ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 10

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

51o anno
15 gennaio 2008


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo
438a Sessione plenaria del 26 e del 27 settembre 2007

2008/C 010/01

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le catastrofi naturali

1

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

438a Sessione plenaria del 26 e del 27 settembre 2007

2008/C 010/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Migliorare l'efficienza nell'esecuzione delle decisioni nell'Unione europea: il sequestro conservativo di depositi bancari COM(2006) 618 def.

2

2008/C 010/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Semplificazione del contesto normativo nel settore delle macchine

8

2008/C 010/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo — Posizione della Commissione sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21 — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione COM(2007) 22 def.

15

2008/C 010/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgimento dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2007) 310 def. — 2007/0107 (COD)

21

2008/C 010/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di rimorchio e di retromarcia dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2007) 319 def. — 2007/0117 (COD)

21

2008/C 010/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per le targhette e le iscrizioni regolamentari nonché la loro posizione e modo di fissaggio per i veicoli a motore e i loro rimorchi COM(2007) 344 def. — 2007/0119 (COD)

22

2008/C 010/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità COM(2006) 545 def.

22

2008/C 010/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i diritti aeroportuali COM(2006) 820 def. — 2007/0013 (COD)

35

2008/C 010/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Produzione sostenibile di energia elettrica da combustibili fossili: obiettivo emissioni da carbone prossime allo zero dopo il 2020 COM(2006) 843 def.

39

2008/C 010/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l'accesso al mercato di servizi di trasporto effettuati con autobus (rifusione) COM(2007) 264 def. — 2007/0097 (COD)

44

2008/C 010/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell'ambiente COM(2007) 51 def. — 2007/0022 (COD)

47

2008/C 010/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce procedure comunitarie per la definizione di limiti di residui di sostanze farmacologicamente attive negli alimenti di origine animale e abroga il regolamento (CEE) n. 2377/90 COM(2007) 194 def. — 2007/0064 (COD)

51

2008/C 010/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca COM(2007) 196 def. — 2007/0070 (CNS)

53

2008/C 010/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 96/22/CE del Consiglio concernente il divieto d'utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze ß-agoniste nelle produzioni animali COM(2007) 292 def. — 2007/0102 (COD)

57

2008/C 010/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari COM(2007) 368 def. — 2007/0128 (COD)

58

2008/C 010/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'integrazione del commercio mondiale e l'esternalizzazione. Come far fronte alle nuove sfide

59

2008/C 010/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I diritti del paziente

67

2008/C 010/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promuovere una produttività sostenibile nei luoghi di lavoro in Europa

72

2008/C 010/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Indicatori armonizzati nel campo delle disabilità come strumento di monitoraggio delle politiche europee

80

2008/C 010/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S COM(2006) 728 def.

83

2008/C 010/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'economia dell'UE: rassegna 2006 — Rafforzare l'area dell'euro: le principali priorità politiche COM(2006) 714 def. — SEC(2006) 1490

88

2008/C 010/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari

96

2008/C 010/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politiche economiche che favoriscono la strategia industriale europea

106

2008/C 010/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

113

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo 438a Sessione plenaria del 26 e del 27 settembre 2007

15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/1


Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le catastrofi naturali

(2008/C 10/01)

Il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della riunione che il suo Ufficio di presidenza ha tenuto il 25 settembre 2007, ha deciso di esprimere la sua costernazione per i gravi incendi che lo scorso agosto hanno colpito la Grecia, e la sua solidarietà con le persone colpite e con la società civile.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato la seguente risoluzione con 192 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

In seguito alle varie calamità naturali che si sono abbattute su diversi Stati membri, il Comitato aveva discusso della necessità di garantire al meccanismo europeo di protezione civile risorse sufficienti per poter coordinare gli interventi necessari in caso di catastrofi all'interno e all'esterno dell'Europa.

Alla luce di quanto è accaduto, il Comitato ribadisce la posizione che aveva adottato nel parere CESE 1491/2005 (NAT/283), e invita specificamente la Commissione a garantire un intervento efficace del meccanismo comunitario di protezione civile, in particolare attraverso le seguenti misure:

1.

esigendo da tutti gli Stati membri, mediante un adeguato strumento legislativo, il rispetto delle norme comunitarie in materia di protezione civile;

2.

dotando il meccanismo comunitario dei seguenti strumenti:

un sistema di comunicazione satellitare,

squadre di intervento proprie,

mezzi di identificazione del personale e del materiale disponibili nell'Unione,

regionalizzazione delle basi operative e pieno coordinamento tra di esse,

adeguata formazione tecnica delle squadre;

3.

adottando norme europee in materia di responsabilità civile e penale che permettano di perseguire e di punire i responsabili delle catastrofi.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

438a Sessione plenaria del 26 e del 27 settembre 2007

15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/2


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Migliorare l'efficienza nell'esecuzione delle decisioni nell'Unione europea: il sequestro conservativo di depositi bancari

COM(2006) 618 def.

(2008/C 10/02)

La Commissione, in data 24 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore J. PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Con il Libro verde all'esame, e nel solco di una serie di iniziative volte ad istituire uno spazio giudiziario europeo, la Commissione ha avviato una consultazione sull'eventualità di creare uno strumento legislativo comunitario che renda più efficace il recupero di crediti pecuniari, assicurando il blocco preventivo degli importi in denaro giacenti nei depositi bancari del debitore in qualsiasi Stato membro.

1.2.

Nonostante una certa incoerenza concettuale nella definizione dello stesso ambito oggettivo e soggettivo della misura, e malgrado una traduzione particolarmente approssimativa di alcune versioni linguistiche, dal Libro verde (che non può essere esaminato senza aver letto e analizzato il documento di lavoro ad esso allegato) (1) e dallo studio commissionato che ne costituisce la base, risulta che l'obiettivo perseguito dalla Commissione è quello di elaborare una proposta di regolamento di carattere facoltativo, che definisca il regime giuridico di un provvedimento cautelare europeo avente natura di sequestro conservativo dei depositi bancari, a prescindere dalla natura del debito e dalla qualità dei soggetti.

1.3.

In assenza di qualsiasi valutazione dell'impatto di una misura del genere, cui si aggiunge il fatto che gli studi di diritto comparato alla base di questa iniziativa hanno preso in considerazione solo 15 dei 27 Stati membri dell'UE, il CESE, che pur condivide le preoccupazioni della Commissione, ritiene che la necessità di una tale azione in termini di sussidiarietà e proporzionalità non sia dimostrata. A suo parere si sarebbe potuto ottenere un risultato altrettanto soddisfacente con una semplice modifica di due disposizioni specifiche del regolamento Bruxelles I.

1.4.

Per il Comitato, inoltre, il fatto di limitare l'oggetto di un'iniziativa del genere al sequestro conservativo di quantità di denaro depositate sui conti bancari non si giustifica da un punto di vista logico. Suggerisce pertanto di estenderne l'ambito di applicazione sia ad altri beni mobili del debitore sia, con i necessari adeguamenti, ai sequestri posteriori all'emissione di un titolo esecutivo. Il Comitato giudica infine indispensabile che venga adottata simultaneamente un'iniziativa relativa alla trasparenza dei conti bancari, agli obblighi d'informazione, al segreto bancario e alla protezione dei dati, aspetti che costituiscono il presupposto delle misure all'esame.

1.5.

Qualora venga dimostrata l'assoluta necessità di introdurre una misura del genere, il Comitato è d'accordo con la Commissione sulla scelta di un regolamento di carattere facoltativo in quanto strumento più adeguato per disciplinare il sequestro dei depositi bancari del debitore esistenti negli Stati membri diversi da quello in cui risiede il creditore o ha sede la sua attività.

1.6.

Tenendo conto di questa eventualità e per dare piena soddisfazione alla richiesta di parere da parte della Commissione, il Comitato presenta una serie particolareggiata di raccomandazioni tecnico-giuridiche relative alla definizione di quello che giudica il regime più adeguato a tale iniziativa, per quanto concerne in particolare il tribunale competente, le condizioni di emissione, i limiti degli importi da sequestrare e gli importi esenti, i mezzi di difesa del debitore e dei terzi titolari di conti congiunti o di conti in solido, i ricorsi e i termini, il regime relativo alle spese procedurali, gli obblighi e le responsabilità delle banche presso le quali i conti sono stati aperti e le norme di diritto nazionale o internazionale privato applicabili in via suppletiva.

2.   Sintesi del Libro verde

2.1.

La Commissione, con il Libro verde all'esame, avvia una consultazione presso le parti interessate in merito alle modalità atte a migliorare l'esecuzione del recupero dei crediti pecuniari e propone l'eventuale creazione di un sistema europeo di «sequestro conservativo di depositi bancari».

2.2.

La Commissione comincia precisando le difficoltà esistenti in materia di esecuzione nel quadro del procedimento civile «nello spazio giudiziario europeo» a causa della frammentazione delle regolamentazioni nazionali in materia e riconoscendo che il regolamento (CE) n. 44/2001 (Bruxelles I) (2)«non assicura che una misura conservativa quale il sequestro dei depositi bancari ottenuto ex parte sia riconosciuta ed eseguita in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata adottata».

2.3.

A parere della Commissione, tale lacuna può creare distorsioni della concorrenza tra le imprese, distorsioni che sono legate al grado di efficacia dei sistemi giudiziari dei paesi in cui esse esercitano la loro attività, e costituire così un grave ostacolo al funzionamento corretto del mercato interno, il quale esige l'armonizzazione dell'efficacia e della rapidità nel recupero dei crediti, soprattutto di quelli di natura pecuniaria.

2.4.

La Commissione ventila quindi l'ipotesi dell'introduzione di un «titolo europeo di sequestro conservativo di depositi bancari che consenta a un creditore di acquisire la garanzia sull'importo di denaro che gli è dovuto o del cui pagamento sostiene di aver diritto, impedendo al debitore di prelevare o trasferire gli importi a suo credito su uno o più conti bancari nel territorio dell'Unione europea» ed esamina dettagliatamente le linee del suo eventuale regime giuridico, di cui delinea i parametri in 23 domande.

3.   Contesto dell'iniziativa

3.1.

Quest'iniziativa s'inquadra, correttamente, in un vasto complesso di misure che la Commissione sta adottando da qualche tempo con la lodevole intenzione di creare uno spazio giudiziario europeo che serva a sostenere, sul versante degli aspetti giudiziari, la realizzazione del mercato unico (3), in particolare come passo successivo alla trasformazione della convenzione di Bruxelles in regolamento comunitario (4) e all'adozione del regolamento relativo al titolo esecutivo europeo (5).

3.2.

Malgrado l'esattezza delle osservazioni empiriche della Commissione sulle difficoltà di esecuzione delle decisioni giudiziarie nei diversi paesi europei e sulle differenze di regime cui sono soggette a causa della mancanza di armonizzazione del procedimento esecutivo a livello dell'Unione — con le conseguenze che essa ha correttamente messo in evidenza (6) e che certamente la recente adesione di 12 nuovi Stati membri avrà solo aggravato — è certo che nel Libro verde all'esame, la Commissione non sottopone la sua iniziativa all'analisi indispensabile per verificarne il rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.

3.3.

In particolare non è assodato che non si potesse ottenere lo stesso risultato o un risultato vicino mediante la semplice modifica di una o due disposizioni del regolamento Bruxelles I, segnatamente gli articoli 31 e 47 (7), ampliandone l'ambito di applicazione e mantenendo tutto il sistema istituito, con evidenti guadagni in termini di semplificazione.

3.4.

D'altro canto, la Commissione non ha ancora proceduto alla valutazione d'impatto preliminare, valutazione che dovrà tener conto non solo dei 15 Stati membri, la cui situazione è stata analizzata nello studio che è servito di base al presente Libro verde (8), ma di tutti gli Stati che compongono oggi l'Unione europea. Detta valutazione non potrà non accompagnarsi alla considerazione adeguata di misure per rendere più trasparente il patrimonio dei debitori e di misure per permettere l'indispensabile accesso all'informazione relativa ai loro conti (fatta salva la debita protezione del segreto bancario), dato che solo dal loro esame congiunto potrà derivare una valutazione corretta della a) necessità, b) estensione e c) giustificazione dell'iniziativa.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE, nelle sue osservazioni sull'iniziativa proposta, distingue tra:

a)

osservazioni generali riguardanti le questioni di fondo sulla natura e l'ambito del provvedimento; e

b)

osservazioni particolari riguardanti le questioni relative alle formalità procedurali.

4.2.   Una questione preliminare: i termini e i concetti

4.2.1.

Poiché si tratta di un Libro verde, preliminare all'eventuale adozione di uno strumento giuridico, molto probabilmente un regolamento comunitario, i termini utilizzati per l'individuazione dei concetti che, a loro volta, definiranno la natura del provvedimento di carattere procedurale che si vuole istituire, devono obbedire a criteri estremamente rigorosi e della massima precisione tecnico-giuridica in tutte le lingue dell'UE.

4.2.2.

Ebbene, in almeno cinque versioni linguistiche (9), il termine utilizzato dalla Commissione per definire il provvedimento cautelare eventualmente auspicabile non è univoco né equivalente e può determinare alcune confusioni di tipo tecnico-giuridico, per quanto riguarda la sua natura giuridica. La Commissione deve garantire da subito la correttezza delle traduzioni, considerata la natura giuridica della misura, per evitare incertezze dovute soltanto all'inadeguatezza della terminologia impiegata (10).

4.2.3.

Dall'analisi del regime giuridico che si intende proporre — la necessità del fumus boni iuris e del periculum in mora — e dalla sua finalità — vincolare o bloccare le somme depositate nei conti bancari fino alla decisione finale e l'esecuzione nel quadro di un procedimento civile per il recupero di crediti pecuniari, ovviamente di natura civile e commerciale e non quelli risultanti da procedimenti penali, sembra di poter concludere correttamente che si tratti di un provvedimento di tipo cautelare avente natura di sequestro conservativo.

4.3.   Ambito del provvedimento (11)

4.3.1.

Peraltro, il Comitato si pone delle domande sulla limitazione dell'ambito del provvedimento cautelare ai «depositi bancari».

4.3.2.

Nel quadro dell'esecuzione del recupero di crediti pecuniari, di natura, per forza di cose, universale, rispondono tutti i beni del debitore fino a concorrenza della somma il cui recupero va eseguito. Un provvedimento cautelare come quello annunciato potrebbe avere come oggetto altri beni del debitore suscettibili di sequestro, compresi titoli di credito, azioni, obbligazioni e altri diritti e crediti verso terzi, e non soltanto il denaro depositato in determinati conti bancari o in altri istituti finanziari; infatti l'ampliamento dell'ambito del provvedimento, almeno a beni mobili non soggetti a registrazione e ai diritti di credito del debitore (tra cui azioni, obbligazioni, redditi, crediti vantati verso terzi, ecc.), oppure a beni mobili direttamente collegati ad un conto bancario non presenta un'eccessiva complessità.

4.3.3.

Inoltre, non sembra giustificata l'idea di limitare l'ambito di applicazione dello strumento comunitario al solo sequestro conservativo di conti bancari, ambito che può invece essere utilmente esteso, con i necessari adeguamenti, al sequestro degli stessi beni successivo all'emissione di un titolo esecutivo, in quanto anche in questo caso si possono presentare le stesse difficoltà di sequestro e sparizione dei beni che giustificano la misura proposta.

4.3.4.

La Commissione dovrà quindi considerare con la debita attenzione e giustificare l'utilità e il costo di una misura di questo tipo, limitata esclusivamente al sequestro preventivo del denaro giacente nei depositi bancari del debitore.

4.4.   Momento della richiesta del provvedimento

4.4.1.

Come conseguenza della definizione della natura della misura cautelare che precede, risulta immediatamente risolta la questione del momento della richiesta di un provvedimento del genere. Secondo la migliore tecnica giuridica, una misura cautelare di questa natura deve poter essere chiesta in qualsiasi momento del procedimento giudiziario da cui dipende, in particolare, in quanto procedimento propedeutico e preventivo, prima dell'inizio dell'azione legale principale, precisamente lì dove è maggiore la sua utilità pratica.

4.4.2.

È evidente che bisognerà tener conto di ovvie particolarità del regime, a seconda che il provvedimento cautelare sia preso prima della decisione sull'azione legale principale o dopo che sia stata ottenuta l'ordinanza che stabilisce il diritto, prima o durante il corso di un procedimento esecutivo, oppure a seconda che ci sia stato o no un ricorso ai tribunali di grado superiore contro la sentenza di primo grado o, infine, quando il titolo esecutivo non abbia natura di sentenza (cambiale, pagherò cambiario, assegno o altro titolo con efficacia esecutiva).

4.5.   Tribunale competente

4.5.1.

In un certo senso, anche la questione del tribunale competente ad esaminare e decidere il provvedimento cautelare si ritiene risolta sulla base di quanto detto in precedenza. Ovviamente, sarà competente il tribunale che ha la competenza a conoscere del merito della causa, a partire dal momento in cui l'azione/l'esecuzione è già avviata.

4.5.2.

Tuttavia, dovrà essere competente anche il tribunale del luogo in cui si trovano i conti bancari se il provvedimento cautelare è chiesto prima che sia stata proposta l'azione/l'esecuzione. In questo caso bisognerà, comunque, prevedere che non appena sia proposta l'azione/esecuzione principale, il provvedimento cautelare già emesso dovrà essere deferito al tribunale competente per il merito, il quale, anche se appartiene ad un'altra giurisdizione nazionale, lo dovrà accettare come tale, senza alcuna procedura di riconoscimento (12).

4.6.   Condizioni di emissione

4.6.1.

Dalla natura del provvedimento deriva la necessità di assicurare le condizioni che la Commissione precisa molto giustamente nel punto 3.2 del Libro verde, il fumus boni iuris e il periculum in mora. Tuttavia, se già esiste una decisione del giudice o un altro titolo avente forza esecutiva, basterà dimostrare il periculum in mora, vale a dire la necessità impellente di emettere il provvedimento di sequestro.

4.6.2.

Tra le condizioni necessarie per ammettere la richiesta di emissione di un provvedimento, è opportuno prevedere che il creditore dimostri di aver effettuato ogni ragionevole sforzo per riscuotere il debito senza ricorrere alle vie legali, anche con sistemi extragiudiziari.

4.6.3.

La non necessità dell'audizione previa del debitore è una condizione fondamentale per l'efficacia del provvedimento, ma ad essa può affiancarsi la condizione della costituzione di una garanzia, da fissare da parte del giudice, sufficiente per risarcire i danni risultanti dall'eventuale annullamento della misura nell'azione legale principale o in appello, se questo non ha effetto sospensivo, ogniqualvolta la misura sia emessa prima dell'esistenza o dell'ottenimento di una sentenza definitiva.

4.7.   Importo da garantire e importi esenti

4.7.1.

L'importo da garantire in forza del provvedimento deve essere limitato a quello del credito vantato, scaduto e non rimborsato e degli interessi di mora (contrattuali o legali) maturati fino al momento della presentazione della richiesta del provvedimento.

4.7.2.

Non si ritiene legittimo includere qualsiasi altro importo, in particolare per far fronte ad interessi in corso di maturazione, ad onorari degli avvocati, a spese procedurali, a spese bancarie o altre, nell'ambito di un procedimento cautelare, per forza di cose provvisorio, tenendo presente il gravame che rappresenta il blocco delle somme giacenti nei depositi bancari.

4.7.3.

Il CESE si rende conto che l'applicazione di un sistema come quello proposto comporta spese aggiuntive per le banche. Tuttavia, non è giusto che tali spese vengano detratte dalle somme presenti negli eventuali depositi bancari del presunto debitore poste sotto sequestro. Spetta alla legislazione nazionale definire il regime relativo ai costi bancari e alla loro riscossione da parte dei creditori che ricorrono a questa procedura. Detti costi dovrebbero di norma figurare tra le spese procedurali che saranno calcolate alla fine.

4.7.4.

Nell'ambito dello strumento comunitario, inoltre si dovranno stabilire i parametri per definire i limiti di esenzione degli importi da sequestrare, per tener conto, se si tratta di una persona fisica, delle necessità basilari del debitore e della sua famiglia, bisogni che potrebbero essere compromessi dall'emissione del provvedimento.

4.7.5.

Il tribunale, pertanto, dovrà essere informato dalla banca dopo l'esecuzione del provvedimento, circa i limiti applicabili al rispetto dell'ordine di sequestro conformemente alla natura del deposito del debitore (conto per l'accreditamento della retribuzione, deposito di risparmio, mutuo per la casa) e alla natura dei redditi o proventi che lo alimentano (salari, stipendi, onorari professionali, redditi da lavoro per conto terzi, rendite, pensioni, partecipazioni in società, ecc.) o alla natura delle spese associate (mutuo per la casa, leasing di un autoveicolo, affitti, credito al consumo, alimenti versati a membri della famiglia, ecc.), conformemente alle leggi dello Stato in cui si trova il conto bancario e nella misura in cui la banca sia a conoscenza della natura di tali redditi o spese.

4.8.   Depositi di terzi

4.8.1.

Allo stesso modo non si configura come legittima l'estensione del provvedimento cautelare a depositi di terzi. Quando non sia possibile individuare rigorosamente la parte propria del debitore si deve presumere che le parti dei titolari siano uguali.

4.8.2.

Ugualmente inaccettabile appare il fatto che per lo stesso importo rispondano vari conti, sebbene si riconosca la difficoltà di risolvere la questione quando, nel caso di depositi in vari paesi, ciascuno dei tribunali competenti sia sollecitato ad emettere la misura, senza essere a conoscenza del fatto che lo stesso provvedimento è stato richiesto in un altro luogo e fino al momento in cui tutte le procedure non siano accentrate nel foro competente sul merito.

4.8.3.

Per tale motivo, si ritiene opportuno affiancare a tale iniziativa, simultaneamente, la creazione di chiari obblighi di informazione per il richiedente e le banche destinatarie della richiesta e anche doveri di cooperazione e di collaborazione tra le banche e i tribunali dei diversi Stati membri, sempre nel rispetto della privacy, della protezione dei dati e del segreto bancario, conformemente a quanto riferisce correttamente lo studio già citato, che è la base del Libro verde.

4.8.4.

Una volta ottenute le informazioni dalle diverse banche, se questo è il caso, si potrà per esempio sancire la riduzione ex post degli importi vincolati, entro una scadenza breve, da definire.

4.9.   Tutela del debitore

4.9.1.

È fondamentale assicurare la protezione del debitore fornendogli i mezzi per impugnare l'ordinanza di sequestro conservativo entro un termine ragionevole, che si propone non inferiore a 20 giorni di calendario, per dimostrare:

a)

l'inesistenza, totale o parziale, del debito;

b)

l'inesistenza del periculum in mora;

c)

il fatto che l'importo sequestrato non è esatto;

d)

il fatto che i suoi bisogni essenziali e del suo nucleo familiare (se si tratti di una persona fisica) vengono colpiti dalla misura.

4.9.2.

A tal fine si deve prevedere che il tribunale competente notifichi il debitore subito dopo aver verificato che sono state bloccate somme sufficienti, dopo l'ingiunzione alla banca di procedere al sequestro del deposito bancario, per l'importo del debito dichiarato o fino alla sua concorrenza. Informazione analoga deve essere data al debitore dalla banca in questione, immediatamente dopo il blocco del deposito alle condizioni stabilite dal tribunale.

4.9.3.

Nello strumento comunitario andranno altresì previsti i mezzi di difesa e i fondamenti o i motivi dell'impugnazione/ricorso, armonizzandoli a livello comunitario, per garantire un'uguaglianza nell'esame delle situazioni in qualsiasi giurisdizione competente e meccanismi di difesa identici. Sarà inoltre importante definire l'effetto del ricorso (sospensivo o no) e stabilire il tribunale competente in materia, qualora la giurisdizione nazionale competente ad emettere il provvedimento sia diversa da quella incaricata di deliberare sul merito.

4.9.4.

Altrettanto importante sarà definire un termine di decadenza a datare dal giorno in cui il creditore viene informato dell'esecuzione del provvedimento per l'avvio dell'azione legale principale o della domanda di exequatur; si ritiene ragionevole proporre un termine di 60 giorni di calendario, indipendentemente dalla decisione relativa al provvedimento cautelare.

4.10.   Lo strumento comunitario e la sua natura

4.10.1.

Nel Libro verde, la Commissione non è chiara per quanto riguarda lo strumento legale cui pensa per realizzare la sua iniziativa. Tenendo conto degli obiettivi perseguiti e delle modalità atte a garantire un identico trattamento nei diversi Stati membri, alla somiglianza già esistente in altri strumenti della stessa indole nell'ambito dello spazio giudiziario europeo, il CESE è dell'avviso che lo strumento dovrà prendere la forma di un regolamento.

4.10.2.

Questione diversa, ma intimamente legata alla precedente, è quella del campo di applicazione. Se la misura è considerata necessaria, la Commissione sarebbe nel giusto se decidesse, analogamente a quanto è avvenuto per altri strumenti identici, di limitare il campo di applicazione del procedimento in questione esclusivamente alle questioni transfrontaliere e di dargli un carattere facoltativo («28o regime»), lasciando ai creditori la facoltà di scegliere tra lo strumento comunitario armonizzato o, in alternativa, la via esistente e praticabile delle disposizioni di DIP (diritto internazionale privato) applicabili.

4.11.   Spese

Il CESE propone che il regime di spese applicabile a questo procedimento segua le regole già sancite all'articolo 7 del regolamento (CE) n. 805/2004, eventualmente con i necessari adattamenti (13).

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Relativamente alle questioni di carattere puramente formale, il CESE è dell'avviso che la procedura di exequatur debba essere soppressa per quanto riguarda l'ordinanza di emissione del provvedimento cautelare, qualunque sia il tribunale competente.

5.2.

Il CESE ritiene anche che il sistema di notificazione dal tribunale alla banca e al debitore deve essere esente da formalità inutili, a condizione che sia garantita l'autenticità dell'atto e l'identità del debitore, in quanto il regime già in vigore del regolamento (CE) n. 1348/2000 gli sembra adeguato a tal fine (14). I conti da bloccare devono essere identificati nel modo più completo possibile, al fine di evitare l'emissione di un ordine generico di sequestro.

5.3.

Inoltre, a parere del CESE, il titolo emesso dal tribunale competente dovrà essere eseguito dalla banca nei termini in cui è formulato, salvaguardando, tuttavia, operazioni legittime già in corso, in particolare impegni precedenti garantiti mediante cambiali, pagherò o assegni, nonché obblighi nei confronti di creditori privilegiati quali lo Stato, la previdenza sociale e i lavoratori. Ad ogni modo, la banca deve rispondere del saldo esistente alla data di ricezione del titolo di sequestro conservativo, dovendosi organizzare in maniera che, alla sua ricezione, anche fuori dalle ore di lavoro degli uffici, per via elettronica, il blocco avvenga ipso facto; essa rischia altrimenti di essere ritenuta responsabile, per negligenza, della sparizione delle somme che fossero state successivamente oggetto di operazioni bancarie.

5.4.

Il CESE ritiene inoltre che le banche debbano immediatamente informare il tribunale, con qualsiasi mezzo di comunicazione, anche per via elettronica, del modo in cui si è eseguito il titolo di sequestro.

5.5.

Secondo il CESE, che esprime una preferenza per l'applicazione delle disposizioni nazionali, la norma comunitaria non dovrà definire regole specifiche per il caso di concorso di creditori sullo stesso deposito bancario.

5.6.

In ordine alla questione della trasformazione della misura cautelare in misura esecutiva, il CESE pensa che essa dovrà essere disciplinata dal diritto del paese competente per tale esecuzione, in linea con le regole generali relative ai conflitti di norme che sono d'applicazione.

5.7.

Infine, il CESE richiama in particolar modo l'attenzione della Commissione sulla necessità di prevedere un dispositivo per la traduzione dei documenti relativi all'applicazione delle misure proposte, dispositivo analogo a quello stabilito all'articolo 21, paragrafo 2, lettera b) del regolamento (CE) n. 1896/2006 del 12 dicembre 2006.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  SEC(2006) 1341.

(2)  Regolamento (CE) n. 44/2001 del 22.12.2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, (Bruxelles I) (GU L 12 del 16.1.2001). Del relativo parere del CESE è stato relatore il consigliere MALOSSE, CES 233/2000 dell'1.3.2000 (GU C 117 del 26.4.2000).

(3)  Si ricordano tra l'altro:

Comunicazione della Commissione — Piano d'azione sull'accesso dei consumatori alla giustizia e sulla risoluzione delle controversie in materia di consumo nell'ambito del mercato interno (COM(96) 13 def. del 14.2.1996).

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Verso una maggiore efficienza nell'ottenimento e nell'esecuzione delle decisioni nell'ambito dell'Unione europea (COM(97) 609 def. — GU C 33 del 31.1.1998).

Libro verde — L'accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell'ambito del mercato unico (COM(93) 576 def.).

Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale (COM(2002) 196 def. del 19.4.2002).

Raccomandazione della Commissione, del 12.5.1995, riguardante i termini di pagamento nelle transazioni commerciali e Comunicazione relativa alla raccomandazione della Commissione, del 12.5.1995, riguardante i termini di pagamento nelle transazioni commerciali, rispettivamente (GU L 127 del 10.6.1995 e GU C 144 del 10.6.1995).

Direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19.5.1998 relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 166 dell'11.6.1998).

Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29.6.2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU L 200 dell'8.8.2000).

Regolamento (CE) n. 44/2001 del 22.12.2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I) (GU L 12 del 16.1.2001). Del relativo parere del CESE è stato relatore il consigliere MALOSSE, CES 233/2000 dell'1.3.2000 (GU C 117 del 26.4.2000).

Regolamento (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21.4.2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (GU L 143 del 30.4.2004). Del parere del CESE in materia è stato relatore RAVOET, CESE 1348/2002 dell'11.12.2002 (GU C 85 dell'8.4.2003).

Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28.5.2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale (GU L 174 del 27.6.2001). Del relativo parere del CESE è stato relatore il consigliere HERNÁNDEZ BATALLER, CES 228/2001 del 28.2.2001 (GU C 139 dell'11.5.2001).

Progetto di programma di misure relative all'attuazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale (GU C 12 del 15.1.2001).

Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29.5.2000, relativo alle procedure di insolvenza (GU L 160 del 30.6.2000). Relatore del parere del CESE in materia è stato il consigliere RAVOET, CES 79/2001 del 26.1.2001 (GU C 75 del 15.3.2000).

Regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29.5.2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi (GU L 160 del 30.6.2000). Relatore del parere del CESE in materia è stato il consigliere BRAGHIN, CES 940/1999 del 20.10.1999 (GU C 368 del 20.12.1999).

Regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29.5.2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (GU L 160 del 30.6.2000). Del relativo parere del CESE è stato relatore il consigliere HERNÁNDEZ BATALLER, CES 947/1999 del 21.10.1999 (GU C 368 del 20.12.1999).

Decisione del Consiglio, del 28.5.2001, relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (GU L 174 del 27.6.2001). Il relatore del parere del CESE in materia è stato il consigliere RETUREAU, CES 227/2001 del 28.2.2001 (GU C 139 del 11.5.2001).

Regolamento (CE) n. 1896/2006 del 12.12.2006 che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento (GU L 399 del 30.12.2006). Il relatore del parere del CESE sulla proposta in materia (COM(2004) 173 def. del 19.3.2004) è stato il consigliere PEGADO LIZ (CESE 133/2005 del 22.2.2005, GU C 221 dell'8.9.2005).

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un procedimento europeo per controversie di modesta entità (COM(2005) def. del 15.3.2005). Relatore del parere del CESE in materia è stato il consigliere PEGADO LIZ (CESE 234/2006 del 14.2.2006).

(4)  Regolamento (CE) n. 44/2001 del 22.12.2000 sulla cui proposta il CESE si è pronunciato nel parere di cui è stato relatore il consigliere MALOSSE (GU C 117 del 26.4.2000).

(5)  Regolamento (CE) n. 805/2004 del 21.4.2004 sulla cui proposta (COM(2002) 159 def. del 27.8.2002) il CESE si è pronunciato nel parere di cui è stato relatore il consigliere RAVOET (CESE 1348/2002 dell'11.12.2002, GU C 85 dell'8.4.2003).

(6)  Precisamente nella sua comunicazione Verso una maggiore efficienza nell'ottenimento e nell'esecuzione delle decisioni nell'ambito dell'Unione europea (GU C 33 del 31.1.1998).

(7)  Il testo degli articoli è molto ampio, ragion per cui è necessario adottare l'interpretazione derivante dalla dottrina giurisprudenziale, in particolare dalla causa Denilauer (sentenza C-125/79 del 21.5.1980, pag. 1.553) per quanto riguarda l'articolo 31. Le questioni connesse alla decadenza, ai meccanismi di exequatur, alle condizioni del procedimento (la verifica dell'esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora) ai mezzi/alle garanzie della difesa e agli importi/esenzioni del sequestro potrebbero essere oggetto dei due articoli menzionati, ampliandone l'ambito e soddisfacendo così gli obiettivi della proposta della Commissione.

(8)  Per una perfetta comprensione del Libro verde all'esame è essenziale tener conto non solo del documento di lavoro della Commissione, SEC(2006) 1341, del 24.10.2006, ma anche della versione aggiornata del 18.2.2004 dello studio n. GAI/A3/2002/02, del Prof. Dr. Burkhard HESS, direttore dell'Istituto di diritto internazionale privato comparato dell'Università di Heidelberg, che è possibile consultare sul sito:

http://europa.eu.int.comm/justice_home/doc_centr/civil/studies/doc_civil_studies_en.htm.

(9)  Quelle delle lingue meglio conosciute dal relatore, che si rammarica di non aver accesso alle altre 15.

(10)  In effetti, il termine attachement, anche nel suo senso tecnico-giuridico, è ambiguo, potendo designare sia ciò che in portoghese si chiama penhora, che ciò che si designa con arresto. Anche in inglese, vista la natura giuridica della misura prevista, sarebbe stato meglio utilizzare il termine arrestment o freezing order, per distinguerla adeguatamente dalla figura del garnishement. D'altro canto, solo la traduzione italiana «sequestro conservativo» traduce correttamente il carattere preventivo e conservativo della misura; la saisie francese, con la spiegazione addizionale che si tratta di una misura che può essere delivrée par un tribunal siégeant en réferé, raggiunge l'obiettivo; già l'«embargo» spagnolo pare insufficiente a caratterizzare lo scopo della misura. Ad ogni modo, in portoghese, la traduzione con penhora (pignoramento) è del tutto errata e deve essere sostituita con arresto (sequestro).

(11)  Si ritiene che debba essere limitato ai debiti civili e commerciali.

(12)  Cfr. sentenza Van Uden Maritime B.V. della Corte di giustizia del 17.11.1998, causa C-391/95 (Raccolta della giurisprudenza 1998, pag. I-07091).

(13)  L'articolo 7 stabilisce quanto segue: «Una decisione giudiziaria che ha efficacia esecutiva per quanto riguarda l'importo delle spese riguardanti i procedimenti giudiziari, compresi i tassi d'interesse, è certificata come titolo esecutivo europeo anche nei confronti di tali spese a meno che il debitore abbia espressamente contestato di essere tenuto al pagamento di tali spese nel corso del procedimento, secondo la legislazione dello Stato membro d'origine».

(14)  Regolamento (CE) n. 1348/2000 del 29.5.2000 (GU L 160 del 30.6.2000).


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Semplificazione del contesto normativo nel settore delle macchine

(2008/C 10/03)

L'8 gennaio 2007 i vicepresidenti della Commissione europea Margot WALLSTRÖM e Günter VERHEUGEN hanno chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema: «Semplificazione del contesto normativo nel settore delle macchine»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L'industria meccanica europea rappresenta un'industria di punta e strategica per l'economia europea. Nel 2006 i volumi di fatturato generati ammontano a diverse centinaia di miliardi di euro da parte di oltre 130.000 imprese che esportano un terzo della loro produzione. L'industria meccanica ed elettromeccanica impiega oltre 4 milioni di lavoratrici e lavoratori nell'Unione, con un importante valore aggiunto ed elevati livelli di conoscenza.

1.2.

L'industria meccanica ed elettromeccanica, più di altre, può consentire di realizzare gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona, attraverso lo sviluppo della formazione continua, dello scambio di esperienze e buone pratiche, il mantenimento al più alto livello della sua capacità competitiva, la capacità di penetrazione sui mercati mondiali.

1.3.

Il Comitato sostiene le iniziative della Commissione volte a rafforzare la competitività del settore, a migliorare il quadro giuridico di riferimento, attraverso la migliore e più efficace regolamentazione, tenendo conto della realtà del settore, caratterizzato da decine di migliaia di piccole e medie aziende. Legiferare meglio, almeno per questo settore, non significa assenza di legiferazione, bensì offrire un quadro di stabilità, di chiarezza e facilità di applicazione di norme, di costi amministrativi più bassi possibile.

1.4.

Il Comitato esprime la propria soddisfazione nell'aver ricevuto dalla Commissione questo delicato compito di individuare, con il massimo consenso possibile, gli ambiti di semplificazione della normativa comunitaria in essere, nel solco delle attività che hanno stimolato gli organi legislativi a sviluppare una migliore e più semplice legislazione.

1.5.

Il Comitato prende atto che sono in corso diverse iniziative legislative che interessano il settore: occorre contemperare i diversi interessi in gioco: economici, sociali, ambientali. La realizzazione del mercato interno non può confliggere con beni diversi che meritano una forte attenzione, quali la salute e la sicurezza dei lavoratori, la tutela dei consumatori, la salvaguardia dell'ambiente, tutto nel contesto degli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. Occorre, a giudizio del Comitato, una strategia integrata e coordinata tra le diverse iniziative.

1.6.

Il Comitato accoglie con favore le proposte della Commissione, contenute nella comunicazione del 17 febbraio 2007, volte a modificare il nuovo approccio e a rafforzare il ruolo delle attività degli Stati membri nella sorveglianza del mercato, che non sempre destinano risorse adeguate allo scopo. Il Comitato auspica un rafforzamento degli organici della Commissione dedicati all'attività di coordinamento, di monitoraggio e, in qualche caso, anche di controllo della gestione delle modalità di accreditamento, delle attività dei soggetti notificatori e della qualità delle loro certificazioni. Va sostenuta la costituzione di una «piattaforma di comunicazione» tra gli operatori e gli Stati membri, che devono agire in modo proporzionato e coerente con gli obiettivi delle direttive e le politiche comunitarie, realizzando una progressiva convergenza dei sistemi e dei modelli di sorveglianza dei mercati.

1.7.

Il Comitato richiede che nell'ambito dell'attività di normazione tutti i soggetti interessati possano essere messi nella condizione di poter partecipare ex ante alla definizione delle norme, rafforzando sia la partecipazione ai comitati tecnici, soprattutto a livello locale, sia la valutazione di impatto, senza abusare della consultazione telematica, strumento utile, ma che non può essere, specialmente in questo campo, l'unico strumento di consultazione degli stakeholder.

1.8.

Per quanto riguarda la normazione «armonizzata», il Comitato ritiene che essa debba essere resa disponibile a costo zero o al massimo simbolico, in particolare alla piccola e media impresa, e fa notare la disparità di trattamento tra le aziende che non appartengono a quei paesi nelle cui lingue vengono emanate le norme (inglese, francese e, a volte, tedesco) e le altre che non devono sopportare a volte ingenti costi di traduzione.

1.9.

Il Comitato sottolinea che occorre eliminare tutti i costi amministrativi non giustificati, riducendo significativamente gli oneri per il sistema produttivo.

1.10.

Il Comitato auspica che la Commissione prenda seriamente in considerazione l'esigenza di promuovere la stabilità della normazione, accogliendo anche i suggerimenti che derivano dagli operatori e dai principali stakeholder. Per quanto riguarda il quadro giuridico e la base legale di riferimento, il Comitato raccomanda alla Commissione, prima di emanare una normativa, di valutare se gli stessi obiettivi non possano essere conseguiti con forme diverse, quali l'autoregolamentazione o la coregolamentazione, purché sia garantito il massimo livello di trasparenza e di partecipazione di tutte le parti interessate e di considerare sempre l'oggetto principale della norma e i contenuti della stessa, come il riferimento indispensabile per l'utilizzo dei diversi articoli del Trattato come base legale.

1.11.

Il Comitato richiede che vengano eliminate le barriere tecniche alla realizzazione del mercato interno. Regolamenti nazionali e locali non giustificati creano un effettivo ed insormontabile ostacolo alla libera circolazione delle merci.

1.12.

Il Comitato raccomanda che la futura legislazione sia sempre adeguatamente preceduta da un'attenta verifica di impatto ex ante, tenendo conto del grado di proporzionalità, ma anche di un monitoraggio ex post, molto stringente, per riparare a danni altrimenti irreparabili per il futuro delle imprese del settore.

1.13.

Ruolo essenziale svolgerà il dialogo sociale settoriale europeo per l'individuazione di tutte quelle iniziative comuni volte a sostenere lo sviluppo dell'occupazione e della competitività del settore, nel rispetto di irrinunciabili principi di sicurezza dei lavoratori, dei cittadini e dell'ambiente. Le pratiche di responsabilità sociale dell'impresa possono agevolare questo costante colloquio tra impresa e stakeholder, per prevenire usi impropri, incrementare la consapevolezza e la formazione continua, relazionarsi positivamente con il territorio di riferimento e con i consumatori finali.

2.   I contenuti della richiesta della Commissione

2.1.

La Commissione europea, su iniziativa dei vicepresidenti WALLSTRÖM e VERHEUGEN ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo un parere esplorativo per analizzare la coerenza globale del quadro regolamentare applicabile ad un settore industriale, in particolare quello delle macchine, per identificare i margini di semplificazione possibile. L'analisi dovrà interessare, oltre la specifica legislazione settoriale, tutto l'insieme del quadro regolamentare che interessa il comparto «macchine».

2.2.

Nell'ottica di un coinvolgimento delle parti interessate nel processo di semplificazione, in particolare quando si tratta di identificare quelle regole che determinano particolari problemi nella loro gestione, la Commissione riconosce che il Comitato ha una notevole e vasta esperienza ed una composizione realmente pluralista per essere il luogo ideale per riflettere e sintetizzare i punti di vista degli operatori economici, dei lavoratori e della società civile in Europa.

2.3.

In considerazione dell'esperienza acquisita dal Comitato con i suoi numerosi pareri sulla migliore legislazione e sulla semplificazione (1) e dell'articolo 8 del Protocollo di cooperazione tra la Commissione europea e il CESE, la Commissione affida questo importante incarico al Comitato. Nel caso in cui questo lavoro del Comitato sia produttivo e positivo, la Commissione avanza l'ipotesi di ripetere questa richiesta per numerose altre aree di rilievo per l'agenda della migliore legislazione della Commissione e dello stesso Comitato.

2.4.

La Commissione successivamente ha spiegato meglio il suo punto di vista, chiarendo che migliorare la legislazione non significa ridurla, e che anzi occorre mantenere almeno lo stesso livello di protezione per i lavoratori, i consumatori e l'ambiente, con l'obbiettivo di assicurare un quadro di regolamentazione che permetta un miglioramento della competitività.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Preliminarmente, il Comitato si dichiara estremamente interessato a svolgere il compito di trovare una sintesi tra i diversi interessi in gioco, per avanzare una proposta di miglioramento e semplificazione del quadro normativo e legislativo esistente. La migliore cultura del Comitato basa la sua capacità di incidere nei processi decisionali attraverso il metodo della ricerca del massimo consenso possibile tra le rappresentanze della società civile, che esprimono interessi diversi. La chiara fedeltà ai principi e ai valori comunitari, l'equilibrio, la qualità e l'innovazione dei suoi pareri, fanno del Comitato un interlocutore importante e forte delle istituzioni comunitarie. Lo stimolo e quasi la sfida che questa richiesta della Commissione pone a tutte le componenti del Comitato, nel riuscire ad utilizzare positivamente questa occasione, possono esaltare il ruolo di incontro, discussione e confronto che i Trattati hanno riconosciuto alla società civile organizzata.

3.2.

L'opportunità per il Comitato di indicare preventivamente gli ambiti di intervento su cui operare per migliorare il quadro di riferimento normativo, apre un nuovo terreno di metodo e cooperazione tra istituzioni europee. È ovvio che ogni parte interessata, ognuna per suo conto, abbia già segnalato le proprie esigenze e i propri desideri alla Commissione. Imprese produttrici, utilizzatrici, lavoratori, consumatori, organismi di normazione e autorità pubbliche, hanno già fatto presente come vorrebbero «migliorare» la normativa esistente. I metodi di consultazione adottati finora, però, non hanno consentito una sintesi accurata delle diverse istanze, lasciando ora l'una ora l'altra parte con la sensazione di non essere sufficientemente ascoltate.

3.3.

Il Comitato può operare questa sintesi sia per le diverse e qualificate esperienze interne, sia per le ramificate e rilevanti relazioni che normalmente i suoi componenti possono sollecitare per ottenere importanti contributi di esperienza. Su questo tema, il Comitato si è già parzialmente espresso, nel suo parere d'iniziativa Le trasformazioni industriali nel settore dell'ingegneria meccanica  (2).

3.4.

Il Comitato constata che sono in corso o sono state annunciate diverse iniziative per quanto riguarda la regolamentazione comunitaria in materia di produzione industriale e, in particolare, nel sottosettore delle macchine. Queste iniziative sollevano problemi complessi e di natura diversa. Sembra utile esaminare questi problemi in modo da tenere conto dei diversi interessi che la regolamentazione comunitaria protegge: la libera circolazione delle merci, la salute e la sicurezza dei lavoratori, la protezione dei consumatori, la difesa dell'ambiente, gli obiettivi della strategia di Lisbona, tanto economici che sociali. Queste regolamentazioni traggono origine da strumenti legislativi diversi e non è mai stato affrontato uno studio del genere. Il Comitato ritiene che sia effettivamente giunto il momento per affrontare in modo organico e strutturale l'intera materia.

3.5.

Nel campo della produzione e della commercializzazione di materiali industriali, la regolamentazione comunitaria è stata elaborata progressivamente. In linea generale ha consentito un'armonizzazione legislativa che ha considerevolmente semplificato l'ambito regolamentare nel quale operano le imprese, anche se va sottolineato che tale processo non è ancora compiuto.

3.6.

La regolamentazione comunitaria, adottata a partire dalla seconda metà degli anni '80, si basa su due grandi corpi regolamentari: alcuni riguardano il mercato, gli altri i luoghi di lavoro. L'applicazione efficace di questa regolamentazione suppone l'implicazione di un gran numero di attori diversi: organismi di normazione e di notificazione, progettisti e fabbricanti, importatori e responsabili della commercializzazione, assemblatori e installatori, organismi pubblici di controllo e sanzione (comprese le dogane e i poteri giudiziari), imprenditori, lavoratori e rappresentanti dei lavoratori, ecc. Le organizzazioni dei consumatori hanno espresso il loro particolare interesse ad un concreto e fattivo coinvolgimento, finora considerato non sufficiente. La cooperazione tra tutti questi attori è essenziale quanto la cooperazione tra le autorità pubbliche a livello nazionale ed europeo.

3.7.

L'applicazione di queste regole non sembra determinare enormi difficoltà, ma questa valutazione globalmente positiva non deve dissimulare un certo numero di difficoltà concrete.

4.   Una sicurezza migliorata, ma ancora insufficiente

4.1.

Ogni anno gli incidenti sul lavoro provocano tra i 6 000 e gli 8 000 morti (di cui il 40 % con età inferiore a 35 anni) e centinaia di migliaia di invalidi nell'UE. Una parte di questi incidenti è provocata da strumenti di lavoro. In alcuni casi, l'inefficacia di materiali di protezione individuali o una formazione inadeguata hanno ugualmente una responsabilità. Circa un quarto dei lavoratori dell'UE dichiarano di dover utilizzare dei materiali di protezione individuale per proteggere la loro sicurezza e la loro salute. I principali agenti fisici che costituiscono fattori di rischio nell'ambito del lavoro sono generalmente collegati agli strumenti di lavoro: rumore, vibrazioni, raggi ionizzanti e non ionizzanti. I fattori ergonomici svolgono un ruolo essenziale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In un certo numero di casi, gli strumenti di lavoro possono avere un ruolo importante nell'esposizione a sostanze chimiche: l'efficacia dei materiali di protezione individuale può essere in qualche caso cruciale.

4.2.

Occorre tenere in particolare considerazione i prodotti destinati al largo consumo di un pubblico indifferenziato e certamente non avvertito dei potenziali rischi insiti nelle macchine che acquista o affitta. Accadono purtroppo moltissimi incidenti ai consumatori per utilizzi non conformi, che non vengono presi in considerazione dalle statistiche.

5.   Una cooperazione a volte difficile tra i diversi attori

5.1.

Si constata che la cooperazione tra gli attori che agiscono sul mercato unico si scontra con difficoltà reali e anche con forti reticenze ad agire in modo completamente trasparente: da parte degli attori privati in ragione della volontà di proteggersi dalla concorrenza o dalle sanzioni possibili, da parte degli attori pubblici in ragione di inerzia burocratica, a volte molto coriacea! Ad esempio è evidente la necessità di incrementare la cooperazione tra le imprese costruttrici e quelle utilizzatrici o il bisogno di aumentare la trasparenza nel modo in cui i requisiti essenziali delle direttive del «Nuovo approccio» sono interpretate dagli organi di normazione, dalle autorità di sorveglianza, dagli enti notificatori e dai consulenti che assicurano il supporto tecnico agli imprenditori.

5.2.

Questo problema ha dovuto essere al centro dell'attenzione della Commissione nella sua recente iniziativa di revisione del «Nuovo approccio», annunciata lo scorso 14 febbraio 2007, sotto il titolo Nuovo pacchetto per la circolazione di prodotti nel mercato interno. Esso consta di una Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti [COM(2007) 37 def. (3)] e di una Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti [COM(2007) 53 def. (4)]. Il pacchetto si propone di «rinforzare le strutture di sorveglianza del mercato per escludere i prodotti non sicuri, rimuovendoli dall'intero mercato della Comunità ed agire contro le imprese fraudolente. Gli organi di verifica, certificazione ed ispezione coinvolti nei test sui prodotti saranno assoggettati a controlli più stringenti nella forma dell'accredito, per assicurare un comune livello regolamentare sia per le imprese sia per gli organi di controllo». (In questo periodo operano nell'UE circa 1 800 organi di notificazione, cioè laboratori, centri di ispezione e di certificazione, soggetti privati che ricevono dalla pubblica amministrazione accrediti per operare). È singolare notare che tra questi organismi «indipendenti» operino dei soggetti di diretta emanazione delle associazioni delle aziende costruttrici, ove il conflitto di interessi potrebbe diventare realmente problematico! In uno Stato membro, ad esempio, nel solo settore degli ascensori sono stati accreditati più di 80 organi di notificazione.

5.2.1.

A 22 anni dall'emanazione della risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1985, che inserisce i principi del nuovo approccio, la Commissione propone un aggiornamento e un rafforzamento della sorveglianza dei mercati, rendendo sempre più affidabile il marchio CE. Il Comitato considera che il metodo del nuovo approccio, che ha interessato 25 direttive, di cui 21 con le specifiche per l'affidamento del marchio e 4 senza, ha dato buoni risultati, favorendo lo sviluppo del mercato interno ma, al contempo, ritiene che la revisione proposta sia opportuna. Dovranno aumentare i poteri e le responsabilità degli Stati membri, ma anche quelli della Commissione, che dovrà rafforzare i suoi organici per poter realizzare un continuo monitoraggio dell'attività di sorveglianza dei mercati, delle modalità di accreditamento degli organismi di notificazione e, in qualche caso, anche delle attività di tali organismi. Le organizzazioni settoriali, nell'ambito della ricerca della Commissione, si sono espresse a grande maggioranza in favore di tale rafforzamento delle autorità nazionali e conseguentemente europee.

5.3.

Il Comitato saluta con favore questa iniziativa che limita la discrezionalità e le difformità di valutazione, che ostacolano lo sviluppo del mercato interno, provocando inoltre svantaggi competitivi per quegli operatori che rispettano le normative. La distorsione alla concorrenza causata da una sorveglianza «distratta» è un problema di prima grandezza, che sottolinea uno dei limiti applicativi del nuovo approccio. È inoltre fondamentale la semplicità e la chiarezza del quadro normativo in particolare per le piccole e medie imprese e rafforzare la cooperazione tra le autorità di sorveglianza dei mercati, sia nell'area UE/SEE che a livello internazionale. Va sostenuta la costituzione di una «piattaforma di comunicazione» tra gli operatori e gli Stati membri, che devono agire in modo proporzionato e coerente con gli obiettivi delle direttive e le politiche comunitarie, realizzando una progressiva convergenza dei sistemi e dei modelli di sorveglianza dei mercati. È di importanza fondamentale il coinvolgimento delle dogane in questa attività.

5.4.

A livello europeo sarebbe opportuna una maggiore cooperazione tra tutte le direzioni interessate (ad es. ENTR, ENV, EMPL, SANCO), che potrebbero collaborare per realizzare delle «guide» all'uso delle direttive esistenti, che non si sostituiscono ovviamente alle norme, ma possono essere un valido contributo e possono far risparmiare molti soldi di inutili consulenze.

5.5.

Nel caso di prodotti stagionali, come le macchine da giardino, occorre prevedere delle procedure semplificate ed accelerate, per non perdere delle opportunità di mercato. A questo fine il Comitato suggerisce la creazione di un «istituto di mediazione», cui rivolgersi per poter vedere soddisfatte particolari e giustificate esigenze, garantendo comunque un'applicazione rigorosa di tutte le normative, in particolare di quelle sulla sicurezza.

6.   Obblighi amministrativi non necessariamente giustificati

6.1.

Un'altra priorità annunciata dalla Commissione riguarda la riduzione degli obblighi amministrativi inutili, che incidono significativamente sulla competitività. Il Comitato segue con interesse gli sforzi della Commissione in questo campo, concretizzati con il programma d'azione presentato il 24 gennaio 2007, con l'obiettivo di diminuire di un quarto gli obblighi amministrativi delle imprese entro il 2012.

6.2.

La Commissione potrebbe aiutare a risolvere concretamente alcuni problemi di applicazione delle direttive, ad esempio centralizzando presso di essa tutte le comunicazioni che attualmente è previsto inviare ai singoli Stati membri, con enormi difficoltà solo per reperire l'indirizzo giusto. È il caso della direttiva 2000/14/CE sulle emissioni di rumore, per la quale una dichiarazione di conformità va inviata a uno Stato membro e alla Commissione, oppure della direttiva 97/68/CE, sulle emissioni dei motori di macchine da lavoro, per la quale le imprese dovrebbero notificare per l'opzione di «flessibilità» alle autorità delegate a tale compito di ogni Stato membro l'approvazione ricevuta e riferire ogni 6 mesi.

6.3.

Le imprese riscontrano molte difficoltà nell'applicazione pratica delle direttive sulla protezione dei lavoratori dagli agenti fisici. In particolare quella sulle vibrazioni, 2002/44/CE, o quella sui rischi di esposizione a radiazioni ottiche non ionizzanti, 2006/25/CE, riscontrano questi problemi soprattutto per le PMI. Tali problemi potrebbero riscontrarsi nell'applicazione della prossima direttiva sulle radiazioni ottiche artificiali. Sono necessarie delle guide e delle applicazioni pratiche, altrimenti queste direttive non raggiungono i loro obiettivi. Ovviamente, nel caso di un'effettiva impossibilità ad applicarle concretamente, occorrerà pensare ed approntare rapidamente le modifiche necessarie per consentire alle imprese di rispettare i loro obblighi legali.

6.4.

È opportuno, nel campo della produzione industriale e in particolare delle macchine, tenere conto delle differenti esigenze quando si affronta il tema degli obblighi amministrativi. La tracciabilità degli interventi dei diversi attori è un elemento essenziale sia per la sicurezza fisica degli utilizzatori che per la sicurezza giuridica dei rapporti contrattuali che si stabiliscono sul mercato. Occorre quindi definire delle soluzioni equilibrate che mantengano le condizioni di trasparenza e tracciabilità, senza moltiplicare inutilmente i costi amministrativi.

7.   Il ruolo della normazione

7.1.

La normazione tecnica gioca un ruolo importante nel funzionamento delle regole comunitarie e consente di dare un contenuto concreto alle esigenze essenziali di sicurezza formulate nella legislazione. Il rispetto delle norme conferisce una presunzione di conformità alle direttive. La certificazione, quando necessaria, da parte di organi di notificazione accreditati è inseparabile dall'esistenza di un quadro normativo costituito da regole.

7.2.

Nell'insieme, gli organismi europei di normazione hanno svolto un lavoro molto utile sulla base dei mandati della Commissione. In ogni modo, l'elaborazione di norme dovrebbe richiedere una procedura più partecipata dalle parti interessate e questo agevolerebbe il confronto successivo, è un dato di fatto che oggi essa resta nelle mani di un ristretto numero di attori. La maggior parte delle industrie utilizzatrici non ha i mezzi né le risorse per seguire in modo regolare questa attività. La partecipazione dei lavoratori e dei consumatori è ancora più marginale. Una tale situazione rende difficile tenere conto dell'importanza dell'esperienza acquisita. Alcune norme non riescono a soddisfare l'insieme delle preoccupazioni constatate sul campo. Il Comitato auspica il rafforzamento della partecipazione delle parti interessate ai comitati tecnici, soprattutto a livello locale, in questo settore ove poche persone hanno effettivamente il potere decisionale. Il Comitato nota con preoccupazione che il costo crescente della normazione può diventare un freno alla competitività, ma anche alla sicurezza, laddove si preferisce, ad esempio, rischiare di utilizzare impropriamente macchine con usi difformi dalle norme. Alcune PMI dell'Est Europa sono orientate ad andare nel «buio» o a praticare «trucchi».

7.3.

Il Comitato accoglie con favore le iniziative annunciate il 15 marzo 2007 nel Piano d'azione per una standardizzazione europea, nella quale ogni Stato membro è invitato a relazionare sullo stato di realizzazione e sulle misure prese per sostenere la partecipazione di tutte le parti interessate alla standardizzazione europea e internazionale. La Commissione, da parte sua, dovrebbe assumere le osservazioni proposte per integrarle nella standardizzazione europea. Il coinvolgimento delle PMI nelle procedure di standardizzazione è essenziale, sia a livello europeo, sia a livello nazionale e occorrerà rendere effettivo e concreto il loro contributo ai futuri processi di standardizzazione.

7.4.

In certi casi, può essere difficile il rispetto da parte degli imprenditori degli obblighi derivanti dalla legislazione sulla salute e sicurezza. La valutazione del rischio, infatti, dal momento in cui viene utilizzata una macchina, implica una necessaria complementarietà tra il produttore e l'impresa che la impiega. Possono sorgere problemi se gli standard non prevedono di fornire un'adeguata informazione sui rischi residui che l'impresa deve tenere in considerazione. Se gli imprenditori non sono correttamente informati sui rischi residui connessi alla macchina che comprano, avranno difficoltà ad osservare gli obblighi di valutazione del rischio che discendono dalla direttiva quadro 89/391/CEE e dalle sue 19 direttive specifiche complementari in materia di protezione attiva e passiva dei lavoratori.

7.5.

La diffusione delle norme può essere problematica per le piccole e medie imprese in ragione del costo elevato del loro acquisto; se la normazione sbocca su procedure di certificazione, i costi amministrativi sono generalmente molto più elevati di quelli che risultano direttamente dalla legislazione.

7.6.

L'analisi del rischio che gli specialisti del CEN sviluppano è estremamente importante per gli imprenditori, che devono integrarla con una specifica analisi collegata alla realtà lavorativa ove verrà usata la macchina. Il costo di questi standard armonizzati è elevato, in particolare per le PMI. Il Comitato raccomanda di prendere in esame la proposta che gli standard «armonizzati», derivanti dal mandato che la CE conferisce al CEN, siano resi disponibili gratuitamente o a un costo simbolico, per consentire loro di adempiere agli obblighi legislativi. La diffusione gratuita su Internet, peraltro, è già attuata con successo da parte del settore telecomunicazioni, ove alcune norme ETSI (European Telecommunication Standard Institute), sono poste direttamente sul web.

8.   Promuovere la stabilità della regolamentazione

8.1.

Il Comitato sottolinea che non è necessario sempre e comunque modificare direttive che hanno dato e danno buona prova. Certamente il lavoro e i risultati che hanno portato a migliorare complessivamente la direttiva base 98/37/CE, la famosa «direttiva macchine», sono stati di particolare complessità e, alla fine, si è raggiunto un ottimo equilibrio tra interessi diversi. In qualche altro caso forse sarebbe meglio non esercitarsi troppo in cosiddetti «miglioramenti», ad esempio modificando la direttiva «basso voltaggio» 73/23/CEE, o come ha fatto notare l'associazione dei costruttori di macchine, nella sua nota del 5 novembre 2004, l'inopportunità della proposta della Commissione di fusione tra la direttive 87/404/CEE e la direttiva PED sui dispositivi in pressione 97/23/CE.

8.2.

Il mercato ha manifestato l'esigenza di un quadro normativo stabile, chiaro per poter pianificare con tranquillità gli investimenti e conformarsi a regole chiare, che non vengono modificate troppo spesso. Dall'altra parte, il rischio che la «semplificazione» possa portare a maggiori costi amministrativi e ad una crescita dei costi per procedure di valutazione di conformità più complesse, esiste concretamente.

8.3.

Il Comitato d'altra parte, per quanto riguarda la possibilità di utilizzare l'articolo 95 del Trattato, comprende le esigenze delle imprese costruttrici, ma sottolinea come il quadro giuridico di riferimento cui ispirarsi nell'emanazione delle direttive debba conformarsi ai principi fondamentali dei Trattati, in particolare per quello che riguarda la base giuridica delle diverse norme. È evidente che il prevalere dell'obiettivo e il contenuto dell'atto siano i riferimenti oggettivi cui correlare l'applicazione delle diverse norme. Su questo, con diverse sentenze, si è anche pronunciata la Corte di giustizia delle Comunità europee, anche recentemente, escludendo comunque la possibilità che ci possa essere una base giuridica mista, quando i riferimenti normativi sono in contrasto o il cumulo sia di natura tale da limitare i diritti del Parlamento. Non è realizzabile sempre e comunque l'aspirazione delle imprese a riferirsi, nel caso dei disegni dei prodotti, quando è prevalente un altro obiettivo, all'articolo 95, paragrafo 3, del Trattato, che notoriamente limita il potere degli Stati membri nel rafforzare le normative comunitarie, così come previsto, ad esempio, dall'articolo 137 o dall'articolo 175 (5). Le imprese, infatti, evidenziano i costi aggiuntivi (che si scaricano sull'utente finale) da affrontare per apportare le modifiche necessarie al disegno e alla produzione delle macchine, in base alle richieste di ogni singolo Stato membro. Occorre immaginare modelli legislativi complementari che non si sovrappongano, ma limitino all'essenziale le possibilità degli Stati membri di adottare misure distinte e diverse che dovranno richiamarsi al principio della ragionevolezza e della proporzionalità.

8.4.

Il recente regolamento «Reach» segna una svolta importante nella tutela dei consumatori e dei lavoratori; il Comitato concorda con le soluzioni tecniche approvate e la prospettiva di flessibilità connessa con la possibilità di una semplificazione, e segnala, con una certa preoccupazione, che le piccole e medie imprese potrebbero trovarsi in una qualche difficoltà, specialmente se i controlli delle importazioni non dovessero essere così rigorosi come l'applicazione di questo fondamentale regolamento richiede. Il Comitato esorta la Commissione, a questo proposito, a monitorare attentamente le modalità di sorveglianza del mercato degli Stati membri, che proprio nel settore di cui ci si occupa, nel passato hanno dimostrato una certa difficoltà ad adempiere efficacemente al loro ruolo, anche per una grave scarsità di mezzi di cui sono stati forniti gli organi di vigilanza preposti. A questo proposito si potrebbe prevedere, in base al principio della prevalenza della produzione nell'ambito degli Stati membri, la suddivisione dei compiti tra le autorità di sorveglianza, per esempio per aree di prodotto (valvolame, apparecchiature per il sollevamento e la movimentazione delle merci, pompe e compressori, macchinari per le industrie manifatturiere, ecc.).

8.5.

Nonostante il fondamentale contributo che il settore dell'industria meccanica offre all'intera economia europea, si ha l'impressione che gli Stati membri investano molto poco nelle attività istituzionali loro delegate. La Commissione potrebbe richiedere questi dati per compararli con i risultati pratici ottenuti. Spesso la qualità e la quantità dei controlli è delegata alla capacità/volontà individuali, ma molto dipende dalle risorse disponibili.

9.   Rimuovere le barriere tecniche al pieno sviluppo del mercato unico

9.1.

