiutare queste ultime a tradurre le politiche ambientali dell'UE in misure operative.

2.9

Il documento di lavoro dei servizi della Commissione allegato alla comunicazione presenta una selezione di casi specifici e di esempi di buone pratiche messe in atto da PMI in Europa e nel mondo.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore il programma della Commissione, in particolare per il riconoscimento — che esso rappresenta — dell'importanza e del valore delle PMI nell'economia e nella società europea.

3.2

In tale contesto, il CESE sottolinea l'importanza della decisione del Consiglio di Feira del 19 e 20 giugno 2000 (2) e della Carta europea per le piccole imprese (3), in cui si afferma che «le piccole imprese sono la spina dorsale dell'economia europea» e che «sono una fonte primaria di posti di lavoro e un luogo in cui fioriscono le idee commerciali». Tra le priorità individuate dalla Carta vi è il rafforzamento della crescita e della competitività delle imprese, non solo a livello territoriale, ma nel quadro di un mercato globalizzato.

3.3

La valutazione d'impatto ambientale deve formare oggetto di una gestione integrata da parte dell'azienda. Quindi, considerando che la maggior parte delle PMI, e in particolare le piccole e micro imprese, non applicano normalmente una politica ambientale, sarà necessario applicare una gestione ambientale integrata facendo attenzione a che gli oneri amministrativi siano ridotti al minimo.

3.4

Il primo passo da compiere è promuovere la consapevolezza che tali pratiche non sono soltanto un costo aggiuntivo o un vincolo, ma uno strumento in grado di migliorare la competitività dell'azienda e di creare valore nel lungo termine.

3.5

Le aziende che riescono a monitorare costantemente l'andamento di tali attività, ad esempio attraverso sistemi di gestione ambientale, riescono anche ad ampliare le variabili gestionali sottoposte a controllo, sistematizzando in un unico piano strategico i dati di natura economico-finanziaria e quelli relativi agli impatti di natura sociale e ambientale (4). In tal modo, oltre ai benefici economici e ambientali derivanti da un uso efficiente e razionale delle risorse, viene salvaguardata, attraverso la modifica dell'organizzazione del lavoro, la sicurezza della prestazione lavorativa.

3.6

Il CESE condivide quindi la necessità di adottare una strategia di lungo periodo che venga rapidamente attuata dagli Stati membri.

4.   Osservazioni specifiche

Osservazioni relative alle attività proposte dal piano d'azione della Commissione

4.1

Legiferare meglio sotto l'aspetto dell'elaborazione e dell'attuazione delle politiche: in questo contesto «legiferare meglio» significa coinvolgere di più le PMI nell'elaborazione delle politiche ambientali e basare queste ultime sull'analisi delle buone pratiche che, adeguatamente individuate e diffuse, rappresentano un valido sostegno all'attuazione della legislazione ambientale nel modo economicamente più efficiente. La riduzione degli oneri amministrativi e burocratici, a livello comunitario, nazionale e regionale, e una maggiore chiarezza non devono essere considerati solo nel contesto di possibili nuovi strumenti legislativi, ma anche in relazione alla possibile revisione della norme esistenti.

4.2

Prevedere sistemi di gestione ambientale su misura e più accessibili: l'integrazione delle politiche ambientali nelle scelte strategiche come percorsi di crescita e innovazione consentirà alle imprese non solo di rispettare le norme esistenti, ma di sperimentare nuove e buone pratiche che tengano conto della libera iniziativa e di parametri codificati per soddisfare le esigenze peculiari delle piccole e micro imprese. In particolare è necessario incentivare l'adozione di sistemi di gestione ambientale (tipo EMAS o ISO). Per quanto concerne EMAS (European Eco-Management Audit Scheme), tale obiettivo può essere realizzato, ad esempio, attraverso l'introduzione nel regolamento di clausole favorevoli alle PMI, un'applicazione conforme alla struttura delle PMI (5), e una progressiva riduzione dell'attuale sistema di ispezioni e delle richieste di informazioni da fornire da parte delle imprese registrate. Tutto ciò al fine di incentivare le PMI ad aderire, considerando che attualmente si registra un numero di adesioni consistenti solo in Italia, Germania e Spagna. Il CESE auspica che la Commissione possa tener conto di tali suggerimenti, nonché del parere formulato dal CESE su cambiamenti climatici e società civile del luglio 2006 (6), in particolare, ai fini dell'attuale revisione di EMAS. Infine, il CESE invita la Commissione a ricercare negli strumenti informali e non codificati a livello territoriale elementi utili per ampliare gli attuali sistemi di gestione ambientale, in quanto solo un coinvolgimento diretto delle PMI e delle associazioni delle PMI a livello territoriale, può contribuire a modificare l'attuale situazione.

4.3

Offrire un sostegno finanziario mirato e stabilire un programma finanziario pluriennale: la molteplicità degli strumenti finanziari esistenti può essere causa di confusione e di cattivo funzionamento degli stessi. È auspicabile quindi al più presto la pubblicazione, come anticipato dalla Commissione, di un manuale che illustri le nuove opportunità di finanziamento per i progetti intesi a migliorare il rispetto della legislazione nel settore ambientale e le prestazioni ambientali delle PMI. In tale contesto, sarebbe preferibile, in un'ottica di lungo periodo, la previsione di un'unica linea di bilancio per tutte le azioni legate alle PMI.

4.4

Sviluppare le competenze locali in materia di ambiente per le PMI: l'assistenza tecnica alle PMI richiede figure professionali specializzate. A tal fine è necessario il coinvolgimento delle organizzazioni delle PMI a livello locale e delle istituzioni. Inoltre, devono essere assicurati dei costi ragionevoli per i servizi forniti e le PMI devono avere la possibilità di formare e disporre di consulenti in house.

4.5

Migliorare la comunicazione e rendere più mirata l'informazione: la creazione di un sito web multilingue, collegato al portale delle PMI (7), che deve diventare la principale fonte di informazioni per le reti di sostegno alle PMI sulle questioni relative alla politica ambientale dell'UE e alle PMI. Il CESE ritiene fondamentale garantire un accesso immediato alle informazioni e un contatto diretto fra gli organi comunitari e le PMI.

4.6

Il CESE concorda sull'iniziativa della Commissione di lanciare Enterprise Europe Network, una nuova importante rete europea di supporto alle imprese sul territorio dell'UE e all'estero. Il CESE ritiene fondamentale che l'UE continui a rafforzare i servizi per le PMI in modo particolare nel commercio e negli investimenti transfrontalieri, le cooperazioni tecnologiche fra PMI e grandi imprese, le innovazioni, la conoscenza delle fonti di finanziamento dell'UE e i programmi di ricerca per le PMI.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2007) 379 def.

(2)  http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00200-r1.%20ann1.i0.pdf

(3)  http://ec.europa.eu/enterprise/enterprise_policy/charter/docs/charter_it.pdf

(4)  Cfr. A Comparative Analysis of the Environmental Management, Performance and Innovation of SMEs and Larger Firms based on the OECD database, Julien Labonne, 07/2006.

(5)  Linee guida Orientamenti per i verificatori relativamente alle verifiche da condurre nelle piccole e medie imprese (PMI) e in particolare nelle piccole imprese e nelle microimprese, allegato IV alla raccomandazione della Commissione del 7 settembre 2001 relativa agli orientamenti per l'attuazione del regolamento (CE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio sull'adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema comunitario di ecogestione ed audit (EMAS).

(6)  NAT/310 — Come far fronte alle sfide del cambiamento climaticoIl ruolo della società civile.

(7)  http://ec.europa.eu/enterprise/sme/index.htm


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul riesame della raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri

COM(2007) 707 def.

(2008/C 211/10)

Il Consiglio, in data 14 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sul riesame della raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 marzo 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore unico ZBOŘIL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE concorda con il punto di vista della Commissione secondo cui il quadro generale per i sistemi di ispezione ambientale negli Stati membri dovrebbe conservare la forma di una raccomandazione. Tuttavia, per migliorare l'attuazione della raccomandazione vigente e rafforzarne l'efficacia, è necessario modificarla. Sulla base di atti legislativi settoriali, le attività di ispezione, come pure la loro portata e realizzazione nei settori importanti, sono giuridicamente vincolanti nell'intera Comunità.

1.2

Per un'efficace attuazione della raccomandazione è fondamentale che essa sia comprensibile e chiara. Per questo motivo è necessario definire adeguatamente il campo di applicazione delle ispezioni ambientali rispetto ai problemi individuati.

1.3

L'interpretazione, il chiarimento e l'uniformazione dei termini rivestono un'importanza fondamentale per l'armonizzazione delle attività di ispezione sul territorio comunitario e per la creazione di condizioni eque per le imprese. Negli atti giuridici comunitari è possibile trovare numerose occorrenze degli stessi termini, la cui definizione può variare da un contesto all'altro. In generale, quindi, si dovrà riservare maggiore attenzione alla definizione dei termini.

1.4

Inoltre è assolutamente necessario fissare criteri più univoci per l'organizzazione, la realizzazione, il follow-up e la pubblicazione dei risultati delle ispezioni.

1.5

Per il sistema di gestione delle attività di ispezione sarebbe opportuno raccomandare l'utilizzo di moderni metodi di management. Tali metodi aiuterebbero a concentrare le attività di ispezione nei settori decisivi per l'ambiente, consentirebbero di migliorare l'organizzazione e potrebbero contribuire a migliorare in modo durevole la protezione dell'ambiente.

1.6

Occorre uniformare ulteriormente l'accesso alle informazioni conformemente alle normative comunitarie in vigore. Le informazioni fornite dovrebbero offrire un quadro d'insieme dei fatti accertati dalle attività di ispezione, delle misure correttive necessarie e della loro attuazione.

1.7

Per rafforzare ulteriormente la cooperazione internazionale occorre sostenere la rete IMPEL e garantire una maggiore armonizzazione degli standard di ispezione e della loro applicazione.

2.   Il documento della Commissione

2.1

Le ispezioni sono uno strumento importante per garantire l'attuazione e l'applicazione della normativa ambientale comunitaria. Nel 2001 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri (1).

2.2

La raccomandazione contiene criteri non vincolanti relativi all'organizzazione, alla realizzazione, al follow-up e alla pubblicazione dei risultati delle ispezioni ambientali, rafforzando in tal modo la conformità con la normativa ambientale comunitaria e contribuendo ad assicurare che essa venga attuata e rispettata con maggiore coerenza in tutti gli Stati membri.

2.3

La Commissione ha effettuato uno studio sull'attuazione e sul controllo dell'osservanza della raccomandazione in esame, che sarà il punto di partenza per presentare, nel 2008, una proposta intesa a svilupparla ulteriormente.

2.4

Tutti gli Stati membri hanno trasmesso una relazione sull'attuazione della raccomandazione e una relazione sulle esperienze acquisite nella sua applicazione. Va tuttavia constatato che il processo di attuazione della raccomandazione presenta grandi differenze tra gli Stati membri. Si può osservare che tutti hanno attuato la raccomandazione almeno in parte, mentre solo in pochi si è registrata un'attuazione completa. Quanto alle modalità di esecuzione delle ispezioni ambientali nella Comunità, esistono ancora marcate disparità che portano anche a distorsioni della concorrenza per le imprese.

2.5

Tali disparità, che sarà opportuno eliminare, si manifestano in particolare nei settori elencati di seguito.

2.5.1   Definizione del campo di applicazione

2.5.1.1

Il campo di applicazione attuale si concentra principalmente sugli impianti industriali e di smaltimento di rifiuti, mentre esclude molte attività che sono regolamentate dal diritto ambientale comunitario. In particolare, la raccomandazione non fissa criteri per l'ispezione delle spedizioni di rifiuti. Le spedizioni transfrontaliere di rifiuti sono disciplinate a livello dell'UE dal regolamento sulle spedizioni di rifiuti (2), la cui attuazione rappresenta per la Commissione una priorità fondamentale.

2.5.1.2

La raccomandazione non include neppure criteri per l'ispezione dei siti di Natura 2000. La Commissione, perciò, accoglie con favore la creazione della Green Enforce Network, volta a incoraggiare la cooperazione e lo scambio di esperienze fra gli Stati membri per facilitare l'attuazione della normativa sul patrimonio naturale. La rete sta valutando attualmente l'ipotesi di contribuire all'ulteriore sviluppo delle ispezioni ambientali elaborando criteri per l'ispezione dei siti Natura 2000.

2.5.1.3

Altre norme ambientali a cui non si applica la raccomandazione riguardano la registrazione e l'autorizzazione delle sostanze chimiche (REACH (3)), la restrizione della presenza di determinate sostanze pericolose nei prodotti (es. la direttiva RoHS (4)), il commercio delle specie minacciate di estinzione (5), nonché le attività connesse agli organismi geneticamente modificati e ai sistemi di responsabilizzazione dei produttori.

2.5.2

Chiarimento delle definizioni: alcuni termini utilizzati nella raccomandazione sono interpretati in modo diverso dai vari Stati membri. Divergenze interpretative si rilevano in particolare per i seguenti termini:

ispezione, controllo, audit,

autorità ispettive,

piani di ispezione, programmi di ispezione,

meccanismo transfrontaliero,

ispezioni ordinarie e straordinarie.

2.5.3

Criteri relativi all'organizzazione, alla realizzazione, al follow-up e alla pubblicazione dei risultati delle ispezioni: l'obiettivo della raccomandazione è rafforzare la conformità degli impianti controllati con la normativa ambientale e ottenere un livello elevato di protezione dell'ambiente. Per raggiungere questi risultati, la raccomandazione fissa dei criteri per l'organizzazione, la realizzazione, il follow-up e la pubblicazione dei risultati di tali ispezioni.

Organizzazione delle ispezioni: la raccomandazione prevede la definizione di piani di ispezione e ne indica i criteri generali e il contenuto minimo. In molti Stati membri, tuttavia, i piani di ispezione non contengono elementi strategici, ma consistono piuttosto in elenchi di impianti o settori da ispezionare in un certo periodo di tempo. Vi è un potenziale per migliorare ulteriormente l'organizzazione delle ispezioni negli Stati membri e fare un uso ottimale delle risorse a loro disposizione. Alcuni Stati membri hanno già introdotto sistemi avanzati per la pianificazione delle ispezioni facendo ricorso a buone pratiche basate sulla valutazione dei rischi (6).

Realizzazione delle ispezioni: la raccomandazione prevede che vengano regolarmente eseguite visite in situ nel quadro delle ispezioni ordinarie e in caso di reclami, incidenti gravi, inconvenienti e inadempienze, nonché dopo il rilascio o prima del nuovo rilascio, del rinnovo o della modifica di un permesso, e fissa criteri quanto alle modalità per la loro realizzazione. Pur non essendovi grandi divergenze tra i vari Stati membri al riguardo, anche tale settore merita di essere armonizzato.

Valutazione dei piani di ispezione: si è riconosciuto nella valutazione dell'esito dei piani di ispezione uno strumento importante per migliorare la pianificazione delle ispezioni stesse. Alcuni Stati membri hanno già introdotto sistemi avanzati per la pianificazione delle ispezioni, che si sono rivelati utili per definire i piani futuri.

2.5.4

Comunicazione dei risultati: il primo esercizio di comunicazione dei risultati ha prodotto molte informazioni che mostrano come venga attuata e applicata la raccomandazione negli Stati membri. Tali informazioni, tuttavia, non sono sempre raffrontabili. Per garantire la raffrontabilità dei dati, sarebbe necessario prevedere per tale sistema di comunicazione un formato uniforme molto chiaro.

2.5.5

Accesso alle informazioni: nella raccomandazione si afferma che i piani di ispezione e le relative relazioni dovrebbero essere messi a disposizione del pubblico conformemente alle direttive comunitarie vigenti. Dalle relazioni è emerso, tuttavia, che vari Stati membri non rendono pubblici né i piani di ispezione né le relazioni. Alle informazioni relative alle ispezioni ambientali si applicano le disposizioni della direttiva 2003/4/CE: di conseguenza, l'obbligo di legge di mettere a disposizione le informazioni esiste già adesso. La direttiva, inoltre, prevede sufficienti motivi di deroga che consentono di rifiutare l'accesso a tali informazioni qualora sia necessario tutelare altri interessi superiori. Per consentire l'esercizio di questo diritto sarà necessario mettere a punto meccanismi adeguati.

2.6   Proposte per il futuro

La Commissione è del parere che, di fronte all'attuazione solo parziale della raccomandazione, si debba valutare l'ipotesi di introdurre prescrizioni giuridicamente vincolanti sulle ispezioni ambientali. Si rileva inoltre l'esigenza di chiarire i criteri generali applicabili a tali ispezioni e di sviluppare ulteriormente gli orientamenti e lo scambio di informazioni in merito alla loro attuazione. Si propongono di conseguenza le seguenti iniziative:

2.6.1

Revisione della raccomandazione: la raccomandazione dovrebbe essere considerata un quadro generale per i sistemi di ispezione ambientale negli Stati membri, che fissa criteri di carattere generale. Non appare opportuno trasformare tali criteri in prescrizioni giuridicamente vincolanti, in considerazione del loro carattere molto generale e descrittivo. Tuttavia, se si vuole migliorare l'attuazione della raccomandazione e rafforzarne l'efficacia, è necessario modificarla.

2.6.2

Requisiti delle ispezioni settoriali: oltre ai criteri generali per le ispezioni ambientali indicati nella raccomandazione, si dovrebbero definire, nelle normative settoriali, prescrizioni specifiche giuridicamente vincolanti per l'ispezione di determinati impianti o attività. È necessario che le prescrizioni siano giuridicamente vincolanti per garantire che venga riconosciuta maggiore importanza alle ispezioni e che la normativa ambientale venga applicata più rigorosamente in tutta la Comunità. Questi requisiti delle ispezioni settoriali possono essere complementari alla raccomandazione oppure riguardare impianti o attività non coperti da essa.

2.6.2.1

Nel quadro del riesame della direttiva IPPC (7), previsto dal programma di lavoro legislativo della Commissione per il 2007, e sulla base dell'analisi dell'attuazione di tale normativa, la Commissione valuterà modalità per garantire un quadro di riferimento migliore in materia di conformità alle regolamentazioni, al fine di rendere più coerenti le ispezioni di impianti IPPC da parte degli Stati membri e di creare fiducia intorno ad esse.

2.6.2.2

La Commissione sta valutando la possibilità di proporre norme specifiche giuridicamente vincolanti per le ispezioni delle spedizioni di rifiuti. Dovrebbero essere definiti criteri specifici per garantire un livello sufficiente di qualità e di frequenza delle ispezioni, nonché un elevato livello di formazione e cooperazione fra le autorità competenti.

2.6.3

Sviluppo di azioni di orientamento e cooperazione fra Stati membri: la rete IMPEL ha realizzato un gran numero di progetti volti a rafforzare la cooperazione e a incoraggiare lo scambio di informazioni sulle ispezioni ambientali fra gli Stati membri (8). La Commissione ha sostenuto questi progetti e vi ha partecipato attivamente. Tutte queste iniziative hanno avuto un impatto positivo sul rafforzamento delle ispezioni nella Comunità e sarebbe pertanto opportuno incoraggiare la rete IMPEL a proseguire progetti di questo tipo.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato accoglie con favore la comunicazione della Commissione sul riesame della raccomandazione 2001/331/CE, che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri, e apprezza gli sforzi (9) compiuti per realizzare uno studio sull'applicazione di tale raccomandazione.

3.2

Le ispezioni ambientali sono una componente importante del potere esecutivo di ogni Stato in materia di tutela ambientale, e dovrebbero imporre l'applicazione sia della politica nazionale di tutela dell'ambiente che dei principi comuni della politica ambientale comunitaria. Ciò andrebbe fatto nel modo più uniforme possibile, a prescindere dal soggetto giuridico al quale è affidato l'incarico di condurre le ispezioni in un dato Stato membro.

3.3

Il CESE è consapevole della necessità di rafforzare la conformità con la normativa comunitaria in materia ambientale e di contribuire a un'applicazione e a un controllo dell'osservanza coerenti in tutti gli Stati membri, in modo che in futuro i criteri minimi decisi e applicati contribuiscano a creare condizioni eque, soprattutto dal punto di vista della concorrenza.

3.4

Il CESE ritiene che, discutendo ulteriormente la comunicazione con le parti interessate, si potranno acquisire conoscenze indispensabili per dotare le attività ispettive di un quadro ottimale, che sia chiaro e facilmente applicabile nell'intera Comunità.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Per un'efficace attuazione della raccomandazione è fondamentale che essa sia comprensibile e chiara. Il CESE accoglie quindi con grande favore la volontà della Commissione di richiamare l'attenzione su questo punto.

4.1.1

Il CESE considera assolutamente indispensabile definire adeguatamente il campo d'applicazione delle ispezioni ambientali rispetto ai settori problematici decisivi, senza però compromettere la flessibilità del sistema delle ispezioni né taluni specifici approcci nazionali. Tali approcci, però, andrebbero applicati solo nella misura in cui lo esigono specifici obiettivi nazionali in materia di tutela ambientale.

4.1.2

Nei casi in cui specifiche normative comunitarie prevedono un'attività di ispezione, quest'ultima dovrebbe essere regolata da un unico e apposito atto giuridico, così da evitare divergenze di interpretazione.

4.1.3

Dalla comunicazione emerge chiaramente che le interpretazioni divergenti dei termini, il loro chiarimento e la loro uniformazione rivestono un'importanza fondamentale per l'armonizzazione delle attività di ispezione sul territorio comunitario e per la creazione di condizioni eque. Per un'applicazione uniforme della raccomandazione è assolutamente indispensabile precisare le definizioni dei termini fondamentali, in modo da permettere l'armonizzazione e stabilire collegamenti con altre normative.

4.1.4

A tale proposito il CESE fa anche notare che negli atti giuridici comunitari è possibile trovare numerose occorrenze degli stessi termini, la cui definizione può variare da un contesto all'altro. In generale, quindi, si dovrà riservare maggiore attenzione alla definizione dei termini.

4.2

Il CESE ritiene inoltre indispensabile fissare criteri più univoci per l'organizzazione, la realizzazione, il follow-up e la pubblicazione dei risultati delle ispezioni, anche qui mantenendo la flessibilità necessaria per condurre attività ispettive proprie. Si dovrebbe mettere a punto un sistema di comunicazione per quanto possibile semplice e chiaro che fornisca informazioni raffrontabili sulle modalità di funzionamento dei sistemi di ispezione e permetta di stabilire se essi raggiungono l'obiettivo di garantire un maggiore rispetto della normativa ambientale.

4.3

Per il sistema di gestione delle attività di ispezione sarebbe opportuno utilizzare moderni metodi di management, che determinati Stati membri hanno impiegato con risultati dimostrabili. Tali metodi aiuterebbero a concentrare le attività di ispezione nei settori decisivi per l'ambiente, consentirebbero di migliorare l'organizzazione e potrebbero contribuire a migliorare in modo durevole la protezione dell'ambiente.

4.4

Il CESE raccomanda di uniformare ulteriormente l'accesso all'informazione, ai sensi delle disposizioni comunitarie in vigore, nel rispetto del livello specifico di accessibilità dell'informazione negli Stati membri. La trasmissione di informazioni non dovrebbe compromettere l'efficacia dell'attività ispettiva, e le informazioni fornite dovrebbero offrire un quadro d'insieme dei fatti accertati dalle attività di ispezione, delle misure correttive necessarie e della loro attuazione.

4.5

Il CESE concorda con il punto di vista della Commissione secondo cui il quadro generale per i sistemi di ispezione ambientale negli Stati membri dovrebbe conservare la forma di una raccomandazione in quanto, considerato il carattere generale e descrittivo dei criteri, non appare opportuno trasformarli in prescrizioni giuridicamente vincolanti. Tuttavia, allo scopo di migliorarne l'attuazione e rafforzarne l'efficacia, la raccomandazione dovrebbe essere modificata.

4.6

Tale opinione si basa anche sul fatto che un gran numero di atti legislativi comunitari, esistenti e in via di elaborazione, prevedono condizioni e criteri per la realizzazione di ispezioni proprie a un settore specifico. Sulla base di tali atti legislativi le attività di ispezione, come pure la loro portata e realizzazione nei settori importanti, sono giuridicamente vincolanti nell'intera Comunità.

4.7

Per migliorare ulteriormente la cooperazione internazionale, il CESE considera indispensabile sostenere la rete IMPEL, che ha predisposto numerosi documenti di orientamento sull'organizzazione e la realizzazione di ispezioni. La rete ha inoltre organizzato scambi di informazioni e di esperienze tra ispettori. Le sue attività specializzate possono dare un importante contributo anche mediante progetti specifici, come è già avvenuto in passato. La rete IMPEL potrebbe svolgere un utile ruolo di intermediario nella formazione e nello sviluppo professionale comuni. Potrebbe inoltre risultare utile per allestire un'unità centrale per la raccolta di statistiche paneuropee, corredate di ulteriori strumenti informativi, sulle attività di ispezione e di controllo dell'osservanza.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU L 118 del 27.4.2001, pag. 41.

(2)  Regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti (GU L 190 del 12.7.2006, pag. 1).

(3)  Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un'Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU L 396 del 30.12.2006, pag. 1).

(4)  Direttiva 2002/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (GU L 37 del 13.2.2003, pag. 19).

(5)  Regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio (GU L 61 del 3.3.1997, pag. 1).

(6)  Un esempio di tale approccio è il sistema britannico OPRA (Operator and Pollution Risk Appraisal).

(7)  Direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e riduzione dell'inquinamento.

(8)  Per informazioni dettagliate, cfr. il sito web IMPEL:

http://ec.europa.eu/environment/impel/index.htm

(9)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Relazione sull'attuazione della raccomandazione 2001/331/CE che stabilisce i criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri, SEC(2007) 1493.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (rifusione)

COM(2008) 3 def. — 2008/0003 (COD)

(2008/C 211/11)

Il Consiglio, in data 30 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (rifusione)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere adottato il 17 settembre 1986 (1) e del parere CESE 848/2004, adottato il 2 giugno 2004 (2), il Comitato, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha deciso, con 148 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Il parere del Comitato sulla procedura di regolamentazione con controllo è attualmente in preparazione [COM(2007) 741 def., COM(2007) 822 def., COM(2007) 824 def. e COM(2008) 71 def.].

 

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CES in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare, GU C 328 del 22.12.1986, pag. 9.

(2)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (versione codificata) — COM(2004) 290 def., GU C 241 del 28.9.2004, pag. 23.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio

COM(2008) 104 def. — 2008/0042 (COD)

(2008/C 211/12)

Il Consiglio, in data 17 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo/Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere adottato il 26 maggio 1992 (1), il Comitato, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha deciso, con 146 voti favorevoli e 2 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Il parere del Comitato sulla procedura di regolamentazione con controllo è attualmente in preparazione [COM(2007) 741 def., COM(2007) 822 def., COM(2007) 824 def. e COM(2008) 71 def.].

 

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (CEE) relativo alla disciplina del possesso e del commercio di esemplari di specie della flora e fauna selvatiche, GU C 223 del 31.8.1992, pag. 19.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

COM(2008) 105 def. — 2008/0038 (COD)

(2008/C 211/13)

Il Consiglio, in data 10 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto di un primo parere adottato il 25 maggio 1977 (1) e di un secondo parere adottato il 14 settembre 1994 (2), il Comitato, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha deciso, con 143 voti favorevoli e 5 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Il parere del Comitato in merito alla procedura di regolamentazione con controllo è attualmente in corso di elaborazione (COM(2007) 741 def., COM(2007) 822 def., COM(2007) 824 def. e COM(2008) 71 def.).

 

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del Comitato economico e sociale in merito ad una Proposta di direttiva del Consiglio concernente la conservazione dell'avifauna, GU C 152 del 29.6.1977, pag. 3.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 79/409/CEE del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici, GU C 393 del 31.12.1994, pag. 93.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 999/2001 (recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili) per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

COM(2008) 53 def. — 2008/0030 (COD)

(2008/C 211/14)

Il Consiglio, in data 22 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 152, paragrafo 4, lettera b), del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 999/2001 (recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili) per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto dei suoi pareri adottati rispettivamente il 7 luglio 1999 (1) e il 9 marzo 2005 (2), il Comitato, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha deciso, con 154 voti favorevoli e 2 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Il parere del Comitato sulla procedura di regolamentazione con controllo è attualmente in fase di elaborazione (COM(2007) 741 def., COM(2007) 822 def., COM(2007) 824 def. e COM(2008) 71 def.).

 

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni per la prevenzione e il controllo di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili (GU C 258 del 10.9.1999, pag. 19).

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (CE) n. 999/2001 recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili — COM(2004) 775 def. (GU C 234 del 22.9.2005, pagg. 26-27).


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza

COM(2007) 359 def.

(2008/C 211/15)

La Commissione, in data 27 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere, in data 2 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore Thomas JANSON e dal correlatore Christian ARDHE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore i contributi del Parlamento europeo, del Consiglio e delle parti sociali europee al dibattito sul tema della flessicurezza. In un mondo in costante evoluzione è fondamentale discutere su come l'equilibrio tra flessibilità e sicurezza a livello dell'Unione europea e degli Stati membri possa contribuire alla creazione di posti di lavoro più numerosi e migliori.

1.1.1

Il CESE ha già sottolineato che il concetto di flessicurezza non implica in alcun caso una riduzione unilaterale e illegittima dei diritti dei lavoratori. Le parti sociali europee hanno esortato gli Stati membri a rivedere, e se necessario a modificare, la struttura del diritto del lavoro, i sistemi di tutela dei posti di lavoro e, unitamente alle stesse parti sociali, le pratiche di contrattazione collettiva, ad esempio allo scopo di assicurare un equilibrio ottimale tra flessibilità e sicurezza in tutti i rapporti di lavoro e di garantire un livello di sicurezza adeguato per tutti i lavoratori, indipendentemente dalle forme di contratto, in modo da far fronte alla segmentazione dei mercati del lavoro.

1.2

Le discussioni sul tema della flessicurezza hanno anche dato vita a dibattiti interni negli Stati membri e ad azioni concertate in alcuni di essi, il che evidenzia l'importanza di un coinvolgimento attivo delle parti sociali nel dibattito e nel processo decisionale.

1.3

Il CESE ribadisce che la questione della flessicurezza non può essere scissa dalle sfide che l'Unione europea è chiamata ad affrontare. La globalizzazione, il rapido sviluppo di nuove tecnologie, la sfida demografica e le problematiche ambientali stanno trasformando il mercato del lavoro europeo. La flessicurezza dovrebbe rientrare in una strategia volta a raggiungere un giusto equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, come risposta a tali tendenze e pressioni interne ed esterne.

1.4

Il CESE ritiene che l'Europa dovrebbe concentrarsi sulle proprie capacità di innovazione, sull'elevata qualità dei suoi prodotti e servizi, sulla sua forza lavoro altamente qualificata e sul suo modello sociale, e competere con i suoi concorrenti a livello internazionale facendo leva sulla qualità. Tale approccio dovrebbe riflettersi negli orientamenti in materia di occupazione. Il CESE auspica che gli orientamenti vengano modificati sulla base delle discussioni in materia di flessicurezza, in particolare per quanto riguarda la qualità dei posti di lavoro.

1.5

Infine, il Comitato formula una serie di raccomandazioni in merito all'attuazione della flessicurezza. In particolare, esso:

raccomanda alla Commissione di valutare attentamente i diversi contributi e pareri espressi in merito alla sua comunicazione e di consultare le parti sociali degli Stati membri a tutti i livelli,

incoraggia la Commissione a monitorare il processo d'attuazione e a istituire una piattaforma per lo scambio di buone prassi che coinvolga le parti sociali; è a favore del coinvolgimento attivo delle parti sociali in tutte le fasi del processo di elaborazione e attuazione delle politiche in materia di flessicurezza negli Stati membri,

sottolinea la grande importanza della fiducia reciproca tra le parti interessate,

ribadisce che l'esistenza di politiche macroeconomiche solide, volte a favorire la crescita occupazionale e a creare un ambiente favorevole per il pieno sviluppo del potenziale di crescita, è un presupposto importante per garantire l'efficacia delle iniziative di flessicurezza; incoraggia gli Stati membri e l'Unione europea a creare e mantenere un quadro legale che favorisca l'adattabilità, e che sia semplice, trasparente e prevedibile, e a rafforzare e sostenere i diritti dei lavoratori, come pure la loro giustiziabilità, e a promuovere in tutta l'Unione un quadro giuridico stabile per la contrattazione collettiva e il dialogo sociale nell'attuazione della flessicurezza,

rileva che i sistemi di welfare generali possono migliorare la mobilità garantendo che i lavoratori non abbiano a subire svantaggi nel momento in cui si trovano ad affrontare i cambiamenti relativi al loro posto di lavoro. In tal senso, agire in conformità alle norme nazionali ed europee in materia di informazione e consultazione è importante per prevedere i cambiamenti e mitigarne le conseguenze; sottolinea l'importanza di stanziare risorse economiche per la flessicurezza, in particolare per quanto riguarda l'assistenza pubblica e privata ai lavoratori che stanno cambiando lavoro,

ricorda che tutte le politiche in materia dovrebbero rafforzarsi a vicenda,

auspica l'adozione di un approccio integrato e a più livelli; data la natura pluridimensionale della flessicurezza, è importante tendere a un'integrazione tra i diversi livelli delle politiche,

sottolinea la necessità di tenere conto dei nuovi rischi e di premiare i «passaggi» da un lavoro all'altro nell'attuazione della flessicurezza, ma anche di non abolire sistematicamente i contratti di lavoro a tempo indeterminato,

ritiene che la Commissione dovrebbe prevedere una valutazione, nell'arco dei prossimi cinque anni, delle prassi in materia di flessicurezza negli Stati membri e della loro incidenza sul livello occupazionale dei vari paesi, come pure su scala comunitaria.