Nell'ambito delle legislazioni nazionali, permangono una serie di ostacoli tecnici che creano grandi problemi alle imprese. Un settore interessato, ad esempio, è quello delle macchine mobili non per uso stradale, quando devono viaggiare sulle strade pubbliche. Le diverse regolamentazioni, con alcuni Stati membri che adottano misure più stringenti di altri, determinano la necessità di dotarsi di macchine diverse. Anche nella terminologia c'è confusione ad esempio tra «aziende» e «imprese». Gli obblighi di revisione previsti da alcuni Stati membri comportano dei costi aggiuntivi, che spesso sono duplicati per ogni paese che prevede un'ispezione di uno specifico organo sia nello sviluppo, sia nei test, sia nel trasporto. Il Comitato auspica che, in particolare per quello che riguarda le misure di sicurezza, si giunga ad una rapida armonizzazione delle normative. Per quanto riguarda i trattori, ad esempio, oltre alle attuali previsioni in materia di specchietti retrovisori, di limiti di velocità, vanno previste specifiche tecniche per quanto riguarda le luci, anteriori e posteriori, ma soprattutto lo spazio di frenata. Attualmente circolano sulle strade europee trattori che hanno anche 40 anni di vita. Un progressivo svecchiamento del parco circolante garantirebbe livelli molto più incisivi di sicurezza attiva e passiva.

9.2.

Il Comitato raccomanda per regolamentare l'utilizzo delle macchine da lavoro sulle strade pubbliche, in particolare:

di adottare una proposta per armonizzare le legislazioni nazionali esistenti sull'uso delle macchine da lavoro sulle strade pubbliche,

di utilizzare la metodologia del nuovo approccio,

di prevedere standard di riferimento che presuppongano una presunzione di conformità con gli obblighi,

di includere appropriate previsioni di valutazione di conformità, introducendo per alcuni sistemi (sterzo, freni) una più rigida valutazione di conformità.

10.   La futura legislazione: coinvolgimento e valutazione di impatto

10.1.

Il Comitato chiede che in futuro ci sia una cooperazione più stretta tra i regolatori e le parti interessate sulle future politiche di regolamentazione, attraverso un dialogo effettivo, evitando di concentrare la consultazione per via elettronica, vista la necessità di interagire tra le parti interessate. A giudizio del Comitato, su alcuni specifici temi, la consultazione costante e frequente consente di prevenire i problemi, garantendo così una migliore qualità legislativa e la migliore efficacia delle norme.

10.2.

Il Comitato ritiene essenziale sviluppare una metodologia di valutazione di impatto sulle diverse opzioni che sia comune alle istituzioni europee, Parlamento, Consiglio e Commissione e con un idoneo sistema di controllo di qualità.

10.3.

La Commissione dovrebbe sempre considerare se gli obiettivi che si intende raggiungere necessitino effettivamente di un quadro regolamentare, oppure sia sufficiente un'autoregolamentazione o una coregolamentazione. Il Comitato ritiene che tra diverse opzioni, occorra perseguire quella che possa garantire gli stessi obiettivi a costo inferiore e con minori pesi amministrativi e garantisca la maggior trasparenza e la maggior partecipazione possibile alle parti interessate.

10.4.

Un ruolo fondamentale assume il dialogo sociale settoriale tra le parti. Il comune interesse può concretizzarsi in iniziative di sviluppo della formazione specifica, specialmente in materia di sicurezza sul lavoro, ma anche di quella continua, che accresce non solo le competenze, ma anche le sensibilità ai diversi problemi gestionali ed organizzativi correlati al migliore e più sicuro utilizzo delle macchine. Il tema della responsabilità sociale dell'impresa, attraverso la pratica di un confronto allargato alle rappresentanze della società civile, delle autorità locali, può incidere favorevolmente nello sviluppo di una cultura di impresa sicura e produttiva, in particolare nelle piccole e medie imprese, ove le difficoltà di gestire i rischi sono evidentemente maggiori.

10.5.

Il Comitato ritiene che sia utile lanciare una riflessione che consenta a tutte le parti interessate di fare un bilancio dei risultati e dei limiti della regolamentazione comunitaria. Un tale bilancio permetterebbe di orientare un percorso condiviso affinché le diverse iniziative in corso non producano soluzioni parziali o contraddittorie. La decisione assunta dalla Commissione di verificare con gli stakeholder la nuova direttiva macchine, va nella giusta direzione. Queste iniziative vanno giustamente moltiplicate. In particolare, il Comitato sottolinea i legami che esistono tra le diverse iniziative, come quelle collegate ai programmi d'azione per la riduzione degli obblighi amministrativi inutili e il nuovo approccio (il 14 febbraio 2007 la Commissione ha adottato la sua proposta per un regolamento e una decisione del Consiglio e del Parlamento europeo per un quadro di revisione del nuovo approccio, sulla base di una consultazione pubblica sul futuro del mercato interno): il Comitato è convinto che una buona articolazione e un buon coordinamento tra queste iniziative è suscettibile di apportare un miglioramento reale alla regolamentazione esistente e alla sua applicazione coerente nei 27 Stati membri.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 24 del 31.1.2006 (relatore: RETUREAU) e GU C 309 del 16.12.2006 (relatore: CASSIDY).

(2)  GU C 267 del 27.10.2005 (relatore: VAN IERSEL).

(3)  Parere INT/352, in corso di elaborazione (relatore: PEZZINI).

(4)  Parere INT/353, idem nota 3.

(5)  C-94/03. Sentenza della Corte nella causa Commissione europea contro Consiglio dell'Unione europea — Scelta del fondamento normativo.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo — Posizione della Commissione sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21 — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione

COM(2007) 22 def.

(2008/C 10/04)

La Commissione europea, in data 7 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DAVOUST.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni principali

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è lieto che, «nello spirito di una migliore regolamentazione», la Commissione europea intenda «promuovere un'interazione coerente tra diversi ambiti politici, assicurare la prevedibilità e perseguire la tutela dell'interesse pubblico (ad esempio ambiente e sicurezza), tentando nel contempo di razionalizzare la regolamentazione che si applica a questo settore industriale». Plaude quindi all'intento da essa manifestato di mettere a punto una strategia globale e di integrarvi le varie dimensioni legate allo sviluppo del settore e della sua competitività, come pure di associarvi le diverse parti interessate.

1.2.

Più in generale, la strategia globale rappresentata dall'iniziativa CARS 21 risponde a una volontà di coordinamento dei responsabili delle politiche pubbliche non solo fra di loro ma anche con le diverse parti interessate del comparto, il che, a giudizio del Comitato, merita il massimo sostegno. La comunicazione della Commissione, che fa il punto sul quadro normativo esistente e definisce le misure da prendere in futuro al riguardo, illustra l'importanza e al tempo stesso le difficoltà insite in questa strategia.

1.3.

Il principale vantaggio di questo approccio sta nel chiarire a tutte le parti interessate gli orientamenti delle politiche europee nel settore automobilistico. Ne deriva, per ognuno dei principali ambiti, una maggiore prevedibilità delle politiche dell'UE e una razionalizzazione delle norme applicabili al settore.

1.4.

In questa prospettiva, lo snellimento delle procedure amministrative grazie al quale 38 direttive CE potranno essere sostituite da corrispondenti regolamenti UN/ECE può essere visto come un risultato diretto di tale strategia. Del pari, il lavoro compiuto sui capitoli «Ambiente» e «Sicurezza stradale» permette di mostrare la praticabilità di una strategia integrata e rende il quadro normativo più legittimo per tutte le parti interessate e più prevedibile per l'industria. Tale strategia viene così a creare un consenso su cui ognuno può basare la propria azione.

1.5.

È tuttavia necessario sottolineare le difficoltà legate all'attuazione di tale strategia, che sono di tre tipi:

i)

la ricerca del consenso tende a far ritardare le decisioni da prendere;

ii)

il contenuto dell'analisi e delle raccomandazioni dipende in gran parte da quali soggetti interessati vi sono coinvolti;

iii)

la scelta di un approccio integrato può portare a un'analisi dei problemi in cui le responsabilità risultano attenuate.

1.6.

L'elenco delle 39 misure o impegni previsti nella comunicazione della Commissione è molto lungo e ciascun elemento, preso singolarmente, appare giustificabile. Più complicata sarà probabilmente l'integrazione di tutti e 39 i punti, la quale pone una serie di problemi a tutt'oggi irrisolti sul piano della compatibilità reciproca e del calendario. Ad esempio, per quanto le questioni ambientali e di sicurezza siano affrontate sullo sfondo di un approccio integrato, in sé esse non vengono esaminate in maniera integrata. Ciò sarebbe magari stato possibile se, come ha fatto il gruppo ad alto livello nella sua relazione, si fosse posto il problema della fissazione del prezzo per i prodotti conformi a tutti i requisiti previsti, ma questo avrebbe forse anche finito per evidenziare la necessità di compiere delle scelte. Il gruppo ad alto livello aveva inoltre tenuto a corredare le proprie conclusioni di una «tabella di marcia» per tutti i responsabili delle politiche pubbliche. Quest'ultimo documento rappresentava la strategia integrata che la Commissione avrebbe voluto veder promossa da CARS 21. Il CESE deplora quindi che per parte sua la Commissione non abbia proposto una tale tabella, nemmeno modificata.

1.7.

Nel complesso, il gruppo ad alto livello ha basato gran parte della sua analisi sul punto di vista dei costruttori di automobili, per cui nella trattazione dei problemi del settore dominano per lo più questioni inerenti ai prodotti e alle tecnologie. Il Comitato sottolinea che la stessa analisi avrebbe portato a risultati diversi se si fosse prestata maggiore attenzione agli interessi degli utilizzatori. È quindi necessario che in avvenire l'elenco delle parti interessate possa essere modificato per tenere conto delle continue, e ripetute, valutazioni.

1.8.

Il rischio di un approccio integrato o globale è che ognuna delle parti interessate cerchi di addossare ad altri l'onere dell'adeguamento. Ad esempio, in materia di sicurezza stradale o di ambiente, gli attori dell'industria potrebbero ritenere che i loro sforzi, specie sul fronte tecnologico, siano in parte vanificati dai comportamenti dei responsabili delle infrastrutture o dei consumatori.

1.9.

Tutti questi elementi permettono di affermare che i problemi legati alle politiche pubbliche del settore automobilistico e alle varie opzioni disponibili non possono essere affrontati in maniera esaustiva dalla comunicazione della Commissione. Il Comitato appoggia la strategia adottata nel senso che il dibattito pubblico sulle politiche riguardanti il settore automobilistico va mantenuto vivo e aperto a tutte le parti sociali e, più in generale, a tutte le parti interessate, e che tale dibattito deve chiarire le scelte da compiere nei diversi momenti. Si tratta di un approccio preferibile a quello di stilare una volta per tutte un elenco dei possibili orientamenti, lasciando che siano gli esperti e gli attori dell'industria a decidere quali adottare.

1.10.

La Commissione conclude la comunicazione affermando che esiste «un'opportunità senza pari per sviluppare una cultura specifica di policy-making per quanto concerne la politica industriale. La Commissione ritiene che principi come la qualità della legislazione, la semplificazione, la valutazione dell'impatto, le consultazioni degli interessati, i tempi di realizzazione e la scelta degli strumenti dovrebbero essere alla base dello sviluppo di proposte legislative».

Il Comitato si allinea a questa impostazione e con il presente parere si augura di poter aiutare la Commissione a realizzarla pienamente.

In questa prospettiva, raccomanda quanto segue:

concedere all'industria il tempo di mettere a punto le tecnologie necessarie per ottemperare a requisiti più rigorosi, senza che ciò finisca per determinare un forte rincaro dei prodotti e, in definitiva, rallentare la velocità di rinnovo dei parchi veicoli,

non limitare la trattazione delle tematiche ambientali al solo problema del CO2 e non mostrare interesse solo per le soluzioni tecnologiche, bensì badare a sviluppare un approccio più olistico, attento al ruolo delle automobili e dei trasporti su strada nelle società europee,

far sì che il forum «Ristrutturazione», nonché la revisione prevista per il 2009 e gli studi d'impatto su cui tale revisione dovrà basarsi, riflettano l'approccio integrato promosso nel quadro di CARS 21, e che si badi a conferire a questo approccio maggiore legittimità sia nella fase a monte (nella selezione delle parti interessate) che in quella a valle (integrandovi le raccomandazioni provenienti dai gruppi di lavoro),

associare in maniera più diretta e tempestiva il CESE che, per natura e composizione, è quanto mai adatto a favorire questa forma di coinvolgimento delle diverse componenti delle società europee nelle politiche che la Commissione attua al loro servizio.

2.   La proposta della Commissione

2.1.   La strategia della Commissione: originalità e carattere esemplare di CARS 21

2.1.1.

Nel quadro degli sforzi volti a migliorare la qualità dell'attività legislativa e ad affrontare le sfide di una concorrenza sempre più globale, nel 2004 la Commissione ha invitato il gruppo ad alto livello CARS 21, che raggruppa le principali parti interessate (Stati membri, industria, ONG e membri del Parlamento europeo), oltre ai tre membri della Commissione più direttamente coinvolti in tale dossier (Imprese e industria, Ambiente, Trasporti), a formulare raccomandazioni sulle politiche future.

2.1.2.

Più precisamente, il mandato del gruppo ad alto livello costituito all'epoca era: formulare raccomandazioni per le politiche pubbliche e per il quadro regolamentare relativo al settore automobilistico europeo nel breve, medio e lungo termine, al fine di migliorarne la competitività globale e preservarvi l'occupazione, garantendo al tempo stesso ulteriori progressi nelle prestazioni dei veicoli sul piano della sicurezza e della protezione ambientale e prezzi sufficientemente accessibili per le famiglie.

2.1.3.

In questo modo la Commissione intendeva fare del settore automobilistico un esempio di approccio innovativo all'interno dei suoi interventi di politica industriale, che essa inquadrava in maniera esplicita nell'agenda di Lisbona. Per assicurare uno sviluppo sostenibile ed economicamente accettabile delle attività produttive che al tempo stesso sia socialmente responsabile e rispettoso dell'ambiente, la Commissione auspica che i propri interventi siano preceduti da un ampio processo di concertazione tra le parti interessate, processo che consenta al tempo stesso di fare il punto sulla situazione presente e futura e di delineare un largo consenso su quanto resta da fare. Nella fattispecie le parti rappresentate nel gruppo ad alto livello erano i costruttori di automobili, i produttori di petrolio, i fornitori di apparecchiature, i distributori e i riparatori di automobili, gli utilizzatori di automobili, le autorità dei vari Stati membri e le tre principali DG interessate (Ambiente, Energia e trasporti e Imprese e industria). È stata in particolare la DG Imprese e industria a coordinare il lavoro, durato tutto il 2005: nell'aprile 2005 si è svolta un'audizione pubblica, mentre nel dicembre 2005 è stata adottata la relazione del gruppo di lavoro e nel 2006 se ne sono sottoposte le conclusioni a un'ampia consultazione pubblica. La comunicazione della Commissione si fonda sia sulla relazione CARS 21 sia sui 34 contributi ricevuti nel 2006.

2.1.4.

La relazione del gruppo CARS 21 si ricollega allo sforzo quanto mai lodevole della Commissione di evitare il proliferare di iniziative normative non coordinate e quindi non sempre compatibili fra loro.

2.1.5.

A tale scopo, come la relazione afferma ripetutamente, il gruppo di lavoro caldeggia un'impostazione che definisce «olistica», che cioè accerti in quale modo le varie dimensioni interagiscono fra di loro e ne tenga conto. I membri del gruppo ad alto livello intendono in tal modo rendere la regolamentazione più comprensibile e prevedibile, ed evitare nel contempo che le diverse DG della Commissione adottino misure di cui non si sia né ponderata l'incidenza né accertata la compatibilità reciproca.

2.1.6.

Nella sua relazione finale il gruppo di lavoro ha delineato un elenco di 18 raccomandazioni articolate intorno a sette capitoli: miglioramento del quadro normativo, ambiente, sicurezza stradale, commercio, ricerca e sviluppo, tassazione e incentivi fiscali, proprietà intellettuale. Da ultimo ha proposto una tabella di marcia ai responsabili delle politiche pubbliche e delle normative che dispiegheranno i loro effetti sul settore automobilistico per i prossimi dieci anni. In pieno accordo con i compiti che la Commissione aveva assegnato al gruppo, la tabella di marcia così definita era intesa a conferire alle politiche europee del settore automobilistico la coerenza e la prevedibilità di cui gli investitori privati necessitano per garantire la competitività del settore. In particolare, la tabella assicurava tale prevedibilità delimitando il percorso regolamentare da seguire negli anni a venire.

2.1.7.

La comunicazione in oggetto rappresenta la risposta della Commissione alla relazione del gruppo CARS 21. Essa riporta sia la valutazione delle raccomandazioni effettuata dalla Commissione sia le reazioni suscitate dalla relazione CARS 21 nel quadro della consultazione del 2006. In quanto tale, indica la direzione in cui la Commissione si ripropone di orientare la futura politica nel settore automobilistico. Le principali linee d'azione previste sono le seguenti:

Snellimento delle procedure amministrative: la Commissione proporrà di sostituire 38 direttive CE con regolamenti UN/ECE (1) per le rispettive materie, ad esempio: i pneumatici, i vetri di sicurezza, i proiettori fendinebbia e le cinture di sicurezza. Il settore potrà così far riferimento a un testo unico valido in tutto il mondo. Verranno inoltre introdotte prove virtuali e procedure di autocontrollo in 25 direttive comunitarie e regolamenti UN/ECE al fine di ridurre i costi che l'industria sostiene per conformarsi alla normativa e rendere le procedure meno onerose sul piano dei tempi e dei costi.

Riduzione delle emissioni di CO2 : la strategia della Commissione si fonda su un approccio integrato che punta a ottenere miglioramenti non solo nella tecnologia dei motori, ma anche in altri ambiti (tramite, ad esempio, la definizione di requisiti minimi di efficienza per gli impianti di condizionamento, la fissazione di limiti massimi di resistenza al rotolamento dei pneumatici e l'impiego di indicatori di cambio di marcia), come pure ad accrescere l'uso dei biocarburanti. Essa mette inoltre l'accento sugli sforzi supplementari intrapresi dagli Stati membri, ad esempio in materia di gestione del traffico e di miglioramento del comportamento degli automobilisti e delle infrastrutture, e propone un'ulteriore riduzione delle emissioni di CO2.

Sicurezza stradale: la Commissione ritiene che una strategia di sicurezza stradale efficace debba fondarsi su un insieme di miglioramenti nel campo della tecnologia dei veicoli, dell'infrastruttura stradale, dei comportamenti di guida e delle misure repressive. Si propone così un totale di 11 nuove misure, riguardanti ad esempio l'introduzione obbligatoria di un sistema di controllo elettronico della stabilità e di dispositivi che ricordano di allacciare le cinture di sicurezza, oltre che l'uso obbligatorio delle luci di circolazione diurne per i nuovi veicoli.

Politica commerciale: la Commissione propone di esaminare la possibilità di ricorso ad accordi commerciali bilaterali (in particolare con i paesi asiatici) per migliorare l'accesso ai mercati e sottolinea la necessità di far rispettare i diritti di proprietà intellettuale su scala mondiale.

Ricerca e sviluppo: tra le priorità assolute in questo campo si citano i combustibili ecologici rinnovabili e i veicoli puliti, come pure le strade e i veicoli intelligenti. Con circa 20 miliardi di euro (pari a circa il 5 % del fatturato del settore) investiti nella ricerca e nello sviluppo di nuovi prodotti, l'industria automobilistica è, in termini assoluti, il maggiore investitore industriale europeo in R&S.

3.   Osservazioni del Comitato

Prima di ritornare sul metodo e sull'importanza, ma anche sui limiti di questo nuovo modo di affrontare la questione delle politiche nel settore automobilistico e delle politiche settoriali in genere, il presente parere si sofferma sui cinque grandi ambiti delineati e sulle proposte avanzate dalla Commissione per ciascuno di essi.

3.1.   Mercato interno, semplificazione e internazionalizzazione del contesto normativo

3.1.1.

Il Comitato sostiene la proposta di estendere la direttiva quadro concernente l'omologazione dei veicoli a motore a tutte le categorie di veicoli, e sottolinea in particolare l'importanza di tale disposizione per l'etichettatura dei pezzi di ricambio.

3.1.2.

Il Comitato appoggia l'intento della Commissione di semplificare e internazionalizzare il contesto regolamentare, ma auspica al tempo stesso che questa volontà di armonizzazione non diventi una priorità assoluta, tale da prevalere su ogni altra considerazione.

3.1.3.

In tale contesto, e pur condividendo il giudizio della Commissione secondo cui in linea di principio vanno privilegiati gli impegni multilaterali, concorda pienamente con la Commissione quando afferma di essere «consapevole della necessità di conservare la possibilità per l'UE di legiferare indipendentemente dal sistema UN/ECE laddove ciò sia necessario per raggiungere gli obiettivi dell'UE in termini di salute, ambiente o di altri obiettivi politici». Dato che queste disposizioni possono assumere un carattere nevralgico per quanto riguarda gli scambi internazionali e l'accesso ai mercati, è in effetti opportuno mantenere tale riserva in modo che l'industria europea possa reagire a disposizioni potenzialmente deleterie per la sua competitività che vengano adottate in altre regioni del mondo.

3.2.   Trasporti stradali sostenibili sul piano ambientale

3.2.1.

Il Comitato si congratula con la Commissione per la qualità delle misure già adottate e di quelle previste per rendere i trasporti stradali sostenibili in un'ottica ambientale. Nella scia dell'impegno della Commissione ad «analizzare attentamente gli impatti che le future attività di regolamentazione potranno avere sull'occupazione e sulla sicurezza», esso fa presente alla stessa Commissione la necessità di concedere all'industria il tempo di mettere a punto le tecnologie necessarie per ottemperare a questi requisiti più rigorosi, senza che ciò finisca per provocare un forte rincaro dei prodotti e, in ultima analisi, per rallentare la velocità di rinnovo dei parchi veicoli. Questo punto, la cui importanza era già stata sottolineata nella relazione CARS 21, sembra essere affrontato in modo più marginale nella comunicazione della Commissione.

3.2.2.

Sempre a questo proposito, il Comitato prende atto con interesse che per l'avvenire la Commissione intende essere più attenta alle emissioni effettivamente prodotte dai veicoli (punto 8), ma deplora che essa non consideri le implicazioni di tale approccio in relazione al controllo, alla manutenzione e alla riparabilità dei veicoli.

3.2.3.

Il Comitato sottolinea che la strategia integrata sostenuta dalla Commissione finisce per focalizzare il discorso sulle emissioni inquinanti e in particolare sulle emissioni di CO2 dei veicoli nuovi che saranno venduti in Europa nei prossimi anni. In effetti la Commissione mostra interesse solo per le soluzioni tecnologiche (biocarburanti, idrogeno, veicoli e sistemi di trasporto intelligente) o economiche (possibile inclusione del settore del trasporto stradale nel sistema UE di scambio delle quote di emissione) che intende promuovere. Il Comitato deplora che la Commissione non approfondisca a sufficienza le potenzialità offerte da un approccio olistico più attento al ruolo delle automobili e dei trasporti su strada nelle società europee.

3.2.4.

Il Comitato sottolinea che la relazione CARS 21 si preoccupava ad esempio in maniera esplicita del ritmo del rinnovo dei parchi veicoli, che considerava una variabile chiave, e insisteva anche sull'importanza della congestione del traffico. Il Comitato auspica che questi percorsi di promozione di un settore automobilistico più rispettoso dell'ambiente, al pari di altri, come l'incentivazione di forme alternative di accesso all'automobile, ottengano in futuro una considerazione pari a quella riservata alle soluzioni tecnologiche.

3.2.5.

Il Comitato giudica importante stimolare l'offerta e la domanda di veicoli più puliti. È necessario quindi che la Commissione si adoperi per mettere a punto incentivi fiscali coordinati, tecnicamente neutrali e per quanto possibile armonizzati a favore di taluni tipi di veicoli e di carburanti, ad esempio in funzione del volume di emissioni di CO2, il che contribuirebbe a ridurre la quantità di CO2 emessa dai veicoli producendo riflessi diretti sui consumatori e sulla domanda.

3.3.   Rafforzare la sicurezza sulle strade europee

3.3.1.

Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che una strategia globale in materia di sicurezza stradale dovrebbe basarsi «sull'interazione tra miglioramenti in materia di tecnologia dei veicoli, infrastruttura stradale, comportamenti di guida e applicazione delle norme».

3.3.2.

Tornano qui a riproporsi gli interrogativi già espressi in relazione alle tematiche ambientali. Ad esempio, un'espressione chiave della relazione CARS 21, «a costi ragionevoli per i consumatori», permetteva di mostrare come a volte sia inevitabile prendere decisioni che vanno a scapito delle prestazioni dei veicoli sul piano ambientale e della sicurezza. Tuttavia, questa espressione non è stata inserita nella comunicazione in oggetto.

3.3.3.

Ecco l'elenco delle proposte relative alla sicurezza stradale contenute nella comunicazione della Commissione (2):

rendere obbligatoria l'inclusione di sistemi Isofix di ritenuta dei bambini per tutti i nuovi veicoli M1,

rendere obbligatorio l'uso delle luci di circolazione diurne (sull'argomento è stata avviata una consultazione pubblica il 1o agosto 2006),

rendere obbligatoria l'inclusione del controllo elettronico della stabilità anzitutto sui veicoli pesanti e successivamente sugli autoveicoli e sui veicoli commerciali leggeri, non appena sarà stato sviluppato un metodo di test,

rendere obbligatori su tutti i nuovi veicoli i dispositivi che ricordano di allacciare la cintura di sicurezza,

modificare i requisiti della fase II di omologazione di cui alla direttiva sulla protezione dei pedoni al fine di migliorare le disposizioni della direttiva 2003/102/CE (3).

3.3.4.

Nell'intento di assicurare che i rincari dei prezzi dei veicoli nuovi determinati da tali proposte rimangano entro limiti ragionevoli, il Comitato raccomanda un'impostazione più chiaramente incentrata sui prezzi dei veicoli e sul loro impatto sulla velocità di rinnovo dei parchi e, di conseguenza, sulla sicurezza stradale. Esso fa presente il ritardo intervenuto nella seconda fase della proposta di direttiva sulla protezione dei pedoni, il che riduce il tempo necessario ai costruttori per poterla applicare e complica la programmazione delle necessarie misure. Il CESE sottolinea inoltre che occorre precisare sollecitamente sia il calendario di applicazione della direttiva sia le prescrizioni specifiche che i costruttori dovranno soddisfare. Inoltre, esorta la Commissione a tener presente la necessità che, ai fini della sicurezza stradale, gli utilizzatori assicurino la manutenzione dei veicoli in circolazione anche quando sono ormai vecchi. Il Comitato raccomanda di valutare e classificare ciascuna delle misure previste in funzione del rapporto costi/benefici di ognuna, cioè soppesandone i costi per gli utilizzatori alla luce del potenziale impatto sul numero degli incidenti e delle conseguenze in termini di mortalità o di gravi complicazioni per gli utenti della strada. Nella stessa ottica, il CESE esorta la Commissione a non tener conto solo delle tecnologie già introdotte, ma anche a integrare in maniera più esplicita tutti i mezzi suscettibili d'influire sui comportamenti degli utenti della strada (educazione, prevenzione, segnaletica, ecc.). Sottolinea altresì che in futuro bisognerà considerare con particolare attenzione le ricadute degli sviluppi demografici in proposito e il fatto che i conducenti anziani o molto anziani costituiranno una parte crescente degli utenti delle automobili e delle strade.

3.3.5.

Nella stessa prospettiva, e conformemente a quanto sostenuto dalla relazione CARS 21, il Comitato sottolinea l'importanza degli incentivi fiscali volti a incoraggiare la domanda di veicoli più sicuri. L'offerta e la domanda di veicoli più sicuri meritano infatti di essere stimolate.

3.4.   Scambi commerciali e mercati esteri

Il Comitato condivide l'approccio adottato dalla Commissione sulle questioni relative al commercio internazionale e, in particolare, l'attenzione che essa rivolge agli accordi internazionali bilaterali, agli ostacoli non tariffari agli scambi e alla questione dei diritti di proprietà intellettuale, soprattutto in riferimento all'Asia. Al momento della scelta dei paesi con i quali si prevede di stipulare accordi di libero scambio occorrerebbe tener in maggior considerazione i parametri economici, e più in particolare le dimensioni del mercato potenziale e le prospettive che esso offre, la reciprocità della rimozione degli ostacoli agli scambi, ecc. Al di là degli aspetti riguardanti le attività a monte, il CESE richiama l'attenzione della Commissione sulla necessità di tener conto in maniera più esplicita della questione del mercato dei pezzi di ricambio, sia per armonizzare il trattamento a esso riservato dai vari paesi europei, sia per definire una strategia nei riguardi della Cina, dell'India o della Russia.

3.5.   Ricerca e sviluppo

Il Comitato condivide pienamente il sostegno alla R&S e il giudizio della Commissione secondo cui i tre pilastri dello sviluppo sostenibile potranno essere tenuti insieme solo a condizione che gli sforzi di ricerca privati e pubblici vengano protratti e intensificati. Tuttavia, per i motivi indicati al punto 3.4, richiama l'attenzione sulla necessità di associare a questo sforzo la totalità del comparto automobilistico, comprese le attività a valle. Ad esempio, questioni come i costi dei progressi tecnologici, la riparabilità dei prodotti che beneficiano di tali progressi e le formazioni necessarie per un adeguamento dell'attività di riparazione e delle infrastrutture vanno sollevate per tempo, e la Commissione deve attivarsi affinché ciò avvenga. È opportuno che essa destini una quota congrua della dotazione del Settimo programma quadro ad altre azioni, che contemplino in particolare un approccio integrato della sicurezza stradale comprendente anche le infrastrutture, ad esempio i sistemi di comunicazione elettronica, ecc.

3.6.   Tassazione e incentivi fiscali

Il Comitato sostiene l'appello della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio affinché adottino quanto prima la proposta di direttiva in materia, che incoraggia l'armonizzazione fiscale (4). Appena il Parlamento avrà adottato questa proposta di direttiva, resterà da convincere il Consiglio dell'importanza di far convergere le disposizioni che attualmente provocano distorsioni tra i mercati dei veicoli e dei servizi automobilistici in seno all'Unione.

3.7.   Il mercato dei pezzi di ricambio

Il Comitato, pur deplorando che queste problematiche non abbiano formato oggetto di riflessioni più approfondite da parte della Commissione, difende il regolamento (CE) n. 1400/2002 (5) e l'intento della Commissione di assicurarne un'applicazione omogenea in tutta l'Unione. Approva inoltre l'intento della Commissione di sostenere le disposizioni volte ad assicurare il libero accesso alle informazioni tecniche. Al riguardo il Comitato sottolinea la grande importanza di seguire da vicino l'attuazione delle disposizioni conseguenti all'adozione del formato OASIS.

3.8.   Il metodo CARS 21 e la sua applicazione da parte della Commissione

3.8.1.

Il Comitato è lieto che, «nello spirito di una migliore regolamentazione», la Commissione europea intenda, in futuro, «promuovere un'interazione coerente tra diversi ambiti politici, assicurare la prevedibilità e perseguire la tutela dell'interesse pubblico (ad esempio ambiente e sicurezza), tentando nel contempo di razionalizzare la regolamentazione che si applica a questo settore industriale». Accoglie quindi con favore l'intento della Commissione di mettere a punto una strategia globale e di integrarvi le varie dimensioni legate allo sviluppo del settore e della sua competitività, come pure di associarvi le diverse parti interessate.

3.8.2.

Per quanto concerne gli aspetti sociali e industriali esaminati nelle prime pagine della relazione, il Comitato condivide l'auspicio della Commissione di affrontarli congiuntamente, visto che l'occupazione è direttamente legata alla competitività dell'industria europea, da un lato, e dei diversi siti industriali, dall'altro. Aderisce quindi, nell'insieme, a quest'analisi della situazione dell'industria in Europa.

3.8.3.

Il Comitato si compiace dell'affermazione della Commissione secondo cui «è probabile che l'assemblaggio di veicoli destinati al mercato europeo avvenga per l'essenziale in Europa», pur ritenendo, al pari della Commissione, che ciò non sia necessariamente sinonimo di stabilità dell'occupazione.

3.8.4.

Il CESE esorta la Commissione a promuovere il dialogo tra le parti sociali affinché si possano anticipare e gestire le delocalizzazioni e il trasferimento di posti di lavoro nell'Unione e nei paesi terzi, così come sono descritti nella relazione CARS 21. Il Comitato sollecita inoltre la Commissione ad avviare una riflessione sulla sorte che gli sviluppi nel settore riservano ai fornitori di secondo livello o di livello inferiore, ponendoli, come sta avvenendo, in una posizione di particolare vulnerabilità.

3.8.5.

Nello stesso ordine d'idee, il Comitato appoggia pienamente i dispositivi di aiuto previsti nella comunicazione e l'idea di indire un forum «Ristrutturazione» sull'industria automobilistica per «affrontare le sfide e meglio anticipare il cambiamento e adattarvisi». Esorta altresì la Commissione a cogliere l'opportunità affinché l'intero settore automobilistico e, in particolare, i soggetti a valle vengano contemplati in questi lavori e possano beneficiare delle eventuali misure di sostegno. Tali iniziative rientrano in effetti in una logica di concertazione o di riflessione strategica congiunta necessarie a tutti i soggetti del comparto. Il CESE sottolinea la propria capacità a svolgere un ruolo di spicco in tali lavori e dibattiti, assicurando in particolare che tutte le parti sociali e, più in generale, le parti interessate vi siano chiaramente rappresentate.

3.8.6.

Ad esempio, le esigenze in materia di formazione sono più avvertite ma spesso meno soddisfatte nelle PMI o nelle microimprese, per cui anche questi soggetti del comparto dovrebbero beneficiare dei fondi strutturali e di altri strumenti di sostegno alle ristrutturazioni.

3.8.7.

La Commissione conclude la comunicazione considerando che esiste:

«un'opportunità senza pari per sviluppare una cultura specifica di policy-making per quanto concerne la politica industriale. La Commissione ritiene che principi come la qualità della legislazione, la semplificazione, la valutazione dell'impatto, le consultazioni degli interessati, i tempi di realizzazione e la scelta degli strumenti dovrebbero essere alla base dello sviluppo di proposte legislative.»

3.8.8.

Il Comitato condivide questa impostazione e con il presente parere si augura di poter aiutare la Commissione a realizzarla pienamente. Ed è per questo che le fa presente il carattere talora parziale dell'approccio da essa adottato. Più in particolare, le analisi della relazione CARS 21 e le conclusioni che ne trae la Commissione sembrano rivelare una scarsa presenza, nel dibattito, dei consumatori e dei soggetti a valle, anche se essi non sono stati del tutto dimenticati. Ne risulta una trattazione dell'automobile, in generale, e delle questioni ambientali e di sicurezza, in particolare, che al Comitato non sembra sufficientemente olistica, in quanto rimanda a una visione del settore troppo incentrata sui prodotti e sulle tecnologie e non abbastanza sui problemi dei parchi veicoli e sulle modalità di utilizzo delle automobili.

3.8.9.

Il Comitato ritiene quindi che la revisione in programma nel 2009 dovrà tener conto del presente parere e integrare il punto di vista delle attività a valle del comparto e degli utilizzatori più di quanto non sia stato fatto sinora. Per questo bisognerà mantenere aperte «le consultazioni degli interessati» e organizzarle meglio, in modo che il sistema automobilistico considerato non sia solo quello dei costruttori e che le «valutazioni dell'impatto» possano essere reimpostate. Occorrerà migliorare la qualità degli studi d'impatto, che dovranno essere obiettivi e neutri e inquadrarsi in un'impostazione globale, basata su dati controllati. Non è infatti ragionevole che un servizio della Commissione incaricato di formulare un parere politico su una determinata problematica effettui anche, direttamente, l'analisi d'impatto sul medesimo tema. Il Comitato approva la proposta relativa alla creazione di un comitato responsabile delle analisi d'impatto e invita la Commissione a convocare quei soggetti interessati cha vengono così spesso dimenticati dagli «architetti privati» del settore automobilistico che va ora regolato.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite.

(2)  COM(2007) 22 def., pag. 15.

(3)  Direttiva 2003/102/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili prima e in caso di urto con un veicolo a motore e che modifica la direttiva 70/156/CEE del Consiglio, GU L 321 del 6.12.2003, pag. 15. Parere CESE: GU C 234 del 30.9.2003, pag. 10.

(4)  Proposta di direttiva del Consiglio in materia di tasse relative alle autovetture (COM(2005) 261 def.); parere CESE: GU C 195 del 18.8.2006, pag. 80.

(5)  Regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione, del 31 luglio 2002, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, GU L 203 dell'1.8.2002, pag. 30.


15.1.2008   

IT

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di protezione in caso di capovolgimento dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2007) 310 def. — 2007/0107 (COD)

(2008/C 10/05)

Il Consiglio, in data 2 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 172 voti favorevoli e 4 astensioni.

 

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


15.1.2008   

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C 10/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai dispositivi di rimorchio e di retromarcia dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2007) 319 def. — 2007/0117 (COD)

(2008/C 10/06)

Il Consiglio, in data 2 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 163 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

 

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


15.1.2008   

IT

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per le targhette e le iscrizioni regolamentari nonché la loro posizione e modo di fissaggio per i veicoli a motore e i loro rimorchi

COM(2007) 344 def. — 2007/0119 (COD)

(2008/C 10/07)

Il Consiglio, in data 13 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole sul testo proposto con 165 voti favorevoli, nessun voto contrario e 8 astensioni.

 

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


15.1.2008   

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C 10/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità

COM(2006) 545 def.

(2008/C 10/08)

La Commissione, in data 19 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo apprezza e sostiene gli obiettivi e le misure proposte dalla Commissione europea. L'efficienza energetica è il primo e più importante campo di azione per realizzare gli obiettivi previsti nel piano energetico europeo (PEE). Questi sono la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, finalizzata anche a combattere il riscaldamento anomalo del pianeta, la riduzione della dipendenza dall'estero e, infine, la tutela della competitività del sistema Europa, con il mantenimento di una disponibilità di energia a prezzi ragionevoli.

1.2.

Il Comitato, anche alla luce del recente rapporto ICCP (Intergovernmental Panel on Climate Change), ritiene necessario fare tutti gli sforzi possibili per ridurre i consumi energetici e, pur considerando tecnicamente raggiungibili dei risparmi anche superiori al 20 %, considera tale obiettivo realistico. Per poter essere conseguito, esso dovrà essere accompagnato da piani nazionali differenziati in relazione alle condizioni finanziarie e tecnologiche di partenza, in modo da garantire un'equa ripartizione degli obiettivi tra gli Stati membri, in relazione al potenziale di ognuno. Sarà opportuno fissare anche degli obiettivi intermedi, per esempio al 2012 e al 2016, per poter eventualmente rafforzare le misure in caso di scostamenti significativi.

1.3.

Il Comitato considera opportuno suggerire alla Commissione l'apertura di uno specifico dibattito sugli «stili di vita» e sulla cosiddetta «qualità della vita». Il Comitato domanda alla Commissione se essa ritiene realisticamente possibile mantenere in futuro, per le prossime generazioni, lo stesso stile di vita con consumi crescenti ed emissioni altrettanto crescenti. La consapevolezza che ciò non è possibile implica una sfida che può essere vinta solo con un'azione decisa, coraggiosa e tempestiva. Il problema consiste anche nell'assumere che i risparmi di energia, qualora siano associati ad un aumento immediato del potere d'acquisto della popolazione, non devono servire a finanziare ulteriori consumi, attraverso l'effetto rebound.

1.4.

Il Comitato suggerisce di aggiungere un'ulteriore azione prioritaria: la realizzazione di reti distrettuali di riscaldamento e raffreddamento, che consentirebbero di evitare la perdita del 33 % dovuta alla trasformazione dell'energia primaria.

1.5.

Il Comitato raccomanda che vengano adottate azioni positive prioritarie, favorendo la nascita e lo sviluppo delle nuove professioni connesse al settore dell'efficienza energetica, la diffusione dei nuovi servizi integrati per l'energia, la valorizzazione della R&S, lo sviluppo del riciclaggio e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani — che offrono anche molte opportunità di impiego — e la promozione di azioni di CSR. Di primaria importanza è l'incentivazione di studi di energetica nell'ambito dell'istruzione superiore e universitaria.

1.6.

La realizzazione delle 75 iniziative previste nel piano d'azione, il monitoraggio e la valutazione dell'efficacia del complesso degli strumenti proposti, determinano la necessità di rafforzare gli organici della Commissione che dovranno monitorare lo sviluppo di queste attività. Il Comitato raccomanda un'analisi attenta dei fabbisogni e un adeguamento delle risorse umane e finanziarie.

1.7.

Il Comitato ritiene necessario rafforzare la capacità dell'Unione di parlare con una sola voce nei suoi rapporti internazionali per quanto riguarda l'efficienza energetica. A questo fine raccomanda alla Commissione di valutare se occorra modificare i Trattati per consentire una più forte rappresentanza comune esterna, fermo restando il diritto degli Stati membri di decidere autonomamente il mix energetico più congeniale alle loro esigenze.

1.8.

Per quanto riguarda le politiche fiscali collegate al sostegno degli investimenti per realizzare gli obiettivi del piano, il Comitato raccomanda che tali politiche tengano conto delle fasce sociali più deboli come disoccupati, pensionati e lavoratori. Sia nel caso di «tasse energetiche» che in quello di incentivazioni fiscali, queste fasce andranno salvaguardate.

1.9.

Il Comitato deplora un insufficiente coordinamento tra le politiche dei trasporti e quelle dell'energia, le quali rispondono a logiche e a problematiche tecniche e industriali necessariamente complementari, congiuntamente con quelle dell'ambiente e dell'industria: esso esprime la fondata preoccupazione che, in assenza di un tale coordinamento, il documento della Commissione perderebbe gran parte della propria potenziale efficacia.

1.10.

Le abitazioni sono il campo di intervento primario. I risparmi possibili sono molto elevati, purché si affrontino con chiarezza alcuni punti fondamentali, quali la drastica riduzione degli oneri fiscali legati agli interventi volti al miglioramento dell'efficienza energetica, la sospensione degli oneri amministrativi (licenze, permessi), il miglioramento delle conoscenze e della formazione degli operatori, anche attraverso sostegni pubblici. Le abitazioni che ricevono una certificazione energetica dovrebbero avere un trattamento fiscale privilegiato o, in assenza di reddito tassabile del proprietario, il riconoscimento di un bonus energetico per l'acquisto di elettricità. Si dovrebbero prevedere tariffe preferenziali fino ad un certo livello di consumo annuo. L'industria edilizia e tutti coloro che vi lavorano hanno bisogno di ricevere una formazione adeguata circa i possibili interventi intesi a migliorare nettamente i livelli di efficienza energetica negli edifici, nonché di beneficiare di nuovi incentivi necessari a conseguire tale obiettivo.

1.11.

Il Comitato ritiene che il finanziamento degli investimenti necessari debba essere ripartito tra il pubblico e il privato. Alla luce degli esempi positivi di alcuni Stati membri, si potrebbe generalizzare la costituzione di appositi fondi, costituiti con una piccola parte degli utili che le imprese che operano nel settore stanno realizzando, evitando però che ciò si traduca in aumenti del prezzo applicato ai consumatori finali, o in una diminuzione degli ingenti investimenti necessari nel campo della produzione.

1.12.

Il Comitato ritiene indispensabile il coinvolgimento della società civile e delle organizzazioni imprenditoriali, sindacali e ambientali in questa grande sfida. Solo con comportamenti collettivi a livello di massa e con una diffusa consapevolezza e conoscenza è possibile ottenere risultati apprezzabili, considerato che gli utenti finali sono, di fatto, i primi consumatori di energia. Abitazioni, trasporti privati, attività lavorative, coinvolgono direttamente i cittadini. Un'educazione al «consumo energetico responsabile» è fondamentale, a partire dai primissimi anni di scuola. La società tutta deve impegnarsi in questo sforzo, che è anche e deve diventare per tutti un simbolo di nuova civiltà. Ogni europea, ogni europeo deve sentirsi impegnato in questa gara al risparmio, che deve consentire anche alle future generazioni di usufruire di quei beni naturali che sono oggi gravemente compromessi dall'inquinamento e dal connesso cambiamento climatico.

1.13.

Il Comitato sottolinea i risultati positivi ottenuti nell'industria degli elettrodomestici grazie all'etichettatura. I risparmi realizzati fino al 70 % nei frigoriferi e al 60 % nelle lavatrici dimostrano l'efficacia di tale metodo. Il Comitato chiede che l'esempio dell'eco-progettazione sia esteso al comparto degli edifici pubblici, delle abitazioni, del trasporto collettivo e privato, cioè ai settori ad altissima concentrazione di consumo energetico (oltre il 70 % dei consumi totali).

1.14.

Il Comitato raccomanda di dedicare molta attenzione alle inefficienze nel campo della generazione, della trasmissione e della distribuzione. Va perduto oltre un terzo dell'energia, pari a 480 Mtep. Così ad esempio, con la trasmissione a corrente continua ad alto voltaggio le perdite di potenza si riducono da oltre il 10 % al 3 % ogni 1 000 km. La trasmissione in corrente continua presenta inoltre vantaggi in termini di esposizione della popolazione a campi elettrici e magnetici, ed elimina le emissioni di onde elettromagnetiche ELF associate alla trasmissione in corrente alternata.

1.15.

Il Comitato, visti gli ottimi risultati che si stanno ottenendo nel campo dell'energia solare termodinamica, domanda alla Commissione e al Consiglio di incoraggiare e sostenere la diffusione di tale tecnologia.

1.16.

Il Comitato condivide l'obiettivo della Commissione di rafforzare lo sviluppo degli impianti di cogenerazione, anche se ritiene che occorra accelerare l'adozione di normative uniche per la misurazione dell'efficienza di tali impianti. Il Comitato ritiene utile investire in programmi che diffondano la trigenerazione, che possono essere alimentati anche con biomassa. Si dovrebbero favorire le istallazioni di microgenerazione (direttiva 2004/8/CE — Impianti con potenza installata inferiore a 50 kWe) ammettendole ai programmi di incentivazione per il risparmio energetico e per il minor impatto ambientale ed integrandole più facilmente di quanto lo siano ora nelle reti nazionali, nell'ambito dello sviluppo della generazione distribuita. Occorre prevedere però un sostegno alle imprese per compensare i maggiori costi che tale sistema impone per modificare le attuali reti di trasmissione.

1.17.

I mercati del gas e dell'elettricità non sono ancora stati completamente liberalizzati. È necessario giungere alla separazione giuridica tra le imprese che gestiscono monopoli tecnici e quelle che svolgono attività in regime di libera concorrenza.

1.18.

Il Comitato giudica interessante l'adozione dei contatori elettronici, che consente un sistema di telegestione nella distribuzione di energia, ottimizzando la gestione dei carichi sulle reti. Tali contatori sono riconosciuti come strumenti idonei e conformi ai requisiti previsti dalle direttive europee in materia di efficienza energetica.

1.19.

Il settore dei trasporti ha dedicato molte energie alla riduzione dei consumi e delle emissioni inquinanti. Ma la continua crescita delle emissioni di CO2 dovuta in particolare alla diffusione del trasporto privato, ma anche di ogni altro tipo di trasporto, richiede uno sforzo ancora maggiore (dal 1990 al 2004 le emissioni causate dal trasporto su strada sono aumentate del 26 %). La Commissione sta studiando attentamente la valutazione di impatto della definizione per via normativa delle modalità di raggiungimento dell'obiettivo di 120 g CO2/km. Il Comitato raccomanda di adottare tutte le misure necessarie per raggiungere tale obiettivo, tenendo però conto del fatto che queste devono essere caratterizzate dalla ragionevolezza e dalla fattibilità tecnica e produttiva.

1.20.

Il Comitato ritiene opportuno segnalare che sostituire massicciamente i combustibili fossili con biocarburanti comporta però il rischio di mettere in competizione produzione di combustibile e produzione di cibo nell'allocazione dei terreni fertili, nonché quello di vedere il prezzo del cibo allinearsi — verso l'alto — su quello dei prodotti energetici, a loro volta allineati sul prezzo dei combustibili fossili: questo potrebbe significare mettere in competizione (1) le povere popolazioni affamate del Sud con gli automobilisti del Nord.

1.21.

Il Comitato esprime pieno sostegno agli incentivi e alle strategie finanziarie e fiscali proposte dalla Commissione; apprezza in particolare il coinvolgimento della BEI e della BERS, ma anche la sensibilizzazione del sistema bancario europeo perché fornisca il sostegno finanziario necessario per la realizzazione dei piani energetici nazionali. Il Comitato auspica la convocazione di una specifica conferenza europea sul finanziamento dell'efficienza energetica, finalizzata a sensibilizzare le parti interessate e a promuovere la partecipazione del sistema bancario europeo alla realizzazione di un grande progetto di modernizzazione dell'economia europea.

1.22.

Il Comitato sostiene la realizzazione del «Patto dei sindaci», ma considera troppo modesto l'obiettivo di riunire solo le prime 20 città europee. Il target dovrebbe essere molto più alto e le esperienze locali più valorizzate. L'apertura di uno specifico portale o di altre forme di comunicazione, dedicato allo scambio di esperienze tra le città grandi, medie e piccole dell'Unione, dove vive oltre l'80 % della popolazione europea, potrebbe essere un ottimo strumento per mettere in relazione gli amministratori locali responsabili delle politiche di trasporto urbano e quelli preposti alle attività di prossimità che hanno un immediato impatto sull'opinione pubblica.

1.23.

Il Comitato si rammarica che il piano d'azione non prenda in considerazione il ruolo importante che i partner sociali e il dialogo sociale possono svolgere a tutti i livelli per valutare, promuovere e sviluppare politiche di risparmio energetico. Il Comitato auspica che la Commissione si attivi per favorire l'inserimento dei temi di sostenibilità ambientale nelle esistenti strutture del dialogo sociale ai diversi livelli, in particolare in quelli settoriali, e nei comitati aziendali europei. Le organizzazioni sindacali possono inoltre svolgere un ruolo fondamentale nel campo della conoscenza e della consapevolezza, sia a livello europeo che nazionale, contribuendo a disseminare buone pratiche.

1.24.

È importante che il tema del risparmio energetico sia associato alle buone pratiche di responsabilità sociale delle imprese, in particolare delle multinazionali: esso necessita infatti di un dialogo sociale rafforzato per affrontare l'insieme delle questioni collegate all'efficienza energetica.

1.25.

La dimensione internazionale del problema del miglioramento dell'intensità energetica è molto ben sottolineata dalla Commissione. Il Comitato sostiene le proposte di partenariato e la realizzazione di un accordo quadro internazionale. Nell'ambito dell'annunciata conferenza internazionale sull'efficienza energetica, il Comitato raccomanda di non sottovalutare l'opportunità di far partecipare i paesi che rientrano nei programmi ACP, Euromed e PEV. La cooperazione internazionale è indispensabile per vincere la sfida di uno sviluppo sostenibile, e occorrerà intensificare gli sforzi diplomatici per giungere entro il 2009 ad un nuovo protocollo internazionale post Kyoto, con la conferenza che si aprirà quest'anno a Bali.

2.   La comunicazione della Commissione

2.1.

La Commissione ha elaborato la comunicazione Piano d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialità sulla base del mandato ricevuto dal Consiglio europeo di primavera 2006, che ha approvato le indicazioni scaturite dal Libro verde Una strategia europea per un'energia sostenibile, competitiva e sicura.

2.2.

In sintesi, l'obiettivo delle proposte contenute nella comunicazione è quello di conseguire entro il 2020 risparmi di energia superiori al 20 % rispetto ai consumi previsti, assumendo una crescita del PIL determinata, in assenza di nuovi interventi. Se si riesce a realizzare il piano si dovrebbero risparmiare fino a 390 Mtep/anno, con una riduzione delle emissioni di CO2 di 780 Mt/anno. In termini di consumi assoluti le misure proposte dovrebbero garantire una diminuzione dei consumi dell'1 % annuo a fronte di una crescita del PIL del 2,3 % che, in assenza di nuovi interventi, implicherebbe invece una crescita dei consumi dello 0,5 % annuo. Gli investimenti necessari dovrebbero essere compensati da risparmi di combustibile per un valore di circa 100 miliardi di euro annui.

2.3.

Dal dibattito provocato dal Libro verde sull'efficienza energetica, intitolato Fare di più con meno, sono scaturite proposte che costituiscono il complesso e articolato «pacchetto» della comunicazione in esame, che consta di 75 misure riguardanti tutti i campi interessati dal potenziale risparmio. I settori sui quali occorre intervenire con priorità sono quelli dell'edilizia e dei trasporti, questi ultimi essendo responsabili del consumo più elevato di prodotti petroliferi: un'importanza altrettanto grande è tuttavia attribuita ai risparmi conseguibili nella produzione, trasmissione e conversione di energia nonché nell'industria.

2.4.

Il piano messo a punto dalla Commissione prevede un certo numero di azioni immediate ed altre da realizzare nel tempo, entro un arco di 6 anni. È già previsto che per realizzare l'obiettivo del 20 % di risparmio entro il 2020 sarà necessario un ulteriore piano d'azione.

2.5.

L'esame delle potenzialità di risparmio evidenzia possibili e interessanti risultati nei settori di uso finale: si parte dal 25 % conseguibile nell'industria manifatturiera, in particolare nelle unità periferiche (motori, ventilatori, illuminazione), e dal 26 % realizzabile nel settore dei trasporti potenziando la co-modalità e il passaggio ad altri modi di trasporto come suggerito nel riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti, per arrivare al 27 % possibile nel settore residenziale attraverso, ad esempio, l'isolamento di muri e tetti, l'illuminazione, la migliore efficienza degli elettrodomestici, e addirittura al 30 % conseguibile per gli edifici commerciali grazie a un miglioramento complessivo dei sistemi di gestione dell'energia.

2.6.

Dalla somma dei mutamenti strutturali, degli effetti delle politiche precedenti e dell'adozione di nuove tecnologie si attendono miglioramenti dell'intensità energetica pari all'1,8 %/anno (470 Mtep/anno): ciò significa che realizzando il 20 % atteso dalle nuove misure proposte, che sul periodo 2005-2020 incide per l'1,5 %/anno (pari a 390 Mtep/anno), la riduzione di intensità energetica complessiva si dovrebbe misurare nel 3,3 % annuo. A fronte di una crescita attesa del PIL del 2,3 %/anno si avrebbe quindi un risparmio assoluto di energia dell'1 %/anno.

2.7.

I benefici che il piano d'azione determinerà riguarderanno la tutela dell'ambiente, la riduzione dell'importazione di combustibili fossili, con conseguente diminuzione della nostra dipendenza dai paesi terzi, nonché il miglioramento della redditività e della competitività dell'industria europea, anche grazie all'innovazione tecnologica che sarà stimolata dai processi indotti, con positive ricadute sull'occupazione.

2.8.

Il piano è strutturato su 10 azioni prioritarie e urgenti ma la Commissione sollecita gli Stati membri, le autorità locali e regionali e tutte le parti interessate a realizzare ulteriori azioni per ottenere un risultato ancora più importante. Le misure previste sono di carattere settoriale e orizzontale.

2.9.

Tra le altre si evidenzia l'opportunità di fissare requisiti di efficienza in materia di energia dinamica per diversi prodotti e servizi, di promuovere nel settore della trasformazione dell'energia una migliore efficienza delle attuali e nuove capacità nonché la riduzione drastica delle perdite in fase di trasmissione e distribuzione, e infine di adottare — nel settore dei trasporti — un approccio organico rivolto a tutti i soggetti interessati.

2.10.

Il piano strategico per le tecnologie energetiche, che dovrebbe essere adottato nel 2007, porterà nuovi contributi al miglioramento dell'efficienza.

2.11.

Occorrerà prestare molta attenzione ai «segnali dei prezzi», che contribuiscono a determinare una maggiore consapevolezza. Indispensabile è inoltre approntare strumenti finanziari adeguati, a tutti i livelli e politiche di incentivazione, anche fiscale, per produttori e consumatori.

2.12.

La sfida dell'efficienza energetica si gioca tuttavia a livello globale, e sono dunque indispensabili anche accordi e partenariati internazionali.

2.13.

La puntuale applicazione delle direttive e dei regolamenti vigenti, quali la recente direttiva sull'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici, quella sull'etichettatura con le sue 8 direttive di attuazione, quelle rispettivamente sul rendimento energetico nell'edilizia e sulla progettazione eco-compatibile nonché il regolamento Energy Star, contribuiranno a realizzare gli obiettivi attesi.

2.14.   Le azioni prioritarie

2.14.1.

Norme di etichettatura e requisiti minimi di efficienza energetica per elettrodomestici e apparecchiature. Aggiornamento della direttiva quadro 92/75/CEE coerente con l'introduzione di requisiti nuovi e dinamici per gli elettrodomestici, con una particolare attenzione alle perdite di energia durante lo standby. Si inizierà con 14 gruppi di prodotti. L'obiettivo è che entro il 2010 la maggior parte dei prodotti che consumano una quota significativa di energia siano conformi ai requisiti minimi previsti dalla direttiva sulla progettazione eco-compatibile e coperti dai regimi di valutazione in materia di etichettatura.

2.14.2.

Requisiti di efficienza per il settore edilizio ed edifici a bassissimo consumo di energia (case passive). Ampliamento del campo di applicazione della direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (attualmente prevista per superfici superiori a 1 000 m2) e predisposizione nel 2009 di una nuova direttiva con requisiti minimi UE per gli edifici nuovi e ristrutturati (kWh/m2). Saranno studiate, insieme con il settore edilizio, strategie mirate per gli edifici a bassissimo consumo di energia.

2.14.3.

Rendere più efficiente la produzione e la distribuzione di corrente. Il settore della trasformazione dell'energia utilizza circa un terzo di tutta l'energia primaria, registrando un'efficienza di trasformazione che attualmente è del 40 % circa. Con le nuove capacità di produzione si può invece arrivare al 60 %. Anche le perdite in fase di trasmissione e distribuzione, che si aggirano intorno al 10 %, possono essere considerevolmente ridotte. Saranno fissati requisiti minimi di efficienza per i nuovi impianti di generazione dell'elettricità e per gli impianti di riscaldamento e raffreddamento inferiori a 20 MW. Ulteriori progressi sono attesi dall'attuazione della direttiva (2004/8/CE) sulla promozione della cogenerazione. Infine, saranno introdotti requisiti minimi e norme per il teleriscaldamento.

2.14.4.

Automobili a basso consumo di carburante. Per ridurre le emissioni di CO2, la Commissione proporrà, se necessario, nel 2007 norme atte a garantire che l'obiettivo di 120 g CO2/km sarà conseguito entro il 2012. In particolare si sta valutando l'utilizzo di strumenti fiscali collegati all'emissione di CO2. Anche il settore dei pneumatici sarà interessato a fornire un contributo di efficienza energetica (che può arrivare fino al 5 %) sia con norme in materia di resistenza al rotolamento sia con sistemi di controllo di un corretto gonfiaggio. La Commissione redigerà poi un Libro verde sui trasporti urbani per incoraggiare l'uso del trasporto pubblico, e proporrà altre misure per affrontare in modo più radicale il problema, in particolare nelle aree congestionate.

2.14.5.

Agevolare il finanziamento adeguato degli investimenti in efficienza energetica delle PMI e delle società di servizi energetici. La Commissione inviterà il settore bancario a offrire formule specifiche di finanziamento finalizzate al risparmio energetico. Per promuovere le eco-innovazioni sarà garantito l'accesso, in particolare per le PMI, ai finanziamenti comunitari quali i fondi di investimento verde, il Programma quadro per la competitività e l'innovazione.

2.14.6.

Stimolare l'efficienza energetica nei nuovi Stati membri. La Commissione chiederà che i fondi previsti per la politica di coesione siano indirizzati in maniera maggiore alla realizzazione di importanti progetti di efficienza energetica.

2.14.7.

Un uso coerente della politica fiscale. Nel prossimo Libro verde sull'imposizione indiretta e nella revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, sarà prevista l'integrazione delle valutazioni di efficienza energetica e di tutela ambientale. Sarà parimenti valutata l'opportunità di utilizzare i crediti d'imposta per incentivare le imprese a produrre e i consumatori a utilizzare elettrodomestici e altre apparecchiature efficienti sul piano energetico.

2.14.8.

Aumentare la sensibilizzazione verso le tematiche dell'efficienza energetica. Sarà favorito lo sviluppo delle competenze e della formazione, nonché i programmi di informazione per i responsabili della gestione dell'energia nelle industrie e nei servizi di pubblica utilità. Le scuole saranno destinatarie di materiali didattici ad hoc.

2.14.9.

Efficienza energetica negli agglomerati urbani. Nel 2007 la Commissione istituirà un «Patto dei sindaci» che collegherà i sindaci delle 20 città europee più grandi e più avanzate in materia di efficienza energetica, per favorire lo scambio delle migliori pratiche.

2.14.10.

Promuovere l'efficienza energetica a livello mondiale. L'obiettivo è quello di concludere con i principali partner commerciali e con le più importanti organizzazioni internazionali un accordo quadro sul miglioramento dell'efficienza energetica nei settori di uso finale e della trasformazione.

Conclusioni

La Commissione conclude il suo documento annunciando una revisione di medio termine del suo piano d'azione nel 2009 e chiedendo un forte sostegno per la sua attuazione al Consiglio, al Parlamento e ai responsabili politici nazionali, regionali e locali.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il piano d'azione proposto dalla Commissione cerca di affrontare in modo organico il complesso delle iniziative necessarie per conseguire un obiettivo ambizioso, e cioè quello di realizzare entro il 2020 un risparmio di energia del 20 %, e una conseguente riduzione delle emissioni di CO2 pari a 780 Mt/anno. Il Comitato, pur ritenendo auspicabile, anche alla luce del recente rapporto ICCP (Intergovernmental Panel on Climate Change), fare tutti gli sforzi possibili per ridurre i consumi energetici e pur considerando tecnicamente raggiungibili dei risparmi superiori al 20 %, considera tale obiettivo realistico. Per poter essere conseguito, esso dovrà essere accompagnato da piani nazionali, che complessivamente consentano di raggiungere il risultato, differenziati in relazione alle condizioni finanziarie e tecnologiche di partenza, in modo da garantire un'equa ripartizione degli obiettivi tra gli Stati membri, in funzione delle loro potenzialità.

3.2.

Sarà opportuno fissare anche degli obiettivi intermedi, per esempio al 2012 e al 2016, per poter eventualmente rafforzare le misure in caso di scostamenti significativi. La revisione al 2009 appare invece troppo ravvicinata per consentire un giudizio ponderato. Il Comitato raccomanda anche di prevedere un'opzione di obiettivo di lungo termine (2040/2050) per continuare a porsi obiettivi di risparmio energetico. Entro pochi anni saranno obsoleti gli investimenti nella produzione energetica basata sui carburanti fossili, che sono calcolabili in miliardi di euro. Occorre sostituire questi impianti nel modo più efficiente e rapido possibile. Si tratterà di una sfida epocale, in controtendenza rispetto a quanto avviene oggi, ad esempio con palazzi di cristallo alti fino a 120 piani, illuminati giorno e notte, oppure con il consumo del territorio dedicato alle infrastrutture dei trasporti. Occorre che le autorità prendano al più presto coscienza dell'enormità del problema posto dalla sostituzione delle fonti energetiche.

3.3.

La Commissione propone un piano che dovrebbe ridurre il consumo di energia, preservando al contempo la stessa qualità di vita. Sulla base di questo obiettivo, si prevede entro il 2020, a fronte di una crescita del PIL costante del 2,3 %, una diminuzione dell'intensità energetica del 3,3 % realizzando una diminuzione reale dell'1 % annuo dei consumi energetici, corrispondente ad una diminuzione assoluta dei consumi del 14 % tra il 2005 e il 2020. Il Comitato considera opportuno suggerire alla Commissione l'apertura di uno specifico dibattito sugli «stili di vita» e sulla cosiddetta «qualità della vita». Quest'ultima è misurata, da alcuni con il numero di elettrodomestici, cellulari, automobili per persona, e da altri invece sulla base delle emissioni di CO2, di particolato e polveri fini, degli ingorghi e dei tempi di percorrenza, nonché della qualità del servizio pubblico. È evidente che parlando di efficienza e di risparmio energetico in senso stretto, anche un modestissimo cambiamento, nel senso più ecologico del termine degli stili di vita, accelera il raggiungimento degli obiettivi proposti. Il Comitato domanda alla Commissione se ritiene realisticamente possibile mantenere in futuro, per le prossime generazioni, lo stesso stile di vita con consumi crescenti ed emissioni altrettanto crescenti. Il problema è quello di accettare l'idea che i risparmi di energia non devono servire a finanziare ulteriori consumi attraverso l'effetto rebound. Occorre conseguentemente prevedere per tempo la necessità di una riorganizzazione del sistema economico, favorendo la realizzazione delle opportune infrastrutture e proponendo alle nuove generazioni un sistema di valori adeguato, ad esempio (2):

ridurre l'uso di risorse e energia,

prevenire l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e della terra,

ridurre i rifiuti alla fonte,

minimizzare il rischio per la popolazione e l'ambiente.

3.3.1.

Occorre diffondere la responsabilità dell'efficienza energetica a tutti i livelli, affiancando ai piani nazionali dei piani territoriali e locali. Le autorità pubbliche di amministrazione dei territori devono essere coinvolte in questa grande sfida. La portata e l'importanza del piano costituiscono infatti una vera e propria sfida. Alcuni aspetti dello stile di vita associati al progresso nel 20o secolo andranno abbandonati, e lo stesso concetto di estetica dovrà includere un giudizio etico di accettabilità in termini di efficienza energetica, come accade già per le pellicce di animali rari o per i manufatti in avorio, così un grattacielo ricoperto di superfici vetrate o un SUV dovrà essere considerato non accettabile. Un tale mutamento profondo del sistema di valori dominante richiede la collaborazione anche dell'industria privata, che dovrebbe cogliere l'occasione di anticipare la sua riconversione nella direzione della valorizzazione dell'efficienza energetica per trarne vantaggio a livello globale, utilizzando questi nuovi valori anche nella pubblicità, invece di dare, come spesso avviene, messaggi contrastanti, che esaltano il peso e l'inutile potenza come status symbol.

3.4.

Il piano di azione individua dieci azioni prioritarie, che si iscrivono in quattro aree di intervento: la conversione, trasmissione e distribuzione di energia; le abitazioni e gli edifici commerciali e professionali; i trasporti; gli usi industriali e agricoli. Queste aree coprono oltre il 90 % dei consumi. Altre iniziative saranno prese nel campo degli accordi internazionali, per condividere partenariati sulla definizione di norme nel campo della formazione, dell'informazione e della comunicazione per sviluppare il massimo delle sinergie e infine in quello della responsabilizzazione di tutti gli attori interessati.

3.5.

Il Comitato suggerisce di aggiungere un'ulteriore azione prioritaria, per introdurre misure per ridurre i carburanti fossili per il riscaldamento e il raffreddamento e rileva che la proposta non sviluppa la possibilità di realizzare reti distrettuali di riscaldamento e raffreddamento, che consentirebbero di evitare la perdita del 33 % dovuta alla trasformazione dell'energia primaria. Tali potenzialità potrebbero addirittura raddoppiare, se collegate all'utilizzo di energie rinnovabili o di sistemi di smaltimento di rifiuti, facendo risparmiare fino 50,7 Mtep/anno. Il Comitato suggerisce che accanto alle azioni prioritarie vengano adottate azioni positive prioritarie: si dovrà in particolare favorire la nascita e lo sviluppo delle nuove professioni connesse al settore dell'efficienza energetica, la diffusione dei nuovi servizi integrati per l'energia, la promozione di nuovi prodotti che risparmiano energia e creano meno inquinamento, la valorizzazione della R&S, sia nazionale che europea, con un aumento sostanziale delle relative dotazioni nonché la messa in opera di tutte le risorse tecnologiche già disponibili. Ulteriori campi di intervento potrebbero essere lo sviluppo del riciclaggio e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, che offrono anche molte opportunità di impiego, e la promozione di azioni di CSR o di accordi volontari nelle imprese, con l'attivo coinvolgimento dei lavoratori, utilizzando le procedure EMAS.

3.6.

Nel documento della Commissione sono annunciate molte misure legislative, tra cui l'adozione di nuove direttive e regolamenti e la revisione degli strumenti esistenti, per rendere più stringenti le norme in essere (annuncio del 7 febbraio 2007 sul tetto alle emissioni di CO2 nell'industria automobilistica). Il Comitato prende atto delle proposte della Commissione e delle decisioni del Consiglio di primavera dello scorso marzo, ma ritiene doveroso sottolineare che, dopo gli allargamenti del maggio 2004 e del gennaio 2007, un numero enorme di autovetture usate è entrato nei nuovi Stati membri e che il flusso in tale senso continua, e anzi si è ulteriormente allargato. Il Comitato ritiene che per realizzare il totale ricambio del parco macchine in questi Stati membri occorreranno molti anni e non considera realistico che questo possa avvenire per effetto di una norma vincolante per quello che riguarda il circolante.

3.7.

Il documento non considera l'opportunità di rafforzare le responsabilità e i poteri comunitari per garantire il raggiungimento degli obiettivi e consentirci di parlare con una sola voce nei confronti dei partner internazionali. Il Comitato valuta positivamente quanto contenuto nel documento del Consiglio europeo e si compiace dell'adozione del PEE (Piano energetico europeo), che definisce la politica energetica una delle priorità per il futuro dell'Unione e rafforza la cooperazione e la politica esterna dell'Unione. Il limite giuridico dei Trattati vigenti, che riservano agli Stati membri le decisioni in politica energetica, viene in un certo modo superato attraverso un vero e proprio rafforzamento dei poteri di rappresentanza nei confronti dei paesi terzi, anche se l'articolo 174, paragrafo 4, riconosce una competenza condivisa e uno specifico ruolo nella cooperazione con le organizzazioni internazionali. È evidente che quanto maggiore sarà il coordinamento delle politiche, tanto più grande sarà la capacità negoziale dell'Unione. Il Comitato auspica che il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione prendano in esame, se del caso, l'eventualità di modificare i Trattati nel senso di conferire alla rappresentanza unitaria dell'Unione nei confronti dei partner esterni più poteri di quanto essa, allo stato, possa effettivamente esercitare.

3.8.

La direttiva 2006/32/CE sull'efficienza energetica fa riferimento, oltre che alla strategia fondata sulla generalizzazione dei certificati bianchi, ai piani d'azione nazionali che dovranno essere valutati dai servizi della Commissione. Lo stesso piano d'azione prevede un notevole aumento dell'attività della Commissione sia per le iniziative legislative e regolamentari che per i compiti di verifica. Il Comitato ritiene che l'esperienza finora fatta sia positiva, anche se ci sono state alcune lacune nell'avvio del mercato dei certificati bianchi, dovute anche alla regolamentazione non uniforme negli Stati membri. Si rende necessario, per l'attività collegata alla realizzazione degli scopi della direttiva in oggetto e più complessivamente per rendere effettivo il lavoro della Commissione in materia, aumentare il personale della Commissione destinato a tali incombenze. La Commissione valuta un fabbisogno di circa 20 unità. Il Comitato raccomanda di procedere ad una rigorosa valutazione delle risorse necessarie e auspica un rafforzamento di quelle esistenti.

3.9.

La realizzazione dei provvedimenti in esame comporterà un risparmio e una conseguente riduzione del gettito IVA: questa potrebbe ripercuotersi sui bilanci comunitari ma sarà tuttavia mitigata dall'incremento di nuove attività correlate alle politiche di efficienza energetica. Il Comitato chiede alla Commissione di esprimere una valutazione in tal senso, considerando che nell'analisi di impatto tale scenario non viene considerato. Il Comitato ritiene che le risorse attuali dell'Unione siano assolutamente insufficienti per coprire il complesso dei programmi comunitari, i quali subiscono continui definanziamenti in progetti di estremo interesse, anche ai fini del risparmio energetico. L'introduzione di una eventuale «tassa energetica» dovrà essere inquadrata in una politica fiscale che tenga conto delle fasce socialmente deboli senza avere un impatto negativo sugli attuali livelli di sicurezza sociale e di servizi pubblici offerti.

3.10.

Il piano d'azione risente delle difficoltà di realizzazione degli obiettivi previsti dal Libro bianco sui trasporti. La Commissione, nel riesame di medio termine, riconosce che gli ostacoli e le resistenze incontrate finora non hanno consentito di realizzare pienamente quel potenziamento dei trasporti per ferrovia e per via marittima che comporterebbe invece un notevole risparmio energetico. Tale potenziamento va considerato una priorità assoluta, considerando il tempo necessario sia alla realizzazione delle infrastrutture che alla modifica delle abitudini di vita della popolazione. Occorre più attenzione nel migliorare il trasporto dei lavoratori, oggi fortemente penalizzati da una politica orientata più alle esigenze del risultato economico immediato, che a quelle della soddisfazione dei bisogni di trasporto collettivo, come nel caso del privilegio accordato agli investimenti nell'alta velocità. Facilitare gli spostamenti casa/lavoro non solo riduce i consumi ma migliora sensibilmente la qualità della vita delle persone. Inevitabilmente, gli investimenti pubblici necessari al potenziamento dei trasporti collettivi si sono anche scontrati con la crisi economica, di una durata quinquennale, che ha colpito i bilanci pubblici di molti paesi membri. La mancata realizzazione delle infrastrutture indispensabili, il definanziamento comunitario di progetti strategici quali i corridoi TEN (da 20 a 7,5 miliardi di euro) e le strategie dei principali esponenti dell'industria automobilistica europea hanno contribuito a rendere inattuabile il piano. Il Comitato sta concludendo l'iter di approvazione di un importante parere sul trasporto nelle aree urbane, dove si evidenzia la progressiva riduzione dell'utilizzo dei sistemi pubblici di trasporto e si suggeriscono soluzioni per ridurre la circolazione del trasporto privato (3). Il Comitato deplora un insufficiente coordinamento tra le politiche dei trasporti e quelle dell'energia, che rispondono a logiche e a problematiche tecniche ed industriali necessariamente complementari, congiuntamente con quelle dell'ambiente e dell'industria: esso esprime la fondata preoccupazione che, in assenza di un tale coordinamento, il documento della Commissione perderebbe gran parte della propria potenziale efficacia.

3.11.

Queste difficoltà si riscontrano nella produzione normativa, nelle comunicazioni e nelle raccomandazioni della Commissione. Si assiste a Bruxelles alle medesime difficoltà che si riscontrano a livello nazionale, con un'aggravante dovuta al fatto che è il livello europeo che dovrebbe coordinare le politiche nazionali (e non viceversa!).

3.12.

Una politica energetica europea deve essere sostenibile per tutte le fasce sociali, senza creare disparità di trattamento nell'accesso ai servizi offerti dalle imprese erogatrici di energia, nell'acquisto di elettrodomestici più efficienti, nell'affitto di appartamenti. Tale politica deve sviluppare un saldo positivo dell'occupazione, certamente possibile nell'immediato nel campo delle abitazioni. Per ogni tipo di intervento volto ad aumentare l'efficienza energetica, le agevolazioni dovranno mirare a renderne evidente la convenienza per l'utente, in modo che sia ragionevolmente breve e facilmente calcolabile il tempo necessario ad ammortizzare i costi.

3.13.

Il finanziamento non deve gravare unicamente sulle finanze pubbliche: visti gli altissimi profitti che le industrie energetiche ed elettriche stanno mietendo, si potrebbe creare, con una piccola parte di questi, un fondo peraltro già sperimentato in alcuni Stati membri, evitando però che ciò si traduca in aumenti del prezzo applicato ai consumatori finali e in minori investimenti strategici delle imprese. Va tenuto ovviamente conto degli ingenti investimenti che l'industria produttiva deve affrontare per soddisfare la crescita della domanda a costi sempre più onerosi, mentre per altre risorse fossili, il prezzo è legato all'andamento del prezzo del petrolio, ma i costi di ricerca sono molto più bassi, come lo sono per le industrie distributrici. Pertanto la contribuzione al fondo dovrebbe tenere conto di queste importanti differenze di oneri da sostenere per la ricerca. Una differenziazione tra i vari Stati membri può essere prevista, in ragione delle diverse legislazioni vigenti in termini di obblighi per le industrie energetiche di investire nella ricerca sull'efficienza e nel controllo dei livelli dei prezzi. Potrebbe essere una soluzione che consenta ai piccoli proprietari, senza risorse finanziarie, di incrementare l'efficienza energetica delle loro abitazioni, mettendo in moto un circuito virtuoso che crea occupazione.

3.14.

L'applicazione di misure di agevolazione fiscale, da utilizzare con estrema cautela, deve tenere conto delle fasce più povere che, non pagando tasse, sarebbero escluse dagli eventuali provvedimenti intesi a favorire e a stimolare una politica energetica efficiente, prevedendo premi di efficienza anche per chi non è soggetto, per il basso reddito, ad imposizioni fiscali dirette.

3.15.

Il Comitato ritiene indispensabile organizzare campagne di sensibilizzazione a livello europeo, nazionale e territoriale, sviluppando magari un tema per volta (ad es. in un certo mese in Europa si parla di lampadine, in un altro di sviluppo del trasporto pubblico, in un altro ancora di riscaldamento/raffreddamento eco-compatibile ed efficiente, ecc.). Si potrebbero lanciare delle campagne di idee e di proposte, in modo da continuare a diffondere tra i cittadini la presa di coscienza di questa indispensabile esigenza. Solo attraverso una grande consapevolezza di massa sarà possibile realizzare risultati concreti. Il dibattito democratico, il coinvolgimento di tutti i rappresentanti dei diversi interessi in gioco, il ruolo dei pubblici poteri saranno essenziali per garantire un governo efficace delle azioni previste. Gli Stati membri con maggiore disponibilità di consulenti tecnici nel campo dell'efficienza energetica dovrebbero curare la formazione di consulenti negli altri Stati dell'Unione, per garantire una penetrazione omogenea delle conoscenze necessarie al successo del piano. Negli Stati membri andranno incoraggiati gli studi in energetica a livello universitario e di scuola superiore, favorendo la collaborazione interregionale. Un efficace ruolo di coordinamento potrebbe essere svolto dalla Commissione.

3.16.

Occorre prestare la massima attenzione all'obiettivo di raggiungere l'indispensabile equilibrio tra la necessità di provvedere a tutti i miglioramenti necessari e la capacità del sistema economico e produttivo di far fronte a cambiamenti troppo repentini. Esiste il rischio concreto che, a fronte di costi insopportabili, le industrie che utilizzano in modo intensivo l'energia delocalizzino verso aree meno «esigenti». La velocità del cambiamento deve essere strettamente correlata alle possibilità di adattamento e di governo dei costi. Vanno studiate misure che consentano la stipula di contratti a lungo termine che garantiscano prezzi dell'energia stabili e duraturi in cambio di impegni ad investire in innovazione, in tecnologia o in infrastrutture di produzione, trasporto e distribuzione. Tali investimenti sarebbero da valutare sotto il profilo dell'efficienza energetica. L'utilizzo di accordi volontari va considerato positivamente, ma richiede anche una reale e tempestiva capacità di controllo da parte degli organismi regionali, nonché la volontà di sostituirli con impegni vincolanti quando ne sia stata verificata l'inefficacia.

3.17.

Le azioni individuate devono tenere sempre conto del contesto del mercato, che diventa sempre più globale. Il possibile rincaro dei prezzi dell'energia potrebbe porre enormi problemi ai settori ad alto consumo energetico, quali ad esempio l'alluminio o il cemento. Occorre tenere sempre in considerazione gli obiettivi di Lisbona e garantire la competitività del sistema Europa, che deve poter contare su prezzi dell'energia coerenti con il sistema economico globale. L'Europa, d'altro canto, non può sopportare le continue minacce di delocalizzazione che alcuni settori o alcune imprese continuano ad inviare. Le imprese che delocalizzano esclusivamente per poter incrementare la loro quota di profitti dovrebbero essere penalizzate, perché oltre ai problemi sociali, a volte drammatici, che causano e che scaricano sulla collettività, esse determinano una distorsione del mercato interno, falsando la concorrenza mediante l'immissione sul mercato di merci prodotte in assenza di vincoli in paesi terzi più tolleranti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE non intende analizzare, per ovvie ragioni di merito e di metodo, ogni singola azione proposta (circa 75), ma ritiene necessario esprimere le proprie valutazioni sui provvedimenti più significativi e sulle proposte più rilevanti contenute nel documento e negli allegati. Si è tenuta un'audizione presso il CESE e sono state fornite ulteriori valide indicazioni da parte degli intervenuti, che hanno contribuito ad arricchire le conoscenze apportando un notevole contributo alle riflessioni del Comitato.

4.2.

Si osserva preliminarmente che le misure finora adottate in materia di energia dinamica per i prodotti che consumano energia, il settore edilizio e i servizi energetici hanno dato buoni risultati e hanno trovato produttori e consumatori molto interessati e disponibili ad ampliare l'offerta e la domanda di nuovi prodotti sempre più efficienti. Il riscontro immediato dei risparmi conseguibili e la sempre più diffusa educazione e sensibilità ambientale portano a ritenere che queste politiche siano di più immediata fattibilità e possano conseguire i risultati sperati. La progettazione eco-compatibile è un fattore di successo e di gradimento agli occhi del grande pubblico, che presta sempre più attenzione ai contenuti dell'offerta. Va incoraggiata la tendenza, in parte già in atto, da parte dei produttori, di enfatizzare l'importanza dell'efficienza energetica e di fornire ai consumatori istruzioni dettagliate per un utilizzo energeticamente efficiente dei loro prodotti. Occorre altresì prendere in considerazione il modello americano che ha destinato specifici incentivi alle imprese impegnate nell'eco-progettazione, con risultati molto incoraggianti. Il Comitato ritiene che il sostegno al sistema delle imprese, sotto forma di crediti di imposta accordati a quelle che sviluppano e producono prodotti ad alto contenuto di efficienza energetica, possa determinare un risultato positivo: a condizione però di essere accompagnato da un'efficace ed incisiva sorveglianza del mercato e dei prodotti, in analogia con quanto realizzato nel settore meccanico. Questa azione di sorveglianza deve essere interpretata come una garanzia per i produttori virtuosi di non veder vanificati i propri investimenti in efficienza energetica e va raccomandata alle autorità regionali cui è affidata.

4.2.1.

Le norme di etichettatura costituiscono un ottimo strumento, da incoraggiare e da applicare al più grande numero di prodotti, estendendole quanto prima anche al settore automobilistico ed edilizio. Il CESE condivide la proposta e incoraggia la Commissione a sottoporre al regime di requisiti minimi di efficienza energetica i 14 prodotti individuati; invita tuttavia a prestare particolare attenzione agli specifici segmenti di mercato, per ovviare alle possibili distorsioni alla concorrenza causate da un nuovo regime normativo. Vanno altresì individuati altri prodotti di consumo finale da sottomettere a requisiti minimi. La priorità assegnata a ridurre i consumi delle modalità standby e sleep è pienamente condivisa dal Comitato, il quale attribuisce un grande rilievo a questo intervento, che potrebbe contribuire a far diminuire i consumi in queste modalità fino al 70 % attraverso una graduale sostituzione degli apparecchi in uso. Il Comitato ritiene inoltre che l'accordo Energy Star dovrebbe prevedere anche per l'UE l'obbligo di registrazione (già presente negli USA) per le gare di appalto di attrezzature per ufficio e si attende che «la Commissione mostri essa stessa il buon esempio» (4). Tale accordo dovrebbe essere negoziato anche con i grandi produttori dell'Est asiatico, che ormai coprono una fetta considerevole del mercato dell'elettronica di consumo.

4.2.2.

Nel campo degli elettrodomestici, la mancanza di procedure rapide di controllo della veridicità delle etichette e di sanzione delle violazioni rischia di penalizzare gravemente le industrie «virtuose» che investono nell'efficienza energetica, e di immettere nel mercato prodotti inadeguati. Va incoraggiata soprattutto la sostituzione degli elettrodomestici più vecchi (si calcola ce ne siano in uso in Europa 200 milioni di età superiore ai 10 anni), che permette un risparmio maggiore, e bisogna altresì evitare che gli elettrodomestici obsoleti energeticamente inefficienti siano immessi su un mercato di seconda mano nei paesi in via di sviluppo. È altresì opportuno verificare che le iniziative di finanziamento all'acquisto di elettrodomestici siano riservate ai prodotti più energeticamente efficienti.

4.2.2.1.

Va sottolineato a questo proposito come l'industria degli elettrodomestici, rinunciando a conformarsi al codice volontario di autoregolamentazione, dichiari implicitamente la necessità di misure obbligatorie per regolare il mercato. La mancanza di sanzioni per produttori ed importatori spregiudicati, che classificano come classe A dei prodotti non conformi alle misure di risparmio energetico definite, ha di fatto agevolato la diffusione nel mercato di «falsi» elettrodomestici a basso consumo. Il limite denunciato dalle imprese europee, che reclamano una «regola», fa riflettere sull'efficacia, sempre e comunque, degli accordi volontari.

4.2.3.

Il risparmio conseguibile nel settore edilizio è estremamente significativo: già oggi sono disponibili materiali, metodi costruttivi e alternative al riscaldamento tradizionale, come ad esempio le caldaie a condensazione che fanno risparmiare dal 6 all'11 % di combustibile, riutilizzando il calore latente che normalmente viene disperso. I consumi per il condizionamento dell'aria potrebbero essere ridotti dall'installazione di protezioni dalla luce solare esterne agli edifici, poiché quelle interne schermano la luce ma trattengono in gran parte l'energia termica. Bisogna in primo luogo incoraggiare la diffusione delle cosiddette «case passive» (edifici a bassissimo consumo di energia): in tale categoria rientrano ad esempio le case che consumano, tra inverno ed estate, non più di 15 kWh/m2 anno per quanto riguarda i consumi di base per raffreddamento e riscaldamento. Occorre anche indicare il consumo totale (sufficiency) e il limite al consumo primario tutto compreso (illuminazione ed elettrodomestici, inclusa l'asciugatura panni, tenendo presente che asciugare un chilo di biancheria può consumare 3-4 volte l'energia occorrente per un lavaggio). Se consideriamo che con tali dispositivi i consumi possono passare da una media di 180 kWh/m2 anno a circa 15 kWh/m2 anno, possiamo ottenere un risparmio (efficiency + sufficiency) fino al 90 %! (Si prenda ad esempio il villaggio PH Wiesbaden 1997, con 22 case: consumo medio 13,4 kWh/m2 anno; o il Kronsberg 1998, con 32 case passive: consumo medio 14,9 kWh/m2 anno). L'apertura di un mercato europeo di questo tipo di prodotti va incoraggiata per favorire una diffusa accessibilità di queste tecnologie a prezzi ragionevoli.

4.2.4.

Il Comitato ritiene opportuno richiamare l'esigenza di investimenti pubblici per garantire l'efficienza energetica negli edifici sociali e pubblici, da combinare con l'uso di fonti rinnovabili, in particolare nei nuovi Stati membri che offrono la possibilità di significativi risultati nella conservazione dell'energia. Accanto a programmi di armonizzazione normativa e di sviluppo della formazione per preparare tecnici specializzati, il Comitato chiede di indirizzare a questo fine parte dei fondi strutturali e di sollecitare le istituzioni finanziarie europee a incoraggiare gli investimenti nel campo della modernizzazione energetica degli immobili.

4.2.4.1.

Le case passive propriamente dette impongono alcune caratteristiche costruttive (superisolamento delle pareti e pavimenti, condutture di pre-circolazione dell'aria in ingresso al di sotto della casa stessa), che rendono difficile e costoso un adeguamento completo delle abitazioni esistenti a questo standard. Ciò suggerisce di dedicare il massimo sforzo alla realizzazione dello «standard passivo» nel maggior numero possibile di costruzioni nuove, e soprattutto per gli edifici pubblici; per questi ultimi tale standard dovrebbe diventare progressivamente obbligatorio. Accanto a questo, è estremamente importante, in occasione dei lavori di restauro o manutenzione degli edifici privati, sostenuti anche attraverso fondi di rotazione a bassissimo interesse, provvedere ad adottare cospicuamente le soluzioni energeticamente efficienti delle case passive. Bisogna considerare infatti che gli edifici esistenti oggi, costituiranno la gran parte degli edifici in uso nel 2020. Per gli edifici in affitto, va affrontato il problema di rendere economicamente conveniente per i proprietari un massiccio investimento nel risparmio energetico delle abitazioni, i cui vantaggi diretti tendono a beneficiare soprattutto gli inquilini.

4.2.4.2.

Nella valutazione d'impatto (documento SEC(2006) 1175) la Commissione calcola che se si modificasse la direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico nell'edilizia, riducendo la metratura (1 000 m2) cui si applicano i requisiti minimi (e rafforzandoli per gli edifici pubblici) e generalizzando il sistema dei TEE (certificati bianchi), si potrebbe arrivare ad un risparmio di 140 Mtep. Il CESE esprime delle perplessità sulla realizzabilità di tale obiettivo in tempi brevi (5). Il Comitato ritiene che gli Stati membri dovrebbero dotarsi di strumenti uniformi per misurare l'impatto della regolamentazione (ad esempio la qualità dell'isolamento termico) e dovrebbero essere obbligati ad adottare effettive misure di controllo (vedi la diversità che c'è, ad esempio, tra la Francia, dove ci sono pochi controlli, e la regione fiamminga, dove i controlli sono invece molto stretti). In relazione a questa tematica il Consiglio e il Parlamento dovrebbero valutare se esistono le basi legali per autorizzare la Commissione ad emanare un regolamento, che possa sostituire la proposta di una nuova direttiva, abolendo semplicemente, dopo il 2009, la direttiva 2002/91/CE.

4.2.4.3.

In una tesi di laurea recentemente pubblicata (6) viene evidenziato che:

«1.

Quando si affronta il tema della riqualificazione energetica di un edificio esistente, sia esso a destinazione residenziale, terziaria o scolastica, non è sempre possibile raggiungere i target degli edifici a basso consumo e quello della Passivhaus …;

2.

per intraprendere un'opera di risanamento è necessario un investimento che può rappresentare un peso per il singolo: anche l'investimento potenzialmente più remunerativo senza una disponibilità economica è destinato a non essere preso in considerazione;

3.

per raggiungere i livelli di fabbisogno energetico delle Passivhaus attraverso un miglior isolamento sono necessarie specifiche conoscenze tecniche, le quali non sono certamente trascendentali. Tali nozioni non dovrebbero essere di esclusivo appannaggio della fase progettuale, ma anche e soprattutto della fase operativa;

4.

gli usi che si fanno dell'energia rispondono ad esigenze primarie da parte dell'utenza e chiaramente non sono flessibili: variazioni anche brusche nel prezzo dell'energia non implicano un altrettanto brusco cambiamento di atteggiamento nel breve periodo. Un contenimento dei consumi o la ricerca di fonti energetiche alternative sono reazioni postume di adattamento ad un nuovo equilibrio in un ottica di lungo termine, nella quale tuttavia l'elasticità della curva di domanda di energia risulta migliorata solo di poco.»

4.2.4.4.

Il quadro che emerge da questa analisi è che uno spessore di isolante anche considerevole (almeno più di 16 cm) consente dei risparmi che giustificano sempre l'investimento per il raggiungimento del target Passivhaus, soprattutto se confrontati con edifici tradizionali. Dal punto di vista operativo risulta che la coibentazione dell'involucro nel suo complesso è prioritaria rispetto agli altri interventi, mentre un'analisi aggregata degli interventi permette di ottimizzare il valore attuale netto (VAN) dell'investimento.

4.2.5.

Quanto ai certificati bianchi, l'esperienza positiva, ancorché limitata, dei paesi che li hanno adottati si scontra con il ritardo nell'innovazione industriale che caratterizza alcuni paesi dell'Unione. Infatti, per poter avere un sistema efficiente di TEE (titoli di efficienza energetica) occorre avere definito degli obiettivi realistici in rapporto al potenziale tecnico-economico, disporre di un ampio ventaglio di opzioni per conseguirli (settori, progetti, attori, costi), garantire il funzionamento del mercato (struttura della domanda e dell'offerta, condizioni di contesto), avere regole chiare, trasparenti, semplificatrici e non discriminatorie (condizioni di accesso al mercato, regole di mercato) e infine prevedere sanzioni credibili. Esistono, queste condizioni, nel possibile mercato europeo dei TEE? La possibile diffusione va attuata pertanto con la necessaria prudenza.

4.3.

Le perdite in fase di trasformazione corrispondono alla percentuale dell'intero consumo primario di energia (33 %, pari a oltre 580 Mtep) ascrivibile alla somma delle abitazioni e dell'industria. Per questo il Comitato ritiene che quello della trasformazione debba essere un settore di intervento prioritario. Le perdite in fase di trasmissione sulle grandi distanze sono un fattore importante. Un settore di sicuro sviluppo sono le moderne linee di trasmissione a corrente continua ad alto voltaggio, sulle quali solo il 3 % circa della potenza va perduta per ogni 1 000 chilometri di rete. Tale tecnologia, oltre a consentire un notevole risparmio, elimina gli effetti di elettromagnetismo determinato dalla trasmissione in corrente alternata, come le emissioni di onde elettromagnetiche ELF associate alla trasmissione in corrente alternata. Le attuali tecnologie rendono già economicamente conveniente questo tipo di trasmissione sulle lunghe distanze (sono in uso da decenni in Svezia, Stati Uniti, e in costruzione in tutto il mondo), mentre per le brevi va considerato il livello ancora elevato di costo degli impianti di conversione a bassa tensione alternata per l'utilizzo locale. Dovrebbe essere incoraggiato attraverso specifici progetti di ricerca uno sforzo per diminuire tali costi (7).

4.3.1.

Un altro campo di intervento è il sostegno all'adozione della tecnologia solare termodinamica, che potrebbe realizzarsi in partenariato con i paesi Euromed, i quali dispongono di ampie superfici desertiche a costante e forte insolazione. In un recente rapporto commissionato dal ministero dell'Ambiente della Repubblica federale di Germania è stata evidenziata la strategicità di tale tecnologia, messa a punto dal Nobel italiano Carlo Rubbia ed ora in fase sperimentale a Granada. ENEL, in collaborazione con ENEA, ha recentemente avviato un progetto che consente di applicare, per la prima volta nel mondo, l'integrazione tra un ciclo combinato a gas e un impianto solare termodinamico. Utilizzando una tecnologia innovativa ed esclusiva, elaborata da ENEA, Archimede produce energia elettrica dal sole in maniera costante. Un progetto che vanta però anche altre caratteristiche uniche al mondo, tanto che sfrutta cinque nuovi brevetti, come ad esempio i fluidi fusi, i liquidi che riscaldati emettono il calore da cui viene prodotta l'energia. Quelli utilizzati finora potevano essere riscaldati fino a 300 gradi. Quelli del progetto Archimede fino a 550, la stessa temperatura del vapore fossile, permettendo l'integrazione con le centrali tradizionali e, quindi, contribuendo a garantire la stabilità del sistema energetico.

4.3.2.

Il Comitato raccomanda alle istituzioni europee un forte impegno in questa direzione, adottando specifiche misure di sostegno allo sviluppo dell'energia solare termodinamica.

4.3.3.

La cogenerazione di calore ed elettricità, sia nella forma di utilizzo per il riscaldamento di calore residuo per la produzione di elettricità, che nella forma di utilizzo di produzione di elettricità da calore residuo (per esempio nelle fornaci) potrebbe permettere un enorme aumento dell'efficienza nello sfruttamento dei combustibili, che passerebbe da circa il 35 al 70 %. Per i gestori della rete, i costi aggiuntivi associati alla generazione distribuita e alla distribuzione attiva dovrebbero essere presi in considerazione, incoraggiando gli investimenti necessari, ma tenendo conto anche delle diverse condizioni di partenza degli Stati membri. Il Comitato condivide la volontà della Commissione di sviluppare impianti di cogenerazione ad alto rendimento, anche se rileva che la normalizzazione dei metodi di calcolo è stata rinviata al 2010 e che vengono rilasciate garanzie d'origine di cui non è sempre possibile verificare la rispondenza ai requisiti minimi. Il Comitato si domanda se non sia possibile ridurre i tempi per giungere ad un'armonizzazione dei metodi di calcolo in grado di consentire lo sviluppo di un mercato interno di apparati di cogenerazione superando l'attuale ostacolo rappresentato dalla diversità di normative nei diversi paesi. Ogni Stato ha oggi la facoltà di adottare propri metodi di calcolo per valutare l'efficienza degli impianti e ammetterli al regime comunitario, che dovrebbero corrispondere alle disposizioni della direttiva. Ma questo in pratica non avviene e gli impianti presentano risultanze molto diverse se assoggettati ai metodi di calcolo di paesi diversi. L'armonizzazione è uno strumento efficace anche per contrastare le frodi. L'impegno dell'Unione dovrebbe essere rafforzato, considerando che le risultanze del primo check-up al 21 febbraio 2007 non sono in linea con gli obiettivi strategici, come si evince dai documenti di valutazione presentati dagli Stati membri sui progressi compiuti nello sviluppo della cogenerazione al fine di incrementare la quota di elettricità prodotta con tale tecnica.

4.3.4.

Il Comitato chiede alla Commissione e al Consiglio un maggior impegno nel sostegno ai programmi di «trigenerazione», che utilizzano il calore residuo anche per il raffreddamento. In questi impianti i COP (coefficienti di performance), cioè il rapporto tra l'energia frigorifera in uscita e quella termica in entrata, sono particolarmente significativi. A fronte di un COP per gli impianti tradizionali di 2,0, in questi impianti si realizza un COP di 0,7-1,3, a seconda del calore utilizzato (8). Sono già in commercio rigeneratori a legna di scarto, che possono utilizzare prodotti delle trasformazioni frutticole (noccioli, bucce) ed agricole (sanse, tutoli del mais), gli scarti delle segherie, delle lavorazioni del legno, ramaglie, scortecciamenti, bucce di caffè, residui di palma, scarti industriali e imballaggi dismessi. 100 chili di questi scarti rendono 70 kW di potenza elettrica continua (80 di picco) e 130 kW di calore e raffreddamento. Una tonnellata di legna da scarto, del costo di 70 euro, sostituisce 160 litri di gasolio del costo di 175 euro.

4.3.5.

Il Comitato segnala l'opportunità di intraprendere una campagna e delle misure per limitare l'uso dei materiali per confezionare i prodotti, che dovrebbero poter essere riciclati. Il consumo di energia per produrli e poi per smaltirli è abnorme, considerando che la maggior parte di questi imballaggi non è biodegradabile ed è causa grave di inquinamento.

4.4.   Funzionamento del mercato

4.4.1.

Attualmente il mercato dell'energia non sta realizzando interamente il potenziale di efficienza esistente e vi è la necessità di una maggior trasparenza per quanto riguarda l'effettiva efficienza delle centrali e le perdite delle reti di trasmissione. I mercati del gas e dell'elettricità non sono stati completamente liberalizzati. In qualche caso, la mancanza di trasparenza sulla formazione dei prezzi e sul processo stesso di liberalizzazione è un ostacolo a una effettiva politica di efficienza energetica. Sembra opportuno a tale proposito rafforzare il concetto di separazione giuridica tra le imprese che gestiscono monopoli tecnici da quelle che svolgono attività in regime di libera concorrenza, prevista dalle direttive concernenti la liberalizzazione rispettivamente del mercato elettrico e di quello del gas (direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE) con quello più stringente di separazione proprietaria.

4.4.2.

La politica di prezzo nel settore dovrebbe incoraggiare il risparmio e l'efficienza energetica, specialmente dei combustibili fossili, e incoraggiare le fonti rinnovabili. Una particolare attenzione va riservata alle fasce deboli di consumatori, secondo il principio che bisogna garantire loro la disponibilità di energia necessaria ai consumi di base, mantenendo però il loro interesse economico al risparmio energetico. Ad esempio, potrebbe essere conveniente garantire tariffe sociali per i meno abbienti, ma solo fino ad una data soglia di consumo, oppure sostenere economicamente le famiglie.

4.4.3.

Un esperimento interessante per stimolare il risparmio energetico è l'adozione dei contatori elettronici, che consente un sistema di telegestione nella distribuzione di energia, ottimizzando la gestione dei carichi sulle reti. Secondo l'ENEL, che ha fornito gratuitamente ai suoi 30 milioni di clienti il contatore elettronico, la razionalizzazione del prelievo energetico, anche attraverso l'adozione di una politica tariffaria mirata, consente di sfruttare al meglio la produzione, in particolare nelle ore di minor carico. «Il contatore elettronico aiuta a creare consapevolezza nell'utilizzatore finale, favorendo un uso più razionale delle risorse». Esso è stato riconosciuto come strumento di efficienza energetica, ai sensi delle direttive Energy services e Security of supply.

4.4.4.

Il modello di generazione «distribuita», cioè con una molteplicità di produttori, anche piccolissimi, comporta una serie di problematiche nuove nelle modalità di esercizio delle reti di media e bassa tensione, progettate esclusivamente per un utilizzo monodirezionale. Sono necessari ingenti investimenti per il rinnovo delle reti per far fronte a nuove modalità di produzione. È certo che la produzione decentrata determina minori perdite in fase di trasmissione, ma gli investimenti necessari sono molto elevati e inoltre si incontrano molte resistenze da parte dei territori ad accogliere anche piccole centrali.

4.5.

Il settore dei trasporti ha dedicato molte energie alla riduzione dei consumi e delle emissioni inquinanti: è tuttavia giustificato chiedergli un ulteriore sforzo, considerando che è il settore a più forte crescita di consumi e una delle principali fonti di gas a effetto serra (le emissioni di CO2 causate dal trasporto su strada sono aumentate del 26 % dal 1990 al 2004). Il fatto poi che il combustibile utilizzato per i trasporti (che è costituito per il 98 % da combustibili fossili) dipenda dalle importazioni dai paesi terzi aumenta la responsabilità dell'industria europea del comparto di fornire il suo indispensabile contributo all'efficienza energetica, alla riduzione delle emissioni e alla diminuzione delle importazioni di prodotti petroliferi e di gas.

4.5.1.

La recentissima decisione della Commissione di definire per via normativa il raggiungimento dell'obiettivo di 120 g CO2/km, l'etichettatura dei pneumatici secondo limiti massimi di resistenza al rotolamento, la modifica dei requisiti dei carburanti, nonché l'introduzione di miscele di benzina ad alto contenuto di etanolo, di biocarburanti, di carburanti a basso contenuto di carbonio e di gasolio a bassissimo contenuto di zolfo sono un segnale deciso al mercato. Nel corso del decennio 2011-2020 i fornitori europei dovranno ridurre del 10 % le emissioni di gas serra prodotte dai loro carburanti durante le fasi di raffinazione, trasporto e utilizzo, e questo permetterà un risparmio di 500 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. La motivazione di tali scelte è determinata dal fatto che dal 1995 al 2004 le emissioni hanno fatto registrare una riduzione solo del 12,4 % (passando da 186 a 163 g CO2/km), accompagnata inoltre da un forte incremento delle potenze medie dei veicoli, per le quali è più difficile ridurre le emissioni nocive. Questa incongruenza suggerisce l'utilità di incrementare le tasse sui veicoli di lusso non energeticamente efficaci come avvenuto in alcuni degli Stati membri. La Commissione stima che l'effetto sull'emissione di CO2 nel 2020 sarà di ulteriori 400 milioni di tonnellate.

L'ACEA, vale a dire l'Organizzazione delle imprese produttrici, ha chiesto di prorogare il termine portandolo dal 2012 almeno al 2015 e di coinvolgere tutti gli attori, come raccomandato dal gruppo di alto livello CARS 21. Secondo i costruttori europei queste misure, se non saranno correlate con la pianificazione a lungo termine del cambio dei modelli, comporteranno dei costi insostenibili per l'impresa europea.

4.5.2.

Il Comitato ritiene opportuno segnalare che sostituire massicciamente i combustibili fossili con biocarburanti comporta però il rischio di mettere in competizione produzione di combustibile e produzione di cibo nell'allocazione dei terreni fertili, nonché quello di vedere il prezzo del cibo allinearsi — verso l'alto — su quello dei prodotti energetici, a loro volta allineati sul prezzo dei combustibili fossili: questo potrebbe significare mettere in competizione (9) le povere popolazioni affamate del Sud con gli automobilisti del Nord. Esiste oggettivamente un problema etico in relazione al fatto di utilizzare come carburante, nei paesi del Nord del mondo, delle risorse agricole che potrebbero salvare milioni di vite nel Sud sottosviluppato. L'intera produzione di mais dell'Iowa potrebbe essere destinata alla produzione di etanolo. Se si pensa che per riempire il serbatoio di un SUV, di 25 galloni, pari a 94,5 litri, si consuma la razione annua di cibo di una persona, allora il problema diventa tangibile e richiede una qualche risposta. Il Comitato è in procinto di esprimere uno specifico parere sull'argomento (10).

4.5.3.

Il Comitato osserva che la Commissione da una parte stimola gli accordi volontari ma dall'altra annuncia misure obbligatorie. La stessa Commissione riconosce all'autoregolamentazione un ruolo fondamentale, rilevando che essa «consente di raggiungere gli obiettivi più velocemente e in modo più economico degli obblighi legali» e che «gli accordi volontari possono presentare dei vantaggi rispetto alla regolamentazione. Possono determinare veloci progressi dovuti alla rapida ed economica realizzazione. Consentono adattamenti flessibili e coerenti con le opzioni tecnologiche e gli orientamenti del mercato». Il Comitato chiede alla Commissione di valutare attentamente le cause degli scarsi progressi registrati in materia di contenimento delle emissioni di CO2 da parte dell'industria automobilistica europea, che pure è la prima in termini di investimenti in ricerca e sviluppo. Il Comitato concorda con l'affermazione della Commissione che una normativa stringente non consente sempre il pieno sviluppo del potenziale di ricerca e il possibile progresso nelle soluzioni da adottare.

4.5.4.

L'industria edilizia svolge un ruolo cruciale nel realizzare l'efficienza energetica, sia nel costruire nuovi edifici che nell'adattare quelli esistenti. In diversi paesi però l'industria è stata lenta ad adattarsi ai nuovi metodi, ed ha opposto resistenza all'imposizione di standard più elevati. È necessario un grande sforzo per «rieducare» tutti gli operatori del settore alla necessità e alla realizzabilità di standard più elevati, nonché per persuaderli ad essere sempre all'avanguardia nello sperimentare standard di efficienza energetica più elevati, invece che opporre resistenza al cambiamento. I progettisti, i dirigenti e tutti i professionisti attivi nel settore dell'edilizia hanno bisogno di ricevere una formazione adeguata circa gli interventi possibili per migliorare l'efficienza energetica, nonché di beneficiare di incentivi per conseguire tale obiettivo.

4.6.

Il Comitato esprime pieno sostegno agli incentivi e alle strategie finanziarie e fiscali proposte dalla Commissione; apprezza in particolare il coinvolgimento della BEI e della BERS, ma anche la sensibilizzazione del sistema bancario europeo perché fornisca il sostegno finanziario necessario per la realizzazione dei piani energetici nazionali. Particolare rilievo a questo fine assume la definitiva rimozione degli ostacoli tuttora esistenti per la certezza giuridica delle società che offrono soluzioni di efficienza energetica (ESCO).

4.6.1.

Il Comitato auspica la convocazione di una specifica conferenza sul finanziamento dell'efficienza energetica, finalizzata a sensibilizzare le parti interessate e a promuovere la partecipazione del sistema bancario europeo alla realizzazione di un grande progetto di modernizzazione dell'economia europea. Le banche potrebbero essere impegnate in una sorta di Millennium Challenge, che premierebbe quelle che hanno adottato le soluzioni migliori per il finanziamento dell'efficienza energetica.

4.7.

Fondamentale, a giudizio del Comitato, è l'azione di sensibilizzazione del grande pubblico, che potrà essere sviluppata dalle autorità nazionali e locali, dalle imprese manifatturiere e dalle imprese erogatrici di energia. Va enfatizzato il ruolo delle autorità regionali come informatore «neutrale» al servizio del pubblico. Ampio risalto va dato ai risultati positivi ottenuti dalle iniziative di risparmio energetico. Nella pubblicità le qualità di efficienza energetica e di rispetto dell'ambiente andrebbero esaltate come il vero elemento qualificante dei prodotti, per favorire una modificazione in senso virtuoso del concetto di status symbol, oggi troppo spesso esplicitamente associato a prodotti energeticamente inefficienti in relazione al loro utilizzo. Il Comitato sostiene la realizzazione del «Patto dei sindaci», ma considera troppo modesto l'obiettivo di riunire solo le prime 20 città europee. Il target dovrebbe essere molto più alto e le esperienze locali più valorizzate. L'apertura di uno specifico portale dedicato allo scambio di esperienze tra le città grandi, medie e piccole dell'Unione, dove vive oltre l'80 % della popolazione europea, potrebbe essere un ottimo strumento per mettere in relazione gli amministratori locali responsabili delle politiche di trasporto urbano e quelli preposti alle attività di prossimità che hanno un immediato impatto sull'opinione pubblica. L'assegnazione della certificazione di «Comune ad alta efficienza energetica» (il 1o titolo è stato assegnato al piccolo comune italiano di Varese Ligure), è sicuramente uno stimolo importante per adottare a livello locale delle politiche di miglioramento dell'efficienza energetica. La Commissione potrebbe inoltre lanciare una «gara di efficienza energetica» tra le scuole europee, premiando chi propone le soluzioni che combinano risparmio e qualità, ottenendo i risultati migliori.

4.7.1.

Il Comitato si rammarica che il piano d'azione non prenda in considerazione il ruolo importante che i partner sociali e il dialogo sociale possono svolgere a tutti i livelli importanti, per valutare, promuovere e sviluppare politiche di risparmio energetico. Il Comitato auspica che la Commissione si attivi per favorire l'inserimento dei temi di sostenibilità ambientale nell'ambito delle esistenti strutture del dialogo sociale ai diversi livelli, in particolare in quelli settoriali e nei Comitati aziendali europei. Una dimensione collegata al posto di lavoro, accrescendo la qualità dell'informazione, della consultazione e della partecipazione dei lavoratori, può diventare una miniera d'oro di risparmio energetico se solo si pensa, ad esempio, ai processi produttivi e alle nuove tecnologie nell'industria, ai problemi di mobilità dei lavoratori, al riciclaggio, al telelavoro, solo per citare i più importanti: per questo è assolutamente necessario coinvolgere nelle strategie di efficienza energetica i rappresentanti dei lavoratori. Un terreno da esaminare da parte delle parti sociali potrebbe essere quello di accordi collettivi che distribuiscono ai lavoratori una parte del risparmio realizzato nell'impresa, attraverso un vero e proprio coinvolgimento di partnership. Le organizzazioni sindacali possono inoltre svolgere un ruolo fondamentale nel campo della conoscenza e della consapevolezza, sia a livello europeo che nazionale, contribuendo a disseminare buone pratiche.

4.7.2.

È importante che il tema del risparmio energetico sia associato alle buone pratiche di responsabilità sociale delle imprese, e in particolare delle multinazionali; questo impone un dialogo sociale rafforzato per affrontare tutte le questioni collegate all'efficienza energetica, le quali ci aiutano a proseguire sulla strada della definizione di una strategia europea sobria nel consumo di carbone, tenendo conto di tutti gli effetti nocivi per la salute, come le polveri sottili, che costituiscono ormai un'emergenza in molte città europee. La diffusione di buone pratiche, quali ad esempio l'esclusione del carbone dalle stampanti, o altre iniziative, contribuiscono a creare consapevolezza ed atteggiamenti positivi verso politiche sostenibili.

4.8.

La dimensione internazionale del problema del miglioramento dell'intensità energetica è molto ben sottolineata dalla Commissione. Il Comitato sostiene le proposte di partenariato e la realizzazione di un accordo quadro internazionale. Nell'ambito della annunciata conferenza internazionale sull'efficienza energetica, il Comitato raccomanda di non sottovalutare l'opportunità di far partecipare i paesi che rientrano nei programmi ACP, Euromed e PEV. La cooperazione internazionale è indispensabile per vincere la sfida di uno sviluppo sostenibile, e occorrerà intensificare gli sforzi diplomatici per giungere entro il 2009 ad un nuovo protocollo internazionale post Kyoto, con la conferenza che si aprirà quest'anno a Bali.

4.9.

L'industria europea, che sta sviluppando importanti tecnologie di risparmio energetico, può aiutare considerevolmente gli altri paesi, attraverso cooperazioni industriali, nel migliorare la qualità della produzione di elettricità, il consumo energetico e le conseguenti emissioni di gas a effetto serra, contribuendo a ridurre globalmente i consumi.

Bruxelles, 27 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  L. Brown, www.earthpolicy.org e Rapporto FAO 2005.

(2)  Fattore 4: raddoppiare la ricchezza dimezzando il consumo delle risorse (U. Weizsacker, A. Lovins e altri).

(3)  Parere TEN/276 — Trasporti nelle aree urbane e metropolitane (relatore: RIBBE).

(4)  Etichettatura energetica/Apparecchiature per ufficio (relatore: VOLEŠ).

(5)  La direttiva in esame prevede, all'articolo 15, secondo comma, un periodo di moratoria di tre anni prima della sua applicazione integrale, nel caso che lo Stato membro possa dimostrare che esiste una mancanza di esperti qualificati e accreditati: essa concede cioè agli Stati membri la possibilità di posporre la messa in opera degli attestati di certificazione energetica, nonché di rinviare le ispezioni alle caldaie e ai sistemi di condizionamento d'aria. Ciò significa che, come la stessa Commissione ne dà atto, ben difficilmente il Consiglio si dichiarerà disponibile a riaprire il capitolo prima del 2009. Ma prima che le misure che si prevedono possano dare i risultati sperati siano effettive, dovranno passare ulteriori anni per l'adozione di una nuova direttiva in materia.

(6)  «Confronto tra modelli di valutazione per la stima dell'impatto energetico e macroeconomico dello standard Passivhaus — Giulio Scapin — Università degli studi di Padova — [2005-06]»30.5.2007 — Tesi on-line.it.

(7)  Occorre anche considerare che molti dei trasformatori in uso contengono una sostanza considerata tra le più nocive per l'uomo, vale a dire il PCB (policlorobifenile), e che sono in atto a tale proposito campagne di sostituzione e bonifica. Si calcola, ad esempio, che nella sola Italia circa 200 000 trasformatori sui 600 000 presenti nel paese utilizzano o sono stati inquinati da PCB. Si tratta infatti di una sostanza che, avendo ottime qualità di isolante termico, è stata utilizzata massicciamente senza che, all'epoca, se ne conoscessero le dannosissime caratteristiche chimico-fisiche in caso di incendio. Pertanto potrebbe essere opportuno prevedere una sostituzione di tali trasformatori.

(8)  Da Wikipedia: «Un particolare campo dei sistemi di cogenerazione è quello della trigenerazione che, oltre a produrre energia elettrica, consente di utilizzare l'energia termica recuperata dalla trasformazione anche per produrre energia frigorifera, ovvero acqua refrigerata per il condizionamento o per i processi industriali. La trasformazione dell'energia termica in energia frigorifera è resa possibile dall'impiego del ciclo frigorifero ad assorbimento il cui funzionamento si basa su trasformazioni di stato del fluido refrigerante in combinazione con la sostanza utilizzata quale assorbente».

(9)  L. Brown, www.earthpolicy.org e Rapporto FAO 2005.

(10)  TEN/286 — Progressi nell'uso dei biocarburanti (relatore: IOZIA).


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i diritti aeroportuali

COM(2006) 820 def. — 2007/0013 (COD)

(2008/C 10/09)

Il Consiglio, in data 1o marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

La Commissione dovrebbe fissare dei criteri per la progettazione di vari tipi di aeroporti per garantire che essi siano pratici, funzionali e giustificabili sul piano commerciale grazie alla possibilità di coprire i loro costi mediante la riscossione dei diritti aeroportuali.

1.2.

È lo Stato che dovrebbe farsi carico delle spese necessarie per garantire la sicurezza negli aeroporti. Questa, infatti, è una questione di sicurezza nazionale.

1.3.

Si dovrebbe promuovere la costruzione e la gestione di aeroporti regionali: questi svolgono infatti un ruolo cruciale per l'economia delle regioni, alleviano la congestione degli aeroporti principali e offrono spesso un supporto prezioso alle operazioni di ricerca e di salvataggio nelle situazioni di emergenza.

1.4.

Gli aeroporti vanno considerati come strutture fondamentali di pubblica utilità, la cui gestione non deve necessariamente essere redditizia e può anzi rendere necessario un contributo finanziario, a seconda delle circostanze. La concessione di aiuti è una pratica piuttosto comune nel settore dei trasporti pubblici.

1.5.

La Commissione dovrebbe fissare dei criteri per la progettazione dei processori per aeroporti (ad esempio al check-in e al controllo dei passeggeri) e poi valutare sia l'impatto della nuova regolamentazione sulle dinamiche dei principali processori, sia le conseguenze per i livelli di risorse degli operatori e per i costi che questi devono affrontare per potere continuare a garantire il livello di servizio convenuto, e in particolare i criteri relativi ai tempi previsti per le operazioni aeroportuali.

1.6.

La Commissione dovrebbe tenere conto del livello a cui si dovrebbero situare i diritti aeroportuali per consentire anche agli aeroporti più piccoli, in cui il volume di passeggeri può non bastare a rendere l'attività economicamente sostenibile, a conformarsi alla normativa in vigore.

1.7.

Gli aeroporti devono garantire la conformità con un livello minimo di disposizioni regolamentari specifiche. Dati i costi legati a tale messa in conformità, non è sempre possibile soddisfare le richieste dei vettori a basso costo (compagnie low cost), che chiedono un livello di servizio inferiore e pertanto il pagamento di diritti aeroportuali meno elevati. Per questo motivo gli aeroporti dovrebbero poter ripercuotere, e recuperare, i costi aeroportuali nella loro struttura di tariffazione, indipendentemente dal livello di servizio richiesto dal vettore aereo.

1.8.

La concessione agli aeroporti di sovvenzioni pubbliche cospicue può distorcere la concorrenza.

1.9.

Occorre offrire strutture specifiche adeguate per gli aerei da carico.

1.10.

Occorre introdurre sistemi di sicurezza biometrici per consentire ai viaggiatori frequenti di espletare rapidamente le procedure di controllo. Se necessario, tale possibilità potrebbe essere offerta a pagamento.

1.11.

Gli aeroporti devono garantire la disponibilità di strutture e servizi adeguati alle particolari necessità degli utenti disabili e infermi, in linea con le norme comunitarie vigenti in materia.

2.   Introduzione

2.1.

La funzione e l'attività commerciale di un aeroporto consiste in primo luogo nell'assicurare il compimento delle operazioni relative sia agli aeromobili, dal momento dell'atterraggio a quello del decollo, sia ai passeggeri e alle merci, in modo da consentire ai vettori aerei di fornire i propri servizi di trasporto aereo. A tal fine gli aeroporti mettono a disposizione una serie di strutture e di servizi, connessi all'esercizio degli aeromobili e alle operazioni relative ai passeggeri e alle merci, il cui costo viene in genere recuperato mediante la riscossione di diritti aeroportuali.

2.2.

È necessario istituire un quadro di norme comuni che disciplini gli aspetti fondamentali dei diritti aeroportuali e le modalità della loro determinazione poiché, in mancanza di tale quadro, alcuni requisiti fondamentali delle relazioni tra i gestori e i fornitori di servizi degli aeroporti (vettori aerei, imprese di movimentazione merci e altri fornitori di servizi) rischiano di non essere rispettati.

2.3.

La direttiva in esame deve essere applicata agli aeroporti situati sul territorio della Comunità e che registrano un traffico di oltre un milione di passeggeri all'anno.

2.4.

I diritti aeroportuali non devono essere discriminatori. Questo vale sia per i servizi che per i fornitori di servizi.

2.5.

In ciascuno Stato membro deve essere istituita un'autorità regolatrice indipendente, capace di garantire l'imparzialità delle decisioni nazionali e la corretta ed efficace applicazione della direttiva in esame. È essenziale che gli utenti di un aeroporto ricevano periodicamente dal loro gestore, con la massima trasparenza, informazioni sulle modalità e sulla base di calcolo dei diritti aeroportuali.

2.6.

Inoltre, i gestori degli aeroporti devono informare i fornitori di servizi in merito ai principali progetti infrastrutturali, poiché questi hanno un'incidenza significativa sull'ammontare dei diritti aeroportuali.

2.7.

In considerazione del diffondersi dei vettori aerei che forniscono servizi a basso costo (low cost), gli aeroporti serviti da questi vettori devono essere messi in grado di applicare diritti corrispondenti al livello delle infrastrutture e/o dei servizi offerti, in quanto i vettori aerei hanno un interesse legittimo a esigere da un aeroporto servizi commisurati al rapporto qualità/prezzo. Occorre tuttavia che l'accesso a questo livello ridotto di infrastrutture o servizi sia aperto, su base non discriminatoria, a tutti i vettori aerei che intendano ricorrervi.

2.8.

Poiché all'interno della Comunità esistono metodi diversi per la determinazione e la riscossione dei diritti dovuti per le operazioni necessarie a garantire la sicurezza, negli aeroporti comunitari in cui i diritti aeroportuali comprendono anche il costo di tali operazioni è necessario armonizzarne la base di calcolo.

2.9.

I fornitori di servizi degli aeroporti hanno il diritto di ricevere un livello minimo di servizio a fronte dei diritti che pagano. Per garantire questa corrispondenza, il livello di servizio deve formare oggetto di specifici accordi, conclusi a intervalli regolari, tra il gestore dell'aeroporto in questione e l'associazione o le associazioni rappresentative dei suoi fornitori di servizi.

2.10.

Le dimensioni dell'iniziativa proposta e gli effetti che essa dovrebbe determinare fanno sì che i suoi obiettivi non possano essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possano invece essere realizzati meglio a livello comunitario.

2.11.

Gli Stati membri provvedono affinché il gestore aeroportuale consulti i fornitori di servizi dell'aeroporto prima che sia finalizzata la programmazione relativa ai progetti di nuove infrastrutture.

2.12.

Per garantire il funzionamento corretto ed efficiente di un aeroporto, gli Stati membri provvedono affinché il suo gestore e l'associazione o le associazioni rappresentative dei suoi fornitori di servizi negozino un accordo sul livello di qualità dei servizi prestati nel terminale o nei terminali dell'aeroporto. Tale accordo è concluso almeno una volta ogni due anni e notificato all'autorità regolatrice indipendente di ciascuno Stato membro.

2.13.

Gli Stati membri prendono le misure necessarie per consentire al gestore aeroportuale di variare la qualità e l'estensione di particolari servizi, terminali o parti dei terminali dell'aeroporto, qualora intenda mettere a disposizione servizi personalizzati, ovvero un terminale o una parte di terminale specializzati. L'ammontare dei diritti aeroportuali può essere differenziato in funzione della qualità e dell'estensione di tali servizi.

2.14.

Gli Stati membri designano o istituiscono la propria autorità regolatrice indipendente, incaricata di assicurare la corretta applicazione delle misure adottate per conformarsi alla direttiva in esame.

2.15.

Gli Stati membri garantiscono l'autonomia dell'autorità regolatrice indipendente provvedendo affinché questa sia giuridicamente distinta e funzionalmente indipendente da qualsiasi gestore aeroportuale e vettore aereo.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Va accolto con favore il fatto che la Commissione intenda fissare delle regole e dei criteri di base per la gestione e il funzionamento degli aeroporti nella Comunità.

3.2.

È importante che i diritti riscossi dagli aeroporti siano caratterizzati da chiarezza e trasparenza, dato che in molti casi vi sono situazioni di monopolio.

3.3.

L'assegnazione delle aree di sosta per gli aeromobili nei terminali dell'aeroporto va effettuata in maniera razionale e non discriminatoria, se si vuole garantire parità di condizioni tra tutti i vettori aerei. Il mancato utilizzo di aree di sosta di particolare valore per un lasso di tempo prolungato dovrebbe comportare la soppressione dei relativi diritti di uso.

3.4.

L'eventuale protrarsi di un utilizzo insoddisfacente di tali aree di sosta da parte di un vettore aereo e il regolare verificarsi di ritardi, che col tempo possono condurre a gravi perturbazioni del traffico aeroportuale, vanno contrastati con sanzioni pecuniarie.

3.5.

Il sistema dei «diritti acquisiti» all'uso di determinate aree di sosta in vigore nei grandi aeroporti va abolito e tali aree vanno periodicamente messe all'asta.

3.6.

Nella misura del possibile, tutti gli aeroporti comunitari dovrebbero utilizzare la stessa formula per calcolare i diritti di approdo, di sosta degli aeromobili, ecc. I diritti di approdo dovrebbero sempre rispecchiare il valore della rispettiva fascia oraria (per es. dei prime slot negli orari più ambiti), in modo da incoraggiare un utilizzo più uniforme delle strutture aeroportuali.

3.7.

Per velocizzare il traffico aereo e accrescere la capacità degli aeroporti, questi ultimi vanno incoraggiati ad installare le attrezzature più moderne per la navigazione aerea. Occorre puntare all'obiettivo di portare la capacità delle piste ad un ritmo di 1 atterraggio o decollo ogni 35 secondi. Una maggiore efficienza in questo ambito contribuirà a ridurre i tempi di attesa nei periodi di traffico intenso, e avrà pertanto anche un impatto positivo sul livello delle emissioni.

3.8.

Le autorità nazionali di regolazione del trasporto aereo andrebbero monitorate e sottoposte ad accertamenti da parte della Commissione per garantire che esse adempiano le loro funzioni in maniera rigorosa ed equilibrata.

3.9.

Gli oneri relativi all'adeguamento alle norme di sicurezza e affini dovrebbero essere a carico dello Stato, come già avviene nell'ambito di altri modi di trasporto, come quello ferroviario. Tali oneri vanno sottoposti a un attento monitoraggio, giacché l'installazione di attrezzature sofisticate può risultare molto costosa per gli aeroporti di piccole e medie dimensioni, talora al punto di non essere giustificabile sul piano economico.

3.10.

Le autorità competenti dovrebbero garantire che i prezzi praticati dai negozi situati negli aeroporti non si discostino da quelli praticati nelle città vicine.

3.11.

Sarà difficile stabilire un quadro di norme comuni che disciplinino gli aspetti fondamentali dei diritti aeroportuali e il modo in cui questi vengono determinati, e prendere una decisione al riguardo, dato che i costi del lavoro e quelli di costruzione e delle infrastrutture variano da uno Stato all'altro, così come anche le politiche e le normative in materia di pianificazione.

3.12.

Laddove si propone che la direttiva in esame sia applicata agli aeroporti situati sul territorio della Comunità e di dimensioni superiori ad una soglia minima è necessario chiarire che cosa si intenda per «soglia minima».

3.13.

Occorre consentire l'applicazione di diritti di importo sufficiente a far sì che gli aeroporti realizzino un profitto congruo e possano così reinvestire in infrastrutture e altre attrezzature.

3.14.

Se un vettore aereo low cost particolarmente combattivo non intende remunerare in alcun modo il gestore dell'aeroporto, quest'ultimo avrà difficoltà a coprire i costi necessari, fra l'altro, per conformarsi alla normativa vigente e garantire la sicurezza dello scalo!

3.15.

Per assicurare il funzionamento corretto ed efficiente di un aeroporto, i vettori aerei dovrebbero essere tenuti a concludere con il gestore di quest'ultimo un accordo che garantisca un certo livello di servizio.

3.16.

Ogni aeroporto ha una serie di vettori clienti potenziali, i quali non sono tutti low cost. In alcuni casi, lavorare con vettori di tipo diverso è cruciale per salvaguardare i flussi di reddito, che variano a seconda del tipo di passeggeri. Tali flussi sono infatti minacciati quando, in un piccolo aeroporto, vi è un'eccessiva prevalenza di un vettore low cost.

3.17.

Le attrezzature per i controlli di sicurezza vanno definite e standardizzate, altrimenti i cittadini perderanno presto fiducia nei sistemi utilizzati: attualmente, infatti, uno stesso oggetto può non essere rilevato in alcuni aeroporti e far scattare l'allarme in altri. In un numero crescente di aeroporti statunitensi, una società sta attualmente portando avanti un programma di registrazione per viaggiatori: a fronte del pagamento di una quota annuale di 99,95 dollari, a chi supera i controlli governativi viene rilasciata una carta di identità biometrica, che consente ai suoi titolari di attraversare rapidamente i punti di controllo di sicurezza. Questo è un esempio di come l'evoluzione tecnologica possa essere di vantaggio ai viaggiatori e ridurre i tempi di attesa.

3.18.

Dato il loro valore commerciale, i terreni situati in prossimità degli aeroporti vanno vincolati per evitare e scoraggiare speculazioni.

3.19.

Se da un lato i controlli di sicurezza aeroportuali appaiono rigidi, dall'altro sono però ancora frequenti i furti dai bagagli dei passeggeri. Questo problema va affrontato con urgenza.

3.20.

Le nozioni di tax free e duty free andrebbero definite in modo chiaro e le relative diciture esposte in modo ben visibile nei negozi degli aeroporti, consentendo così ai clienti di rendersi conto degli oneri cui esse si riferiscono.

3.21.

Per tutelare coloro che viaggiano, la Commissione dovrebbe realizzare un sito Internet che li informi con chiarezza sui diritti aeroportuali (come ad esempio quelli di approdo) menzionati nei biglietti e applicati ai passeggeri nei diversi scali.