2.   Contesto

2.1

La flessicurezza è oggetto di discussione fin dall'adozione dei primi orientamenti per l'occupazione. L'attuale dibattito, tuttavia, è stato avviato nel gennaio 2006 con una riunione informale del Consiglio sulla flessicurezza. Il Consiglio europeo di primavera dello stesso anno invitava gli Stati membri a rivolgere particolare attenzione a tale sfida cruciale. La questione della flessicurezza è stata anche trattata in occasione dei due vertici sociali trilaterali tenutisi nel quadro dei vertici europei del dicembre 2006 e del marzo 2007. La Commissione ha pubblicato una comunicazione in materia nel giugno 2007, la quale è stata discussa ed esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, e quest'ultimo ha poi adottato una decisione unanime in materia. Inoltre, nell'ottobre 2007, le parti sociali hanno presentato un'analisi congiunta delle sfide principali per i mercati del lavoro europei, comprendente una serie di raccomandazioni in materia di flessicurezza. Il CESE accoglie con favore tutti i contributi, in particolare l'analisi congiunta delle parti sociali europee (1).

2.2

Le discussioni sul tema della flessicurezza hanno anche dato vita a dibattiti negli Stati membri e recentemente ad azioni concertate in alcuni di essi. Il CESE accoglie con favore tali discussioni e attività, ma ricorda che il coinvolgimento attivo delle parti sociali nel dibattito e nel processo decisionale riveste un'importanza cruciale.

2.3

Prendendo spunto dal parere del CESE adottato nel luglio 2007 (2) come base tutt'ora valida, il presente parere intende:

presentare le considerazioni del CESE su alcuni aspetti prioritari, per facilitare l'attuazione della flessicurezza negli Stati membri e valutarne le conseguenze per le politiche europee,

ribadire la posizione del CESE relativamente al ruolo cruciale svolto dalle parti sociali e sottolineare ulteriormente il ruolo della società civile in questo processo.

3.   Attuare la flessicurezza

3.1

Il CESE accoglie con favore i diversi contributi al dibattito sulla flessicurezza. In un mondo in costante evoluzione è fondamentale discutere su come l'equilibrio tra flessibilità e sicurezza a livello dell'Unione europea e degli Stati membri possa contribuire alla creazione di posti di lavoro più numerosi e migliori.

3.2   Le sfide del mercato del lavoro

3.2.1

La questione della flessicurezza non può essere scissa dalle sfide che l'Unione europea è chiamata ad affrontare. La globalizzazione, il rapido sviluppo di nuove tecnologie e la sfida demografica stanno trasformando il mercato del lavoro europeo. Il CESE fa osservare inoltre che anche le problematiche di carattere ambientale avranno con ogni probabilità un impatto sui mercati del lavoro. La flessicurezza dovrebbe rientrare in una strategia volta a raggiungere un giusto equilibrio tra progresso economico, sociale e ambientale, come risposta a tali tendenze e pressioni interne ed esterne.

3.2.2

Il CESE ritiene che le sfide ambientali influiranno sui mercati del lavoro europei, aumentando le pressioni esercitate per incentivare il risparmio energetico e l'introduzione di sistemi a favore di un ambiente più sostenibile. D'altro canto, esse potranno anche stimolare l'innovazione tecnologica, contribuendo in tal modo alla crescita economica e occupazionale.

3.2.3

Il Comitato ha osservato che il cambiamento climatico può accentuare le attuali distorsioni e disuguaglianze sociali (3) sia nell'Unione europea che in altre parti del mondo, e ha anche sottolineato come sia necessario puntare a gestire l'adattamento al cambiamento climatico e il suo contenimento senza provocare perdite di posti di lavoro e distorsioni sociali (4).

3.2.4

La globalizzazione e la conseguente integrazione dei mercati stanno avendo una chiara incidenza sul mercato del lavoro europeo, e si assiste a una trasformazione dei modelli di consumo, produzione e investimento. Tali sviluppi non sono ineluttabili e non è impossibile influire su di essi e controllarli. Le legislazioni in materia di salute e sicurezza e i diritti dei lavoratori migliorano la vita lavorativa e costituiscono una base per l'elaborazione di norme a livello globale. La definizione di standard per i prodotti può favorire la competitività, sempre che si tenga in debito conto l'adattabilità delle imprese. Ciò nondimeno, i mercati del lavoro europei dovranno compiere uno sforzo di adeguamento per far fronte alle sfide di un mondo globalizzato. L'Europa ha tratto vantaggio dalla globalizzazione sotto molti punti di vista. Il mercato unico ha favorito la creazione di aziende nell'Unione europea in grado di competere a livello globale. L'UE è stata pertanto in grado di vendere prodotti e servizi nella fascia superiore della catena del valore.

3.2.5

La globalizzazione e l'innovazione tecnologica non hanno minato la crescita occupazionale in Europa. Dal 1995 al 2005, nell'UE si è verificata un'espansione netta dell'occupazione, con la creazione di 18,5 milioni di posti di lavoro. Il numero di posti di lavoro andati perduti a causa dell'adeguamento collegato agli scambi commerciali è piuttosto limitato se paragonato alla percentuale complessiva di posti di lavoro creati. Come infatti dimostrano i recenti sviluppi nell'Unione europea, l'apertura agli scambi può migliorare le opportunità occupazionali.

3.2.6

La globalizzazione può però anche accrescere la vulnerabilità. Le aziende devono affrontare una concorrenza maggiore. I posti di lavoro che prima erano considerati protetti sono ormai esposti alla concorrenza internazionale. I servizi che per molti anni sono stati considerati di appannaggio locale possono essere ora forniti a livello transfrontaliero. Le ristrutturazioni avvengono con maggiore frequenza e più velocemente. In genere, quando trovano un nuovo impiego, i lavoratori vittime di trasformazioni economiche percepiscono un salario inferiore: di conseguenza, per molti la globalizzazione comporta una perdita di reddito nel momento in cui cambiano lavoro. In effetti, la quota rappresentata dai salari nell'economia è diminuita. Le parti sociali hanno anche rilevato che, rispetto agli Stati Uniti, l'Unione europea ha creato più posti di lavoro in settori che si trovano nella fascia inferiore della scala di crescita della produttività, mentre è diminuita l'occupazione in settori caratterizzati da forti incrementi di produttività (5).

3.2.7

Le trasformazioni sul mercato del lavoro hanno determinato un aumento della percentuale di posti di lavoro part-time e a tempo determinato. Queste forme di lavoro possono senz'altro contribuire a favorire l'ingresso nel mondo del lavoro e sicuramente hanno favorito l'innalzamento dei tassi di occupazione in Europa; sennonché, i lavoratori interinali mostrano tendenzialmente una produttività inferiore, ricevono una minore formazione finanziata dai datori di lavoro (6) e sono più esposti a infortuni sul lavoro (7). Inoltre, rischiano di restare intrappolati in una logica di lavoro interinale: dopo sei anni di lavoro, infatti, soltanto poco più della metà dei lavoratori con contratto a termine possiede un contratto a tempo indeterminato, rispetto al 75 % dei lavoratori che invece hanno iniziato con un contratto a tempo indeterminato (8).

3.2.8

Per far fronte alle sfide demografiche è necessario creare nuovi servizi e nuove opportunità di lavoro, per esempio nel settore dell'assistenza ai bambini e agli anziani. In questo contesto, l'Europa deve compiere progressi in termini di organizzazione del lavoro, parità di genere ed equilibrio tra vita professionale e vita privata.

3.2.9

Molti paesi dell'UE tendono ad allentare la politica fiscale nei periodi di crescita e a inasprirla nei momenti di crisi del ciclo economico. Ciò avviene in particolare nei paesi più grandi della zona euro. Inoltre, il debito pubblico in diversi Stati membri dell'UE rimane elevato per via della tendenza all'invecchiamento demografico (9).

3.3   La strategia per l'occupazione e la flessicurezza

3.3.1

Nell'attuare le politiche di flessicurezza, gli Stati membri dovranno fare riferimento agli orientamenti per l'occupazione, che forniscono indicazioni sul tipo di mercati del lavoro e di modelli economici cui l'Europa deve ambire. Il parere del CESE su quest'ultimo punto è chiaro: l'Europa dovrebbe concentrarsi sulle proprie capacità di innovazione, sull'elevata qualità dei suoi prodotti e servizi, sulla sua forza lavoro altamente qualificata e sul suo modello sociale e competere con i suoi concorrenti a livello internazionale facendo leva sulla qualità, anziché rincorrere le retribuzioni e le garanzie sociali più basse, condannandosi in questo modo ad una strategia sicuramente perdente (10).

3.3.2

Diversi punti degli orientamenti per l'occupazione possono fungere da base per una discussione sulla flessicurezza. Il CESE auspica che gli orientamenti vengano modificati sulla base delle sue raccomandazioni, in particolare quelle relative alla qualità dei posti di lavoro, espresse nel parere sugli orientamenti a favore dell'occupazione (11).

3.3.3

In diverse occasioni, il CESE ha espresso il proprio parere sul processo di Lisbona rivisto e sui nuovi orientamenti a favore dell'occupazione (12). Il Comitato ha accolto con soddisfazione questo nuovo approccio integrato e il ciclo pluriennale, sottolineando tuttavia che:

sussiste, in alcuni ambiti, una mancanza di coerenza tra gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli orientamenti per l'occupazione,

il successo dipende anche dalla serietà con la quale gli Stati membri assolvono i loro obblighi e dall'effettiva attuazione a livello nazionale delle priorità stabilite,

occorre assicurare un autentico coinvolgimento dei parlamenti, delle parti sociali e della società civile in tutte le fasi del coordinamento delle politiche in materia di occupazione.

3.3.4

Il Comitato ha anche sottolineato che un fattore determinante per la riuscita dei programmi nazionali di riforma è costituito dal più ampio coinvolgimento possibile, in ogni fase del processo, di tutti gli attori sociali interessati, in particolare delle parti sociali, e che il ruolo di queste ultime deve essere rafforzato (13). In questo contesto, il Comitato desidera altresì ribadire l'importanza della consultazione dei consigli economici e sociali a livello nazionale.

3.4   Il concetto di flessicurezza

3.4.1

La flessicurezza può svolgere un ruolo importante nel conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona rinnovata, contribuendo all'elaborazione di riforme nazionali e di opzioni strategiche. Ciò detto, né il concetto né le componenti della flessicurezza sono cosa nuova: infatti, già i primi orientamenti a favore dell'occupazione, approvati nel 1998 nel contesto della strategia europea per l'occupazione, invitavano le parti sociali a trovare un punto di equilibrio tra flessibilità e sicurezza.

3.4.2

Il CESE desidera sottolineare che non esiste una soluzione unica per tutti e che la giusta combinazione di fattori può variare a seconda degli Stati membri. Il Comitato ha già sottolineato che il dibattito si è limitato essenzialmente a capire come accrescere la flessibilità esterna e come compensare tale aumento rafforzando le politiche occupazionali o i meccanismi di sicurezza sociale. L'obiettivo dovrebbe invece essere quello di concentrarsi su altre dimensioni per creare più agevolmente situazioni vantaggiose per tutti (14). La flessicurezza implica la necessità di stabilire un equilibrio tra i diritti e i doveri dei lavoratori e quelli dei datori di lavoro e la contrattazione di pacchetti equi (15).

3.4.3

La flessicurezza, che viene tra l'altro utilizzata dalla Commissione nella valutazione dei piani nazionali di riforma e dalla presidenza nelle discussioni relative alle sfide del mercato del lavoro, è ormai assurta a base per la valutazione dei mercati del lavoro degli Stati membri. La Commissione deve prendere atto di tutti i recenti sviluppi e contributi. Per valutare le diverse condizioni, spesso molto complesse, esistenti nei diversi Stati membri è indispensabile una stretta collaborazione con le parti interessate. Pertanto, le parti sociali vanno consultate prima che i governi presentino i rispettivi piani nazionali di riforma.

3.5   Aspetti relativi all'attuazione delle politiche di flessicurezza

3.5.1

Il CESE ha già sottolineato che il concetto di flessicurezza non implica in alcun caso una riduzione unilaterale e illegittima dei diritti dei lavoratori, un'idea — questa — che esso respinge (16). Le parti sociali europee (17) hanno esortato gli Stati membri a rivedere, e se necessario a modificare, la struttura del diritto del lavoro, i sistemi di tutela dei posti di lavoro e, unitamente alle stesse parti sociali, le pratiche di contrattazione collettiva, allo scopo di:

assicurare un equilibrio ottimale tra flessibilità e sicurezza in tutti i rapporti di lavoro,

garantire un livello di sicurezza adeguato per tutti i lavoratori, indipendentemente dalle forme di contratto, in modo da far fronte alla segmentazione dei mercati del lavoro,

elaborare misure complementari di sicurezza occupazionale che favoriscano il passaggio a posti di lavoro produttivi e remunerativi,

rafforzare la certezza giuridica e la trasparenza sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, relativamente all'ambito di applicazione, alla copertura e all'attuazione del diritto del lavoro,

garantire l'attuazione e il rispetto, a livello nazionale, dei principi e delle norme stabilite dalle direttive sociali europee, comprese quelle derivanti da un accordo quadro tra le parti sociali europee, nonché i principi della parità di trattamento e della non discriminazione,

promuovere rapporti di lavoro stabili e pratiche sostenibili sul mercato del lavoro,

elaborare un quadro che consenta di sviluppare pratiche di lavoro in grado di migliorare l'equilibrio tra vita professionale e vita privata, consentendo in tal modo di sfruttare appieno il potenziale produttivo della forza lavoro europea.

3.5.2

Il Comitato concorda sul fatto che per conseguire gli obiettivi della strategia di Lisbona è fondamentale adottare strategie generali in materia di apprendimento permanente e migliorare gli investimenti nelle risorse umane. Ciò nondimeno, secondo dati Eurostat i progressi compiuti nel coinvolgimento dei lavoratori nei programmi di apprendimento permanente sono stati finora pochi o nulli. In diversi recenti pareri del CESE si è sottolineata l'importanza dell'apprendimento permanente per migliorare le competenze dei lavoratori, le opportunità di carriera e la produttività. Sebbene l'impegno rivolto all'apprendimento permanente sia stato ribadito più volte in passato, in pratica resta molto da fare da parte sia degli Stati membri che degli altri soggetti interessati. Nel 2002, le parti sociali europee hanno concordato un quadro di azioni per lo sviluppo permanente delle competenze e delle qualifiche.

3.5.3

Il CESE ritiene che i sistemi di welfare inclusivi, unitamente a politiche occupazionali attive, possano migliorare il collocamento professionale e favorire l'innovazione e una maggiore produttività nei settori vulnerabili di importanza fondamentale per la competitività futura dell'Europa. Una parte importante della flessicurezza è rappresentata dalle indennità di disoccupazione con tassi di sostituzione elevati, efficienti e rivolti all'occupazione, in quanto tali indennità offrono ulteriori possibilità di collocamento, rafforzando nel contempo la sicurezza occupazionale. Non si tratta soltanto di offrire livelli di sostituzione «adeguati», ma anche di garantire che questi consentano di mantenere un tenore di vita appropriato, senza compromettere la sostenibilità, e di collegarli alle strategie di attivazione e a servizi occupazionali di qualità.

3.5.4

Il CESE ha già sottolineato altrove l'importanza della parità di genere (18). Servono politiche che consentano di conciliare la vita professionale con la vita privata e familiare, nonché misure che aiutino uomini e donne a realizzare il proprio potenziale professionale e ad acquisire l'indipendenza economica. Il CESE incoraggia l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere a monitorare l'attuazione delle politiche di flessicurezza da una prospettiva di genere.

3.5.5

La mobilità geografica e quella professionale dei lavoratori sono strumenti essenziali per garantire l'efficienza dei mercati del lavoro e per ridurre le disparità tra domanda e offerta, eliminando le strozzature in determinati settori e ambiti professionali. La mobilità geografica può contribuire alla convergenza verso l'alto tra condizioni di lavoro e tenore di vita. Inoltre, la mobilità geografica e quella professionale hanno un impatto significativo anche sulla crescita e sui livelli occupazionali. Negli ultimi anni, gli Stati membri caratterizzati dai più alti livelli di mobilità hanno anche fatto registrare una forte crescita economica e tassi di disoccupazione bassi, o quanto meno significativamente ridotti, il che indica con chiarezza la relazione esistente tra i livelli di mobilità e i risultati positivi in termini economici e occupazionali.

3.6   La flessicurezza e le diverse parti interessate

3.6.1

Il CESE sottolinea l'importanza del dialogo sociale e del coinvolgimento attivo delle parti sociali a tutti i livelli nell'elaborazione e attuazione delle politiche di flessicurezza (19). Come il Comitato ha sottolineato nel suo precedente parere, il rafforzamento dei sistemi di relazioni industriali a livello nazionale ed europeo è cruciale per qualsiasi dibattito sulla flessicurezza.

3.6.2

La flessicurezza necessita di un clima di fiducia e di ampio confronto tra tutte le parti interessate, in cui tutti siano disposti ad assumersi la responsabilità di un cambiamento in favore di politiche socialmente equilibrate. Ciò include anche la possibilità di monitorare e valutare l'attuazione e i risultati delle politiche.

3.6.3

Anche la società civile ha un ruolo importante da svolgere nell'attuazione della flessicurezza. Le ONG sociali forniscono servizi fondamentali per quanti sono a rischio o in situazione di emarginazione e contribuiscono a conciliare vita familiare e vita professionale. Le associazioni educative promuovono e forniscono programmi di apprendimento permanente per gli adulti. La società civile organizzata può aiutare a migliorare la qualità occupazionale e a superare le sfide cui devono far fronte i gruppi più vulnerabili e discriminati sul mercato del lavoro europeo, segnatamente i giovani, gli anziani, le donne, gli immigrati e i disabili.

4.   Raccomandazioni

4.1

Il CESE esorta la Commissione a valutare attentamente i diversi contributi e pareri relativi alla sua comunicazione, come pure gli altri recenti sviluppi in materia. Anche gli Stati membri e le parti sociali a tutti i livelli hanno un ruolo da svolgere nel dar forma al concetto di flessicurezza nella fase di attuazione. Si tratta di un aspetto essenziale, poiché la flessicurezza viene utilizzata nel processo di valutazione dei programmi nazionali di riforma degli Stati membri.

4.2

Nel momento in cui gli Stati membri vanno integrando i principi comuni nei loro programmi nazionali di riforma, mettendo a punto un mix di politiche nazionali in base alle rispettive condizioni e pratiche, il CESE incoraggia la Commissione a monitorare l'intero processo e a creare una piattaforma per lo scambio e l'analisi comparativa delle buone prassi, che includa innanzi tutto le parti sociali, ma anche la società civile organizzata. Il CESE accoglie pertanto con favore la missione conoscitiva per la flessicurezza istituita dalla Commissione.

4.3

Il CESE è a favore del coinvolgimento attivo delle parti sociali in tutte le fasi del processo di elaborazione e attuazione delle politiche in materia di flessicurezza. Il CESE ha già sottolineato l'importanza fondamentale di «un dialogo sociale forte e vitale, che coinvolga le parti sociali e al cui interno esse possano negoziare, avere voce in capitolo ed assumersi la responsabilità di definire la flessicurezza e le sue componenti, nonché di valutarne i risultati» (20).

4.4

La reciproca fiducia tra le parti coinvolte è molto importante. La società civile organizzata può svolgere un ruolo significativo nell'accrescere la fiducia, ma anche nel creare nuovi sbocchi per le categorie maggiormente distanti dal mercato del lavoro.

4.5

L'esistenza di politiche macroeconomiche solide, volte a favorire la crescita occupazionale e a creare un ambiente favorevole per il pieno sviluppo del potenziale di crescita, è un presupposto importante per garantire l'efficacia delle iniziative di flessicurezza.

4.6

Il CESE incoraggia gli Stati membri e l'Unione europea a creare e mantenere un quadro legale che favorisca l'adattabilità, e che sia semplice, trasparente e prevedibile, e a rafforzare e sostenere i diritti dei lavoratori, come pure la loro rivendicabilità, e a promuovere in tutta l'Unione un quadro giuridico stabile per la contrattazione collettiva e il dialogo sociale nell'attuazione della flessicurezza. Alla base di qualsivoglia modello di flessicurezza figurano una politica in grado di garantire un elevato livello di protezione sociale, l'assunzione di responsabilità da parte di servizi pubblici dotati di risorse finanziarie sufficienti e un quadro giuridico stabile per la contrattazione collettiva e il dialogo sociale. Una piattaforma importante, in questo contesto, è rappresentata dalle norme dell'OIL in materia di lavoro e dalle norme comunitarie, data la loro trasparenza e prevedibilità.

4.7

I sistemi di welfare generali possono migliorare la mobilità garantendo che i lavoratori non abbiano a subire svantaggi nel momento in cui si trovano ad affrontare i cambiamenti relativi al loro posto di lavoro. In tal senso, agire in conformità alle norme nazionali ed europee in materia di informazione e consultazione è importante per prevedere i cambiamenti e mitigarne le conseguenze. In un precedente parere, il CESE aveva proposto che la direttiva sui Comitati aziendali europei fosse rivista (21): in tale contesto, la Commissione ha avviato di recente una seconda tornata di consultazioni che offre alle parti sociali l'occasione per dare inizio ai negoziati in vista della revisione della legislazione vigente. Il Comitato esorta inoltre il Consiglio e la Commissione a giungere all'approvazione della legislazione pendente in ambito sociale.

4.8

Il CESE sottolinea l'importanza di stanziare risorse economiche per la flessicurezza. Se l'attuazione delle politiche di flessicurezza non sarà accompagnata da adeguati investimenti nel rafforzamento delle istituzioni, nelle politiche attive per il mercato del lavoro e nei programmi di apprendimento permanente, non sarà possibile creare un mercato del lavoro di qualità. Questo implica anche l'estensione della sicurezza ai lavori precari. Le politiche dovrebbero focalizzarsi sull'integrazione nel mercato del lavoro delle donne, dei giovani e delle persone anziane. La flessicurezza andrebbe attuata in base a un approccio globale e coerente. È fondamentale, in questo senso, stanziare risorse adeguate a favore dei fondi europei, quali il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).

4.9

Il CESE ricorda che tutte le politiche in materia dovrebbero rafforzarsi a vicenda. La crescita, l'occupazione, la coesione sociale e l'ambiente sono aspetti di pari importanza, correlati tra loro. La crescita sostenibile è strettamente legata alle aspirazioni a un maggiore benessere e un ambiente migliore.

4.10

Il CESE auspica l'adozione di un approccio integrato a più livelli. Data la natura pluridimensionale della flessicurezza, è importante tendere a un'integrazione tra i diversi livelli delle politiche. Per conseguire l'obiettivo di una migliore coesione economica e sociale serve una politica più coerente che rafforzi l'interazione tra i diversi attori e livelli interessati.

4.11

Il CESE rileva che in sede di attuazione della flessicurezza bisognerebbe tenere conto dei nuovi rischi e premiare le cosiddette «transizioni professionali». La globalizzazione comporterà un aumento dei rischi per i lavoratori e le aziende, rischi la cui valutazione sarà fondamentale per far fronte alla sfida della globalizzazione. Sarà essenziale promuovere la mobilità del lavoro puntando sull'eccellenza, investendo nelle risorse umane e migliorando la trasferibilità dei diritti.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Key challenges facing European labour markets: A joint analysis of European social partners (Le sfide chiave per i mercati del lavoro europei: un'analisi congiunta delle parti sociali europee), ottobre 2007:

http://www.ceep.eu/media/right/publications/key_market_challenges_facing_european_labour_markets (in inglese).

(2)  Parere del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema La flessicurezza (contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale), relatore: JANSON (GU C 256 del 27.10.2007).

(3)  Cfr. http://www.etuc.org/a/3356 Climate Change and employment.

(4)  Parere del CESE del 24 ottobre 2007 sul tema Il cambiamento climatico e la strategia di Lisbona, relatore: EHNMARK (NAT/362, GU C 44 del 16.2.2008), punto 1.11.

(5)  Cfr. nota 1.

(6)  Assessing the impact of labour market policies on productivity: a difference-in-differences approach («Valutazione dell'impatto sulla produttività delle politiche relative al mercato del lavoro: un approccio “differenza nelle differenze”»), OECD Social, Employment and Migration Working Papers No. 54, 2007:

http://www.oecd.org/dataoecd/27/20/38797288.pdf (in inglese).

(7)  Indagine europea sulle condizioni di lavoro (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro).

(8)  Analisi congiunta (cfr. nota 1).

(9)  Id.

(10)  Parere del CESE del 13 settembre 2006 sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche, relatrice: ENGELEN-KEFER (GU C 318 del 23.12.2006), punto 1.1.

(11)  Orientamenti a favore dell'occupazione (SOC/303), relatore: GREIF (adozione prevista per marzo 2008). I nuovi orientamenti a favore dell'occupazione per il 2008-2010 proposti dalla Commissione nel dicembre 2007 sono immutati rispetto al precedente pacchetto (2005-2008).

(12)  Parere del CESE del 31 maggio 2005 sul tema Orientamenti per l'occupazione: 2005-2008, relatore: MALOSSE (GU C 286 del 17.11.2005), parere del CESE del 17 maggio 2006 sul tema Orientamenti a favore dell'occupazione, relatore: GREIF (GU C 195 del 18.8.2006) e parere del CESE del 24 aprile 2007 relativo a Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, relatrice: O'NEILL (GU C 168 del 20.7.2007).

(13)  Parere del CESE del 17 maggio 2006 sul tema Orientamenti a favore dell'occupazione, relatore: GREIF (GU C 195 del 18.8.2006).

(14)  Parere del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema La flessicurezza (contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale), relatore: JANSON (GU C 256 del 27.10.2007), punto 1.1.

(15)  Id., punto 4.1.

(16)  Id., punto 1.4.

(17)  Cfr. nota 1.

(18)  Parere del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema La flessicurezza (contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale), relatore: JANSON (GU C 256 del 27.10.2007).

(19)  Id., punto 4.1.

(20)  Parere del CESE dell'11 luglio 2007 sul tema La flessicurezza (contrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale), relatore: JANSON (GU C 256 del 27.10.2007), punto 1.3.

(21)  Parere del CESE del 13 settembre 2006 sul tema I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea, relatore: IOZIA (GU C 318 del 23.12.2006).


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini

COM(2007) 424 def.

(2008/C 211/16)

La Commissione europea, in data 18 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice KÖSSLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con soddisfazione la volontà politica della Commissione di portare avanti la lotta contro il divario di retribuzione tra donne e uomini. Analogamente alla Commissione, il CESE ritiene assai grave il fatto che le disparità di retribuzione tra donne e uomini non accennino a diminuire: esse persistono nonostante le azioni avviate e i mezzi impiegati per combatterle. È pertanto importante che tutte le parti interessate siano coinvolte negli sforzi per ridurre tale scarto e che esprimano la volontà di introdurre dei veri e propri cambiamenti. La strategia europea per la crescita e l'occupazione, incardinata nella strategia di Lisbona, costituisce uno strumento importante per promuovere la parità sul mercato del lavoro e ridurre il divario di retribuzione tra donne e uomini. La parità retributiva è necessaria per realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona, garantire il benessere dei cittadini e tutelare la competitività globale dell'Unione europea. Essa è importante per il futuro tanto delle donne quanto degli uomini.

1.2

Nel quadro della lotta per l'allineamento dei salari, il CESE formula le seguenti raccomandazioni indirizzandole alle istituzioni dell'UE, ai governi nazionali, agli enti nazionali per le pari opportunità e alle parti sociali.

1.2.1

A giudizio del CESE, ogni Stato membro deve garantire nelle proprie norme nazionali nonché nei contratti collettivi l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratori dei due sessi per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, conformemente alle disposizioni della direttiva 75/117/CEE.

1.2.2

Secondo il CESE, gli Stati membri devono impegnarsi a combattere le cause del divario di retribuzione, dovuto tra l'altro alla diversa valorizzazione del lavoro delle donne e degli uomini, al fatto che sul mercato del lavoro esiste effettivamente una divisione del lavoro in funzione del genere e che è diversa la relazione della donna e dell'uomo con la vita professionale, come pure diversi sono il loro potere e status.

1.2.3

Per quanto riguarda l'attuale legislazione, è necessario che:

essa venga effettivamente applicata nella lotta alla discriminazione salariale,

le possibilità legislative di azioni positive, conformemente all'articolo 141, paragrafo 4, del Trattato CE, sussistano e siano applicate in maniera efficace allo scopo di «facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato»,

il datore di lavoro proceda a una verifica e a una revisione annuale dei salari e della loro evoluzione allo scopo di individuare le discriminazioni basate sul genere presenti negli organigrammi e di applicare le soluzioni opportune, mettendo a punto un piano per la parità che comprenda un sistema di retribuzioni trasparente,

gli Stati membri garantiscano la semplicità delle procedure di ricorso e di denuncia per i casi di discriminazione, e che spetti alla parte convenuta provare in tribunale o di fronte ad un'altra autorità competente l'insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento in virtù della direttiva 97/80/CE del Consiglio riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (1).

1.2.4

Negli accordi siglati dalle parti sociali è necessario:

rafforzare il dialogo sociale e la contrattazione collettiva a tutti i livelli: si tratta infatti di uno degli strumenti principali per eliminare le disparità retributive tra gli uomini e le donne,

procedere ad un accurato studio dei criteri in uso per la classificazione dei posti di lavoro, e delle relative ripercussioni esplicite e implicite sull'evoluzione del lavoro nel contesto del tempo, della disponibilità e delle responsabilità familiari,

che vi sia trasparenza nel quadro delle disposizioni riguardanti l'informazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti sulla situazione e l'evoluzione delle retribuzioni delle donne e degli uomini all'interno della medesima impresa,

adottare una serie di misure per combattere le griglie retributive differenziate in base al sesso,

offrire la possibilità di scegliere un orario di lavoro flessibile.

1.2.5

Visto che la parità sul mercato del lavoro costituisce l'elemento chiave nella lotta alle disparità retributive tra donne e uomini, è indispensabile:

promuovere iniziative intese ad agevolare l'accesso al mercato del lavoro su un piano di parità e ad aumentare la partecipazione di entrambi i sessi al mercato del lavoro nel suo insieme, nonché eventualmente fare ricorso ai finanziamenti a titolo dei fondi strutturali,

offrire ai bambini e ai giovani di entrambi i sessi modelli validi che li incoraggino ad effettuare scelte professionali non tradizionali,

realizzare la parità tra donne e uomini per quanto riguarda la partecipazione e l'influenza nella sfera professionale,

adottare misure combinate, strettamente collegate e coerenti volte a realizzare l'equilibrio tra vita privata e vita lavorativa in modo che sia possibile conciliare responsabilità familiari e attività professionale,

introdurre il congedo parentale retribuito nei paesi in cui non è previsto, adeguandolo ad esempio alle disposizioni in vigore all'interno delle istituzioni europee, e offrire la possibilità di prolungare i congedi parentali retribuiti. Gli Stati membri devono adottare misure efficaci per agevolare l'accesso, sia per gli uomini che per le donne, a un congedo parentale condiviso dai due genitori (2),

offrire servizi di custodia dei bambini, completi e sovvenzionati, che permettano ai genitori di portare avanti la loro attività professionale con interruzioni di carriera per periodi più limitati, e ampliare l'offerta di servizi, di qualità ed economicamente accessibili, a sostegno delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie (3),

offrire servizi completi e sovvenzionati di cura degli anziani e delle altre persone non autosufficienti.

1.2.6

Inoltre, gli Stati membri devono adoperarsi a favore:

della diffusione tra tutte le parti interessate di informazioni sulle cause delle disparità retributive tra i sessi e della discriminazione basata sul sesso,

di uno scambio delle buone pratiche, nonché del rafforzamento del dialogo tra i vari paesi,

della sensibilizzazione sia del pubblico che dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché degli operatori del diritto, sui diritti delle persone in caso di discriminazione.

1.2.7

Il Comitato invita l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere a dare la priorità, nell'esecuzione dei suoi compiti, alla questione del divario retributivo.

1.2.8

Il Comitato prende nota con forte preoccupazione della situazione esposta nella relazione della Commissione La parità tra le donne e gli uomini — 2008  (4). In tale documento si afferma che le donne sono sottorappresentate in settori essenziali per lo sviluppo economico, in cui le retribuzioni sono generalmente buone, e che pertanto è importante affrontare l'aspetto qualitativo dell'uguaglianza.

1.2.9

Il Comitato esprime il proprio sostegno per la Piattaforma europea delle scienziate (European Platform of Women Scientists EPWS (5)) e invita tutte le parti in causa a livello europeo e nazionale a dedicare speciale attenzione alle donne attive nella scienza e nella ricerca. Nell'UE solo il 29 % degli scienziati e degli ingegneri sono donne.

1.3

Il Comitato si aspetta che, con la loro condotta e il loro comportamento, le istituzioni governative degli Stati membri e i dirigenti politici possano dare il buon esempio nell'attuazione dei principi esposti nel presente parere.

1.4

Il Comitato raccomanda di prestare particolare attenzione all'influenza esercitata dai mass media, al fine di eliminare le immagini stereotipate delle donne e degli uomini e promuovere una rappresentazione di entrambi i sessi che rifletta in maniera più precisa il loro contributo a tutti i settori della società.

2.   Introduzione

2.1

Dalla comunicazione della Commissione risulta che nell'UE le donne attualmente guadagnano in media il 15 % di meno degli uomini. Eliminare il divario retributivo tra i sessi è una preoccupazione essenziale messa in evidenza anche dalla Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010  (6). La disparità retributiva tra i sessi va ben oltre la questione di una parità salariale a parità di lavoro. Una della cause principali è legata al modo in cui vengono valutate le competenze delle donne rispetto a quelle degli uomini. Mansioni che richiedono qualifiche simili tendono a essere remunerate meno se svolte in prevalenza da donne piuttosto che da uomini.

2.1.1

Il divario tra le retribuzioni riflette inoltre disuguaglianze sul mercato del lavoro che colpiscono soprattutto le donne come, in particolare, la difficoltà di conciliare attività lavorativa e vita privata. Le donne ricorrono maggiormente alle possibilità di lavoro a tempo parziale e interrompono più spesso la carriera, e questo, oltre a determinare minori possibilità di partecipazione all'apprendimento permanente, ha un impatto negativo sul loro sviluppo professionale. Inoltre, continuano ad essere meno numerose degli uomini nei posti direttivi e incontrano più ostacoli e maggiori resistenze a mano a mano che avanzano nella carriera. Questa, perciò, avrà più interruzioni, sarà più lenta e più corta e, quindi, meno remunerata di quella degli uomini. Dalle statistiche emerge che lo scarto tra le remunerazioni aumenta con l'età, il livello d'istruzione e gli anni di servizio: le differenze salariali superano il 30 % nella fascia d'età compresa tra i 50 e i 59 anni, mentre sono del 7 % per i lavoratori di età inferiore ai 30 anni; superano il 30 % per chi è in possesso di un diploma universitario e sono del 13 % per chi possiede un diploma di scuola media inferiore.

2.1.2

Per affrontare la questione, la comunicazione individua 4 campi d'intervento:

applicare meglio l'attuale legislazione (analizzando in che modo adattarla e migliorarne l'applicazione e suscitando una maggiore consapevolezza del problema),

lottare contro il divario tra le retribuzioni come parte integrante delle politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (sfruttando pienamente le potenzialità dei finanziamenti comunitari, e in particolare del Fondo sociale europeo) (7),

promuovere la parità salariale presso i datori di lavoro, facendo appello soprattutto alla loro responsabilità sociale,

sostenere lo scambio di buone pratiche nell'intera UE e coinvolgere le parti sociali.

2.1.3

La comunicazione della Commissione analizza le cause del divario tra le retribuzioni e individua modalità d'intervento a livello europeo. Tale divario può essere affrontato solo intervenendo a tutti i livelli, coinvolgendo tutte le parti interessate e concentrandosi su tutti i fattori in gioco.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE conviene sull'importanza di coinvolgere tutte le parti interessate negli sforzi per ridurre il divario di retribuzione tra donne e uomini.

3.1.1

L'attuale posizione delle donne sul mercato del lavoro non rispecchia i progressi da esse realizzati in settori quali l'istruzione, la ricerca e l'imprenditorialità. Il tasso di occupazione femminile è inferiore a quello maschile (55,7 % contro il 70 %) e scende ulteriormente (31,7 %) per quanto riguarda le donne tra i 55 e i 64 anni. Anche il tasso di disoccupazione femminile risulta più elevato di quello maschile (9,7 % rispetto al 7,8 %).

3.1.2

Il CESE ritiene che i governi nazionali, gli enti nazionali per le pari opportunità e, in particolare, le parti sociali di tutti gli Stati membri abbiano il preciso dovere di adoperarsi a favore della riduzione delle ineguaglianze strutturali presenti sotto forma di segregazione in settori, professioni e modalità di lavoro diverse, e di fare in modo che i sistemi retributivi da loro adottati riducano l'attuale divario di retribuzione tra donne e uomini.

3.1.3

La retribuzione e il livello di reddito delle donne non rispecchiano pienamente i progressi da esse realizzati anche in settori chiave quali l'istruzione e la ricerca. Il fatto che le donne abbiano un reddito inferiore a quello degli uomini è dovuto anche essenzialmente alle interruzioni della carriera per occuparsi dei figli e di altri familiari. Sono le donne che mettono al mondo i figli e dedicano alle cure della prole molto più tempo degli uomini. Un congedo di maternità implica una minore durata del contratto di lavoro, meno esperienza professionale maturata durante gli anni e un minore accesso alla formazione rispetto agli uomini. In effetti, più l'interruzione è lunga, maggiore è lo svantaggio in termini finanziari. In più le donne hanno le maggiori responsabilità nella cura degli anziani e delle altre persone non autosufficienti.

3.1.4

La posizione svantaggiata delle donne sul mercato del lavoro e il divario retributivo che ne consegue incidono anche sui loro diritti alla pensione. È pertanto indispensabile procedere all'adeguamento dei regimi pensionistici affinché le donne che interrompono la carriera per il congedo di maternità e il congedo parentale non siano svantaggiate e per assicurare la parità tra i sessi, con l'obiettivo a lungo termine di adattare le pensioni ai bisogni dei singoli individui (8). Occorre promuovere un'equa ripartizione degli obblighi familiari tra uomini e donne e far sì che le responsabilità parentali non comportino condizioni più svantaggiose sul piano della pensione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Trattato di Roma sanciva già nel 1957, nell'articolo 119, il principio della parità di retribuzione tra i lavoratori dei due sessi per uno stesso lavoro. Questo articolo, diventato l'articolo 141 del trattato CE, impone agli Stati membri di assicurare l'applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro.

4.1.1

Per questo, al paragrafo 4, precisa che tale principio non osta a che uno Stato membro, allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, mantenga o adotti azioni positive, destinate a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato.

4.1.2

Le possibilità legislative di adottare misure positive dovrebbero sussistere ed essere, se del caso, rafforzate, dal momento che lo scarto tra donne e uomini in posizioni dirigenziali rimane significativo. Nel 2000 solo il 31 % dei posti ai livelli superiori era occupato da donne e nel 2006 tale quota è salita solo dell'1 % per raggiungere il 32 % (9).

4.1.3

La direttiva 75/117/CEE adottata dal Consiglio nel 1975 stabiliva tra l'altro che il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l'eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso. I principi comunitari in materia sono alla base della maggior parte delle norme nazionali riguardanti il principio della parità di retribuzione nonché dei contratti collettivi, e hanno quindi avuto un ruolo capitale nell'evoluzione della situazione delle donne sul mercato del lavoro.

4.1.4

Conformemente all'articolo 141 del Trattato CE, per retribuzione si intende il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo.

4.1.5

Dovrebbe esserci maggiore conformità tra le disposizioni giuridiche nazionali sulla parità di diritti in materia di inquadramento contrattuale e di retribuzione per evitare eventuali discriminazioni dirette o indirette delle donne.

4.1.6

È evidente che la legislazione in vigore non è stata applicata in maniera sufficiente per garantire il principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore. Si tratta inoltre di un tipo di discriminazione difficile da mettere a nudo. Le persone interessate non sempre sono consapevoli di essere vittime di discriminazione e/o hanno difficoltà a dimostrarlo. Secondo il Comitato, i lavoratori o i loro rappresentanti devono avere accesso a strumenti efficaci che permettano loro di verificare la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

4.1.7

Strumenti efficaci per seguire da vicino e realizzare un'equa retribuzione potrebbero consistere in una verifica e una revisione annuale dei salari e della loro evoluzione da parte dei datori di lavoro delle grandi e medie imprese, allo scopo di individuare i casi di discriminazione basata sul genere nel sistema di classificazione dei posti di lavoro e di applicare le soluzioni adeguate, istituendo un piano per le pari opportunità che comprenda sistemi di retribuzione trasparenti, volti a garantire che le competenze, l'esperienza e il potenziale di tutto il personale vengano retribuiti equamente. Si dovrebbero elaborare dei piani a favore della parità di retribuzione che prevedano una serie di obiettivi concreti come, ad esempio, la riduzione dell'1 % annuo del divario retributivo. Ogni anno i datori di lavoro di tutti gli Stati membri devono fornire ai lavoratori e ai loro rappresentanti delle statistiche salariali con una ripartizione per genere.

4.1.8

Un fattore che ostacola la piena applicazione della legge è la carenza di informazioni e di conoscenze sulle disposizioni in vigore da parte delle persone interessate. Solo un terzo dei cittadini sostiene di essere a conoscenza dei loro diritti nel caso di discriminazione (10). Il CESE ritiene che sia importante continuare ad informare circa tali diritti sia il pubblico che i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché gli operatori del diritto.

4.1.9

Gli Stati membri devono garantire la semplicità delle procedure di ricorso e di denuncia per i casi di discriminazione e deve spettare alla parte convenuta provare in tribunale o di fronte ad un'altra autorità competente l'insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento in virtù della direttiva 97/80/CE.

4.1.10

La legislazione e i contratti collettivi non sono stati sufficienti per colmare il divario di retribuzione tra donne e uomini. Questo indica che esso è determinato da altre cause più profonde (di natura psicologica, sociale o culturale), ad esempio la difficoltà di conciliare le responsabilità familiari con l'attività professionale. È essenziale realizzare l'equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. La lotta per raggiungere la parità di retribuzione deve, a giudizio del Comitato, essere portata avanti in un gran numero di settori.

4.1.11

È essenziale ricorrere alla possibilità legale di tenere conto di clausole sociali negli appalti pubblici, e di favorire in tal modo gli attori che investono nella parità e in una retribuzione equa per le donne e gli uomini.

4.1.12

Il Comitato ritiene che le amministrazioni nazionali degli Stati membri debbano diventare un modello per tutti gli altri datori di lavoro — non solo nelle questioni legate direttamente alla parità retributiva o alla carriera professionale, ma anche nell'introduzione di soluzioni organizzative (per es. nell'ambito della flessibilità dell'orario di lavoro) che consentano di conciliare vita professionale e familiare o di misure di politica di formazione che sostengano le pari opportunità professionali.

4.1.13

I personaggi pubblici, politici compresi, possono contribuire notevolmente a migliorare il grado di consapevolezza e sensibilizzazione della società. Il loro esempio personale, sia nella vita professionale che in quella privata, può produrre effetti migliori di molti costosi programmi di promozione.

4.2   Lottare contro il divario tra le retribuzioni come parte integrante delle politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione

4.2.1

La strategia europea per la crescita e l'occupazione, incardinata nella strategia di Lisbona, costituisce uno strumento importante per promuovere la parità sul mercato del lavoro e ridurre il divario di retribuzione tra donne e uomini. Secondo il CESE, è indispensabile promuovere iniziative intese ad agevolare l'accesso e la partecipazione al mercato del lavoro a tutti i livelli, nonché eventualmente fare ricorso ai finanziamenti a titolo dei fondi strutturali.

4.2.2

Il Comitato propone di adottare i seguenti provvedimenti:

garantire la trasparenza dei sistemi di classificazione dei posti di lavoro grazie alla definizione e all'applicazione di criteri non discriminatori,

predisporre criteri di valutazione differenti, riferiti non alla persona ma alla natura delle mansioni ed esenti da forme potenziali di discriminazione,

promuovere le scelte professionali non tradizionali per incidere sugli squilibri presenti nel mercato del lavoro e ridurli. L'obiettivo è quello di permettere alle donne di scegliere e cercare delle professioni nel settore scientifico e tecnico e agli uomini di scegliere e cercare delle professioni esercitate a titolo principale da donne,

incoraggiare i datori di lavoro a sviluppare, attuare e dare seguito ai programmi a favore della parità comprendenti il prospetto dei salari,

incoraggiare i datori di lavoro e i lavoratori a contribuire allo sviluppo delle qualifiche,

incentivare i datori di lavoro e i sindacati ad adottare dei meccanismi di ispezione per seguire la formazione dei salari. In questo quadro occorre ricorrere alla nomenclatura delle professioni, ai precedenti, alla giurisprudenza e alla classificazione delle professioni,

impegnarsi per un'evoluzione che permetta alle donne di ricercare e ottenere delle funzioni più elevate, di quadro o dirigente, nei settori della ricerca e dello sviluppo, della tecnologia e dell'innovazione,

favorire un'evoluzione che permetta una maggiore partecipazione delle donne a tutti i livelli professionali all'interno di settori in crescita come il turismo, la tutela ambientale e il settore tecnico-ambientale, le telecomunicazioni e le biotecnologie,

promuovere le pratiche di gestione che favoriscono l'uguaglianza di genere,

inserire nella strategia in materia di occupazione un apposito indicatore per garantire che la parità retributiva venga seguita anche a livello comunitario.

4.3   Il CESE propone le seguenti misure per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nel settore dell'istruzione e della formazione professionale:

incoraggiare l'accesso e accrescere la quota delle donne che partecipano alla formazione e allo sviluppo delle competenze professionali nel settore della tecnologia e dell'informatica, in particolare nel settore delle tecnologie per l'informazione,

incoraggiare e promuovere lo sviluppo attraverso l'istruzione, la pratica e altri strumenti del mercato del lavoro, affinché un maggior numero di uomini opti per professioni nel settore dei servizi e dell'assistenza sanitaria,

promuovere una maggiore flessibilità nell'offerta di istruzione e di formazione professionale, allo scopo di coinvolgere anche le donne che risiedono in zone rurali e scarsamente popolate,

aiutare le donne a migliorare la propria formazione professionale attraverso la partecipazione a corsi aziendali durante i congedi parentali e subito dopo il rientro al lavoro.

4.4   Il CESE propone le seguenti misure per creare e accrescere le possibilità per le donne di avviare e sviluppare una propria impresa:

ricorrere ai fondi strutturali per permettere a un maggior numero di donne di creare un'impresa propria (11),

incoraggiare e sensibilizzare alla questione della parità di genere i dirigenti, i quadri e i consulenti nella creazione d'impresa,

promuovere il riorientamento e la creazione di servizi di sostegno (finanziari e tecnici) a favore delle PMI per soddisfare e tenere maggiormente conto delle necessità delle donne che intendono avviare e sviluppare un'impresa propria,

offrire sostegno finanziario/prestiti alle donne che avviano e sviluppano un'impresa propria,

offrire sostegno alle reti e organizzazioni di imprenditrici e tutoraggio per donne da parte di donne,

fornire aiuti particolari alle donne che intendono creare e sviluppare imprese nel settore delle telecomunicazioni e in quello ad alta tecnologia,

offrire sostegno alle donne che promuovono e portano avanti iniziative nel settore dell'economia sociale.

4.5   È necessario consolidare il diritto delle donne a esercitare una professione e a mantenersi. Sia l'uomo che la donna devono avere la possibilità di vivere in maniera dignitosa del loro salario o stipendio. Il CESE propone le seguenti misure per permettere di conciliare più agevolmente l'attività professionale e le responsabilità familiari:

mettere a disposizione strutture di custodia dei bambini, con finanziamenti adeguati, che permettano ai genitori di portare avanti la loro attività professionale anche quando hanno figli, e di interrompere la carriera per un periodo più breve,

promuovere la qualificazione professionale del personale addetto alla custodia dei bambini e dei professionisti sanitari,

introdurre il congedo parentale retribuito nei paesi in cui non è previsto, adottando ad esempio le disposizioni in vigore all'interno delle istituzioni europee, e offrire la possibilità di prolungare i congedi parentali retribuiti. Deve essere possibile ripartire i congedi parentali tra i due genitori, Inoltre, il fatto di riservare una parte di questo congedo al padre costituisce un passo importante per far sì che i padri assumano maggiori responsabilità familiari. Per permettere a un maggior numero di uomini di prendere un congedo parentale si dovrebbe ricorrere a incentivi economici che andrebbero a compensare la perdita di reddito (la questione figura all'ordine del giorno delle parti sociali europee, come proposto nel corso della seconda consultazione di dette parti sociali sulla conciliazione tra vita professionale, privata e familiare) (12),

promuovere il lavoro a distanza e in particolare il telelavoro al fine di offrire maggiori possibilità a quelle persone che per svariati motivi non possono spostarsi per partecipare a formazioni o svolgere un'attività professionale,

creare possibilità di formazione per il reinserimento professionale grazie anche a provvedimenti fiscali. Questo tipo di formazione dovrebbe essere indirizzato alle donne che sono rimaste a lungo al di fuori del mercato del lavoro a causa di un congedo parentale o per occuparsi dei figli,

mettere a disposizione servizi adeguatamente sovvenzionati destinati agli anziani e alle altre persone non autosufficienti, servizi che favoriscono in particolare l'occupazione femminile.

4.6   Il CESE propone le seguenti misure per accrescere la partecipazione e l'influenza delle donne:

creare un equilibrio tra donne e uomini all'interno di comitati e organi decisionali,

coinvolgere le organizzazioni rappresentative per le pari opportunità e le organizzazioni femminili nei comitati di monitoraggio, nei partenariati e in altre sedi di discussione,

accrescere le opportunità di promuovere le donne a posti con responsabilità dirigenziali e decisionali nel quadro di strutture che espletano funzioni direttive e attuative,

garantire in maniera costante e sostenibile alle donne parità di diritti nella vita professionale, affinché non siano richieste solamente quando la congiuntura è favorevole, e non siano anche le prime ad essere colpite, spesso nella maniera più grave, quando interviene una recessione,

condurre discussioni regolari con le organizzazioni attive nel settore della parità.

4.7   Adoperarsi affinché i datori di lavoro rispettino il principio della parità di retribuzione e la responsabilità sociale

4.7.1

Il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro è sempre più accettato in Europa anche se non è ancora ovvio in tutti e 27 gli Stati membri. Nonostante la Convenzione 100 dell'OIL sull'uguaglianza di retribuzione, che ha ormai più di 50 anni (essendo stata adottata nel 1951), sia stata ratificata da tutti gli Stati membri e disponga (articolo 2, paragrafo 1) «Ogni Stato membro dovrà, con mezzi conformi ai metodi in vigore per la fissazione dei tassi di retribuzione, incoraggiare e, nella misura in cui ciò sia compatibile con detti metodi, assicurare la applicazione a tutti i lavoratori del principio dell'uguaglianza di retribuzione fra mano d'opera maschile e mano d'opera femminile per un lavoro di valore uguale», l'idea tacita che continua a dominare è quella che la donna possa contare sullo stipendio dell'uomo, supposizione che però non è suffragata dalla realtà sociale in cui viviamo. Non è altrettanto ovvio e accettato che uno stesso lavoro debba essere retribuito allo stesso modo. Il fatto di valutare attività lavorative e professioni per stabilire se siano equivalenti presenta infatti delle difficoltà intrinseche. Vi è un certo numero di precedenti che possono fornire delle indicazioni in questo ambito.

4.7.2

Secondo il Comitato, i datori di lavoro possono ridurre il divario retributivo adottando le seguenti misure:

favorire la parità nel mercato del lavoro introducendo un orario flessibile. Per parecchi genitori il lavoro a tempo parziale su base facoltativa può rappresentare una delle possibilità per conciliare la vita professionale con la responsabilità e la cura della famiglia, anche se è importante che sia loro consentito di tornare in seguito al tempo pieno. Il fatto di offrire invece un lavoro a tempo pieno a coloro che lavorano malvolentieri part-time, permetterebbe a questi ultimi di essere economicamente indipendenti, la qual cosa è estremamente importante per le persone con figli a carico,

è necessario che gli orari di lavoro siano compatibili con le responsabilità familiari. La ripartizione dei compiti domestici e di assistenza in casa va modificata in modo da ottenere la stessa proporzione tra uomo e donna. Il ruolo di assistenza svolto dagli uomini nell'ambito familiare deve essere potenziato,

i modelli per il raffronto tra professioni e compiti creano una base per procedere all'inquadramento retributivo e quindi uno strumento per applicare il principio della parità retributiva. Occorre elaborare dei sistemi di valutazione della complessità del lavoro che consentano di individuare lavori di valore equivalente anche nell'ambito di differenti categorie di personale. Ciò garantirebbe che lavori di valore equivalente vengano retribuiti in modo uguale indipendentemente dal genere di chi li svolge,

considerare il congedo parentale come un'esperienza qualificante e che va premiata al momento della promozione e della determinazione del salario può contribuire a ridurre il divario retributivo tra donne e uomini. Ciò non deve tradursi tuttavia in uno svantaggio in termini di retribuzione e di carriera per coloro che non hanno figli,

rendere disponibili strutture per la custodia dei bambini: la società e i datori di lavoro possono così contribuire ad accrescere le possibilità di assunzione e di promozione delle donne,

prevedendo dei congedi in concomitanza delle vacanze scolastiche e in caso di malattia dei bambini, i datori di lavoro possono agevolare e accrescere le possibilità di conciliare le responsabilità familiari con la vita professionale,

in quei paesi ove non esiste alcun diritto legale di congedo parentale per gli uomini al momento della nascita del/la figlio/a o dell'adozione, il datore di lavoro può svolgere un ruolo guida fondamentale e proporsi come modello assumendo la sua responsabilità sociale e accordando questo tipo di congedo (13),

il datore di lavoro dovrebbe prevedere la possibilità di un congedo in caso di malattia di un parente,

promuovere la partecipazione delle donne a opportunità di formazione e promuovere programmi di sviluppo delle carriere per le donne,

gli uomini, e le stesse donne, devono imparare a riconoscere, comprendere e valorizzare le competenze delle donne.

4.8   Promuovere lo scambio di esperienze interessanti in tutta l'Unione e coinvolgere le parti sociali

4.8.1

Secondo il CESE, lo scambio e la promozione delle migliori pratiche, nonché il rafforzamento del dialogo tra gli Stati membri costituiscono un modo concreto di realizzare dei progressi. La parità effettiva tra donne e uomini e la giustizia salariale sono realizzabili solo se tutti gli Stati membri adottano misure costruttive e si impegnano per eliminare le disparità retributive tra donne e uomini. Le organizzazioni dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori come pure l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere svolgono un ruolo importante nella realizzazione di questo obiettivo.

4.8.2

Le parti sociali devono impegnarsi in modo mirato nel quadro delle contrattazioni collettive a ridurre il divario di retribuzione. Tra le iniziative di successo realizzate in questo settore ricordiamo l'accordo quadro sulla parità adottato dalle parti sociali nel 2005 a livello comunitario, il quale conta tra i quattro temi prioritari trattati la questione della disparità retributiva tra donne e uomini (14).

4.8.3

Occorre introdurre varie modifiche nelle statistiche relative alle retribuzioni, facendo in modo che le informazioni relative alle differenze salariali divengano una basa adeguata per prendere delle decisioni. Bisogna studiare più a fondo le cause delle differenze di retribuzione e diffondere i risultati di tale studio per evidenziare, correggere e prevenire la discriminazione.

4.8.4

L'Istituto europeo di Dublino per le relazioni sociali e l'Istituto europeo per la parità fra uomini e donne dovrebbero all'uopo fornire statistiche comparate per tutti gli Stati membri sulla situazione delle donne a livelli di quadro e dirigenziali nel settore sia pubblico che privato, nonché dei dati sui progressi nel campo dell'uguaglianza salariale nei differenti Stati membri.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Articolo 4: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:1998:014:0006:0008:IT:PDF

(2)  La questione figura all'ordine del giorno delle parti sociali europee, come proposto nel corso della seconda consultazione di dette parti sociali sulla conciliazione tra vita professionale, privata e familiare.

(3)  Il CESE rammenta una serie di raccomandazioni formulate al riguardo in alcuni pareri, l'ultimo dei quali è il parere del 13 febbraio 2008 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (a norma dell'articolo 128 del Trattato CE), relatore: Wolfgang GREIF, CESE 282/2008 (SOC/303), con particolare riferimento al punto 2.3.

(4)  COM(2008) 10 def., 23 gennaio 2008.

(5)  Cfr. www.epws.org

(6)  Cfr. il parere del CESE del 13 settembre 2006 sul tema Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, relatrice: Grace ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006). Tra i documenti elaborati dal CESE sull'argomento ricordiamo il parere del 28 settembre 2005 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che costituisce un Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, relatrice: Dana ŠTECHOVÁ (GU C 24 del 31.1.2006); il parere del CESE del 29 settembre 2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea, relatrice: Brenda KING (GU C 24 del 31.1.2006). Rammentiamo inoltre la Carta sull'integrazione delle politiche relative al genere nei sindacati, adottata dal congresso della Confederazione europea dei sindacati (CES) a Siviglia il 23 maggio 2007 e il Manuale per l'integrazione delle politiche di genere nelle politiche occupazionali pubblicato dalla Commissione europea nel luglio 2007.

(7)  Cfr. nota 3.

(8)  Parere del CESE del 29 novembre 2001 sul tema Crescita economica, fiscalità e sostenibilità dei sistemi pensionistici nell'Unione europea (GU C 48 del 21.2.2002 — relatore: BYRNE, correlatore: VAN DIJK).

(9)  Eurostat, Labour force Survey Managers in the EUDistribution by sex 2000 and 2006 (Indagine dell'Eurostat sulla forza lavoro — I dirigenti nell'UE. Ripartizione per sesso 2000 e 2006).

(10)  Eurobarometro.

(11)  Cfr. il parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona, relatrice: Madi SHARMA, correlatore: Jan OLSSON (GU C 44 del 16.2.2008).

(12)  In Danimarca, dal 1o ottobre 2006, la legge prevede che tutte le imprese versino una somma al fondo di compensazione centrale a favore dei congedi parentali. Ciò significa che nessuna impresa è sfavorita a causa delle spese sostenute per i salari legati ai congedi parentali e che i genitori che usufruiscono di questa possibilità non rischiano di pesare economicamente sui loro datori di lavoro. In Islanda vige un sistema analogo in virtù del quale tutti i datori di lavoro e i lavoratori versano un contributo a un fondo statale per i congedi parentali. In questo paese è stato inoltre introdotto un modello di congedo parentale di 9 mesi suddiviso in tre terzi, in base al quale ciascun genitore beneficia di un terzo del congedo, mentre l'ultimo terzo può essere ripartito tra il padre e la madre. Dopo l'entrata in vigore di questa legge quasi il 90 % dei padri islandesi hanno usufruito del congedo parentale.

(13)  Il 1o luglio 2006 in Svezia è entrata in vigore una nuova legge in materia di congedo parentale, in virtù della quale il datore di lavoro non può penalizzare un lavoratore per motivi legati al congedo parentale. Conformemente a questa legge non si può fare alcuna distinzione tra le persone che beneficiano del congedo parentale e quelle che non ne usufruiscono. Secondo l'ufficio di mediazione nazionale per la parità tra i sessi, le persone in congedo parentale vanno trattate come se fossero professionalmente attive. In media, le donne prendono dei congedi parentali sensibilmente più lunghi rispetto agli uomini: ciò significa che devono rinunciare più spesso degli uomini a premi o gratifiche.

(14)  Framework of Actions on Gender Equality:

http://ec.europa.eu/employment_social/news/2005/mar/gender_equality_en.pdf (Quadro di azioni sull'uguaglianza di genere).


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Prevenzione del terrorismo e della radicalizzazione violenta

(2008/C 211/17)

Con lettera del 17 dicembre 2007 la vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sulla:

Prevenzione del terrorismo e della radicalizzazione violenta

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU e dal correlatore CABRA DE LUNA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 147 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione ha chiesto al Comitato di elaborare un parere sulla prevenzione del terrorismo e più in particolare sulle politiche per la prevenzione della radicalizzazione violenta, tema su cui intende adottare una comunicazione nel luglio 2008. Scopo principale di tale comunicazione sarà individuare politiche, azioni e iniziative che possano essere considerate come buone pratiche di lotta alla radicalizzazione violenta. Si prevede che detta comunicazione verterà su temi come la radicalizzazione violenta nelle carceri e in altri luoghi particolarmente vulnerabili o che si prestano al reclutamento di terroristi, affrontando il discorso e l'ideologia degli estremisti violenti, nonché la questione dell'impegno e del rafforzamento della società civile.

1.2

Nel mondo caratterizzato dalla fine della guerra fredda e dalla globalizzazione economica si è assistito a una modifica profonda dei rapporti di forza internazionali, modifica che si è ripercossa sulla natura delle istituzioni universali come le Nazioni Unite, le quali hanno conosciuto (e riconosciuto) una vera e propria proliferazione di nuove entità statali che proclamano la propria sovranità e si dichiarano soggetti al diritto internazionale pubblico.

1.3

Per di più in un certo numero di questi nuovi paesi sono divampati dei conflitti, milizie armate occupano ancora parte dei loro territori e i diritti umani vengono spesso calpestati.

1.4

I territori e le regioni il cui controllo è inadeguato o del tutto inesistente costituiscono un rifugio per i capi dei principali gruppi terroristici, che tendono a insediare le loro basi dove lo Stato di diritto e le libertà pubbliche non esistono più.

1.5

Il ricorso alla guerra classica si è dimostrato poco efficace nella lotta contro questa minaccia diffusa e multiforme caratterizzata da strutture sparse sul territorio, che sfrutta l'integralismo e un'ideologia politica antidemocratica per manipolare organizzazioni e gruppi irregolari pronti a ricorrere alla violenza politica.

1.6

L'assenza di una soluzione pacifica della situazione palestinese e di altre situazioni di conflitto armato nel mondo costituisce certamente un fattore politico che favorisce lo sviluppo di idee estremiste e di atti terroristici internazionali, ma è opportuno notare che la grande maggioranza degli attentati avviene nel contesto di conflitti interni.

1.7

Certamente è stato dedicato uno sforzo insufficiente allo studio delle motivazioni e dei metodi di reclutamento che possono trasformare, come è avvenuto nel caso degli attentati dell'11 settembre 2001, dirigenti, ingegneri, intellettuali in pianificatori e autori di attentati suicidi coordinati, la cui ampiezza dimostra un alto livello di determinazione, d'intelligenza e di capacità di penetrazione nelle società democratiche. Affinché si possa elaborare una contro-strategia adeguata e di pari livello è indispensabile comprendere in maniera quanto più possibile approfondita i moventi ideologici e psicologici in gioco, procedere alle necessarie analisi geopolitiche, e mettere in campo tutti i dispositivi di raccolta e di scambio di informazioni.

1.8

In un'epoca in cui i mezzi di comunicazione e la globalizzazione hanno dato vita a un mondo globale, nel quale numerosi problemi non possono essere risolti semplicemente a livello nazionale, la crisi degli Stati nazionali si accompagna ad una crisi del diritto internazionale, che manca di mezzi di controllo dissuasivi e ancora più di adeguati mezzi giuridici d'intervento. Solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dispone di poteri sufficienti, ma tali poteri sono limitati dal diritto di veto di cui dispongono cinque paesi.

1.9

Di fatto, invece, un sistema multilaterale coerente e rinnovato potrebbe affrontare in migliori condizioni i problemi climatici, economici e sociali globali. Il terrorismo internazionale potrebbe essere più efficacemente combattuto in un quadro multilaterale che garantisca il coordinamento e la cooperazione tra governi e tra agenzie internazionali (Interpol), con la partecipazione delle ONG che restano vigilanti in materia di democrazia e di difesa dei diritti procedurali e delle libertà pubbliche.

2.   Responsabilità dell'Europa e azioni in corso o in preparazione

2.1

Per contrastare efficacemente il terrorismo a livello dell'Unione occorreva che gli Stati membri adottassero una definizione comune del crimine di terrorismo e procedessero al ravvicinamento delle loro disposizioni penali anche in materia d'incriminazione e di sanzioni. Questo processo e quello per l'adozione del mandato di arresto europeo sono stati rapidamente avviati, e via via il Consiglio ha adottato, soprattutto a partire dagli anni '90, decisioni-quadro a tal fine.

2.2

Dopo i sanguinosi attentati dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti d'America, è stato istituito l'indispensabile coordinamento tanto a livello internazionale che a livello europeo e comunitario: Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in collegamento con Interpol, NATO per le operazioni militari, Consiglio d'Europa, segnatamente con una convenzione europea contro il terrorismo, OSCE, ed infine Unione europea ed Europol. Vengono portate avanti cooperazioni con gli Stati Uniti d'America, i paesi del Magreb e l'Unione africana, oltre a operazioni specifiche d'assistenza ad alcuni paesi, sul piano militare, di polizia e finanziario.

2.3

si è formato un consenso, sia nelle istituzioni comunitarie che negli stati membri, a livello dei dirigenti politici e della grande maggioranza dei cittadini, sulla definizione di terrorismo, e sui tipi di azioni, legali o illegali, che non rientrano in questa definizione; occorre infatti poter definire con precisione la minaccia e i suoi sviluppi, per evitare la dispersione degli sforzi e restrizioni inutili dei diritti e delle libertà individuali e collettive.

2.4

Si può tuttavia constatare, in particolare in alcuni paesi africani e del Medio Oriente, retti da governi autoritari, una tendenza a contrastare qualsiasi forma d'opposizione politica sostenendo che si tratta di misure di lotta contro il terrorismo; ciò deve preoccupare l'Unione ed i suoi membri, alcuni dei quali hanno relazioni economiche, politiche e di cooperazione militare con i dirigenti di quegli stati e dovrebbero utilizzare la loro influenza per limitare questi abusi.