4.   Progettazione degli aeroporti

4.1.

Gli aeroporti dovrebbero essere concepiti all'insegna della facilità d'uso e andrebbero progettati dopo avere consultato i loro utenti, ossia le compagnie aeree e i passeggeri.

4.2.

La Commissione dovrebbe fissare dei criteri in materia di spazi minimi da riservare al ritiro dei bagagli, allo svolgimento delle operazioni di sicurezza e al controllo dei documenti dei passeggeri.

4.3.

Gli aeroporti andrebbero progettati in maniera tale da garantire un flusso agevole dei passeggeri in entrata e in uscita e da essere facili da utilizzare.

4.4.

Sarebbe bene mettere a disposizione dei vettori aerei interessati a disporre di attrezzature più sofisticate e pronti a pagare per il loro utilizzo l'uso di queste stesse attrezzature.

4.5.

Negli aeroporti la segnaletica è estremamente importante: in molti degli aeroporti europei essa è però poco chiara. Per quanto possibile, quindi, la segnaletica aeroportuale andrebbe standardizzata.

4.6.

Si dovrebbero mettere a disposizione dei passeggeri spazi adeguati con posti a sedere e sale di attesa. L'accesso ai terminali dovrebbe essere reso il più agevole possibile, in particolare per gli utenti disabili o con necessità particolari, come ad esempio i bambini e coloro che li accompagnano.

4.7.

La progettazione degli aeroporti si basa essenzialmente su criteri ispirati alle punte orarie del traffico di passeggeri. Pertanto, per i processi critici come il check-in e il controllo dei passeggeri, occorre studiare e poi pubblicare tali criteri che servano di riferimento alle imprese del settore.

4.8.

I criteri operativi minimi andrebbero resi più rigorosi in conformità ai relativi standard di progettazione. Occorre evitare che i vettori aerei impongano agli aeroporti come criteri minimi dei requisiti che vanno oltre gli standard di progettazione.

4.9.

Gli aeroporti devono garantire che le strutture e i servizi di cui sono responsabili — da soli o congiuntamente alle compagnie aeree — rispondano alle particolari necessità degli utenti disabili e infermi. Facendo seguito a quanto già osservato in un altro parere (TEN/215 — Diritti delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo), il Comitato ritiene che gli aeroporti adempiano a tali obblighi rispettando i requisiti posti nel regolamento (CE) n. 1107/2006, relativo ai diritti delle persone con disabilità e delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo, in particolare all'articolo 9 e nell'allegato I.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Produzione sostenibile di energia elettrica da combustibili fossili: obiettivo emissioni da carbone prossime allo zero dopo il 2020

COM(2006) 843 def.

(2008/C 10/10)

La Commissione europea, in data 10 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZBOŘIL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione e condivide l'analisi e la descrizione del problema in essa contenute. Rispondere efficacemente ai rischi posti dai cambiamenti climatici, nel contempo continuando a soddisfare l'elevata domanda energetica, rappresenta una sfida di grande rilievo a livello internazionale.

1.2.

Le centrali elettriche a carbone sono responsabili del 24 % delle emissioni totali di CO2 nell'UE: esse sono perciò le più adatte all'installazione di dispositivi CCS, ossia all'applicazione di sistemi di cattura e stoccaggio permanente di CO2.

1.3.

Molto probabilmente, nei decenni a venire il carbone continuerà a far parte del mix energetico europeo. Date infatti le sue particolari caratteristiche — vale a dire la sua disponibilità, la sua accessibilità economica e il suo ruolo nella stabilizzazione dei mercati energetici — il carbone rimarrà una delle principali fonti di combustibile per la produzione economica di energia elettrica. Le riserve carbonifere sono distribuite in modo ineguale sia nell'UE che nel resto del mondo. Le tecnologie del carbone sono potenzialmente in grado di ridurre significativamente le emissioni di CO2  (1). A questo fine occorre però adottare, a breve e a medio termine, un quadro commerciale e regolamentare che incoraggi gli investimenti nelle tecnologie più all'avanguardia per migliorare l'efficienza della produzione di elettricità negli impianti a carbone riducendo così le emissioni di CO2 ad essa legate.

1.4.

Attualmente non esistono procedimenti di provata efficacia sotto il profilo costi-benefici per rimuovere e sequestrare la maggior parte delle emissioni di CO2 prodotte dalle centrali elettriche a carbone: si tratta infatti di una tecnologia ancora in fase emergente. Vi sono tuttavia buone prospettive di sviluppare e commercializzare tecnologie del carbone con emissioni vicine allo zero nei prossimi vent'anni.

1.5.

Il CESE ribadisce la sua convinzione che la sfida della limitazione delle emissioni sia tale da richiedere lo sviluppo del potenziale pratico e commerciale di tutte le fonti e tecnologie energetiche con valide prospettive economiche. Il passaggio all'energia sostenibile riserva un ruolo fondamentale sia al carbone che agli altri combustibili fossili, al nucleare, alle energie rinnovabili e alle tecniche di conservazione dell'energia: i tempi e l'entità del contributo di ciascuna forma di energia e tecnologia saranno determinati dalla fattibilità tecnica ed economica.

1.6.

Il CESE considera che a lungo termine, dopo il 2020, il principio della cattura e stoccaggio di CO2 potrà permettere di portare le emissioni delle centrali elettriche a carbone a un livello prossimo allo zero. È necessaria però la creazione di nuovi impianti per una capacità produttiva di circa 350 GW entro il 2020 e di circa 500 GW entro il 2030, per i quali bisognerà investire dai 600 agli 800 miliardi di euro. Per raggiungere questo obiettivo occorre però realizzare fin da ora attività coordinate di ricerca, sviluppo e dimostrazione.

1.7.

Con il miglioramento costante dell'efficienza delle centrali e lo sviluppo delle tecnologie con emissioni prossime allo zero, il carbone potrà contribuire al rispetto dei criteri per la prevenzione dei cambiamenti climatici. Tuttavia, le esperienze promettenti in materia di CCS non devono far sì che fin da ora vengano adottate strategie e obiettivi di politica energetica come «misure vincolanti» fondate sull'ipotesi di un'ampia presenza delle tecnologie CCS.

1.8.

Occorre semplificare le procedure di concessione delle autorizzazioni e procedere alla loro graduale armonizzazione attraverso la cooperazione tra gli organi nazionali di regolamentazione, al fine di ridurre per quanto possibile i lunghi tempi di realizzazione dei progetti di costruzione senza compromettere il rispetto delle più elevate norme di sicurezza.

1.9.

Il CESE fa osservare che, oltre a essere il combustibile più importante per la produzione di energia elettrica e un fattore essenziale nella produzione dell'acciaio e in altri processi industriali, il carbone avrà anche un ruolo fondamentale nel soddisfare il futuro fabbisogno energetico, contribuendo al passaggio all'economia dell'idrogeno. Grazie alla tecnologia di liquefazione del carbone questo può sostituire il petrolio grezzo e può inoltre essere utilizzato per produrre gas sintetico.

1.10.

Rimane necessario definire un adeguato quadro politico ed economico per l'estrazione dai giacimenti locali di lignite e carbon fossile. Le attività di estrazione e trasformazione possono contribuire in modo significativo alla prosperità e al livello di occupazione di una regione. Il mantenimento ai livelli attuali della quota di produzione di energia da combustibili fossili (carbone) è estremamente importante anche alla luce della situazione sociale dei nuovi Stati membri: in questi paesi infatti l'industria di estrazione del carbone dà lavoro a 212 100 persone su un totale di 286 500 lavoratori del settore minerario nell'UE. Un miglioramento sostanziale delle condizioni di lavoro estremamente dure dei minatori, delle loro competenze, della sicurezza del lavoro e dell'ambiente di lavoro devono essere al centro dell'attenzione degli operatori minerari di tutto il settore del carbone dell'UE.

1.11.

Il CESE è inoltre dell'avviso che le previsioni della Commissione per quanto riguarda i tempi di introduzione delle tecnologie CCS siano piuttosto ottimistiche. La Commissione dovrebbe ora concentrarsi sulle misure necessarie per rendere operative 10-12 centrali pilota entro il 2015 e creare un quadro per le tecnologie CCS che copra i rischi principali e sia al tempo stesso sicuro, ma non eccessivamente restrittivo. È fortemente auspicabile passare per una fase di miglioramento progressivo dell'efficienza produttiva: un processo troppo affrettato e un quadro normativo eccessivamente restrittivo potrebbero danneggiare seriamente questo progetto di importanza globale.

1.12.

Il CESE chiede inoltre di intensificare la ricerca e lo sviluppo nel campo delle fonti di energia rinnovabile e alternativa, in modo da contribuire ad un mix energetico sicuro nell'UE. Al tempo stesso, il mercato europeo integrato dell'energia andrebbe realizzato senza eccessivi ritardi.

2.   Introduzione

2.1.

Il Comitato ha già affrontato il tema dei combustibili fossili in diversi pareri: nell'ultimo della serie, il parere esplorativo L'approvvigionamento energetico dell'UE: strategia per un mix energetico ottimale  (2), esso afferma che l'UE dovrebbe impegnarsi seriamente a favore delle tecnologie pulite del carbone volte a migliorare l'efficienza delle centrali e a sviluppare le applicazioni commerciali della cattura e stoccaggio del carbonio. L'uso del gas è aumentato e continua ad aumentare, anche sotto la spinta di scelte politiche. Appare evidente adesso che il perdurare di questa tendenza pone dei problemi. Il gas può difficilmente continuare a sostituire il carbone né può sostituire il nucleare a titolo della riduzione delle emissioni essendo, al pari del petrolio, una materia prima preziosa per usi industriali ad alto valore aggiunto.

2.2.

Il testo in esame è stato pubblicato dalla Commissione il 10 gennaio 2007 nel quadro del pacchetto sull'energia e i cambiamenti climatici intitolato Una politica energetica per l'Europa.

2.3.

Le altre parti del pacchetto contengono innanzitutto proposte volte a ridurre del 30 % le emissioni di gas a effetto serra dei paesi sviluppati o a far diminuire in ogni caso del 20 % quelle della sola Unione europea. Contiene inoltre proposte riguardanti il mercato interno del gas e dell'energia elettrica, le interconnessioni tra le reti elettriche e del gas e il futuro ruolo dell'energia nucleare nel proposto Programma indicativo per il settore nucleare, un piano per la promozione delle energie rinnovabili, in particolare i biocombustibili per i trasporti, e un futuro piano strategico europeo per le tecnologie energetiche. Il 9 marzo 2007 il Consiglio europeo ha dato il proprio avallo agli obiettivi e ai principali contenuti politici del pacchetto.

2.4.

La comunicazione in esame presenta una visione globale degli interventi necessari per far sì che i combustibili fossili, ed in particolare il carbone, continuino a poter contribuire alla sicurezza energetica e alla diversificazione dell'approvvigionamento di energia dell'Europa e del mondo intero, nel rispetto degli obiettivi fissati nella strategia per lo sviluppo sostenibile e nelle politiche in materia di cambiamenti climatici. Essa tiene conto dei lavori svolti e delle osservazioni presentate nel corso del 2006 nel contesto della seconda fase del Programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP II), dei lavori del Gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente (HGL), dei lavori preparatori del Settimo programma quadro di ricerca (7PQ) e delle attività della piattaforma tecnologica per le centrali elettriche a combustibili fossili a emissioni zero.

3.   Il documento della Commissione

3.1.

Il documento della Commissione riesamina la posizione dei combustibili fossili nella produzione energetica e afferma che essi rappresentano un'importante componente del mix energetico dell'Unione europea e di molte altre economie. Essi intervengono in modo particolare nella produzione di energia elettrica: più del 50 % dell'elettricità dell'UE viene attualmente prodotta da combustibili fossili (soprattutto carbone e gas naturale) e la quota di questi ultimi raggiunge addirittura l'80 % in alcuni paesi (Polonia, Grecia). Il carbone è uno dei combustibili che più contribuiscono alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico dell'UE e continuerà a esserlo anche in futuro. Tra tutti i combustibili fossili il carbone è quello che può vantare le riserve più ingenti e più diffuse al mondo, con una durata prevista di 130 anni nel caso della lignite e di 200 anni circa per il carbon fossile.

3.2.

Tuttavia, affinché il carbone possa continuare a dare il suo prezioso contributo alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico e all'economia dell'UE e del mondo nel suo complesso, occorrono tecnologie in grado di ridurre drasticamente le emissioni di carbonio (carbon footprint) derivanti dalla sua combustione. Se sviluppate su scala sufficientemente ampia, queste tecnologie potranno rappresentare una soluzione anche per i processi di combustione che utilizzano altri combustibili fossili, ad esempio la produzione di elettricità dal gas. L'UE deve pertanto sviluppare soluzioni tecnologiche che favoriscano un uso sostenibile del carbone, non solo perché questo combustibile possa continuare a far parte del mix energetico europeo, ma anche per garantire che l'aumento del consumo di carbone su scala planetaria non comporti danni irreversibili per il clima del pianeta.

3.3.

Sono state messe a punto delle tecnologie del «carbone pulito» che trovano ora largo impiego nella produzione di energia elettrica, contribuendo a ridurre fortemente le emissioni di SO2, NOx, particelle e polveri prodotte dalle centrali elettriche a carbone. Queste tecnologie hanno anche contribuito a migliorare costantemente l'efficienza energetica del processo di conversione del carbone in elettricità. Questi risultati rappresentano delle pietre miliari nella realizzazione di nuove soluzioni tecnologiche definite «tecnologie del carbone sostenibile», in grado di integrare i sistemi di cattura e stoccaggio del CO2 (CCS) negli impianti di generazione dell'energia elettrica a carbone.

3.4.

La Commissione ritiene che vi siano buone probabilità di ottenere tecnologie del carbone sostenibile commercialmente valide nel giro di 10-15 anni. Ciò richiederà però coraggiosi investimenti industriali per finanziare una serie di impianti di dimostrazione, all'interno e all'esterno dell'UE, e iniziative politiche collegate per un periodo relativamente prolungato, da qui fino al 2020 e forse anche oltre.

3.5.

Per facilitare questo processo la Commissione aumenterà sensibilmente i finanziamenti per le attività di R&S nel settore energetico, introducendo fra le massime priorità del periodo 2007-2013 la dimostrazione delle tecnologie riguardanti i combustibili fossili sostenibili. Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche fornirà uno strumento adeguato per il coordinamento complessivo di tali attività di R&S e dimostrazione e per l'ottimizzazione delle sinergie sia a livello comunitario che nazionale. La Commissione determinerà, in base ai risultati dei progetti di ricerca e sviluppo, quale sia la soluzione migliore per sostenere la progettazione, realizzazione e messa in esercizio, entro il 2015, di un numero che può arrivare a 12 grandi impianti dimostrativi per le tecnologie dei combustibili fossili sostenibili applicabili alla produzione commerciale di energia elettrica.

3.6.

La Commissione valuterà inoltre, in base agli investimenti più recenti e a quelli previsti, se le nuove centrali elettriche a combustibile fossile già costruite nell'UE o di prossima costruzione utilizzino le migliori tecniche disponibili per quanto riguarda l'efficienza e se i nuovi impianti a carbone e a gas che eventualmente non dispongano di tecnologie CCS ne consentano un'installazione successiva (se siano cioè pronti per integrare le tecniche di cattura del carbonio). Se così non fosse, la Commissione prenderà in considerazione la possibilità di proporre al più presto, previa opportuna valutazione d'impatto, degli strumenti giuridicamente vincolanti.

3.7.

Nel 2007 la Commissione valuterà i rischi potenziali connessi alle attività CCS e stabilirà le disposizioni da adottare in materia di autorizzazione allo svolgimento di tali attività e per una gestione adeguata dei rischi e impatti che saranno individuati. Una volta istituito un solido contesto di gestione dei rischi, sarà possibile procedere a modificare il quadro normativo comunitario attualmente in vigore in materia ambientale per eliminare eventuali ostacoli ingiustificati nei confronti delle tecnologie CCS. A tale riguardo, la Commissione deciderà anche se sia più opportuno modificare gli strumenti esistenti (come la direttiva sulla valutazione d'impatto ambientale o la direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento) oppure proporre uno strumento distinto. Esaminerà infine quali aspetti del quadro normativo debbano essere preferibilmente affrontati a livello comunitario e quali in ambito nazionale.

3.8.

La Commissione ritiene necessario istituire un quadro chiaro, prevedibile e a lungo termine che favorisca una transizione rapida e agevole verso una produzione di elettricità da carbone che utilizzi le tecnologie CCS. In tal modo le imprese elettriche saranno in grado di effettuare gli investimenti e le ricerche indispensabili, nella certezza che i concorrenti seguiranno la stessa strada. In base alle informazioni disponibili, la Commissione è convinta che a partire dal 2020 tutte le centrali a carbone di nuova costruzione saranno dotate di tecnologie CCS. Successivamente tali tecnologie saranno estese anche agli impianti esistenti. La Commissione definirà la tempistica ottimale per l'introduzione delle tecnologie CCS nelle centrali elettriche a combustibile fossile esistenti dopo che sarà stata dimostrata la praticabilità commerciale delle tecnologie del carbone sostenibile.

3.9.

I costi stimati per la cattura del CO2 emesso durante la produzione di energia elettrica e per il successivo stoccaggio, tenuto conto dell'attuale livello di sviluppo tecnologico, arrivano a 70 euro per tonnellata di CO2: per il momento si tratta di un costo eccessivo, che non permette un impiego massiccio di queste tecnologie. I modelli e gli studi oggi disponibili sul medio-lungo periodo calcolano invece che, nel 2020, i costi delle attività CCS dovrebbero ammontare a circa 20-30 euro per tonnellata di CO2. Ciò significa che intorno a tale data i costi per la produzione di elettricità in impianti a carbone che utilizzano le tecnologie CCS supereranno di appena il 10 % quelli attuali o addirittura li eguaglieranno.

3.10.

Le ripercussioni potenzialmente negative per l'ambiente derivanti dall'impiego prolungato di combustibili fossili e dalla diffusione delle tecnologie CCS sono principalmente imputabili al possibile rilascio di CO2 stoccato, che può incidere in ambito locale (sulla biosfera locale) e planetario (a livello di clima). Nel suo rapporto su questo tema, tuttavia, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) conclude, in base all'esperienza maturata fino ad ora, che se il CO2 è stoccato in siti appositi scelti e gestiti correttamente la sua percentuale esente da rischi di rilascio è quasi certamente superiore al 99 % nell'arco di 100 anni. La scelta oculata del sito e la sua gestione sono pertanto fattori decisivi per ridurre al minimo i rischi. La valutazione d'impatto che la Commissione svolgerà prima di dare attuazione al quadro normativo in materia individuerà tutti i rischi potenziali e proporrà le necessarie misure di sicurezza.

3.11.

Le tecnologie che favoriscono l'impiego sostenibile dei combustibili fossili, ed in particolare le tecnologie CCS, dovrebbero conseguire importanti risultati positivi. Esse sono in grado di eliminare efficacemente fino al 90 % delle emissioni di carbonio provenienti dalle centrali elettriche a combustibile fossile. Questa riduzione potrebbe tradursi in una diminuzione complessiva delle emissioni di CO2 nell'UE-27 pari al 25-30 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 2000. Sarà determinante coinvolgere da subito i paesi terzi nello sviluppo e nella diffusione delle tecnologie del carbone sostenibile, ed in particolare della componente riguardante le attività CCS: solo così sarà possibile realizzare uno sviluppo economico globale sostenibile e combattere i cambiamenti climatici in uno scenario che vede aumentare il ricorso alle risorse carbonifere in tutto il mondo. Il successo delle tecnologie del carbone sostenibile e soprattutto la commercializzazione su vasta scala delle tecnologie CCS faciliteranno inoltre l'accesso all'energia per le parti più povere del mondo, cui è ancora negata la possibilità di utilizzare l'energia.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione e condivide l'analisi e la descrizione del problema in essa contenute. Rispondere efficacemente ai rischi posti dai cambiamenti climatici e nel contempo continuare a soddisfare l'elevata domanda energetica delle economie mature e quella in rapido aumento delle economie in via di sviluppo rappresenta una sfida di grande rilievo a livello internazionale.

4.2.

Le centrali elettriche a carbone sono responsabili del 24 % delle emissioni totali di CO2 nell'UE. Le emissioni legate alla produzione di energia in centrali a combustibile fossile sono altamente concentrate, a causa dell'elevato consumo di combustibile delle grosse unità di combustione: queste centrali sono perciò le più adatte all'installazione di dispositivi CCS, ossia all'applicazione di sistemi di cattura e stoccaggio permanente di CO2. Tali sistemi constano di tre fasi, relativamente indipendenti l'una dall'altra:

a)

cattura e separazione di CO2 dai gas di combustione nel punto di origine (per lo più dietro la caldaia);

b)

trasporto nel luogo deputato per lo stoccaggio permanente (per lo più tramite pipeline);

c)

stoccaggio definitivo e permanente di CO2 (in formazioni geologiche idonee o in mare, nel rispetto delle più rigorose norme di sicurezza).

4.3.

Molto probabilmente, nei decenni a venire il carbone continuerà a far parte del mix energetico europeo. Date le sue particolari caratteristiche — la sua disponibilità, la sua accessibilità economica e il suo ruolo nella stabilizzazione dei mercati energetici — il carbone rimarrà una delle principali fonti di combustibile per la produzione economica di energia elettrica. Le riserve carbonifere sono distribuite in modo ineguale sia nell'UE che nel resto del mondo. In linea di massima è positivo il fatto che le riserve maggiori si trovino nei paesi economicamente avanzati e politicamente stabili. Nei paesi sviluppati dell'UE le riserve sono peraltro state fortemente intaccate dalle prolungate attività di estrazione degli ultimi anni e numerosi Stati membri dell'UE hanno optato per una graduale riduzione, se non addirittura per la cessazione, delle attività estrattive.

4.4.

Soltanto un terzo degli Stati membri può soddisfare il suo fabbisogno in carbone attingendo esclusivamente ai giacimenti presenti sul suo territorio, mentre gli altri due terzi dipendono per lo più dalle importazioni di carbone fossile. Nel 2006 nell'UE sono state estratte 161,6 milioni di tonnellate di carbone fossile ed importate 235,3 milioni di tonnellate. Nello stesso anno il consumo di lignite, interamente coperto dalle risorse interne, è stato pari a 373,8 milioni di tonnellate. Occorre perciò sviluppare metodi praticabili per ridurre drasticamente le emissioni di CO2 dovute alla produzione di elettricità in impianti a carbone e promuoverne una vasta diffusione.

4.5.

Le tecnologie del carbone sono potenzialmente in grado di ridurre significativamente le emissioni di CO2  (3). A questo fine occorre però adottare un quadro normativo e regolamentare che incoraggi gli investimenti nelle tecnologie più all'avanguardia per migliorare l'efficienza della produzione di elettricità negli impianti a carbone riducendo così le emissioni di CO2 ad essa legate. Inoltre la Commissione, i governi degli Stati membri e l'industria del settore devono collaborare tra di loro per incoraggiare la ricerca, lo sviluppo e la dimostrazione coordinata a livello mondiale delle tecnologie del carbone pulito come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, le quali consentiranno di raggiungere a lungo termine l'obiettivo di emissioni prossime allo zero nell'utilizzo di tale combustibile.

4.6.

Attualmente non esistono strumenti efficaci dal punto di vista dei costi per rimuovere e sequestrare la maggior parte delle emissioni di CO2 prodotte dalle centrali elettriche a carbone: si tratta infatti di una tecnologia ancora in fase emergente. Vi sono tuttavia buone prospettive di sviluppare e commercializzare tecnologie del carbone con emissioni vicine allo zero nei prossimi vent'anni. Si ritiene che l'installazione di dispositivi CCS riduca l'efficienza energetica delle centrali elettriche a causa del consumo intrinseco di energia che questi comportano. L'efficienza globale varia in funzione della tecnologia utilizzata: Oxyfuel, la tecnologia consigliata, assorbe dall'8 al 10 % dell'energia generata dalla centrale, mentre le altre tecnologie ne assorbono una percentuale ancora maggiore. Ciò significa che con tale installazione il consumo di combustibile per MWh di energia elettrica sarebbe ancora maggiore e che è quindi essenziale aumentare l'efficienza della produzione. Per il futuro l'installazione di dispositivi CCS sembrerebbe comportare, in connessione con il loro funzionamento, un consumo intrinseco di energia ancora maggiore.

4.7.

Nel frattempo, un modo economicamente razionale per limitare l'aumento delle emissioni di CO2 è quello di migliorare l'efficienza delle centrali elettriche a carbone già esistenti e di quelle di nuova costruzione. L'introduzione delle migliori tecnologie commercialmente disponibili dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni dei pianificatori per i numerosi nuovi impianti a carbone che si renderanno necessari a breve termine. Ove possibile, è fortemente auspicabile che queste unità di produzione energetica siano progettate in modo da consentire una successiva installazione, efficace dal punto di vista dei costi, delle tecnologie CCS non appena tali tecnologie saranno disponibili per un'applicazione commerciale.

4.8.

Il CESE ribadisce la sua convinzione che la sfida della limitazione delle emissioni sia tale da richiedere lo sviluppo del potenziale pratico e commerciale di tutte le fonti e tecnologie energetiche con prospettive economiche valide. Il passaggio all'energia sostenibile riserva un ruolo di fondamentale importanza sia al carbone che agli altri combustibili fossili, al nucleare, alle energie rinnovabili e alle tecnologie di conservazione dell'energia: i tempi e l'entità del contributo di ciascuna forma di energia e tecnologia saranno determinati dalla fattibilità tecnica ed economica.

4.9.

Tuttavia, le aspettative ragionevoli offerte dalle tecnologie CCS non devono far sì che vengano adottati fin da ora strategie e obiettivi di politica energetica come «misure vincolanti» fondate sull'ipotesi di un'ampia presenza di tali tecnologie.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il carbone svolge un ruolo molto importante nella produzione elettrica europea. Tuttavia, oltre il 70 % dell'energia elettrica prodotta utilizzando il carbone proviene da centrali che hanno più di vent'anni di vita. In futuro dei leggeri aumenti nel consumo di elettricità, uniti al prossimo compimento del ciclo di vita tecnico/economico di molte delle centrali attuali, renderanno necessaria la creazione di nuovi impianti per una capacità produttiva di circa 350 GW entro il 2020 e di circa 500 GW entro il 2030. Il calcolo dei costi delle centrali elettriche a carbone dotate di dispositivi CCS nell'UE si basa su una stima decisamente ottimistica: una centrale nuova, con una potenza di 300 MW, avrebbe un costo di 500 milioni di euro (all'incirca 1,7 milioni di euro per ogni MW installato). L'installazione di tecnologie CCS in una centrale moderna che venga costruita tra oggi e il 2020 comporta un investimento di 0,5-0,7 milioni di euro per ogni MW installato, mentre il costo dell'installazione di tali tecnologie in un impianto esistente arriva addirittura a 1 milione di euro per MW installato. Per dotare 500 GW di capacità produttiva delle tecnologie CCS più avanzate entro il 2030 bisognerà investire dai 600 agli 800 miliardi di euro.

5.2.

Il CESE ritiene che il principio della cattura e stoccaggio di CO2 sia in grado di portare le emissioni delle centrali elettriche a carbone a un livello prossimo allo zero dopo il 2020. Per raggiungere questo obiettivo occorre però realizzare fin da ora attività coordinate di ricerca, sviluppo e dimostrazione.

5.2.1.

Nei prossimi dieci anni, sarà possibile ottenere riduzioni delle emissioni di CO2 in modo economicamente efficace grazie a una più efficiente combustione del carbone realizzata attraverso un uso più esteso di tecnologie di punta nelle centrali a carbone.

5.2.2.

Queste strategie risultano complementari in base a soluzioni tecniche ancora da dimostrare: la diffusione, a breve e medio termine, di tecnologie moderne ed efficienti per la produzione di elettricità dal carbone può, a lungo termine, consentire di ridurre i costi della cattura del carbonio se le centrali sono progettate in modo da consentire la successiva installazione di dispositivi economicamente efficaci di cattura del carbonio quando una tecnologia del genere sarà disponibile per un'applicazione commerciale.

5.2.3.

Il Settimo programma quadro prevede che per trasformare radicalmente il sistema energetico in un sistema affidabile, competitivo, sostenibile e in grado di produrre meno emissioni (o emissioni zero) di CO2 siano necessari nuovi materiali e nuove tecnologie. I rischi connessi sono troppo elevati e i profitti troppo incerti perché le imprese private possano garantire tutti gli investimenti necessari in materia di ricerca, sviluppo, dimostrazione e diffusione. Il sistema CCS e la tecnologia relativa al carbone pulito figurano nel bilancio Energia del suddetto Settimo programma quadro (2 350 milioni di euro per il periodo 2007-2013).

5.2.4.

Occorre dare un'adeguata definizione del concetto di capture ready (pronto, cioè, per integrare le tecniche di cattura del carbonio). Per una buona applicazione pratica è poi fondamentale la cooperazione tra gli organi di regolamentazione e l'industria del settore: in assenza di un quadro politico stabile e adeguato il mercato non è infatti in grado di fornire i risultati voluti.

5.2.5.

Il CESE sottolinea la necessità urgente di modernizzare le centrali presenti sul territorio dell'UE e di aumentarne la capacità produttiva. In vista del previsto aumento delle importazioni di energia, che entro il 2030 saliranno al 69 %, è indispensabile diversificare il mix energetico per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. Stabilizzando l'input di carbone nella produzione elettrica si può contribuire notevolmente a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell'UE.

5.2.6.

Con il miglioramento costante dell'efficienza delle centrali e lo sviluppo delle tecnologie con emissioni prossime allo zero, il carbone potrà contribuire all'obiettivo della prevenzione dei cambiamenti climatici. Nel definire le regole per lo scambio delle quote di emissione in ciascuno Stato membro si dovrebbe dunque privilegiare il miglioramento dell'efficienza per ottenere riduzioni dei gas a effetto serra.

5.2.7.

Occorre semplificare le procedure di concessione delle autorizzazioni e procedere alla loro graduale armonizzazione attraverso la cooperazione tra gli organi nazionali di regolamentazione, al fine di ridurre per quanto possibile i lunghi tempi di realizzazione dei progetti di costruzione senza compromettere il rispetto delle più elevate norme di sicurezza.

5.3.

Il CESE fa inoltre osservare che, oltre a essere il combustibile più importante per la produzione di energia elettrica e un fattore essenziale nella produzione dell'acciaio e in altri processi industriali, il carbone avrà anche un ruolo fondamentale nel soddisfare il futuro fabbisogno energetico, contribuendo al passaggio all'economia dell'idrogeno. Grazie alla tecnologia di liquefazione del carbone, questo può sostituire il petrolio grezzo e può inoltre essere utilizzato per produrre gas sintetico. Tali tecnologie e applicazioni finiranno per svolgere anch'esse un ruolo essenziale nel mix energetico sostenibile. Questi importanti aspetti dell'utilizzo presente e futuro del carbone non vengono affrontati nel testo della Commissione.

5.4.

L'intenso dibattito attuale sul potenziale di utilizzo del carbone nei prossimi decenni ha fatto passare in secondo piano le questioni riguardanti la sua estrazione. Rimane tuttavia necessario definire un adeguato quadro politico ed economico per l'estrazione dai giacimenti locali di lignite e carbon fossile. Le attività di estrazione e trasformazione possono contribuire in modo significativo alla prosperità e al livello di occupazione di una regione. Se si utilizza del carbone di provenienza locale, il valore aggiunto della sua estrazione, trasformazione e distribuzione rimane all'interno dell'UE. Quando invece si utilizzano petrolio o gas, il 75 % del prezzo va a coprire i costi di importazione.

5.5.

Il mantenimento ai livelli attuali della quota di produzione di energia da combustibili fossili (carbone) è estremamente importante anche alla luce della situazione sociale dei nuovi Stati membri: in questi paesi infatti l'industria di estrazione del carbone dà lavoro a 212 100 persone su un totale di 286 500 lavoratori UE del settore. Anche le condizioni di lavoro estremamente dure dei minatori in tutto il territorio dell'UE dovranno peraltro essere considerate in modo responsabile.

5.6.

In passato, la riduzione delle zone carbonifere nel contesto della pianificazione regionale e gli eccessivi oneri imposti dalle norme per la protezione ambientale hanno spesso determinato per le miniere inutili ritardi e gravami. L'ubicazione delle riserve e la mobilità del processo di estrazione delle materie prime pongono particolari sfide rispetto ad altri settori industriali. Di questa specificità va tenuto conto in particolare in sede di definizione del quadro giuridico riguardante le questioni ambientali, ad esempio nella legislazione concernente i rifiuti, la protezione dei suoli e le risorse idriche.

5.7.

Il CESE è inoltre dell'avviso che le previsioni della Commissione per quanto riguarda i tempi di introduzione delle tecnologie CCS siano piuttosto ottimistiche. Malgrado i principi siano infatti noti, occorrono tempi nettamente più lunghi per mettere a punto adeguate soluzioni tecnologiche e nessuna scoperta rivoluzionaria potrà sostituire il costante e intenso lavoro sull'applicazione di questo progetto. La Commissione dovrebbe ora concentrarsi sulle misure necessarie per rendere operative 10-12 centrali pilota entro il 2015 e creare un quadro per le tecnologie CCS che copra i rischi principali e sia al tempo stesso sicuro ma non eccessivamente restrittivo. È fortemente auspicabile passare per una fase di miglioramento progressivo dell'efficienza produttiva: un processo troppo affrettato e un quadro normativo eccessivamente restrittivo potrebbero danneggiare seriamente questo importante progetto.

5.8.

Il CESE chiede infine di intensificare la ricerca e lo sviluppo nel campo delle fonti di energia rinnovabile e alternativa, in modo da contribuire ad un mix energetico sicuro nell'UE. Al tempo stesso, il mercato europeo integrato dell'energia andrebbe realizzato senza eccessivi ritardi.

Bruxelles, 27 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  IPCC, 2005: Rapporto speciale dell'IPCC relativo alla cattura e allo stoccaggio del biossido di carbonio. Il rapporto è stato elaborato dal Gruppo di lavoro III del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) [B: Metz, O. Davidson, H. C. de Coninck, M. Loos, e L. A. Meyer (ed.)]. Cambridge University Press, Cambridge, Regno Unito e New York, NY, USA, 442 pagg.

(2)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 185.

(3)  Cfr. nota 1.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l'accesso al mercato di servizi di trasporto effettuati con autobus (rifusione)

COM(2007) 264 def. — 2007/0097 (COD)

(2008/C 10/11)

Il Consiglio, in data 16 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore ALLEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato accoglie con favore il nuovo regolamento proposto, la cui adozione comporta l'abrogazione del regolamento (CEE) n. 684/92 e del regolamento (CE) n. 12/98.

1.2.

La sicurezza dei passeggeri deve avere la priorità assoluta, anche nel quadro dei servizi di trasporto effettuati con autobus. Tutte le altre questioni vanno considerate di importanza minore.

1.3.

Il nuovo regolamento dovrebbe contribuire a migliorare la sicurezza stradale grazie a controlli più rigorosi dei servizi di trasporto internazionale con autobus effettuati da imprese che operano in diversi Stati membri.

1.4.

Il Comitato apprezza la proposta della Commissione in quanto rientra nell'ambito del programma Legiferare meglio ed è coerente con l'impegno di semplificare e aggiornare la normativa europea.

1.5.

Il Comitato raccomanda quanto segue:

1.5.1.

Andrebbe chiarita ulteriormente l'espressione «infrazioni gravi o infrazioni lievi e ripetute delle normative comunitarie in materia di trasporti su strada»: che cos'è un'infrazione lieve? Quante infrazioni lievi sono necessarie per avere una sanzione amministrativa?

1.5.2.

È altresì necessario predisporre un elenco degli elementi costituivi delle infrazioni gravi.

1.5.3.

Il principio di sussidiarietà non dev'essere utilizzato come strumento per discriminare i vettori non residenti; la proposta di regolamento dovrebbe prevedere maggiori misure di salvaguardia al riguardo.

1.5.4.

Occorre mettere a punto in via prioritaria una banca dati su scala comunitaria in modo tale da poter verificare i dettagli concernenti le licenze e le informazioni correlate e facilitare lo scambio di informazioni.

1.5.5.

A norma dell'articolo 23, paragrafo 3, andrebbe previsto un sistema di ricorso di cui i vettori possano avvalersi qualora uno Stato membro imponga sanzioni amministrative nel corso di un trasporto di cabotaggio, fatte salve le azioni penali.

2.   Introduzione

2.1.

La direttiva 96/26/CE relativa all'accesso alla professione di trasportatore su strada e i regolamenti (CEE) n. 684/92 e (CE) n. 12/98 sull'accesso al mercato per i servizi effettuati con autobus hanno gettato le prime fondamenta del mercato interno dei servizi di trasporto internazionale su strada di passeggeri.

2.2.

La direttiva ha prescritto i requisiti minimi di qualità che è necessario soddisfare per accedere alla professione, mentre i due regolamenti hanno liberalizzato i servizi occasionali di trasporto internazionale di passeggeri, hanno applicato una procedura speciale di autorizzazione per i servizi regolari di trasporto internazionale di passeggeri e hanno autorizzato i servizi di cabotaggio nell'ambito di tali servizi internazionali.

2.3.

È ora necessario rendere questa normativa coerente con il nuovo contesto giuridico istituito dal regolamento riguardante i trasporti pubblici di passeggeri su strada e per ferrovia che sta per essere adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Inoltre, la normativa deve essere chiarita e in alcuni casi semplificata, in quanto l'esperienza ha dimostrato che alcune disposizioni determinano oneri amministrativi superflui.

2.4.

I vettori che effettuano il trasporto internazionale di viaggiatori a mezzo autobus devono essere in possesso di una licenza internazionale per il trasporto di passeggeri su strada rilasciata dalle autorità competenti dello Stato membro di stabilimento, tranne eventuali eccezioni.

2.5.

Il regolamento (CEE) n. 684/92 liberalizza l'accesso al mercato del trasporto internazionale di viaggiatori effettuato con autobus, mentre il regolamento (CE) n. 12/98 stabilisce le condizioni di ammissione dei trasportatori non residenti ai servizi in uno Stato membro.

3.   Sintesi del regolamento proposto

3.1.

La proposta all'esame intende rivedere e consolidare il regolamento (CEE) n. 684/92 e il regolamento (CE) n. 12/98 relativo all'accesso al mercato dei servizi effettuati con autobus. Chiarisce le disposizioni vigenti e le modifica in alcuni punti per migliorare la coerenza globale e ridurre gli oneri amministrativi.

3.2.

Ai fini del regolamento si applicano le seguenti definizioni:

3.2.1.

Per «servizi regolari» si intendono i servizi che assicurano il trasporto di viaggiatori con una frequenza e su un itinerario determinati e che possono prendere a bordo e deporre i viaggiatori alle fermate preventivamente stabilite. Tali servizi sono soggetti ad autorizzazione (nota anche come licenza per un determinato tragitto) da parte dello Stato membro di origine, vale a dire nello Stato membro in cui il vettore è stabilito e il o i veicoli sono immatricolati. L'autorizzazione abilita il suo titolare o i suoi titolari ad effettuare servizi regolari nel territorio di tutti gli Stati membri su cui si svolge l'itinerario del servizio.

3.2.2.

Per «servizi regolari specializzati» si intendono i servizi che assicurano il trasporto di determinate categorie di viaggiatori, ad esclusione di altri viaggiatori. Tra essi figurano:

a)

il trasporto domicilio-lavoro dei lavoratori; e

b)

il trasporto domicilio-istituto scolastico degli scolari e degli studenti.

Per questi servizi non è necessaria un'autorizzazione (licenza per un determinato tragitto) a condizione che essi siano contemplati da un contratto stipulato tra l'organizzazione ed il vettore.

3.2.3.

Per «servizi occasionali» si intendono i servizi che non rientrano né nella definizione di servizi regolari né in quella di servizi regolari specializzati e la cui principale caratteristica è quella di trasportare gruppi costituiti su iniziativa di un committente o del vettore. Questi servizi non sono soggetti ad autorizzazione (licenza per un determinato tragitto).

3.2.4.

I «trasporti per conto proprio» sono i trasporti effettuati da un'impresa per i propri dipendenti o da un organismo senza fine di lucro per il trasporto dei suoi membri nell'ambito delle sue attività sociali, a condizione che:

a)

l'attività di trasporto costituisca soltanto un'attività accessoria per tale impresa o organismo;

b)

i veicoli utilizzati siano di proprietà dell'impresa o dell'organismo in questione, o siano stati oggetto di un contratto o di leasing a lungo termine e siano guidati da un dipendente di tale impresa o organismo.

Tali servizi non sono soggetti ad alcun regime di autorizzazione, bensì ad un regime di attestazioni rilasciate dalle autorità competenti dello Stato membro in cui il veicolo è immatricolato.

3.2.5.

Il cabotaggio sono i servizi di trasporto nazionale su strada effettuati in via temporanea da un vettore non residente.

3.2.6.

I trasporti di cabotaggio sono ammessi per i seguenti servizi:

a)

i servizi regolari specializzati, purché siano contemplati da un contratto tra l'organizzazione e il vettore;

b)

i servizi occasionali;

c)

i servizi regolari eseguiti da un vettore non residente nello Stato membro ospitante durante un servizio regolare internazionale a norma del regolamento all'esame, ad esclusione dei servizi urbani e suburbani. I trasporti di cabotaggio non possono essere eseguiti indipendentemente dal summenzionato servizio internazionale.

Gli Stati membri applicano le leggi e i regolamenti nazionali ai vettori non residenti alle medesime condizioni imposte ai propri cittadini.

4.   Osservazioni generali

4.1.

L'articolo 8 semplifica la procedura per ottenere l'autorizzazione (licenza per un determinato tragitto). Per quanto riguarda l'accesso al mercato vi è un solo motivo di rifiuto, vale a dire quando il servizio per cui è presentata una domanda rischia di incidere seriamente sulla redditività di un servizio comparabile operato nell'ambito di un obbligo di servizio pubblico sulle tratte dirette interessate. Si tratta di un motivo ragionevole.

4.2.

I paesi di transito in cui nessun viaggiatore è preso a bordo o sbarcato non saranno consultati ma saranno informati dopo l'autorizzazione del servizio. Questo migliorerà l'efficienza del sistema.

4.3.

Il principio della sussidiarietà è di applicazione in quanto la proposta non rientra fra le competenze esclusive della Comunità. Tuttavia, le misure di salvaguardia sono fondamentali per garantire che i vettori non residenti non siano discriminati.

4.4.

Inoltre, sono necessari dei chiarimenti sull'articolo 18, paragrafo 2, relativo ai documenti di trasporto.

4.5.

L'operatore deve fornire un documento individuale o collettivo di trasporto. Se, in caso di richiesta degli agenti preposti al controllo, uno o più passeggeri non sono in possesso di un titolo di trasporto valido (ma l'operatore ha precedentemente emesso tali documenti), l'operatore non può esserne ritenuto responsabile. Dopo che i documenti di trasporto sono stati emessi, i passeggeri sono responsabili di presentarli agli agenti preposti al controllo.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

In linea generale, la proposta soddisfa gli obiettivi fissati dalla Commissione.

5.2.

Vanno però chiarite ulteriormente le questioni relative alle infrazioni sia gravi che lievi e alle sanzioni amministrative eventualmente applicabili. Occorre definire la natura e il tipo di infrazioni che rientrano nelle varie categorie e fare in modo che in tutta la Comunità vi sia coerenza al riguardo.

5.3.

In caso di infrazioni gravi o di infrazioni lievi ma ripetute, lo Stato membro ospitante può chiedere allo Stato membro che ha emesso la licenza internazionale di trasporto di imporre sanzioni amministrative al titolare della licenza (quali la revoca temporanea o permanente di alcune o della totalità delle copie certificate della licenza, o della licenza stessa), fatte salve eventuali azioni penali nello Stato membro ospitante.

5.4.

Se da un lato si fa riferimento a un sistema di ricorso applicabile qualora vengano comminate delle sanzioni o venga rifiutata l'autorizzazione, dall'altro è però necessario che tale ricorso sia considerato equo e non discriminatorio da tutte le parti coinvolte.

5.5.

Occorre mettere a punto una banca dati su scala comunitaria per consentire uno scambio rapido ed efficace, tra gli Stati membri, delle informazioni relative ai servizi di trasporto effettuati con autobus. Inoltre, quando un veicolo viene ispezionato da un agente preposto al controllo, dovrebbe essere possibile digitare il numero della licenza di trasporto internazionale (licenza comunitaria) e ottenere immediatamente tutte le pertinenti informazioni per verificare la validità della licenza.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell'ambiente

COM(2007) 51 def. — 2007/0022 (COD)

(2008/C 10/12)

Il Consiglio, in data 28 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 174 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 149 voti favorevoli, 3 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1.

Il Comitato, come già affermato in precedenza, considera appropriato che chi causa danni gravi all'ambiente possa subire sanzioni penali. Ribadisce che a suo giudizio la Commissione dovrebbe potere imporre agli Stati membri di comminare, nel quadro del rispettivo sistema, sanzioni penali proporzionate e dissuasive, quando ciò sia necessario per garantire l'applicazione delle politiche comunitarie, in particolare nel campo della protezione dell'ambiente da danni gravi. Infine, la Commissione dovrebbe disporre di un potere di controllo dell'efficacia del diritto penale applicato nel settore in questione ed esercitare attivamente tale potere.

1.2.

La proposta di direttiva concerne segnatamente i reati commessi nell'ambito di organizzazioni criminali (circostanza considerata un'aggravante dalla direttiva proposta). Il Comitato è convinto che questo tipo di comportamenti debbano essere oggetto di sanzioni, nonché della necessità di un ravvicinamento delle norme di diritto penale degli Stati membri, ma il trattato e la giurisprudenza si esprimono chiaramente per quanto riguarda la repressione dei comportamenti messi in atto nell'ambito di organizzazioni criminali: il ravvicinamento delle norme di diritto penale degli Stati membri può, in linea di principio, effettuarsi solo nel quadro della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale come previsto nel titolo VI del trattato sull'Unione europea (trattato UE) e non, come propone la Commissione, nel quadro del trattato CE.

1.3.

Il Comitato si chiede anche se il fatto di imporre che taluni reati siano sanzionati con delle pene detentive non ecceda le competenze relative al primo pilastro, comportando un'ingerenza nella scelta delle sanzioni più appropriate, che dovrebbe rimanere, a priori, nella sfera di competenza degli Stati membri.

1.4.

A suo avviso, la competenza comunitaria dovrebbe limitarsi a definire gli obblighi da rispettare e a prevedere sanzioni penali. Per spingersi oltre questo punto e stabilire il regime delle sanzioni sarebbe necessario ricorrere a una decisione quadro basata sul titolo VI del trattato UE.

1.5.

In questo stesso ordine di idee, il Comitato si chiede anche se il diritto comunitario possa arrivare fino a imporre un limite massimo per la sanzione.

1.6.

Per quanto riguarda gli evidenti aspetti politici relativi alla ripartizione delle competenze e il ruolo che il Parlamento europeo dovrebbe svolgere in qualsiasi legislazione che riguardi aspetti penali, il Comitato auspica che essi siano oggetto di una giurisprudenza più precisa della Corte, di un accordo interistituzionale oppure ancora di una riforma che potrebbe essere integrata in quella dei Trattati attualmente in corso da parte della CIG. Il Comitato darebbe la preferenza a quest'ultima possibilità, vista l'urgenza di adottare sanzioni effettive per proteggere l'ambiente.

2.   Introduzione

2.1

Nel 1998 il Consiglio d'Europa aprì alla firma la Convenzione sulla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale. Fu un passo importante, in quanto fu la prima convenzione internazionale a considerare reati gli atti arrecanti (o che rischiavano di arrecare) danni all'ambiente. Tuttavia, la riluttanza della Germania prima, e poi della Francia e del Regno Unito, a ratificare la Convenzione portò la Danimarca e la Commissione a presentare separatamente delle iniziative per la protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale.

2.2.

La decisione quadro, adottata dal Consiglio su proposta della Danimarca contro il parere e le proposte della Commissione, definiva un certo numero di infrazioni contro l'ambiente per le quali gli Stati membri venivano invitati a introdurre sanzioni di tipo penale. Le disposizioni del documento si ispiravano in gran parte a quelle della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale, del 4 novembre 1998, finora sottoscritta da dieci Stati membri dell'UE.

2.3.

La Commissione si è pronunciata davanti a diverse formazioni del Consiglio contro la base giuridica adottata. Essa riteneva che la base giuridica corretta fosse l'articolo 175, paragrafo 1, del trattato CE, e il 15 marzo 2001 ha presentato una Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale basata sull'articolo 175 (1), sebbene l'articolo 174 CE non preveda alcuna competenza della Comunità in materia penale.

2.4.

Il 9 aprile 2002, il Parlamento europeo si è pronunciato sia sulla proposta di direttiva che sul progetto di decisione quadro, dicendosi d'accordo con l'approccio raccomandato all'epoca dalla Commissione (direttiva e decisione quadro).

2.5.

Il Consiglio da parte sua non ha adottato né la direttiva né la decisione quadro proposte dalla Commissione, bensì il proprio progetto di decisione quadro modificato, basato sull'articolo 34 del Trattato sull'Unione europea. Esso ha infatti ritenuto che quest'ultimo costituisse uno strumento idoneo per imporre agli Stati membri l'obbligo di introdurre sanzioni penali, sottolineando che la maggioranza degli Stati membri era contraria a riconoscere competenze penali alla Comunità ed era persuasa che tali questioni rientrassero nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale prevista nel titolo VI del trattato UE.

2.6.

Il caso è stato portato dinanzi alla Corte di giustizia, che ha emesso la sua sentenza il 13 settembre 2005 (2).

2.7.

Il Parlamento europeo, la Corte e l'avvocato generale ritengono che non sussista una competenza generale comunitaria in materia di armonizzazione del diritto penale, ma che in alcuni settori ben precisi, come nella fattispecie la tutela dell'ambiente, la Comunità potrebbe imporre agli Stati membri l'obbligo di introdurre sanzioni penali.

La Commissione da parte sua ha adottato un'interpretazione decisamente estensiva della suddetta sentenza, attribuendosi competenze molto ampie riguardo a numerose politiche comunitarie diverse da quella ambientale.

2.8.

A seguito della sentenza della Corte di giustizia, che annullava la decisione quadro del Consiglio, la Commissione ha presentato una nuova proposta di direttiva. La Corte ha, infatti, statuito che, sebbene in linea di principio le norme penali sostanziali, così come quelle di procedura penale, non rientrino tra le competenze della Comunità, ciò non può tuttavia impedire al legislatore comunitario, allorché l'applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi, di «adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri» quando esso li ritenga necessari a garantire la piena efficacia delle norme comunitarie in tema di tutela dell'ambiente (3). Il Comitato ricorda che la Corte ha insistito sul fatto che la Comunità in linea di principio non dispone di competenze in materia penale: quest'ultima, infatti, secondo il trattato UE, rientra nella sovranità degli Stati membri. La succitata espressione «provvedimenti in relazione al diritto penale» è abbastanza vaga da dare adito a ogni tipo di interpretazioni, spesso contraddittorie tra loro.

2.9.

Sulla base di questa sentenza la Commissione presenta ora una proposta modificata di direttiva (4), che prevede norme incriminatrici e sanzioni penali: essa ritiene infatti che le sanzioni puramente amministrative, oppure determinate sanzioni penali previste in alcuni paesi, siano troppo diverse o troppo lievi per essere sufficientemente dissuasive, in particolare nei confronti della criminalità organizzata, e che per tale ragione occorra procedere a un'armonizzazione minima del diritto penale applicabile ai reati gravi contro l'ambiente, siano essi commessi intenzionalmente o per grave negligenza.

2.10.

In un suo precedente parere (5) il Comitato aveva sostenuto la prima proposta di direttiva e il progetto di decisione quadro della Commissione, che prevedevano l'adozione da parte degli Stati membri di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive per lottare contro i danni causati all'ambiente. Anche il ricorso per annullamento contro la decisione quadro del Consiglio, presentato dalla Commissione e sostenuto dal Parlamento, aveva ricevuto il sostegno del Comitato, malgrado la Corte abbia escluso il suo intervento con una decisione preliminare di procedura.

2.11.

Si tratta quindi di valutare:

se le nuove proposte della Commissione si inseriscano effettivamente nel quadro stabilito dalla Corte,

se le sanzioni proposte siano proporzionate al fine perseguito — quello, cioè, di garantire l'effettività del diritto ambientale e un più elevato livello di armonizzazione dei diritti nazionali (obbligo di introdurre sanzioni penali sufficientemente dissuasive per garantire l'efficacia delle norme applicabili in materia).

2.12.

Nell'esaminare le numerose proposte legislative che la Commissione prevede di rivedere, come ha fatto recentemente ad esempio per quella relativa alla proprietà intellettuale (6), il Comitato dovrà comunque tenere conto del vasto dibattito apertosi dopo la suddetta sentenza, a livello politico e nella dottrina giuridica, circa la «costituzionalità» dell'estensione delle competenze della Comunità in materia penale nel quadro dell'attuazione delle politiche comunitarie e la preminenza del trattato CE sul trattato UE in queste materie (7).

2.13.

Numerosi Stati membri contestano infatti l'interpretazione alquanto estensiva che la Commissione avrebbe dato della sentenza, sia per quanto riguarda il contenuto delle nuove proposte in materia ambientale, sia in riferimento alla creazione di un capitolo penale «minimo» riguardante l'effettiva attuazione di tutte le politiche comunitarie (e non solo di una politica palesemente trasversale come quella in materia di ambiente), allorché il trattato CE non contiene comunque alcuna disposizione esplicita in merito. Secondo questi Stati membri il ricorso alla giurisprudenza della Corte deve limitarsi alla politica ambientale, in ragione della natura trasversale e transfrontaliera dell'ambiente, e mantenersi nei limiti della formulazione della sentenza, la quale non dà affatto carta bianca alla Commissione perché la applichi a tutte le politiche comunitarie.

2.14.

Nello specifico caso in esame il Comitato si pronuncerà esclusivamente sulle proposte in materia ambientale, l'unico settore espressamente citato nella sentenza della Corte.

2.15.

In sintesi, la Commissione ha scelto di proporre una serie di norme incriminatrici (e quindi di «reati ambientali») e sanzioni penali (sotto forma di livello minimo del massimo edittale) contro i soggetti — persone fisiche o giuridiche — che, intenzionalmente o per grave negligenza, compiano o concorrano a compiere attività gravemente dannose per l'ambiente o istighino altri a compierle. Sono previste pene detentive e/o pecuniarie, nonché pene accessorie (articolo 5), che possono essere estese o completate da norme incriminatrici e sanzionatorie aggiuntive di diritto interno.

3.   Osservazioni del Comitato

3.1.

Il Comitato sottolinea la propria delusione per il fatto che l'introduzione di sanzioni penali per i reati ambientali, di cui approva sia il principio che l'entità — come già affermato nel 2005 pronunciandosi in merito alla direttiva e alla decisione quadro proposte dalla Commissione — sia procrastinata da anni e forse ancora per molto tempo a causa di un disaccordo tra le istituzioni circa la ripartizione delle competenze derivanti dal trattato CE e dal trattato UE. Esso auspica quindi che venga trovata rapidamente una soluzione politica tra le istituzioni, anche per quanto riguarda il coinvolgimento del Parlamento, e che si pervenga ad una chiarificazione dei trattati grazie alla CIG appena avviata, o in alternativa attraverso la giurisprudenza ulteriore della Corte.

3.2.

La definizione del danno ambientale penalmente rilevante come «illecito e significativo deterioramento» dell'ambiente va interpretata in sede di recepimento nel diritto interno nonché dalla giurisprudenza penale dei singoli Stati membri.

3.3.

Il Comitato osserva che la direttiva riguarda prioritariamente i «reati gravi», in particolare quelli commessi da organizzazioni criminali o su grande scala da persone giuridiche, e intende ravvicinarne le sanzioni a livello comunitario per evitare vuoti normativi di cui potrebbero approfittare i delinquenti. Tuttavia, le questioni relative alla criminalità organizzata rientrano nel titolo VI del trattato UE relativo alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e, a tale titolo, devono formare oggetto di uno strumento giuridico idoneo, come ad esempio la decisione quadro.

3.4.

Il carattere generale dell'incriminazione ha indotto un giornale popolare britannico a chiedersi se un privato possa finire in prigione per aver raccolto fiori selvatici, qualora nel mazzo dovessero esserci esemplari di specie protette. Va sottolineato che le sanzioni penali sono previste solo per casi «gravi» e devono rimanere effettive, proporzionate e dissuasive. Affinché sia rispettata l'indipendenza del potere giudiziario è necessario che il giudice penale nazionale incaricato dell'applicazione della sanzione mantenga la piena facoltà di valutare caso per caso la gravità del reato e l'entità della relativa pena.

3.5.

Il Comitato, da parte sua, si compiace che nella proposta di direttiva (articolo 3) vengano precisati dettagliatamente i comportamenti illeciti incriminati: ciò è conforme al principio generale del diritto nulla poena sine lege  (8), il quale richiede che la legislazione penale sia chiara e precisa, affinché le persone interessate conoscano, senza ambiguità, i diritti e gli obblighi che ne derivano; in altri termini: nessuna sanzione senza una base giuridica precisa.

3.6.

Risulta chiaro che il sistema di sanzioni penali proposto dalla Commissione ha per oggetto le violazioni di tutte le normative ambientali, siano esse di origine nazionale, comunitaria o internazionale. L'ampiezza di questo campo di applicazione potrebbe comportare una difficoltà giuridica in relazione al fondamento nazionale del diritto comune o degli strumenti autonomi di controllo del diritto internazionale. I «reati gravi» perseguiti sono quelli commessi sia in ambito nazionale che transfrontaliero. Il Comitato approva tuttavia il campo d'applicazione materiale e territoriale della proposta di direttiva, che deriva dalla natura stessa della tutela dell'ambiente, dato che i reati ambientali colpiscono perlopiù l'ambiente nella sua globalità, a prescindere dalle frontiere nazionali.

3.7.

Per le persone giuridiche sono previste sanzioni penali e non penali, ma non viene precisato chiaramente se sia possibile comminare sanzioni penali alle persone fisiche che ne sono responsabili, ad esempio ai dirigenti delle società interessate. Le sanzioni si applicano unicamente alle persone appartenenti alla persona giuridica che sono autori o istigatori diretti dei fatti perseguiti. Il Comitato ritiene invece che la direttiva dovrebbe prendere in considerazione, almeno ai fini delle sanzioni complementari, anche la condotta dei dirigenti che hanno semplicemente omesso di controllare l'operato dei loro subordinati.

3.7.1.

Il Comitato constata che l'articolo 7 della proposta stabilisce un importo minimo per le sanzioni pecuniarie massime, ma che gli Stati membri nel quadro del recepimento possono prevedere eventualmente pene più aspre. Pur essendo semplicemente finalizzato a garantire un minimo comune, il provvedimento rischia di creare delle logiche penali nazionali divergenti. Per evitare che si crei la tentazione del «forum shopping» (ricorso al giudice più mite anziché a quello più appropriato), il Comitato è favorevole ad una logica di più forte armonizzazione penale, anche se a prezzo di un aumento del minimo delle sanzioni pecuniarie massime.

3.8.

Tuttavia, secondo lo studio d'impatto realizzato dalla Commissione, gli Stati membri disporranno di un ampio margine discrezionale nell'attuazione della direttiva. A giudizio del Comitato, poiché le divergenze nel recepimento sarebbero tali da ostacolare un ravvicinamento efficace del diritto penale dell'ambiente, bisognerebbe garantire un monitoraggio regolare delle pratiche nazionali. Il normale margine di valutazione riconosciuto agli Stati membri non dovrebbe in generale permettere che si creino zone dove inquinare «costa meno». In questa prospettiva il Comitato accoglie con favore la scelta dell'articolo 175 del trattato CE come base giuridica.

3.9.

Per quanto riguarda la reclusione, il Comitato osserva che viene proposto un ravvicinamento sulla base di una scala con tre livelli di sanzione, in armonia con le conclusioni del Consiglio Giustizia e affari interni del 25 e 26 aprile 2002. Inoltre, sono previste sanzioni alternative oltre al risarcimento dei danni causati, come ad esempio il divieto di esercitare un'attività industriale o commerciale. Infine, la maggior parte delle infrazioni gravi commesse a danno dell'ambiente rientra nel campo d'applicazione della decisione quadro 2005/212/GAI relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato.

3.10.

D'altronde, la fissazione di un massimo compreso tra due e cinque anni è un'opzione piuttosto sconcertante: sarebbe meglio limitarsi a fissare una sola soglia minima del massimo, ottenendo così un maggiore livello di armonizzazione, dato che ciò non pregiudica, in ogni caso, il margine di apprezzamento da parte del giudice.

3.11.

La Commissione ritiene, tuttavia, che i limiti imposti al margine di apprezzamento degli Stati membri nel recepimento della direttiva siano contrari all'obiettivo di questa; c'è dunque una divergenza tra la logica penale preferita dal Comitato e quella della Commissione. Tenendo conto delle circostanze concrete di applicazione, bisognerebbe insistere sull'una o sull'altra logica, in modo da conseguire gli obiettivi della proposta.

3.12.

Il Comitato è consapevole del fatto che, in questa fase del processo d'integrazione comunitaria, non è possibile adottare un regolamento in questa materia. Esistono tuttavia due ordini di preoccupazioni: 1) la necessità di operare una chiara distinzione tra illecito amministrativo e reato e 2) quella di evitare che il recepimento comporti divergenze importanti tra le legislazioni degli Stati membri, dal momento che non sarebbe logico che un comportamento fosse punibile in uno Stato membro e non in un altro.

3.13.

La relazione di valutazione della direttiva deve essere trasmessa anche al Comitato (articolo 8).

3.14.

Occorre tener conto delle posizioni già espresse dal Comitato (9), segnatamente riguardo:

allo ius standi (legittimazione ad agire per avviare l'azione penale), in modo che gli enti e le ONG possano adire il giudice in base alla direttiva; al riguardo il sistema della convenzione di Aarhus potrebbe servire da modello, meglio di qualsiasi sistema di class action, per l'esercizio di tale diritto da parte delle ONG accreditate,

al rafforzamento degli strumenti di cooperazione e investigativi degli organi giudiziari per la repressione dei reati ambientali, incoraggiando la creazione di uffici del pubblico ministero specializzati in materia ambientale,

all'uso delle reti giudiziarie europee per instaurare la cooperazione necessaria nel caso dei reati transfrontalieri.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 180 E del 26.6.2001, pag. 238.

(2)  Sentenza C-176/03 del 13 settembre 2005.

(3)  Punto 48 della sentenza.

(4)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 febbraio 2007, sulla tutela penale dell'ambiente [COM(2007) 51 def.].

(5)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso alla giustizia in materia ambientale [COM(2003) 624 def.] per l'attuazione della convenzione di Aarhus (GU C 117 del 30.4.2004, pag. 55).

(6)  CESE 981/2007 (non ancora pubblicato nella GU).

(7)  Val la pena di notare che il mandato della CIG per la riforma dei trattati prevede l'eguaglianza dei trattati CE e UE modificati.

(8)  Sentenza della Corte C-3/06 P dell'8 febbraio 2007 (Groupe Danone/Commissione).

(9)  Cfr. il parere CES 463/2001, del 31 luglio 2001 (NAT/114).


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce procedure comunitarie per la definizione di limiti di residui di sostanze farmacologicamente attive negli alimenti di origine animale e abroga il regolamento (CEE) n. 2377/90

COM(2007) 194 def. — 2007/0064 (COD)

(2008/C 10/13)

Il Consiglio, in data 22 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 34 e 152, paragrafo 4, lettera b), del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore COUPEAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo prende atto delle disposizioni adottate dalla Commissione europea.

1.2.

Il Comitato auspica che ogni sostanza farmacologica destinata ad animali produttori di alimenti sia sottoposta all'Agenzia europea dei medicinali (EMEA) e che i limiti massimi di residui (LMR) siano valutati dal Comitato per i medicinali veterinari (Cvmp).

1.3.

Tutte le imprese che offrono prodotti farmacologici per animali dovranno avere l'autorizzazione dell'EMEA e ottenere valutazioni positive per i LMR da parte del CVMP.

1.4.

Per evitare ogni ostacolo alla circolazione dei prodotti nella Comunità europea, queste autorizzazioni saranno valide in tutti gli Stati membri dell'UE.

1.5.

La procedura di immissione nel mercato dovrà essere semplificata, salvaguardando nel contempo un alto livello di tutela del consumatore.

1.6.

La semplificazione e la leggibilità dei documenti europei andrebbero a beneficio di tutti i cittadini. La loro accessibilità permetterebbe a ciascuno di conoscere e comprendere quale sia l'apporto dell'Europa nella vita quotidiana.

2.   Obiettivo della proposta

2.1.

L'obiettivo consiste nel continuare a limitare il livello d'esposizione del consumatore a sostanze farmacologicamente attive.

2.2.

Pur salvaguardando un livello elevato di tutela dei consumatori, la proposta deve anche prevedere una semplificazione della legislazione.

2.3.

Per raggiungere l'obiettivo perseguito, occorre tenere conto degli obiettivi specifici:

a)

migliorare la disponibilità di medicinali veterinari per animali destinati alla produzione di alimenti al fine di garantire la salute e il benessere degli animali ed evitare l'impiego illegale di sostanze;

b)

semplificare la legislazione esistente migliorando la leggibilità e la chiarezza delle disposizioni sui limiti massimi di residui per gli utilizzatori finali;

c)

fornire chiari riferimenti per il controllo dei residui delle sostanze farmacologicamente attive al fine di migliorare la tutela della salute dei consumatori e il funzionamento del mercato interno;

d)

chiarire le procedure comunitarie che fissano i limiti massimi di residui (LMR) garantendo la coerenza con norme internazionali.

3.   Contesto attuale

3.1.

Il quadro giuridico attuale che disciplina i LMR ha causato problemi specifici:

a)

la disponibilità di medicinali veterinari è diminuita in misura tale da produrre effetti nocivi sulla salute pubblica nonché sulla salute e sul benessere degli animali;

b)

le norme internazionali sostenute dall'UE non possono essere integrate nella legislazione comunitaria senza una nuova valutazione scientifica dell'Agenzia europea dei medicinali;

c)

i servizi di controllo degli Stati membri non dispongono di riferimenti, segnatamente per le sostanze rilevate in alimenti provenienti da paesi terzi;

d)

l'attuale legislazione non è di facile comprensione.

4.   Disposizioni proposte

4.1.

Le principali modifiche proposte sono le seguenti:

a)

rendere obbligatoria la valutazione delle possibilità di estrapolazione nel contesto della valutazione scientifica generale ed istituire una base giuridica che consenta alla Commissione di definire i principi per l'applicazione dell'estrapolazione;

b)

introdurre l'obbligo di adattare la legislazione comunitaria al fine di includere i LMR fissati dal CODEX con il sostegno dell'UE;

c)

creare un quadro normativo specifico per la definizione dei limiti massimi di residui delle sostanze farmacologicamente attive non destinate ad essere autorizzate come medicinali veterinari, in particolare a fini di controllo e per l'importazione degli alimenti.

4.2.

La Commissione ha avuto la cura di consultare le parti interessate, per valutare le modifiche necessarie.

5.   Raccomandazioni

5.1.

Il Comitato economico e sociale europeo prende atto delle disposizioni adottate dalla Commissione europea.

5.2.

Il Comitato auspica che ogni sostanza farmacologica somministrabile ad animali destinati alla produzione di alimenti sia sottoposta all'agenzia europea dei medicinali e che i limiti massimi di residui siano valutati dal Comitato per i medicinali veterinari.

5.3.

Tutte le imprese che offrono prodotti farmacologici per animali dovranno avere l'autorizzazione dell'EMEA e ottenere valutazioni positive per i LMR da parte del CVMP.

5.4.

Per evitare ogni ostacolo alla circolazione dei prodotti nella Comunità europea, queste autorizzazioni saranno valide in tutto il territorio europeo.

5.5.

La procedura di immissione nel mercato dovrà essere semplificata, salvaguardando nel contempo un alto livello di tutela del consumatore.

5.6.

L'evoluzione delle conoscenze scientifiche permetterà di determinare l'innocuità dei prodotti, il tempo d'attesa tra la somministrazione del medicinale all'animale e l'abbattimento di quest'ultimo prima di essere consumato.

5.7.

Sarà sulla base dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche che si dovrà fissare un limite massimo di residui attraverso una decisione del Consiglio.

5.8.

Domanda di avvio della procedura: il regime attuale ha dato buona prova di sé; dovrà continuare ad esistere la procedura di gestione della domanda di autorizzazione.

5.9.

La classificazione delle sostanze farmacologicamente attive dovrà essere la seguente:

a)

limite massimo di residui;

b)

assenza di limite massimo di residui;

c)

divieto di somministrazione di sostanze.

5.10.

L'EMEA dovrà consultare i laboratori di riferimento e determinare il procedimento per l'analisi dei residui.

5.11.

Non si potranno porre ostacoli alla circolazione di prodotti alimentari d'origine animale nell'Unione europea.

5.12.

La semplificazione e la leggibilità dei documenti europei andrebbero a beneficio di tutti i cittadini. La loro accessibilità permetterebbe a ciascuno di conoscere e comprendere quale sia l'apporto dell'Europa nella vita quotidiana.

5.13.

Le carni extracomunitarie, che utilizzano medicinali non repertoriati a livello europeo, dovranno essere oggetto di uno studio scientifico da sottoporre all'EMEA che mostri l'innocuità di questi prodotti ed in seguito avere la convalida per i LMR da parte del CVMP, al fine di garantire una tutela completa del consumatore.

5.14.

La Commissione dovrà occuparsi della problematica della disponibilità di medicinali per alcune specie, medicinali che non sono sviluppati dai laboratori in quanto non redditizi.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca

COM(2007) 196 def. — 2007/0070 (CNS)

(2008/C 10/14)

Il Consiglio, in data 1o giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 150 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato, in linea generale, accoglie con favore la proposta in oggetto.

1.2.

Esso tuttavia dubita che la proposta di regolamento comporti realmente, rispetto al regolamento attualmente in vigore, una «semplificazione» che possa tradursi in minori obblighi amministrativi per gli Stati membri e per gli amministrati.

1.3.

Il Comitato considera imprecisa la definizione degli «utilizzatori finali» data dalla Commissione europea, perché chiunque potrebbe rientravi, e suggerisce quindi di modificarla e renderla più precisa.

1.4.

Ritiene che i dati ambientali dovrebbero essere raccolti principalmente attraverso gli studi eseguiti in mare dagli Stati membri nel quadro di campagne scientifiche sulla pesca.

1.5.

Considera che la Commissione dovrebbe indicare con maggiore esattezza le cause di non conformità in seguito alle quali vengono comminate sanzioni agli Stati membri, e modulare le rettifiche finanziarie.

1.6.

In considerazione dei problemi giuridici che ne possono derivare, invita la Commissione a sopprimere il riferimento al libero accesso dei responsabili del campionamento ai locali delle imprese per raccogliervi dati economici.

1.7.

Ritiene che la Commissione dovrebbe prevedere espressamente che i regimi per gli osservatori in mare siano finanziati dagli Stati membri e che vengano ridotti al minimo indispensabile i programmi di autocampionamento eseguiti dagli equipaggi, dato che questi ultimi potrebbero subire un aumento eccessivo del loro carico di lavoro.

1.8.

Chiede alla Commissione di definire chiaramente quali dati debbano essere rilevati e da chi nel quadro della valutazione di impatto ambientale della pesca.

1.9.

Ritiene che la raccolta di dati sul grado di interazione tra le varie specie sarà difficile da realizzare, e raccomanda quindi di rinunciarvi.

1.10.

Per quanto riguarda la gestione e l'uso dei dati primari raccolti, sottolinea l'importanza dell'obbligo della riservatezza per tutti coloro che in base alla proposta di regolamento hanno accesso a tali dati.

1.11.

Ritiene che sarà praticamente impossibile applicare già nel 2008 i programmi comunitari e quelli nazionali, e invita pertanto la Commissione a spostare al 2009 il loro avvio.

2.   Motivazione

2.1.

La raccolta sistematica di dati di base affidabili in materia di pesca è fondamentale per valutare tanto gli stock ittici quanto la consulenza scientifica e riveste dunque una particolare importanza per l'attuazione della politica comune della pesca (PCP).

2.2.

La Commissione europea ha riesaminato dopo vari anni di applicazione il sistema introdotto dall'attuale quadro di raccolta dei dati (1), e ha ritenuto che esso debba essere modificato per tenere nel debito conto una strategia di gestione della pesca basata sulla flotta, la necessità di elaborare una strategia basata sugli ecosistemi, la necessità di migliorare la qualità, l'esaustività e l' accessibilità generalizzata dei dati in materia di pesca, la necessità di un sostegno più efficace per la fornitura di pareri scientifici e la promozione della cooperazione fra gli Stati membri.

2.3.

La Commissione presenta pertanto la proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca (2). Tale proposta, che costituisce l'oggetto del presente parere, ha l'obiettivo di elaborare programmi regionali di campionamento, a lungo termine e ben integrati, comprendenti dati biologici, economici, ambientali e sociali, capaci di soddisfare le nuove esigenze nate dalla necessità di progredire nella gestione della pesca in base ad una strategia fondata sugli ecosistemi.

2.4.

La proposta prevede che il nuovo sistema di raccolta dei dati copra l'insieme del processo, dalla raccolta dei dati in mare al loro uso da parte degli utilizzatori finali. Essa contiene anche altri elementi innovativi, come la raccolta di dati ambientali, con lo scopo di controllare l'impatto delle attività di pesca sull'ecosistema marino, una serie di sanzioni finanziarie applicabili qualora i programmi nazionali non rispettino le norme, il miglioramento dell'accesso ai dati e del loro utilizzo e, infine, la riduzione degli obblighi amministrativi per tutte le parti coinvolte (semplificazione).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Nell'ottica di migliorare la consulenza scientifica, la proposta definisce norme sulla raccolta e la gestione, nel quadro di programmi pluriennali, di dati biologici, economici, ambientali e sociali relativi al settore della pesca, e sull'utilizzazione di tali dati nel quadro della PCP.

3.2.

Tali dati di base sulla pesca serviranno a valutare l'attività delle varie flotte da pesca, a preparare delle sintesi utilizzando i dati raccolti in base alle altre disposizioni comunitarie sulla PCP, a calcolare i volumi complessivi di catture e di scarti per stock e per segmento della flotta da pesca, a classificare le catture per zona geografica e per periodo, a valutare la consistenza e la distribuzione degli stock ittici, a valutare l'impatto delle attività di pesca sull'ambiente, a valutare la situazione socioeconomica del settore della pesca, a consentire il monitoraggio dei prezzi del pescato sbarcato dai pescherecci comunitari e di quello importato e a valutare la situazione economica e sociale dell'industria di trasformazione.

3.3.

Il finanziamento di queste attività è previsto nel regolamento (CE) n. 861/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare (3), sul quale il Comitato ha già formulato un parere (4).

3.4.

La proposta riconosce particolare importanza al controllo della qualità e alla convalida dei dati raccolti, subordinando in particolare la concessione del contributo finanziario della Comunità a tale controllo di qualità e al rispetto delle norme di qualità convenute.

3.5.

Altri regolamenti comunitari in materia di rilevazione di dati sulla pesca contengono disposizioni relative alla raccolta e alla gestione dei dati concernenti i pescherecci, alle loro attività e catture, al controllo dei prezzi, alle catture accidentali di cetacei e alle condizioni applicabili alla pesca in acque profonde, di cui occorre tener conto nel regolamento in esame ai fini dell'elaborazione di un sistema completo e coerente di raccolta dei dati.

3.6.

Il Comitato, in linea generale, accoglie con favore la proposta in oggetto. Considera nondimeno con preoccupazione il continuo aumento della regolamentazione comunitaria, che implica un incremento del lavoro amministrativo. Nel caso della proposta in esame, il Comitato dubita che essa comporterà realmente una semplificazione in grado di ridurre gli adempimenti a carico sia degli Stati membri che degli amministrati.

3.7.

Constata tuttavia con grande soddisfazione che la proposta si concentra sugli aspetti ecologici della pesca e che essa mira a rendere disponibili i dati necessari per poter applicare alla gestione della pesca un approccio basato sugli ecosistemi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

La proposta inizia col definire alcuni concetti chiave: settore della pesca, pesca ricreativa, regioni marine, dati primari, dati dettagliati, dati aggregati, campionamento basato sulla flotta, peschereccio comunitario e utilizzatori finali. Il CESE considera alquanto imprecisa la definizione di quest'ultimo concetto, che menziona «le persone fisiche o giuridiche o le organizzazioni interessate all'analisi scientifica dei dati relativi al settore della pesca». Il Comitato ritiene che con questa definizione chiunque potrebbe essere un utilizzatore finale, e invita pertanto la Commissione a modificare tale definizione specificando più esattamente chi siano i veri utilizzatori finali.

4.2.

La Commissione definisce un programma comunitario pluriennale per la raccolta di dati concernenti:

la pesca commerciale praticata da pescherecci comunitari nelle acque comunitarie e al di fuori di esse,

la pesca ricreativa praticata nelle acque comunitarie,

le attività di acquacoltura sul territorio degli Stati membri e nelle acque comunitarie,

l'industria di trasformazione dei prodotti della pesca.

4.3.

Gli Stati membri elaboreranno un programma nazionale di raccolta dei dati, redatto conformemente al programma comunitario e comprendente le procedure e i metodi da utilizzare per la raccolta e l'analisi dei dati, nonché per la stima della loro accuratezza e precisione. I programmi nazionali comprendono in particolare:

programmi di campionamento nazionali,

se del caso, un regime per gli osservatori in mare,

un regime per gli studi in mare.

4.4.

La proposta prevede che i programmi comunitari e quelli nazionali vengano elaborati per un periodo di tre anni. I primi programmi nazionali includono le attività per il periodo dal 2008 al 2010 compresi. Il Comitato ritiene che sarà praticamente impossibile applicare già nel 2008 i programmi, e invita pertanto la Commissione a spostare al 2009 il loro avvio.

4.5.

Gli Stati membri coordinano i propri programmi nazionali con quelli degli altri Stati membri nella stessa regione marina e si prodigano per coordinare il proprio operato con i paesi terzi che esercitano la sovranità o la giurisdizione su altre acque nella stessa regione marina, come avviene nei casi delle organizzazioni regionali della pesca.

4.6.

Il comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP) valuterà i programmi nazionali, le loro eventuali modifiche e l'interesse scientifico dei dati da raccogliere. La Commissione approverà i programmi nazionali sulla base della valutazione dello CSTEP.

4.7.

Il Comitato accoglie con favore il piano di raccolta e di gestione dei dati nel quadro di programmi pluriennali. Fa tuttavia presente alla Commissione che dalla lettura della proposta presentata non si può desumere quanto inciderà sul normale lavoro di un peschereccio la raccolta di dati concernenti la pesca e in particolare di quelli relativi all'impatto ambientale delle attività di pesca. Ritiene pertanto che i dati ambientali dovrebbero essere raccolti principalmente attraverso gli studi eseguiti in mare dagli Stati membri nel quadro di campagne scientifiche sulla pesca.

4.8.

Una novità consiste nel fatto che, in caso di mancato rispetto delle disposizioni della proposta di regolamento, la Commissione potrà sanzionare gli Stati membri riducendo o addirittura sospendendo l'erogazione di aiuti finanziari ai rispettivi programmi nazionali. Il Comitato considera appropriata tale disposizione e confida che gli Stati membri rispetteranno i propri obblighi per evitare le sanzioni. Considera tuttavia che la Commissione dovrebbe indicare con maggiore esattezza le violazioni che comportano sanzioni per gli Stati membri, e prevedere una modulazione delle rettifiche finanziarie.

4.9.

Come indicato al punto 4.3, i programmi di campionamento nazionali pluriennali comprenderanno:

un piano di campionamento dei dati biologici sulla scorta del campionamento basato sulla flotta, comprendente se del caso la pesca ricreativa,

un piano di campionamento dei dati relativi agli ecosistemi, che consenta di valutare il grado di interazione fra le specie e l'incidenza del settore della pesca sull'ambiente,

un piano di campionamento dei dati economici e sociali che consenta di valutare la situazione socioeconomica del settore della pesca.

4.10.

Il Comitato ribadisce quanto ha affermato nel parere relativo al regolamento (CE) n. 861/2006, e cioè che al fine di migliorare la consulenza scientifica dovrebbe essere possibile demandare agli Stati membri la copertura delle spese affrontate dal settore comunitario della pesca nella realizzazione di studi sugli effetti dell'attività di pesca sull'ambiente e sulla situazione socioeconomica del settore.

4.11.

In base alla proposta gli Stati membri devono provvedere affinché, per svolgere le proprie funzioni, i responsabili del campionamento abbiano accesso:

a tutti i punti di sbarco, inclusi, ove del caso, i punti di trasbordo e di trasferimento verso l'acquacoltura,

ai locali commerciali per la raccolta di dati economici.

4.12.

Il CESE fa presente che concedere agli incaricati del rilevamento di dati economici il libero accesso ai locali delle imprese comporta delle difficoltà di natura giuridica; chiede pertanto alla Commissione di eliminare tale disposizione.

4.13.

Infine, la raccolta di dati sulla pesca nell'ambito dei programmi nazionali comprende, da un lato, il trasporto di osservatori in mare, ove ciò sia necessario ai fini della raccolta stessa e, dall'altro, l'esecuzione in mare di studi scientifici volti a valutare la consistenza e la distribuzione degli stock, e ciò allo scopo di analizzare l'impatto ambientale della pesca indipendentemente dai dati provenienti dalla pesca commerciale.

4.14.

Il CESE considera che entrambi i sistemi siano necessari per una esaustiva raccolta di dati sulla pesca, e ritiene che la Commissione dovrebbe prevedere il finanziamento a carico degli Stati membri per i programmi che prevedono la presenza di osservatori in mare. Fa presente alla Commissione che qualora l'imbarco degli osservatori sui pescherecci risulti impossibile per evidente mancanza di spazio o per motivi di sicurezza, il previsto autocampionamento potrebbe risultare troppo gravoso per gli equipaggi.

4.15.

Chiede alla Commissione di definire chiaramente quali dati debbano essere rilevati e da chi nel quadro della valutazione di impatto ambientale della pesca.

4.16.

La proposta dispone che i dati primari raccolti siano conservati in condizioni di sicurezza e di riservatezza in banche dati informatiche sotto la responsabilità dello Stato membro. Gli Stati membri saranno parimenti responsabili della qualità e della completezza dei dati primari raccolti e dei dati particolareggiati o aggregati ottenuti sulla base di quelli primari.

4.17.

Il Comitato considera appropriato che tali responsabilità ricadano sullo Stato membro, perché la riservatezza è estremamente importante per le imprese della pesca.

4.18.

L'importanza della riservatezza è dovuta al fatto che le banche dati informatiche nazionali conterranno tutti i dati primari corrispondenti ai seguenti dispositivi:

regolamento (CEE) n. 2847/1993, che istituisce un regime di controllo applicabile nell'ambito della politica comune della pesca,

regolamento (CE) n. 779/1997, recante instaurazione di un regime di gestione dello sforzo di pesca nel Mar Baltico,

regolamento (CE) n. 104/2000, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura,

regolamento (CE) n. 2347/2002, che stabilisce le disposizioni specifiche di accesso e le relative condizioni per la pesca di stock di acque profonde,

regolamento (CE) n. 812/2004, che stabilisce misure relative alla cattura accidentale di cetacei nell'ambito della pesca.

Altrettanto vale per le banche dati previste nel presente regolamento e relative a:

dati sull'attività dei pescherecci sulla base delle informazioni ottenute dal controllo via satellite e da altri sistemi di controllo,

dati sul volume totale di catture per stock e per segmento della flotta commerciale, compresi i rigetti in mare e, se del caso, dati sulle catture nel campo della pesca ricreativa,

dati biologici richiesti per controllare lo stato degli stock sfruttati,

dati sugli ecosistemi necessari per valutare l'impatto della pesca e dell'acquacoltura sull'ambiente,

dati per valutare il grado di interazione fra le specie,

dati economici e sociali comunicati dal settore della flotta e dalle industrie di trasformazione.

4.19.

Il Comitato ritiene che valutare il grado di interazione tra le specie risulterà impossibile a causa dell'ambiguità e della mancanza di precisione dei dati raccolti a tal fine; suggerisce pertanto di sopprimere la procedura.

4.20.

Gli Stati membri trasformano i dati primari in serie di dati dettagliati o aggregati, conformemente alle norme internazionali pertinenti e ai protocolli firmati a livello regionale; inoltre, in base ad accordi presi con la Commissione, gli Stati membri metteranno tali dati a disposizione della stessa Commissione e degli organismi scientifici appropriati.

4.21.

Gli Stati membri trasmettono i dati dettagliati e aggregati in un formato elettronico che ne garantisca la protezione.

4.22.

Gli Stati membri possono rifiutare di trasmettere i dati dettagliati e aggregati unicamente se esiste un rischio di identificazione di persone fisiche e/o giuridiche o quando un utilizzatore finale non rispetta uno dei requisiti previsti dal regolamento.

4.23.

Il Comitato sottolinea l'importanza di salvaguardare la riservatezza dei dati raccolti, e in particolare di quelli relativi all'attività delle imbarcazioni e derivanti dal controllo effettuatoa via satellite; a tal fine invita la Commissione a prevedere un trattamento differenziato di tali dati.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Regolamento (CE) n. 1543/2000 del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la raccolta e la gestione dei dati essenziali all'attuazione della politica comune della pesca (GU L 176 del 15.7.2000), e gli altri regolamenti riguardanti la raccolta e la gestione dei dati sulla pesca.

(2)  COM(2007) 196 def. del 18.4.2007.

(3)  GU L 160 del 14.6.2006.

(4)  NAT/280 — CESE 1490/2005 — GU C 65 del 17.3. 2006.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 96/22/CE del Consiglio concernente il divieto d'utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze ß-agoniste nelle produzioni animali

COM(2007) 292 def. — 2007/0102 (COD)

(2008/C 10/15)

Il Consiglio, in data 2 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 152, paragrafo 4, lettera b), del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore JIROVEC.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo prende atto delle misure proposte dalla Commissione europea.

1.2.

Il Comitato approva la semplificazione e la chiarificazione della legislazione applicabile sia ai cittadini che alle imprese che offrono prodotti farmaceutici destinati agli animali.

1.3.

La proposta di direttiva in esame rispetta il principio di proporzionalità, dato che prevede soltanto modifiche contenute, basate sui dati scientifici e sui pareri di esperti più recenti.

1.4.

La proposta di direttiva si applica anche alle importazioni di animali da produzione alimentare provenienti da paesi terzi.

1.5.

La proposta di direttiva non è in contrasto con gli impegni sottoscritti nel quadro dell'OMC.

1.6.

La futura indisponibilità dell'estradiolo-17ß e dei suoi derivati sotto forma di esteri avrà conseguenze trascurabili per gli allevatori e per il benessere degli animali.

1.7.

Non occorre fissare limiti massimi per i residui.

1.8.

Inoltre, le conseguenze per le piccole e medie imprese saranno quasi nulle.

2.   Obiettivo della proposta

2.1.

La proposta in esame è intesa a modificare la direttiva 96/22/CE del 29 aprile 1996 modificata dalla direttiva 2003/74/CE. La proposta di direttiva vieta l'immissione sul mercato di talune sostanze ai fini della loro somministrazione a qualsiasi animale le cui carni e i cui prodotti siano destinati al consumo umano per scopi diversi da quelli previsti all'articolo 4, punto 2.

Elenco delle sostanze vietate

Elenco A:

tireostatici,

stilbeni, derivati dello stilbene, loro sali ed esteri,

estradiolo-17ß e suoi derivati sotto forma di esteri.

Elenco B:

sostanze ß-agoniste.

2.2.

Vengono proposte le seguenti modifiche:

a)

escludere gli animali da compagnia dal campo di applicazione della legislazione;

b)

vietare totalmente l'uso di estradiolo-17ß negli animali da produzione alimentare.

2.3.

La Commissione propone soltanto modifiche assai contenute, necessarie per evitare che gli animali da compagnia continuino a soffrire a causa della mancata disponibilità di un trattamento appropriato e per tenere conto dei pareri scientifici e specialistici sull'estradiolo-17ß (1).

3.   Contesto generale

3.1.

L'articolo 2, lettera a) della direttiva 96/22/CE del Consiglio vieta specificamente l'immissione sul mercato delle sostanze di cui all'allegato II ai fini della loro somministrazione a «tutte le specie di animali».

3.2.

Una comparazione dei prezzi dei prodotti ad azione tireostatica mostra che il loro utilizzo per gli animali da produzione alimentare non è vantaggioso sul piano economico.

3.3.

L'utilizzo illegale è legato alla produzione o all'importazione illegale. Negli ultimi cinque anni non è stato rilevato alcun utilizzo illegale di stilbeni, di derivati di stilbeni, loro sali ed esteri.

3.4.

La direttiva oggetto della proposta di modifica non consente di ottenere l'autorizzazione per prodotti contenenti sostanze per il trattamento dell'ipertiroidismo negli animali da compagnia.

3.5.

Nel 1981, con la direttiva 81/602/CEE, l'Unione europea ha vietato l'utilizzo di sostanze ad azione ormonica a fini di stimolazione della crescita degli animali da azienda. Tra queste sostanze figura l'estradiolo-17ß.

3.6.

La direttiva 96/22/CE, originariamente intesa a vietare l'uso dell'estradiolo-17ß e dei suoi derivati sotto forma di esteri per qualsiasi fine, si è invece limitata a ridurre le circostanze in cui l'estradiolo-17ß può essere somministrato per scopi diversi da quello della stimolazione della crescita. Tale prodotto è sicuramente cancerogeno: è causa di insorgenza di tumori e ne favorisce lo sviluppo.

3.7.

Nella relazione presentata al Consiglio e al Parlamento l'11 ottobre 2005 si conclude che l'ampia diffusione di sostanze alternative come le prostaglandine rende possibile abbandonare l'uso di tali prodotti per gli animali da produzione alimentare.

3.8.

Gli animali da compagnia affetti da ipertiroidismo spesso soffrono per la mancata disponibilità di un trattamento appropriato.

4.   Osservazioni

4.1.

Il Comitato economico e sociale europeo prende atto delle misure proposte dalla Commissione europea.

4.2.

Le modifiche proposte in relazione all'estradiolo-17ß sono la conseguenza diretta delle attività di cui all'articolo 11 bis della direttiva 2003/74/CE.

4.3.

Tali modifiche sono molto contenute e necessarie per evitare che gli animali da compagnia continuino a soffrire a causa della mancata disponibilità di un trattamento appropriato.

4.4.

La proposta avrà un'incidenza sui proprietari di animali, sui veterinari, sull'industria farmaceutica veterinaria e sulle agenzie degli Stati membri responsabili dell'autorizzazione.

4.5.

Essa contribuirà a garantire un livello elevato di protezione della salute umana.

4.6.

Le nuove autorizzazioni dovranno tuttavia tenere conto dell'eventualità di un uso improprio, e quindi le presentazioni di prodotti che si prestano ad un uso improprio potranno essere respinte.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Prevention and Control of Animal Diseases (Prevenzione e controllo delle malattie animali).

http://ec.europa.eu/food/animal/resources/publications_en.htm


15.1.2008   

IT

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C 10/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari

COM(2007) 368 def. — 2007/0128 (COD)

(2008/C 10/16)

Il Consiglio, in data 26 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto dei suoi pareri CESE 308/2004 e CESE 1571/2006, adottati rispettivamente il 26 febbraio 2004 e il 13 dicembre 2006 (1), il Comitato, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha deciso, con 163 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

 

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari — COM(2003) 424 def. — 2003/0165 (COD) (GU C 110 del 30.4.2004) e parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. …/… relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari — COM(2006) 607 def. — 2006/0195 (COD) (GU C 325 del 30.12.2006).


15.1.2008   

IT

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C 10/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'integrazione del commercio mondiale e l'esternalizzazione. Come far fronte alle nuove sfide

(2008/C 10/17)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sull'«Integrazione del commercio mondiale e l'esternalizzazione. Come far fronte alle nuove sfide».

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 settembre 2007 sulla base del progetto predisposto dal relatore ZÖHRER e dal correlatore LAGERHOLM.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Sintesi

1.1.

I cambiamenti in atto nel settore del commercio e la crescente integrazione delle economie nel sistema del commercio mondiale sono accelerati da tutta una serie di fattori: uno dei più importanti è lo sviluppo della ripartizione della produzione a livello internazionale, che ha portato a un aumento del volume degli scambi di prodotti intermedi (beni e servizi) nelle diverse fasi del processo produttivo. Il commercio di prodotti intermedi è uno dei principali motori dei cambiamenti industriali e costituisce una particolare forma di divisione internazionale del lavoro.

1.2.

Nel presente parere l'esternalizzazione (outsourcing) viene misurata in base ai flussi commerciali esterni di prodotti intermedi, il che si discosta dalla comune definizione del termine e ha dei punti in comune con il cosiddetto «offshoring» (delocalizzazione internazionale). Per fare una distinzione si potrebbe quindi anche parlare di «offshore outsourcing» (esternalizzazione internazionale).

1.3.

L'esternalizzazione internazionale è dovuta a tutta una serie di motivi. Quello di cui più si discute è sicuramente il minor costo della manodopera (retribuzioni inferiori e/o minore protezione sociale). Inoltre, giocano un ruolo fondamentale anche i prezzi delle materie prime o la vicinanza ai nuovi mercati in crescita. Tuttavia, anche costi più vantaggiosi dovuti a norme ambientali meno severe o a agevolazioni fiscali possono spingere verso l'esternalizzazione internazionale.

1.3.1.

L'esternalizzazione internazionale, che non è un fenomeno nuovo, è sinonimo di un'organizzazione della produzione basata sulla divisione del lavoro, nel quadro della quale le imprese si specializzano nei campi in cui producono i risultati migliori nel modo più efficace sotto il profilo dei costi. Le tecnologie dell'informazione e le comunicazioni a basso costo accelerano questo sviluppo e consentono gli scambi transfrontalieri in numerosi settori nuovi, e in particolare in quello dei servizi.

1.3.2.

Un sistema di trasporto efficiente ed economicamente vantaggioso è un presupposto fondamentale per l'esternalizzazione internazionale.

1.4.

Il volume degli scambi di merci a livello mondiale è 15 volte maggiore rispetto al 1950 e la quota del commercio rispetto al PIL mondiale è triplicata. Gli scambi mondiali nel settore dei servizi hanno ormai tassi di crescita simili a quelli delle merci e aumentano più rapidamente del PIL. I servizi rappresentano quasi il 20 % del commercio internazionale.

1.5.

Nel periodo compreso tra il 1992 e il 2003 si è registrato un aumento della percentuale di prodotti intermedi (dal 52,9 al 54,1 %) e dei beni strumentali (dal 14,9 al 16,6 %) rispetto alle importazioni complessive, mentre la quota dei beni di consumo è diminuita leggermente. Fra i prodotti intermedi si osserva un chiaro spostamento della domanda verso la categoria delle parti e dei componenti.

1.6.

Anche a livello regionale lo sviluppo è stato assai vario. La quota dei prodotti intermedi nelle importazioni è diminuita per l'UE-15, il Giappone e gli Stati Uniti, ma è aumentata per la Cina, i paesi del Sud-Est asiatico e i nuovi Stati membri dell'UE (UE-10).

1.7.

L'aumento rapido degli scambi di servizi ha riguardato soprattutto la categoria «altri servizi», che comprende i servizi alle imprese. In tale categoria, a loro volta, sono particolarmente dinamici i servizi finanziari, informatici e d'informazione. Dell'esternalizzazione dei servizi hanno beneficiato soprattutto gli Stati Uniti, l'UE-15 e l'India, paese, quest'ultimo, che in termini relativi ha avuto i vantaggi maggiori.

1.8.

Nel complesso l'UE ha mantenuto con successo la sua posizione d'avanguardia nel commercio mondiale sia nel settore dei beni che in quello dei servizi. L'economia europea è leader mondiale in gran parte dei settori a medio livello tecnologico e per i prodotti ad alta intensità di capitale. Il crescente deficit commerciale con l'Asia e i risultati piuttosto scarsi dell'UE nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) sono però fonte di preoccupazione.

1.9.

L'esternalizzazione internazionale intensifica gli scambi e questo, nel complesso, crea maggiore benessere. Il Comitato è però anche consapevole del fatto che non ci sono solo vincitori, ma anche vinti e che questi ultimi sono più facili da individuare perché risentono delle conseguenze immediate del fenomeno (per es. i lavoratori che perdono il posto di lavoro).

1.10.

Quanto allo sviluppo del commercio dei prodotti intermedi (nel complesso favorevole all'UE), è opportuno che quest'ultima adotti un atteggiamento positivo e attivo nei confronti di un commercio mondiale libero, ma equo e una strategia attiva in materia di globalizzazione, fermo restando che all'interno della stessa UE occorrerà prestare la massima attenzione alla ripartizione dei benefici che ne derivano.

1.11.

L'UE deve adoperarsi a favore di condizioni eque e di uno sviluppo sostenibile (sul piano economico, sociale e ambientale) nel commercio mondiale.

1.12.

Dovrebbe altresì essere consapevole dei propri punti forti e svilupparli. Spesso proprio i summenzionati settori a media tecnologia sono caratterizzati da un'elevata capacità di innovazione. Occorre però anche effettuare investimenti materiali e immateriali in settori nuovi.

1.13.

Considerato lo sviluppo dell'esternalizzazione internazionale, sono urgentemente necessarie analisi ulteriori e differenziate. Il Comitato esorta la Commissione ad avviare tali analisi, che dovrebbero anche contemplare possibili scenari a breve e medio termine, coinvolgendo anche gli attori interessati. Tali analisi possono anche far parte delle valutazioni settoriali effettuate nel quadro della nuova politica industriale e potrebbero servire da base di discussione nel quadro del dialogo sociale settoriale.

1.14.

Le risposte fondamentali alle sfide poste all'Europa dall'integrazione del commercio mondiale e dalla crescente delocalizzazione internazionale della produzione europea si trovano nella strategia di Lisbona. Al riguardo il Comitato sottolinea che i seguenti punti sono decisivi affinché l'Europa sia in grado di adeguarsi e di essere competitiva nel processo di globalizzazione:

completare e rafforzare il mercato interno,

promuovere l'innovazione,

stimolare l'occupazione.

2.   Motivazione e contesto del parere

2.1.

I cambiamenti in atto nel settore del commercio e la crescente integrazione delle economie nel sistema degli scambi mondiali sono accelerati da tutta una serie di fattori (liberalizzazione degli scambi, diminuzione dei costi di trasporto e di comunicazione, aumento del reddito e crescente suddivisione del lavoro a livello internazionale, ecc.). Tra questi fattori, uno dei più importanti è lo sviluppo della ripartizione della produzione a livello internazionale, che ha portato a un aumento del volume degli scambi di prodotti intermedi (beni e servizi) nelle diverse fasi del processo produttivo. Questa crescita del commercio intermedio, che nel presente parere viene denominata «esternalizzazione», mette in evidenza la riorganizzazione di numerosi processi produttivi a livello mondiale e regionale, ed è avvertibile anche in numerosi ambiti del settore dei servizi.

2.2.

I tradizionali vantaggi comparativi che i paesi industrializzati hanno in termini di qualifiche professionali della manodopera e di conoscenze tecniche relative ai propri prodotti o ai processi di produzione sono sottoposti a crescenti pressioni di varia origine. L'UE deve far fronte a questo ambiente in rapido cambiamento, da cui sono emersi nuovi concorrenti in un gran numero di comparti industriali e in un settore dei servizi caratterizzato da un alto valore aggiunto. Le sfide che le imprese dell'UE devono affrontare aumentano quindi con grande rapidità.

2.3.

Il commercio di prodotti intermedi è uno dei principali motori delle trasformazioni industriali e costituisce una particolare forma di divisione internazionale del lavoro che sta scalzando rapidamente le forme di internazionalizzazione più tradizionali. È evidente che la globalizzazione dei mercati, unita al processo tecnologico, consente di scomporre il processo di produzione di un determinato prodotto in molteplici fasi successive a monte e a valle, generalmente ripartite fra numerosi paesi.

2.4.

Il presente parere intende, da un lato, analizzare in che modo il fenomeno mondiale dell'esternalizzazione di prodotti e servizi viene accelerato soprattutto dallo sviluppo nei paesi asiatici (in particolare in Cina ed India), nonché dall'integrazione dei nuovi Stati membri dell'UE. D'altro lato, si propone di accertare se e in che misura l'UE è vulnerabile di fronte all'emergere di nuove potenze commerciali che operano a livello mondiale e ai cambiamenti che ciò comporta, in tutto il mondo, sul fronte dei vantaggi comparativi, specie per quanto riguarda i mercati in cui l'UE è attualmente un leader mondiale, e anzitutto quelli caratterizzati da prodotti a media tecnologia e ad alta intensità di capitale come il settore automobilistico, quello farmaceutico e l'industria che produce attrezzature specializzate.

2.5.

Il presente parere non tratta il fenomeno della delocalizzazione, poiché è già stato oggetto di altri pareri del Comitato.

2.6.

In sintesi, tutto questo significa che ci troviamo di fronte a un fenomeno economico interessante che costringerà le imprese dell'UE a migliorare i vantaggi comparativi di cui finora hanno goduto, ma che non sono più garantiti, nemmeno in settori economici totalmente nuovi come l'economia dei servizi. Analizzando questa evoluzione si potrebbero individuare i settori deboli attuali e futuri e sarebbe possibile raccomandare alle imprese dell'UE di prendere in anticipo le decisioni giuste.

3.   Sviluppo del commercio mondiale

3.1.

La seguente analisi si basa su uno studio pubblicato negli Economic Papers della DG Affari economici e finanziari della Commissione europea nell'ottobre 2006 (1).

3.1.1.

Lo studio prende in considerazione il periodo compreso tra il 1990 e il 2003. Si tratta di un periodo interessante poiché, all'inizio degli anni Novanta, gli scambi mondiali hanno subito cambiamenti decisivi per l'Europa. La Repubblica popolare cinese ha assunto un profilo maggiore nel commercio internazionale, cosa che ha portato da ultimo alla sua adesione all'Organizzazione mondiale del commercio. L'ulteriore sviluppo del mercato unico ha comportato un approfondimento dell'integrazione nell'UE. L'apertura politica ed economica dei paesi dell'Europa centrale e orientale e la loro integrazione nell'UE hanno prodotto un ampliamento del mercato interno. All'inizio del periodo considerato l'UE contava 12 Stati membri, mentre ora ne conta 27.

3.1.2.

Al medesimo tempo anche in India, Russia e America Latina (soprattutto in Brasile) sono intervenuti cambiamenti sostanziali che hanno rafforzato la posizione di tali paesi nel commercio mondiale.

3.1.3.

Dato che quando lo studio è stato ultimato non erano ancora disponibili dati affidabili per il periodo successivo al 2003, non sono ancora possibili conclusioni fondate in merito agli sviluppi successivi. Si deve però partire dal presupposto che, laddove lo studio fa riferimento all'UE-10, siano ipotizzabili tendenze simili anche per la Bulgaria e la Romania. Inoltre, l'esempio dell'industria tessile mostra che il ritmo dello sviluppo illustrato tende piuttosto ad accelerare.

3.2.

Il volume degli scambi di merci a livello mondiale è 15 volte maggiore rispetto al 1950 e la quota del commercio rispetto al PIL mondiale è triplicata. Gli scambi mondiali nel settore dei servizi hanno ormai tassi di crescita simili a quelli delle merci (dal 1990 mediamente circa del 6 % all'anno) e aumentano più rapidamente del PIL. I servizi rappresentano quasi il 20 % del commercio mondiale.

3.2.1.

Se da un lato lo sviluppo del commercio, complessivamente, appare piuttosto stabile, dall'altro i tassi di crescita delle diverse categorie di prodotti e servizi presentano notevoli differenze.

3.2.2.

Come già affermato nell'introduzione, la divisione internazionale del lavoro è uno dei principali fattori propulsivi dello sviluppo del commercio mondiale. Tale suddivisione comporta una continua crescita degli scambi intermedi (di prodotti e servizi). A sua volta, l'aumento degli scambi intermedi (per es. di prodotti semifiniti, parti e componenti), o «esternalizzazione», riflette la riorganizzazione di numerosi processi produttivi su base globale o regionale (invece che su base nazionale), e rispecchia l'enorme aumento dei flussi di investimenti diretti esteri (IDE), che sono passati da meno del 5 % del PIL mondiale nel 1980 a oltre il 15 % alla fine degli anni Novanta. Va segnalato però che non tutti gli IDE sono automaticamente collegati all'esternalizzazione.

3.2.3.

I sistemi di produzione globali, uniti allo sviluppo di tecnologie dell'informazione e della comunicazione efficaci che portano all'esternalizzazione o, per usare un altro termine, a una «specializzazione verticale», hanno un impatto anche in molti ambiti del settore dei servizi.

3.2.4.

L'internazionalizzazione dei processi di produzione a livello regionale o mondiale dà luogo a un aumento degli scambi nell'industria e nelle imprese. Le esportazioni di un determinato settore produttivo di un paese dipendono sempre più dall'importazione di beni intermedi del medesimo settore produttivo o da una filiale di una multinazionale.

3.3.   Panoramica sul commercio per fase di produzione

3.3.1.

Se si utilizza la classificazione per ampie categorie economiche (Broad Economic Categories Classification) delle Nazioni Unite, i prodotti possono essere ripartiti in base al loro impiego finale (per es. prodotti intermedi, beni di consumo o beni strumentali).

3.3.2.

Nel periodo compreso tra il 1992 e il 2003 si è registrato un aumento della percentuale dei prodotti intermedi (dal 52,9 al 54,1 %) e dei beni strumentali (dal 14,9 al 16,6 %) rispetto alle importazioni complessive, mentre la quota dei beni di consumo è diminuita leggermente. Fra i prodotti intermedi si osserva un chiaro spostamento verso la categoria delle parti e dei componenti. Si tratta di un fenomeno che contraddistingue soprattutto il settore delle TIC e l'industria automobilistica.

3.3.3.

Anche a livello regionale si segnalano andamenti assai diversi. La quota dei prodotti intermedi nelle importazioni è diminuita nel caso dell'UE-15, del Giappone e degli Stati Uniti, mentre è aumentata in Cina, nei paesi del Sud-Est asiatico e nei nuovi Stati membri dell'UE (UE-10).

3.4.

Quanto precede non considera gli scambi e le tendenze all'interno dell'UE-15, anche se va segnalato che la stragrande maggioranza degli scambi commerciali dei singoli Stati membri (tra il 75 % e l'80 %) avviene a questo livello. L'esternalizzazione viene quindi misurata solo in base ai flussi commerciali esterni di prodotti intermedi, il che si discosta dalla definizione comune del termine e ha dei punti in comune con il cosiddetto «offshoring» (delocalizzazione internazionale). Per fare una distinzione si potrebbe quindi parlare anche di «offshore outsourcing» (esternalizzazione internazionale).

4.   Motivi della crescente esternalizzazione internazionale

4.1.

Ci sono svariati motivi che inducono un'impresa a decidere di trasferire all'estero le proprie operazioni commerciali o parte di esse. Quello principale, al momento, sembra il minor costo della manodopera. Hanno però un peso importante anche fattori quali i prezzi inferiori delle materie prime e la vicinanza ai mercati in crescita. La bassa produttività, sistemi giuridici incerti, lacune infrastrutturali, condizioni commerciali sfavorevoli (per es. dazi doganali e norme) e l'impossibilità di controllo e reazione in caso di problemi possono influire in modo negativo su una tale decisione.

4.2.

Il trasferimento degli impianti di produzione o il fatto che le imprese si procurino altrove i beni che in precedenza producevano direttamente non è un fenomeno nuovo. La sostituzione della manodopera locale con lavoratori stranieri è una pratica diffusa in tutti i paesi industrializzati da molti anni. Il fenomeno dell'esternalizzazione è effettivamente sinonimo di divisione del lavoro e consente alle imprese di rimanere competitive e consapevoli dei costi, specializzandosi nei campi in cui riescono meglio. La cosa nuova è però che negli ultimi anni le TIC hanno reso possibile l'esternalizzazione di forme completamente nuove di servizi e di produzione di beni. Oggigiorno, le tecnologie dell'informazione e le comunicazioni poco costose permettono alle imprese di esternalizzare più agevolmente la maggior parte di ciò che può essere riprodotto o trattato in forma digitale, come ad esempio l'assistenza informatica, i servizi di supporto (back office), i call center, la programmazione informatica e alcune attività di ricerca e sviluppo.

4.2.1.

Analogamente, le TIC hanno consentito di esternalizzare in misura maggiore la produzione di beni, poiché è ormai possibile procurarsi direttamente i fattori produttivi intermedi da molteplici fornitori. Le tecniche di produzione just in time dipendono in gran parte dalle TIC per sincronizzare la produzione e la consegna di singole parti e componenti di diversi produttori su distanze più o meno grandi.

4.3.

Normalmente, l'esternalizzazione può anche essere legata ad una delocalizzazione all'estero. La delocalizzazione internazionale può prendere la forma di un trasferimento di compiti particolari di un'organizzazione a un sito all'estero o a un fornitore indipendente.

Come affermato più sopra, non si tratta di un fenomeno completamente nuovo; tuttavia, il rapido sviluppo delle TIC e la conseguente diminuzione dei costi delle comunicazioni hanno permesso gli scambi internazionali di molti fattori produttivi nuovi, in particolare nel settore dei servizi. Oggigiorno servizi come il disegno tecnico in architettura, la refertazione radiologica o taluni servizi legali possono essere trasferiti all'estero. Lo sviluppo delle TIC ha quindi intensificato gli scambi internazionali riducendo i costi delle transazioni e rendendo commerciabili prodotti completamente nuovi. L'impatto è analogo a quello dell'introduzione dei container nei trasporti internazionali negli anni Cinquanta, che ha anch'essa comportato un aumento vertiginoso degli scambi (2).

4.4.

Nel presente parere il Comitato intende concentrarsi sull'esternalizzazione internazionale (offshore outsourcing). Nel dibattito politico generale, però, questo fenomeno viene spesso confuso con quello degli IDE. Ad esempio, taluni sviluppi spesso vengono presentati come una forma di esternalizzazione o di delocalizzazione internazionale, ma in realtà fanno parte dell'espansione delle attività commerciali all'estero per venire incontro ai bisogni dei mercati locali. Per stabilire se un determinato trasferimento parziale degli impianti di produzione si configuri come una delocalizzazione internazionale (offshoring) è necessario accertare quale mercato dovrà essere coperto. Un'espansione delle attività commerciali all'estero al solo scopo di servire dei mercati stranieri (IDE orizzontali) non avrà necessariamente — nemmeno a breve termine — effetti negativi sull'occupazione nel paese d'origine. Al contrario, potrebbe avere un impatto molto positivo sia sulla redditività che sull'occupazione nella sede centrale dell'azienda.

4.5.

Ovviamente, però, non sono solo il minor costo della manodopera (retribuzioni inferiori e/o minore protezione sociale) e la necessità di avvicinarsi ai mercati a indurre le imprese a delocalizzare la produzione. La decisione può essere anche motivata dai costi inferiori dovuti ad esempio a norme ambientali meno severe o ad agevolazioni fiscali. Un esempio interessante di delocalizzazione internazionale è dato dai recenti sviluppi nell'industria europea del cemento. A causa del forte rincaro dell'energia in Europa (dovuto in parte al sistema comunitario di scambio di emissioni di CO2) e della limitazione diretta delle emissioni di CO2 applicabile all'industria, alcuni produttori europei di cemento hanno esternalizzato la produzione di clinker, trasferendola in Cina.

4.6.

Infine, un sistema di trasporto efficiente ed efficace in termini di costi è un presupposto per l'esternalizzazione internazionale.

5.   L'esternalizzazione della produzione di merci

5.1.

L'esternalizzazione, che nello studio sopra citato viene definita come il trasferimento di parti della produzione a fornitori esterni o a filiali appositamente create fuori dal territorio dell'UE, si riflette nei seguenti fattori:

gli scambi commerciali a livello mondiale sono stimolati dall'internazionalizzazione delle strutture di produzione e dall'aumento degli IDE mondiali,

la quota dei prodotti intermedi (soprattutto parti e componenti) e dei beni capitali nelle importazioni mondiali è in aumento. Di conseguenza aumentano anche gli scambi all'interno dei settori produttivi e delle imprese,

si constata un netto aumento degli scambi commerciali complementari reciproci tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo o emergenti. Nell'UE-15, negli Stati Uniti e in Giappone la quota dei prodotti intermedi nelle importazioni è in calo, mentre, al medesimo tempo, presso i loro partner regionali meno avanzati è in aumento,

l'esternalizzazione di parti della produzione contraddistingue in particolare l'industria delle TIC e quella automobilistica, le cui imprese operano a livello globale.

6.   Esternalizzazione dei servizi

6.1.

Il commercio mondiale nel settore dei servizi è aumentato rapidamente dalla metà degli anni Novanta e ha raggiunto tassi di crescita pari a quelli degli scambi di merci, sviluppandosi quindi più rapidamente del PIL. La quota dei servizi in rapporto al PIL globale è passata dal 3,8 % nel 1992 al 5,7 % nel 2003.

6.2.

Mentre nel settore dei trasporti e del turismo il tasso di crescita degli scambi di servizi è stato pari a quello del PIL, la categoria «altri servizi», che comprende i servizi alle imprese, ha registrato un rapido aumento. In tale categoria, sono particolarmente dinamici i servizi finanziari, informatici e di informazione.

6.3.

Se si comparano i risultati netti (esportazioni meno importazioni), dell'esternalizzazione dei servizi hanno beneficiato soprattutto gli Stati Uniti, l'UE-15 e l'India, paese, quest'ultimo, che in termini relativi ne ha tratto i vantaggi maggiori.

7.   Punti forti e punti deboli dell'UE

7.1.

Dopo il 1990 l'UE, nel complesso, ha mantenuto con successo la sua posizione di leader del commercio mondiale sia nel settore dei beni che in quello dei servizi. Questo è dovuto in parte al fatto che nella fase ad alta intensità di investimenti del processo di ripresa globale all'inizio degli anni Novanta sono state privilegiate le industrie che producono beni ad alta intensità di capitali, settori nei quali l'UE detiene una posizione relativamente forte. L'UE è leader in numerosi comparti a medio livello tecnologico e per beni a forte intensità di capitale. I suoi principali punti forti sono la produzione automobilistica su scala mondiale, l'industria farmaceutica, le attrezzature speciali, come pure i servizi finanziari ed economici.

7.1.1.

Tra il 1992 e il 2003 il saldo del commercio estero dell'UE è passato dallo 0,5 % all'1,5 % del PIL, e contribuisce anche in misura rilevante alla crescita del PIL.

7.1.2.

Un punto forte essenziale dell'UE è indubbiamente anche quello di avere alle spalle un proprio mercato interno che non solo offre un quadro giuridico stabile, ma costituisce anche un mercato domestico altrettanto grande. Con l'allargamento dell'UE una parte dell'esternalizzazione avviene nei nuovi Stati membri.

7.1.3.

Dallo studio citato si evince che le tendenze all'esternalizzazione internazionale in alcuni comparti produttivi come l'industria automobilistica mostrano una concentrazione regionale del processo (dall'UE-15 ai nuovi Stati membri, dagli USA verso Messico e Brasile, dal Giappone al Sud-Est asiatico e alla Cina). Questo si spiega soprattutto con i costi della distanza geografica (per es. per i trasporti). Nei settori delle nuove tecnologie e dei servizi questi fattori hanno però un ruolo più modesto.

7.2.

Al medesimo tempo, lo studio menziona anche alcuni aspetti che destano preoccupazione: sul piano geografico, il crescente deficit della bilancia commerciale con l'Asia in generale e, sul piano tecnologico, i risultati piuttosto mediocri dell'UE nel settore delle TIC. A questo proposito va tenuto presente soprattutto il fatto che alcuni paesi in via di sviluppo desiderano risalire rapidamente la catena del valore e quindi fanno investimenti cospicui nella R&S e nell'istruzione.

7.2.1.

Il successo che l'Asia ha avuto finora nel commercio mondiale riguarda soprattutto comparti come le TIC che, dal punto di vista europeo, in proporzione erano meno importanti di altri quali l'industria automobilistica, farmaceutica o chimica. Negli ultimi 15 anni molti paesi asiatici si sono specializzati nell'esportazione di prodotti TIC. (3) È presumibile che tali paesi nel loro futuro sviluppo rivolgano la propria attenzione anche a comparti finora dominati dall'UE (come mostra l'esempio dell'industria tessile).

7.2.2.

L'UE e la Cina hanno forti complementarità sul piano delle loro strutture commerciali: l'UE è specializzata nelle tecnologie medio-alte e nei beni capitali, mentre la Cina si concentra sui settori legati alle TIC, a bassa tecnologia e ad alta intensità di manodopera. Questo modello di complementarità si traduce direttamente in condizioni favorevoli per l'UE sul piano delle dinamiche degli scambi, e numerosi Stati membri dell'UE vedono ora migliorare notevolmente il loro potere di fissazione dei prezzi nei confronti di potenze commerciali emergenti come la Cina. Questi risultati suggeriscono che i processi di recupero delle grandi economie emergenti come la Cina possono costituire un vantaggio per entrambe le parti, con un forte aumento del reddito procapite sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo.

7.2.3.

L'esternalizzazione dei servizi verso l'India è attualmente (ancora) poco rilevante sul piano macroeconomico.

7.3.

A medio e lungo termine l'UE dovrà far fronte ad alcuni potenziali problemi nel campo del commercio con l'estero, che vengono qui di seguito illustrati.

7.3.1.

I buoni risultati messi a segno dall'UE negli anni Novanta sono dovuti in gran parte ai benefici ottenuti nella fase iniziale della liberalizzazione del commercio mondiale, a forte intensità di investimenti — uno scenario che non perdurerà in eterno.

7.3.2.

L'UE presenta delle debolezze in gran parte dei settori ad alta tecnologia, e in particolare in quello delle TIC.

7.3.3.

L'Asia sta diventando un potenziale concorrente in alcuni dei principali settori dell'economia dell'UE. I produttori cinesi, che fabbricano beni a basso costo, domineranno probabilmente in futuro gran parte delle industrie a forte intensità di manodopera e a basso livello di tecnologia. Per l'UE le conseguenze saranno maggiori che non per gli Stati Uniti o il Giappone.

8.   Vincitori e vinti dell'esternalizzazione internazionale

8.1.

L'esternalizzazione internazionale intensifica gli scambi, spesso di nuovi tipi di prodotti e in nuovi settori. La teoria e gli studi empirici ci insegnano che il commercio genera ricchezza e, quindi, l'esternalizzazione internazionale dovrebbe presumibilmente accrescere il benessere mondiale. Tale valutazione risulta però più complessa se si considera che i vantaggi sul piano dei costi, che sono all'origine della delocalizzazione internazionale di una determinata produzione, possono essere attribuiti a norme ambientali meno severe, con un possibile impatto su tutto il globo. Se però non lo sono, allora è lecito supporre che la delocalizzazione internazionale accresca il benessere mondiale. È anche risaputo, tuttavia, che nel commercio spesso ci sono vincitori e vinti: resta dunque da vedere chi saranno in Europa i vincitori e i vinti della crescente delocalizzazione internazionale.

8.1.1.

La decisione di un'impresa di esternalizzare una determinata attività può rivelarsi naturalmente anche una cattiva scelta dal punto di vista di tale impresa, e questo per vari motivi. È possibile che ai clienti non piaccia essere serviti da call center situati all'estero, o che le imprese non ricevano i beni intermedi della qualità richiesta alla data stabilita; è inoltre possibile che sorgano malintesi culturali fra imprese e clienti o a livello internazionale, oppure trapelino ai concorrenti delle informazioni riservate.

8.1.2.

In questa sede dobbiamo però partire dal presupposto che la decisione di un'azienda (o di un'amministrazione) di esternalizzare a livello nazionale o internazionale una determinata attività venga attuata con successo. In questo caso, chi saranno i vincitori e chi i vinti?

8.2.   I vincitori

8.2.1.

Le imprese europee che procedono alla delocalizzazione all'estero e all'esternalizzazione internazionale

Le imprese che delocalizzano all'estero o esternalizzano a livello internazionale possono ottenere notevoli riduzioni dei costi, perlopiù grazie al minor costo della manodopera. A più lungo termine, esse potranno anche disporre di nuova manodopera qualificata sia direttamente, attraverso le proprie strutture estere, sia indirettamente dai fornitori locali, attraverso l'esternalizzazione internazionale. Generalmente, nel caso delle imprese che hanno sede in paesi europei con un mercato del lavoro molto regolamentato, le sedi estere, a volte, consentono altresì di gestire il livello della manodopera in modo più flessibile. L'esternalizzazione di un'attività all'estero può essere il punto di partenza per l'ingresso in ottimi nuovi mercati. Grazie a tali siti di produzione in loco le imprese europee possono produrre beni e servizi a costi che ne permettono la vendita nei paesi con bassi livelli retributivi.

8.2.2.

I paesi europei che forniscono prodotti e servizi delocalizzati all'estero o esternalizzati a livello internazionale

Con l'adesione di 12 nuovi Stati membri tra il 2004 e il 2007, l'Unione europea conta ora parecchi grandi fornitori di prodotti e servizi delocalizzati all'estero o esternalizzati a livello internazionale. Tuttavia, anche alcuni Stati membri dell'UE-15, e specialmente l'Irlanda, hanno beneficiato del fatto di essere dei «siti di produzione offshore». I vantaggi per i paesi fornitori sono evidenti: a breve termine, i nuovi posti di lavoro e gli investimenti e, più a lungo termine il trasferimento di tecnologie e di competenze alle popolazioni locali come conseguenza della decisione dell'impresa di delocalizzare all'estero e di esternalizzare a livello internazionale.

8.2.3.

Gli utenti di prodotti e servizi delocalizzati all'estero o esternalizzati a livello internazionale

I consumatori finali di tali prodotti e servizi possono beneficiare di prezzi inferiori. Si è stimato, ad esempio, che la diminuzione del prezzo dei semiconduttori e dei chip di memoria negli anni Novanta fosse dovuta per il 10-30 % alla globalizzazione dell'industria dell'hardware. I consumatori possono anche beneficiare di orari di apertura più lunghi per molti settori di servizi e avere ad esempio la possibilità di telefonare al call center di una determinata azienda situato a Bangalore dopo le ore 17.00 (ora GMT). A seconda della portata della delocalizzazione all'estero e dell'esternalizzazione internazionale rispetto al volume complessivo di attività, la diminuzione dei prezzi comprimerà l'inflazione, portando così a un aumento del potere d'acquisto.

8.3.   I vinti

8.3.1.

I lavoratori europei che perdono il posto a causa delle delocalizzazioni all'estero e delle esternalizzazioni a livello internazionale

I lavoratori che perdono il posto a causa di questi due fenomeni sono chiaramente i primi a pagarne le conseguenze. In questo caso, a perdere il posto di lavoro è un gruppo duramente colpito, ma relativamente ristretto rispetto al gruppo molto più vasto e vario di coloro che escono vincitori dalla delocalizzazione all'estero e dall'esternalizzazione internazionale, ma che (ad eccezione eventualmente delle imprese) traggono vantaggi relativamente modesti a livello individuale. Questa asimmetria tra vincitori e vinti fa sì che il dibattito politico-economico sulla delocalizzazione internazionale abbia molto in comune con la maggior parte degli altri dibattiti sul libero scambio e sulla concorrenza nelle importazioni. Con il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione creato dal Consiglio su insistenza della Commissione, l'UE dispone di uno strumento per aiutare questo gruppo di persone, seppur con mezzi limitati.

8.3.2.

Le imprese europee che non sono in grado di adottare le «migliori pratiche» in materia di delocalizzazione all'estero e di esternalizzazione a livello internazionale

Attualmente, il problema fondamentale per l'Europa è la debole crescita della produttività. Con l'accelerarsi della globalizzazione, per un numero sempre maggiore di settori produttivi le strategie di delocalizzazione all'estero e di esternalizzazione internazionale sono una condizione sine qua non per restare competitive. Parallelamente, le imprese che non sono in grado di ristrutturare le proprie attività mediante la delocalizzazione o esternalizzazione internazionale di determinati fattori produttivi intermedi o di determinate attività accuseranno svantaggi competitivi nei confronti dei concorrenti comunitari ed extracomunitari che sono in grado di farlo. Ciò significa che tali imprese rischiano di avere una crescita minore e, da ultimo, anche di essere espulse dal mercato, oppure di essere costrette a delocalizzare tutta la loro produzione fuori dal paese d'origine. In entrambi i casi si perderà probabilmente un numero di posti di lavoro maggiore di quelli che sarebbero stati soppressi decidendo prima il trasferimento e l'esternalizzazione all'estero.

9.   Necessità di intervento e raccomandazioni

9.1.

In passato il Comitato si è pronunciato più volte sul tema del commercio mondiale e della globalizzazione in generale (4), da ultimo nel parere sul tema Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione (REX/228 — relatore: MALOSSE), nel quale ha caldeggiato fra l'altro una strategia comune di fronte alla globalizzazione, uno Stato di diritto planetario, un'apertura equilibrata e responsabile degli scambi, un'accelerazione dell'integrazione e una globalizzazione dal volto umano.

9.1.1.

Anche dal punto di vista dello sviluppo (nel complesso positivo per l'UE) degli scambi di prodotti intermedi è opportuno che l'UE adotti un atteggiamento positivo e attivo nei confronti della libertà degli scambi a livello mondiale e una strategia attiva in materia di globalizzazione, fermo restando che occorrerà prestare la massima attenzione sia alla ripartizione dei benefici che ne derivano sia al dibattito politico. In tale contesto, l'UE deve adoperarsi a favore di condizioni eque e di uno sviluppo sostenibile (sul piano economico, sociale e ambientale) del commercio mondiale.

9.1.2.

La politica commerciale dell'UE deve puntare maggiormente al miglioramento degli standard sociali e ambientali in tutto il mondo e ad adottare un approccio che sappia conciliare la solidarietà con gli interessi individuali e dal quale tutti possano trarre beneficio. È necessario ridurre ulteriormente le barriere non tariffarie agli scambi soprattutto nei casi in cui le imprese europee siano discriminate. Circa l'esternalizzazione internazionale, il Comitato sottolinea la propria richiesta di una migliore tutela della proprietà intellettuale.

9.1.3.

L'attuale dibattito sul cambiamento climatico, l'emissione di gas a effetto serra e lo sviluppo sostenibile porterà sempre più a vedere sotto una luce diversa molti aspetti della globalizzazione, compreso il commercio. I paesi in via di sviluppo desiderano già un'assistenza maggiore (sviluppo di capacità) per quanto riguarda l'uso delle tecnologie più pulite. Maggiore attenzione verrà riservata a un uso dei mezzi di trasporto più ecologico e più efficiente sul piano energetico, specialmente per quanto riguarda il trasporto marittimo (se possibile). Le considerazioni ambientali avranno un peso maggiore nelle decisioni relative alla futura ubicazione degli impianti di produzione e alla successiva distribuzione delle merci. Il Comitato esorta pertanto la Commissione ad effettuare studi specifici, qualora non lo stia già facendo, sugli aspetti commerciali del dibattito generale sul cambiamento climatico.

9.2.

L'UE dovrebbe anzitutto essere cosciente dei propri punti forti e svilupparli. Spesso proprio i settori a media tecnologia menzionati più sopra sono caratterizzati da un'elevata capacità di innovazione. È necessario tuttavia effettuare anche investimenti (materiali e immateriali) in settori nuovi. Il Settimo programma quadro (2007-2012) indica alcune possibilità al riguardo. È opportuno proseguire ulteriormente e più attivamente su questa strada (5).

9.3.

Considerato lo sviluppo spettacolare verificatosi soprattutto nel campo dell'esternalizzazione internazionale, si rendono urgenti altre analisi differenziate (per settore, o su base regionale), tanto più che lo studio citato nel presente parere fornisce solo un quadro molto generale e non prende in considerazione gli sviluppi più recenti.

9.3.1.

Gli ultimi allargamenti hanno creato nuove opportunità di esternalizzazione verso i nuovi Stati membri. Ciò richiede un'analisi attenta, perché in questo caso sia i vincitori sia i vinti appartengono all'UE. Se riteniamo che l'esternalizzazione internazionale verso i nuovi Stati membri e quelli futuri possa contribuire positivamente alla strategia di coesione, è logico analizzare gli effetti sul futuro orientamento degli strumenti finanziari dell'UE.

9.3.2.

Non esistono, d'altra parte, nemmeno studi dettagliati in merito agli altri effetti dell'esternalizzazione su occupazione e qualifiche.

9.3.3.

Il Comitato raccomanda alla Commissione di procedere a tali analisi, che dovrebbero anche includere i possibili scenari a medio e breve termine, coinvolgendo anche gli attori interessati. Dai sondaggi condotti tra i responsabili delle decisioni all'interno delle imprese emerge un quadro a volte diverso da quello offerto dalle statistiche sul commercio.