2.5

La cosa più difficile sul piano internazionale sembra essere trovare la risposta adeguata alle minacce che aleggiano costantemente nel mondo intero da parte di diversi movimenti terroristi, contro ambasciate o contro «obiettivi» diversi, in particolare la popolazione civile; ora, per ragioni geografiche, l'Europa resta il territorio più minacciato da attentati terroristici.

2.6

Le azioni terroristiche mirano a creare un clima di paura e d'insicurezza e a scuotere le istituzioni democratiche. Occorre dunque non cadere nella trappola di restrizioni ingiustificate dei diritti umani e delle libertà civili in nome della sicurezza; i paesi più minacciati conoscono da anni situazioni d'eccezione, di intensità più o meno forte, ed alcune misure possono andare al di là di ciò che è indispensabile o gestibile, come nel caso dei dati personali dei passeggeri che attraversano l'Atlantico, con un eccesso di dettagli ed una durata di conservazione dei dati troppo lunga.

2.7

La vigilanza sulle reti, la videosorveglianza generalizzata nei luoghi pubblici e privati accessibili al pubblico, la politica di controllo alle frontiere, il controllo delle manifestazioni, le ispezioni approfondite negli aeroporti possono, se sono esagerati, mettere in pericolo la vita privata, la libertà di circolazione, e più generalmente l'insieme delle libertà civili. Ciò può influire sul sostegno dei cittadini alle politiche di lotta contro il terrorismo, poiché queste azioni possono sembrare soprattutto dirette contro di loro.

2.8

Le intrusioni nella vita dei cittadini, i controlli rafforzati comportano anche il rischio (già in gran parte avveratosi) di moltiplicare i controlli verso alcune «minoranze visibili» ben determinate, che si sentiranno sempre più stigmatizzate e vittime di discriminazioni etniche o razziste; il livello di tolleranza è già in gran parte superato, cosa che contribuisce ad una certa «radicalizzazione violenta» in situazioni di conflitti e di scontri tra forze di polizia o soldati e giovani di alcune zone urbane ghettizzate, dove si assiste anche a distruzioni di edifici e di beni pubblici e privati.

2.9

Ma assimilare queste violenze urbane al concetto di «radicalizzazione della violenza», che è considerata un precursore del terrorismo o addirittura una forma di terrorismo in sé, può condurre a dare una definizione troppo ampia del reato di terrorismo, di tentato terrorismo o di complicità, allargandolo a diverse forme di violenza che, nonostante la loro gravità, non riflettono necessariamente l'intenzione di commettere un crimine terroristico, anche se dovessero causare distruzioni materiali importanti e lesioni a volte gravi.

2.10

Il movente dell'atto o del tentativo è essenziale per poterli qualificare come terroristici.

2.11

Movimenti terroristi si sono manifestati in un passato recente, ed ancora oggi, nel nostro continente; la violenza politica non ha motivazioni giustificabili nei paesi democratici in cui è possibile costituire partiti politici e partecipare ad elezioni regolari ed eque a tutti i livelli di governo locale, nazionale e nel nostro caso a quella dei deputati europei.

3.   Considerazioni generali

3.1

Se esiste un consenso sulla definizione del terrorismo, alcuni concetti nuovi possono creare problemi, come quello della «radicalizzazione violenta», definito dalla Commissione come «il fenomeno che vede persone abbracciare opinioni, vedute e idee che potrebbero portare ad atti terroristici quali definiti all'articolo 1 della decisione quadro del 2002 sulla lotta contro il terrorismo».

3.2

Ciò è stato sottolineato nella relazione Burgess al PE, per quanto riguarda il nuovo concetto di «radicalizzazione violenta», legato al sostegno del terrorismo ed al reclutamento per fini di terrorismo; anche in detta relazione si sostiene che il nodo principale da sciogliere in materia di definizione della radicalizzazione violenta e della sua prevenzione è quello dell'intenzionalità. Spesso, inoltre, la radicalizzazione è un processo che può dispiegarsi nel tempo, nell'arco di anni, cosa che concede tempo per il dialogo, per processi educativi e d'informazione ed altre misure preventive.

3.3

Il terrorismo è un dato già antico della vita politica, che attualmente utilizza i mezzi di comunicazione globali, i paradisi fiscali, le possibilità offerte dai paesi con un sistema di governo debole o da quelli il cui apparato statale è crollato, al fine di costituire in essi basi e campi d'addestramento. Tuttavia, si tratta più di una nebulosa che di una rete internazionale unica e strutturata.

3.4

La dimensione più nuova del suo impatto risiede certamente nei media istantanei e globali che danno conto in modo dettagliato e visibile, in immagini ed a volte quasi in diretta, degli attentati, la cui eco è senza precedenti nella storia. Ma la libertà della stampa impedisce di rallentare questa corsa al sensazionalismo, che rafforza considerevolmente, di fatto, l'effetto di timore e d'insicurezza provato dalle popolazioni civili e che garantisce pubblicità agli attacchi terroristici.

3.5

Internet costituisce uno spazio di comunicazione usato per diffondere delle ideologie che sostengono la violenza e che reclutano fiancheggiatori e anche candidati per gli attentati suicidi, per permettere i contatti tra gli autori degli attentati ed i loro capi, e per divulgare delle tecniche come la fabbricazione di bombe artigianali.

3.6

Ma al di là della caccia ai siti web che esaltano il terrorismo, sarà difficile controllare le comunicazioni tra certi gruppi, tenuto conto delle tecnologie attuali di criptaggio e di occultamento delle informazioni, scritte od orali.

3.7

Inoltre, il Comitato esprime dubbi quanto all'efficacia prevedibile delle misure rafforzate in corso d'adozione per sorvegliare Internet e le comunicazioni dei privati.

3.8

È pure lecito dubitare che i controlli d'identità, le ispezioni dei bagagli o dei veicoli alle frontiere stradali, negli aeroporti, nei porti e più di rado nelle stazioni degli autobus o ferroviarie impediscano veramente la circolazione dei terroristi, anche se la «securizzazione» delle carte d'identità costituisce un buon rimedio contro i documenti d'identità falsificati; se queste misure ostacolano effettivamente fino ad un certo punto i movimenti dei criminali in generale, esse complicano certo la vita di tutti i cittadini e tendono gradualmente ad un vero controllo capillare dei movimenti delle persone, se si tiene conto anche della proliferazione dei sistemi di sorveglianza video, degli agenti privati di sicurezza, della generalizzazione dei tesserini elettronici negli edifici pubblici e privati e delle emissioni dei telefoni mobili e di altri mezzi di localizzazione delle persone in tempo reale. Ma questi mezzi non possono impedire l'azione di un commando suicida. Creano invece la sensazione di vivere in uno stato di polizia se non si adottano provvedimenti democratici per dimostrare che l'impiego che si fa di queste tecnologie non va al di là di ciò che è strettamente necessario per il conseguimento del loro obiettivo. Organi nazionali di vigilanza sugli addetti alla sorveglianza e la costituzione di un gruppo europeo di riflessione in questo settore ed in quello degli archivi di presunti terroristi potrebbero essere una soluzione.

3.9

In linea di massima, la sorveglianza dei flussi finanziari illegali non ostacola veramente la vita quotidiana dei cittadini, mentre permette un controllo delle pratiche illegali (traffico di esseri umani, di armi, di droga …) che danno modo di accumulare questi capitali essi stessi illegali; ciò contribuisce, da un lato, a fare in modo che l'ottenimento dei mezzi diretti alla violenza terroristica avvenga in misura rallentata e, d'altra parte, favorisce la conoscenza del terreno in cui tale violenza si radica (1). Ma i trasferimenti in contante o con un sistema di corrispondenti che versano in un paese il denaro consegnato ad un intermediario in un altro paese, operazioni condotte o confermate da lettere o messaggi criptati, sono molto difficili da impedire; è soprattutto al livello della raccolta di fondi per organizzazioni di beneficenza o umanitarie aventi dei legami nascosti con dei gruppi terroristi che meccanismi di sorveglianza e di indagini possono essere efficaci; occorrerebbe tuttavia evitare di sorvegliare tutte le organizzazioni non governative e di rendere più difficili le loro attività umanitarie o di solidarietà e la raccolta di sovvenzioni, in un clima di sospetto generalizzato, che disturba i cittadini e complica l'azione delle loro organizzazioni, al punto di costituire, a volte, un ostacolo al normale svolgimento dei loro programmi.

3.10

Gli scambi di dati tra organi di polizia ed agenzie di intelligence riguardano informazioni particolarmente «sensibili», come l'immagine, il nome, l'indirizzo, l'impronta digitale e l'impronta genetica, l'appartenenza a diverse organizzazioni, e l'incertezza persiste per quanto riguarda la garanzia reale della protezione della vita privata e contro gli errori di registrazione o di valutazione negli archivi VIS, SIS, e i registri di polizia ed archivi diversi, nonché sulla possibilità per le persone ivi registrate d'intervenire per far correggere i dati.

3.11

In fin dei conti, il contributo essenziale del livello europeo è quello dell'armonizzazione, della cooperazione, della diffusione delle esperienze, che occorre perfezionare, evitando però di incoraggiare l'accumulo di legislazioni e di misure speciali quando le leggi e gli organi esistenti che operano contro la grande criminalità o la criminalità finanziaria possono essere estesi alla repressione del terrorismo.

3.12

Una vasta letteratura conferma che gli stati di emergenza, anche di bassa o media intensità, favoriscono generalmente una limitazione delle libertà civili, l'erosione delle garanzie dello Stato di diritto ed il sospetto verso gli stranieri, i migranti legali ed illegali ed i richiedenti asilo. Ciò si può osservare nella maggior parte degli Stati membri. Un'atmosfera di razzismo e di xenofobia tende ad estendersi, ed occorrerebbe, con la parola e con l'esempio, opporsi a questa marea montante.

3.13

I ruoli rispettivi degli Stati membri, delle istituzioni dell'Unione, di Europol, di Eurojust, ecc. sono ben definiti, ma è soprattutto il carattere operativo della cooperazione a livello delle agenzie di intelligence e delle indagini che deve essere incessantemente perfezionato.

3.14

Orbene, la prevenzione della violenza radicale e del terrorismo presuppone una conoscenza degli ambienti e delle ideologie che costituiscono un terreno favorevole per questo fenomeno, e ciò può contribuire a far piazza pulita di molti luoghi comuni, non comprovati.

3.15

L'organizzazione della lotta può realizzarsi soltanto in tempi lunghi, poiché occorre che la democrazia ed il rispetto delle libertà civili riprendano o prendano piede negli stati deboli o che non controllano tutto il loro territorio e nei paesi autoritari o dittatoriali.

3.16

Il Comitato ritiene che l'azione, in genere discreta, delle agenzie di intelligence e delle indagini di polizia non debba necessariamente accompagnarsi ad una politica che usa sistematicamente il segreto nei confronti dei cittadini e dei loro rappresentanti, tanto nazionali che europei; devono poter esercitarsi, in forme adeguate, un'informazione che favorisca la partecipazione dei cittadini e un controllo democratico nonostante il contesto, in particolare per evitare ogni deriva dello Stato di diritto.

4.   Il ruolo della società civile nella prevenzione del terrorismo e della radicalizzazione che conduce alla violenza

4.1   Il compito essenziale della società civile

4.1.1

La società civile è la vittima principale del terrorismo internazionale (che si tratti di quello provocato dal nazionalismo irredentista o dalla strumentalizzazione del fondamentalismo religioso, o di quello che persegue semplicemente la violenza come un fine in sé). Proprio contro la società civile agisce infatti il terrorismo che vuole colpire in modo collettivo e indiscriminato, che cerca di imporre un clima di terrore generalizzato, tale da costringere lo Stato a cedere alle sue richieste. Tuttavia, come già evidenziato dal parere del CESE sul tema La partecipazione della società civile alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo  (2), la società civile è anche uno dei principali protagonisti di qualsiasi strategia di lotta contro questa minaccia, attraverso i meccanismi per far fronte sia ai suoi aspetti più visibili, sia alle sue cause soggiacenti, senza dimenticare l'opera essenziale che svolge nell'assistenza alle vittime.

4.1.2

Fermo restando il ruolo centrale rivestito dagli Stati e dall'impalcatura istituzionale dell'Unione europea — specialmente nei settori della sicurezza, della difesa, della giustizia e delle finanze — nella lotta ai sintomi e agli effetti più visibili di questa minaccia (prevenzione degli attentati, perseguimento e smantellamento dei gruppi terroristici, arresto, processo e condanna dei responsabili di atti terroristici, interruzione dei canali di finanziamento, ecc.), la società civile ha in questo campo un compito essenziale, che si riassume in quanto segue:

4.1.2.1

vigilare attivamente affinché la lotta al terrorismo non travalichi mai i limiti dello Stato di diritto, e affinché siano preservati i diritti umani, i valori, i principi e le libertà propri di una società aperta e democratica;

4.1.2.2

collaborare con le autorità comunitarie e nazionali a tutti i livelli per l'identificazione di attività e attori implicati in reti terroristiche (in quest'ambito è particolarmente importante l'operato degli enti finanziari e dei gestori di servizi di telecomunicazione). Questa collaborazione deve basarsi su un impegno reciproco di tutte le parti coinvolte a condividere informazioni, capacità e sforzi al servizio dell'obiettivo comune della sconfitta del terrorismo;

4.1.2.3

istituire canali di dialogo con leader e attori sociali delle comunità di riferimento dei gruppi terroristici, per promuovere uno sforzo comune di critica e delegittimazione del discorso e dell'azione violenta;

4.1.2.4

scambiare, tra i diversi attori sociali e con le autorità nazionali e comunitarie, esperienze e prassi che portino all'isolamento e al controllo di individui e gruppi suscettibili di cadere nell'esclusione e nella radicalizzazione che conduce alla violenza, dedicando sempre una scrupolosa attenzione alla garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali e nel più rigoroso rispetto delle norme dello Stato di diritto;

4.1.2.5

contribuire col proprio punto di vista (sui processi di integrazione e su idee, atteggiamenti e funzionamento dei gruppi particolarmente importanti per questa materia) ai programmi di formazione per il personale delle forze di polizia, di sicurezza e di intelligence che sono in prima linea nella lotta contro questa minaccia;

4.1.2.6

avviare esperienze pilota che concentrino gli sforzi nei luoghi più esposti alla disaffezione, alla radicalizzazione e al reclutamento (carceri, luoghi di culto, scuole, quartieri periferici, call center e Internet point), esperienze orientate a prevenire l'esclusione, la radicalizzazione e la demonizzazione di individui o gruppi in ragione della classe sociale, del sesso, dell'etnia o della religione.

4.2   L'integrazione come approccio preventivo — Proposte concrete

4.2.1

Il compito della società civile, in ogni caso, diventa quello di un autentico protagonista nell'attenzione alle cause soggiacenti che fanno da brodo di coltura della violenza terroristica. Senza fare delle possibili cause individuate su questo piano una giustificazione per alcun tipo di violenza, è tuttavia possibile spiegare molte delle derive terroristiche come punto d'arrivo di processi di disaffezione, di radicalizzazione e di reclutamento che si alimentano delle disuguaglianze orizzontali tra gruppi presenti nello stesso territorio, di fenomeni di esclusione e discriminazione (sociale, politica o economica) e di una mancanza di imparzialità nel giudicare le azioni dei diversi attori. L'integrazione costituisce pertanto l'elemento centrale di qualsiasi strategia di largo respiro, con un approccio preferibilmente preventivo, che aspiri a:

4.2.2

rafforzare sistemi d'istruzione, formali e non formali, orientati a eliminare stereotipi negativi e a favorire la tolleranza e la convivenza su una base di valori condivisi che adottino come riferimento principale i diritti umani (ciò comporta, tra gli altri compiti, una revisione dei testi scolastici attuali affinché riformulino gli stereotipi di conflitto e li trasformino in motori di tolleranza e di pedagogia multiculturale).

4.2.3

Incoraggiare i diversi mezzi di comunicazione ad assumere impegni comuni (in particolare codici di comportamento) per non dare accoglienza a discorsi e posizioni che possano alimentare l'esclusione, il razzismo e la xenofobia. Pur nel rispetto assoluto della libertà di stampa e di espressione, è importante promuovere i prodotti mediatici e i punti di vista che diffondano i valori condivisi nel corso della storia e i vantaggi della ricchezza multiculturale in un mondo globalizzato.

4.2.4

Diffondere, mediante campagne pubbliche, messaggi e punti di vista inclusivi, che contribuiscano a chiarire e a sostituire concetti erronei (terrorismo islamico con terrorismo internazionale; assimilazione con integrazione) o immagini inadeguate (immigrati con cittadini) che rafforzano le divisioni e i conflitti.

4.2.5

Contribuire alla presa di coscienza sull'importanza di individuare nei diritti umani la base fondamentale della convivenza in una società multiculturale. Su questa stessa linea, la società civile organizzata deve essere un motore importante dell'aspirazione a creare una società in cui tutti godano degli stessi diritti (sociali, politici ed economici) e abbiano gli stessi doveri.

4.2.6

Promuovere la creazione di piattaforme sociali, in cui siano rappresentate le diverse comunità presenti su ciascun territorio nazionale e che puntino ad avviare meccanismi di inclusione e di risoluzione pacifica delle differenze.

4.2.7

Identificare e sostenere i leader e le organizzazioni civili che rappresentano le altre comunità presenti nel territorio dell'UE come interlocutori privilegiati nell'avvicinamento a persone di altre culture, il tutto con l'obiettivo centrale di cercare il dialogo e la collaborazione per eliminare le cause che possano portare a disaffezione e radicalizzazione di alcuni dei loro componenti.

4.2.8

Mettere a punto programmi specifici, finalizzati alla deradicalizzazione di potenziali simpatizzanti delle idee e delle pratiche del terrorismo nei luoghi di reclutamento abituale (carceri, luoghi di culto ecc.) e orientati all'integrazione sociale e alla creazione di posti di lavoro.

4.2.9

Impostare da questa prospettiva la cooperazione decentrata, su scala sia nazionale che comunitaria (avvalendosi dell'esistenza di ambiti già definiti, come il partenariato euromediterraneo, la politica europea di vicinato o la collaborazione con i paesi ACP). Ciò vuol dire avvalersi delle enormi potenzialità offerte dalle politiche di cooperazione allo sviluppo degli Stati membri e della stessa UE e stabilire progetti di cooperazione sul campo con attori che, benché si richiamino a convinzioni religiose o ispirate al nazionalismo, esprimano un radicale rifiuto della violenza come metodo di azione.

4.2.10

Ampliare notevolmente, all'interno dell'UE e nel contesto dei rapporti con altri paesi, il numero e la dotazione finanziaria dei programmi di scambio di insegnanti, studenti, giornalisti, organizzazioni imprenditoriali e sindacali, difensori dei diritti umani, membri delle organizzazioni non governative, ecc., il tutto facendo particolare attenzione alla necessità di migliorare l'aspetto pari opportunità tra i generi. La conoscenza personale e lo scambio di esperienze e punti di vista sono metodi prioritari per demolire gli stereotipi negativi e costruire un futuro comune in un secolo che è chiamato a essere multiculturale (3). Sarebbe dunque estremamente utile avvalersi delle peculiarità del CESE per esplorare, grazie ai suoi canali di contatto e di collaborazione con organismi extracomunitari, nuove linee di intervento che mirino a evitare la radicalizzazione di determinati individui o gruppi.

4.2.11

Favorire l'emergere e il consolidarsi di piattaforme di partecipazione inclusiva della popolazione (autoctona e straniera) su basi trasversali di rappresentanza dei cittadini, in sostituzione di quelle basate sul nazionalismo o l'appartenenza a una fede religiosa.

4.2.12

Dare impulso al lavoro di ricerca dei centri e degli istituti specializzati, tanto nel territorio dell'UE quanto in collaborazione con quelli ubicati nei paesi di particolare interesse per questo tema. Deve essere particolarmente rilevante il sostegno a progetti e studi che aspirino a conoscere meglio i processi suscettibili di portare all'alienazione, al reclutamento e alla radicalizzazione violenta, nonché le interrelazioni tra le diverse variabili in gioco.

4.3   L'assistenza alle vittime

4.3.1

Infine, ma non per questo meno importante, l'assistenza alle vittime dirette degli atti terroristici va intesa come parte fondamentale di un approccio globale nel quale la stessa società civile assuma pienamente il suo ruolo nella lotta contro la minaccia terroristica. Al fine di evitare che le vittime siano dimenticate o che subiscano emarginazione sociale, in questo campo risulta prioritario:

4.3.2

agire affinché alle vittime di qualsiasi tipo di azione terroristica siano riconosciuti pienamente tutti i diritti (compresi i dovuti risarcimenti economici), sul territorio nazionale come in qualunque altro luogo.

4.3.3

Mettere a punto meccanismi sociali di sostegno (fisico, psicologico, ma anche economico) che favoriscano il superamento del trauma ed evitino l'emergere di fenomeni di demonizzazione o di discorsi apertamente razzisti o xenofobi.

4.3.4

Mobilitare la volontà politica dei rispettivi governi nazionali e dell'UE per stabilire basi consensuali di riconoscimento di queste persone e di assistenza e protezione della loro vita.

4.4   Le persone come soggetto principale della sicurezza e della prevenzione: politiche complementari

4.4.1

Se si parte dal presupposto che le persone costituiscono il principale patrimonio di qualsiasi Stato, e conseguentemente dell'UE, ai fini della sicurezza umana, della costruzione della pace e della prevenzione dei conflitti violenti è bene:

4.4.2

predisporre strategie e sforzi multidimensionali per garantire un livello di benessere e di sicurezza dignitoso a coloro che condividono uno stesso territorio e ai loro vicini, in base alla considerazione che, promuovendo il loro sviluppo e la loro sicurezza, si garantirà al tempo stesso il proprio sviluppo e la propria sicurezza.

4.4.3

Ridurre, fino ad eliminarle, le disuguaglianze tra gruppi e tra paesi, come via principale per promuovere la sicurezza di tutti. La base comune della convivenza e del contenimento della minaccia terroristica torna a essere il rispetto scrupoloso dei diritti umani e il consolidamento di un contesto democratico, assicurando il libero esercizio delle diverse pratiche religiose in un quadro di separazione degli affari pubblici. A tal fine è inoltre essenziale evitare che si creino spazi sociali ai margini della legge (limbi giuridici o ghetti basati su consuetudini in quest'ottica inaccettabili).

4.4.4

Comprendere che la sicurezza non può essere ottenuta a costo della libertà oppure riducendo il quadro di diritti proprio di una società aperta e democratica, né applicando metodi di azione antiterroristica che finiscano per assomigliare a quelli di chi si vuole combattere.

4.4.5

Riconoscere che l'approccio necessario per contrastare il terrorismo (necessariamente multidisciplinare, multidimensionale e di lungo periodo) può dare frutti soltanto se saranno disponibili risorse di bilancio specifiche e adeguate, in cui confluiscano i contributi nazionali e comunitari.

4.5   Partenariati pubblico-privati

4.5.1

La minaccia terroristica è diffusa, permanente e globale. Nessuno è al riparo dalle sue conseguenze, ed essa ha caratteristiche e sviluppi in continuo mutamento. Questo aspetto, assieme alla percezione di non essere ancora pervenuti a definire una strategia adeguata per affrontarla, comporta la necessità di rivedere costantemente le analisi, le valutazioni e i metodi adottati per combatterla. Si tratta di un compito che riguarda tutti, i governi e le istituzioni comunitarie come la società civile nel suo complesso. In questo esercizio che è per definizione inclusivo, si impone comunque la necessità di esplorare le potenzialità dei partenariati pubblico-privati (senza che ciò conduca in alcun caso a una privatizzazione della sicurezza e della difesa, che sarebbe controproducente) al servizio di un obiettivo comune: il benessere e la sicurezza di tutti (4). Tra gli elementi fondamentali di questo impegno rivestono particolare rilievo:

4.5.2

l'elaborazione di un glossario terminologico che consenta di concordare, sia sul piano della discussione che su quello operativo, concetti che orientino il lavoro di tutte le parti e gli attori coinvolti.

4.5.3

Il controllo democratico della strategia di lotta al terrorismo a tutti i livelli e in tutte le sue manifestazioni.

4.5.4

La consapevolezza dell'importanza che riveste la politica estera degli Stati membri — e la PESC/PESD a livello comunitario — nonché le politiche nazionali e quella comunitaria di cooperazione allo sviluppo, per la prevenzione del terrorismo e per la deradicalizzazione di potenziali terroristi.

4.5.5

L'assoluta necessità di pervenire a una dotazione di bilancio adeguata e stabile per tutti i programmi e le azioni menzionati nel presente parere.

4.5.6

L'opportunità di aprire, ovvero di mantenere, canali di dialogo e collaborazione con attori e organismi di carattere sociale, politico ed economico, sia all'interno che all'esterno delle frontiere dell'UE, in considerazione del fatto che è impossibile garantire da soli il successo nella lotta a questa minaccia e tenendo conto dei vantaggi derivanti dal coordinamento degli sforzi volti a elaborare visioni e strategie di azione coerenti e stabili.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE dell'11 maggio 2005 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo, relatore: SIMPSON, GU C 267 del 27.10.2005, punti 3.1.8 e 3.2.1.

(2)  Parere esplorativo del CESE del 13 settembre 2006 sul tema La partecipazione della società civile alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo (capitolo 13), relatori: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO, PARIZA CASTAÑOS e CABRA DE LUNA (GU C 318 del 23.12.2006).

(3)  Parere CESE del 20 aprile 2006 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale (2008), relatrice: CSER (GU C 185 dell'8.8.2006).

(4)  Come veniva già raccomandato nel capitolo 13 del parere esplorativo del CESE del 13 settembre 2006 sul tema La partecipazione della società civile alla lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, relatori: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO, PARIZA CASTAÑOS e CABRA DE LUNA (GU C 318 del 23.12.2006).


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale

COM(2007) 380 def. — SEC(2007) 910

(2008/C 211/18)

La Commissione, in data 5 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, nessun voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di gettare le basi di un dibattito politico in seno al PE ed al Consiglio in grado di far emergere dei principi comunemente accettati sulla concessione di deroghe al regime dell'IVA. Trattandosi di un processo con connotazioni marcatamente politiche, la data ultima della fine 2010, prevista per l'adozione di nuove regole, risulta pienamente realistica.

1.2

Lo scopo originario dell'adozione del regime dell'IVA era quello di creare le premesse di un'armonizzazione fiscale che permettesse il buon funzionamento del mercato interno: le numerose modifiche intervenute nel tempo, ma soprattutto le esenzioni e le deroghe, hanno tuttavia operato in senso contrario e il tentativo di uniformare le deroghe è da considerare come il meglio che si possa fare nelle presenti circostanze.

1.3

Le deroghe sono applicate in ogni Stato membro in base a criteri di fiscalità, commisti a preoccupazioni di carattere politico e sociale; esse sono ammesse quando non hanno un impatto transfrontaliero o rispondono a criteri consolidati di politica comunitaria. Il CESE ritiene da parte sua che, pur rispettando questi criteri, esse debbano essere esaminate soprattutto — anche se non esclusivamente — dal punto di vista del loro contributo ad una politica di redistribuzione dei redditi.

1.4

Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata, nel corso delle discussioni, ai servizi locali che non possono essere forniti a distanza, e che non hanno quindi un impatto diretto sul mercato interno: una categoria nella quale rientrano numerose attività che, accanto ad un'indubbia utilità economica e sociale, presentano aspetti controversi o che si prestano a considerazioni differenti: attività artigiane, ristorazione, servizi sanitari pubblici e privati, settori ad alta intensità di lavoro non qualificato, libri e giornali.

1.5

Il CESE attira l'attenzione sulla necessità di accordare le esenzioni in base ad un criterio di differenziazione della spesa fra gruppi a basso reddito e gruppi a reddito più elevato: una distinzione difficile da operare. Ma ricorda soprattutto che le esenzioni devono ispirarsi a criteri di trasparenza e tenere conto dei costi che regolamentazioni imprecise o generiche comportano per le amministrazioni fiscali e per le imprese, costi che in definitiva ricadono sui consumatori finali.

1.6

Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata alle sovvenzioni dirette come opzione alternativa all'IVA ridotta: una soluzione che la Commissione prospetta, senza peraltro prendere posizione. Il CESE ritiene che questa alternativa sia da considerare con particolare cautela e sia da adottare con parsimonia e solo nei casi in cui altre soluzioni si presentino difficili; in ogni caso, le sovvenzioni non dovrebbero mai prendere la forma di aiuti di Stato.

2.   Premessa

2.1

Il regime dell'IVA è per sua natura basato su un sistema complesso; nato nel 1977 come regime «provvisorio» (1), esso è ancor oggi — dopo trent'anni! — denominato tale. Nel tempo tale regime ha subito una quantità innumerevole di modifiche come risultato di adeguamenti a situazioni contingenti o durature, considerazioni di carattere politico, evoluzioni del mercato interno, allargamento.

2.2

L'azione necessaria per semplificare il lavoro delle amministrazioni e dei soggetti economici è stata intrapresa dalla Commissione con la «direttiva IVA» del 2006  (2), che ha messo ordine nella legislazione e costituisce in pratica il «testo unico» della materia. I principi ispiratori di questa nuova direttiva sono quelli originari del 1977, parzialmente riveduti nel 1992: in linea generale, l'aliquota normale minima è del 15 % (3) e la percezione dell'imposta avviene di massima nel luogo d'origine. Sono però previste deroghe ed eccezioni: l'aliquota normale può essere ridotta e la tassazione di talune merci o servizi può avvenire nel luogo di destinazione.

2.3

Secondo le norme, gli Stati membri (SM) possono applicare una o due aliquote ridotte, ma limitatamente ai beni e servizi elencati in allegato alla direttiva IVA (4). Tutti gli SM, con la parziale eccezione della Danimarca, si avvalgono di tale facoltà, ma in misura diversa e con applicazione a beni o servizi diversi, scelti fra quelli ammessi. Comportamenti così variegati sono ben lontani dal mettere in pratica i principi di coordinamento necessari per il buon funzionamento del mercato unico. La Commissione si propone ora di lanciare un «invito al dibattito politico» al Consiglio e al Parlamento europeo — con la partecipazione del CESE di cui si è richiesto il parere — al fine di giungere ad un accordo fra gli SM su una nuova architettura delle aliquote IVA ridotte.

2.3.1

Si tratta, in pratica, di rivedere l'intera struttura delle deroghe specifiche e temporanee già concesse, le prime agli SM di meno recente adesione, e le seconde al gruppo dei «nuovi» SM, ricostruendo una struttura che tenga conto di obiettivi coerenti con la logica del mercato interno. Non si tratta di un processo semplice: si dovrà trovare un equilibriosu base comune — tra tutte le necessità di carattere politico, economico e sociale che nel tempo hanno giustificato le deroghe e le esclusioni, applicate poi da ogni SM secondo le proprie particolari esigenze. La Commissione non si fa illusioni sulle difficoltà del percorso: prevede infatti che il processo di consultazione non potrà tradursi in una nuova regolamentazione prima della fine del 2010.

2.4

Un passo preliminare, necessario per mettere tutti gli SM su un piano di parità in materia di deroghe, è stato compiuto con la proposta di direttiva che proroga fino al 31 dicembre 2010 le deroghe temporanee concesse ai nuovi SM  (5). La ragione della proposta, che è stata approvata il 20 dicembre 2007, sta nel diverso regime in vigore per le deroghe: gli SM di meno recente adesione godono di deroghe senza limiti di scadenza, mentre quelle per i nuovi SM sono scadute alla fine del 2007. La proroga concessa il 20 dicembre 2007 a questi ultimi mette tutti su un piede di parità, almeno fino al 2010; per quella data la Commissione spera che il Consiglio e il Parlamento europeo avranno raggiunto un accordo sull'adozione di un regime stabile e uniforme delle aliquote IVA diverse dall'aliquota normale.

2.5

La comunicazione oggetto del presente parere mira a gettare le basi di un «dibattito politico» in seno al Parlamento europeo e al Consiglio, in grado di far emergere dei principi comunemente accettati che permettano di redigere delle proposte di regolamentazione con una forte probabilità di essere accolte. Con in mente l'esperienza del passato e del presente, la Commissione è giustamente cauta nelle sue affermazioni e possibilista quanto alle decisioni da prendere: attende di ricevere dei segnali. Con la sua comunicazione si limita quindi a fornire in modo equilibrato ogni utile elemento di considerazione e di giudizio, ispirandosi ai principi consolidati del mercato unico e della strategia di Lisbona, ma senza prendere posizioni definite. Il CESE considera questa iniziativa come decisiva per il futuro del mercato interno in materia fiscale: un'occasione unica, il cui successo dipenderà dal senso di responsabilità e dalla buona volontà dei decisori.

3.   Il contenuto della comunicazione

3.1

La comunicazione riprende, in sintesi, uno studio di Copenaghen Economics che ha esaminato, per conto della Commissione e in esecuzione del mandato del Consiglio e del Parlamento europeo, l'impatto delle aliquote IVA ridotte e delle relative deroghe, con particolare attenzione agli aspetti sociali (distribuzione del reddito) e ai costi del sistema. Il CESE deve tributare alla Commissione un elogio particolare per la qualità del documento da essa elaborato sulla base dello studio. In esso, infatti non vi sono né elementi trascurati né angoli morti: il dibattito che ne scaturirà può basarsi su tutti gli elementi di giudizio necessari.