9.3.4.

Le analisi da svolgere possono anche rientrare nelle valutazioni settoriali effettuate nel quadro della nuova politica industriale e potrebbero servire da base di discussione nel quadro del dialogo sociale settoriale, che in tal modo disporrebbe di un ulteriore strumento per affrontare e anticipare i cambiamenti (a questo proposito si vedano altri pareri della CCMI e del CESE).

9.4.

Le risposte fondamentali alle sfide poste all'Europa dall'integrazione del commercio mondiale e dalla crescente delocalizzazione internazionale della produzione europea si trovano nella strategia di Lisbona. A tale proposito, la CCMI sottolinea che i seguenti punti sono decisivi per un'Europa competitiva e capace di rispondere alla globalizzazione:

completare e rafforzare il mercato interno,

promuovere l'innovazione,

stimolare l'occupazione.

9.4.1.

L'ulteriore sviluppo e l'ampliamento del mercato interno al fine di ottimizzare la libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali contribuirà in misura rilevante a rafforzare la concorrenza, dando così impulso alle imprese, all'innovazione e alla crescita.

9.4.2.

Il mercato interno potrà essere realizzato appieno solo quando la legislazione, una volta recepita effettivamente e correttamente, sarà entrata in vigore. La Commissione e il Consiglio devono garantire che gli Stati membri non ritardino questo processo.

9.4.3.

Per poter competere nel mercato globale l'Unione europea deve necessariamente sviluppare le tecnologie e attirare l'innovazione. Ciò permetterà di aumentare il numero dei posti di lavoro altamente qualificati nell'UE, migliorandone l'attrattiva per le imprese e gli investimenti.

9.4.4.

Per contribuire a promuovere l'innovazione, la procedura di brevettazione dev'essere semplice e avere costi ragionevoli. Attualmente un brevetto che offra una copertura paneuropea delle invenzioni è notevolmente più costoso e complicato del brevetto statunitense. È dunque necessario introdurre un brevetto comunitario efficace sotto il profilo dei costi.

9.4.5.

Occorre uno sforzo concertato per raggiungere quanto prima l'obiettivo del 3 % del PIL fissato a Lisbona per le spese nazionali destinate alla ricerca e allo sviluppo. Come dimostrano le Cifre chiave della scienza, della tecnologia e dell'innovazione pubblicate dalla Commissione l'11 giugno 2007, i ritardi registrati nella realizzazione di tale obiettivo sono dovuti per l'85 % agli scarsi investimenti delle imprese. Per ottenere un'alta intensità di R&S occorre invece un forte impegno del settore privato, accompagnato da ingenti investimenti pubblici. Il settore pubblico dell'UE (vale a dire gli Stati membri) deve quindi continuare ad investire nella R&S per sviluppare le attività di R&S del settore privato. I governi dovrebbero inoltre adottare una politica di finanziamento innovativa per promuovere gli investimenti nella R&S.

9.4.6.

Gli investimenti nelle TIC promuoverebbero l'efficienza dell'amministrazione e renderebbero più veloci i collegamenti tra i consumatori e i mercati in Europa. In tale contesto, lo sviluppo di una rete globale di connessioni Internet a banda larga deve costituire una priorità.

9.5.

In questo processo la politica dell'occupazione presenta un'importanza particolare. Occorre trovare una nuova possibilità di occupazione per chi perde il posto di lavoro in seguito all'esternalizzazione internazionale, ferma restando la necessità di mantenere i requisiti relativi alle qualifiche e all'adattabilità dei lavoratori. In effetti, quelli che incontrano sempre maggiori difficoltà a ritrovare un impiego sono soprattutto i lavoratori disoccupati a causa dell'esternalizzazione. Fino a pochi anni fa, generalmente, era possibile trovare un nuovo posto in 3 o 4 mesi. Oggi la ricerca può durare degli anni, poiché il numero delle attività produttive ad alta intensità di manodopera esternalizzate cresce sempre più e non vengono praticamente offerte alternative adeguate. Per la competitività economica dell'Europa è cruciale una manodopera flessibile, motivata e con una solida formazione.

9.5.1.

Anche in questo contesto, il Comitato ribadisce pertanto le conclusioni del rapporto Kok (6) per quanto riguarda:

una migliore capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese, che aumenta le loro possibilità di anticipare il cambiamento,

l'integrazione di un numero maggiore di lavoratori nel mercato del lavoro,

investimenti più cospicui ed efficaci nel capitale umano.

9.5.2.

In un mondo in rapida evoluzione, le tecnologie introdotte risultano rapidamente superate. I governi europei devono garantire che i loro cittadini sappiano adattarsi a questo nuovo contesto, onde assicurare che tutti abbiano delle opportunità. Occorrono con urgenza politiche sociali e del mercato del lavoro moderne, finalizzate a promuovere le opportunità e l'occupabilità mediante il trasferimento di qualifiche e l'adozione di misure che promuovano le capacità di adattamento, di riqualificazione e di mobilità geografica della manodopera. Per realizzare questo ambizioso compito è fondamentale che gli Stati membri mettano a punto ed attuino politiche nazionali di istruzione e di formazione professionale che poggino sugli investimenti nell'istruzione e nell'apprendimento continuo, allo scopo di fornire ai cittadini gli strumenti necessari per adattarsi ai cambiamenti e a nuovi settori che presentano vantaggi comparativi. Come sottolineato nell'agenda di Lisbona, andrebbero previste fra l'altro «nuove competenze di base (…): competenze in materia di tecnologie dell'informazione, lingue straniere, cultura tecnologica, imprenditorialità e competenze sociali».

9.6.

Oltre ad assicurare la qualificazione dei lavoratori è però anche molto importante evitare che l'esternalizzazione internazionale provochi un'ulteriore perdita di know-how. Occorre mantenere un contesto idoneo a fare dell'Europa un polo d'attrazione per la R&S. A tal fine è necessario ripensare il ruolo delle università (e soprattutto delle facoltà scientifiche e tecniche), la loro interconnessione a livello europeo e la loro cooperazione con il settore privato.

9.7.

La competitività dell'Europa sarà fondata anzitutto su un'economia innovativa basata sulla conoscenza e su un modello sociale solidale caratterizzato da una forte coesione. L'Europa non può mettersi in concorrenza sulla base di standard sociali o ambientali di basso livello.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Karel Havik e Kierian McMorrow: Global trade integration and outsourcing: How well is the EU coping with the new challenges, in: Economic Papers n. 259.

(2)  La «containerizzazione» è un sistema intermodale utilizzato per trasportare merci varie o prodotti in lotti utilizzando container standard ISO. Le merci possono essere trasportate facilmente da una località all'altra in tali container, che possono essere imbarcati su navi mercantili apposite, le portacontainer, trasportati con autocarri, per ferrovia, con autoveicoli o in aereo. La containerizzazione è considerata l'innovazione più importante nel campo della logistica, che ha rivoluzionato la movimentazione delle merci nel XX secolo e ha ridotto drasticamente i costi di spedizione.

(3)  Siti di produzione economici in cui spesso vengono lavorati anche prodotti costosi ad alta tecnologia e utilizzate conoscenze provenienti dagli Stati Uniti o dall'Europa hanno fatto sì che prodotti come i computer o i telefoni cellulari vengano commercializzati a prezzi abbordabili e possano quindi essere acquistati da un'ampia fascia di consumatori.

(4)  

REX/182 — La dimensione sociale della globalizzazione, del marzo 2005,

REX/198 — Preparazione della Sesta conferenza ministeriale dell'OMCPosizione del CESE, dell'ottobre 2005,

SOC/232 — Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche, del settembre 2006,

REX/228 — Sfide e opportunità per l'Unione europea nel contesto della globalizzazione, del maggio 2007.

(5)  Cfr. il parere INT/269 — 7o programma quadro di RST, del dicembre 2005.

(6)  Rapporto della task force per l'occupazione, presieduta da Wim Kok, novembre 2003.

La task force ha iniziato i lavori nell'aprile 2003 e ha presentato la propria relazione alla Commissione il 26 novembre 2003. La Commissione e il Consiglio hanno ripreso le conclusioni del rapporto Kok nella propria relazione comune sull'occupazione elaborata in vista del Consiglio europeo di primavera del 2004, nella quale si conferma la necessità di un intervento decisivo degli Stati membri sulla base degli orientamenti proposti dalla task force.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I diritti del paziente

(2008/C 10/18)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere su: «I diritti del paziente».

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BOUIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Motivazione e raccomandazioni

1.1.

Ormai da molti anni i paesi europei e la Comunità europea studiano la questione dei diritti delle persone che ricorrono ai servizi sanitari, e hanno adottato delle carte dei diritti o veri e propri quadri legislativi che consentono loro di affermare tali diritti (1). Ovviamente, questi ultimi dipendono in larga misura dalla qualità del sistema sanitario e dall'organizzazione dell'assistenza. Il loro rispetto è tuttavia anche funzione del comportamento e della cooperazione dei professionisti sanitari e dei pazienti stessi: in questo ambito si possono pertanto prevedere miglioramenti in tempi brevi.

1.1.1.

Nel 2002, è stata proposta da Active Citizenship Network una carta europea dei diritti del malato. Tali diritti, che si fondano sulla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (articolo 35), sono importanti ai fini dei rapporti tra i cittadini europei e i rispettivi sistemi sanitari. Una ricerca condotta da organizzazioni di cittadini in 14 paesi dell'Unione ha tuttavia dimostrato che il livello di tutela dei diritti stessi varia notevolmente da un paese all'altro. Questa situazione di fatto mette in discussione l'impegno della Commissione europea per garantire a tutti i cittadini europei, in base al principio di solidarietà, un accesso effettivo ai servizi sanitari.

1.1.2.

Attualmente si assiste ad un'evoluzione delle politiche pubbliche volta ad incoraggiare una sempre maggiore partecipazione dei cittadini, con lo sviluppo, in vari paesi europei, di appositi metodi di partecipazione: si pensi ad esempio alle conferenze di consenso danesi, alle giurie cittadine istituite in diversi Stati europei, agli Stati generali, ecc. Il Consiglio d'Europa e il Parlamento europeo promuovono d'altronde gli approcci partecipativi di questo genere.

1.1.3.

Viste la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la comunicazione della Commissione dal titolo Consultation concernant une action communautaire dans le domaine des services de santé (Consultazione su un'azione comunitaria nel settore dei servizi sanitari) la dichiarazione del Consiglio Salute del 1o giugno 2006 sui valori e principi comuni dei sistemi sanitari dell'Unione europea, la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia di mobilità dei pazienti, la relazione del Parlamento europeo sulla mobilità dei pazienti e l'evoluzione delle cure sanitarie nell'Unione europea, e la risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2007, il CESE invita la Commissione ad adottare iniziative che consentano l'attuazione di una politica sanitaria rispettosa dei diritti del paziente. A tal fine è necessario:

passare in rassegna, in modo comparativo, le norme giuridiche e deontologiche applicate in ciascuno Stato membro dell'Unione e analizzarle,

formulare nel modo più appropriato la linea di condotta comunitaria applicabile in questo ambito,

pianificare la valutazione relativa all'attuazione dei testi e delle politiche adottate in materia,

diffondere i risultati di tali lavori tra i responsabili nazionali e i rappresentanti delle varie categorie socioprofessionali e di utenti interessate,

istituire una giornata europea dei diritti del paziente.

1.1.4.

Il Comitato economico e sociale europeo ha pertanto deciso di affrontare la questione dei diritti dei pazienti per attirare l'attenzione delle istituzioni europee sulla necessità di rispettare tali diritti (con particolare riferimento al diritto dei cittadini alla mobilità tra i 27 Stati membri dell'Unione e al diritto alle pari opportunità in materia di prestazioni di qualità sia nel paese di origine che in quello di accoglienza), soprattutto per promuoverne l'attuazione concreta in tutti gli Stati membri della Comunità europea. D'altronde, la riaffermazione di questi diritti implica un cambiamento nelle relazioni quotidiane tra l'insieme dei professionisti e delle strutture sanitarie e i pazienti.

1.1.5.

Le domande poste richiedono spesso una riflessione etica e a esse si risponde in funzione del sistema politico e sociale del paese interessato. Malgrado le disparità legate all'organizzazione dei rispettivi sistemi sanitari e la varietà dei dibattiti in materia, si può tuttavia rilevare, in tutti i paesi europei, un'evoluzione molto simile delle problematiche legate alla salute e una tendenza generale ed ineluttabile verso l'affermazione dei diritti della persona che ricorre a cure mediche.

1.2.

Si constata in effetti un evolvere delle esigenze e delle aspettative della popolazione in materia di salute e, al di là del sistema sanitario propriamente detto, un'aspirazione a livello politico a dare sempre più voce in capitolo ai singoli individui.

1.3.

I progressi della medicina e la creazione di sistemi di protezione sociale hanno portato, a livello mondiale, a una transizione epidemiologica che si è tradotta in una diminuzione dell'assistenza di breve durata e, per contro, in un aumento delle malattie croniche, fenomeno che si è accentuato con l'invecchiamento della popolazione. L'assistenza ai malati cronici comporta cure di lunga durata: i malati stessi acquisiscono così, attraverso la loro duplice esperienza di vittime della malattia e di utenti del sistema sanitario, delle conoscenze in materia.

1.4.

La diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione, e in particolare lo sviluppo di Internet, ha ulteriormente accentuato l'informazione dei pazienti, accrescendone altresì la capacità di relazionarsi e confrontarsi con i professionisti sanitari. Nel caso di certe patologie, le persone posseggono una conoscenza approfondita della loro malattia, di cui bisogna tenere conto e che merita di essere presa in considerazione dai professionisti sanitari.

1.5.

In linea generale, le aspettative dei pazienti nei confronti dei professionisti sanitari non si limitano agli aspetti tecnici della cura, ma vertono anche sulla dimensione relazionale e umana.

1.6.

Infine, la convivenza con una malattia di lunga durata e/o una disabilità dà luogo, nelle persone interessate, a nuove necessità e a nuove attese. L'obiettivo dell'assistenza sanitaria è pertanto cambiato: non si tratta più di guarire a tutti i costi, quanto di permettere al malato di «conviver»e con la malattia, con una concentrazione costante sulla lotta contro il dolore.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, si può affermare che i malati diventano sempre più protagonisti, con aspettative e bisogni nuovi, dell'assistenza che viene loro fornita.

1.7.

Questa evoluzione delle esigenze e delle aspettative dei singoli nei confronti dei servizi di assistenza loro forniti si inquadra in un'evoluzione più profonda della società, che tende a promuovere un modello basato sull'autonomia della persona e sull'affermazione dei suoi diritti.

1.8.

Tutti questi fattori consentono di concludere che il rapporto di tipo paternalistico tra medico e paziente è oramai superato. Ciò significa che va ripensata la posizione del paziente rispetto al sistema e che vanno affermati ed attuati nuovi diritti e nuovi doveri.

1.9.

Questo parere è incentrato sui diritti dei pazienti, ossia delle persone che utilizzano il sistema sanitario, siano esse da considerare sane o malate sulla base della definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità.

2.   Il contesto

2.1.

L'evoluzione della medicina, oltre che il mutare delle esigenze in materia di salute e delle aspettative delle persone, porta ormai a considerare la persona nel suo contesto di vita: questo implica un interesse nei confronti non solo dell'individuo, ma anche del suo ambiente familiare e persino professionale e relazionale. Aiutare il malato a convivere con la malattia significa tenere conto delle varie dimensioni che concorrono alla qualità della vita, e questo è possibile solo con l'intervento di una molteplicità di professionisti che va ben oltre il solo corpo medico.

2.2.

Anche se il medico conserva un ruolo preponderante nel seguire il malato, occorre integrare la nozione di colloquio approfondito nel funzionamento del sistema, vale a dire articolandola con l'insieme dei professionisti del settore sanitario e medico-sociale.

2.2.1.

Dato che il paziente si affida ai professionisti del mondo sanitario, il medico e il personale curante ne devono studiare con attenzione il comportamento, in modo da potere adeguare di volta in volta le loro parole, le cure e le relative spiegazioni. La comunicazione avviene al tempo stesso attraverso l'ascolto, lo scambio verbale e le cure, consentendo in tal modo di costruire una relazione solida, elemento assolutamente necessario per combattere la malattia.

2.2.2.

Affrontando tali questioni, la medicina deve pertanto elaborare una vera e propria pratica sociale e, al di là dell'indispensabile atto medico effettuato con il necessario rigore, rispondere alla richiesta dei cittadini di un trattamento globale personalizzato in funzione delle esigenze del singolo paziente.

2.2.2.1.

Il personale sociosanitario deve svolgere nei confronti del paziente un ruolo di consigliere, senza tuttavia sottrarlo alle sue responsabilità: deve curarlo, informarlo e sostenerlo, mettendo a punto una strategia terapeutica basata sulla diagnosi dei sintomi e sul rapporto con l'interessato. È pertanto del tutto legittimo chiedere ai professionisti sanitari di ascoltare i pazienti individualmente, per poter proporre di volta in volta la cura più adatta non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello psicologico.

2.2.3.

L'esito della battaglia per vincere la malattia e per individuare la migliore cura possibile dipende in grande misura dai legami che si stabiliscono tra il paziente e i professionisti sanitari. Tale battaglia è altrettanto importante sia per il personale curante che per il paziente e impone degli spazi di mediazione per poter far fronte, da un lato, agli obblighi sociali del paziente stesso (vita professionale, aspetti finanziari, riconoscimento dei diritti, ecc.) e, dall'altro, agli impegni della sua vita affettiva e familiare. A tale riguardo, i familiari e le associazioni di pazienti svolgono un ruolo di importanza fondamentale.

2.3.

Appare dunque del tutto evidente l'utilità di un dialogo tra le associazioni di pazienti e quelle dei professionisti sanitari.

2.3.1.

Diverse persone lamentano la perdita di fiducia derivante dalla scomparsa del colloquio approfondito nella sua accezione tradizionale. Ora, questa evoluzione segna piuttosto il passaggio da una fiducia cieca a una fiducia costruita sulla base di un processo di incontro e di scambio tra la persona, i suoi cari e i professionisti sanitari.

3.   Diritti imprescrittibili

3.1.

L'affermazione dei diritti dei pazienti si inscrive nel quadro dei diritti dell'uomo e ha l'obiettivo, sul lungo termine, di promuoverne l'autonomia: ecco perché questi diritti sono spesso interconnessi. La carta europea dei diritti del paziente, redatta nel 2002 dalla rete di organizzazioni civiche europee Active Citizenship Network, sancisce 14 diritti, che il CESE accoglie con favore e riconosce. Secondo il CESE, tre di questi diritti sono orizzontali o preliminari ad altri.

3.2.   Il diritto all'informazione

3.2.1.

L'informazione riguarda innanzitutto il paziente oggetto di cure e deve essere incentrata sulla malattia, sulla sua possibile evoluzione, sulle diverse cure possibili (con i relativi vantaggi e rischi), sulle caratteristiche delle strutture e dei professionisti che dispensano tali cure, e sull'impatto che malattia e cure possono avere sulla vita del malato. Questo aspetto è di importanza fondamentale specie nei casi di malattia cronica, di dipendenza, di disabilità e di cure di lunga durata: si tratta infatti di situazioni che comportano una riorganizzazione della vita quotidiana della persona e dei suoi cari.

3.2.1.1.

La prevenzione è un elemento fondamentale per migliorare la situazione sanitaria della popolazione. Occorre pertanto sviluppare campagne di informazione/sensibilizzazione, creando al tempo stesso strutture in grado di effettuare gli esami necessari e impianti di cura adeguati.

3.2.2.

L'informazione non è un fine in sé, ma un mezzo per consentire alla persona di operare delle scelte libere e informate: ecco perché le modalità di trasmissione dell'informazione sono importanti quanto l'informazione stessa, e si inquadrano in un processo che mobiliterà diverse fonti d'informazione (tra cui Internet e le linee d'assistenza telefonica delle associazioni) e nel cui ambito il paziente interagirà con numerosi professionisti, ognuno con il suo ruolo particolare da svolgere. Un elemento fondamentale dell'informazione è la sua trasmissione orale: il medico deve accertarsi in maniera periodica del livello di comprensione e di soddisfazione del suo paziente.

3.2.3.

D'altra parte, il processo di informazione deve tenere conto anche dei famigliari del paziente, chiunque egli sia, e a maggior ragione se si tratta di un bambino o di una persona anziana non autonoma: è ovvio comunque che il livello d'informazione dei famigliari dipende dallo stato di salute e dalla capacità del paziente di prendere decisioni in maniera autonoma.

3.2.3.1.

Ciascun paziente deve essere informato nella propria lingua, tenendo conto delle sue eventuali incapacità specifiche.

3.2.4.

Per essere valido, l'assenso deve essere informato e l'accettazione dei rischi basarsi su elementi concreti. L'informazione resta comunque sempre il risultato di un colloquio approfondito tra medico e paziente, nel quale devono essere presi in considerazione unicamente gli interessi e il benessere del paziente.

3.2.5.

Questo accesso all'informazione personalizzata è una tappa indispensabile nel cammino verso la riduzione delle disuguaglianze per quanto riguarda i disturbi, le malattie e il livello di assistenza fornita, nonché verso un migliore accesso al sistema sanitario per tutti i cittadini.

È auspicabile che i dati riguardanti lo stato di salute della persona interessata, gli approcci diagnostici e terapeutici messi in campo e i relativi risultati siano resi disponibili in un'apposita «cartella sanitaria». Anche l'accesso a tale cartella direttamente da parte del paziente oppure, se quest'ultimo lo desidera, con l'intermediazione del medico di sua scelta, fa parte del processo di informazione e di emancipazione del paziente stesso. Gli sforzi intesi a garantire maggiori informazioni e trasparenza devono tuttavia essere regolati da un quadro giuridico adeguato, per far sì che la raccolta di dati medici non sia utilizzata per scopi diversi da quelli previsti. Per quanto concerne i dati in formato elettronico e, se del caso, anche quelli diffusi oltrefrontiera, è particolarmente importante esercitare un controllo molto accurato sul modo in cui vengono utilizzati.

3.2.6.

È essenziale sviluppare l'informazione sul sistema sanitario per renderla più comprensibile e trasparente. In effetti, una molteplicità di soggetti come quella che caratterizza i nostri sistemi attuali può, in alcuni casi, rafforzare l'autonomia dei pazienti ma, in altri, renderli invece fortemente dipendenti dal loro medico, in funzione del loro livello di conoscenza e di comprensione del sistema. Si corre così il rischio che gli utenti avanzino rivendicazioni fuori luogo.

3.3.   Il diritto al consenso libero e informato

3.3.1.

Il diritto al consenso libero e informato riguarda l'affermazione del diritto del malato di partecipare alle decisioni che lo riguardano personalmente. Questo non comporta un trasferimento della responsabilità dal medico al paziente, ma significa piuttosto che l'interazione tra i due soggetti deve essere considerata in una prospettiva di alleanza terapeutica, in cui ciascuno mantiene il proprio ruolo, i propri diritti e la propria sfera di responsabilità.

3.3.1.1.

Il consenso del paziente non si applica sistematicamente a tutti gli atti medici futuri, ma deve essere rinnovato prima di qualsiasi atto medico o chirurgico importante.

Il consenso del paziente debitamente informato deve essere esplicito, ovvero espresso in maniera concreta. Una volta informato, il paziente può accettare o rifiutare il trattamento che gli viene proposto.

Per quanto riguarda la donazione di organi da parte di una persona vivente, occorre essere particolarmente attenti a fornire un'informazione adeguata sui rischi dell'operazione.

3.3.1.2.

Nella sperimentazione di nuove terapie valgono i medesimi principi applicabili sia alla richiesta di consenso per cure mediche che alla stessa ricerca medica. La libertà del paziente va rispettata e tali principi devono convergere verso un unico obiettivo: la condivisione della responsabilità e della fiducia.

3.3.1.3.

Quanto alla sperimentazione clinica, sia nel caso di soggetti abili che negli altri casi, essa necessita di un particolare approccio pedagogico. In ogni caso, la sperimentazione deve rispondere a criteri ben precisi e può essere contemplata unicamente a condizione che il paziente abbia manifestato il desiderio di collaborare, dando prova del proprio consenso incondizionato.

3.3.1.4.

Per le situazioni di emergenza si possono prevedere deroghe a questa regola: il consenso può essere semplicemente presunto, e venire confermato una volta che il paziente abbia recuperato la capacità di intendere e di volere.

3.3.1.5.

Il paziente deve avere la possibilità di designare qualcuno che lo rappresenti nel caso in cui si trovi successivamente nell'impossibilità di esprimere le proprie preferenze.

3.3.1.6.

Anche un paziente bambino o minore, a condizione di dimostrare di possedere una certa autonomia personale o un'adeguata capacità di intendere e di volere, deve essere consultato prima di essere sottoposto ad atti medici non invasivi. Un tale approccio, infatti contribuisce all'educazione sanitaria già in età precoce e può sdrammatizzare certe situazioni e migliorare la collaborazione del giovane paziente.

3.4.   Il diritto alla dignità

3.4.1.

Per diritto alla dignità si deve intendere il diritto alla riservatezza, quello di beneficiare di cure per il trattamento del dolore, quello a una morte dignitosa e alla protezione dell'integrità fisica, il principio del rispetto della vita privata e quello di non discriminazione.

3.4.1.1.

Ciascun cittadino ha diritto non solo alla riservatezza delle informazioni riguardanti il suo stato di salute, la diagnosi formulata e le modalità di cura, ma anche al rispetto della sua intimità durante gli esami, le visite e le cure mediche e chirurgiche. In nome di questo diritto fondamentale, il paziente deve essere trattato con riguardo e non deve subire parole o atteggiamenti denigratori da parte degli operatori sanitari.

3.4.1.2.

La malattia, la disabilità e la dipendenza fragilizzano le persone: quanto più esse si sentono deboli, tanto meno si sentono capaci di esigere un minimo di rispetto nei propri confronti. Spetta quindi ai professionisti sanitari rispettare con un'attenzione speciale tali persone, rese particolarmente vulnerabili dalla malattia e/o disabilità.

3.4.1.3.

Nel rispetto delle persone rientra anche la considerazione del tempo dedicato alla visita medica, all'ascolto della persona, alla spiegazione della diagnosi e della cura, sia negli ambulatori cittadini che in ospedale. Questo investimento in termini di tempo consente di rafforzare l'alleanza terapeutica e di guadagnare tempo in altri momenti. La qualità dell'assistenza è anche una questione di tempo.

3.4.1.4.

Questo vale forse ancora di più nel caso di persone su cui già pesa la mancanza di riconoscimento sociale: le persone anziane, quelle in situazioni di precarietà sociale, e quelle affette da disabilità fisiche, psichiche o mentali.

3.4.1.5.

Qualora il malato sia in fin di vita o sottoposto a cure particolarmente pesanti, occorre essere ancora più vigili. Per assicurare il rispetto della persona e il diritto ad una morte dignitosa è necessario fornire un accesso generalizzato alle cure palliative volte ad alleviare il dolore e a salvaguardare una certa qualità di vita, garantendo il diritto del paziente a vedere le sue scelte rispettate fino alla fine. Questo comporta, in particolare, l'attuazione di disposizioni, come la designazione di una persona di fiducia, per assicurare che il malato possa esprimere la sua volontà.

3.4.1.6.

Per assicurare il trattamento del dolore è necessario creare strumenti efficaci e consentire l'accesso alle strutture specializzate; occorre pertanto migliorare l'informazione e la formazione dei professionisti sanitari, nonché l'informazione fornita ai pazienti e ai loro famigliari. La posta in gioco è infatti il diritto di ciascuno di noi di ricevere le cure necessarie per alleviare il dolore.

3.4.1.7.

Il rispetto dovuto alla persona non deve venir meno neppure dopo la morte. Questo significa che il decesso di un paziente ricoverato deve sempre comportare un accompagnamento psicologico della famiglia e dei professionisti sanitari che hanno seguito il malato fino alla fine. È inoltre necessario garantire il rigoroso rispetto delle volontà e delle convinzioni del defunto.

3.5.

Diversi altri diritti individuali devono essere attuati nel quadro di un'iniziativa di sanità pubblica: essi richiedono infatti una risposta del sistema nella sua struttura attuale.

3.5.1.

Il diritto all'accesso generalizzato alle cure non significa solamente un accesso ai diritti e alla protezione sociale, ma anche un accesso diretto a tutti i servizi e professionisti sanitari, senza discriminazioni dovute alla situazione sociale o economica della persona che vi ricorre. Quella che si raccomanda non è l'apertura del mercato della sanità, bensì una politica volontaristica in materia di sanità pubblica, dato che l'attuazione concreta di questo diritto differisce notevolmente da un paese all'altro, in funzione delle responsabilità assunte e delle modalità di finanziamento sviluppate nei vari paesi.

3.5.2.

Per quanto riguarda il diritto a cure di qualità, qualsiasi persona, in funzione del suo stato di salute, ha il diritto di ricevere le cure più adeguate, di essere sottoposta alle terapie più efficaci disponibili e di essere curata con i medicinali che offrono il rapporto costo/efficacia migliore (promozione dei farmaci generici). Il diritto a cure di qualità comporta inoltre il diritto agli esami di accertamento e alla formazione terapeutica, il che richiede un investimento in termini di mezzi e di risorse finanziarie e la disponibilità di un numero sufficiente di professionisti sanitari adeguatamente formati.

3.5.3.

Quanto al diritto alla prevenzione e a quello alla sicurezza delle cure, i cittadini chiedono che il sistema sanitario si organizzi intorno alle persone e sia al loro servizio. Vogliono comprendere meglio le strategie terapeutiche che vengono loro proposte, partecipare a uno sforzo di prevenzione che è al tempo stesso personale e collettivo, e venire rassicurati sul fatto che le scelte della società, i comportamenti e i consumi non sono dannosi per la salute.

4.   Raccomandazioni per l'attuazione dei diritti dei pazienti

4.1.

Numerosi professionisti sanitari, pazienti, responsabili delle politiche sanitarie e diverse associazioni di utenti si interrogano sull'affermazione e sull'attuazione dei diritti dei pazienti. È urgente risolvere l'antinomia tra diritti degli uni e doveri degli altri, ricordando tra l'altro che il rispetto dei diritti dei pazienti consente di condividere e riequilibrare il fardello dei doveri e delle responsabilità dei professionisti sanitari.

4.1.1.

Il corpo medico, dato che non prende più da solo delle decisioni che mettono in gioco il futuro delle persone, non se ne deve più assumere da solo l'intera responsabilità.

4.2.

Per il bene di tutti, diventa una responsabilità collettiva il fatto di aiutare i professionisti a rispondere a queste attese:

integrando la loro formazione sugli aspetti etici e sul rispetto della persona e dei suoi diritti, per fare sì che ne comprendano le rispettive dinamiche e gli elementi costitutivi e che non considerino il rispetto dei diritti dei pazienti come un vincolo ulteriore,

creando luoghi di dibattito e di incontro tra di loro e tra essi e gli utenti,

istituendo nuove modalità di informare i malati, con la mobilitazione di tutti gli attori del sistema sanitario,

elaborando nuove modalità pedagogiche di consenso che conducano ad un'alleanza terapeutica tra medico e paziente,

creando e diffondendo nuove soluzioni organizzative e pedagogiche finalizzate a ridurre al minimo lo stress subito dai bambini nel corso delle cure mediche, particolarmente quando vengono ricoverati in ospedale,

creando, in seno ai centri sanitari, dei comitati di etica clinica che consentano di prestare sostegno ai professionisti e di rispettare i diritti dei malati,

includendo la tutela e la promozione dei diritti del paziente nei codici etici e di condotta dei professionisti sanitari,

rafforzando la comprensione del sistema da parte degli utenti attraverso la valorizzazione della posizione e del ruolo dei professionisti sanitari nel loro insieme,

immaginando nuove forme collettive di esercizio della professione che coinvolgano i medici e gli altri professionisti sanitari:

esercizio di gruppo, centro medico sanitario,

articolazione tra professionisti del settore medico, di quello medico-sociale e di quello sociale,

ripensando la posizione delle associazioni di malati, utenti, consumatori, famiglie e cittadini, in particolare al fine di:

integrare i rappresentanti degli utenti nelle istanze di rappresentanza,

riconoscere il ruolo di certe associazioni nell'educazione terapeutica, nella prevenzione, nell'informazione ai malati, ecc.,

creare una sinergia tra i dispositivi associativi e quelli professionali,

fornire alle associazioni i mezzi per operare ed esprimersi (formazione, missioni di rappresentanza, ecc.),

creare, nelle strutture ospedaliere, spazi neutri e conviviali che consentano ai pazienti di esprimere i loro interrogativi e preparare, con il sostegno delle associazioni di utenti, lo scambio verbale con i professionisti,

coinvolgere le associazioni di settore, al pari dei professionisti sanitari, nell'analisi dei reclami e nella definizione di misure volte a migliorare la qualità dell'assistenza.

5.   Conclusione: verso un'affermazione dei diritti collettivi

5.1.

L'applicazione effettiva dei diritti individuali dipenderà in larga misura dalle risposte collettive che verranno fornite a sostegno di questa iniziativa: per questo è necessario adoperarsi per attuare una democrazia sanitaria che veda la mobilitazione collettiva degli utenti e dei loro rappresentanti in diverse parti del sistema.

5.2.

I diritti del paziente sono una delle espressioni dei diritti umani, ma non costituiscono in alcun modo una categoria a parte: essi manifestano infatti la volontà di qualsiasi paziente di non essere considerato un diverso e, soprattutto, qualcuno ai margini della società.

5.2.1.

Va riconosciuto che gli utenti del sistema sanitario esprimono in modo sempre più vigoroso, sulla base della loro esperienza e grazie al fatto di ricevere una quantità crescente di informazioni, le loro impressioni riguardo alle condizioni di assistenza sanitaria.

5.3.

Occorre pertanto interrogarsi su quale posizione debba occupare il paziente nel sistema di decisioni che lo riguardano, se si vuole garantire la trasparenza delle procedure e il rispetto della persona.

5.4.

Non si tratta di cadere in un atteggiamento legalistico di protezione dei malati in quanto consumatori, ma di riconoscere che il paziente è sufficientemente maturo per partecipare alle decisioni che lo riguardano sulla base del rispetto dei suoi stessi diritti.

5.5.

Dare la parola agli utenti e ai loro rappresentanti risulta tanto più necessario in quanto le problematiche della salute si incrociano con quelle afferenti ad altri ambiti: modalità di produzione, stili di vita, condizioni di lavoro, tutela dell'ambiente, ecc. Questo fenomeno implica quindi delle scelte di tipo sociale, economico ed etico che vanno ben al di là della responsabilità dei soli professionisti sanitari.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, testi adottati dal Consiglio d'Europa e Legge francese n. 2002-303 del 4 marzo 2002.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promuovere una produttività sostenibile nei luoghi di lavoro in Europa

(2008/C 10/19)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere sul «Promuovere una produttività sostenibile nei luoghi di lavoro in Europa».

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice KURKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, nessun voto contrario e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In aggiunta ai fattori tradizionali di crescita economica (incremento della forza lavoro, investimenti nei mezzi di produzione, aumento del livello di istruzione) occorre creare nuovi elementi atti a generare una crescita sostenibile. Anzitutto bisogna aumentare il ritmo di crescita della produttività. In secondo luogo occorre quanto meno rallentare la contrazione dell'offerta di mano d'opera. Infine bisogna accrescere la capacità di richiamo della vita lavorativa.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che il compito dell'Unione europea consista nel sostenere tutti gli Stati membri e le imprese negli sforzi volti ad accrescere la produttività sostenibile, in quanto parte essenziale della strategia di Lisbona. Bisogna promuovere attivamente la concezione secondo la quale le innovazioni qualitative e sociali nei luoghi di lavoro hanno ripercussioni importanti sul successo dell'attività imprenditoriale. Il Comitato invita ad inserire tale considerazione nella valutazione e nella revisione degli orientamenti in materia di economia e di occupazione.

1.3.

Il Comitato ribadisce la propria proposta di istituire un indice europeo della qualità della vita lavorativa, fondato su criteri basati sulla ricerca e atti a definire il «lavoro di qualità» e rilevato e pubblicato regolarmente. Grazie a tale indice si potrebbero mettere in rilievo i cambiamenti e i miglioramenti intervenuti nella qualità della vita lavorativa in Europa, e le relative ripercussioni sulla produttività. Al tempo stesso, esso potrebbe costituire la base di nuove iniziative legate al miglioramento della qualità del lavoro.

1.4.

Per sviluppare un indice europeo della qualità del lavoro occorre attivare un ampio forum di discussione, che potrebbe utilmente avvalersi della vasta e approfondita competenza accumulata dal Comitato in merito alle sfide derivanti dal cambiamento delle condizioni di lavoro e alle relative risposte. Compatibilmente con il proprio programma di lavoro, l'Osservatorio del mercato del lavoro potrebbe esaminare anche questo tema.

1.5.

Il CESE invita la Commissione a far eseguire ulteriori studi sul rapporto tra qualità del lavoro e produttività. Serve inoltre un'analisi più approfondita dei fattori della produttività sostenibile: a tal fine le istituzioni e gli Stati membri dell'Unione europea potranno avvalersi più che in passato delle ricerche e delle analisi svolte dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Dublino) e dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro (Bilbao).

1.6.

Il Comitato ritiene che nel quadro delle iniziative comunitarie in materia di innovazione e di istruzione (ad esempio il Programma quadro per la competitività e l'innovazione, i programmi dei fondi strutturali, il Piano di azione integrato per l'apprendimento permanente) sarebbe utile porre l'accento sull'innovazione nei luoghi di lavoro, sulle nuove competenze professionali e sui nuovi sistemi di gestione. In tale contesto le parti sociali hanno un'importante responsabilità nell'elaborazione, applicazione e valutazione dei progetti.

1.7.

Il Comitato propone che gli Stati membri, nel quadro dei rispettivi programmi occupazionali e della propria politica dell'innovazione, attuino dei programmi per la qualità e la produttività del lavoro. Vari paesi dispongono di centri nazionali per la produttività e di istituti per la ricerca sul lavoro, che potrebbero prendere parte a tali iniziative. Alle parti sociali spetta un ruolo importante nell'elaborazione dei progetti e nella loro attuazione pratica.

1.8.

È essenziale che nei vari forum europei, negli Stati membri e nelle imprese proseguano le discussioni e le iniziative concrete in materia di produttività sostenibile. Il Comitato può svolgere una parte rilevante in tale processo, presentando le considerazioni della società civile, in particolare nei propri pareri in materia di economia, di occupazione e di politica dell'innovazione.

2.   Introduzione

2.1.

Il benessere dell'Europa richiede una crescita economica sostenibile e un livello di occupazione elevato. L'obiettivo dell'UE è perseguire «lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente» (1). Tale obiettivo può essere raggiunto intensificando la crescita della produttività in tutti i settori (2). La crescita della produttività, se basata su un aumento della qualità della vita lavorativa e su un'espansione dell'occupazione, accresce il benessere dei cittadini. Un aumento sostenibile della produttività offre la possibilità di garantire il buono stato delle finanze pubbliche e di fornire in maniera sostenibile servizi sociali e sanitari ad una popolazione che invecchia, producendo al tempo stesso nuovi posti di lavoro di buona qualità. In questo modo esso contribuisce agli obiettivi economici, sociali e ambientali della strategia di Lisbona.

2.2.

In Europa la produttività del lavoro è costantemente aumentata nel dopoguerra. Ancora alla fine degli anni '60 la produttività per ora lavorata cresceva mediamente del 5 % l'anno. Tale crescita è rallentata a partire dagli anni '80, per attestarsi intorno all'1-2 % all'inizio degli anni 2000. L'evoluzione della produttività negli Stati membri negli ultimi anni è dovuta a una molteplicità di fattori che spingono in direzioni differenti. La produttività media del lavoro nell'UE è aumentata grazie all'adesione dei nuovi Stati membri, dove il livello di partenza era inferiore rispetto a quello dei vecchi Stati membri. A partire dal 1995, comunque, in tutta Europa è aumentato il numero dei posti di lavoro a bassa produttività, tra i quali rientrano lavori caratterizzati da retribuzioni e qualificazioni modeste nel settore dei servizi, nonché numerosi posti disciplinati da contratti atipici. Questa tendenza ha contribuito a rallentare l'aumento della produttività (3).

2.3.

Nel settore manifatturiero la produttività ha conosciuto la crescita più rapida nei comparti a più elevato contenuto tecnologico. Tuttavia, la quota di questi ultimi sul totale della produzione industriale è modesta, cosa che, stando alla valutazione della Commissione, potrebbe dare adito a problemi. Quanto maggiore è la quota dei comparti ad elevato contenuto tecnologico sul valore aggiunto complessivo, tanto più essi contribuiscono alla produttività e alla redditività reale dell'intera economia. Tali comparti sono sistematicamente all'avanguardia nell'innovazione, nella modernizzazione e nella diffusione di nuove tecnologie, anche al di là dei confini nazionali (4).

2.4.

Un problema serio consiste evidentemente nella modesta crescita della produttività registrata negli ultimi anni nel settore dei servizi privati e pubblici. Tuttavia, va ricordato che misurare la produttività di tale settore utilizzando gli stessi parametri che si applicano all'industria è difficile, se non impossibile. Per esempio, sebbene nei servizi sia cresciuta l'applicazione di vari strumenti innovativi, tra cui le TIC, tale crescita non si è riflessa nelle statistiche come aumento della produttività. Nel settore dei servizi le innovazioni nascono generalmente grazie a tecnologie acquisite (TIC, modifiche organizzative, capitale umano) piuttosto che da investimenti diretti delle imprese del settore in attività di ricerca e sviluppo (5). Pertanto, comparare meccanicamente i tassi di produttività può condurre a conclusioni sbagliate, qualora non si tenga in considerazione l'effettivo contenuto dei vari settori. Ciò vale anche per i servizi pubblici, i cui obiettivi di crescita della produttività devono anche tenere conto degli obiettivi di politica sociale, come pure dell'esigenza di garantire un ambiente propizio all'innovazione e alla crescita della produttività.

2.5.

Il miglioramento della situazione occupazionale e la crescita della produttività non si escludono a vicenda; al contrario, insieme essi contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, che prevedono la creazione di un numero maggiore di posti di lavoro di migliore qualità. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) l'occupazione produttiva è il fondamento del lavoro decoroso (6). L'aumento sostenibile della produttività e un livello di occupazione in crescita costituiscono un rimedio sano al fenomeno del lavoro sommerso.

2.6.

La struttura economica degli Stati membri dell'UE sta cambiando e il baricentro dei fattori di produzione si trasferisce sempre più dal capitale materiale al capitale umano. Secondo la Commissione la domanda di forza lavoro nell'UE si è già spostata dalle competenze tradizionali verso la mano d'opera altamente qualificata. Ciò riflette i cambiamenti intervenuti nella natura del lavoro stesso, piuttosto che quelli prodottisi nella ripartizione della mano d'opera tra le varie categorie. Nel periodo 1995-2000 la crescita dell'occupazione nei settori ad alta intensità di conoscenza, caratterizzati da un rapido sviluppo, ha originato oltre i due terzi dei nuovi posti di lavoro ad alta e media qualificazione, nonché una grandissima parte dei nuovi posti di lavoro a bassa qualificazione (7). La forza lavoro è cresciuta, in particolare nei servizi alle imprese, i quali avranno un ruolo molto importante in futuro nel creare nuovi posti di lavoro e nel compensare la soppressione di posti e la razionalizzazione nei settori manifatturieri (8).

2.7.

Dal punto di vista dei singoli individui la crescita della produttività comporta una maggiore stabilità dei posti di lavoro e migliori opportunità di progredire professionalmente e di vedere aumentare il proprio reddito. In tal modo aumenta la competenza professionale dei lavoratori, e la loro occupabilità in un contesto in via di trasformazione.

2.8.

Per le imprese accrescere la produttività è essenziale perché costituisce una garanzia di competitività. Dal momento che i mercati mondiali determinano in grande misura i prezzi, e i tradizionali investimenti destinati ai macchinari e alle attrezzature non riescono ad accrescere indefinitamente la produttività, bisogna ricorrere ad altri mezzi. Per le imprese l'aumento di produttività implica che la dinamica dei costi rallenta, i prezzi divengono più concorrenziali, la capacità di pagare i salari cresce, i posti di lavoro diventano più sicuri (e di conseguenza più desiderabili), la natura delle mansioni e l'organizzazione del lavoro si sviluppano, aumenta il valore aggiunto per i clienti mentre si riducono le risorse impiegate per produrlo, la redditività sale, si creano le condizioni per la crescita e la permanenza nel mercato e si costituiscono le basi per gli investimenti e per lo sviluppo dell'attività.

2.9.

La crescita economica dell'Europa è dipesa tradizionalmente dalla crescita della forza lavoro, dal livello di investimenti produttivi e dall'aumento dei livelli di qualificazione, sennonché tale modello ormai non funziona più così bene come dovrebbe. La disponibilità di forza lavoro ha smesso di crescere e al contrario si va contraendo. La propensione delle imprese a investire in capitale materiale si è ridotta. Le attività ad alta intensità di mano d'opera si sono trasformate in attività ad alta intensità di capitale, e il capitale umano diviene sempre più importante. Il lavoro manuale meno qualificato è divenuto in misura crescente lavoro specializzato (basato sulla conoscenza) che richiede un'apposita formazione. Limitarsi ad investire nell'istruzione di base non comporta più i vantaggi di un tempo in termini di produttività.

2.10.

In alcuni Stati membri la crescita economica è stata favorita anche dagli strumenti fiscali (esempio: la riduzione delle imposte sulle imprese e sui salari) e dalla crescita dei consumi privati (ad esempio attraverso la politica dei tassi di interesse o la tassazione). Le possibilità di ricorrere a tali fattori di crescita sono tuttavia limitate e i fattori stessi devono essere valutati sotto il profilo della concorrenza fiscale e del mantenimento delle infrastrutture pubbliche.

2.11.

Al di là degli elementi summenzionati è necessario trovare altri nuovi fattori di crescita. Ai fattori materiali di successo si sono affiancati fattori immateriali, in particolare la capacità del management di motivare i dipendenti e di valorizzarne le competenze.

2.11.1.

In primo luogo occorre accelerare l'aumento di produttività delle imprese. Ciò richiede politiche atte a generare un ambiente favorevole all'innovazione e alla crescita sostenibile delle imprese, e a garantire una sana concorrenza. Questo è l'unico modo per migliorare il risultato economico complessivo.

2.11.2.

In secondo luogo occorre quanto meno rallentare la contrazione dell'offerta di mano d'opera. Nei prossimi dieci anni vari Stati membri perderanno circa il 15 % della loro forza lavoro. Bisogna mantenere elevato il tasso di occupazione, tra l'altro intervenendo sulla politica occupazionale, sull'immigrazione e sull'integrazione di manodopera qualificata, nonché realizzando misure volte a conciliare la vita professionale con quella familiare e ad assicurare la parità tra i sessi, e riformando i sistemi pensionistici. Gli strumenti chiave per ritardare il pensionamento consistono nell'aiutare i lavoratori a far fronte alle sfide che si presentano nel luogo di lavoro e nello stimolarne la motivazione professionale.

2.11.3.

In terzo luogo bisogna accrescere il richiamo della vita lavorativa. Nella popolazione attiva è particolarmente vasto il gruppo di età da 40 a 54 anni, il che costituisce un'importante sfida politica. Ma è importantissimo anche prevenire l'interruzione degli studi da parte dei giovani e favorire il loro inserimento professionale. Bisogna migliorare la qualità del lavoro e la disponibilità di forza lavoro qualificata in modo da trarre un vantaggio più immediato dalle nuove tecniche, dall'innovazione e dalle attività di ricerca e sviluppo.

2.12.

Il Consiglio europeo ha coerentemente sottolineato l'importanza degli investimenti destinati a migliorare la qualità del lavoro, tra l'altro con l'ausilio di indicatori di qualità (9). Durante la presidenza finlandese dell'UE è stata avviata una discussione in merito all'importanza della produttività per la strategia di Lisbona. La Finlandia ha chiesto al CESE di redigere un parere sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche  (10). Tale parere è stato adottato dal Comitato nel settembre 2006.

2.13.

La presidenza tedesca ha proseguito la discussione sulla qualità della vita lavorativa. Il tema del «lavoro di qualità» traduce in termini concreti l'obiettivo della strategia di Lisbona di creare nuovi e migliori posti di lavoro (11). Nel corso della riunione informale dei ministri del Lavoro e degli affari sociali, svoltasi a Berlino nel gennaio 2007, la Germania, il Portogallo e la Slovenia hanno sottolineato insieme nelle loro conclusioni l'importanza di promuovere il «lavoro di qualità» in Europa (12). Nelle conclusioni del vertice dell'8 e 9 marzo 2007, il Consiglio europeo ha sottolineato l'importanza del «lavoro di qualità» per accrescere l'occupazione negli Stati membri e rafforzare il modello sociale europeo. Secondo il Consiglio i principi alla base del «lavoro di qualità» sono i diritti e la partecipazione dei lavoratori, la parità di opportunità, la sicurezza e la protezione della salute sul luogo di lavoro e un'organizzazione del lavoro favorevole alla famiglia (13).

2.14.

I programmi di livello europeo tengono conto, in un modo o nell'altro, dello sviluppo della vita professionale e della capacità dei posti di lavoro di far fronte alle sfide del cambiamento. Purtroppo, tuttavia, si tratta in genere di proposte isolate, piuttosto che di un punto di partenza centrale per orientare gli interventi. Per di più il coordinamento tra i vari programmi è debole, al punto che i progressi o le battute di arresto nel campo della produttività sostenibile non destano alcuna attenzione.

2.15.

Una questione essenziale è come si possa accelerare la crescita della produttività delle imprese in modo da rafforzare le risorse collettive e individuali dei lavoratori e al tempo stesso aiutandoli a mantenere la propria capacita di lavoro e la propria motivazione al mutare delle condizioni.

3.   L'aumento sostenibile della produttività come fattore di successo

3.1.

Nell'analizzare la produttività e l'occupazione è importante fare una distinzione tra effetti a breve e a lungo periodo. A breve termine può esserci una correlazione negativa tra crescita della produttività e occupazione. I mutamenti strutturali nel settore industriale sembrano accrescere la produttività media del lavoro, riducendo al tempo stesso il livello di occupazione (14). In questa situazione occorre un forte contributo da parte della politica del mercato del lavoro, visto che le qualificazioni professionali di alcune classi di lavoratori divengono obsolete e che di conseguenza essi perdono il lavoro. Per potere valorizzare in maniera flessibile le competenze e le capacità del maggior numero possibile di lavoratori occorrono nuove forme di protezione dai licenziamenti e dalla disoccupazione. Nel parere in merito alla politica occupazionale, il Comitato ha presentato varie proposte su come rendere più efficiente gli interventi in questo campo (15).

3.2.

Nel lungo periodo è possibile far crescere il tasso di occupazione grazie ad un aumento della produttività del lavoro. In particolare la sinergia tra la tecnologia e determinate componenti della qualità del lavoro determina condizioni di crescita che a loro volta si riflettono in un aumento dei posti di lavoro e del tasso di occupazione. Ciò, tuttavia, non avviene automaticamente, bensì dipende dalla capacità del settore produttivo di accrescere l'intensità di mano d'opera della crescita e di accelerare la crescita della produttività a lungo termine, la quale è collegata sia alla qualità del lavoro che al grado di soddisfazione della mano d'opera (16).

3.3.

La crescita della produttività può essere perseguita in vari modi. In particolare alcune società quotate in borsa valutano la competitività nel breve periodo, attraverso le entrate e le uscite trimestrali. La logica del profitto rapido è riconoscibile sul luogo di lavoro dal fatto che non si effettuano investimenti produttivi e non ci si cura della qualificazione e della capacità professionale dei dipendenti. In alcuni casi ciò dipende dal fatto che le imprese non hanno le necessarie disponibilità finanziarie, e spesso anche le condizioni di lavoro e le retribuzioni sono improntate al criterio del minimo possibile. Questo approccio comporta conseguenze sociali gravi e di lunga durata, e costituisce un fattore di rischio per la competitività globale dell'Europa. L'Europa non può vincere i propri concorrenti con un mix di bassa produttività, cattive condizioni di lavoro e bassi salari.

3.4.

Tradizionalmente la produzione è stata resa più efficiente ammodernandone le condizioni e sviluppandone l'organizzazione per andare meglio incontro alla domanda, nonché investendo in macchinari e attrezzature. Ne è risultato un aumento della produttività complessiva. La produttività può essere aumentata a piccoli passi, razionalizzando e semplificando le procedure nonché sviluppando prodotti e servizi con metodi produttivi più avanzati. Tuttavia, ciò non è sufficiente quando la collaborazione sul luogo di lavoro non è efficace, quando gli addetti non vengono motivati a lavorare oppure quando nell'ambiente di lavoro vi sono carenze che si riflettono negativamente sui risultati.

3.5.

Per mantenere la crescita economica occorrono riforme strutturali più profonde. La produttività può essere incrementata rapidamente grazie ad un «salto» strategico, con cui un'impresa riorganizza per intero le proprie modalità di gestione e si avvia quindi su un nuovo percorso di crescita. In questo caso spariscono inevitabilmente i posti di lavoro che richiedono competenze obsolete, ma al tempo stesso ne vengono creati di nuovi e spesso qualitativamente migliori. Le imprese che si rinnovano creano nuovi prodotti e nuove catene del valore. In questo processo i fattori chiave sono la velocità, l'innovatività, la capacità di cambiare e il coinvolgimento del personale. Il CESE e la sua commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) sono attivamente impegnati nell'analizzare i mutamenti strutturali, i processi di innovazione e l'applicazione della tecnologia (17). Il Comitato ha sottolineato l'importanza della flessibilità funzionale interna ai fini della promozione dei processi di innovazione (18).

3.6.

È interessante esaminare la produttività come aspetto delle prestazioni di impresa. Tali prestazioni possono essere suddivise in esterne ed interne, di cui quelle esterne danno la misura della capacità dell'impresa di ottenere dei risultati nell'ambiente sociale circostante. Tuttavia, la produttività può essere vista più chiaramente come una caratteristica interna di un'impresa, o anche come una caratteristica associata ad un singolo individuo, macchinario o nucleo di produzione (19).

3.7.

Gli aspetti interni delle prestazioni di impresa sono l'innovazione e la produttività, le cui condizioni preliminari sono le qualificazioni e le conoscenze, la soddisfazione del personale, un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento e l'impiego della tecnologia. Da questi elementi discende la qualità e l'efficacia rispetto ai costi. Gli aspetti esterni sono invece la competitività, la soddisfazione dei clienti e la quota di mercato: da essi dipendono la liquidità, la redditività e la solvibilità (cfr. fig. 1).

Figura 1: Aspetti delle prestazioni di impresa e loro interrelazioni

Image

3.8.

I vari aspetti delle prestazioni si influenzano reciprocamente secondo un modello a spirale. Per esempio, la crescita della produttività conduce a un minore costo per unità prodotta, da cui deriva un aumento della competitività dell'impresa. Ciò a sua volta fa sì che l'impresa abbia successo sul mercato e che quindi la sua redditività cresca ulteriormente. Ne consegue che l'impresa accumula ricchezza, la quale può essere investita per obiettivi come la formazione, i mezzi di produzione e gli strumenti di supporto alla gestione, in altre parole per migliorare i requisiti della produttività. Questo fenomeno può essere definito spirale ascendente della produttività, ma analogamente si può descrivere un processo che conduce ad una spirale discendente della produttività.

3.9.

La produttività sostenibile costituisce un processo più ampio rispetto alla semplice misurazione della produttività o all'analisi della produttività del lavoro. A livello di impresa la produttività è un indicatore riferito alla capacità di un'impresa di combinare i vari fattori di produzione per accrescere la propria efficienza e divenire competitiva sul mercato. La produttività sostenibile comprende, oltre all'ambiente di lavoro fisico, anche quello psicosociale, dal quale scaturiscono efficienza, creatività e innovatività (20).

3.10.

L'innovatività di un'impresa e del suo personale si riflette nell'abilità di sviluppare e rinnovare la concezione di un prodotto o di un servizio in modo che creino valore aggiunto per i clienti. L'innovatività è anche la capacità di migliorare continuamente i processi operativi, di produzione e di distribuzione insieme con i dipendenti e i partner. Così, l'innovazione può essere uno strumento, un'attrezzatura, un macchinario, una combinazione di questi, un modello di servizio, un modo nuovo di eseguire una vecchia mansione o la diversa soluzione a un problema. La capacità di cambiare è un elemento centrale della produttività.

3.11.

In base alla loro capacità di innovazione, le organizzazioni possono essere classificate in differenti categorie secondo il livello di sviluppo. Esse possono sviluppare consapevolmente la propria capacità d'innovazione e avanzare da un livello all'altro grazie all'apprendimento. Quanto più avanzate sono le prassi che un'organizzazione applica nella propria attività innovativa, tanto maggiore sarà la sua capacità di applicare l'innovazione (21).

3.12.

Accrescere la produttività sostenibile significa che le imprese e le organizzazioni si preparano ai rischi futuri prevenendo i cambiamenti e adattandovisi rapidamente e in modo flessibile. In tali imprese ognuno si impegna per un uno sviluppo costante delle competenze e delle conoscenze, si persegue il benessere del personale e i dipendenti partecipano attivamente al processo decisionale, specialmente alle decisioni che si riflettono sul loro lavoro. I lavoratori sono disposti e anche interessati a fornire il proprio contributo e a mettere la propria competenza al servizio del successo dell'impresa. L'attività gestionale si basa sul riconoscimento reciproco e sulla cooperazione, non su una posizione di dominio nei confronti del personale. I dirigenti sono in grado di collaborare con i clienti, con la rete di imprese dello stesso settore e con i centri di ricerca.

3.13.

Ai fini dell'aumento della produttività e dell'accelerazione di tale aumento saranno essenziali in futuro, da un lato, la capacità di concepire e applicare innovazioni tecnologiche nei luoghi di lavoro e, dall'altro, le innovazioni sociali destinate ad integrare tali innovazioni, siano esse di natura imprenditoriale o organizzativa. L'aumento di produttività realizzato in questo modo è sostenibile. Esso influenza la crescita economica in due modi: migliorando a lungo termine la produttività del luogo di lavoro/dell'impresa, e accrescendo la disponibilità di forza lavoro grazie all'aumento delle opportunità dei lavoratori e della loro propensione a prolungare la loro vita professionale.

4.   La produttività sostenibile nel luogo di lavoro

4.1.

Uno studio dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro (22) esamina in maniera approfondita la relazione tra qualità dell'ambiente di lavoro e produttività. Una conclusione importante della ricerca è che, nelle attuali condizioni di forte competitività, il successo di un'impresa non può più essere misurato soltanto in termini di indicatori economici.

4.2.

Secondo il suddetto studio, infatti, cresce l'importanza di fattori quali la soddisfazione del cliente, l'ottimizzazione delle relazioni interne all'impresa, la capacità di innovazione e la flessibilità delle strutture organizzative. I risultati della ricerca indicano una stretta relazione tra buone condizioni di lavoro e il successo economico dell'impresa. La qualità della vita professionale incide fortemente sulla produttività e sulla redditività.

4.3.

Non si può assolutamente dire che la crescita della produttività in Europa negli anni recenti sia stata chiaramente sostenibile in termini qualitativi. Alle imprese mancano ancora conoscenze adeguate su come migliorare l'ambiente di lavoro e individuare le relative ripercussioni positive, e inoltre non dispongono di sufficienti soluzioni pratiche a tal fine. Secondo un rapporto della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro non si sono verificati cambiamenti importanti, in senso positivo o negativo, nella qualità complessiva del lavoro (23). Da analisi e comparazioni delle condizioni nei vari Stati membri emerge che la soddisfazione sul lavoro è legata alla sicurezza del lavoro, ad un'atmosfera positiva e all'esistenza di buone opportunità di apprendere e progredire professionalmente. Il lavoro in sé cambia più rapidamente del previsto, basandosi sempre più sulla conoscenza e sulla tecnologia e orientandosi maggiormente verso il cliente.

4.4.

Il summenzionato rapporto indica che sono stati fatti ben pochi progressi verso la conciliazione della vita professionale e di quella familiare. Il ricorso ad orari di lavoro flessibili commisurati alle esigenze individuali non si è generalizzato. Sebbene le condizioni di salute sul lavoro in Europa siano migliorate, ancora il 35 % dei lavoratori ritiene di essere esposto a rischi per la salute a causa dell'attività professionale. L'intensità del lavoro aumenta, e sempre più persone lavorano a ritmo sostenuto e con scadenze rigide. Sebbene l'esecuzione di un lavoro richieda autonomia, questa non è aumentata nei luoghi di lavoro. La maggior parte dei lavoratori ritiene che il proprio lavoro sia interessante e offra nuove sfide. Tuttavia, l'accesso alla formazione nell'ambito del lavoro non è migliorato. Tale accesso è particolarmente arduo per i lavoratori più anziani e meno qualificati. Uno dei cambiamenti più importanti nei luoghi di lavoro è la maggiore utilizzazione dell'informatica (24).

4.5.

In futuro la carenza di manodopera qualificata potrebbe fare venir meno le condizioni della crescita della produttività. Si deve comunque ricordare che i lavori del futuro e le competenze che richiedono saranno differenti da quelli di oggi. Inoltre i nuovi modi di organizzare il lavoro e le più efficaci applicazioni tecnologiche ridurranno la quantità di lavoro necessaria. Numerose imprese stanno creando delle reti su scala europea e la circolazione di lavoratori tra gli Stati membri è in aumento. Per tale ragione il Comitato ha osservato che gli Stati membri, malgrado le differenze tra i rispettivi sistemi di istruzione e formazione, dovrebbero considerarsi parte di un unico «spazio dell'istruzione» europeo e riconoscere che lo sviluppo della vita lavorativa ha una dimensione europea (25).

4.6.

Occorre pertanto esaminare più in dettaglio quali competenze e conoscenze saranno richieste nella vita professionale in futuro, tanto nel settore privato che in quello pubblico. Analogamente si dovrebbe considerare come integrare nell'istruzione e nella formazione la qualità della vita lavorativa e le questioni relative alla produttività. Su questa base bisognerebbe concepire e realizzare la struttura dei vari corsi di laurea e di formazione, i contenuti didattici e i metodi di insegnamento, nonché gli obiettivi della formazione permanente. È inoltre importante garantire la possibilità economica di prendere parte all'istruzione e alla formazione. Alle parti sociali spetta una parte importante nella riflessione in questo campo e nell'attuazione delle relative misure. Le parti sociali europee hanno gettato delle basi adeguate valutando gli aspetti principali dell'apprendimento permanente e le pratiche nazionali (26).

4.7.

Le carenze di qualificazione riguardano spesso settori dove le competenze non sono misurabili. Nella vita professionale di domani le qualificazioni più importanti, oltre a quelle di base, saranno per esempio le capacità di interagire con gli altri, di autogestirsi, di apprendere e acquisire nuove conoscenze, di estrarre gli elementi essenziali da un flusso complesso di informazioni, e di operare in luoghi di lavoro e in reti multiculturali. In questo tipo di ambiente una sfida particolare è costituita dai giovani che interrompono gli studi precocemente o che dispongono di un bagaglio di conoscenze inadeguato.

4.8.

Nel campo della gestione aziendale le carenze principali riguardano in particolare le competenze manageriali strategiche e la gestione dell'innovazione. La gestione delle risorse umane andrebbe vista come un aspetto strategico del management. Queste competenze potrebbero fungere da nuovo elemento propulsivo della crescita economica.

5.   Promuovere la produttività sostenibile

5.1.   Misure programmatiche e pratiche

5.1.1.

Il potenziale di riuscita derivante da una crescita sostenibile della produttività può essere sfruttato sia dalle piccole e medie imprese che da grandi aziende e dalla loro rete di subappaltatori. Altri beneficiari sono le organizzazioni dei servizi del settore pubblico e del terzo settore, che devono e vogliono migliorare la loro produttività in modo sostenibile e di qualità, garantendosi la disponibilità di una forza lavoro professionale e di elevato livello.

5.1.2.

Per promuovere una crescita sostenibile della produttività si può ricorrere a interventi orientati verso l'intera società, verso le imprese e le organizzazioni, nonché verso i luoghi di lavoro e i singoli. A causa della loro vasta portata, i cambiamenti sociali relativi per esempio alla formazione professionale, alle relazioni industriali, alle misure volte a riconciliare la vita professionale e quella familiare, alla salute e alla sicurezza sul lavoro, alle prestazioni sanitarie sul lavoro, alle misure di formazione e riqualificazione, ai trattamenti pensionistici o alle opportunità di pensionamento hanno grande importanza nel lungo periodo. Per favorire i progetti più adeguati si può ricorrere alla legislazione. Invece i miglioramenti nel livello di benessere sul lavoro a livello individuale hanno un impatto rapido ma sono di per sé insufficienti, e il loro impatto complessivo sul luogo di lavoro può risultare piuttosto modesto.