3.2

Come premessa, la Commissione espone il suo obiettivo, che è quello di «assicurare pari opportunità agli SM nonché più trasparenza, coerenza e, soprattutto, un buon funzionamento del mercato interno, riducendo ad esempio gli ostacoli alle attività economiche transfrontaliere e i costi inerenti al rispetto della normativa in materia di IVA» (6).

3.3

In concreto, e con riferimento allo studio di Copenaghen Economics, la Commissione rileva che dal punto di vista puramente economico la soluzione più razionale sarebbe quella di un'aliquota IVA unica: essa consentirebbe la riduzione dei costi di gestione per le amministrazioni e le imprese e — in linea teorica — la riduzione delle distorsioni di concorrenza. Come ogni norma rigida, l'aliquota unica rischia però di non essere sempre adatta ad ogni circostanza e necessita quindi di una certa dose di flessibilità: è questo il principio alla base delle aliquote ridotte.

3.4

L'applicazione di aliquote ridotte risponde a criteri economici, ma si ispira anche a criteri sociali e politici: ne sono un esempio i servizi ad alta intensità di manodopera (specie se non qualificata) e i servizi prestati localmente quando non abbiano un'incidenza rilevante sul traffico transfrontaliero. Questi criteri si ispirano al concetto che aliquote più basse (e quindi prezzi più contenuti) aumenterebbero la produttività e l'occupazione: i cittadini farebbero maggior ricorso a prestatori professionali, diminuendo così il «fai da te» e spendendo altresì meno nell'economia sommersa.

3.5

L'elenco completo delle merci e servizi che beneficiano di aliquote ridotte (articolo 98 della direttiva IVA) è contenuto nell'allegato III alla direttiva stessa; per quanto riguarda i servizi ad alta intensità di lavoro, essi devono rispondere (articolo 107) a tre criteri: oltre a quello citato nel punto precedente, deve trattarsi di servizi resi in larga misura direttamente ai consumatori finali e di servizi a natura locale, non atti a creare distorsioni della concorrenza. Per le merci e per i servizi «normali», i criteri sono meno espliciti, ma il loro stesso elenco fa comunque emergere con evidenza i motivi «sociali» sottesi: si tratta infatti di prodotti alimentari, farmaceutici, acqua, pubblicazioni, servizi televisivi, ecc. Il Comitato si riserva di commentare più avanti questi aspetti (cfr. punto 4.12).

3.6

La Commissione commenta uno degli argomenti più comunemente avanzati a favore delle aliquote ridotte, e cioè quello secondo il quale esse risponderebbero a criteri di maggiore equità sociale in quanto migliorerebbero la distribuzione dei redditi a favore dei ceti meno abbienti. Lo studio, e a quanto sembra anche la Commissione, pone qualche condizione alla condivisione di questo argomento: le aliquote ridotte hanno un reale effetto distributivo soltanto se la parte di spese dedicate al consumo dei beni «favoriti» è stabile nel tempo e crea una situazione di reale differenziazione fra gruppi a basso reddito ed altri a reddito più elevato. La comunicazione rileva peraltro che esistono marcate differenze fra paese e paese, e che la maggiore o minore efficacia delle aliquote ridotte è in relazione alla maggiore o minore differenza di redditi fra le classi sociali.

3.7

Un aspetto di non lieve rilevanza è quello relativo ai costi del sistema: le aliquote diverse dall'aliquota normale comportano oneri amministrativi elevati per le imprese e per le autorità fiscali, particolarmente quando la loro applicazione si presta ad interpretazioni, il che costituisce quasi la norma.

3.8

La Commissione, citando lo studio, non mette esplicitamente in causa il sistema delle aliquote ridotte, ma si domanda se strumenti politici alternativi non sarebbero più adeguati agli scopi che gli SM si prefiggono. Cita infatti come alternativa, o come una delle alternative, un sistema di sovvenzioni dirette, che raggiungerebbe gli stessi obiettivi con costi inferiori. Questo sistema potrebbe essere congegnato in modo da evitare ricadute negative a livello UE, garantirebbe maggiore trasparenza e sarebbe meno costoso per i bilanci degli SM. Tuttavia, si osserva, le sovvenzioni dirette potrebbero rivelarsi di dubbio vantaggio per le imprese: la loro concessione potrebbe infatti rivelarsi aleatoria e temporanea, dipendendo da necessità di bilancio dello Stato o da orientamenti politici del momento.

3.9

La Commissione sembra attribuire una notevole importanza a quest'ultima alternativa, o comunque a qualunque alternativa al sistema delle aliquote ridotte: essa infatti «raccomanda agli SM di esaminare attentamente tutte le opzioni disponibili». Senza aver l'aria di prendere posizione, essa osserva che «spesso strumenti diversi si rivelano più efficaci e meno costosi per le finanze pubbliche delle aliquote IVA ridotte, e di questo occorre tener conto nel processo decisionale».

4.   Osservazioni e commenti

4.1

Occorre rallegrarsi con la Commissione per il rigore e l'equilibrio della sua comunicazione. In particolare, per il CESE è motivo di particolare soddisfazione il fatto di trovare conferma della fondatezza di alcune posizioni che aveva espresso a suo tempo e che verranno richiamate nel corso di questi commenti. In primo luogo, e con riferimento a quanto detto al precedente punto 3.9, il Comitato ricorda di aver manifestato la sua perplessità nei confronti del sistema delle deroghe in occasione del suo parere sulla direttiva IVA (7): disse allora che «non risulta che esista una volontà [degli SM] di prendere in esame le deroghe … al fine di eliminarle». Questa posizione si trova ora confermata e rafforzata dall'autorevole studio di Copenaghen Economics, condiviso, a quanto sembra, dalla Commissione. Tuttavia, ci si rende conto che l'ipotesi di soluzioni alternative al momento rimane tale, a meno di un ribaltamento degli orientamenti correnti degli SM.

4.2

L'IVA è di per se stessa un'imposta macchinosa, di difficile applicazione, ampiamente soggetta ad evasione, di applicazione costosa per gli SM e per le imprese (8). Ma, soprattutto, non raggiunge lo scopo originario, che era quello di creare un regime definitivo di armonizzazione fiscale. Si deve tuttavia notare che l'armonizzazione fiscale non è un fine a se stesso, ma una condizione necessaria per il buon funzionamento del mercato interno. Queste erano in ogni caso le intenzioni dei fondatori, ricordate dalla Commissione con la sua comunicazione del gennaio 1993. Il Comitato considera quest'ultimo documento come una pietra miliare nella storia dell'evoluzione dell'IVA e rileva con dispiacere che esso non ha avuto seguito (se non per l'accettazione dell'aliquota minima del 15 %) a causa dell'opposizione di taluni SM. Oggi la situazione non è cambiata: il tentativo della Commissione di mettere ordine almeno nel settore delle esenzioni è da considerare certamente con favore, ma al tempo stesso costituisce una dimostrazione di impotenza a fare di più sul cammino dell'armonizzazione fiscale a livello comunitario. Di questa situazione non è obiettivamente responsabile la Commissione, ma neanche lo sono, o comunque non unicamente, gli SM: il problema fondamentale sta nella struttura stessa dell'IVA «in regime temporaneo», come più avanti sarà spiegato.

4.3

Occorre in definitiva rendersi conto, e accettare ancora per lungo tempo, che nella sua concezione attuale l'IVA risponde per ogni SM a obiettivi prevalentemente fiscali, commisti a preoccupazioni politiche e sociali che si traducono nell'applicazione di aliquote ridotte o superiori al minimo. A livello comunitario, l'armonizzazione è quindi un'aspirazione che non trova riscontro nei fatti e la comunicazione in esame rappresenta un tentativo di porvi un parziale rimedio e cioè quello di armonizzare l'IVA ridotta, almeno per quelle attività che hanno un impatto transfrontaliero o rispondono a criteri già accettati di politiche comunitarie. Da parte sua il CESE sottolinea che i decisori dovrebbero tenere sempre presente che, se uno degli scopi dell'IVA ridotta è quello di operare una redistribuzione dei redditi, esso deve trovare un reale riscontro nei fatti. In altri termini, ogni riduzione dell'imposta deve essere scrupolosamente analizzata per accertare che realmente risponda ad un criterio sociale e non nasconda altri meno confessabili scopi. Altre esigenze da tenere in considerazione sono la semplificazione degli adempimenti e la trasparenza delle regole: due requisiti che facilitano la vita delle aziende ma che d'altra parte permettono controlli più facili e più economici per le autorità fiscali.

4.4

L'allegato III alla direttiva IVA contiene un elenco di 18 categorie alle quali l'aliquota ridotta è applicabile; ogni SM ha facoltà di scegliere le categorie, di fare esclusioni all'interno di esse e di determinare la misura dell'imposta ridotta. La comunicazione in esame invita gli SM a «esaminare i beni e servizi supplementari per cui si propongono aliquote ridotte, al fine di determinare le distorsioni che potrebbero derivare dall'applicazione — facoltativa — di tali aliquote e decidere se tali distorsioni sono accettabili» (9). Dal contesto generale della comunicazione non sembra di poter interpretare questo messaggio come un invito ad allargare la lista di tali beni e servizi, semmai il contrario. Il CESE è comunque esplicitamente contrario all'allargamento delle categorie di beni o servizi ai quali applicare le aliquote ridotte: se si vuole proseguire — almeno idealmente, per il momento — sulla via dell'armonizzazione, gli SM dovrebbero semmai ridurre, e non aumentare, l'elenco dell'allegato III.

4.5

La linea della Commissione è comunque globalmente condivisibile: dimenticato — o accantonato ancora per lungo tempo — il miraggio di un regime «definitivo», una delle priorità è quella di concedere maggiore autonomia agli SM nel fissare aliquote ridotte per i servizi locali che non possono essere forniti a distanza. La Commissione rileva che questi servizi «non incidono sul funzionamento del mercato interno»: non si tratta tanto di pragmatismo quanto del riconoscimento degli imperativi politici o sociali che sono alla base della concessione di esenzioni.

4.6

Occorre peraltro analizzare con attenzione le affermazioni che si prestano a facili generalizzazioni: se la tassazione di attività locali non incide sul funzionamento del mercato interno, allora ogni merce o servizio prodotto e consumato localmente dovrebbe essere soggetto ad una tassazione stabilita su base locale: un principio che sovvertirebbe totalmente le basi stesse della direttiva IVA. Certamente la Commissione non intende né stabilire né accettare tale principio.

4.7

Scendendo nel dettaglio degli aspetti ricordati dalla Commissione,merita qualche commento l'affermazione secondo la quale il ricorso ad aliquote ridotte può produrre vantaggi in settori accuratamente selezionati, aumentando la produttività generale e quindi il PIL. In questa categoria rientrano i servizi prestati localmente: una riduzione dell'IVA indurrebbe i consumatori a ridurre il «fai da te» e a dedicare così maggior tempo alle loro attività professionali. Occorre però guardare la realtà: il «fai da te» è un'occupazione del tempo libero, non solo socialmente utile, ma anche economicamente valida per le famiglie, quindi da incoraggiare. D'altra parte, è possibile che una riduzione dell'imposta possa produrre maggiori introiti per il fisco, ma solo per la parte del «fai da te» sostituibile con l'intervento di imprese soggette ad imposizione fiscale; non è dato sapere quanta parte sarebbe invece trasferita al settore del lavoro nero. Certamente l'economia sommersa o parzialmente sommersa — nonché l'evasione — non emergerà solo perché fruisce di un'IVA ridotta. Ben altre misure sono necessarie a questo fine.

4.8

Una nota particolare è riservata ai servizi di ristorazione, che secondo la Commissione sono in una situazione non ben definita, o per meglio dire controversa. Da un lato si osserva che essi sono destinati principalmente al consumo interno, ma dall'altro si riconosce che essi hanno una notevole importanza nel quadro delle politiche turistiche di certi paesi, e per tutti quelli delle zone frontaliere. Su questo argomento non sarà facile trovare un accordo, come già si è visto in passato: secondo il Comitato, su questo particolare argomento sarà necessaria una decisione di carattere puramente politico. Ogni altra considerazione ispirata a motivi economici o fiscali rischia di prolungare le discussioni all'infinito: ciascuno rimarrà sulle proprie posizioni, giustificate da validi motivi di politica interna.

4.9

Sempre in materia di servizi prestati localmente, il Comitato attira l'attenzione sul settore che rischia di diventare materia di un importante dibattito e cioè quello dei servizi sanitari pubblici e privati, che già possono fruire, sotto certe condizioni, di aliquote ridotte (10). È nota la crescente tendenza dei cittadini di alcuni SM ad avvalersi dei servizi pubblici di assistenza medica e chirurgica di altri paesi, considerati a torto o a ragione più efficienti. Questo fenomeno poco ha a che fare con la fiscalità; più pertinente è invece ai fini fiscali la scelta di ricorrere, in altri paesi, ai servizi prestati da cliniche e professionisti privati. La forte differenza fra le tariffe praticate nei diversi SM produce, particolarmente in certi settori della sanità, una diversione dal mercato nazionale verso altri paesi. La caratteristica «locale» di questi servizi è quindi in fase di attenuazione e sta piuttosto assumendo, per taluni servizi e in alcuni paesi, una connotazione transnazionale. In questo campo le distinzioni non sono facili né è possibile generalizzare: i rischi di controversie sono dunque elevati.

4.9.1

Un accordo dipenderà dall'equilibrio che si riuscirà a trovare tra diverse ed opposte esigenze: da un lato, il carattere spiccatamente sociale della protezione della salute consiglierebbe l'inclusione di questi servizi fra quelli ai quali viene accordata una aliquota ridotta, dall'altro, potrebbero essere evocate questioni di concorrenza. La decisione finale dovrebbe tenere in conto il diritto del cittadino a farsi curare con il minor onere possibile per il proprio bilancio familiare; in altri termini, l'interesse del cittadino/consumatore dovrebbe essere considerato prioritario rispetto ai principi della concorrenza.

4.10

Controversa è l'applicazione dell'IVA ridotta ai settori ad alta intensità di lavoro non qualificato. Lo studio citato dalla Commissione osserva che questa misura può determinare una crescita permanente dell'occupazione, ma in misura «verosimilmente limitata», il che è probabilmente vero. Anche in questo caso una decisione si presenta difficile: i settori di questo tipo (edilizia, lavori stradali, imprese di pulizia, mercati, ecc.) rispondono ad una domanda generalmente anelastica, e quindi una riduzione dell'IVA per essi avrebbe un effetto solo molto limitato sull'occupazione. D'altra parte, essi sono anche quelli nei quali l'impiego «in nero» della manodopera non qualificata è più frequente. Una riduzione dell'IVA contribuirebbe certamente a diminuire i costi delle imprese, ma rimane aperto il quesito se a questo corrisponderebbe una diminuzione dei prezzi e un aumento «reale» dell'occupazione.

4.11

Più in generale, la Commissione osserva che le aliquote ridotte sono efficaci solo quando la spesa per i consumi di beni o servizi è stabile nel tempo e differisce in modo sostanziale fra i gruppi a basso reddito e quelli a reddito più elevato. Queste differenze sono più marcate nei settori dell'alimentazione, dell'abbigliamento e dell'edilizia: esistono differenze notevoli fra paese e paese; ma spesso le differenze più evidenti — e più ingiuste dal punto di vista sociale — si verificano all'interno degli stessi SM. Il CESE attira l'attenzione sul fatto che in diversi SM l'aliquota ridotta si applica per categorie, senza tener conto che all'interno di molte di esse figurano prodotti destinati alla massa dei consumatori e altri decisamente elitari, il cui prezzo è talvolta un consistente multiplo dei primi. Rimane aperto il problema di come, e con quali criteri, tassare diversamente beni o servizi che hanno la stessa denominazione ma che sono di fatto destinati, a seconda del prezzo e della qualità, a classi sociali differenti. Altro problema è quello di come adottare distinzioni durevoli, non soggette ai cambiamenti delle mode, e come farle osservare senza dover introdurre controlli costosi e complicati. Infine, rimane da considerare l'aspetto delle frodi, possibili in tutti i settori ma particolarmente nei due ora considerati: le denominazioni minuziose e dettagliate possono facilitarle, e il loro controllo è tutt'altro che agevole. Il CESE attira l'attenzione sulla necessità di applicare criteri discriminanti in base a considerazioni di carattere sociale: in altri termini, le aliquote ridotte dovrebbero dare un contributo ad una politica sociale di redistribuzione dei redditi o, quando non siano possibili le opzioni alternative di cui al punto 4.15, di appoggio a importanti programmi sociali. Ma in ogni caso deve essere assicurata la trasparenza nei confronti dei propri cittadini e degli altri Stati membri.

4.11.1

La stessa osservazione potrebbe essere fatta a proposito dei libri e giornali, che talora vedono accomunate in un'unica categoria le pubblicazioni socialmente giustificabili con altre che non hanno alcun valore educativo o di intrattenimento o che, peggio, sono fuori o ai limiti delle leggi o della comune coscienza civile. Per quanto difficili, le distinzioni sembrano necessarie, e in ogni caso giustificabili in termini di trasparenza democratica.

4.12

La Commissione osserva infine che una pluralità di aliquote comporta costi significativi per le imprese e per le autorità fiscali: si tratta di un'osservazione ovvia. Il Comitato preferirebbe si parlasse piuttosto di un aumento dei costi, tenuto conto che nel campo della fiscalità l'IVA è già di per sé l'imposta di gran lunga più costosa da applicare e da riscuotere. Questa constatazione è già stata messa in rilievo dal CESE (11) e viene qui richiamata insieme a un invito agli SM di rendere noto a quanto ammonti il gettito netto dell'IVA per il loro bilancio, una volta dedotta la parte destinata al bilancio comunitario e le spese di gestione, di riscossione, di controllo e di repressione delle frodi. Si raccomanda alla Commissione di fare proprio, in nome della trasparenza, questo invito, e anche di riflettere se non sia il caso di mettere allo studio un sistema alternativo di fiscalità  (12). Ci si augura che l'eventuale ripensamento dell'intera materia si basi anche sui risultati — che potrebbero essere sorprendenti — in materia di benefici per il fisco : una volta conosciute le «vere» risultanze, non è impossibile che siano le stesse autorità fiscali a prendere l'iniziativa.

4.13

Tuttavia, la questione ora sul tappeto è solo quella, contingente, dell'aumento dei costi «per le imprese e le autorità fiscali», relativi alle spese amministrative e contabili connesse all'applicazione — e all'interpretazione — di norme in deroga agli standard. Il Comitato fa osservare che ogni aumento di costi per le imprese viene trasferito sui consumatori finali, per cui occorrerà valutare, caso per caso, se e in quale misura l'applicazione di un'aliquota ridotta si traduca realmente in un beneficio per i cittadini. Oggi la grande maggioranza dei casi — numerosissimi — di contenzioso è dovuta alla genericità delle classificazioni, e alle conseguenti interpretazioni controverse, interventi di consulenti, ispezioni, ricorsi: le nuove regole dovrebbero dunque essere concepite anche in funzione della loro economicità di applicazione.

4.14

Per il momento, il sistema delle aliquote ridotte, seppure costoso, è il solo praticabile; ma, tenendo presente che la Commissione stessa l'ha definito «rigido e incoerente» (13), il Comitato si augura che le discussioni politiche fra il Consiglio e il PE portino a decisioni comuni ispirate certamente ai principi del mercato interno, ma sempre nel rispetto delle esigenze dei cittadini/consumatori, delle aziende e delle amministrazioni fiscali.

4.15

In materia di opzioni alternative alle aliquote ridotte, la Commissione ha posto il quesito se queste non possano essere sostituite da sovvenzioni dirette: uno strumento politico, quest'ultimo, più efficace, più trasparente e meno costoso. Il Comitato ritiene che delle soluzioni alternative a carattere nazionale siano una via percorribile in qualche caso particolare e in via temporanea, a condizione di evitare ogni misura che abbia le caratteristiche di un aiuto di Stato. Comunque, ogni tipo di soluzione a carattere nazionale alternativa alle deroghe IVA dovrebbe essere decisa in base a criteri di trasparenza, tenendo presente che, in ogni caso, essa costituirebbe un ulteriore allontanamento dagli obiettivi del mercato unico.

4.16

Infine, a complemento ulteriore dei numerosi pareri sulla materia, il Comitato torna a formulare un suggerimento di semplice buon senso e di trasparenza: si elimini la denominazione di «provvisorio» per il regime IVA corrente. Un tale aggettivo, ancora in essere dopo trent'anni e senza prospettive a medio termine di diventare definitivo, è una mistificazione che toglie credibilità alle regole dell'Unione. E giustifica, se mai ce ne fosse bisogno, il vecchio adagio secondo il quale «nulla è più definitivo del provvisorio».

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Un regime «definitivo» dovrebbe prevedere, secondo logica, la tassazione nel luogo di destinazione, o per meglio dire di consumo. All'epoca, e ancor oggi, ostacoli di varia natura ne hanno impedito un'applicazione generalizzata.

(2)  Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (GU L 347 dell'11.12.2006).

(3)  Articoli 96 e 97 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (GU L 347 dell'11.12.2006); non è mai stato fissato un tetto massimo.

(4)  Cfr. articoli 98-101 e l'allegato III alla direttiva.

(5)  Proposta di direttiva COM(2007) 381 def., e parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE con riguardo ad alcune disposizioni temporanee relative alle aliquote dell'imposta sul valore aggiunto (GU C 44 del 16.2.2008, pag. 120).

(6)  Comunicazione COM(2007) 380 def., nel capitolo «Introduzione».

(7)  Cfr. il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (rifusione) (GU C 74 del 23.3.2005, pag. 21).

(8)  Cfr. a tale proposito il parere CESE contenente i commenti alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).

(9)  Cfr. la comunicazione COM(2007) 380 def., punto 3.3 «Imperativi sul mercato interno», paragrafo 2.

(10)  Punti 15 e 17 dell'allegato III alla direttiva IVA.

(11)  Si è iniziato a battere su questo tasto con il parere CESE sul tema La lotta contro le frodi fiscali nel Mercato unico (GU C 268 del 19.9.2000, pag. 45) e diverse volte in seguito (l'ultima volta in ordine di tempo, con il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto) (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45), naturalmente senza esito alcuno.

(12)  Anche su questo punto, il CESE ha iniziato nel 2000 a richiamare l'attenzione con il parere di cui alla nota precedente, e ha continuato a farlo con una serie di pareri successivi. In proposito, il Comitato si era espresso con il suo parere sul sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (rifusione) (GU C 74 del 23.3.2005, pag. 21).

(13)  Cfr. il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per le regioni ultraperiferiche: realizzazioni e prospettive

COM(2007) 507 def.

(2008/C 211/19)

La Commissione europea, in data 21 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Strategia per le regioni ultraperiferiche: realizzazioni e prospettive

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore COUPEAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Trattato che istituisce la Comunità europea (articolo 299, paragrafo 2) permette di riconoscere la specificità delle regioni ultraperiferiche (in seguito RUP) e di adottare misure che consentano di preservarne le caratteristiche precipue e di attenuarne i vincoli.

1.2

Le sette regioni ultraperiferiche d'Europa sono la comunità autonoma spagnola delle Isole Canarie, le regioni autonome portoghesi di Madera e delle Azzorre e i quattro dipartimenti francesi d'oltremare (Guadalupa, Guyana francese, Martinica e Riunione).

1.3

Dal 1989, esse beneficiano di un programma specifico mirante a sostenere misure di sviluppo socioeconomico per favorirne una migliore convergenza con il resto dell'Unione europea.

1.4

Nella sua comunicazione del 12 settembre 2007Strategia per le regioni ultraperiferiche: realizzazioni e prospettive, la Commissione ha lanciato una consultazione pubblica per raccogliere il parere di tutte le parti interessate in merito alla sua politica riguardante le RUP, in vista delle grandi sfide che queste ultime dovranno affrontare nei prossimi anni. Il presente parere del CESE risponde a questa consultazione.

1.5

Il CESE ritiene che le politiche finanziarie destinate alle RUP abbiano avuto alcuni effetti positivi, ma che continuino a sussistere alcune difficoltà strutturali che vanno risolte. Il CESE reputa pertanto che sia necessario rafforzare queste politiche in futuro.

1.6

Il CESE constata che l'accessibilità al territorio e l'accesso al mercato europeo rappresentano un problema permanente per queste regioni, data la loro lontananza, l'insularità (ad eccezione della Guyana) e le loro peculiarità geografiche e strutturali.

1.7

Il CESE fa notare che la posizione delle RUP, vicino alle zone d'influenza del Mercosur, dell'Africa occidentale, dell'Africa meridionale e della zona caraibica, dà all'Europa una dimensione mondiale. Constata che, per la loro ubicazione in diversi oceani, le RUP costituiscono per l'Europa una zona economica esclusiva di 25 milioni di km2 con ricchezze e risorse di cui non è stata ancora valutata l'entità.

1.8

Il CESE constata altresì che l'ultraperifericità nuoce alla competitività:

impossibilità di realizzare economie di scala a causa dell'esiguità dei mercati,

scarsità delle risorse naturali, quali ad esempio il petrolio, il gas e i minerali, e

sviluppo economico poco diversificato, in quanto dipendente in gran parte dal turismo, dall'agricoltura e dalla pesca,

l'esiguità dei mercati determina una tendenza alla concentrazione delle imprese e quindi alla creazione di situazioni di monopolio o di oligopolio che nuocciono alla competitività.

1.9

Il CESE ritiene che, per rendere più efficaci le politiche europee, il gruppo interservizio per le RUP istituito in seno alla Commissione debba essere mantenuto e addirittura rafforzato.

2.   Analisi dei settori d'attività delle RUP e raccomandazioni

2.1   Turismo

2.1.1

Il settore del turismo rappresenta un segmento importante dell'economia delle RUP, se non addirittura l'unico fattore di crescita economica.

2.2

Le Canarie sono riuscite a sviluppare un turismo attraente e diversificato che richiama oltre dieci milioni di turisti all'anno. Anche Madera ha sviluppato il settore turistico aumentando significativamente la sua capacità ricettiva. Per le Antille e la Riunione il turismo è un settore importante, che resta però fragile. Grazie alle loro caratteristiche ambientali eccezionali e alla bontà del loro clima, le RUP hanno potuto sviluppare un turismo di qualità. Ma proprio lo sviluppo del turismo ne ha accentuato la dipendenza economica che comporta un rischio non trascurabile, in quanto la domanda turistica tende a subire notevoli fluttuazioni, in funzione del clima, del tasso di cambio dell'euro, della situazione sanitaria, ecc.

2.3

Il CESE ritiene che si debba sviluppare e divulgare con urgenza un logo «RUP», nonché promuovere queste regioni in tutti i paesi europei e anche nei paesi vicini alle RUP al fine di diversificare e incrementare la qualità e la sostenibilità del turismo.

2.4

Gli attori del turismo dovranno rafforzare le pratiche sostenibili tenendo conto della preservazione delle risorse naturali e concertarsi con tutti gli attori locali per definire validi criteri di sviluppo. La sensibilizzazione delle RUP è incontestabile, ma deve essere affiancata da una politica a favore della sostenibilità, definita dagli attori locali con il sostegno finanziario europeo.

2.5   Agricoltura

2.5.1

Il CESE constata che il comparto agricolo è un settore tradizionale e resta un pilastro economico importante per le RUP, anche se il suo contributo alla creazione di valore aggiunto diminuisce. Rappresenta una fonte di occupazione fondamentale che va assolutamente preservata, se non addirittura sviluppata.

Le Azzorre sono la regione più agricola delle RUP: è infatti occupato in agricoltura il 24 % dei lavoratori dell'arcipelago (allevamento, ma anche coltivazione della barbabietola, del tabacco, ecc.). La pesca, in particolare del tonno, è un settore d'esportazione strategico, ma ha perso importanza negli ultimi tempi.

Le RUP producono anche:

banane (Canarie, Madera, Martinica, Guadalupa),

canna da zucchero (Riunione, Guadalupa, Martinica),

frutti tropicali (Riunione, Guyana francese),

fiori tropicali (Antille),

bevande (Madera, Canarie, Martinica, Guadalupa).

2.5.2

Va osservato che in tali settori vi è una forte concorrenza da parte dei paesi terzi, il che potrebbe in parte spiegare la diminuzione di valore aggiunto.

2.5.3

Si possono distinguere due tipi di agricoltura: l'agricoltura di prossimità (la cui produzione è destinata al mercato interno) e l'agricoltura da esportazione. Queste due agricolture sono state spesso in contrapposizione, ma possono anche essere complementari. Il CESE ritiene indispensabile che i distributori locali facciano uno sforzo per promuovere l'agricoltura di prossimità.

2.5.4

Per quanto riguarda l'agricoltura da esportazione, il CESE chiede che i prodotti agricoli delle RUP siano oggetto di una campagna promozionale e che siano chiaramente identificabili, poiché sono conformi alle norme europee che sono esigenti in materia di politica sociale, ambientale e sanitaria.

2.5.5

Secondo il CESE l'Europa deve urgentemente rafforzare la sua politica di sorveglianza dei prodotti importati da paesi terzi per prevenire le epizoozie e le fitopatie e per tutelare le aziende agricole.

2.5.6

Il CESE propone di introdurre una certa complementarietà tra i prodotti importati dai paesi terzi e quelli delle RUP, a condizione che:

non si metta in pericolo l'esistenza delle aziende agricole locali,

ne derivi un innalzamento del tenore di vita delle popolazioni dei paesi terzi,

sia creato un organo di concertazione per consentire un quadro di sviluppo sostenibile.

2.5.7

Il CESE prende atto degli svantaggi naturali delle RUP descritti sopra e auspica che vengano mantenute le compensazioni di tali svantaggi.

2.5.8

Il CESE ha a cuore la gestione della proprietà fondiaria in alcune RUP, dato che si dovranno preservare le zone agricole. Le autorità europee dovrebbero incitare le autorità locali a classificare le zone da preservare e quelle da urbanizzare in un quadro di sviluppo sostenibile.

2.5.9

Nelle RUP la biodiversità è fondamentale e costituisce un indubbio vantaggio economico; secondo il CESE occorrerebbe una politica ambiziosa, dotata di fondi adeguati per conservare un tessuto agricolo importante contraddistinto da pratiche rispettose dei diversi ecosistemi.

2.6   Pesca

2.6.1

Nell'ambito della pesca, settore importante per le RUP, si prospettano alcune difficoltà legate alla gestione delle risorse alieutiche. Sarebbe opportuno prendere in considerazione un'altra fonte di approvvigionamento ittico, come ad esempio l'acquacoltura marina.

2.6.2

In questo settore, grazie alla ricerca e a politiche adeguate si dovrebbero trovare soluzioni per mantenere l'approvvigionamento ittico. Esperienze più o meno positive hanno permesso di rendere permanente il settore della pesca.

2.6.3

L'acquacoltura è un settore che sta muovendo i primi passi, ma che risulta ben avviato nelle isole Canarie e della Riunione. Il CESE segnala le esperienze positive fatte in Guyana nel campo dell'allevamento dei gamberetti.

2.6.4

La posizione geografica delle RUP consente all'Unione europea di disporre di un vasto territorio marittimo (Oceano Indiano, Oceano Atlantico, Mar dei Caraibi, ecc.) e quindi della notevole biodiversità alieutica che ne deriva. Il CESE ritiene che la gestione dello spazio marino debba avvenire in funzione del bacino marittimo, dal momento che la situazione nell'Oceano Indiano non è identica a quella dell'Oceano Atlantico. Una gestione differenziata dovrebbe tenere conto anche delle diverse realtà alieutiche.

2.7   Commercio e distribuzione

2.7.1

Il commercio occupa un posto di rilievo nelle RUP, ma dipende dalle importazioni degli Stati membri; i consumi sono sostenuti dalla popolazione locale, ma fluttuano anche in funzione delle presenze turistiche.

2.7.2

Il CESE ritiene che sarebbe necessario sviluppare un commercio di prossimità che proponga prodotti diversificati e un servizio adatto sia agli abitanti che ai turisti.

2.8   Concorrenza e imprese

2.8.1

In una regione ultraperiferica, una piccola impresa può trovarsi rapidamente in una situazione di monopolio, vista l'esiguità del mercato locale. Quella che nelle RUP viene considerata una grande impresa, nell'Europa continentale sarebbe solo un'impresa di entità modesta. Di conseguenza, nelle regioni ultraperiferiche non si realizzano economie di scala.

2.8.2

Il CESE ritiene necessario rafforzare la trasparenza dei mercati e favorire la concorrenza tra le imprese.

2.8.3

I costi supplementari che le RUP devono affrontare sono spesso difficili da definire. Un elenco non esaustivo di tali costi comprende:

il costo supplementare dovuto al trasporto di merci e materiali per via marittima e aerea,

viaggi d'affari spesso onerosi e disagevoli tra il continente e le RUP a causa della mancanza di collegamenti diretti, della scarsa frequenza dei voli e dei costi elevati dovuti alla distanza e alla doppia insularità,

maggiori costi di stoccaggio dovuti alla mancanza di collegamenti marittimi e aerei,

costi di assunzione più elevati, in quanto i dipendenti meno qualificati hanno una produttività inferiore e necessitano di una formazione all'interno dell'impresa,

i costi di trasporto più elevati, i costi di formazione del personale e la maggiore capacità di stoccaggio rispetto alle imprese dell'Europa continentale rendono necessari anche una maggiore capacità di finanziamento, che a sua volta determina una minore competitività,

costi di avvio più elevati dovuti all'importazione dei materiali.

2.8.4

Il CESE ritiene che le politiche europee debbano tener conto di questi costi supplementari e tentare di trovare soluzioni per ridurli al massimo.

2.9   Energia

2.9.1

La scarsità o indisponibilità di fonti di energia tradizionali e la dipendenza energetica dall'esterno costituiscono una debolezza strutturale delle economie delle RUP. Al tempo stesso però, queste regioni dispongono di un ampio ventaglio di possibilità di sviluppo delle energie rinnovabili.

2.9.2

Il CESE constata che i problemi energetici sono ricorrenti in queste regioni, che però presentano numerose opportunità, come ad esempio l'energia solare, la geotermia, l'energia del mare e quella eolica.

2.9.3

Le RUP hanno anche una certa difficoltà nella gestione dei rifiuti, i quali rappresentano tuttavia una potenziale fonte di energia. Una politica di diversificazione energetica potrebbe al tempo stesso risolvere un problema di salubrità pubblica:

la maggior parte delle RUP è caratterizzata da un clima tropicale, con possibilità di captare l'energia solare,

talune regioni sono situate in aree vulcaniche e possono quindi sfruttare l'energia geotermica,

la prossimità del mare potrebbe consentire a queste regioni di sviluppare lo sfruttamento dell'energia marina,

la disponibilità di rifiuti potrebbe fornire un'ulteriore fonte di energia.

2.9.4

Il CESE ritiene che la diversificazione delle fonti d'energia sia un processo da realizzarsi a lungo termine e che debba essere sostenuto con incentivi finanziari.

2.10   Ricerca e sviluppo

2.10.1

Occorre sviluppare le nuove tecnologie della comunicazione per spezzare l'isolamento delle regioni ultraperiferiche e offrire alle imprese di tali regioni nuove opportunità economiche di sviluppo.

2.10.2

È importante sviluppare la ricerca sia nei settori tradizionali che in quelli non tradizionali e mettere a punto soluzioni alle problematiche delle RUP.

2.10.3

Il CESE ritiene che se si aumentasse la capacità di queste regioni di accogliere centri di ricerca, si avrebbero delle ricadute altamente positive. Ciò contribuirebbe anche a diversificare significativamente l'economia delle RUP.

2.11   L'importanza di sviluppare e diversificare le economie regionali

2.11.1

Si osservano grandi differenze di sviluppo fra le RUP. I nuovi settori sono poco presenti nelle RUP e, ad eccezione di alcune iniziative, non rappresentano certo un'alternativa ai settori tradizionali.

2.11.2

Va sottolineato il ruolo essenziale del settore pubblico (amministrazione europea, centrale e regionale, imprese pubbliche, università e centri di ricerca) in quanto motore dell'attività economica. Va inoltre evidenziata l'importanza dei centri universitari: il loro mantenimento è quindi fondamentale. Il CESE propone di istituire una borsa di studi europea per attirare nelle RUP studenti di tutte le nazionalità.

2.11.3

Le imprese locali hanno una scarsa capacità di investimento. Si constata quindi una forte dipendenza dagli aiuti comunitari per la realizzazione di progetti in settori diversi da quelli tradizionali.

2.11.4

La capacità di finanziamento delle imprese è limitata dai costi supplementari. Il CESE ritiene indispensabile adottare una politica di finanziamento per aiutare le imprese a sviluppare i loro settori d'attività. Il CESE auspica inoltre che venga promossa una politica di creazione di imprese facilitando l'accesso al capitale di rischio per contribuire alla realizzazione di progetti che apportino un valore aggiunto alle RUP.

2.12   Condizioni di vita

2.12.1

Il CESE propone di tenere conto delle particolarità delle RUP per elaborare una politica coerente e a lungo termine. Occorre aumentare l'attrattiva di queste regioni e delle loro città migliorandone l'accessibilità e favorendovi la ricerca e l'innovazione, anche per quanto riguarda le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

2.12.2

Il CESE ritiene che in queste regioni si debba promuovere il dialogo sociale e che le politiche europee debbano tenerne conto nei loro futuri obiettivi relativi alle RUP.

2.12.3

Bisogna inoltre creare nuovi e migliori posti di lavoro attirando un maggior numero di persone verso il mercato del lavoro o favorire l'attività imprenditoriale, migliorando l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese e aumentando gli investimenti.

2.12.4

Gli enti regionali e locali responsabili dell'applicazione delle politiche che riguardano le RUP tendono talvolta a dimenticare che occorre migliorare la coesione sociale; il CESE ritiene che la coesione sociale e territoriale sia una priorità e che debba essere presa in considerazione.

2.12.5

Le politiche europee devono tenere conto di questi obiettivi e realizzare una politica d'azione finalizzata allo sviluppo economico. In un primo tempo, il CESE auspica che venga adottata una politica volta a migliorare l'accessibilità delle RUP:

attraverso collegamenti migliori e a prezzi più interessanti, l'apertura del mercato dei trasporti, il miglioramento dei luoghi di transito (porti e aeroporti), la razionalizzazione della logistica dei trasporti e compensazioni per la distanza,

attraverso lo sviluppo dei settori tradizionali, la promozione, la formazione dei lavoratori.

2.12.6

Il CESE è sensibile alle condizioni particolari delle RUP e auspica un miglioramento delle condizioni di lavoro e un innalzamento del tenore di vita attraverso una politica ambiziosa che attenui gli svantaggi e favorisca la creazione di valore aggiunto.

2.12.7

Occorre rilevare che i servizi pubblici d'interesse generale rappresentano uno dei principali problemi che i cittadini residenti nelle RUP si trovano ad affrontare. Il CESE ritiene che le politiche comunitarie a favore delle RUP debbano tenere conto del fatto che per far avanzare la convergenza è necessario rafforzare la coesione sociale migliorando la qualità dei servizi pubblici.

2.13   Cooperazione transfrontaliera

2.13.1

Il CESE crede che sia necessario attuare una cooperazione transfrontaliera dinamica con altre aree regionali al di fuori dell'Unione europea per trovare sinergie comuni e creare sviluppo in queste zone, e a condizione che in questa cooperazione siano coinvolti gli enti locali delle RUP.

2.13.2

Il CESE auspica che venga realizzato un esame completo delle cooperazioni transfrontaliere, in quanto ritiene che sia possibile trovare soluzioni, ma raccomanda di prendere le precauzioni necessarie per non creare altri problemi.

2.14   Sistema fiscale

2.14.1

Le RUP hanno regimi economici e fiscali specifici, che figurano tra i sistemi ammessi in seno all'UE. Il CESE ritiene che il mantenimento di regimi economici e fiscali specifici sia un mezzo fondamentale per aiutare le RUP a superare le difficoltà strutturali che si trovano ad affrontare.

2.15   Politica di coesione

2.15.1

La coesione economica, sociale e territoriale figura tra i principali obiettivi europei che andranno rafforzati in futuro. Il CESE ritiene che le politiche europee riguardanti le RUP debbano mirare a potenziare la coesione in modo che tutta la popolazione possa godere di una migliore qualità della vita.

2.15.2

La politica di coesione deve permettere la modernizzazione e lo sviluppo delle imprese esistenti, oltre alla creazione di imprese nuove per i giovani. L'innovazione rappresenta quindi una priorità visto che permette di creare nuove opportunità e di promuovere la ricerca e i poli di formazione in relazione al mondo delle imprese.

2.15.3

Per rafforzare la coesione occorre incoraggiare lo sviluppo economico, ma anche migliorare la qualità dell'occupazione, dei salari e dei servizi pubblici.

2.15.4

Le RUP possono svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo regionale in quanto rappresentano delle piattaforme europee molto importanti per le imprese. Le RUP possono anche essere un modello regionale per lo sviluppo della partecipazione alla società civile e diventare un punto di riferimento a livello mondiale in quanto a modello sociale.

2.16   Rafforzamento del piano d'azione Grande vicinato

2.16.1

La posizione delle RUP consente loro di instaurare un partenariato privilegiato con le altre regioni delle aree geografiche di cui sono parte. Questa politica dovrà essere tuttavia rafforzata in quanto è attualmente applicata in modo insufficiente e manca di consistenza. Il CESE ricorda che questo partenariato si potrà realizzare solo in collaborazione con i territori europei e grazie alla loro iniziativa, con misure che incentivino la conoscenza reciproca in queste regioni.

2.17   Accordi di partnership economica (APE)

2.17.1

Gli APE possono costituire un'opportunità per lo sviluppo delle RUP, ma occorre studiarli e procedere ad una valutazione approfondita di questi futuri accordi. Gli APE devono tenere conto degli interessi di tutte le parti interessate.

2.17.2

Il CESE ritiene che questi accordi debbano facilitare la partecipazione delle parti sociali e della società civile sia nelle RUP che nei paesi terzi.

2.17.3

Il CESE raccomanda il dialogo e gli scambi fra le RUP e gli ACP per determinare sinergie, in vista di uno sviluppo economico per tutti.

2.18   Flussi migratori

2.18.1

Attualmente l'Unione europea sta elaborando una politica comune in materia di immigrazione che tiene conto della situazione demografica, dei mercati del lavoro e della cooperazione con i paesi d'origine. I flussi migratori costituiscono un problema di particolare rilevanza per le RUP. Queste ultime avrebbero bisogno di un sistema per ridurre i flussi illegali e/o irregolari. Di conseguenza, una politica migratoria europea deve tenere nel debito conto i bisogni delle RUP e proporre soluzioni sostenibili per i loro problemi.

2.18.2

Per approfondire la problematica e trovare delle soluzioni ai fenomeni migratori si dovrebbe realizzare uno studio d'impatto.

2.18.3

Il CESE ritiene che la politica europea in materia di immigrazione debba essere più ambiziosa per poter gestire l'immigrazione attraverso una legislazione comune e procedure trasparenti. Per le RUP l'Europa deve essere in grado di facilitare l'immigrazione tenendo conto dell'evoluzione demografica del mercato del mercato del lavoro.

2.18.4

Alla luce dell'evoluzione demografica in Europa, i flussi migratori sono destinati ad aumentare. Data la loro situazione, le RUP devono far fronte ai problemi che derivano dall'immigrazione irregolare e a questo proposito hanno bisogno della solidarietà dell'UE. L'Agenzia europea per la gestione e la cooperazione operativa alle frontiere esterne deve rafforzare le sue attività nelle RUP.

2.19   Ampliamento del numero delle RUP

2.19.1

Alcuni Stati membri, in particolare la Francia e i Paesi Bassi, stanno valutando l'opportunità di ampliare il numero delle RUP. Un aumento del numero delle RUP richiede una decisione positiva del Consiglio. Il CESE sottolinea tuttavia che per garantire una migliore integrazione delle RUP esistenti e di quelle nuove, l'UE dovrà destinare loro stanziamenti più elevati.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La libertà di associazione nei paesi del partenariato euromediterraneo

(2008/C 211/20)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

La libertà di associazione nei paesi del partenariato euromediterraneo

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore Juan MORENO PRECIADO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il rispetto della libertà di associazione è citato espressamente tra gli impegni dei governi firmatari della dichiarazione di Barcellona del novembre 1995, che ha dato inizio al partenariato euromediterraneo.

Gli accordi di associazione sottoscritti tra l'UE e ciascuno dei paesi partner del Mediterraneo (PPM (1)) contengono una clausola in cui si afferma che «il rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali costituisce un elemento essenziale degli accordi di associazione».

Anche i piani d'azione che l'Unione europea sta sottoscrivendo con i PPM conformemente alla politica europea di vicinato adottata nel 2004, includono riferimenti alla buona governance e alla promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

1.2

Tuttavia, se si osserva la realtà si può notare che nei PPM (anche se con differenti gradazioni) la libertà di associazione non è garantita e lo sviluppo della società civile è ostacolato da barriere di natura politica e amministrativa che vanno dal rifiuto di autorizzare la costituzione di un'associazione alla sua messa fuori legge o sospensione.

Anche le associazioni legalmente riconosciute incontrano ostacoli al loro normale funzionamento, alcuni dei quali di particolare gravità, ad esempio il divieto o le restrizioni imposti dalle autorità nell'accesso ai finanziamenti a titolo della cooperazione internazionale.

1.3

L'emergere di gruppi sociali liberamente associati nei diversi settori della società civile (lavoratori, datori di lavoro, produttori agricoli, economia sociale, donne, giovani, consumatori, ecc.) è un presupposto essenziale per il processo di democratizzazione nei paesi partner del Mediterraneo. Il partenariato euromediterraneo, ben strutturato sul piano economico attraverso gli accordi di associazione tra l'UE e i PPM, deve comprendere anche una dimensione sociale e democratica che richiede la partecipazione della società civile organizzata.

1.4

I sindacati, ai loro diversi livelli organizzativi, sperimentano ingerenze da parte del potere politico, ingerenze che limitano la protezione dei rappresentanti dei lavoratori nell'esercizio dei loro diritti, compreso il diritto di sciopero.

1.5

Tra i punti deboli dell'associazionismo imprenditoriale e sindacale, va segnalato lo scarso sviluppo del dialogo e della concertazione sociale. Nei paesi del Medio Oriente questo dialogo bipartito o tripartito è meno presente che nei paesi del Magreb.

1.6

Il CESE chiede alla Commissione europea di rispettare gli impegni di democratizzazione assunti nell'ambito del partenariato euromediterraneo, degli accordi di associazione e dei piani d'azione della politica di vicinato e di insistere presso i governi interessati affinché le associazioni non siano oggetto di misure di scioglimento o sospensione amministrativa, se non attraverso un processo giudiziario giusto.

1.7

Inoltre, il CESE chiede alla Commissione di premere affinché i governi dei PPM garantiscano che i membri e i responsabili delle associazioni non vengano privati della libertà a causa dell'esercizio delle loro legittime funzioni associative.

1.8

Il CESE invita la Commissione europea ad elaborare le relazioni strategiche sui singoli paesi, le quali stabiliscono il quadro della cooperazione comunitaria sancita dai piani d'azione, tenendo conto del grado di osservanza, da parte dei governi dei paesi partner, delle disposizioni in materia di libertà di associazione e di diritti umani.

Questa esigenza si basa anche sul Programma d'azione comunitaria 2005-2010 per il Mediterraneo, in particolare sul punto 1 (partenariato politico e sicurezza) che persegue i seguenti obiettivi principali: promuovere la partecipazione dei cittadini, incrementare la partecipazione delle donne, assicurare la libertà di espressione e di associazione, potenziare il ruolo della società civile, applicare le convenzioni internazionali.

1.9

Il CESE chiede alla Commissione europea di esigere la partecipazione della società civile dei PPM al monitoraggio degli accordi di associazione e dei piani d'azione.

1.10

Il CESE proporrà all'Assemblea parlamentare euromediterranea, di cui fa parte in qualità di osservatore, di sottolineare ai parlamenti dei paesi partner la necessità di riformare la legislazione per rimuovere tutti gli ostacoli alla libertà di associazione.

1.11

Il CESE, con la collaborazione delle reti euromed di imprenditori, di sindacati e dell'economia sociale e altre, potrà elaborare relazioni periodiche particolareggiate sulla situazione nei vari paesi partner in materia di libertà di associazione e di diritti umani, relazioni che saranno trasmesse alla Commissione europea e al Parlamento europeo. Il presente parere sarà discusso nel prossimo vertice dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe che si terrà in Marocco nel 2008. I punti di vista e le informazioni che saranno raccolti in questa occasione serviranno per effettuare questo monitoraggio.

1.12

Il CESE continuerà a sostenere la creazione di organi istituzionali per la consultazione della società civile dei PPM (consigli economici e sociali o strumenti analoghi) e la riattivazione di quelli già esistenti in Libano e in Giordania, raccomandando che tali organi siano composti da organizzazioni rappresentative dei diversi settori della società civile e dispongano delle risorse necessarie ai fini di un loro funzionamento autonomo ed efficace.

1.13

Il CESE ribadisce la necessità di rafforzare la posizione della donna nella società e soprattutto nella vita associativa dei paesi partner, in linea con le importanti raccomandazioni contenute nel parere Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea  (2).

In questo senso, sottolinea anche l'importanza delle conclusioni della conferenza ministeriale euromediterranea (3), nelle quali si raccomanda di promuovere la presenza e la partecipazione delle donne ai posti di responsabilità in campo economico, in particolare nelle associazioni degli imprenditori, nei sindacati e in altre strutture socioeconomiche.

1.14

Il CESE promuoverà l'incontro e il dialogo tra le associazioni degli imprenditori (UMCE) e i sindacati (Forum sindacale), il loro sviluppo e quello di altre reti e organizzazioni della società civile nella regione euromediterranea, ad esempio la rete euromediterranea dell'economia sociale (ESMED) o le organizzazioni delle donne.

2.   I fondamenti della libertà di associazione per la realizzazione degli obiettivi di democratizzazione del «processo di Barcellona»

2.1

La necessità di elaborare questo parere d'iniziativa è nata dalla constatazione, ripresa nelle conclusioni del 1o vertice Euromed dei capi di Stato e di governo del novembre 2005, dello scarso ruolo della società civile. Il presente documento prede le mosse dalle «dichiarazioni finali» degli ultimi vertici euromediterranei dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe (Amman, novembre 2005; Lubiana, novembre 2006; Atene, ottobre 2007) ed ha l'obiettivo di contribuire all'esercizio effettivo dei diritti di associazione nei paesi partner del Sud del Mediterraneo.

2.2

Tra gli impegni assunti dai paesi firmatari della «dichiarazione di Barcellona» figurano i seguenti:

agire in conformità della Carta delle Nazioni Unite e della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, come pure di altri obblighi a norma del diritto internazionale, segnatamente quelli risultanti dagli strumenti regionali ed internazionali di cui sono parti,

sviluppare lo Stato di diritto e la democrazia nei loro sistemi, riconoscendo in questo contesto il diritto di ciascun partecipante di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, socioculturale, economico e giudiziario,

rispettare i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali e garantire l'effettivo e legittimo esercizio di tali diritti e libertà, comprese la libertà di espressione, la libertà di associazione a scopi pacifici e la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, individualmente e in comune con altri membri dello stesso gruppo, senza alcuna discriminazione per motivi di razza, nazionalità, lingua, religione o sesso.

2.3

Il primo vertice dei capi di Stato e di governo euromediterranei, tenutosi a Barcellona nel 2005 e organizzato per valutare i primi dieci anni del processo Euromed, ha ricevuto apprezzamenti positivi in quanto ha fatto registrare alcuni progressi rispetto alla dichiarazione del 1995 e ha inserito nuove disposizioni relative al rafforzamento del ruolo della società civile. I partecipanti al vertice hanno invece continuato ad esprimere la loro profonda preoccupazione per quanto concerne la democrazia e i diritti umani.

2.4

Per tale motivo, nel vertice del 2005 si è assunto l'impegno di estendere il pluralismo politico e la partecipazione a tutti i cittadini, in particolar modo alle donne e ai giovani, attraverso la promozione di un quadro politico competitivo, di cui fanno parte elezioni libere e corrette, passi avanti sulla via del decentramento e una migliore amministrazione pubblica.

2.5

Da parte sua, nella comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo (4), la Commissione europea ha implicitamente ammesso l'inadeguatezza dei progressi compiuti in termini di diritti umani, nel momento in cui li inserisce tra i tre temi prioritari per la regione mediterranea e anche per l'intensificazione delle relazioni tra l'Unione europea e i paesi partner e indica in primo luogo l'obiettivo di «progredire nel campo dei diritti umani e della democrazia». Il CESE condivide l'opinione della Commissione e considera che l'apertura e il consolidamento dei processi di democratizzazione nei PPM siano imprescindibili.

2.6

Tra le principali raccomandazioni contenute nella relazione 2004 (5) del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) figura una progressiva transizione verso una governance maggiormente rappresentativa, la cui prima fase dovrebbe essere quella di «dare spazio alle forze della società civile e di garantire le tre libertà fondamentali che sono la libertà di opinione, la libertà di espressione e la libertà di associazione».

A tale proposito, per facilitare la partecipazione delle donne a tutti gli aspetti della vita pubblica dei PPM, è importante introdurre modifiche alla legislazione, soprattutto alle leggi concernenti lo «status personale», che consentano alle donne di decidere liberamente nell'esercizio delle libertà fondamentali.

2.7

Nelle dichiarazioni finali degli ultimi due vertici dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe figurano alcuni aspetti relativi all'argomento chiave del presente parere di iniziativa.

2.8

Al vertice di Lubiana del 2006 è stata sottolineata la necessità di rafforzare il dialogo e la cooperazione tra governi e agenti non governativi nella regione Euromed, in particolar modo le associazioni femminili e giovanili e le organizzazioni socio professionali. In questo senso, la dichiarazione finale ha proposto che la presidenza slovena del Consiglio dell'Unione europea (primo semestre 2008) organizzi un convegno tripartito sui progressi compiuti in materia di dialogo sociale.

2.9

La dichiarazione finale dell'ultimo vertice dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe, svoltosi ad Atene il 15 e 16 ottobre 2007, contiene i seguenti importanti riferimenti: a) la richiesta che la società civile segua costantemente l'elaborazione e l'applicazione dei piani d'azione nazionali e la proposta che siano il CESE e altri organi analoghi a garantire che questo avvenga; b) la richiesta di risorse, sostegno e riconoscimento affinché i CES possano esprimersi in modo autonomo e l'impegno da parte dei CES ad aprirsi ad altri rappresentanti della società civile che non ne fanno parte; c) la richiesta, formulata espressamente al punto 12, di rispettare la libertà di associazione al fine di facilitare il dialogo con la società civile.

3.   La libertà di associazione nei paesi del partenariato euromediterraneo: situazione attuale

3.1

La sicurezza e la ricerca della pace sono fondamentali per la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo del processo di democratizzazione in tutti i paesi partner mediterranei.

La situazione drammatica dei territori palestinesi, la guerra in Iraq, l'aumento dell'estremismo e del terrorismo hanno avuto un impatto molto negativo sullo sviluppo delle libertà. Alcuni governi hanno preso a pretesto il rischio o la minaccia esterna per giustificare il ritardo nel portare avanti le riforme democratiche. In alcuni paesi questa situazione ha indebolito le libertà individuali e il diritto di associazione.

3.2

Senza dubbio una condizione imprescindibile per realizzare gli obiettivi di democratizzazione proclamati è la garanzia dell'esercizio dei diritti umani. La libertà di associazione, la promozione e lo sviluppo delle associazioni stesse servono gli interessi dei diversi settori e rappresentano elementi fondamentali per lo sviluppo del partenariato euromediterraneo e soprattutto per la partecipazione ad esso della società civile e dei suoi vari gruppi.

3.3

È opportuno ribadire che il diritto alla libertà di associazione comprende il diritto all'affiliazione, ossia il diritto ad aderire o a ritirare la propria adesione a gruppi, associazioni o società di vario tipo. Tale diritto presuppone che lo Stato si astenga dall'intervenire nella creazione e nel funzionamento delle associazioni che operano nel rispetto della legge. Presuppone inoltre che lo Stato contribuisca a creare e a preservare un ambiente favorevole all'esercizio del diritto alla libertà di associazione.

3.4

Il diritto di associazione non può essere separato dagli altri diritti civili e politici, in particolare dalla libertà di espressione e di opinione, dalla libera circolazione e dal diritto di asilo. L'emergere della società civile contribuirà a sua volta all'introduzione o al consolidamento di sistemi politici maggiormente pluralisti.

3.5

Esiste, nella maggior parte dei PPM, una contraddizione tra le convenzioni internazionali (che garantiscono il diritto alla libertà di associazione), sottoscritte dai rispettivi governi, e i testi legislativi nazionali, e tra entrambi gli ordinamenti giuridici e l'applicazione che se ne fa in pratica. Ad eccezione di alcuni Stati, la creazione di associazioni e l'esercizio delle loro attività sono soggetti a diverse restrizioni con l'obiettivo (o il pretesto) di salvaguardare la sicurezza e l'unità nazionale.

3.6

Con la scusa di regolare, si limita (o addirittura si proibisce) per legge il diritto di sciopero, riunione, manifestazione o creazione di associazioni. Il potere esecutivo fortemente accentrato, che caratterizza tutti i sistemi politici dei paesi partner, ha come conseguenza un controllo eccessivo delle associazioni.

3.7

La tolleranza, il controllo o la repressione sono tre formule utilizzate (a volte insieme) dal potere per trattare con le associazioni. Determinati paesi presentano un livello accettabile di libertà di associazione, limitata solamente in singoli casi specifici. In altri paesi è permesso alle associazioni indipendenti di svolgere la loro attività sottoponendole a controlli amministrativi e finanziari. Altri paesi, infine, autorizzano solo le associazioni pro governative.

3.8

L'intervento e il controllo dello Stato influiscono negativamente nelle distinte fasi della vita di un'associazione, dal momento della sua promozione a quello del suo scioglimento. Quando la creazione di associazioni è selettiva o discrezionale, le associazioni stesse sono spesso formate da persone vicine al potere e solitamente sono fonte di corruzione. Quando il potere di scioglimento è arbitrario, le associazioni agiscono in modo poco coraggioso e non sono in grado di sviluppare tutte le loro aspettative e potenzialità.

3.9

Sono tre i tipi di associazioni soggette, per diversi motivi, a particolare sorveglianza. Innanzi tutto vi sono le associazioni fondamentaliste islamiche, controllate nel timore che possano favorire l'estremismo politico islamico, che in alcuni paesi è diventato la principale forza di opposizione legale o clandestina. Soggette a controllo sono, in secondo luogo, le associazioni operanti nel campo dei diritti umani, in quanto aggregano anche, a volte, settori politici alternativi. Anche i sindacati infine, sono sottoposti a sorveglianza perché in alcuni casi rappresentano organizzazioni di massa che possono mettere in discussione la politica economica e sociale di un paese e perché sono in stretto collegamento con organizzazioni e istituzioni internazionali.

3.10

Nonostante queste limitazioni, il grado di libertà nei paesi partner, per quanto concerne il diritto di associazione, varia da uno Stato all'altro. In numerosi paesi è addirittura possibile che lavoratori dipendenti o autonomi, datori di lavoro, donne, giovani, produttori agricoli, ecc. creino, sebbene con difficoltà, associazioni indipendenti.

4.   La situazione e le caratteristiche delle principali associazioni nei paesi partner del Mediterraneo

4.1

Anche se relativamente deboli, le tradizionali organizzazioni dei lavoratori, dei produttori agricoli, degli imprenditori, dell'economia sociale o di altre categorie sono presenti in tutti i paesi, nonostante le limitazioni già segnalate.

4.2

Un altro tipo di associazioni è di natura caritatevole o assistenziale e si occupa di gruppi svantaggiati, offrendo essenzialmente servizi su base comunitaria, religiosa, regionale, tribale o familiare. In alcuni casi, queste associazioni sono diventate veri e propri servizi sociali organizzati.

4.3

Sono apparse più recentemente (negli anni Novanta) altre forme di associazione, in campo ambientale o culturale, con l'obiettivo di associarsi all'attività pubblica o statale, attraverso proposte di stimolo e addirittura d'azione, e non di limitarsi a rimediare alle carenze dello Stato. Queste nuove associazioni sono spesso viste con sospetto e vengono ostacolate dall'establishment amministrativo e politico.

4.4

Altre associazioni importanti sono quelle che si battono per cause che riguardano i diritti umani, i diritti delle donne, la tutela delle minoranze e lo sviluppo della democrazia in generale.

4.5

La situazione del mondo del lavoro e delle relazioni sindacali nei PPM è stata ampiamente discussa nell'ultimo vertice dei consigli economici e sociali, sulla base della relazione congiunta presentata dal CES spagnolo. Tale relazione conteneva una serie di valutazioni che sono riprese nei quattro punti seguenti.

4.6

Il principio della libertà sindacale è sancito dai testi costituzionali dei PPM. Negli ultimi anni, la ratifica delle convenzioni sociali fondamentali dell'OIL ha fatto progressi, ma lo stesso non si può affermare per quanto concerne il loro recepimento nella normativa nazionale. Il comitato per la libertà sindacale dell'OIL, incaricato di esaminare le proteste presentate da organizzazioni sindacali o dei datori di lavoro contro i loro governi in merito alla violazione della libertà sindacale, ha ricevuto diverse segnalazioni provenienti dai PPM, per la maggior parte concernenti il Marocco e la Turchia (6).

4.7

Per quanto riguarda le organizzazioni sindacali, esistono diversi modelli a seconda dei paesi. In alcuni di essi esiste un unico sindacato obbligatorio (monopolio), in altri l'unità è frutto di una volontà autonoma (sindacato unitario), in altri paesi ancora esistono diverse confederazioni sindacali. Le organizzazioni sindacali presentano in genere una forte dipendenza funzionale dal potere politico.

4.8

D'altro canto, la rappresentatività sia delle organizzazioni sindacali sia di quelle dei datori di lavoro è caratterizzata dalla mancanza di norme legislative chiare e ben definite, il che conferisce al potere politico un ampio margine di manovra.

4.9

La maggior parte delle confederazioni sindacali del PPM sono affiliate a livello internazionale e operano in coordinamento con i sindacati europei attraverso il Forum sindacale Euromed. Quest'ultimo è formato dalla Confederazione europea dei sindacati (CES), dalla Confederazione sindacale internazionale (CSI), dalla Confederazione internazionale dei sindacati arabi (CISA) e dall'Unione sindacale dei lavoratori del Magreb arabo (USTMA). Tra gli obiettivi del Forum sindacale figurano lo sviluppo della cooperazione Nord-Sud, nonché la difesa e la promozione degli interessi dei lavoratori nel quadro del processo di Barcellona.

4.10

Le associazioni dei datori di lavoro sono ampiamente diffuse in tutti i PPM e in genere non devono subire molte limitazioni di natura giuridica, politica o amministrativa nell'esercizio delle loro funzioni rappresentative. Le associazioni settoriali dei datori di lavoro sono ormai generalizzate, mentre nella maggior parte dei paesi stanno progressivamente sorgendo le confederazioni interprofessionali. È doveroso segnalare che oltre alle associazioni degli imprenditori, nei PPM svolgono un ruolo importante anche le Camere di commercio.

Le associazioni degli imprenditori presentano, rispetto a quelle sindacali, un pluralismo maggiormente consolidato. Le organizzazioni di ciascun paese possono raggrupparsi in un'unica confederazione, come avviene ad esempio in Tunisia dove la UTICA (7) comprende tutti i settori economici al di fuori dell'agricoltura. In altri paesi invece esistono varie organizzazioni; è il caso del Marocco, paese in cui operano tre associazioni di imprenditori (8).

4.11

Le organizzazioni dei datori di lavoro di undici paesi partner (9) (e di Malta) formano l'Unione mediterranea delle confederazioni di imprese (UMCE) con sede in Tunisia. L'UMCE persegue l'obiettivo di stabilire una concertazione istituzionalizzata tra le organizzazioni socioprofessionali e di contribuire alla creazione di una zona euromediterranea di libero scambio.

4.12

L'economia sociale nelle sue diverse forme (cooperative, mutue, associazioni per lo sviluppo) dà lavoro a gran parte della popolazione dei PPM e svolge un ruolo decisivo per la crescita economica e l'occupazione, specie nelle PMI e nelle microimprese. Le sue componenti assolvono anche una funzione importante in quanto fornitrici di un servizio sociale.

4.13

L'associazionismo nei settori dell'economia sociale non conosce, in linea di massima, restrizioni di carattere politico, ma subisce alcuni dei controlli amministrativi cui sono soggetti altri gruppi. Questo tipo di associazionismo è particolarmente diffuso nelle cooperative agricole di paesi quali Marocco, Palestina, Turchia, Egitto e Israele.

4.14

I diversi gruppi (parti sociali e socioprofessionali, organizzazioni ambientaliste, associazioni familiari e dei consumatori, soggetti dell'economia sociale, ecc.) cercano di svolgere un ruolo attivo nell'applicazione delle politiche di partenariato e di vicinato, come afferma il CESE in una recente relazione informativa (10).

4.15

Nel 2000 è stata creata a Madrid la Rete euromediterranea dell'economia sociale (ESMED) alla quale partecipano attualmente organizzazioni di Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Marocco e Tunisia. La ESMED ha fornito un contributo a diversi lavori e forum del CESE e del partenariato euromediterraneo.

4.16

Anche le organizzazioni non governative e altre associazioni di promozione sociale svolgono, malgrado le difficoltà già segnalate a proposito di altri gruppi, un ruolo di primo piano, soprattutto nella difesa dei diritti umani. La loro attività, inoltre, è ben visibile nel conseguimento degli obiettivi del processo di Barcellona. La piattaforma non governativa Euromed, creata nel 2005, comprende numerose reti e ONG, tra le quali la Rete euromediterranea dei diritti umani.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Giordania, Israele, Territori palestinesi, Libano, Siria, Turchia, Mauritania e Albania (Mauritania e Albania partecipano al processo di Barcellona dal dicembre 2007).

(2)  REX/233 — CESE 1004/2007.

(3)  Istanbul, 14 e 15 dicembre 2006.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Decimo anniversario del partenariato euromediterraneoun programma di lavoro per far fronte alle sfide dei prossimi cinque anni (COM(2005) 139 def. del 12 aprile 2005).

(5)  Relazione sullo sviluppo umano nel mondo arabo, UNDP (aprile 2005).

(6)  Il tema dei diritti sindacali in Turchia è attualmente all'esame del comitato consultivo misto UE-Turchia.

(7)  Unione tunisina dell'industria, del commercio e dell'artigianato.

(8)  Unione marocchina dell'agricoltura; Unione generale dell'industria e del commercio; Confederazione generale delle imprese marocchine.