5.1.3.

La crescita sostenibile della produttività può essere incoraggiata promuovendo a livello di impresa e di luogo di lavoro prassi e procedure atte a valorizzare e ad accrescere maggiormente le risorse proprie dei lavoratori, le risorse del luogo di lavoro e le capacità di innovazione. In questo contesto un ruolo particolare spetta alle parti sociali.

5.1.3.1.

A livello europeo le parti sociali hanno concordato, nel loro nuovo programma di lavoro per il periodo 2006-2008, di effettuare un'analisi congiunta delle sfide principali che riguardano i mercati del lavoro europei (tra cui la promozione dell'apprendimento permanente, della competitività e dell'innovazione) (27). Per esempio a livello nazionale, le organizzazioni centrali delle parti sociali finlandesi hanno istituito all'inizio del 2007 una tavola rotonda sulla produttività, con l'obiettivo di promuovere la produttività stessa, la qualità della vita lavorativa e la cooperazione in materia di produttività. I membri della tavola rotonda sono rappresentanti dei massimi organi esecutivi di tutte le organizzazioni centrali dei datori di lavoro e dei lavoratori. In alcuni Stati membri le parti sociali svolgono un ruolo attivo anche nei programmi nazionali di sviluppo delle imprese. In tutti gli Stati membri si trovano buoni studi di casi (28).

5.1.4.

In certi casi sono stati dei mutamenti legislativi concernenti la tutela dell'ambiente a evidenziare l'esigenza di una riforma. Ad esempio il divieto di utilizzare l'amianto ha reso necessario sviluppare tecnologie sostitutive, l'introduzione di regolamenti più restrittivi in materia di rumori ha favorito la nascita di attrezzature tecniche con livelli minori di rumorosità, le esigenze in materia di tecnologie energetiche hanno fatto nascere nuove attrezzature e i requisiti di isolamento degli edifici hanno indotto a sviluppare nuovi materiali. In tal modo la legislazione ha contribuito alle azioni compiute direttamente dalle imprese e ha favorito l'innovazione.

5.1.5.

Gli Stati membri hanno adottato vari strumenti economici finalizzati a migliorare qualitativamente le condizioni di lavoro o a sostenere le imprese che investono in modelli innovativi di organizzazione del lavoro. Tra gli strumenti utilizzati figurano gli aiuti pubblici e altre misure di assistenza, anche finanziarie (prestiti bancari a tasso agevolato). Si può citare a titolo di esempio la strategia nazionale irlandese per il luogo di lavoro, l'Iniziativa tedesca per una nuova qualità del lavoro (INQA) e la strategia finlandese di sviluppo del luogo di lavoro, nelle quali svolgono un ruolo essenziale le iniziative e i finanziamenti pubblici (29). Il grande vantaggio di tali programmi consiste nel fatto che l'attività di sviluppo si svolge nei luoghi di lavoro. Per questi programmi è essenziale che vi sia un forte impegno a livello politico e che i lavoratori vengano motivati a collaborare ai progetti di sviluppo.

5.2.   Indice europeo della qualità del lavoro

5.2.1.

Affinché l'Europa sia in grado di rispondere alle sfide della globalizzazione e di realizzare con successo gli obiettivi della strategia di Lisbona, è importante monitorare i miglioramenti nella qualità del lavoro negli Stati membri e a livello europeo e le relative ripercussioni sulla produttività del lavoro. In quest'ottica, il CESE ha proposto di mettere a punto un indice europeo della qualità del lavoro, da stabilire applicando diversi criteri di definizione del «lavoro di qualità» elaborati sulla base di studi specifici, da tenere regolarmente aggiornato e reso pubblico (30). Un indice di questo tipo potrebbe contribuire ad evidenziare i cambiamenti e progressi intervenuti, come pure le relative ripercussioni in termini di produttività, e al tempo stesso offrire un punto di partenza per nuove iniziative volte a migliorare la qualità della vita lavorativa. Attualmente la qualità del lavoro e la produttività vengono analizzate in vari modi differenti e diverse organizzazioni stanno sviluppando indipendentemente l'una dall'altra degli indicatori propri. Il nuovo indice europeo potrebbe includere elementi di tali indicatori.

5.2.1.1.

A seguito di una decisione del Consiglio, nel 2003 è stata eseguita una valutazione dei progressi compiuti dagli Stati membri, utilizzando una serie di indicatori basati su dieci dimensioni della qualità del lavoro. Sebbene fossero stati realizzati dei progressi, è emerso che rimaneva ancora molto spazio per ulteriori miglioramenti. In particolare risultava deludente la crescita tendenziale della produttività. Tutto ciò ha indotto a concludere che occorreva un intervento più deciso, specie per incoraggiare gli investimenti delle imprese destinati alla formazione professionale e per promuovere la capacità lavorativa dei lavoratori anziani (31).

5.2.1.2.

Secondo la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (la Fondazione di Dublino) le imprese e i posti di lavoro innovativi si caratterizzano per il diritto ad apprendere e per il senso di autonomia sul lavoro, per il lavoro di gruppo, per la possibilità di rotazione nelle funzioni e per la polivalenza (multi-skilling). Un fattore chiave consiste quindi nel migliorare la qualificazione dei dipendenti e nel consentire loro di contribuire attivamente allo sviluppo dei processi di produzione. Inoltre nella primavera del 2007 la fondazione ha avviato una nuova ricerca a vasto raggio sulle interrelazioni tra innovazione, produttività e occupazione, che durerà tre anni. La prima fase della ricerca consiste nel redigere l'inventario delle ricerche già esistenti su questo tema allo scopo di prepararsi ad inserire le dimensioni della produttività e delle prestazioni nell'indagine sull'impresa europea che la fondazione eseguirà nel 2008. La fondazione è anche attivamente impegnata nello sviluppo di un nuovo indice della qualità del lavoro (32).

5.2.1.3.

Alcuni studi eseguiti dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro e relativi all'importanza della qualità del lavoro ai fini della produttività mostrano chiaramente che vi è una stretta relazione tra la qualità dell'ambiente di lavoro, la produttività e i risultati d'impresa. L'Agenzia conclude che è impossibile realizzare gli obiettivi stabiliti in materia di produttività se non vengono esaminati dettagliatamente sul luogo di lavoro i rischi collegati alla sicurezza e alla salute sul lavoro e se non viene fatto nulla per porvi rimedio (33). La campagna europea di sensibilizzazione è dedicata quest'anno al tema della prevenzione delle patologie muscoloscheletriche, e allo stesso tempo all'individuazione di buone prassi per l'inserimento professionale degli individui con questo tipo di disturbi. Inoltre sono già in corso i preparativi per la Settimana europea 2008, che sarà incentrata sull'analisi dei rischi legati al luogo di lavoro.

5.2.1.4.

Il programma per lo sviluppo del luogo di lavoro, avviato dalla presidenza tedesca, comprende un progetto di ricerca finalizzato a definire più esattamente cosa si intenda per «lavoro di qualità». Tale programma comprende anche un indice sviluppato dalla Confederazione tedesca dei sindacati (DGB) per valutare la qualità del lavoro. Questo indice si basa sui giudizi espressi dagli stessi lavoratori, i quali valutano il proprio lavoro in base a 15 criteri. Lo scopo è calcolare l'indice in questione con cadenza annuale, e i primi risultati saranno disponibili nell'autunno 2007 (34).

5.2.2.

Per sviluppare un indice europeo della qualità del lavoro occorre attivare un ampio forum di discussione, che potrebbe opportunamente avvalersi della vasta e approfondita competenza del Comitato economico e sociale europeo in materia di sfide derivanti dal cambiamento delle condizioni di lavoro e di relative risposte. Compatibilmente con il proprio programma di lavoro, l'Osservatorio del mercato del lavoro potrebbe esaminare anche questo tema.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Articolo I-3, paragrafo 3, del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa.

(2)  La produttività può essere misurata a vari livelli, per esempio economie nazionali (macrolivello), settori di attività (industria, TIC), impresa/organizzazione di lavoro/unità lavorativa, gruppo di dipendenti/categoria professionale o singoli individui. La produttività generale è quella quota di aumento della produttività che non può essere ascritta ad un maggiore ricorso ai tradizionali fattori di produzione (mano d'opera, capitale, materie prime, energia), ma che si crea grazie ai progressi tecnologici e ai miglioramenti in termini di formazione dei lavoratori, di sviluppo e di gestione delle organizzazioni e di metodi di produzione.

(3)  Comitato per l'occupazione, resoconto del gruppo di lavoro sul tema Enhancing higher productivity and more and better jobs, including for people at the margins of the labour market (Accrescere la produttività e creare posti di lavoro nuovi e migliori, anche per chi è ai margini del mercato del lavoro), EMCO/18/171006/EN-final, 2006.

http://ec.europa.eu/employment_social/employment_strategy/pdf/emco_workgroupprod06_en.pdf

(4)  Comunicazione dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee (COM(2002) 262 def.).

(5)  Id.

(6)  Relazione annuale dell'OIL sull'occupazione nel mondo, Word Employment Report 2004-2005.

http://www.ilo.org/public/english/employment/strat/wer2004.htm

(7)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee (COM(2002) 262 def.).

(8)  Parere del CESE del 13 settembre 2006 sul tema I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività; relatore: CALLEJA (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 26).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2006:318:0026:0037:IT:PDF

(9)  Il Consiglio europeo di Lisbona, del 23 e 24 marzo 2000, ha stabilito l'obiettivo generale di raggiungere la piena occupazione creando posti di lavoro non soltanto più numerosi ma anche migliori.

Nelle conclusioni del Consiglio di Nizza (2000) si affermava che è necessario insistere sulla promozione della qualità in tutti i campi della politica sociale.

Il Consiglio di Stoccolma (2001) ha puntualizzato che per ritornare alla piena occupazione bisogna concentrarsi sulla creazione di posti di lavoro non soltanto più numerosi, ma anche migliori, e ha chiesto che gli orientamenti in materia di occupazione per il 2002 includessero la qualità del lavoro tra gli obiettivi generali e definissero accurati indicatori quantitativi in tale campo.

Il Consiglio europeo di Laeken (2001) ha specificato che la qualità del lavoro è un concetto pluridimensionale e che gli indicatori raccomandati dal comitato per l'occupazione si basano su dieci dimensioni definite nella comunicazione della Commissione, chiedendo inoltre che tali indicatori fossero inseriti nella Strategia europea per l'occupazione a partire dal 2002. Cfr. la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi (COM(2003) 728 def.).

(10)  Adottato il 13.9.2006, relatrice: ENGELEN-KEFER (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 157).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2006:318:0157:0162:IT:PDF

(11)  Priorità politiche del ministero federale del Lavoro e degli affari sociali per la presidenza tedesca nella prima metà del 2007.

URL:http://www.london.diplo.de/Vertretung/london/en/03/News__and__features/EU__Presidency/Political__priorities__FULL__DownloadDatei,property=Daten.pdf

(12)  Conclusioni della presidenza, redatte in cooperazione con i due successivi detentori della presidenza, Portogallo e Slovenia.

http://www.eu2007.de/en/News/Press_Releases/January/0119BMAS1.html

(13)  Consiglio europeo di Bruxelles dell'8 e 9 marzo 2007 — Conclusioni della presidenza. Consiglio dell'Unione europea 7224/07.

http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=DOC/07/1&format=PDF&aged=1&language=IT&guiLanguage=en

(14)  Comitato per l'occupazione, resoconto del gruppo di lavoro sul tema Enhancing higher productivity and more and better jobs, including for people at the margins of the labour market (Accrescere la produttività e creare posti di lavoro nuovi e migliori, anche per chi è ai margini del mercato del lavoro), EMCO/18/171006/EN-final, 2006.

(15)  Parere CESE del 25 aprile 2007 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, relatrice: O'NEIL (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 47).

http://eescopinions.eesc.europa.eu/viewdoc.aspx?doc=//esppub1/esp_public/ces/soc/soc264/it/ces608-2007_ac_it.doc

(16)  Id.

(17)  Parere CESE del 25 settembre 2003 sul tema Le trasformazioni industriali, situazione attuale e prospettive futureUn approccio globale, relatore: VAN IERSEL, correlatore: VAREA NIETO (GU C 10 del 14.1.2004, pag. 105).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2004/c_010/c_01020040114it01050113.pdf

Parere CESE del 29 settembre 2005 sul tema Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali, relatore: ZÖHRER (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 90).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2006/c_024/c_02420060131it00900094.pdf

Parere CESE del 14 dicembre 2005 in merito alla Comunicazione della CommissioneRistrutturazioni e occupazioneAnticipare e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l'occupazione: il ruolo dell'Unione europea, relatore: ZÖHRER, correlatore: SOURY-LAVERGNE (GU C 64 del 17.3.2006, pag. 58).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2006/c_065/c_06520060317it00580062.pdf

Parere CESE del 14 settembre 2006 sul tema Lo sviluppo sostenibile come forza trainante delle trasformazioni industriali, relatore: SIECKER, correlatore: ČINČERA (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 1).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2006/c_318/c_31820061223it00010011.pdf

(18)  Parere CESE sul tema La flessicurezza (dimensione della flessibilità internacontrattazione collettiva e ruolo del dialogo sociale come strumento di regolazione e riforma dei mercati del lavoro) (SOC/272), relatore: JANSON (sarà discusso nella sessione plenaria dell'11 e 12 luglio 2007).

http://eescopinions.eesc.europa.eu/viewdoc.aspx?doc=//esppub1/esp_public/ces/soc/soc272/it/ces999-2007_ac_it.doc

(19)  Hannu Rantanen, Tuottavuus suorituskyvyn analysoinnin kentässä (La produttività nel contesto dell'analisi delle prestazioni) — Istituto di tecnologia di Lappeenranta, sezione di Lahti, 2005.

(20)  Professor Mika Hannula, Istituto tecnologico di Tampere, lezione del 29.1.2004.

(21)  John Bessant (2003): High-Involvement Innovation (Innovazione ad alta partecipazione). La capacità innovativa ha otto dimensioni:

l'organizzazione è consapevole dell'importanza strategica dell'attività di innovazione che coinvolge le persone e si basa su piccoli passi (comprensione),

l'organizzazione dispone di procedure che permettono alle persone di partecipare all'attività innovativa (acquisire l'abitudine),

l'attività innovativa dell'organizzazione è diretta verso i suoi obiettivi strategici (orientamento),

la direzione dell'organizzazione guida e sostiene adeguatamente l'attività innovativa (conduzione),

le strutture, le pratiche e i processi dell'organizzazione sono concepiti in modo tale che vi sia il miglior sostegno reciproco possibile tra queste, l'attività di innovazione e i relativi valori guida (allineamento),

la risoluzione dei problemi avviene attraverso una rete tra unità interne e unità esterne all'organizzazione (risoluzione condivisa dei problemi),

si provvede a monitorare, valutare e sviluppare costantemente l'aumento di efficienza derivante dalle innovazioni (miglioramento continuo del sistema),

l'organizzazione è in grado di trarre insegnamenti costanti e generali dalle proprie esperienze (l'organizzazione che apprende).

(22)  Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, Quality of the Working Environment and Productivity (Qualità dell'ambiente di lavoro e produttività), 2004,

http://osha.eu.int/publications/reports/211/quality_productivity_en.pdf

(23)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, Fourth European Working Conditions Survey (Quarto rapporto sulle condizioni di lavoro in Europa), 2005.

http://www.eurofound.europa.eu/publications/htmlfiles/ef0698.htm

(24)  Id.

(25)  Parere CESE del 28 ottobre 2004 sul tema Formazione e produttività, relatore: KORYFIDIS (GU C 120 del 20.5.2005, pag. 64).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2005/c_120/c_12020050520it00640075.pdf

(26)  ETUC, UNICE, CEEP, Framework of actions for the lifelong development of competencies and qualifications, Evaluation report 2006 (Quadro di azione per lo sviluppo permanente delle competenze e delle qualificazioni — Rapporto di valutazione 2006).

(27)  Programma di lavoro delle parti sociali europee 2006-2008,

http://www.etuc.org/IMG/pdf/Depliant_EN_HD2006-2008.pdf

(28)  Ad esempio, nell'audizione tenuta il 10 maggio 2007 dal gruppo di studio, il direttore finanziario della compagnia maltese STMicroelectronics, Santo Portera, ha riferito come la sua impresa abbia risposto con successo alle sfide della globalizzazione, attraverso l'applicazione nelle proprie attività di elevati standard etici, nonché rafforzando e migliorando la qualificazione del personale, il benessere sul lavoro e l'organizzazione del lavoro, e incoraggiando l'innovazione.

(29)  Irlanda: www.workplacestrategy.ie; Cathal O'Reagan audizione del 10 maggio 2007.

Germania: http://inqa.de, Kai Schäfer, rappresentante del governo e della presidenza della Germania, audizione del 10 maggio 2007.

Finlandia: http://www.mol.fi/mol/en/01_ministry/05_tykes/index.jsp

(30)  Cfr. nota 10.

(31)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi (COM(2003) 728 def.).

(32)  www.eurofound.europa.eu; Radoslaw Owczarzak, Osservatorio europeo del cambiamento (EMCC), audizione del 10 maggio 2007.

(33)  www.osha.europa.eu; Brenda O'Brien audizione del 10 maggio 2007.

(34)  http://inqa.de; Kai SCHÄFER, rappresentante del governo e della presidenza della Germania, audizione del 10 maggio 2007.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Indicatori armonizzati nel campo delle disabilità come strumento di monitoraggio delle politiche europee

(2008/C 10/20)

Con lettera datata 13 febbraio 2007 la futura presidenza portoghese ha invitato il Comitato economico e sociale europeo ad elaborare un parere sugli «Indicatori armonizzati nel campo delle disabilità come strumento di monitoraggio delle politiche europee».

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 luglio 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore JOOST.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che, per mettere a segno dei progressi in materia di parità di diritti per i disabili, sarebbe opportuno adottare una tabella di marcia, come si è fatto nel campo della parità tra donne e uomini, e sviluppare una serie di indicatori e di obiettivi quantitativi che gli Stati membri dovrebbero realizzare in relazione alle priorità concordate.

1.2.

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a raccogliere una serie affidabile e coerente di indicatori e di obiettivi quantitativi, riferiti a ciascuna delle aree statistiche e delle finalità di intervento individuate e destinati ad essere realizzati da ciascuno Stato membro entro una data scadenza. I tentativi di rilevazione statistica effettuati nel passato e descritti più in basso non sono purtroppo stati ripresi a livello europeo e non costituiscono un indicatore permanente che possa essere misurato a scadenze regolari, per esempio nel quadro degli indicatori di inclusione sociale. Di fatto, invece, è proprio di una tale ripresa e misurazione sistematica che ci sarebbe bisogno per poter effettuare un intervento coerente.

1.3.

Il CESE invita il Gruppo ad alto livello sulla disabilità ad approvare un elenco di priorità per la raccolta di dati, basandosi sulla serie di indicatori essenziali già messa a punto dall'ISTAT (1), anche se da aggiornare.

1.4.

Gli Stati membri dovrebbero proseguire gli sforzi volti a raccogliere dati sulla disabilità attraverso inchieste effettuate periodicamente, per esempio ogni due anni. Occorre anche proseguire il lavoro svolto a livello internazionale con il Gruppo di Washington intorno alla definizione delle disabilità.

1.5.

L'indagine sulla forza lavoro europea dovrebbe valutare più sistematicamente i progressi realizzati. In futuro i comitati Protezione sociale e Occupazione potrebbero prendere in considerazione, piuttosto che occasionali iniziative indipendenti, una serie di indicatori in merito ai quali eseguire ricerche regolari.

1.6.

Il CESE chiede quindi che nelle inchieste Eurostat venga inserito un modulo coerente relativo alla disabilità, comprendente gli elementi menzionati più sopra, e che vengano presentate relazioni regolari per consentire di valutare adeguatamente le politiche e di individuare le priorità.

1.7.

Le organizzazioni dei disabili negli Stati membri devono essere coinvolte nel lavoro inteso a mettere a punto la serie di indicatori che i rispettivi Stati ritengono più importanti. Grazie al riconoscimento degli indicatori armonizzati e alla raccolta di dati, gli Stati membri potranno scambiarsi le migliori pratiche, in quanto l'efficacia delle iniziative applicate sarà misurabile.

2.   Introduzione

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace della richiesta, rivoltagli dalla presidenza portoghese, di presentare un parere sul tema Armonizzazione degli indicatori di disabilità. L'intenzione della presidenza è quella di contribuire a far sì che l'UE ottenga dati affidabili e comparabili con cui poter valutare il grado di inserimento sociale delle persone con disabilità.

2.2.

I disabili rappresentano oltre il 15 % della popolazione totale, e questa cifra tende ad aumentare in parallelo con l'invecchiare della popolazione. Ciò significa che nell'attuale Europa allargata i disabili sono oltre 50 milioni (2). Si deve tuttavia osservare che le statistiche SILC relative al 2005 non tengono conto dei disabili anziani o in età infantile e dei disabili che vivono in istituti.

2.3.

Per garantire che i diritti sociali riconosciuti dai Trattati e dalla Carta europea dei diritti fondamentali, e in particolare la libera circolazione delle persone, siano una realtà per i disabili, bisogna poter valutare e comparare in base a parametri comuni le politiche e le situazioni di tutti gli Stati membri. È questo il primo passo verso l'elaborazione e l'applicazione di politiche in grado di garantire ai disabili diritti pari a quelli dei non disabili.

2.4.

Vari sono gli indicatori che misurano i progressi compiuti dagli Stati membri nel favorire l'integrazione sociale dei disabili: tra di essi figurano, per citarne solo alcuni, l'accessibilità dell'ambiente edificato, la partecipazione al mercato del lavoro, l'accesso all'istruzione e alla cultura e l'accessibilità digitale (e-accessibility). È estremamente importante poter valutare le azioni promosse dagli Stati membri in questo campo e il relativo impatto.

3.   Scarsa coerenza degli attuali strumenti normativi e di intervento

3.1.

La recente convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità identifica l'urgente necessità di integrare la problematica della disabilità in numerose politiche. Gli Stati membri dovrebbero riconoscersi nei principi sottesi a tale documento, ratificandolo al più presto. Dal canto suo, l'Unione dovrebbe adottare le misure opportune per conformarsi agli obiettivi e ai principi della convenzione, che è stata sottoscritta dalla Commissione europea. Si raccomanda che tutti i paesi, insieme all'UE, vengano invitati a sottoscrivere anche il protocollo opzionale alla stessa convenzione.

3.2.

Il Piano d'azione europeo per la disabilità (3) persegue i seguenti, ambiziosi obiettivi: pervenire alla piena applicazione della direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (2000/78/CE), rafforzare l'integrazione delle questioni legate alla disabilità nelle pertinenti politiche comunitarie e migliorare l'accessibilità per tutti. Per realizzare questi obiettivi occorre servirsi di indicatori che consentano, per ognuna delle priorità di intervento, di misurare i progressi compiuti in ciascuno Stato membro e di definire delle finalità quantificabili.

3.3.

La direttiva 2000/78/CE, adottata nel novembre del 2000, vieta la discriminazione dei disabili nel campo dell'occupazione e della formazione professionale. Nondimeno, al di là della questione della sua trasposizione nel diritto nazionale, è difficile valutare l'effetto della sua attuazione da parte degli Stati membri, data la mancanza di dati comparabili che permettano di misurare l'incremento dei livelli di occupazione dei disabili connesso con l'entrata in vigore delle rispettive leggi nazionali.

3.4.

Il Piano d'azione del Consiglio d'Europa sulla piena partecipazione delle persone con disabilità definisce, per numerosi campi della vita sociale e dell'intervento pubblico, obiettivi concreti che valgono per tutti e 46 i suoi Stati membri e che devono essere monitorati. È stato anche istituito un gruppo di lavoro per definire gli indicatori attraverso cui misurare i progressi compiuti.

3.5.

La strategia di Lisbona stabilisce per l'UE degli obiettivi ambiziosi, tra cui l'aumento dei livelli di occupazione e il miglioramento del grado di coesione sociale. Detti obiettivi non possono essere realizzati senza misure concrete che eliminino gli ostacoli all'accesso dei disabili al lavoro e ai servizi e ne permettano la piena integrazione nella società.

3.6.

In tutti i settori di intervento che hanno ripercussioni per i disabili e possono migliorarne l'inclusione sociale e la fruizione dei diritti occorrono degli indicatori per misurare i progressi compiuti e definire un quadro d'insieme dei risultati prodotti dalle varie misure attuate a livello europeo. Occorre parimenti valutare la legislazione in vigore, per poterla, eventualmente, modificare o migliorare.

4.   L'esigenza di una serie di statistiche affidabili e comparabili

4.1.   Strumenti attuali di misurazione dei dati

4.1.1.

Il CESE si rammarica della mancanza di indicatori nel campo della disabilità e in special modo della assenza, a livello comunitario, di un impegno politico a concordare degli indicatori comuni che permettano di sostenere e valutare gli interventi.

4.1.2.

Il CESE constata che Eurostat ha avviato vari progetti e iniziative interessanti al fine di sviluppare una raccolta di dati sistematica e coordinata a livello europeo sui vari aspetti della disabilità: così ad esempio il modulo relativo alla salute dell'indagine «Panel europeo sulle famiglie» (ECHP) comprendeva, in relazione al periodo 1994-1996, un piccolo modulo sulla disabilità, che è stato pubblicato in formato tascabile. Nel 2002 Eurostat ha inserito nell'indagine sulla forza lavoro europea un modulo relativo all'occupazione dei disabili, allo scopo di fornire un contributo coordinato ed armonizzato alla riunione del Gruppo di Washington della Divisione statistica delle Nazioni unite (UNSD), e ha altresì avviato il progetto Misurazione europea delle disabilità (EDM).

Nel 2002 i direttori dei servizi di statistiche sociali europei hanno concordato un quadro, chiamato Sistema europeo di indagine sanitaria (EHSS), per la raccolta di dati armonizzati attraverso indagini e/o moduli di indagine relativi alla salute. In tale contesto gli Stati membri hanno adottato alla fine del 2006 la versione finale di un questionario denominato Indagine sanitaria europea mediante intervista (EHIS), che verrà impiegato per una prima serie di rilevamenti nel periodo 2007-2009. Il questionario comprende domande concernenti vari aspetti della disabilità. La disabilità è anche compresa tra le variabili delle statistiche comunitarie sul reddito e le condizioni di vita (SILC) (4).

Infine il programma di lavoro annuale di Eurostat per il 2007 prevede per il Sistema statistico europeo (SSE) (5) delle attività rivolte a sviluppare ulteriormente le statistiche comunitarie sulla disabilità e l'integrazione sociale, allo scopo di fornire i dati statistici pertinenti e comparabili necessari per monitorare, in cooperazione con organizzazioni internazionali, la situazione dei disabili. Entro la metà del 2008 un nuovo modulo di indagine sulla disabilità e l'integrazione sociale, elaborato grazie ad un finanziamento concesso da Eurostat, dovrebbe essere disponibile per progetti pilota da attuare negli Stati membri.

Tutto questo lavoro di preparazione si basa sulla Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) elaborata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

4.1.3.

A livello internazionale, Eurostat ha preso parte all'elaborazione di misurazioni globali della disabilità, basandosi sull'ICF dell'OMS, nell'ambito del Gruppo di Washington sulle statistiche in materia di disabilità (6). Dal canto suo, il Consiglio d'Europa ha pubblicato una guida metodologica su come sviluppare degli indicatori della coesione sociale (7).

4.1.4.

Il proposto regolamento relativo alle statistiche comunitarie della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro fornirà una cornice adeguata per le future attività in questo campo. Il regolamento potrà infatti essere utilizzato per raccogliere dati sulla disabilità, ponendo fine a una situazione in cui la raccolta di tali dati veniva eseguita dagli Stati membri senza una specifica base giuridica.

4.2.   Esigenza di ulteriori indicatori europei

4.2.1.

L'articolo 31 della summenzionata convenzione delle Nazioni unite stabilisce che i paesi devono raccogliere informazioni adeguate, compresi dati statistici e risultati della ricerca, che consentano loro di formulare e di applicare le politiche necessarie a mettere in pratica la convenzione stessa. Il CESE invita gli Stati membri a seguire fedelmente tale indicazione.

4.2.2.

Il CESE accoglie con favore le iniziative ricordate più in alto, ma si rammarica della loro mancanza di coerenza e dell'assenza di indicatori politici concordati che le riuniscano e che permettano di analizzare la situazione delle persone con disabilità, di misurare l'impatto degli interventi e delle misure legislative e di valutare le esigenze dei disabili.

4.2.3.

Devono essere definiti indicatori atti a misurare i livelli di occupazione, onde permettere di comprendere meglio quali siano i problemi da risolvere e di delineare gli interventi del caso. Il Consiglio di primavera del 2006 ha ribadito che è necessario adottare misure atte ad innalzare il livello di occupazione dei disabili.

4.2.4.

Per poter definire meglio i futuri interventi politici e legislativi sarebbe necessario valutare l'impatto della direttiva contro la discriminazione e delle legislazioni nazionali in materia.

4.2.5.

Si deve inoltre continuare a raccogliere i dati sulla discriminazione, tenendo però conto di indicatori relativi ad altri campi, quali l'accesso ai beni e ai servizi, l'occupazione, l'inclusione sociale ecc., per ottenere una visione coerente delle questioni riguardanti i disabili e delle relative interazioni.

4.2.6.

Per comprendere meglio le complesse cause dell'esclusione dei disabili bisogna anche procedere ad un'ulteriore valutazione nel campo dell'inclusione nella società. Vanno misurati, accanto al reddito, anche aspetti come la partecipazione alla vita sociale (rappresentanza, accesso alle associazioni, volontariato, politica, ecc.) e l'accesso all'assistenza sanitaria, all'istruzione, alla cultura, ai mezzi di comunicazione e ai servizi sociali.

4.2.7.

Le migliori pratiche attualmente seguite, come il contrassegno europeo di parcheggio per disabili, dovrebbero fungere da modello per l'introduzione di nuove soluzioni dello stesso genere; ciò tuttavia non può avvenire senza un sistema di indicatori che misurino, attraverso dati pertinenti e comparabili, l'inclusione sociale dei disabili.

4.3.   Le sfide poste dalla definizione di indicatori europei

4.3.1.

La trasmissione da parte degli Stati membri dei dati nazionali atti a valutare il livello di inclusione delle persone con disabilità avviene attualmente in assenza di un qualsiasi accordo a livello europeo in materia di indicatori comuni, fatta eccezione per i dati raccolti nel quadro del metodo di coordinamento aperto (8) e del programma dell'Unione europea per il monitoraggio e gli indicatori della salute (9). Bisognerebbe inoltre continuare a spiegare agli Stati membri perché è importante raccogliere dati sulle questioni attinenti alla disabilità.

4.3.2.

La già citata indagine SILC comprende una stima del numero di disabili nell'UE, ma esclude da tale dato le persone che vivono in istituti e i disabili anziani o in età infantile, il che rende meno pertinente il risultato fornito.

4.3.3.

Le definizioni della disabilità, che differiscono da un paese all'altro, andrebbero rese più ampie per includere, tra l'altro, anche le persone con problemi di salute mentale, che spesso non sono conteggiate nelle statistiche nazionali. Ogni definizione della categoria «persone con disabilità» deve fondarsi sull'articolo 1, paragrafo 2, della convenzione delle Nazioni unite: esisterebbe così una base universalmente riconosciuta per stabilire quali categorie vi rientrano.

4.3.4.

I disabili sono un gruppo eterogeneo, ed è quindi difficile definire per essi dei criteri di misurazione; qualunque serie di indicatori dovrebbe quindi tenere conto della varietà delle disabilità esistenti e dei settori di intervento che hanno ripercussioni sulla vita dei disabili, e individuare gli ostacoli alla piena partecipazione dei disabili alla vita sociale.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  ISTAT — Istituto nazionale di statistica, progetto Indicators on integration of disabled poeple into social life (Indicatori di integrazione dei disabili nella vita sociale), relazione conclusiva, giugno 2001, pubblicata da Eurostat.

(2)  Secondo le statistiche sul reddito e le condizioni di vita (Statistics on Income and Living Conditions — SILC) di Eurostat relative al 2005.

(3)  Cfr. http://europa.eu.int/comm/employment_social/disability/index_en.html

(4)  http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page?_pageid=1913,47567825,1913_58814988&_dad=portal&_schema=PORTAL#B

(5)  Per ulteriori informazioni sul Sistema statistico europeo cfr. il sito Internet:

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page?_pageid=1913,47567825,1913_58814988&_dad=portal&_schema=PORTAL#B

(6)  Per ulteriori informazioni sul Gruppo di Washington cfr. il sito Internet

http://www.cdc.gov/nchs/citygroup.htm

(7)  Consiglio d'Europa — Concerted development of social cohesion indicatorsMethodological guide.

(8)  MCA.

(9)  ECHIM (European Community Health Indicators and Monitoring).


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/83


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S

COM(2006) 728 def.

(2008/C 10/21)

La Commissione europea, in data 22 novembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore MORGAN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La comunicazione in esame rientra nel programma della Commissione a sostegno dell'obiettivo, fissato nel quadro della strategia di Lisbona, di portare entro il 2010 la spesa europea per le attività di ricerca e sviluppo (R&S) al 3 % del PIL, di cui 2/3 provenienti dal settore privato. La comunicazione si incentra sui metodi utilizzati dagli Stati membri per incentivare le imprese a investire nelle attività di R&S tramite il sistema fiscale. Essa mira a chiarire la conformità alla normativa comunitaria degli incentivi fiscali alla R&S e a fornire indicazioni agli Stati membri sulle migliori pratiche in materia. La comunicazione rappresenta una gradita risposta alla richiesta del Comitato economico e sociale europeo (CESE) che la Comunità si adoperi «affinché anche le norme fiscali e quelle sulla responsabilità civile vigenti negli Stati membri rispondano meglio agli obiettivi di creare incentivi all'industria per aumentare gli investimenti nella R&S» (1).

1.2.

Alcuni esempi di buone pratiche sono descritti nel capitolo 3 del presente parere. Bisogna tuttavia riconoscere che esistono limiti agli incentivi di carattere fiscale autorizzati. Tali incentivi sono direttamente proporzionali alle aliquote dell'imposta sulle società, all'entità degli oneri sociali e agli utili realizzati da una società, visto che l'idea generale è quella di allentare la pressione fiscale sugli utili. Infine, è ovvio che lo sgravio deve essere calcolato in funzione degli investimenti nella R&S effettivamente realizzati e non in base a piani di investimento futuri.

1.3.

Nelle raccomandazioni per la creazione di un sistema di incentivi viene indicata la necessità di misurare l'efficacia di ciascun regime. Ciò è chiaramente importante nel caso di grandi società redditizie, che potrebbero facilmente trasferire i benefici delle agevolazioni fiscali sul risultato netto dell'impresa, piuttosto che servirsene per potenziare il bilancio per la R&S. Per evitare questo rischio alcuni paesi prevedono incentivi soltanto alla spesa aggiuntiva effettuata nel settore della R&S. Questo sistema potrebbe tuttavia essere controproducente, in quanto un importante effetto degli incentivi fiscali è quello di far sì che le attività di R&S rimangano all'interno dell'UE evitando che vengano trasferite altrove. Di conseguenza, è probabilmente preferibile adottare un sistema efficace di misurazione per le grandi imprese, piuttosto che limitare gli sgravi alla sola spesa aggiuntiva.

1.4.

L'effetto di gran lunga più importante di questi programmi consiste nella loro capacità di sostenere lo sviluppo delle PMI specializzate in R&S nei primi anni della loro esistenza. Le raccomandazioni della Commissione comprendono un ampio ventaglio di incentivi che consentono di alleggerire ulteriormente gli oneri fiscali a carico delle imprese, prevedendo anche sgravi che permettono di dedurre «multipli» dell'ammontare degli investimenti effettuati nel settore della R&S, rimborsi in caso di assenza di utili e agevolazioni sugli oneri sociali. Dato il ruolo strategico delle PMI nell'economia dell'UE, il CESE raccomanda che ciascuno Stato membro utilizzi un mix ottimale dei possibili incentivi fiscali per facilitare la sopravvivenza e la crescita di tali imprese nel tessuto economico nazionale.

1.5.

A questo proposito, il Comitato constata con sorpresa che il testo della Commissione non contiene alcun riferimento alle agevolazioni fiscali destinate a contribuire alla formazione del capitale delle nuove società. Questo aspetto viene ulteriormente approfondito ai punti 4.9-4.12 del presente parere. Il CESE raccomanda di ampliare la comunicazione includendovi anche il tema della formazione del capitale.

1.6.

Un'altra questione di grande importanza per le PMI riguarda i brevetti e le licenze. La regolamentazione vigente non è chiara e vi è un elemento di competizione tra gli Stati membri sul piano del trattamento fiscale. Il CESE raccomanda quindi che la comunicazione copra anche l'aspetto dei brevetti e delle licenze.

1.7.

La comunicazione solleva interrogativi su una serie di settori correlati in cui sarebbe possibile intervenire. A questo proposito, il CESE formula le seguenti raccomandazioni:

1.7.1.

gli Stati membri dovrebbero utilizzare meglio gli incentivi fiscali alla R&S per le industrie che partecipano a progetti di ricerca transnazionali;

1.7.2.

gli Stati membri dovrebbero studiare in che modo ridurre i costi imposti dallo Stato alle giovani imprese attive nella R&S, sul modello del programma francese di grande successo per le giovani imprese innovative (JEI);

1.7.3.

per quanto riguarda gli organismi di ricerca privati operanti nel pubblico interesse, gli Stati membri dovrebbero definire un approccio comune che consenta il libero flusso delle donazioni e dei finanziamenti alla ricerca all'interno dell'UE;

1.7.4.

la mobilità transfrontaliera dei ricercatori andrebbe incoraggiata tramite accordi tra gli Stati membri per impedire la doppia imposizione sulle brevi trasferte;

1.7.5.

la Commissione viene esortata a sviluppare una struttura comune per il riconoscimento reciproco dei certificati di R&S per i paesi che li utilizzano. Al tempo stesso, essa potrebbe esaminare se questi documenti siano effettivamente necessari nel mercato unico;

1.7.6.

il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione volta a semplificare e ad aggiornare le norme per il recupero dell'IVA da parte delle imprese private sulla spesa per R&S sostenuta nel quadro di progetti realizzati in collaborazione con il settore pubblico;

1.7.7.

nella discussione sugli incentivi fiscali a favore della R&S è essenziale tendere a una definizione fiscale della R&S e dell'innovazione valida per tutta l'UE: questo sarebbe un ulteriore progresso nella creazione del mercato unico.

1.8.

L'obiettivo previsto dalla strategia di Lisbona di destinare alla R&S il 3 % del PIL è stato stabilito tenendo conto degli investimenti effettuati nel settore dai concorrenti dell'UE. È un fatto che, a livello macroeconomico, l'UE è meno coinvolta nelle industrie ad alta intensità di R&S rispetto a paesi concorrenti come il Giappone e gli USA. Pertanto, oltre a stimolare le attività di R&S del settore privato sarebbe opportuno incrementare gli investimenti pubblici nelle università e negli istituti di ricerca a finanziamento statale. Un impulso al riguardo dovrebbe provenire dai progetti ambientali (2).

2.   Introduzione

2.1.

La comunicazione in esame si inscrive nel contesto della strategia di Lisbona, che esorta a incrementare gli investimenti nelle attività di R&S nell'Unione europea per raggiungere entro il 2010 il 3 % del PIL, di cui i 2/3 provenienti dal settore privato. Nel 2005 la Commissione ha annunciato l'intenzione di promuovere un contesto fiscale più coerente e favorevole alla R&S, pur riconoscendo che la politica fiscale rientra nelle competenze degli Stati membri (COM(2005) 488 def. e COM(2005) 532 def.).

2.2.

Nel quadro della strategia di Lisbona la Commissione ha adottato una serie di iniziative volte ad aumentare la spesa per la R&S in modo che raggiunga il 3 % del PIL, sviluppando al tempo stesso lo Spazio europeo della ricerca. Lo sforzo teso a sbloccare il potenziale europeo nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione è culminato nel 7o programma quadro. Nei suoi pareri il CESE ha sistematicamente sollecitato la Commissione e gli Stati membri a rimuovere le barriere che limitano la ricerca europea in termini sia quantitativi che qualitativi, adottando nel contempo iniziative sul piano organizzativo, istituzionale e finanziario che consentano all'attività di R&S in Europa di raggiungere una massa critica sufficiente.

2.3.

La comunicazione fornisce orientamenti per aiutare gli Stati membri a migliorare il trattamento fiscale riservato alla R&S e a superare i problemi comuni con soluzioni coerenti fra loro. Non si tratta quindi di un programma comunitario destinato a realizzare progetti e obiettivi specifici, bensì di un'iniziativa intesa a consentire agli Stati membri di promuovere la R&S nel settore privato, e che sarà efficace nella misura in cui riuscirà a incentivare le singole imprese del settore privato a investire nella R&S. La comunicazione intende aiutare gli Stati membri in tre modi:

chiarendo le norme giuridiche derivanti dal diritto UE a cui devono sottostare gli incentivi fiscali alla R&S,

mettendo in evidenza le caratteristiche generali del trattamento e degli incentivi fiscali in materia di R&S sulla base di analisi di buone pratiche realizzate da esperti,

presentando per discussione una serie di possibili iniziative future volte ad affrontare in modo coerente problemi di interesse comune.

2.4.

A questo ambito d'intervento si applica il metodo aperto di coordinamento: spetta infatti agli Stati membri decidere in materia. Gli orientamenti forniti nella comunicazione derivano dalle migliori pratiche adottate dagli Stati membri. Tuttavia, il presente parere non ha l'obiettivo di criticare le varie politiche seguite a livello nazionale, e si limita a formulare osservazioni su tali orientamenti e sulle possibili iniziative future citate al punto 2.3.

3.   Sintesi del documento della Commissione

3.1.

Tutti gli incentivi fiscali a favore della R&S proposti dagli Stati membri devono rispettare le libertà fondamentali del Trattato e il principio di non discriminazione. La Commissione ritiene incompatibili con le libertà del Trattato sia le restrizioni territoriali implicite che quelle esplicite. Tutto indica che difficilmente la Corte di giustizia delle Comunità europee accetterà restrizioni territoriali all'applicazione di incentivi fiscali a favore della R&S.

3.2.

In linea di principio, le norme sugli aiuti di Stato si applicano indipendentemente dalla forma dell'aiuto, per cui anche gli incentivi fiscali a favore della R&S potrebbero costituire aiuti di Stato. Tuttavia, un incentivo fiscale non selettivo a favore della R&S, cioè destinato alle imprese di qualunque forma e dimensione e di qualunque settore, sarebbe da considerare una misura di carattere generale, e quindi una componente del regime fiscale globale riservato alle società.

3.3.

L'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del Trattato afferma che possono essere ritenuti compatibili con il mercato comune gli «aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività […] economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse». La Commissione ha stabilito una disciplina RSI per stabilire a quali incentivi fiscali selettivi possano applicarsi le disposizioni del succitato articolo. Tale disciplina è stata messa a punto nel pubblico interesse per correggere quella che viene giudicata una disfunzione del mercato nel settore della R&S.

3.4.

Nell'applicazione di tale disciplina la Commissione cercherà di:

stabilire a quale categoria appartengano le attività di R&S, se ricerca fondamentale, ricerca industriale o sviluppo sperimentale,

verificare se l'incentivo si applichi ai costi ammissibili,

fare in modo che l'intensità dell'aiuto si limiti alla soglia massima prevista dalla disciplina.

Inoltre la Commissione, sulla scorta delle argomentazioni presentate dagli Stati membri, partirà dal presupposto che gli incentivi fiscali in questione rimedino a una disfunzione del mercato stimolando le imprese a investire di più nella R&S.

3.5.

Il Consiglio europeo ha esortato a utilizzare il metodo aperto di coordinamento come ausilio nella definizione delle politiche di ricerca. Il Consiglio ha poi chiesto al Comitato della ricerca scientifica e tecnica (CREST) di provvedere alla supervisione di questo metodo. Nella comunicazione in esame la Commissione attinge ampiamente alla relazione Evaluation and Design of R&D Tax Incentives («Valutazione e concezione degli incentivi fiscali a favore della R&S»), pubblicata dal CREST nel marzo 2006.

3.6.

Viste le disparità tra gli Stati membri in materia di strutture economiche e industriali, capacità e livelli di spesa nel settore della R&S e politica fiscale generale, il dosaggio degli strumenti politici a favore della R&S e dell'innovazione varia molto da uno Stato all'altro. La maggioranza dei regimi esistenti è di natura generale e circa la metà di essi prevede una soglia o un tetto massimo. Questa situazione torna a vantaggio delle PMI, il cui livello di spesa si colloca solitamente al di sotto della soglia massima. All'incirca un terzo degli incentivi fiscali apporta vantaggi particolari alle PMI e sempre più numerosi sono i regimi mirati specificamente alle PMI giovani e innovative.

3.7.

I tre tipi principali di agevolazione fiscale sono il differimento d'imposta, lo sgravio fiscale e il credito d'imposta. L'impatto degli incentivi utilizzati da ciascuno Stato membro dipende dal suo sistema fiscale generale. A seconda degli obiettivi perseguiti, alcuni regimi si applicano alla spesa totale per la R&S o unicamente alla spesa aggiuntiva risultante dall'applicazione degli incentivi. In altri casi sono previste agevolazioni per entrambe le categorie di spesa, ma con aliquote diverse. La generosità degli incentivi varia notevolmente da uno Stato membro all'altro. L'effetto di agevolazione fiscale degli incentivi dipende anche dai livelli delle aliquote d'imposta sulle società.

3.8.

Il differimento d'imposta comporta generalmente la possibilità di dedurre la totalità delle spese per la R&S dagli utili imponibili. In base a questo sistema, ogni euro speso in R&S è totalmente deducibile; quando non lo è, solitamente può essere capitalizzato e ammortizzato successivamente, come avviene in particolare per le spese in conto capitale.

3.9.

Lo sgravio fiscale si ha quando viene consentita una deduzione della spesa per R&S superiore al 100 %. Solitamente il ricorso allo sgravio fiscale consente di dedurre una percentuale che varia dal 125 % al 300 % degli importi spesi per la R&S. Ad esempio, con un'aliquota generale di imposta sulle società del 30 %, una società potrebbe dedurre 3 000 euro per ogni tranche di 10 000 euro spesi in R&S. Con un incremento del 50 %, tale società potrebbe chiedere una deduzione di 4 500 euro per ogni 10 000 euro spesi.

3.10.

Quando l'incentivo fiscale è concesso sotto forma di credito d'imposta, quest'ultimo si configura come rimborso d'imposta o restituzione in contanti. Il credito è solitamente funzione dell'onere fiscale ma, qualora non vi sia alcun onere fiscale, può essere calcolato in percentuale della spesa per R&S. Per un'impresa che muove i primi passi e che non ha ancora registrato utili, la restituzione di denaro liquido può rappresentare un'assai gradita iniezione di fondi.

3.11.

Mentre la maggior parte degli incentivi descritti sopra è legata all'imposta sulle società, altri si basano invece sulle imposte che colpiscono le retribuzioni e gli oneri sociali o sull'imposta sul reddito delle persone fisiche. Questi sistemi consentono di ridurre i costi del personale addetto alla ricerca con effetto immediato, riducendo così la principale voce di spesa per la R&S. Quanto più elevati sono gli oneri sociali, tanto maggiore sarà l'impatto di queste misure.

3.12.

Tra i regimi di incentivazione applicabili alle aziende in perdita, ad esempio le PMI giovani e innovative, si annoverano l'esenzione dalle imposte sulle retribuzioni, il rimborso dell'imposta sulle società, i crediti d'imposta per la R&S e il riporto illimitato delle perdite registrate in vista di agevolazioni fiscali successive.

3.13.

Nel 2004 la Francia è stata il primo Stato membro dell'UE a introdurre un incentivo fiscale concepito specificamente per sostenere le giovani imprese innovative (JEI). L'iniziativa mira a stimolare la ricerca nel settore privato e a generare una crescita reale riducendo i costi di avvio delle nuove imprese orientate verso la ricerca e l'innovazione. Gli incentivi comprendono l'esenzione dall'imposta sulle società per i primi tre anni in attivo, seguita da un'esenzione del 50 % per i due anni successivi. Inoltre, le imprese beneficiarie sono esentate per otto anni dal pagamento dei contributi previdenziali per il personale altamente qualificato. Per essere ammesse a questo regime le imprese devono rispondere a una serie di criteri.

3.14.

In base alle esperienze fatte con l'applicazione degli incentivi fiscali alla R&S in 15 Stati membri, la comunicazione giunge alla conclusione che gli Stati membri dovrebbero:

utilizzare per quanto possibile misure generali, le quali consentono di raggiungere un maggior numero di imprese, al fine di favorire il massimo aumento della spesa per la R&S e minimizzare le distorsioni del mercato,

prevedere la totale deducibilità di tutte le spese per la R&S (senza capitalizzazione o ammortamento accelerato) con adeguate disposizioni che consentano di imputare eventuali perdite agli esercizi anteriori o successivi.

3.15.

Per quanto riguarda la messa a punto dei sistemi di incentivazione, gli Stati membri dovrebbero definire chiaramente i loro obiettivi, ossia:

porre l'accento sull'aumento della spesa per R&S che intendono ottenere,

insistere sulle imprese affinché cambino i loro comportamenti,

valutare i più vasti effetti sociali di questi cambiamenti,

tenere conto dei criteri di valutazione fin dalla fase di progettazione,

appurare se incentivi specifici permettano di conseguire i loro obiettivi.

3.16.

Al di là del tema degli incentivi alla R&S per le società, la comunicazione affronta anche una serie di questioni descritte come «Orientamenti relativi a misure di interesse comune e che presentano vantaggi reciproci». La posizione del CESE su di esse figura nel capitolo 5 del presente documento.

4.   Osservazioni sugli «Orientamenti»

4.1.

Gli «Orientamenti» presentano un'ampia gamma di scelte per promuovere la R&S tramite incentivi fiscali. Il CESE esorta tutti gli Stati membri ad adeguare tali orientamenti alle rispettive esigenze specifiche al fine di creare un ambiente favorevole alle attività di R&S. Il metodo aperto di coordinamento, condotto sotto l'egida del CREST e basato sull'Agenda di Lisbona, dovrebbe dare a tutti gli Stati membri l'opportunità di applicare le migliori pratiche in materia.

4.2.

L'impulso fornito alla R&S dagli incentivi fiscali varierà a seconda delle dimensioni delle imprese, siano esse grandi, piccole e medie o in fase di avviamento.

4.3.

In molti Stati membri, gli incentivi fiscali agli investimenti in R&S sono relativamente recenti e non se ne possono ancora valutare accuratamente gli effetti sulle grandi imprese. È possibile che in alcuni casi le economie d'imposta siano visibili sul risultato netto dell'impresa piuttosto che nel settore della R&S, il che spiega perché alcuni Stati membri offrano maggiori incentivi agli investimenti aggiuntivi nella R&S. Allo stesso tempo gli Stati membri hanno interesse a conservare le attività di R&S sul loro territorio, per cui gli incentivi fiscali diretti incoraggeranno le imprese a mantenere le loro attività di R&S nei siti attuali.

4.4.

Le grandi imprese dispongono di una maggiore massa critica di ingegneri e scienziati e possono quindi delocalizzare più facilmente. Se, ad esempio, uno Stato membro decide di usare gli incentivi alla R&S per mantenere sul proprio territorio i posti di lavoro di cui dispone nel settore della progettazione software, l'incentivo più potente potrebbe essere quello di renderne totalmente deducibili i costi, come indicato al punto 3.8.

4.5.

Le PMI non hanno le risorse delle grandi imprese e rischiano quindi di essere esposte a pressioni finanziarie relativamente maggiori. Le soluzioni adottate da alcuni Stati membri, che consistono nel concedere alle PMI maggiori sgravi fiscali e fissarne il tetto ad un livello superiore alle cifre investite da queste ultime, permetteranno alle PMI una flessibilità finanziaria relativamente maggiore per gli investimenti nella R&S.

4.6.

È nelle imprese in fase di avviamento che gli incentivi fiscali possono esercitare il massimo effetto leva, e ciò è tanto più importante in quanto queste imprese svolgono un ruolo fondamentale nella promozione dell'imprenditoria e dell'innovazione. Spesso, infatti, le innovazioni nel settore dei servizi, della scienza e della tecnologia sono veicolate proprio dalle nuove imprese. Spesso le unità di R&S all'interno delle imprese consolidate sembrano maggiormente in grado di proporre prodotti sostitutivi o di migliorare i prodotti esistenti, anziché di realizzare invenzioni rivoluzionarie. Le nuove imprese che sfruttano le invenzioni scientifiche e tecnologiche svolgono un ruolo essenziale in quanto, se riescono a sopravvivere alle difficili fasi iniziali (e purtroppo la maggioranza delle piccole imprese non sopravvive), possono o trasformarsi in PMI generatrici di ricchezza o diventare una preziosa acquisizione per un'impresa di maggiori dimensioni. Molte imprese tecnologiche possono stanziare per le fusioni e acquisizioni bilanci almeno pari a quelli per la R&S. Anzi, molte grandi imprese di questo genere si sono dotate di risorse di investimento sul modello del capitale di rischio.

4.7.

Poiché l'acquisizione di piccole società da parte di società più grandi rappresenta un aspetto particolare dell'economia aziendale, è logico che le relative transazioni siano quanto più trasparenti e neutre possibili dal punto di vista fiscale. Ciò significa che la «tassa di uscita» applicabile ai fondatori e agli imprenditori dovrebbe essere ridotta al minimo e che alle società acquirenti non si dovrebbe imporre alcuna penalità tale da generare distorsioni.

4.8.

Se è auspicabile accordare alle giovani imprese innovative del settore tecnologico incentivi fiscali in materia di R&S, è altrettanto importante accordare incentivi di carattere generale alle imprese in fase di avviamento: tali incentivi incoraggiano infatti la formazione di imprese in tutti i settori industriali, contribuendo così alla crescita complessiva delle economie degli Stati membri.

4.9.

Nel contesto degli incentivi fiscali generali destinati a incoraggiare la formazione di nuove imprese, è singolare che la comunicazione non accenni all'imposta sul capitale. Il problema delle imprese in fase di avviamento è procurarsi i finanziamenti iniziali. Dato che il cosiddetto capitale di rischio non interviene facilmente nelle imprese che muovono i primi passi, di solito il capitale di avviamento deve essere fornito da investitori privati, business angels oppure amici e familiari di chi le fonda. Il regime fiscale cui è soggetto il capitale apportato da tali investitori è un aspetto essenziale nella creazione di imprese.

4.10.

Il Regno Unito ha un sistema relativamente consolidato di incentivi fiscali in questo settore che può servire da esempio. Gli investimenti possono essere realizzati direttamente tramite l'Enterprise Investment Scheme (programma di investimento delle imprese — EIS) o un Venture Capital Trust (fondo di capitale di rischio — VCT), che costituisce un vettore di investimento collettivo quotato nell'Alternative Investment Market (mercato alternativo di investimento — AIM). Le società che desiderano avvalersi di tali programmi devono soddisfare specifici criteri di ammissibilità.

4.11.

In ciascuno di questi programmi una parte degli importi investiti può essere dedotta dall'imposta sul reddito: il 20 % nel caso dell'EIS e il 30 % nel caso del VCT. Le plusvalenze realizzate al termine di un determinato periodo sono esenti dall'imposta sul capitale. Inoltre, i dividendi di un VCT sono esenti dall'imposta sul reddito e le quote di partecipazione di un VCT non sono soggette a imposta di successione. Se è vero che un investimento non dovrebbe mai essere motivato unicamente dai vantaggi fiscali, è anche vero che questi programmi consentono di ridurre significativamente i rischi per chi investe nelle imprese in fase di avviamento. In effetti, essi hanno centrato l'obiettivo di semplificare il reperimento dei capitali per gli imprenditori britannici.

4.12.

Un'omissione importante nella comunicazione riguarda il trattamento di brevetti e licenze. La legislazione in materia è confusa e vi è una palese concorrenza tra gli Stati membri per quanto riguarda il trattamento fiscale riservato ai brevetti. Il CESE propone che la comunicazione copra anche l'aspetto dei brevetti e delle licenze.

5.   Orientamenti relativi a misure di interesse comune e con vantaggi reciproci

5.1.

Il Comitato sostiene l'invito rivolto agli Stati membri di eliminare gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di progetti di ricerca transnazionali, fra l'altro migliorando l'uso degli incentivi fiscali alla R&S per le industrie che vi partecipano.

5.2.

Il Comitato esorta gli Stati membri a studiare come ridurre i costi imposti dallo Stato alle giovani imprese attive nella R&S, sul modello del programma francese di grande successo per le giovani imprese innovative.

5.3.

La comunicazione osserva che, per quanto nell'UE esistano fondazioni di ricerca private operanti nel pubblico interesse che mirano a potenziare le conoscenze scientifiche finanziando le attività di R&S, generalmente nell'ambito delle università, esse sono molto meno numerose che in altre regioni del mondo, come ad esempio gli USA. Sembrano esservi ostacoli, sia formali che informali, che impediscono tanto ai privati quanto alle società (che dovrebbero poter beneficiare di vantaggi fiscali in materia di imposta sul reddito e di imposta sulle società) di fare donazioni, e che limitano così il flusso di finanziamenti verso la ricerca. Il Comitato appoggia la proposta che gli Stati membri definiscano un approccio comune tale da agevolare il flusso delle donazioni e dei finanziamenti alla ricerca all'interno dell'UE.

5.4.

La mobilità transfrontaliera dei ricercatori andrebbe incoraggiata tramite accordi tra gli Stati membri per impedire la doppia imposizione nelle brevi trasferte. Gli Stati membri sono inoltre esortati ad estendere tali accordi a paesi gravitanti intorno all'UE, come l'Ucraina, Israele e la Turchia, che partecipano a notevoli scambi di esperienze con l'UE nel settore della R&S.

5.5.

In alcuni Stati membri le imprese possono chiedere un certificato attestante la loro capacità di svolgere attività di R&S. In alcuni Stati membri tali attestazioni vengono rilasciate automaticamente agli enti pubblici che effettuano attività di R&S. Per facilitare il reciproco riconoscimento di tali certificati la Commissione lancerà la proposta di creare una struttura comune. Potrebbe essere una misura ragionevole per gli Stati membri che utilizzano questo tipo di certificati.

5.6.

La Commissione ha evidenziato motivi di preoccupazione nei casi in cui le imprese pubbliche e private interagiscono nel settore della R&S per i problemi inerenti al recupero dell'IVA sulla spesa per la R&S delle imprese private. Il Comitato accoglie quindi con favore la proposta della Commissione mirante alla semplificazione e alla modernizzazione delle norme in materia e della loro applicazione.

5.7.

Infine, la comunicazione afferma che a lungo termine sarebbe auspicabile cercare di predisporre una definizione fiscale della R&S e dell'innovazione valida per tutta l'UE e riservare a tale spesa un trattamento fiscale favorevole nel quadro della base imponibile consolidata comune. Si tratterebbe di un ulteriore passo verso il completamento del mercato unico.

Bruxelles, 27 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE sul tema Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione, GU C 325 del 30.12.2006, pag. 16 (punto 3.5).

(2)  Id., punti 14.2-14.4.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'economia dell'UE: rassegna 2006 — Rafforzare l'area dell'euro: le principali priorità politiche

COM(2006) 714 def. — SEC(2006) 1490

(2008/C 10/22)

La Commissione, in data 11 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sull'«Economia dell'UE: rassegna 2006 — Rafforzare l'area dell'euro: le principali priorità politiche».

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI e dal correlatore DERRUINE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato condivide in larga parte il documento della Commissione; desidera tuttavia aggiungere da parte sua alcune considerazioni — fra le quali talune già formulate in precedenza, anche in epoca antecedente all'adozione dell'euro. La Commissione esprime diverse velate critiche su taluni aspetti delle politiche degli Stati membri: il CESE ne condivide la sostanza, ma ricorda che spesso i governi si trovano a dover fare i conti con esigenze ineludibili di politica interna o con eventi esogeni (crisi energetiche, eventi bellici, ecc.) fuori del loro controllo.

1.2.

La sostenibilità a lungo temine delle politiche di bilancio è resa aleatoria quando viene a mancare una continuità di linea politica nei governi che si succedono nel tempo; altrettanto dicasi per le riforme strutturali, che sono influenzate da un notevole grado di soggettività a seconda degli orientamenti dei governi in carica. Pur tenendo conto di queste circostanze, il CESE sostiene, con la Commissione, la necessità che le riforme strutturali siano portate a compimento con la necessaria continuità di indirizzi.

1.3.

La flessibilità dei mercati dei beni e dei servizi è un aspetto della politica economica nella quale i governi devono ricercare l'accordo delle parti sociali; l'azione di liberalizzazione — che ha dato risultati di vario segno nei diversi paesi e a seconda dei settori — va realizzata con oculatezza e tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun paese e settore.

1.4.

L'integrazione dei mercati finanziari, già acquisita in massima parte per i servizi corporate, si presenta più problematica per i mercati al dettaglio; la maggior parte degli ostacoli è peraltro di natura oggettiva (differenze di lingua, caratteristiche dei servizi, ecc.). Si tratta di problemi che non possono essere risolti per via legislativa o regolamentare, ma dal mercato, là dove possibile. Le regole esistenti dovrebbero essere sufficienti per proseguire nell'integrazione; occorrono semmai norme per assicurare una protezione ottimale degli interessi dei consumatori e, ove necessario, la vigilanza sui mercati.

1.5.

Le contrattazioni salariali dovrebbero incorporare, come chiede la Commissione, le implicazioni dell'Unione monetaria; da parte sua, il CESE auspica che si possa stabilire una convergenza delle politiche economiche, monetarie e occupazionali attraverso l'istituzione di riunioni miste dell'Eurogruppo e del Consiglio Occupazione: una convergenza, sia pure anche solo di massima, potrebbe contribuire a raggiungere, nel tempo, una reale armonizzazione delle diverse politiche.

1.6.

La raccomandazione della Commissione di tenere in maggior conto la dimensione internazionale corrisponde ad una critica che il CESE fece ancor prima dell'adozione dell'euro. L'emergenza dei paesi asiatici non dovrebbe essere vista come una minaccia, ma piuttosto come una sfida da affrontare sul piano della competitività e dell'innovazione.

1.7.

La promozione dell'area euro dovrebbe essere fatta con convinzione dai singoli governi: ad essi si raccomanda di astenersi dall'addebitare all'euro i problemi dell'economia nazionale, sottacendo invece i benefici che ad essa derivano dal fatto di avere adottato la moneta unica. Sarebbe inoltre augurabile che i paesi che non hanno aderito all'euro al momento della sua entrata in funzione manifestassero con chiarezza le loro intenzioni per il futuro. E questo non è solo per informare l'opinione pubblica dell'Eurozona, ma anche per permettere di definire le future politiche dell'euro basandosi sulla conoscenza di quali e quante economie ne faranno parte.

1.8.

Il CESE rileva che l'importanza assunta dall'euro come moneta internazionale dovrebbe permettere di riproporre con forza la sua candidatura per un posto in seno al Fondo monetario internazionale. Non si tratterebbe di farne uscire uno degli attuali membri, ma piuttosto di aggiungerne uno. L'obiezione secondo la quale gli statuti del FMI non lo prevedono sembra di scarsa consistenza o pretestuosa.

1.9.

Un'idea piuttosto controversa, che viene manifestata al solo scopo di sondare il terreno in vista di un'eventuale futura presa in considerazione, è quella di creare un fondo di stabilizzazione europeo, da alimentare con i surplus fiscali dei periodi favorevoli, per finanziare progetti di interesse comunitario.

1.10.

In linea generale, il Comitato ritiene accettabile il rapporto della Commissione, ma coglie l'occasione per rilevare come anche in tale rapporto — così come in tutta la copiosa documentazione riguardante l'euro — manchi del tutto il rilievo dovuto alla dimensione politica della moneta unica: il significato dell'euro e le sue conseguenze e prospettive vanno infatti ben al di là delle semplici implicazioni economiche, finanziarie o sociali: il vero collante dell'Unione risiede infatti nell'aver scelto di mettere insieme interessi di paesi diversi facendoli confluire in una moneta comune.

2.   Introduzione

2.1.

La Commissione ha pubblicato una comunicazione sull'andamento dell'economia dell'UE nel 2006, concentrandosi in particolare sulle priorità politiche per il rafforzamento dell'area dell'euro. Il documento è basato su un altro, Adjustment Dynamics in the Euro areaExperiences and Challenges  (1), che costituisce, come al solito, una preziosa fonte di riferimento per ulteriori approfondimenti.