(9)  CGEA-Algeria, OEB-Cipro, FEI-Egitto, MAI-Israele, JCI-Giordania, ALI-Libano, MFOI-Malta, CGEM-Marocco, PFI-Palestina, FSCC-CCI-Siria, UTICA-Tunisia, Tusiad-TISK-Turchia.

(10)  REX/223 — CESE 504/2007 fin. — La partecipazione della società civile a livello locale all'attuazione dei piani di azione per la politica europea di vicinato nella prospettiva di uno sviluppo equilibrato e sostenibile.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I negoziati sui nuovi accordi commerciali: la posizione del CESE

(2008/C 211/21)

Il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sessione plenaria del 26 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

«I negoziati sui nuovi accordi commerciali: la posizione del CESE».

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEEL e dalla correlatrice PICHENOT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 101 voti favorevoli, 6 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni generali

1.1

Il CESE accoglie con favore l'impegno globale ribadito dalla Commissione europea a favore della liberalizzazione commerciale multilaterale. Riconosce che il ritorno a un'agenda bilaterale è dovuto agli scarsi progressi compiuti sul piano multilaterale.

1.2

Il CESE ritiene che gli accordi bilaterali vadano considerati compatibili con il multilateralismo e che anzi alla lunga lo rafforzeranno. I progressi realizzati a livello bilaterale possono favorire il processo multilaterale. Come afferma la Commissione, la prosperità dell'Europa dipende dagli scambi commerciali.

1.3

Il CESE sottolinea però che, nell'affrontare questi nuovi negoziati occorre adottare un approccio qualitativamente diverso: non basta infatti tentare di riproporre a livello bilaterale le politiche che hanno fallito su scala multilaterale.

1.4

L'approccio bilaterale può permettere un maggior rispetto delle differenze regionali e nazionali rispetto a un accordo multilaterale che, per forza di cose, segue un'impostazione più generale.

1.5

Il CESE valuta pertanto positivamente l'approccio adottato dalla DG Commercio, che ha invitato il Comitato ad assisterla nell'affrontare i negoziati sui nuovi accordi commerciali dell'UE, come previsto nella Comunicazione della Commissione Europa globale: competere nel mondo dell'ottobre 2006 (COM(2006) 567 def.).

1.6

Il CESE riafferma il suo obiettivo fondamentale di mantenere e sviluppare — quale partner a pieno titolo della Commissione — un livello elevato di cooperazione e reattività a nome della società civile europea nell'ambito delle sue attività future con la Commissione e con altre grandi istituzioni europee.

1.7

Il CESE accoglie con piacere questa opportunità di sostenere l'obiettivo fissato dalla Commissione di garantire un maggior grado di monitoraggio e di trasparenza dei negoziati e di estendere, per poi potenziare, la sua collaborazione con la società civile di altri paesi e regioni del mondo coinvolti nei negoziati.

1.8

Il CESE ritiene, data la sua struttura, di poter svolgere un ruolo attivo in fatto di monitoraggio. La sua esperienza gli consente in particolare di individuare potenziali partner in altri paesi.

1.9

Il CESE, se da un lato nota che in questo caso la Commissione è interessata a osservazioni e contributi sull'insieme dei negoziati proposti, dall'altro rileva anche che la gamma delle questioni e delle istanze sul tappeto, molte delle quali vengono accennate nel presente parere, è molto vasta. Il CESE raccomanda pertanto con vigore di esaminare ulteriormente e più in profondità alcuni di questi aspetti specifici nell'ambito di singoli pareri da elaborare nel prossimo futuro (ad es. sul lavoro dignitoso e l'accesso al mercato).

1.10

Il CESE accoglie con favore soprattutto il riaffiorare di considerazioni sociali e ambientali nel mandato negoziale della Commissione e rileva in tal senso che lo sviluppo sostenibile comporta aspetti economici, sociali e ambientali. Il CESE nota inoltre che molte delle questioni presentate come essenzialmente economiche comportano considerazioni connesse alla società civile, perfino quando riguardano la libera circolazione delle persone.

1.11

In questo approccio bilaterale il CESE ritiene essenziale adottare una base costituita dai diritti fondamentali e universali sanciti dalle norme dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Ritiene inoltre che si dovrebbe ricorrere a tali norme per formulare definizioni del «lavoro dignitoso» che siano reciprocamente accettabili e attuabili.

2.   Contesto: l'importanza degli scambi commerciali

2.1

Gli scambi commerciali rappresentano il cuore delle relazioni internazionali. Le interazioni tra paesi si realizzano a diversi livelli, vale a dire tramite:

interazioni geopolitiche/militari,

legami commerciali ed economici,

organismi governativi non vincolanti: a) organismi permanenti, come l'Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), le Nazioni Unite (ONU) e le relative agenzie — tra cui l'OIL — il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale, e b) organismi ad hoc, specialmente quelli che si occupano di problemi comuni quali ambiente/sviluppo sostenibile e cambiamento climatico (Rio, Kyoto), tutti frutto di interessi globali condivisi,

lo sport, legami culturali e/o storici e, infine,

contatti tra società civili di paesi diversi — di particolare interesse per il CESE.

Tra questi, gli scambi commerciali costituiscono lo strumento più efficace per stabilire contatti solidi e duraturi tra paesi e regioni del mondo, da cui scaturiranno via via altri contatti e altri legami.

2.2

Gli scambi commerciali e gli investimenti su scala internazionale sono effettivamente i principali motori della crescita economica europea e della dimensione esterna della competitività comunitaria. Come si afferma nella Comunicazione della Commissione Europa globale, «la nostra prosperità dipende dagli scambi commerciali». È altresì importante il fatto che le questioni commerciali figurino tra le competenze piene della Commissione, che in tanti altri settori delle relazioni internazionali può invece nutrire solo aspirazioni politiche. La responsabilità della Commissione resta però in questo caso motivo di preoccupazione e dovrà essere ancora seguita da vicino, man mano che proseguono questi negoziati.

2.3

Per l'accettazione degli aspetti più positivi e vantaggiosi della globalizzazione, sono in molti a ritenere che sia di fondamentale importanza promuovere gli scambi, un regime di dazi meno oneroso e l'eliminazione di barriere di altra natura agli scambi e agli investimenti. Le maggiori potenze economiche emergenti come Cina, Brasile ed India — tutte inserite nella nuova strategia della Commissione — adottano ora pratiche commerciali meno restrittive, un chiaro segno di come la velocità della globalizzazione stia aumentando in misura esponenziale. Un incremento dei legami economici, prodotto dall'intensificarsi degli scambi commerciali, consente di rafforzare in misura considerevole i contatti tra culture e — fattore che più conta per il CESE — tra società civili di paesi diversi. È opinione diffusa che questi legami contribuiranno altresì a promuovere ed a incoraggiare l'accettazione e lo sviluppo delle buone prassi ambientali, nonché l'incentivazione dello sviluppo sostenibile e l'innalzamento degli standard sociali ed occupazionali. Non si tratta però ancora di un risultato certo: il CESE ritiene che questo processo andrà quindi seguito con attenzione, con il coinvolgimento diretto della società civile.

2.4

Il CESE attribuisce fondamentale importanza al ruolo della società civile nei meccanismi di attuazione e follow-up di questi aspetti degli accordi connessi allo sviluppo sostenibile. Esso riconosce il vantaggio derivante da un dialogo fondato sulla cooperazione nel favorire un'atmosfera di fiducia tra le parti, dal momento che questo è l'unico modo di affrontare le questioni più delicate.

2.5

Il CESE accoglie con favore l'inserimento, nel mandato negoziale per i nuovi accordi,dell'importante orientamento che precisa che tali accordi devono mirare a promuovere il rispetto dello sviluppo sostenibile (soprattutto norme sociali e ambientali). Questo mandato va inquadrato nella prospettiva dei grandi problemi planetari: cambiamento climatico, obiettivi del Millennio, riduzione della povertà, lavoro dignitoso, norme sanitarie (principalmente alimentari).

2.6

Il CESE raccomanda di rilanciare il dibattito in seno alla società civile sulle preferenze collettive, sulle quali si fonda il modello europeo dell'economia sociale di mercato. Nei negoziati bilaterali l'Europa deve mettere in chiaro che sostiene le proprie preferenze collettive per quanto riguarda le questioni sociali, la sicurezza alimentare e l'ambiente. Questa sua posizione trova conferma nella Comunicazione della Commissione dal titolo L'interesse europeo: riuscire nell'epoca della globalizzazione (COM(2007) 581 def.), dell'ottobre 2007, in cui si afferma che «l'UE deve accertarsi che i paesi terzi offrano livelli proporzionati di apertura agli esportatori e investitori UE e che vi siano regole di base che non compromettano la nostra possibilità di tutelare i nostri interessi e di salvaguardare i nostri elevati standard per i prodotti nei settori della sanità, sicurezza, ambiente e protezione dei consumatori».

2.7

La Commissione ha annunciato che tra breve presenterà nuove idee per affrontare queste sfide fondamentali, alla luce dell'impegno assunto dall'UE di aprire i mercati e garantire una concorrenza equa. Il CESE ritiene pertanto piuttosto urgente andare avanti con gli accordi bilaterali al fine di perseguire un triplice obiettivo politico di protezione, equità e reciprocità, in modo da aprire la strada a una nuova generazioni di accordi.

3.   La comunicazione Europa globale — un sostanziale cambiamento nella politica commerciale dell'UE

3.1

L'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri — nell'aprile 2007 — della comunicazione della Commissione dal titolo Europa globale: competere nel mondo rappresenta un evento altamente significativo a livello mondiale. L'UE costituisce uno dei maggiori partner commerciali al mondo, in quanto è responsabile rispettivamente del 26 % e del 17,5 % degli scambi mondiali di servizi e di merci (UE-25 — cifre relative al 2005). La strategia proposta dalla Commissione, se da un lato ribadisce l'impegno dell'UE nei confronti del multilateralismo, dall'altro promuove una nuova generazione di accordi bilaterali e regionali di libero scambio, oltre a mirare all'eliminazione di barriere non tariffarie e normative.

3.2

Questa nuova impostazione è chiaramente il risultato della mancanza di progressi concreti nel ciclo di negoziati di Doha per lo sviluppo. Essa va pertanto accolta favorevolmente in quanto esprime la volontà di proseguire il programma di liberalizzazione. La Commissione sottolinea a giusto titolo che tale strategia non si sostituisce al multilateralismo, ma costituisce un impegno a mantenere vivo il processo, cosa che il CESE accoglie con favore. La conclusione del ciclo di Doha resta una necessità politica strategica.

3.3

La Comunicazione Europa globale rappresenta comunque un sostanziale cambiamento di direzione nella politica commerciale comunitaria, il primo dal 1999 a questa parte. Il CESE, però, si è già espresso a favore di detta comunicazione (1), non da ultimo in quanto essa ribadisce l'impegno della Commissione a favore dello sviluppo degli scambi commerciali e l'attaccamento dell'UE al multilateralismo.

3.4

È importante che gli accordi bilaterali non scoraggino il multilateralismo. Essi dovrebbero pertanto limitarsi a fornire un sostegno all'approccio multilaterale, essere considerati compatibili con tale approccio e in definitiva rafforzarlo. Il CESE considera che eventuali benefici ottenuti a livello bilaterale possono stimolare il processo multilaterale grazie alle discussioni condotte più in profondità e al ravvicinamento delle posizioni prodotto dagli approcci bilaterali.

3.5

Va rilevato come la complessità della situazione sia stata delineata con grande chiarezza dal prof. Patrick MESSERLIN (2). In alcuni paesi o raggruppamenti regionali di piccole dimensioni, le risorse umane sono così limitate che la scelta tra multilaterale o bilaterale è difficile e determinante.

3.6

La Commissione deve pertanto negoziare accordi di libero scambio (Free Trade Agreement — FTA) che dimostrino di poter fornire un autentico valore aggiunto. L'approccio bilaterale può consentire un maggior rispetto delle differenze regionali e nazionali rispetto a un accordo multilaterale, che segue per forza un'impostazione più ampia. A questo proposito si rileva inoltre una nuova e chiara attenzione per i cosiddetti tre «temi di Singapore» ancora in sospeso, vale a dire la concorrenza, gli investimenti e la trasparenza degli appalti pubblici, che la Commissione intende ora affrontare nell'ambito dei negoziati FTA proposti, anche se l'UE aveva eliminato questi temi dall'agenda dei negoziati di Doha per lo sviluppo in occasione della conferenza dell'OMC di Cancun.

3.7

Il CESE sottolinea tuttavia la necessità di modificare l'approccio in termini qualitativi per questa nuova serie di negoziati: non basta infatti riproporre a livello bilaterale le politiche che hanno fallito a livello multilaterale.

3.8

L'UE deve al tempo stesso rendersi conto che ciascun partner negoziale vorrà comunque procedere a un ritmo e secondo le modalità più consone alle proprie tradizioni. Le differenze di approccio tra Europa ed Asia sono notevoli in numerosi settori e come tali vanno rispettate. Tra i membri dell'ASEAN, poi, vi sono altre ampie differenze, soprattutto nei livelli di sviluppo. L'UE non può estendere l'applicazione dei propri standard senza prima negoziare.

4.   Raccomandazioni generali per i futuri FTA

4.1

La Commissione ha individuato una serie di FTA principali ed altri negoziati commerciali che desidera promuovere, oltre ad alcune aree negoziali importanti, tra cui le barriere tecniche e non tariffarie e i temi di Singapore, con cui intende sviluppare e rafforzare la propria «agenda competitività» per la politica commerciale. I negoziati dovranno comunque essere per quanto possibile a largo raggio, evitando però ad ogni costo accordi che presentino contraddizioni evidenti e standard incompatibili con altri accordi. Il CESE veglierà affinché vengano adottati orientamenti chiari sia negli FTA previsti che in altri negoziati possibili sui temi elencati di seguito.

4.2

In numerosi paesi gli ostacoli tecnici al commercio impediscono lo sviluppo degli scambi commerciali, la crescita economica e l'accesso ai mercati ben più delle barriere tariffarie (numerosi paesi in via di sviluppo hanno infatti deciso unilateralmente di ammorbidire i loro regimi tariffari in quanto vogliono sviluppare gli scambi e gli investimenti). A tale riguardo i requisiti, specie quelli applicati in materia di salute umana, animale e vegetale, sono regolarmente al centro di controversie, soprattutto perché l'UE mantiene standard tra i più elevati al mondo — che gli altri spesso interpretano come una forma celata di protezionismo. L'UE dev'essere pronta ad intensificare le iniziative di formazione, ad ampliare le capacità già disponibili, e a perpetuare il successo già registrato dai suoi programmi di assistenza tecnica in materia commerciale.

4.3

Le barriere tariffarie costituiranno un elemento chiave in ciascuno dei tre negoziati principali con la Corea, l'India e i paesi dell'ASEAN. L'India in particolare applica alcune tariffe molto elevate, associate ad ulteriori tributi, vale a dire un dazio addizionale e un dazio addizionale straordinario (Additional Duty e Extra Additional Duty), che sommate creano per determinati prodotti un'aliquota del 550 %. La mancanza di armonizzazione costituisce un problema per i paesi dell'ASEAN, che applicano un'ampia gamma di tariffe differenziate e sistemi di accise discriminatori (3).

4.4

L'eliminazione del maggior numero possibile di barriere non tariffarie occuperà un posto di primo piano a livello negoziale, anche se in questo caso i problemi di fondo deriveranno da una burocrazia straripante, da una regolamentazione a livello locale tale da scoraggiare l'iniziativa, da una mancanza di impieghi alternativi per il personale in esubero e forse anche dal fenomeno della corruzione. L'OMC stima ad esempio che il 93 % delle importazioni in India sia soggetto a qualche forma di barriera non tariffaria, rispetto invece al 22 % delle importazioni in Brasile (4). Le barriere non tariffarie sono molto consistenti anche nei paesi dell'ASEAN, ma, ancora una volta, la loro portata varia sensibilmente (in Indonesia interessano ad esempio il 31 % delle importazioni e a Singapore solo il 2 %). Nel caso della Corea, tale dato è pari al 25 %.

4.5

I criteri economici devono avere un'importanza prioritaria — i mercati attuali e futuri devono costituire un fattore determinante per l'elaborazione dei prossimi FTA.

4.6

Gli accordi devono comprendere praticamente tutte le merci e tutti i servizi, vale a dire almeno il 90 % degli scambi commerciali: l'articolo XXIV dell'Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (GATT) specifica che tra i membri di un FTA vanno eliminate praticamente tutte le restrizioni. Qualche eccezione va fatta soprattutto in presenza di un'agricoltura di sussistenza. Tale restrizione non può applicarsi però ai servizi, in cui l'inserimento ottimale costituirà un punto critico. In questo caso la posta in gioco per ciascuna parte negoziale è elevatissima — forse la più facilmente quantificabile in termini commerciali. Perché tutte le parti ottengano il massimo beneficio, di fondamentale importanza sarà — naturalmente — la libera circolazione dei capitali e dei finanziamenti. Gravi problemi sorgono però soprattutto nel caso della circolazione delle persone, in special modo secondo le «modalità» 3 e 4. Per trovare una soluzione soddisfacente a tali problemi occorrerà particolare abilità, soprattutto quando si tratterà di concedere a professionisti qualificati di ciascuno dei partner commerciali un accesso più libero ai singoli Stati membri. La società civile vorrà seguire da vicino l'evoluzione e l'attuazione degli accordi in questo settore. È comprensibile che per tutte le parti negoziali alcuni settori siano più sensibili di altri, ma si dovranno evitare ad ogni costo accordi che siano in contraddizione o incompatibili con qualunque altro accordo già raggiunto. Il CESE appoggia tuttavia l'intenzione della Commissione di lavorare partendo da un elenco positivo, come per i negoziati di Doha, e non da un elenco negativo, come fanno gli Stati Uniti.

4.7

L'UE dovrebbe promuovere la dimensione internazionale del mercato interno, non da ultimo per incoraggiare l'integrazione economica laddove ciò sia vantaggioso, ad esempio nel caso dei principi contabili, anche per garantire condizioni uniformi a tutte le parti in gioco.

4.8

Tutti gli FTA dovranno contenere clausole di salvaguardia e un meccanismo per la composizione delle controversie, nonché un certo grado di monitoraggio dell'agenda sociale. Il CESE raccomanda la messa a punto di un meccanismo di composizione rapida delle controversie non tariffarie. Si tratterebbe di un meccanismo bilaterale di conciliazione basato su un dispositivo flessibile, sul modello della rete Solvit già sperimentata all'interno dell'UE. Il CESE ha già affrontato la questione del monitoraggio dell'agenda sociale nel contesto di accordi bilaterali, proponendo di istituire i cosiddetti «osservatori bilaterali comuni» (5).

5.   Raccomandazioni per i futuri accordi commerciali: gli aspetti sociali e ambientali  (6)

5.1

Il CESE si compiace in modo particolare del fatto che la Commissione evidenzi l'importanza della giustizia sociale quando afferma che «dobbiamo anche essere consapevoli delle ripercussioni potenzialmente catastrofiche che l'apertura del mercato può comportare per certe regioni e certi lavoratori, soprattutto quelli meno qualificati». Sottolinea inoltre la minaccia pendente del cambiamento climatico e menziona in questo contesto l'energia e la biodiversità.

5.2

Nell'Uruguay Round la Commissione aveva sostenuto l'idea di una clausola sociale per il commercio mondiale, che però era stata abbandonata anche a causa dell'opposizione dei paesi in via di sviluppo, i quali temevano che dietro questa condizionalità potesse nascondersi una qualche forma di protezionismo.

5.3

Nell'UE sono tuttavia rimaste vive le preoccupazioni per un possibile dumping sociale, vale a dire lo sfruttamento di salari e di costi sociali artificialmente bassi per esercitare una concorrenza sleale. Il CESE (7) ritiene in particolare che le zone franche di esportazione esistenti nei paesi in cui sono in corso negoziati bilaterali non dovrebbero in alcun caso operare al di fuori dei limiti fissati dalle legislazioni nazionali del lavoro (in materia sociale ed ambientale). Si tratta di un autentico dumping sociale e ambientale. Gli accordi negoziati devono garantire che nessuna impresa, tramite la catena di subappalti, stabilisca obiettivi inferiori alla legislazione nazionale o alle convenzioni fondamentali dell'OIL.

5.4

Tutti i negoziati bilaterali dovranno poggiare sull'ossatura costituita dai principali impegni internazionali: la dichiarazione dell'OIL del 1998, il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile del 2005, gli impegni presi nel quadro degli obiettivi del Millennio per la riduzione della povertà e la dichiarazione ministeriale del 2006 sul lavoro dignitoso.

5.5

Nonostante i punti sensibili e l'assenza di progressi nel perseguire l'agenda sociale a livello multilaterale in sede di OMC, il CESE sollecita la Commissione ad analizzare come affrontare questo tema con un approccio bilaterale. Come si è già detto, infatti, quest'ultimo può risultare più vantaggioso per raggiungere l'obiettivo della Commissione, in quanto garantisce un dialogo maggiormente mirato e attento ai diversi livelli di sviluppo.

5.6

Cresce il numero di cittadini europei preoccupati per il futuro dell'Europa nell'era della globalizzazione. Da parte sua la Commissione cerca di definire l'«interesse europeo», come risulta dalla relazione di sintesi sull'attuazione della strategia di Lisbona del dicembre 2007. La Commissione insiste sulla dimensione esterna (8): essa rileva la necessità crescente di garantire la parità di condizioni a livello internazionale.

Per consolidare la dimensione esterna della strategia di Lisbona, che combina difesa e apertura legittima dell'interesse europeo, la Commissione ha deciso che il dialogo con i paesi terzi sarà approfondito e razionalizzato, con un'attenzione più marcata per le questioni di interesse reciproco, quali l'accesso al mercato, la convergenza delle regolamentazioni, le migrazioni e il cambiamento climatico. Ogni anno essa adotterà una relazione unica sull'accesso al mercato, stilando un inventario dei paesi e dei settori in cui sussistono gravi ostacoli. Il CESE auspica un coinvolgimento della società civile in Europa e dei suoi partner negoziali. A suo avviso ciò dovrebbe restituire visibilità e coerenza alle politiche comunitarie in materia di scambi commerciali, relazioni esterne e aiuti allo sviluppo.

5.7

Nell'immediato e ai fini dei negoziati commerciali in corso, il CESE ritiene che lo «zoccolo» del capitolo Sviluppo sostenibile (aspetti sociali, ambientali, diritti dell'uomo e governance) sia costituito dalle 27 convenzioni internazionali (9) già individuate dal sistema europeo di preferenze generalizzate in vigore (SPG Plus). Occorre ora fare di tale zoccolo un punto di riferimento comune. La ratifica, l'applicazione e il follow-up di queste 27 convenzioni deve costituire la soglia minima di discussione del capitolo Sviluppo sostenibile nel caso dei negoziati avviati con i paesi asiatici (10).

5.8

Tenuto conto del diverso livello di sviluppo dei paesi asiatici interessati e della loro capacità amministrativa di applicare in concreto tali convenzioni, il CESE raccomanda una valutazione differenziata di questa condizionalità e un'assistenza finanziaria adeguata alle loro esigenze di recupero. Al tempo stesso, nel caso di paesi più avanzati come la Corea del Sud, questo zoccolo sarà solo un punto di partenza, cui si potranno aggiungere impegni più consistenti.

5.9

A tal fine gli FTA vanno affiancati da accordi di cooperazione che offrano l'assistenza finanziaria necessaria per l'opera di adeguamento agli standard internazionali. Questo livello di impegno finanziario determinerà in modo significativo la severità dei requisiti, soprattutto in campo ambientale. L'assistenza tecnica sarà tanto più efficace in quanto legata ai risultati ottenuti nell'applicazione di determinate convenzioni. Mediante la concessione di un finanziamento, il monitoraggio degli impegni diventerà così un incentivo al progresso sociale.

5.10

L'assistenza tecnica sarà destinata anche alla creazione o al potenziamento di enti locali o regionali incaricati di monitorare l'applicazione (ad es. ispettori del lavoro, agenzia per il controllo dei pesticidi, ecc.). Il CESE insiste in particolare sulla necessità di affidare i meccanismi bilaterali di follow-up a organismi locali o regionali in grado di garantire in modo efficace su tutto il territorio la sorveglianza dei produttori e di applicare sanzioni in caso di infrazione. Un vero accesso agli appalti pubblici presuppone altresì un maggior coinvolgimento degli enti territoriali nelle fasi di follow-up e di attuazione.

5.11

Il CESE auspica che degli studi di impatto sociale e ambientale siano disponibili per ciascun paese sin dalle prime fasi negoziali in modo da offrire ai negoziatori un panorama obiettivo delle possibilità e delle difficoltà di raggiungere con un determinato paese un compromesso realistico. È meglio rallentare il processo negoziale se si vuole garantire un risultato di qualità, tenendo conto degli studi di impatto in corso di esecuzione che consentiranno alla società civile di seguire tale processo in piena trasparenza e di valutare il livello di assistenza finanziaria necessario a raggiungere obiettivi sociali ed ambientali migliori.

5.12

Per numerosi paesi, una riduzione delle tariffe doganali comporta una perdita di risorse destinate a finanziare i servizi pubblici. Questa questione complessa richiede un ulteriore esame. Negli FTA non dovrebbero pertanto figurare proposte o misure che potrebbero in via diretta o indiretta ostacolare il funzionamento dei servizi pubblici.

6.   Un approccio dinamico nei confronti del lavoro dignitoso negli accordi commerciali dell'UE

6.1

Il CESE ritiene che il lavoro dignitoso, secondo la definizione fornitane dall'OIL, debba diventare un riferimento prioritario negli scambi commerciali a livello europeo e mondiale. Si tratta di un concetto riconosciuto su scala internazionale dai datori di lavoro, dagli Stati e dai lavoratori. La garanzia di un lavoro dignitoso — che comprenda l'impiego, il rispetto dei diritti dei lavoratori, il dialogo sociale e la protezione sociale — è indispensabile per ridurre la povertà e generare un progresso globale (11).

6.2

I comitati di monitoraggio degli FTA devono sostenere le procedure di dialogo già esistenti, soprattutto nei casi in cui un accordo di associazione preveda già una struttura di dialogo per l'occupazione e gli affari sociali.

6.3

Il CESE ritiene che i progressi in materia di norme sociali debbano inserirsi nella prospettiva dello sviluppo sostenibile enunciato nel mandato. Nel 1996 era stata riconosciuta la necessità di rafforzare il lavoro congiunto dell'OIL e dell'OMC. Nel 2007 questa volontà di ravvicinamento si è concretizzata in uno studio congiunto sull'occupazione e gli scambi commerciali e dovrebbe proseguire con l'elaborazione di uno studio sul settore informale. Il CESE raccomanda all'UE di tener conto degli interventi dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) a livello regionale per valutare l'impatto dell'integrazione degli scambi commerciali sul lavoro dignitoso e sulla strutturazione delle politiche in materia di occupazione, protezione sociale e diritto del lavoro. Attira l'attenzione dei negoziatori sull'importanza di definire indicatori che siano compatibili con l'agenda per il lavoro dignitoso.

6.4

Allo stato attuale dei negoziati, il CESE ritiene indispensabile la ratifica (12) e l'applicazione effettiva (con verifica da parte di un gruppo di lavoro congiunto OMC-OIL) delle otto convenzioni fondamentali e auspica che si tenga conto delle altre quattro convenzioni prioritarie sulla salute e la sicurezza e sulle ispezioni del luogo di lavoro; incoraggia inoltre la ratifica del maggior numero possibile di convenzioni pertinenti da parte dei paesi interessati, nel rispetto del principio di differenziazione.

6.5

Il CESE raccomanda di arricchire la negoziazione di nuovi accordi commerciali con l'introduzione di un piano nazionale a favore del lavoro dignitoso. Incoraggia i paesi asiatici interessati a chiedere l'assistenza dell'OIL per una diagnosi tripartita e a favorire il riconoscimento di questo piano da parte di tutte le istituzioni internazionali. Il CESE auspica l'inserimento del tema dei negoziati bilaterali nel bilancio consuntivo previsto per il 2008 di quanto fatto per dar seguito al documento della Commissione Promuovere un lavoro dignitoso per tutti (COM(2006) 249 def.).

6.6

I CESE chiede quindi che, nella successiva fase di monitoraggio degli accordi, l'UE fornisca il suo contributo finanziario, accanto a quello degli Stati membri in quanto donatori, per l'attuazione dei piani nazionali per il lavoro dignitoso. Nella sua relazione annuale dedicata a ciascun paese, l'UE dovrebbe attribuire un'importanza speciale all'esercizio dei diritti sindacali e alle raccomandazioni della Commissione riguardo alle norme dell'OIL.

6.7

Nell'ambito del meccanismo di monitoraggio, il CESE ritiene che le parti sociali a livello regionale e locale debbano essere incoraggiate a fornire il loro contributo alle analisi d'impatto. Raccomanda di creare strutture settoriali per analizzare con attenzione le difficoltà specifiche riscontrate da ciascun settore.

7.   I diritti di proprietà intellettuale (DPI) e il loro rispetto

7.1

Il CESE si compiace dell'attenzione riservata dalla Commissione al rafforzamento delle disposizioni in materia di DPI, nonché le modalità scelte per tale rafforzamento, in particolare l'offerta di sostegno alle PMI e ad altri operatori che intrattengono scambi commerciali con le economie emergenti. L'UE deve necessariamente sviluppare la propria strategia volta a tutelare i DPI e a farli rispettare se vuole raggiungere il proprio obiettivo di ridurre le violazioni in questo campo e limitare la produzione ed esportazione di merce contraffatta. Far rispettare gli accordi in questo caso è fondamentale. L'accordo TRIPS dev'essere applicato dai partner FTA nella sua interezza; nel concludere gli FTA, l'UE dovrebbe pertanto mirare soprattutto a ottenere un serio impegno, da parte dei contraenti, a rispettare la normativa vigente in materia di DPI e a garantire un livello sufficiente di controllo e valutazione dei risultati ottenuti, piuttosto che puntare ad accordi completamente nuovi. Le capacità e le competenze dell'Europa in fatto di R&S, messe giustamente in risalto nella strategia di Lisbona, svolgeranno un ruolo chiave nel mantenere la competitività dell'UE in un mondo in cui le sfide economiche maggiori verranno in misura crescente dai paesi extraeuropei.

7.2

Nella lotta alla contraffazione il CESE esorta i negoziatori, soprattutto nel caso dell'India, a discutere misure volte a proteggere i consumatori dai rischi legati a tale pratica. Il follow-up dell'accordo dovrà prevedere l'istituzione di un comitato congiunto UE-India sulla contraffazione (su modello di quello già esistente per la Cina) (13).

7.3

Dal momento che l'India è impegnata nel processo di Heiligendamm (avviato nel luglio 2007) tra il G8 e cinque paesi emergenti per un dialogo strutturato sulla promozione dell'innovazione e la protezione dei DPI, dal punto di vista della società civile sarà utile tener conto del monitoraggio di tale processo nei negoziati bilaterali.

8.   Regole di origine

8.1

Dovrebbe essere consentito il cumulo dell'origine tra i partner con cui l'UE ha concluso un FTA ed andrebbero armonizzate le regole di origine per agevolare gli scambi con questi partner. In assenza di cumulo e di regole di origine armonizzate per gli scambi multilaterali («regole non preferenziali») e le aree di libero scambio («regole preferenziali»), gli operatori economici hanno difficoltà a trarre pieno beneficio dalle tariffe inferiori offerte dagli FTA. Numerosi importatori europei pagano oggi la tariffa piena non preferenziale, invece di quella prevista dall'FTA, per non incorrere in eventuali sanzioni dovute al fatto di accettare certificati di origine di dubbia accuratezza. In questi casi gli FTA non soddisfano l'obiettivo di sviluppare gli scambi.

9.   Appalti governativi, investimenti e norme della concorrenza all'estero

9.1

Nonostante i timori espressi riguardo al ciclo di negoziati di Doha per lo sviluppo e all'opportunità di riproporre ora i temi di Singapore, il CESE accoglie con favore le proposte dettagliate formulate dalla Commissione in merito all'apertura degli appalti pubblici (o «governativi») all'estero, alle norme in materia di investimenti, concorrenza e aiuti di Stato, date le pratiche restrittive applicate in questi campi da molti dei maggiori partner commerciali dell'UE. Come già precisato, vale la pena stipulare un FTA se esso apporta un valore aggiunto visibile.

9.2

Il CESE ricorda che esiste un gruppo di lavoro OMC sugli appalti governativi che consente ai paesi schierati su posizioni simili di effettuare progressi consensuali in materia sotto gli auspici dell'OMC, offrendo così la possibilità di imprimere nuovo slancio senza forzare i paesi ad andare oltre quanto si sentono in grado di fare o di affrontare. Questa formula potrebbe essere adottata anche per gli accordi bilaterali.

9.3

«Quello degli appalti pubblici», si afferma nella comunicazione Europa globale, «è un ambito che presenta importanti potenzialità non ancora valorizzate appieno per gli esportatori dell'UE». Gli appalti governativi sono particolarmente importanti per gli esportatori comunitari che operano in numerosi settori dei mercati emergenti. Di fronte all'esempio offerto dall'FTA stipulato dall'UE con il Cile, il CESE considera pertanto le norme pattuite nell'accordo sugli appalti governativi (GPA) del 1994 come il livello minimo da perseguire: l'UE in questo caso offre ai paesi terzi assistenza tecnica ed altri interventi volti a creare capacità (capacity building), qualora ciò sia necessario per consentir loro di onorare l'accordo. Il CESE rileva che questo è l'obiettivo dei negoziati portati avanti dagli Stati Uniti e si rallegra che, in base alle assicurazioni fornite dalla Commissione, l'UE condivida tale obiettivo. Il CESE non si illude certo che si tratti di un obiettivo facile da raggiungere, soprattutto con l'India, in cui gli appalti sono di competenza statale e non federale.

9.4

Analogamente, il miglioramento delle condizioni degli investimenti nei paesi terzi sarà un fattore importante al fine di garantire la crescita sia nell'UE che nei «paesi beneficiari». Un gran numero, se non la maggioranza dei partner commerciali dell'UE mantiene un elevato livello di protezione contro gli investimenti diretti esteri applicando regimi discriminatori, procedure di autorizzazione che comportano elevati costi amministrativi e/o burocratici, a cui si aggiungono troppi settori completamente o parzialmente inaccessibili agli investimenti europei soprattutto nel settore dei servizi (banche, finanze, assicurazioni, servizi giuridici, telecomunicazioni, distribuzione al dettaglio e trasporti). Il punto cruciale dei negoziati sarà eliminare le restrizioni inutili, nonché garantire che i negoziati stessi e il processo avviato successivamente siano perfettamente trasparenti e che la relativa procedura di autorizzazione adottata dal partner FTA sia equa, rapida ed efficiente. Il CESE rileva che il modello di FTA adottato dagli Stati Uniti nei loro negoziati prevede un approccio molto ampio, che comprende tra l'altro la tutela degli investitori.

9.5

Il CESE accoglie con favore il desiderio dell'UE di inserire nei negoziati FTA alcune disposizioni in materia di concorrenza. Numerosi problemi connessi agli investimenti e alle agevolazioni degli scambi derivano dalla mancanza, in determinati paesi, di regimi di concorrenza adeguati, il che ostacola e distorce gli scambi commerciali mondiali, e i flussi di investimenti sono spesso frenati da distorsioni del mercato prodotte dall'assenza di concorrenza (o da gravi carenze in fatto di applicazione delle regole). Si tratta, ancora una volta, di questioni fondamentali di governance mondiale. Entrambi gli accordi stipulati con il Sud Africa e il Cile prevedono la cooperazione tra la Commissione e le autorità locali responsabili della concorrenza. La Commissione dovrebbe mirare ad inserire negli FTA disposizioni in questo senso, pur trattandosi di un obiettivo difficile da raggiungere (con la possibile eccezione dell'accordo con la Corea del Sud).

9.6

Il CESE accoglie con favore la rinnovata attenzione della Commissione per una strategia di accesso ai mercati, assieme all'impegno di concentrare le risorse in determinati paesi e di stabilire priorità chiare in materia di eliminazione delle barriere non tariffarie e di altra natura in paesi prioritari.

9.7

Il CESE rileva infine che è attualmente in corso la revisione degli strumenti di difesa commerciale che, a suo avviso, devono mantenere un ruolo protettivo anche negli accordi bilaterali (misure antidumping, antisovvenzione e di salvaguardia).

10.   Agevolazione degli scambi

10.1

Il quarto tema di Singapore — l'agevolazione degli scambi — menzionato nella Comunicazione, costituisce tuttora parte integrante dell'agenda di Doha. A quanto risulta, la bozza dell'accordo OMC sull'agevolazione degli scambi dovrebbe essere prossima all'adozione. Ciò dovrebbe contribuire in modo sostanziale alla fissazione di standard di base per la gestione degli scambi commerciali alle frontiere/dogane su scala mondiale, nonché ridurre il rischio di un intervento governativo imprevedibile. Tale accordo dovrebbe prevedere tra l'altro procedure accelerate e semplificate per lo svincolo/sdoganamento delle merci, procedure di ricorso ed appello, la pubblicazione della regolamentazione commerciale, la riduzione al minimo di tasse e imposte, e soprattutto l'introduzione di uno «sportello unico» — ovverosia un incremento esponenziale dell'informatizzazione delle procedure doganali. Ciò — da solo — dovrebbe ridimensionare considerevolmente le sovrapposizioni, i costi e i tempi, soprattutto nei casi in cui numerosi uffici ministeriali diversi richiedano informazioni pressoché identiche. Tale provvedimento dovrebbe risultare particolarmente importante nei negoziati con l'India. Secondo i dati forniti dalla Banca mondiale (14), sono necessari in media dieci giorni per esportare merci dall'India (contro 7 dal Brasile) e 41 giorni per importare merci in India (contro 24 in Brasile). Forti discrepanze sono riscontrabili anche tra i paesi dell'ASEAN — in particolare tra Singapore e la Tailandia. Il CESE sollecita la Commissione a compiere quanto in suo potere per garantire la conclusione di questo accordo, anche in caso di blocco totale dei negoziati di Doha. Ciò dovrebbe a sua volta portare all'adozione di standard più elevati nell'ambito di procedure frontaliere e doganali più semplici, efficienti ed economiche.

10.2

I primi a beneficiare di questo accordo sarebbero i paesi privi di sbocchi sul mare: nel loro caso, infatti, una procedura trasparente e informatizzata consentirebbe di eliminare eventuali perdite e ritardi nelle fasi in cui le merci transitano per un paese terzo perché dirette verso o provenienti da uno scalo portuale.

10.3

Le piccole imprese sono quelle maggiormente esposte ai costi doganali delle transazioni commerciali e spesso non dispongono della massa critica necessaria (in termini di economie di scala, volume delle vendite, reti di distribuzione, mezzi di trasporto, ecc.) per affrontare gli elevati costi doganali derivanti dai ritardi amministrativi, dalla corruzione e da altri fattori, con il risultato di perdere potenziali mercati. Le PMI degli Stati membri trarrebbero particolari benefici da un accordo sulle agevolazioni degli scambi. Nel breve periodo le PMI potrebbero ottenere maggiori vantaggi da un accordo ambizioso in materia che non da riduzioni tariffarie.

10.4

A prescindere dai progressi che compirà il ciclo di Doha, il CESE auspica pari attenzione sia per i negoziati FTA sull'agevolazione degli scambi che per gli altri tre temi di Singapore.

10.5

Il CESE prende atto del successo registrato dai programmi di assistenza tecnica in materia commerciale della Commissione, che hanno realmente contribuito a sviluppare la capacità dei paesi terzi, da un lato, di rispettare le condizioni conseguenti all'adesione all'OMC e, dall'altro, di soddisfare gli elevati requisiti derivanti dal fatto sia di esportare merci e servizi verso l'UE che di beneficiare degli investimenti comunitari. Nel quadro di tali programmi si potrà sfruttare l'esperienza tecnica di altri organismi internazionali sotto l'egida delle Nazioni Unite (ad es. l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO), l'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) e il Centro internazionale per il commercio (ITC)): ciò consentirà di accrescere la visibilità dell'UE e di promuovere la cooperazione tra istituzioni internazionali. Questo aspetto diventerà particolarmente significativo se si vogliono coinvolgere maggiormente i paesi dell'ASEAN più arretrati, oltre ad essere importante per registrare dei progressi in America Latina.

11.   Il ruolo della società civile

11.1

Il CESE accoglie con piacere l'obiettivo della Commissione volto a garantire un maggior livello di monitoraggio e di trasparenza dei negoziati e ad estendere — per poi sviluppare — la sua collaborazione con la società civile degli altri paesi e regioni del mondo partecipanti ai negoziati. In materia di monitoraggio il CESE ritiene, data la sua struttura, di poter svolgere un ruolo attivo. La sua esperienza gli consente in particolare di individuare potenziali partner in altri paesi. Il coinvolgimento di tali partner contribuirà, a sua volta, a rafforzare il loro ruolo in patria.

11.2

Nell'ambito dei negoziati per gli accordi di partenariato economico (APE) con i paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) al CESE è stato dato mandato, in virtù dell'accordo di Cotonou, di organizzare consultazioni e riunioni con i gruppi d'interesse economico e sociale; il mandato è stato poi allargato nel 2003 al monitoraggio dei negoziati, su richiesta dell'allora commissario europeo per il commercio estero Pascal LAMY. Con l'attiva partecipazione dei negoziatori della Commissione, tale impegno si è tradotto in due riunioni l'anno del comitato di monitoraggio ACP-UE, uno o due seminari regionali l'anno e conferenze generali a Bruxelles, con delegati provenienti da tutti i paesi ACP. Come risultato delle consultazioni, l'APE concluso con i Caraibi prevede sia un capitolo sociale e ambientale, sia l'istituzione di un comitato consultivo della società civile incaricato di monitorare l'attuazione dell'accordo e di riesaminarne tutti gli aspetti economici, sociali e ambientali.

11.3

Quanto ai proposti accordi di associazione con le regioni andine e dell'America centrale, dal 1999 a questa parte si è instaurato un dialogo regolare con rappresentanti della società civile organizzata dell'America Latina e dei Caraibi — nell'aprile 2008 è prevista la quinta riunione. Tale dialogo è stato avviato per garantire il contributo della società civile ai vertici biennali tra l'UE e l'America Latina. Il CESE intrattiene inoltre contatti frequenti con il Forum consultivo economico e sociale del Mercosur, il Consiglio consultivo dei lavoratori andini, il Consiglio consultivo imprenditoriale andino e il comitato consultivo della società civile in seno al Sistema di integrazione centroamericana.

11.4

Il CESE partecipa altresì alle Tavole rotonde UE-India e UE-Cina, al cui interno esso rappresenta l'UE. La prima Tavola rotonda è stata istituita nel 2001 e la seconda nel giugno 2007. Entrambe tengono riunioni periodiche. Il loro operato è già stato riconosciuto in occasione dei vertici annuali. Il CESE ha inoltre contatti a livello di società civile con i Consigli economici e sociali (CES) della Corea del Sud e della Tailandia tramite l'Associazione internazionale dei consigli economici e sociali e istituzioni analoghe (Aicesis).

11.5

Il CESE spera di poter collaborare all'organizzazione di riunioni periodiche di consultazione della società civile a livello regionale sui negoziati commerciali, avvalendosi dei suoi numerosi contatti a tale livello e della sua lunga esperienza di monitoraggio dei negoziati APE. Il CESE propone di organizzare seminari od altri incontri periodici per consultare i gruppi di interesse economico e sociale nei paesi e nelle regioni interessati, all'occorrenza nell'ambito delle Tavole rotonde esistenti. I negoziatori dell'UE (e i loro interlocutori) sarebbero invitati a riferire in merito allo stato dei negoziati e ad ottenere un feedback dai rappresentanti della società civile europea e dei paesi terzi. Il CESE potrebbe inoltre affiancare l'attività della Commissione favorendo la partecipazione di rappresentanti europei e di paesi terzi al processo di valutazione dell'impatto sulla sostenibilità (Sustainability Impact Assessment — SIA) attualmente in corso e fornendo accesso diretto per via elettronica a tutti i suoi contatti in seno alla società civile dei paesi e delle regioni interessati.

11.6

Il CESE dovrebbe dedicare attenzione agli organi e alle procedure utilizzati per monitorare le questioni più delicate in materia di sviluppo sostenibile. A suo avviso un dialogo bilaterale regolare dovrebbe avvalersi delle raccomandazioni formulate dai diversi meccanismi creati nell'ambito delle 27 convenzioni internazionali di cui al punto 5.7, facendo tesoro tra l'altro delle osservazioni della società civile o analizzando i risultati delle valutazioni non finanziarie condotte paese per paese dalla Banca mondiale o dalle agenzie di rating. La società civile deve altresì condurre una valutazione preliminare dei diversi meccanismi di follow-up interessati.

11.7

Nel caso della Corea, il CESE raccomanda di far ricorso alle relazioni elaborate periodicamente dall'OCSE, soprattutto per quanto concerne la moratoria conclusa con le parti sociali fino al 2010.

11.8

La responsabilità sociale delle imprese (RSI), definita come un'espressione dello sviluppo sostenibile a livello di impresa, può contribuire su base volontaria al rispetto degli impegni sociali e ambientali contenuti nei nuovi accordi commerciali. Questo approccio riprenderebbe in particolare i circa 50 accordi quadro internazionali già negoziati in grandi imprese spesso di origine europea, i quali contribuiscono a promuovere il concetto di lavoro dignitoso grazie all'esemplarità del dialogo sociale portato avanti in alcune filiali di queste imprese nei paesi partner e costituiscono un elemento di attrattiva per la manodopera locale qualificata. Il fatto che grandi multinazionali o filiere di un settore produttivo specifico si impegnino in materia di RSI fornisce un impulso all'intera catena di valore (fornitori e subappaltatori), soprattutto nei grandi paesi emergenti come la Cina. Il CESE raccomanda di inserire nell'agenda dei comitati di monitoraggio degli accordi commerciali la questione dell'etichettatura sociale e ambientale in modo da offrire un'informazione di qualità ai consumatori e rispondere alle esigenze di tracciabilità.

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE 804/2007 sul tema Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione, 31 maggio 2007 (relatore: MALOSSE — REX/228).

(2)  Patrick A.MESSERLIN, Assessing the EC Trade Policy in GoodsJan Tumlir Policy Essay, Bruxelles, ECIPE, gennaio 2007.

(3)  CBI Briefing Paper, marzo 2007.

(4)  OMC, Market Access: Unfinished BusinessPost Uruguay Round Inventory, 2003.

(5)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della CommissioneLa dimensione sociale della globalizzazioneIl contributo della politica dell'UE perché tutti possano beneficiare dei vantaggi (relatori: ETTY e HORNUNG-DRAUS, REX/182).

(6)  Cfr. nota 1.

(7)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione Il partenariato per la crescita e l'occupazione: fare dell'Europa un polo di eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese, dicembre 2006 (relatrice: PICHENOT — SOC/244).

(8)  Comunicazione della Commissione Relazione strategica sulla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione:il nuovo ciclo (2008-2010) Stare al passo con i cambiamenti dell'11.12.2008.

(9)  L'elenco è fornito in allegato.

(10)  La tabella che illustra il livello di ratifica delle convenzioni internazionali da parte dei paesi asiatici è fornita in allegato.

(11)  Cfr. nota 5.

(12)  Cfr. nota 10.

(13)  Cfr. anche parere CESE sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese (relatore: CAPPELLINI, INT/390).

(14)  Banca mondiale, Doing Business 2007, settembre 2006.


19.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 211/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Insieme per comunicare l'Europa

COM(2007) 568 def. e allegato COM(2007) 569 def.

(2008/C 211/22)

La Commissione europea, in data 3 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Insieme per comunicare l'Europa

Il Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno, ha nominato Jillian VAN TURNHOUT relatrice generale.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 92 voti favorevoli, 12 voti contrari e 26 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato ribadisce l'invito rivolto alla Commissione ad affrontare direttamente il problema della mancanza di una base giuridica per la politica di comunicazione. Tuttavia, rendendosi conto degli ostacoli giuridici e politici, non si oppone alla conclusione di un accordo interistituzionale (AII) in materia tra il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione. Nei limiti del possibile, il Comitato si adeguerà agli obiettivi enunciati in tale accordo.

1.2

Il Comitato richiama nuovamente l'attenzione su un duplice problema relativo alle risorse: la mancanza di fondi e la scoraggiante complessità delle procedure burocratiche per la loro erogazione. Il Comitato invita la Commissione a snellire le procedure di erogazione dei contributi e a includere gli organi consultivi, come il Comitato stesso, nei futuri contratti quadro, per es. per i servizi audiovisivi, EBS e i sondaggi di opinione.

1.3

Il Comitato plaude alle idee di comunicare insieme in modo coerente e integrato, coinvolgendo i cittadini europei, e di sviluppare una sfera pubblica europea. Per entrare in contatto con i cittadini sono necessari da un lato un insieme di messaggi chiari, semplici e avvincenti e una visione precisa che i cittadini possano fare propria, dall'altro una concezione adeguata e strumenti per la comunicazione. L'elaborazione di un programma di lavoro annuale attorno a una serie di priorità dell'UE in tema di comunicazione può dare un contributo in questo senso. Purché vi siano risorse adeguate, il Comitato è più che disposto a collaborare con le altre istituzioni in queste attività, rendendosi conto che l'UE non è limitata a Bruxelles e dovrà quindi essere più presente a livello locale.

1.4

Il Comitato annette grande importanza alla propria rappresentanza nell'ambito del Gruppo interistituzionale per l'informazione (IGI). L'addendum «post Libro bianco» al protocollo di cooperazione tra Commissione e CESE del novembre 2005, firmato il 31 maggio 2007, offre alle rappresentanze della Commissione e del Parlamento europeo negli Stati membri un ottimo quadro di riferimento per coinvolgere attivamente i 344 membri del Comitato nelle attività svolte a livello nazionale e regionale. Il Comitato invita la Commissione a riconoscere, nei suoi contatti con la società civile, il ruolo di ponte che esso può svolgere tra le istituzioni europee e la società civile organizzata. Potrebbe anche ritenere utile la partecipazione attiva dei suoi membri alle previste Reti di informazione pilota (RIP) basate sul web. Il Comitato sarà lieto di offrire formazione e di mantenere legami con i punti di contatto specifici con la società civile di cui si propone la designazione all'interno dei servizi della Commissione e in altre reti pertinenti, per es. i punti di contatto CESE presso le rappresentanze della Commissione e i centri Europe Direct. Invita quindi la Commissione a esaminare i possibili modi per accrescere il sostegno prestato alle loro reti, per es. Europe Direct e la rete di oratori Team Europe.

2.   Motivazione

2.1

La comunicazione della Commissione europea Insieme per comunicare l'Europa (COM(2007) 568 def.) è stata adottata il 3 ottobre 2007. Si tratta del quarto documento pubblicato dalla Commissione sul tema della comunicazione. Gli altri tre sono: i) Il Libro bianco della Commissione su una politica europea di comunicazione (COM(2006) 35 def.), adottato il 1o febbraio 2006; ii) il piano d'azione interno (SEC(2005) 985 def.), adottato il 20 luglio 2005; e iii) la comunicazione intitolata Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito (COM(2005) 494 def.), adottata il 13 ottobre 2005.

2.2

Insieme per comunicare l'Europa sottolinea la cruciale importanza della cooperazione tra istituzioni nel comunicare sulle tematiche europee e pone le premesse per una politica di comunicazione efficace, fondata sulla collaborazione con i principali soggetti politici, economici e sociali di tutti i livelli. Contemporaneamente la Commissione, come descritto nella sezione 1, punto 2, e in linea con la risoluzione del Parlamento europeo sulla politica europea di comunicazione, ha adottato anche una proposta di accordo interistituzionale (COM(2007) 569 def.) relativo a Insieme per comunicare l'Europa. Ciò è stato fatto per consolidare l'impegno di tutte le istituzioni europee a perseguire una serie di priorità annuali in tema di comunicazione coinvolgendo gli Stati membri interessati. Pur riconoscendo l'autonomia e le diverse competenze di ognuna delle istituzioni europee, il testo dell'accordo interistituzionale sottolinea l'esigenza e il valore aggiunto di un migliore coordinamento delle loro modalità di comunicazione sulle tematiche europee. A questo scopo, offre anche un quadro di attività coerente. Data la particolare importanza dell'anno in corso per il processo di ratifica del Trattato di riforma di Lisbona e in preparazione delle elezioni europee del 2009, la Commissione invita il Comitato a formulare osservazioni sulla comunicazione.

2.3

Dal canto suo, il Comitato ha adottato di recente tre pareri in tema di comunicazione: il primo, intitolato Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europea (CESE 1249/2005 (1)), è stato adottato il 26 ottobre 2005 ed è rivolto al Parlamento europeo; il secondo, riguardante la comunicazione della Commissione sul Piano D (CESE 1499/2005 (2)), è stato adottato il 14 dicembre 2005. Questi due pareri contengono una serie di raccomandazioni operative. Il terzo parere, in relazione al Libro bianco su una politica europea di comunicazione (CESE 972/2006 (3)), è stato adottato il 6 luglio 2006. In quest'ultimo documento il Comitato invita la Commissione ad affrontare il problema della mancanza di una base giuridica per la politica di comunicazione e raccomanda una maggiore cooperazione interistituzionale basata su un approccio decentrato.

2.4

È perciò opportuno che nel presente parere il Comitato non si soffermi nuovamente su ambiti che ha già trattato o sta ancora trattando. Esso deve piuttosto dedicarsi all'analisi dei tre settori fondamentali individuati nella comunicazione, ovvero:

il coinvolgimento dei cittadini,

lo sviluppo di una sfera pubblica europea, e

il consolidamento dell'approccio basato sulla collaborazione (compresa la proposta di un accordo interistituzionale (IIA) sulla comunicazione).

2.5

Oltre che dai tre pareri citati e dalla comunicazione della Commissione, il presente parere prende spunto anche da diverse altre fonti:

i resoconti sommari dei dibattiti svoltisi in occasione delle sessioni plenarie del CESE dal giugno 2005,

i resoconti sommari dei vari dibattiti svoltisi nell'ambito del gruppo Comunicazione del CESE,

la risoluzione del Comitato sulla tabella di marcia relativa al processo costituzionale, elaborata come contributo al Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007 e adottata il 30 maggio 2007 (CESE 640/2007),

le raccomandazioni scaturite dalla Dichiarazione della gioventù adottata a Roma nel 25 marzo 2007, in occasione del 50o anniversario dei Trattati di Roma,

la partecipazione del Comitato ai sei progetti lanciati nel quadro del Piano D e cofinanziati dalla Commissione,

le conclusioni della conferenza consultiva (stakeholder conference) La vostra Europa, la vostra opinione, che il CESE ha organizzato a Dublino il 18 ottobre 2007, e infine

le conclusioni raggiunte sul tema Comunicare l'Europa: quale ruolo per la società civile? Nel corso del seminario per addetti stampa che il Comitato ha tenuto a Bruxelles il 12 novembre 2007.

2.6

Il presente parere si suddivide in tre sezioni, corrispondenti alle tre tematiche individuate nella comunicazione della Commissione, e all'interno di ogni sezione si limita ad affrontare alcune questioni chiave.

3.   Considerazioni generali

3.1   Il coinvolgimento dei cittadini

3.1.1

Per quanto riguarda specificamente il settore della comunicazione sull'Europa, il ruolo della società civile è fondamentale. Il nuovo quadro di riferimento del Piano D è inteso a far partecipare numerosi operatori allo sviluppo dell'Unione europea, tra cui ONG, associazioni professionali e il crescente numero di imprese che desiderano saperne di più sull'Europa, le sue politiche, i suoi programmi e i suoi modi di procedere. Il Comitato appoggia la richiesta rivolta all'UE nella Dichiarazione della gioventù di Roma affinché attribuisca una dotazione di bilancio più ampia al finanziamento delle ONG, principali dispensatrici di insegnamento informale e promotrici di partecipazione civica, diritti umani e democrazia.

3.1.2

Il Comitato condivide pienamente un approccio alla comunicazione caratterizzato dal multilinguismo. Non solo le attività di comunicazione saranno svolte nel numero di lingue appropriato, ma sarà anche usato un linguaggio semplice e chiaro, come si è chiaramente affermato nel dibattito svoltosi al seminario del CESE per addetti stampa, nel novembre 2007.

3.1.3

Il Comitato ha spesso ricordato che l'UE non è limitata a Bruxelles e, coerentemente, sostenuto con le sue attività il concetto di una maggiore presenza locale. Accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di designare punti di contatto CESE presso tutte le sue rappresentanze, logica conseguenza della firma dell'addendum al protocollo di cooperazione fra le due istituzioni. L'addendum servirà di base per l'ulteriore evoluzione dei rapporti di lavoro interistituzionali. Il Comitato conta 344 membri (consiglieri), che sono disseminati su tutti e 27 gli Stati membri e provengono dalle diverse organizzazioni nazionali che compongono i tre raggruppamenti in cui è suddiviso. I consiglieri conoscono le realtà di livello sia nazionale che regionale e hanno anche una prospettiva europea derivante dalla loro attività presso il Comitato. Le rappresentanze della Commissione e gli uffici d'informazione del Parlamento europeo dovrebbero sfruttare queste risorse preziose. Una prima e interessante sfida per le persone di contatto designate consisterebbe nell'allestire iniziative insieme ai membri del Comitato per celebrare il suo 50o anniversario, nel maggio 2008.

3.1.4

In questo contesto, le numerose reti istituite in tutto il continente sono componenti importanti dell'opera di comunicazione dell'Europa sul piano locale. I centri Europe Direct, per esempio, dovrebbero comunicare in merito alle politiche europee con un occhio a tutte le istituzioni. Il Comitato metterà volentieri le sue conoscenze a disposizione di queste reti, laddove opportuno offrendo materiali informativi e corsi di formazione pertinenti. Il sostegno finanziario di cui usufruiscono, oggi relativamente ridotto, andrebbe rivisto dalla Commissione. Con maggiori risorse e un approccio più diversificato da parte della Commissione, i centri potrebbero supportare in modo più efficiente l'aspirazione a una maggiore presenza sul piano locale. La Commissione e il Parlamento europeo dovrebbero inoltre considerare i possibili modi per coinvolgere nelle attività di comunicazione dell'UE la rete delle Agenzie europee, che sono sparse in tutta Europa. Infine, l'esperienza ha insegnato al Comitato che le iniziative in ambito culturale suscitano interesse tra i cittadini e fungono da importanti veicoli di promozione delle idee europee.

3.1.5

La consultazione svolta dalla Commissione in merito al Libro bianco ha rivelato che i soggetti della società civile auspicano vivamente di essere coinvolti più strettamente nel processo europeo. Il Comitato evidenzia le conclusioni raggiunte nel seminario per addetti stampa che ha tenuto a Bruxelles nel novembre 2007, segnalando che, per effettuare consultazioni, è necessario usare le strutture e le reti esistenti invece di ricominciare ogni volta da capo. Al Comitato, rappresentante della società civile organizzata europea, spetta un ruolo molto importante in questo ambito, e le altre istituzioni europee devono dargliene atto.

3.1.6

Il Comitato conviene con la Commissione che l'educazione e la formazione all'esercizio di una cittadinanza attiva sono di competenza degli Stati membri e rileva che i diritti e i doveri derivanti dalla cittadinanza europea figurano nei programmi scolastici in meno della metà degli Stati membri dell'UE. Il Forum della gioventù che il CESE ha organizzato a Dublino nell'ottobre 2007 ha confermato che i cittadini sono pronti a discutere tematiche europee se gliene si dà l'occasione. Sono fattori importanti l'istruzione e l'inserimento dell'Unione europea nei programmi scolastici. Il seminario ha espresso la richiesta di una maggiore partecipazione dei giovani al processo decisionale. È perfettamente possibile da parte dell'UE promuovere attività di volontariato e programmi di scambio più efficaci senza compromettere le identità nazionali. Il Comitato invita perciò a prendere iniziative specifiche in questo ambito.

3.1.7

Il Comitato accoglie con favore iniziative come Primavera dell'Europa e Si torna a scuola. Invita quindi la Commissione a esaminare in che modo si possa migliorare il coinvolgimento delle reti locali e regionali esistenti in tali attività, che dovrebbero interessare tutti i cicli scolastici, ciclo elementare compreso.

3.2   Sviluppare una sfera pubblica europea

3.2.1

La Commissione sottolinea l'importanza del fatto che le sue politiche diano risultati, il modo migliore per assicurare il sostegno dei cittadini al progetto europeo. La scarsa comunicazione che circonda la ratifica del Trattato di riforma di Lisbona sembra in contrasto con l'idea di una sfera pubblica europea. Nella sua risoluzione del maggio 2007, indirizzata al Consiglio europeo del mese successivo, il Comitato ha chiesto il riconoscimento dell'importanza della democrazia partecipativa, specie per il fatto che le istituzioni europee sono tenute a intrattenere un dialogo trasparente e regolare con le organizzazioni della società civile e i cittadini dell'Unione.

3.2.2

Il Comitato condivide l'aspirazione della Commissione e del Parlamento ad accrescere il tasso di partecipazione alle elezioni del 2009 per il rinnovo del Parlamento europeo. Ciò può diventare realtà se si realizzerà l'idea proposta dalla Commissione di stabilire insieme priorità comuni in materia di comunicazione. Il Comitato è disposto a collaborare al perseguimento di tali obiettivi comuni. L'UE ha bisogno di un autentico progetto e di contenuti con i quali i cittadini si possano identificare. Qualsiasi obiettivo europeo dovrà tener conto anche degli aspetti sociali e del lavoro, e sotto questo profilo il Comitato si trova in posizione ideale. Una buona comunicazione deve essere sempre basata su un programma chiaro e ben definito e sull'offerta di un beneficio ai cittadini europei. A una scala più ridotta, i membri del Comitato dovrebbero essere invitati a contribuire all'iniziativa online della Commissione delle Reti di informazione pilota (RIP).

3.2.3

Gli strumenti di comunicazione più potenti sono gli audiovisivi, strumenti ai quali hanno accesso le istituzioni principali, come la Commissione e il Parlamento europeo. Chiaramente, all'atto di stipulare contratti per la prestazione di servizi tramite EBS (Europe by Satellite) o di servizi online via Internet, sarà garantita l'indipendenza editoriale. Nell'elaborare questo tipo di contratti, la Commissione è invitata a considerare in che modo potrebbe dare spazio anche alle altre istituzioni e agli altri organi dell'UE per garantire una comunicazione equilibrata, anche tenendo presente che le procedure amministrative per la conclusione di contratti risultano gravose per gli organi consultivi e gli altri organi dell'UE. La Commissione sarebbe anche in grado di garantire che siano state realizzate le sinergie opportune, cosa che potrebbe valere anche al momento di individuare i settori in cui misurare l'opinione pubblica.

3.3   Consolidare l'approccio basato sulla collaborazione

3.3.1

Il Comitato condivide pienamente l'approccio basato sulla collaborazione che promuove la Commissione europea. Questo approccio coinvolge non solo le istituzioni europee, ma anche gli Stati membri e i responsabili politici e i decisori nazionali e regionali, che devono far proprie le decisioni che prendono a livello europeo. Il Comitato esprime apprezzamento per il networking con i dirigenti nazionali del settore della comunicazione e invita a realizzare maggiori sinergie con le organizzazioni della società civile e le loro risorse di comunicazione. Il Comitato ha realizzato una piattaforma di questo tipo mediante la sua rete di addetti stampa. Andrebbe inoltre ricordato che la maggior parte degli Stati membri dell'UE è dotata di un consiglio economico e sociale nazionale e che i membri del Comitato hanno buoni contatti con tali organizzazioni nei rispettivi Stati membri. Si tratta di una rete potente nell'ambito della quale il Comitato in quanto istituzione può fungere da valido partner delle altre istituzioni.

3.3.2

Il Comitato è pienamente coinvolto nei lavori del Gruppo interistituzionale per l'informazione (IGI), nel quale ha lo status di osservatore, e sottolinea quanto sia importante una buona preparazione di queste riunioni sul piano tecnico. Tra l'altro la partecipazione del Comitato incontra un ostacolo pratico, in quanto le riunioni dell'IGI si tengono sempre a Strasburgo e in contemporanea con quelle del proprio Ufficio di presidenza e con le sessioni plenarie. Il Comitato auspica quindi che le riunioni dell'IGI siano trasferite, in modo da consentire una sua partecipazione al massimo livello. Il Comitato si compiace inoltre della politica di apertura applicata dal gruppo di lavoro del Consiglio per l'informazione ed esprime l'auspicio che tale apertura rimanga tale, permettendogli così di concorrere a plasmare la politica di comunicazione europea.

3.3.3

Pur avendo appoggiato a più riprese l'idea di dotare le attività di comunicazione di un'autentica base giuridica, il Comitato prende atto della proposta di far concludere alla Commissione, al Parlamento europeo e al Consiglio un accordo interistituzionale sulla comunicazione. Da parte sua, il Comitato continua ad aggiornare e attuare il suo piano di comunicazione strategica, il che comporta un continuo riesame dei suoi strumenti di comunicazione e del loro utilizzo e l'esplorazione di metodi innovativi. Nelle sue priorità di comunicazione il Comitato tiene conto degli obiettivi proposti dalla Commissione in materia. Invita quindi a fissare obiettivi che siano chiari, mirati, pertinenti per i cittadini e in numero ridotto.

3.3.4

Il Comitato è favorevole all'erogazione di contributi a titolo dell'iniziativa Piano D e continua a sottolineare che è importante rendere le procedure amministrative trasparenti e meno burocratiche, permettendo così a tutte le organizzazioni della società civile di partecipare ai progetti. Il Comitato attende con impazienza il seguito del Piano D, già annunciato dalla Commissione, ovvero l'iniziativa Debate Europe.

4.   Richiamo alle precedenti raccomandazioni del Comitato

4.1

Il Comitato rimanda alle raccomandazioni in materia di comunicazione che esso ha già rivolto alla Commissione europea, ossia quelle contenute nell'allegato al parere dell'ottobre 2005 sul tema Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europea (CESE 1249/2005), nel parere del dicembre 2005 in merito a Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito (CESE 1499/2005) e nel parere del luglio 2006 in merito al Libro bianco su una politica europea di comunicazione (CESE 972/2006).

Bruxelles, 22 aprile 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 28 del 3.2.2006, pagg. 42-46.

(2)  GU C 65 del 17.3.2006, pagg. 92-93.

(3)  GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 115-119.