2.2.

Il CESE ha ormai adottato la consuetudine di commentare il documento annuale della Commissione con un proprio parere d'iniziativa (2). Con il presente parere esso intende richiamare, e confermare, le posizioni e raccomandazioni formulate in precedenza, le quali verranno ricordate, quando necessario, nel testo. Esso intende inoltre contribuire alle riflessioni sul funzionamento dell'UEM introducendo nuovi elementi, come ad esempio il Consiglio misto dei ministri dell'Economia e dell'Occupazione dell'Eurozona o la proposta, a titolo esplorativo, di creare un fondo europeo di stabilizzazione.

2.3.

D'altra parte, in una prospettiva storica della creazione della moneta unica, non ci si può esimere dall'osservare che diverse misure adottate o raccomandate in tempi recenti dalla Commissione costituiscono un riscontro alle osservazioni che il CESE, con un suo parere del 1997 (3), aveva formulato a proposito della rigidità di alcuni concetti ispiratori del Patto di stabilità e di crescita. Si era osservato allora che le caratteristiche della congiuntura e delle politiche nazionali non erano state tenute nel debito conto nel determinare i parametri di riferimento e la loro applicazione. I suggerimenti formulati dal CESE non erano stati allora recepiti: il tempo ne ha dimostrato la validità (4).

2.4.

La mancanza di realismo iniziale si riflette ora nelle critiche — giustificate, ma sin dall'inizio prevedibili — che vengono mosse alle politiche economiche dei paesi dell'Eurogruppo: l'elaborazione dei bilanci nazionali dovrebbe ispirarsi a ipotesi macroeconomiche comuni. La volontà della presidenza, espressa nella riunione dei ministri dell'Eurogruppo del 6 novembre 2006, non ha trovato riscontro nei fatti: l'elaborazione dei bilanci nazionali è ancora lontana dall'ispirarsi al necessario coordinamento delle politiche economiche.

2.5.

Occorre d'altra parte rendersi conto che un coordinamento delle politiche economiche si rivela oltremodo difficile in presenza di situazioni socioeconomiche differenti e di obiettivi politici diversi — e talvolta divergenti — da paese a paese; sarebbe già un grande passo avanti se si ottenesse che tali politiche fossero convergenti. La convergenza dipende da una moltitudine di fattori, ma principalmente dall'occupazione, fattore le cui dimensioni e caratteristiche sono la risultante di un complesso di altre politiche.

2.5.1.

Gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli orientamenti della strategia europea per l'occupazione sono ormai due strategie integrate; una convergenza di massima, almeno come tentativo per giungere ad un'armonizzazione nel tempo, potrebbe essere ottenuta attraverso una riunione mista dell'Eurogruppo con il Consiglio Occupazione e affari sociali in formato «zona euro». Le indicazioni emergenti da tale riunione potrebbero fornire elementi di giudizio preziosi in vista della riunione annuale del Consiglio di primavera.

3.   Il documento della Commissione

3.1.

La comunicazione riassume, in tre parti di lodevole concisione, il bilancio delle esperienze, le considerazioni specifiche e le raccomandazioni della Commissione. Sono state evitate le affermazioni ormai pacificamente accettate e le ripetizioni di principi che nel corso degli anni sono entrati a far parte delle linee direttrici della politica economica.

3.2.   Il bilancio delle esperienze dei primi anni dell'euro

3.2.1.

La Commissione si richiama ai dibattiti che hanno preceduto il lancio dell'euro nel 1999: la questione fondamentale riguardava «il modo in cui i paesi partecipanti si sarebbero adeguati agli shock e alle differenze di competitività in un contesto di scarsa mobilità del lavoro, di integrazione incompleta dei mercati dei prodotti e dei servizi e di mantenimento dell'autonomia nazionale in materia di bilancio». Questi interrogativi permangono ancor oggi, ma i dubbi di coloro che formulavano previsioni pessimistiche di «vita breve» dell'Unione monetaria non hanno trovato conferma.

3.2.2.

I successi, o per lo meno le prove positive fornite dall'euro, sono incontestabili: la moneta è forte e stabile, ha reagito bene agli shock esterni ed interni comuni, ha combattuto efficacemente l'inflazione. Gli Stati membri hanno goduto di condizioni di finanziamento «tra le più favorevoli mai registrate». A questi vantaggi si aggiunge, secondo il CESE, quello di aver messo diversi paesi membri dell'area euro al riparo da un'inflazione che la loro moneta nazionale avrebbe certamente subito come conseguenza di peggiorate condizioni economiche e di bilancio. L'euro, seconda moneta mondiale, ha protetto gli Stati membri dagli shock monetari e finanziari che avrebbero ostacolato la crescita, distrutto posti di lavoro e demolito la fiducia degli operatori economici.

3.2.3.

Ai successi si contrappongono però alcuni aspetti che rimangono ancora problematici. In molti casi le singole economie si sono adeguate a fatica, e con risultati ampiamente divergenti, agli sviluppi interni dei rispettivi paesi. Le divergenze hanno trovato un riflesso nei tassi di inflazione e di crescita; gli aggiustamenti derivanti dal rallentamento delle economie avrebbero dovuto permettere una più rapida crescita tendenziale a medio termine, dopo aver scontato la perdita di competitività iniziale. Questo non è avvenuto, o per lo meno è avvenuto solo parzialmente. «Più in generale», conclude la Commissione, «l'area dell'euro non è stata finora in grado di assicurare elevati tassi di crescita e di occupazione per un periodo prolungato». Il CESE si riserva di commentare più avanti questa affermazione.

3.2.4.

La Commissione riconosce d'altra parte che le difficoltà di aggiustamento non sono dovute soltanto, o principalmente, ai ritardi nell'attuazione di riforme fiscali e strutturali: esse sarebbero imputabili anche alla disciplina imposta dalle regole dell'Unione monetaria.

3.2.5.

Nei primi anni dell'UEM si sono verificati squilibri e fluttuazioni nei tassi di cambio effettivi reali; per alcuni Stati membri, a questo si è aggiunto il forte calo dei tassi di interesse e «il rilassamento delle condizioni di credito per le famiglie con il miglioramento dell'accesso al credito in un mercato finanziario più integrato», con effetti diretti sui consumi di beni durevoli e non. In particolare per quel che riguarda i beni durevoli (immobili), talune economie hanno risentito di massicci investimenti all'estero, cosa che ha reso ancor più ampi i disavanzi delle partite correnti.

3.2.6.

Un'affermazione della Commissione che presenta un carattere generale, anche se parte dall'esempio dei Paesi Bassi, è quella che si riferisce ai «rischi insiti nell'elaborazione delle politiche fiscali nei periodi di congiuntura favorevole». Nei Paesi Bassi, la congiuntura fortemente favorevole all'inizio del decennio ha indotto effetti prociclici sul mercato del lavoro e sul mercato finanziario, e in definitiva sulla politica fiscale. Condizioni esterne dell'economia hanno provocato una repentina contrazione, che a sua volta ha imposto l'adozione di contromisure drastiche di contenimento.

3.2.7.

I prezzi e le retribuzioni hanno anch'essi giocato un ruolo nel complesso dei problemi: a livello nazionale essi si sono adeguati troppo lentamente ai cambiamenti di ciclo, nonostante un contesto generale di moderazione salariale — il che ha tra l'altro contribuito a fare diminuire la disoccupazione. La debole crescita della produttività ha fatto pesare l'onere del deprezzamento reale sia sui prezzi che sulle retribuzioni, ma principalmente su queste ultime. Questi fenomeni interagiscono a livello internazionale, provocando spostamenti nella domanda e ripercussioni sulla competitività.

3.2.8.

Infine, la convergenza nominale e reale ha registrato risultati divergenti ma anche istruttivi, se solo ci si desse la pena di analizzare i fatti in modo critico e obiettivo. La Commissione dice che i diversi andamenti sono stati «in parte» il riflesso delle diverse politiche nazionali. Il CESE osserva qui, per inciso, che la congiuntura mondiale ed europea ha influito in misura tendenzialmente uniforme su tutti i paesi: se divergenze ci sono state, esse sono dovute in gran parte alle politiche nazionali. Gli esempi, citati dalla Commissione, di Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda sono la prova lampante che, a fronte di congiunture favorevoli, politiche di bilancio da «cicala» o da «formica» hanno portato a risultati totalmente divergenti.

3.3.   Gli interventi necessari per il buon funzionamento dell'euro

3.3.1.

A questo capitolo del documento è necessario dedicare la massima attenzione, perché le cinque«considerazioni specifiche» che seguono costituiscono — o meglio «coincidono» — con le priorità della Commissione per i prossimi anni.

3.3.2.

Considerazione 1: gestire con maggiore prudenza le politiche di bilancio. In sostanza, le misure da adottare coincidono con quelle che furono approvate in occasione del Patto di stabilità e di crescita riveduto, e che ormai dovrebbero essere bene interiorizzate dai governi, e non solo da quelli dell'area euro. Il tutto si traduce nella raccomandazione — ovvia ma evidentemente non sempre osservata all'atto di tracciare i piani annuali — di tener conto della sostenibilità a lungo termine delle politiche di bilancio.

3.3.3.

Considerazione 2: maggiore flessibilità dei mercati dei beni e dei servizi. La Commissione parla di raggiungere una «maggiore flessibilità al ribasso»s dei prezzi, cosa impossibile da ottenere quando i prezzi sono rigidi: in questa situazione emergono resistenze all'adeguamento delle retribuzioni nominali, il che produrrebbe riduzioni più marcate nelle retribuzioni reali. Occorre anche incoraggiare una riallocazione delle risorse fra imprese e fra settori. Il tutto, flessibilità dei prezzi e redistribuzione di risorse, dipende dalla creazione di mercati aperti e competitivi. Potrebbe anche essere necessario rivedere le politiche fiscali e di spesa (o alcuni dei loro aspetti), sia a livello dell'UE che ai livelli nazionali e regionali.

3.3.4.

Considerazione 3: accelerare l'integrazione dei mercati finanziari. In questo campo sono stati conseguiti importanti progressi, ma secondo la Commissione molto resta da fare per sfruttare il potenziale dei mercati finanziari dell'area dell'euro: una maggiore integrazione può ridurre l'impatto degli shock economici sui redditi e sui mercati nazionali del credito. Il piano d'azione per i servizi finanziari, e le iniziative già in corso, dovrebbero produrre risultati significativi.

3.3.5.

Considerazione 4: incorporare le implicazioni dell'UEM nelle contrattazioni salariali. Le parti sociali implicate nei processi di negoziazione dovrebbero disporre delle informazioni necessarie per calcolare la congruità della crescita delle retribuzioni, potendo così valutarne le implicazioni nei processi di aggiustamento. Una politica salariale coerente con i piani di sviluppo potrebbe evitare le «ipercorrezioni» dei tassi di cambio effettivi reali nell'ambito dell'area euro.

3.3.6.

Considerazione 5: tener conto della dimensione internazionale. Questo aspetto dovrebbe essere considerato «in modo più sistematico». Le politiche economiche a livello dell'area euro e a livello nazionale hanno spesso sottovalutato questo aspetto, che è invece molto importante nella determinazione delle politiche economiche. L'impatto dell'euro — o meglio dei suoi tassi di cambio — su altri protagonisti dell'economia mondiale deve essere attentamente valutato, perché da esso dipende la strategia degli scambi commerciali, della finanza e della politica economica.

3.4.   La strada da percorrere per rafforzare l'area dell'euro

3.4.1.

Il documento della Commissione indica in questo capitolo le misure necessarie per rafforzare e completare l'Unione monetaria, una priorità che nell'attuale contesto internazionale assume carattere di urgenza. Una frase in particolare merita di essere riportata e ricordata: «le recenti divergenze sono state in qualche misura il riflesso di sviluppi iniziali che hanno interessato le economie degli Stati membri nella fase di preparazione alla creazione dell'area dell'euro nel 1999». In essa si trova, almeno in parte, la spiegazione delle divergenze di crescita e di politiche che hanno caratterizzato questi ultimi nove anni.

3.4.2.

Le «strade» indicate dalla Commissione vengono qui di seguito indicate per titoli, dato che il loro contenuto è in larga misura intuibile dai titoli stessi e dalla vasta quantità di documenti che esistono sulle singole materie. Le strade da percorrere sono le seguenti:

a)

accelerare le riforme strutturali e promuovere l'integrazione;

b)

rafforzare ulteriormente le posizioni di bilancio e migliorare la qualità dei bilanci nazionali;

c)

rafforzare il coordinamento all'interno e all'esterno dell'area euro;

d)

promuovere l'allargamento dell'area euro;

e)

essere più vicini ai cittadini.

Il CESE ne commenterà più avanti i singoli punti.

4.   Osservazioni del CESE

4.1.   Considerazione 1: gestire con maggiore prudenza le politiche di bilancio

4.1.1.

Il Comitato condivide le critiche della Commissione, talora implicite ma comunque trasparenti, alla politica di taluni Stati membri, spesso improntata più al desiderio di presentare piani annuali in regola con le norme di convergenza che alla necessità di adottare una strategia di rafforzamento dei bilanci. Tali critiche vanno peraltro viste in un'ottica che il Comitato prospettò ben prima dell'adozione della moneta unica (5): nessun governo è completamente padrone di adottare una propriaed appropriatapolitica di bilancio, indipendente da vincoli e condizionamenti.

4.1.2.

Prescindendo dai vincoli imposti dalle norme di convergenza — che si suppongono già inclusi in una politica di bilancio «appropriata» — altri ne esistono, di natura interna ed esterna. Fra quelli di natura interna basterà citare quelli di tipo strutturale oppure imputabili a riforme strutturali non ancora attuate. Fra quelli di natura esterna è da ricordare l'andamento generale dell'economia mondiale e in particolare la «fattura energetica» — un fattore, questo, che ha caratteristiche profondamente diverse da paese a paese e che mai viene considerato fra le cause della divergenza delle politiche economiche. Si dovrà peraltro ammettere che ben diversa è la situazione di paesi totalmente, o quasi, dipendenti dall'estero per i propri approvvigionamenti e quella di altri che presentano un bilancio meno negativo e che in taluni casi sono addirittura esportatori.

4.1.3.

Il Comitato osserva che in passato le riforme strutturali, così come intese al successivo punto 4.1.6, non sempre hanno dato i risultati auspicati: occorre quindi garantire un migliore coordinamento fra tali riforme, all'interno di ogni paese e a livello comunitario, e una loro maggiore coerenza con le politiche macroeconomiche di sostegno alla competitività e all'occupazione. Questo non sempre è accaduto in passato: e infatti l'andamento deludente della crescita, abbastanza analogo come tendenza per tutti i paesi, mette in evidenza come la crescita stessa sia stata in certi paesi, quasi una «variabile indipendente» rispetto alle riforme.

4.1.4.

Un commento a parte merita la raccomandazione (cfr. punto 3.3.2) di tener conto della sostenibilità a lungo termine delle politiche di bilancio. Queste politiche sono sempre un mix di considerazioni di carattere economico/sociale e di orientamenti politici. Se si considera la storia dei paesi dell'area dell'euro negli ultimi dieci anni, si vedrà che ben pochi di essi hanno mantenuto una «stabilità politica»: governi di diverse tendenze si sono alternati alla guida di ciascun paese, come è d'altronde cosa normale ed augurabile in regime di democrazia. Ma proprio questa alternanza rende aleatoria la redazione di piani di sostenibilità a lungo termine (6): la loro attendibilità dipende infatti dalla stabilità nel tempo dei governi — oltre che, naturalmente, da una quantità di altri fattori esogeni.

4.1.5.

Un aspetto particolare delle riforme strutturali riguarda per alcuni paesi il livello del debito pubblico, che è ampiamente superiore al parametro fissato dal criterio di Maastricht (60 % del PIL) e non presenta un'apprezzabile evoluzione positiva da un anno all'altro. Secondo il Comitato, non basta ridurre questo debito tramite le eccedenze di bilancio di qualche anno favorevole o tramite operazioni cosiddette «una tantum»: occorre piuttosto conseguire una migliore efficienza della spesa pubblica o, qualora tale misura si rivelasse insufficiente, una radicale revisione della sua struttura.

4.1.6.

La «strada» indicata dalla Commissione al punto 3.4.2, lettera a) (accelerare le riforme strutturali) è quindi irta di ostacoli e ha un notevole grado di soggettività a seconda degli orientamenti politici. Le riforme strutturali (pensioni, sanità, pubblica amministrazione, liberalizzazione, energia) hanno un forte impatto sociale e coinvolgono in misura determinante le parti sociali, in modo diverso da paese a paese; nessun governo può adottare misure, razionali o meno, che non siano condivise dai cittadini. La storia recente dimostra che spesso le riforme strutturali sono il frutto di un compromesso fra esigenze diverse e talvolta divergenti: le riforme «razionali» in astratto devono tener conto di esigenze reali ed ineludibili.

4.1.7.

Il Comitato riconosce l'importanza di portare a buon fine delle riforme strutturali ben progettate e ben coordinate tra gli Stati membri. Tuttavia, un certo numero di misure di questo tipo possono suscitare inquietudine nelle famiglie inducendole, per prudenza, ad aumentare il loro tasso di risparmio. Sino ad oggi, l'evoluzione del tasso di risparmio espressa in punti percentuali appare insignificante, ma quando essa è espressa in valori assoluti il discorso è ben diverso. Ad esempio, tra il 2001 e il 2005 il tasso di risparmio è aumentato in percentuale di meno di un punto: questo però corrisponde ad un importo di circa 50 miliardi di euro che è stato sottratto a spese per i consumi (7). Secondo alcuni, il segnale potrebbe peraltro avere un valore positivo: un incremento dei consumi minore dell'incremento dei risparmi potrebbe anche significare un'aumentata fiducia dei cittadini nel futuro dell'economia. Altri appuntano invece l'attenzione sugli investimenti all'estero, deprecando che essi siano superiori a quelli destinati all'Europa. Sono ottiche diverse, che peraltro dovrebbero trovare un punto d'incontro nella considerazione che l'aumento in Europa degli investimenti esteri costituisce, in definitiva, un effetto positivo della globalizzazione.

4.2.   Considerazione 2: maggiore flessibilità dei mercati dei beni e dei servizi

4.2.1.

La Commissione sottolinea che «i bilanci devono contribuire maggiormente a sostenere un aggiustamento attivo» della flessibilità nei mercati dei beni e dei servizi. La flessibilità è intesa come «flessibilità al ribasso», come contrapposto all'esperienza dei primi anni dell'area dell'euro. Una via per pervenire ad un tale risultato sarebbe quella di rendere meno rigidi i prezzi e di favorire una migliore riallocazione delle risorse tra imprese e tra settori: si favorirebbe così una politica salariale più coerente con l'esigenza di mantenere livelli di retribuzione adeguati e di ridurre i costi sociali nei processi di adeguamento ciclico.

4.2.2.

Il ragionamento della Commissione è probabilmente corretto, ma il CESE si domanda se sia realistico, e comunque valido in ogni situazione e per ogni paese. L'integrazione dei mercati nazionali [seconda parte del punto 3.4.2, lettera a)] può essere in parte favorita da una politica governativa di incentivazioni, ma la politica salariale dipende in larga parte dalla consultazione e contrattazione fra le parti sociali. La flessibilità dei prezzi in regime di libero mercato non è quindi sempre e ovunque indipendente da provvedimenti governativi; in pratica, essa dipende dal raggiungimento di un accordo fra diverse parti, governo, imprenditori e lavoratori. Lo stesso dicasi, in una certa misura, per la riallocazione delle risorse fra imprese e settori, che può certamente essere favorita da misure fiscali o regolamentari, ma che in definitiva dipende dalle opportunità del mercato e dall'accordo fra le parti sociali.

4.2.3.

Un discorso a parte merita la liberalizzazione, che può comportare anche un aspetto di ridistribuzione delle risorse fra imprese. Nonostante una formale adesione al principio, nella pratica si vede come la liberalizzazione sia intesa ed attuata in modi ed in misure diverse da paese a paese, secondo orientamenti politici nazionali differenti e talora divergenti. L'effetto di tale azione sui prezzi (un discorso a parte è quello della qualità) e sulla concorrenza è aperto a discussione, e porta alla conclusione che non sempre e non ovunque essa ha dato i risultati sperati. In conclusione, la flessibilità dei prezzi e l'adattamento della politica salariale dipendono anche dalla possibilità di attuare la liberalizzazione. Tutto questo a condizione che quest'ultima sia attuata quando il mercato lo permette e che la concorrenza che ne dovrebbe derivare sia apportatrice di reali vantaggi per i consumatori.

4.3.   Considerazione 3: accelerare l'integrazione dei mercati finanziari

4.3.1.

Il piano d'azione per i servizi finanziari lanciato tre anni fa ha dato buoni risultati (la Commissione parla di «importanti progressi») sia per quanto riguarda i sistemi di pagamento che per i mercati finanziari, mobiliari e dei servizi bancari corporate. In questi settori l'integrazione finanziaria può dirsi in fase di avanzata realizzazione; i passi ancora da compiere riguardano misure di vigilanza, di esercizio dei diritti di voto, di fusioni fra imprese, tutte misure necessarie ma che non costituiscono un vero ostacolo all'integrazione già in atto.

4.3.2.

Un discorso a parte riguarda il problema sollevato dalla Commissione sul mercato al dettaglio del credito e dei servizi finanziari in generale. Si dice che «una maggiore integrazione finanziaria può ridurre l'impatto degli shock economici sui redditi e sui mercati nazionali del credito»; l'affermazione è certamente fondata, ma se essa sia realizzabile in modo determinante rimane da discutere. Per i prodotti finanziari l'integrazione a livello comunitario è un fatto acquisito: nulla si oppone a che un cittadino di un qualsiasi paese possa acquistare o vendere valori mobiliari in un qualsiasi altro paese. Per quanto riguarda i servizi finanziariin particolare il credito — la situazione è più complessa: un'integrazione a livello europeo non è un traguardo facilmente raggiungibile a breve termine.

4.3.3.

I servizi finanziari comportano — caso anomalo, insieme ai servizi assicurativi — un rischio per il venditore: la fattibilità di ogni transazione dipende dall'affidabilità del cliente. Dal che deriva la necessità di assumere informazioni in un paese diverso da quello del venditore, e quindi di redigere un contratto che preveda, fra l'altro, le modalità di regolare eventuali litigi o insolvenze. Sul mercato nazionale tutto questo non pone problemi, ma un'integrazione a livello comunitario con le stesse regole prevede l'uso di lingue differenti nonché l'osservanza delle leggi — ed eventualmente la competenza dei tribunali — del paese del compratore. Queste condizioni provocano costi, complicazioni ed ostacoli difficilmente superabili con provvedimenti legislativi o regolamentari. La via praticabile, e praticata, è quella dell'apertura di filiali del venditore nel paese (nei paesi) del compratore: in questo caso, peraltro, non si può parlare di integrazione dei mercati, ma piuttosto di un allargamento del mercato interno secondo i principi del libero stabilimento. Il benefico risultato che ne consegue è il rafforzamento della concorrenza sui mercati nazionali e una maggiore possibilità di scelta del consumatore.

4.3.4.

Un'ulteriore integrazione dei mercati finanziari al dettaglio non può quindi essere perseguita, a breve termine, con iniziative legislative o con incitazioni: gli sforzi della Commissione e degli Stati membri dovrebbero essere indirizzati verso traguardi ragionevolmente raggiungibili dimenticando di perseguire obiettivi di difficile realizzazione.

4.3.5.

In conclusione, il CESE è d'accordo sulle raccomandazioni della Commissione per quanto riguarda la necessità di accelerare l'integrazione dei mercati finanziari come mezzo per meglio distribuire le risorse finanziare indirizzandole là dove esse sono più necessarie. Sottolinea peraltro che le regole esistenti (e quelle complementari in corso di esame) sono sufficienti per assicurare un'integrazione basata sulle leggi del mercato; sono necessarie, semmai, norme per garantire una migliore e più uniforme protezione degli interessi dei consumatori.

4.4.   Considerazione 4: le contrattazioni salariali devono incorporare le implicazioni dell'Unione monetaria

4.4.1.

Il Comitato esprime una certa sorpresa per una frase della Commissione, secondo la quale le parti sociali «non dispongono delle informazioni necessarie sulla portata e sulle implicazioni delle diverse linee di azione», e in tal modo conducono una politica salariale irragionevole. Questa posizione non sembra accordarsi con quanto affermato dalla Commissione stessa in uno studio (8), secondo il quale «nel corso del periodo 1999-2005 lo sviluppo dei salari nominali nella zona euro è stato coerente con l'obiettivo della stabilità dei prezzi (…) facendo pertanto registrare per il costo unitario del lavoro in termini reali una crescita negativa del – 0,4 %. È inoltre apparso con evidenza che il miglioramento delle condizioni economiche non si è tradotto sinora in una accelerazione della crescita dei salari, il che significa che gli sviluppi del costo unitario del lavoro sono rimasti in linea con i principi della stabilità dei prezzi e di una crescita favorevole all'occupazione. In genere, inoltre, i produttori sono riusciti a conservare i loro margini di profitto malgrado la pressione dei fattori di costo diversi dal lavoro e l'inasprirsi della concorrenza internazionale».

4.4.2.

Il Comitato si è già pronunciato su questo tema in un parere (9), elaborato nel 2003, che conserva ancora tutta la sua validità. Era stato osservato che i salari, oltre ad essere un fattore di competitività, alimentano anche la domanda che si esprime sul mercato interno. Il Comitato aveva sottolineato la necessità di garantire una dinamica salariale a medio termine che seguisse gli aumenti produttivi dei rispettivi paesi al fine di assicurare l'equilibrio tra un'evoluzione sufficiente della domanda e la salvaguardia della competitività dei prezzi.

4.4.3.

A questo proposito il Comitato rammenta le conclusioni del Consiglio Occupazione e affari sociali del gennaio 2007 nonché quelle dell'Eurogruppo del febbraio 2007 riguardo alla necessità di creare condizioni salariali dignitose e di ripartire meglio i frutti della crescita.

4.4.4.

Il Comitato ribadisce la posizione, che ha assunto da tempo, circa la necessità di rafforzare il dialogo macroeconomico per migliorare il coordinamento e le sinergie tra i diversi campi (monetario, di bilancio, salariale) della politica macroeconomica. L'attuale mancanza di coordinamento rafforza inoltre la convinzione del CESE secondo cui l'adozione di un sistema che preveda lo svolgimento di riunioni miste dell'Eurogruppo con il Consiglio Occupazione e affari sociali (cfr. punto 2.5.1) è diventata, più che utile, necessaria.

4.4.5.

Pur dichiarandosi insoddisfatta dell'andamento della crescita economica e dell'occupazione, stranamente la Commissione non coglie l'opportunità per riflettere sull'adeguatezza degli indirizzi seguiti sinora in materia di politica macroeconomica e del policy-mix che essa ha raccomandato. Mentre da un lato si lascia invariata l'impostazione della politica di bilancio e della politica monetaria, dall'altro non si dovrebbe chiedere esclusivamente alla formazione dei salari di adeguarsi alle esigenze dell'Unione monetaria. Adottando una politica di questo genere si accollerebbe alle parti sociali la responsabilità di compensare gli errori commessi nelle altre politiche.

4.5.   Considerazione 5: tener conto della dimensione internazionale

4.5.1.

Le considerazioni della Commissione sulla necessità di tener conto della dimensione internazionale sono del tutto condivisibili e fin troppo ovvie. Se un commento può essere fatto, è che proprio la Commissione e il Consiglio avevano sottovalutato questo fattore quando hanno redatto il testo originario del Patto di stabilità e di crescita, e questo nonostante le raccomandazioni del CESE, che aveva messo in evidenza l'aleatorietà di piani a lungo termine in una prospettiva di imprevedibili evoluzioni politiche nello scenario mondiale. Non occorre ricordare che gli eventi dell'ultimo decennio hanno ampiamente confermato questo assunto. Oggi, l'imprevedibilità del futuro decennio è ancor più accentuata; il «tener conto della dimensione internazionale» nella formulazione di piani a medio-lungo termine ha dunque un valore piuttosto teorico.

4.5.2.

Per quanto riguarda i piani annuali, è evidente che tutti gli Stati membri, appartenenti o meno all'area dell'euro, sono toccati dall'andamento del commercio mondiale, in particolare sotto due aspetti: le vicende relative al petrolio e la crescente concorrenza delle potenze asiatiche. Il gruppo di paesi la cui dipendenza dal petrolio è relativamente minore risente meno dell'andamento ciclico dei prezzi; l'altro gruppo è invece pesantemente sottoposto agli shock congiunturali, con conseguente influenza sui prezzi interni e sulla competitività.

4.5.3.

In modo analogo, l'emergenza dei paesi asiatici apre nuovi mercati ai paesi europei più competitivi, mentre danneggia la posizione di quelli che hanno posto meno l'accento sulla competitività e l'innovazione. Secondo il Comitato, troppa enfasi è stata data alla tesi secondo la quale la posizione di inferiorità competitiva è dovuta ai rapporti di cambio dell'euro nei confronti delle monete asiatiche e del dollaro: il difetto è in larga parte strutturale e dovrebbe formare oggetto di un radicale ripensamento delle politiche da parte dei governi e delle parti sociali.

5.   Le altre strade da percorrere

5.1.

Dei commenti ad alcune delle «strade da percorrere» sono stati già fatti in calce alle varie «considerazioni»; a complemento, si forniscono di seguito alcuni argomenti relativi ad altri aspetti trattati dalla Commissione.

5.2.

Il Comitato ritiene che la Commissione non dovrebbe limitarsi ad un approccio puramente economicista dell'UEM, dimenticandone la dimensione politica. La zona monetaria non è fine a se stessa: è un elemento di un più vasto progetto di società civile, di un «voler vivere insieme». Non mancano esempi nella storia che insegnano che le zone monetarie fra paesi che non hanno progredito sulla via dell'integrazione sono state in definitiva condannate all'implosione (10). «Il passaggio all'euro non dovrebbe essere affrontato e programmato semplicemente come un cambio tecnico di moneta, ma considerato piuttosto una conversione importante, con rilevanti effetti sul piano economico, monetario e sociale» (11). Questo messaggio deve essere ricordato nel momento in cui i Ventisette sono impegnati nella revisione del Trattato al fine di uscire da una crisi istituzionale che trae le sue origini da una molteplicità di ragioni, fra le quali un diffuso malessere economico e sociale.

5.3.

Un punto degno di commento è «la promozione dell'area euro» [cfr. punto 3.4.2, lettera d)]. La Commissione enumera i benefici che deriverebbero ai paesi già facenti parte dell'Eurogruppo ed ai nuovi aderenti; per quanto riguarda questi ultimi, tuttavia, sembra avere in mente soltanto quelli «che si preparano ad aderire all'euro», evidentemente i paesi di più recente adesione. Non una parola viene spesa per commentare l'assenza perdurante dei paesi che già facevano parte dell'Unione al momento dell'adozione dell'euro e che hanno usufruito di un opt out che varrebbe la pena di rimettere in discussione. Il CESE, nell'auspicare vivamente che questi paesi possano rivedere le loro decisioni, ritiene che un commento della Commissione sarebbe chiarificatore per decidere se scartare definitivamente l'ipotesi dell'adesione dei paesi opt-out . Anche questa informazione fa parte degli elementi che contribuiscono alle decisioni sulle future strategie dell'euro; non si vede d'altra parte come i piani a medio-lungo termine dei paesi fuori dall'Eurogruppo possano non tener conto della possibilità, o della volontà, di adottare la moneta unica.

5.4.

Il Comitato intende inviare un forte messaggio ai paesi dell'UEM affinché proseguano nei loro sforzi per rispettare i criteri di Maastricht e la convergenza delle politiche al fine di conseguire una convergenza reale. È del tutto inaccettabile che taluni adottino manifestamente delle politiche lassiste senza che questo sia giustificato da condizioni eccezionali. Questo comportamento nuoce alla loro credibilità presso gli altri Stati membri e, in definitiva, nuoce anche alla credibilità dell'Europa nel suo insieme.

5.5.

Viene da ultimo il messaggio di «essere più vicini ai cittadini»: un messaggio troppe volte ripetuto, sino ad essere diventato un leitmotiv. Eppure, l'argomento è di importanza fondamentale e chiama in causa la responsabilità diretta dei singoli governi. I vantaggi apportati dall'euro sono sotto gli occhi di tutti, se solo si vogliono vedere; il fatto è che sul piano nazionale la stabilità dei prezzi, l'accesso più facile al credito ed altro vengono spesso evocati dai governi come propri meriti. Quando invece si parla dei «demeriti» (veri o supposti che siano) e in particolare dell'aumento dei prezzi, si cita l'euro come responsabile anche nei casi in cui il passaggio alla nuova moneta non ne è stato la causa. In politica nessuno ha interesse ad attribuire meriti ad altri, e tutti invece cercano di trovare il modo di riversare su altri, o su altro, i demeriti.

6.   Ulteriori considerazioni del CESE

6.1.

In aggiunta alle considerazioni sul documento della Commissione, il CESE sottopone all'attenzione altri due argomenti, nell'intento di contribuire ad ulteriori riflessioni.

6.2.

La dinamica dei cambi dell'euro è stata evocata come causa degli squilibri di competitività dell'Europa nei confronti di altri paesi, e in particolare dei paesi asiatici. Per quanto questo aspetto possa essere considerato una concausa (e non la causa principale, come detto al punto 4.5.3), il Comitato ritiene che sia il caso di riproporre con maggior vigore la richiesta di attribuire un seggio alla zona euro in seno al Fondo monetario internazionale. Si era ipotizzato in passato di proporre lo scambio di tale seggio con quello degli Stati membri partecipanti al FMI, ma nessuno di essi sembra realmente intenzionato ad uscirne per far posto all'euro. La soluzione ideale sarebbe quella di richiedere un posto supplementare per l'euro al FMI, ma a breve termine sembrerebbe più realistico puntare ad un coordinamento dei rappresentanti degli Stati membri: non si vede d'altra parte perché una moneta che ha un ruolo fondamentale negli scambi internazionali non debba avere una propria rappresentanza. L'obiezione che gli statuti del Fondo non lo permettono sembra piuttosto debole: la modifica di uno statuto sembra poca cosa di fronte alla palese anomalia di una moneta fra le prime nel mondo che non può partecipare alla gestione delle politiche monetarie mondiali.

6.3.

Il Comitato è molto scettico circa l'idea di un fondo di stabilizzazione europeo destinato a ridurre i differenziali di crescita fra gli Stati membri (12). Ad ogni modo, per poterne discutere seriamente occorre precisarla meglio.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Documento provvisorio — parte della serie The EU Economy Review, edito dalla DG Affari economici e finanziari.

(2)  Cfr. in allegato l'elenco dei pareri recentemente adottati riguardo agli indirizzi di massima per le politiche economiche.

(3)  Parere riguardante il disposto previsto per la terza fase dell'Unione monetaria, 28 maggio 1997, GU C 287 del 22.9.1997, pag. 74.

(4)  Fra l'altro, il CESE aveva suggerito che i parametri di convergenza, e in particolare quelli che si riferiscono al deficit e al debito pubblico, fossero oggetto «di una revisione periodica, ad esempio ad intervalli decennali». Il suggerimento fu respinto, ma gli eventi hanno dimostrato la necessità di adottare un Patto di stabilità e di crescita «rivisto», ancor prima del termine di dieci anni che il CESE aveva proposto.

(5)  «Non sempre i governi sono in grado di guidare a loro piacimento l'economia del proprio paese e le previsioni, anche le più serie, possono rivelarsi inesatte»: parere del 1997 citato in nota 3.

(6)  «Vista la fluidità dello scenario politico e socioeconomico — europeo ma soprattutto mondiale — più che di programma si dovrebbe parlare di dichiarazioni programmatiche, vincolanti nella misura in cui esse saranno aderenti alla reale evoluzione della congiuntura»: cfr. parere di cui a nota 3.

(7)  Fonte: AMECO, la banca dati della DG ECFIN.

(8)  Commissione europea, The contribution of labour cost development to price stability and competitiveness adjustment in the euro area, Quarterly Report on the Euro Area, volume 6, no 1, 2007. (Document in English only, translation by EESC).

(9)  Cfr. il parere del CESE sul tema Indirizzi di massima per le politiche economiche 2003-2005, GU C 80 del 30.3.2004, pag. 120.

(10)  L'Unione monetaria latina (1861-1920) è fallita in parte a causa della mancanza di disciplina fiscale fra i suoi membri (Italia, Francia, Svizzera, Belgio e Grecia). Un'unione monetaria del 1873 che legava la Svezia (inclusa all'epoca nella Norvegia) alla Danimarca è fallita quando il quadro politico è cambiato. All'opposto, l'unione doganale tedesca del XIX secolo, che ha dato vita ad un'unione monetaria, è stata coronata da successo grazie all'unificazione politica del paese nel 1871. Successo monetario e integrazione politica vanno dunque di pari passo in quanto una tale unione si fonda su un elevato grado di coordinazione delle politiche economiche, e quindi su un certo grado di centralizzazione.

(11)  Risoluzione del Parlamento europeo sull'allargamento dell'area dell'euro (2006/2103(INI)), 1o giugno 2006.

(12)  Esso verrebbe alimentato da tutti gli Stati membri con una quota dei surplus fiscali messi a segno in periodi di congiuntura economica positiva e sarebbe destinato a finanziare progetti giudicati prioritari e d'interesse comunitario dal Consiglio e dal Parlamento europeo. La principale obiezione al riguardo è che comporta una sanzione nei confronti di una politica di bilancio rigorosa e quindi un disincentivo a praticarla.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari

(2008/C 10/23)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere sulle «Conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari».

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DERRUINE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 25 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Raccomandazioni

Informazione, trasparenza e protezione degli investitori e dei consumatori

1.1.

È importante mettere a punto strumenti statistici diretti a definire meglio il settore degli hedge funds e dei fondi di private equity e creare degli indicatori relativi alla corporate governance. Tutto questo deve poi formare oggetto di un'armonizzazione per lo meno a livello europeo.

1.2.

Per dissipare la diffidenza che grava sempre di più su una parte del settore finanziario, per limitare il rischio di shock sistemici causati dall'assunzione di rischi eccessivi (in particolare l'indebitamento) e per assicurare il rispetto di una concorrenza leale tra i tipi d'investimento, bisognerebbe applicare norme prudenziali agli hedge funds e ai fondi di private equity (un «Accordo di Basilea III»).

1.3.

«Il CESE sollecita la Commissione a presentare al più presto le sue proposte legislative per migliorare le informazioni fornite dagli investitori istituzionali sulle loro politiche in materia di investimenti e di voto. La presentazione di tali proposte sarebbe in linea con il piano di azione Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell'Unione europea» (1).

1.4.

Allo scopo di rafforzare la protezione degli investitori che investono il loro capitale nei fondi di private equity, bisognerebbe modificare la direttiva OICVM (2) in modo che essa copra anche questi fondi e li obblighi ad una maggiore trasparenza. Promesse di un rendimento elevato costituiscono un fattore d'attrazione, ma l'investitore finale potrebbe ignorare il rischio cui si espone.

1.5.

La Commissione dovrebbe incoraggiare e proseguire con le parti interessate (banche, associazioni di consumatori, pubblici poteri e prestatori di servizi, ecc.) le iniziative volte a rafforzare il livello d'informazione e soprattutto di comprensione dei consumatori di servizi finanziari, i quali, in generale, non hanno sempre la cultura finanziaria necessaria e quindi la consapevolezza dei rischi cui si espongono (3).

1.6.

Le imprese quotate, che sono state oggetto di acquisizione, ma il cui fatturato o numero di lavoratori superi una determinata soglia, dovrebbero essere sempre tenute a pubblicare un minimo di informazioni anche quando, essendo state ritirate dal listino, non sono più soggette agli inerenti obblighi di pubblicità.

Gestione e diversificazione dei rischi

1.7.

Sarebbe opportuno riflettere sulla possibilità di imporre una diversificazione del portafoglio dei fondi in cui si investe, soprattutto nel caso del risparmio salariale, basandosi sui modelli esistenti (cfr. anche il punto 1.2).

1.8.

La crisi dei mutui subprime americani si è propagata ad altri segmenti del mercato finanziario e all'UE. Sembra che, in caso di crisi bancaria europea, i costi da sopportare sarebbero sostanziali a causa della frammentazione della vigilanza che rallenterebbe i tempi di una reazione appropriata. In base al principio di sussidiarietà, le grandi banche dovrebbero essere oggetto di una vigilanza a livello europeo. Il Comitato invita tali banche, la Commissione e il Committee of European Banking Supervisors — CEBS (comitato degli organismi di vigilanza bancaria europei) a consultarsi per precisarne le modalità e definire i criteri che permettano di identificare le banche interessate.

1.9.

In caso di gestione delegata, che permette di diversificare il rischio di gestione, un prolungamento della durata dei mandati di gestione favorirebbe un approccio più a lungo termine e limiterebbe la speculazione che va al di là dell'arbitraggio, allo scopo di ridurre la distorsione di una visione di breve periodo e la corsa ai rendimenti, alimentate dagli atteggiamenti speculativi dei prestatori dei servizi di gestione.

1.10.

Le agenzie di rating, che sono allo stesso tempo giudici e parti in causa, nel senso che aiutano le banche d'investimento a concepire i prodotti derivati, a valorizzarli e a collocarli, dovrebbero essere soggette a una maggiore trasparenza.

Conciliare la strategia finanziaria e il modello sociale europeo

1.11.

La concessione di agevolazioni fiscali potrebbe spingere i fondi pensione, che perseguono una strategia più a lungo termine, ad integrare la qualità e la responsabilità sociale nelle loro politiche di investimento finanziario, dato che oggi gli investimenti socialmente responsabili (4) rappresentano solo una quota limitata del totale (5).

1.12.

La Commissione e gli Stati membri devono far sì che la responsabilità sociale delle imprese coinvolga effettivamente tutte le parti interessate, compresi i fondi di investimento, i quali esercitano un'influenza sulle società in cui acquisiscono una partecipazione e che talvolta dirigono. A questo proposito, il CESE solleva il problema dell'applicazione alle holding della direttiva riguardante l'informazione e la consultazione dei lavoratori (6) e chiede che tale direttiva venga riveduta nel caso in cui le holding non rientrino nel suo campo di applicazione.

1.13.

La direttiva sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese (7) andrebbe inoltre aggiornata in modo da includervi il trasferimento d'imprese effettuato attraverso un'operazione di trasferimento delle loro azioni. In questo modo sarebbe meglio garantito il rispetto dei diritti all'informazione e alla consultazione dei lavoratori.

1.14.

Le statistiche relative ai salari (o ai redditi) dovrebbero essere modulate almeno per quintili, in modo da poter stimare con maggiore precisione l'impatto della politica salariale sulla stabilità dei prezzi.

1.15.

I servizi di interesse economico generale sono un pilastro fondamentale del modello sociale europeo, ma sono anche un bersaglio privilegiato per i fondi di private equity, che ricorrono all'indebitamento con l'effetto leva: tali servizi, infatti, generano molto cash flow e i loro fornitori godono di una posizione di (quasi) monopolio, sono poco indebitati e hanno elevati costi di esercizio. Per evitare inconvenienti per i consumatori e per i cittadini, oltre che i danni che possono essere causati alla coesione, «il Comitato ribadisce pertanto la richiesta che vengano definiti a livello comunitario i principi fondamentali comuni da applicare a tutti i SIG, da enunciare in una direttiva quadro e, eventualmente, da modulare a seconda del settore disciplinato in una serie di direttive settoriali» (8).

Equità fiscale

1.16.

Come hanno fatto, o sono sul punto di fare, alcuni paesi (Danimarca, Repubblica federale di Germania, Regno Unito), è opportuno valutare, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la possibilità di introdurre regole che limitino la deducibilità fiscale degli interessi sul debito in caso di acquisizione di un'impresa.

1.17.

Nel quadro dei lavori già avviati nell'ambito dell'OCSE, e con l'obiettivo di continuare la lotta contro la concorrenza sleale dei paradisi fiscali, bisognerebbe riflettere alla possibilità di modificare le regole fiscali nel senso che nella pratica la base imponibile degli hedge funds sia determinata in funzione della sede dove il gestore svolge effettivamente le sue attività, dato che, solitamente, si tratta delle grandi città dei paesi dell'OCSE. Pertanto, l'aliquota applicabile non dovrebbe essere quella delle plusvalenze bensì quella del reddito normale.

1.18.

Poiché molte decisioni d'investimento a brevissimo termine sono prese in paradisi fiscali (offshore), il Comitato invita il Consiglio, la Commissione e la BCE a riflettere sulla possibilità di un'azione basata sull'articolo 59 del Trattato (9).

1.19

Il Comitato sottolinea l'importanza di rafforzare il coordinamento delle politiche fiscali, con norme de minimis, in particolare per le diverse forme di imposizione del capitale. Tale politica si giustifica con il duplice obiettivo dell'equità e dell'efficacia economica.

2.   Introduzione

2.1.

Negli ultimi 25 anni l'economia mondiale ha subito un profondo sconvolgimento. Se, in generale, ci si accontenta di spiegare questo fenomeno con la globalizzazione, non si ha però consapevolezza sufficiente della dimensione finanziaria che esso comporta e della creazione di un mercato finanziario globale.

2.2.

Così, mentre i mezzi di informazione e i responsabili politici continuano a concentrare l'attenzione sull'indicatore rappresentato dal PIL, è necessario mettere le cose in prospettiva per dare adeguatamente conto della realtà. Nel 2002, il PIL mondiale era pari a 32 000 miliardi di dollari e, benché tale cifra sembri astronomica, non è nulla in confronto a quella che esprime il valore delle operazioni finanziarie non comprese nel PIL (1 123 000 miliardi di dollari), che è 35 volte superiore!

L'economia mondiale (in migliaia di miliardi di dollari USA, 2002)

Scambi e produzione

 

Valuta di regolamento

 

Operazioni su derivati

699

Stati Uniti (dollari)

405,7

Operazioni di cambio

384,4 (10)

Sistema dell'euro (euro)

372,9

Operazioni finanziarie

39,3

Giappone (yen)

192,8

Operazioni su beni e servizi

(PIL mondiale)

32,3

Altre aree monetarie

183,6

Totale (operazioni interbancarie)

1 155

Totale (regolamenti interbancari)

1 155

Fonte: François Morin, Le Nouveau mur de l'argent: Essai sur la finance globalisée, 2006.

2.3.

Gli investitori istituzionali sono considerati come il principale vettore della globalizzazione finanziaria. La loro entrata in scena è stata accompagnata da una diffusione delle pratiche anglosassoni della gestione delle grandi società, ovvero della corporate governance (tutela degli azionisti di minoranza, obblighi di trasparenza, attivismo istituzionale nelle assemblee delle società e modifica del rapporto azionisti-manager-dipendenti), e dalla comparsa dei derivati su crediti, nuovi strumenti finanziari che consentono oggi l'attenuazione dei rischi un tempo ritenuti inseparabili da determinati titoli. Tali cambiamenti sono stati resi possibili o accelerati dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC).

2.4.

Va sottolineato a questo punto che gli investitori istituzionali in senso lato adottano delle strategie diverse a seconda del loro orizzonte d'investimento. Mentre alcuni si dedicano ad attività di arbitraggio che tendono a stabilizzare i mercati finanziari, altri, come i fondi pensione, devono far fronte ad impegni a lunghissimo termine. Grandi differenze possono rilevarsi sotto una stessa denominazione: è il caso dei fondi di private equity, alcuni dei quali sono specializzati nelle operazioni di acquisizione di società finanziate con capitale di prestito (leveraged buyout) ed investono in un'impresa per una durata da 3 a 5 anni, mentre altri fungono da business angel (investitori informali) e apportano capitale di rischio a PMI innovative in cui possono restare anche per una quindicina d'anni (11).

 

Durata del possesso di

 

Azioni

Obbligazioni

Hedge funds

Da 1 a 5 mesi

Da 1 a 5 mesi

Altri fondi di investimento

Da 9 a 12 mesi

Da 1 a 6 mesi

Assicurazioni

Da 20 a 40 mesi

Da 6 a 30 mesi

Famiglie

Da 3 a 5 anni

Da 8 mesi a 4 anni

Fonte: Natixis, L'effet de la présence des hedge funds sur l'équilibre des marchés financiers, Recherche économique, n. 2007-04.

2.4.1.

Detto ciò, questi operatori possono intrattenere rapporti molto stretti tra loro. Così, per fare un esempio, il 24 % del capitale raccolto nel 2005 dai fondi di private equity proveniva dai fondi pensione, il 18 % dalle banche commerciali e d'investimento e l'11 % dalle assicurazioni (12). Una delle funzioni dei fondi d'investimento e delle altre imprese di gestione patrimoniale che acquista sempre maggiore importanza è quella di prestare servizi di gestione ai fondi pensione e alle assicurazioni sulla base di mandati.

2.5.

Gli investitori istituzionali, che già 20 anni fa facevano registrare un certo livello di sviluppo nei paesi anglosassoni, si sono progressivamente interessati anche ai paesi dell'Europa continentale. Dei fondi d'investimento sono sorti anche in diversi Stati membri. Attualmente, comunque, la metà degli attivi patrimoniali gestiti dai fondi comuni rimane sotto il controllo degli investitori statunitensi.

2.6.

Si calcola attualmente che gli investitori istituzionali rappresentino l'80 % delle operazioni di borsa. Non sembra pertanto realistico assumere posizioni di investimento opposte a quelle di questi grandi organismi d'investimento. Inoltre, a detenere azioni transfrontaliere sono principalmente proprio questi fondi. Un'inchiesta di Eurobarometro (autunno 2005) ha rivelato che solo l'1 % delle famiglie possedevano azioni di un'impresa di un altro paese e che solo il 3 % pensava di acquistare azioni estere. In aggiunta, pochi di questi azionisti partecipano attivamente alle assemblee generali delle società, mentre da qualche anno a questa parte la presenza degli investitori istituzionali è più assidua e decisiva.

2.7.

Il presente parere si occupa in primo luogo delle imprese quotate in borsa, dato che esse sono attive sui mercati borsistici. In generale, si tratta di imprese di grandi dimensioni. Dato però che esse esercitano un'influenza decisiva sull'occupazione e sul comportamento delle altre imprese, le loro «trasformazioni» interessano l'insieme dell'economia e della società. Infatti, le società quotate:

generano 1 posto di lavoro su 3 in Europa e 1 su 2 negli Stati Uniti,

sono presenti soprattutto nell'industria estrattiva, nei trasporti, nelle telecomunicazioni e nei servizi alle imprese, ossia in settori di importanza nevralgica,

influenzano anche il modo di funzionamento delle PMI, attraverso i rapporti di subfornitura e l'acquisizione di partecipazioni finanziarie.

3.   Convergenza dei sistemi di corporate governance  (13)

3.1.

Generalmente si distinguono due sistemi di direzione, amministrazione o controllo delle imprese, ciascuno caratterizzato da diverse istituzioni e pratiche, relazioni tra le parti e obiettivi assegnati alle imprese (corporate governance).

Il modello anglosassone è caratterizzato da imprese la cui proprietà è molto frammentata e da investitori istituzionali molto presenti anche se non si assumono responsabilità nella gestione delle imprese. Benché in generale essi non possiedano più del 3 % del capitale, tali investitori esercitano la loro influenza tramite la vendita, annunciata o effettiva delle rispettive azioni. Questo sistema è tipico dei paesi in cui il numero di società quotate è elevato.

Il modello dell'Europa continentale e della maggior parte degli altri paesi, tra cui il Giappone, è caratterizzato dalla presenza di azionisti che detengono pacchetti azionari compresi tra il 10 e il 20 % del capitale che garantiscono loro un controllo effettivo sull'impresa. Questi investitori (che possono essere lo Stato, le banche o altre imprese) partecipano direttamente alla gestione delle imprese. A differenza del modello precedente, questo prevede un certo livello di partecipazione dei lavoratori negli affari dell'impresa, che trova la sua massima espressione nella Mitbestimmung (cogestione) tedesca.

3.2.

Nei due ultimi decenni si è constatata una convergenza del modello europeo-continentale verso il modello anglosassone. Tra i fattori alla base di questa convergenza vanno citati l'Atto unico europeo e la privatizzazione delle imprese pubbliche, le riforme fiscali, segnatamente in Germania in tema di plusvalenze di borsa (capital gain) che hanno indotto le banche a vendere le loro partecipazioni industriali, l'obbligo imposto dal Dipartimento del Lavoro degli USA agli investitori istituzionali di esercitare i loro diritti di voto (nel 1988 e nel 1994), il dinamismo economico degli Stati Uniti negli anni Novanta, in contrasto con la relativa stagnazione dei paesi dell'Europa continentale, la quotazione di grandi imprese in diverse piazze borsistiche e i nuovi principi contabili internazionali.

3.3.

Permangono tuttavia diverse forme nazionali/regionali di capitalismo, e ciò si spiega con:

la differenza delle istituzioni economiche nazionali: il diritto, la politica e la cultura e la disponibilità di risorse,

l'interdipendenza dei mercati dei capitali e del lavoro, delle normative giuridiche e di quelle che strutturano il funzionamento delle imprese,

il costo del passaggio a un nuovo sistema, dato che la modifica di uno degli elementi summenzionati mette in pericolo la coerenza dell'insieme.

4.   Conseguenze economiche

4.1.

L'espansione degli investitori istituzionali ha permesso la democratizzazione dell'accesso ai mercati finanziari e alla diversificazione dei rischi di portafoglio, mettendo a disposizione le conoscenze specifiche collettive di gestione. La messa in comune del risparmio delle famiglie ha fatto aumentare i fondi disponibili, permettendo una maggiore diversificazione che riduce il rischio individuale sostenuto dai privati. Gli OICVM offrono l'accesso a una redditività dei capitali potenzialmente elevata a privati con risorse finanziarie modeste e con conoscenze del mercato poco sviluppate. La concentrazione dei capitali nelle mani degli investitori istituzionali riduce i costi di negoziazione delle imprese e delle amministrazioni pubbliche grazie al fatto che in questo modo esse hanno un interlocutore unico.

4.2.

Gli investitori istituzionali, indipendentemente dalla loro natura (hedge funds, fondi pensione, banche e assicurazioni, fondi di private equity, ecc.), gestiscono il patrimonio finanziario di circa 300 milioni di famiglie, concentrate essenzialmente negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone (14). Il loro obiettivo consiste nel massimizzare il rendimento dei risparmi dei loro clienti, tenuto conto del livello di rischio che questi ultimi sono disposti ad assumersi.

4.3.

Dal punto di vista dei consumatori e delle famiglie, il peso crescente delle quote di fondi d'investimento nei loro patrimoni finanziari comporta per forza di cose una maggiore esposizione di tali patrimoni al rischio di mercato (15).

4.4.

I fondi pensione, insieme con gli OICVM e le assicurazioni, sono ben conosciuti dal grande pubblico. Essi sono presentati come una delle soluzioni capaci di alleggerire il costo dell'invecchiamento demografico. Esistono due tipi di fondi pensione: quelli a prestazioni definite e quelli a contribuzione definita. Nel primo caso, il rischio è a carico degli sponsor del fondo, i datori di lavoro, nel secondo caso è sopportato dal risparmiatore finale. Pur essendo caratterizzato da una struttura patrimoniale più rischiosa, questo secondo tipo di fondi fa segnare un'espansione perché gli sponsor cercano di minimizzare il rischio generato dai loro impegni a lungo termine e i lavoratori dipendenti sono attratti sempre più da strumenti di risparmio che possono offrire una redditività superiore e diritti più facilmente trasferibili tra datori di lavoro (16).

4.5.

I fondi pensione gestiscono direttamente il loro patrimonio, ma molto spesso tale gestione è anche delegata a fondi comuni d'investimento o ad altre società di gestione (interamente o parzialmente). Inoltre, se gli orizzonti d'investimento sono teoricamente di lungo periodo, i risultati della gestione vengono giudicati a breve e sulla base esclusiva del rendimento. Ciò spiega perché la quota delle azioni sul totale degli attivi sia sensibilmente cresciuta ed abbia contribuito a gonfiarne il prezzo.

4.6.

La convergenza dei modelli di corporate governance, accompagnandosi allo sviluppo delle TIC, a un maggiore attivismo da parte degli investitori istituzionali e ai loro standard di redditività ha indotto alcune grandi imprese a massimizzare ad ogni costo il rendimento (dividendi e plusvalenze) dei loro titoli. Le considerazioni relative alla capacità di generare flussi di cassa futuri (cash flow) o al principio di partenariato valorizzato dal modello sociale europeo sono state relegate in secondo piano.

4.7.

È nato così un nuovo tipo dinamico di governance, volto più ad indurre proattivamente dei cambiamenti di strategie al fine di creare continuamente valore per l'azionista (shareholder value) che a migliorare nel medio/lungo periodo la competitività, che anzi può soffrirne: il riacquisto da parte dell'impresa di azioni proprie (share buyback), per gonfiare l'indicatore della redditività netta dei capitali propri, le fusioni-acquisizioni, a volte avulse da qualsiasi logica industriale, la riduzione dell'ambito di attività di un'impresa e dell'integrazione dei compiti nell'attività del gruppo per facilitare la diversificazione del portafoglio di investimenti, le delocalizzazioni, le riduzioni di personale e la flessibilità dei contratti di lavoro al fine di ridurre le spese fisse o di convertirle in costi variabili (17).

4.8.

In generale, il requisito di un tasso di rendimento effettivo (return on equity — ROE) elevato, dal 10 al 20 % a seconda dei settori, ha effetti macroeconomici destabilizzanti: una redditività così elevata comporta un incremento dei profitti di gran lunga superiore al PIL. Ciò ha contribuito insieme ad altri fattori (migrazione, delocalizzazioni, maggiore penetrazione delle importazioni …) a far aumentare la quota relativa della ricchezza che va ai detentori dei capitali. Si constata, infatti, una nuova ripartizione del valore aggiunto nei paesi europei. Secondo i dati della Commissione europea, dell'OCSE e della BRI, la quota media dei salari e stipendi in % del PIL per i paesi dell'UE a 15 è passata dal 71,5 % nel decennio degli anni '80 al 66,7 % nel 2004. Questo slittamento di quasi 5 punti percentuali del PIL si è tradotto in un incremento simmetrico dei redditi da capitale (profitti).

4.8.1.

L'impatto macroeconomico di un cambiamento del genere nella ripartizione della ricchezza ha un effetto deflazionistico: accresce il risparmio complessivo, ma poiché l'aumento del potere d'acquisto dei salariati è scarso, la loro domanda non è dinamica e ciò a sua volta non incoraggia le imprese a realizzare investimenti. D'altra parte, dato che gran parte degli utili è stata ridistribuita agli azionisti (dividendi e il riacquisto di azioni proprie), vi è una creazione di liquidità in eccesso e il fenomeno si autoalimenta.

4.8.2.

Inoltre, dal momento che i principali paesi dell'OCSE sono entrati in concorrenza per attirare gli investimenti diretti esteri stimolati dalle liquidità in eccesso, ma frenati dal dinamismo rallentato del loro mercato interno, essi si sono lanciati in politiche di riduzione delle imposte che potrebbero avere effetti negativi sulle finanze pubbliche, a meno che non si riesca a comprimere la spesa pubblica, ad eccezione di quella sociale (visto l'invecchiamento demografico).

4.8.3.

Inoltre, dato che in numerosi paesi gli interessi pagati sul debito sono esenti da imposta, l'acquisizione effettuata usando l'indebitamento (leveraged buyout) equivale ad una forma di sovvenzione, da parte dei pubblici poteri, delle operazioni dei fondi di private equity, che in tal modo finiscono per essere privilegiati. Al di là della questione relativa alle pratiche di concorrenza sleale rispetto ad altri operatori economici che non usano tali metodi, le acquisizioni attraverso l'indebitamento hanno delle ripercussioni sulle pubbliche finanze. Uno studio condotto dal ministero danese delle Finanze (18) prevede che, ceterisparibus, in Danimarca, nel giro di due anni tali perdite potrebbero rappresentare il 25 % del gettito totale proveniente dall'imposta sulle società. La situazione risulterebbe identica nella maggior parte dei paesi europei e della zona euro soggetti ai criteri di bilancio fissati dal Patto di stabilità e di crescita.

4.8.4.

Per quanto concerne la remunerazione dei gestori di fondi, il 20 % di carried interest (o commissione di performance), che essi sono soliti far pagare sul rendimento che supera una certa soglia, è generalmente tassato con l'aliquota più bassa, quella applicata alle plusvalenze, e non con l'aliquota più elevata, prevista per la normale imposta sul reddito. Ciò è del tutto ingiustificato, dato che essi contribuiscono solo in minima parte al capitale. Questa situazione solleva un problema di equità di trattamento fiscale tra tali soggetti e gli altri lavoratori, cui si applica un'imposizione fiscale più alta.

4.9.

Ad evolvere sono stati non solo la natura e la strategia dell'impresa, ma anche il ruolo del responsabile della gestione o chief executive officer (CEO). Dieci anni fa, infatti, il compito di quest'ultimo consisteva nel gestire l'impresa e i suoi attivi per conto delle diverse parti interessate, mentre oggi la sfida principale per il CEO consiste nel produrre un risultato netto per gli investitori. Il tasso di dimissioni imposte a seguito di risultati giudicati insufficienti dagli azionisti ha raggiunto il culmine nel 2005, anno in cui il numero di CEO estromessi è stato quattro volte superiore a quello del 1995. Oltre un'impresa su sette ha visto un mutamento di management, contro una su undici dieci anni fa. Inoltre, anche la durata del mandato si è abbreviata. Questa rotazione sempre più rapida può porre dei problemi, perché occorrono di solito tre o quattro anni per attuare le trasformazioni necessarie per le imprese.

4.9.1.

Di conseguenza, il fatto che numerosi consigli di amministrazione non hanno candidati sufficienti alla successione del CEO licenziato si traduce, per un effetto a cascata, in un ulteriore aumento della retribuzione dei CEO perché, da un lato, le imprese che intendono assumerli cercano di motivarli a lasciare le società in cui attualmente svolgono le loro funzioni e, dall'altro lato, queste ultime cercano di trattenerli. Eppure, la schiacciante maggioranza degli investitori istituzionali deplora il livello ritenuto eccessivo delle remunerazioni dei manager (90 %) e l'assenza di effetti positivi sui risultati dell'impresa (78 %) (19).

4.9.2.

Se le imprese sembrano prendere le distanze rispetto alla prassi delle stock option che ha portato a conflitti di interesse e a scandali clamorosi, la prassi di attribuire delle liquidazioni dorate (golden parachute) e altre remunerazioni a CEO che invero non sono riusciti a migliorare i risultati delle loro imprese (in termini di competitività e posti di lavoro) è sconcertante per l'opinione pubblica.

5.   Coesione/disuguaglianze sociali

5.1.

Se è vero che in passato l'elevata remunerazione degli azionisti è stata spesso giustificata con la rischiosità delle operazioni in cui impegnavano i loro capitali, la fondatezza di tale argomento è messa a dura prova dagli sviluppi degli ultimi anni.

5.1.1.

La responsabilità limitata soltanto ai capitali investiti e la negoziabilità del loro attivo legata ad una crescente liquidità dei mercati finanziari e borsistici, grazie alle nuove tecnologie e alla globalizzazione, riducono considerevolmente il livello di rischio cui gli azionisti sono esposti, dando loro una capacità di uscita dall'investimento e di diversificazione senza precedenti.

5.2.

D'altro canto, alcuni economisti hanno osservato una stagionalità dei licenziamenti economici, che registrano un picco in gennaio e giugno, ossia in occasione della definizione e della revisione dei bilanci annuali delle imprese, e ne hanno concluso che tali licenziamenti trovano la loro giustificazione nel desiderio di migliorare i risultati finanziari piuttosto che in esigenze dell'attività aziendale (20).

5.2.1.

Inoltre, la personalizzazione dei contratti di lavoro e delle retribuzioni è ormai una realtà, al pari della diffusione di contratti atipici come quelli a tempo determinato e a tempo parziale, con l'obiettivo di convertire in costi variabili una parte dei costi fissi legati alle retribuzioni e in definitiva aumentare l'utile e, quindi, il rendimento per azione (return on equity — ROE). Nel 1992, i contratti a tempo determinato o a tempo parziale riguardavano il 25,4 % dei lavoratori. Nel 2005, tale percentuale era salita al 33 %. In tutto il periodo considerato (salvo che nel 2005) la diffusione di questo tipo di contratti «precari» è avvenuta a un ritmo più rapido di quello della creazione di posti di lavoro e, per quanto riguarda i contratti a tempo determinato, solo nel 33 % dei casi porta a un contratto a tempo indeterminato (contro il 22 % dei casi in cui si conclude con la cessazione del rapporto di lavoro e il 39 % dei casi in cui porta a un nuovo contratto dello stesso tipo) (21).

5.2.2.

Ne derivano nuovi rischi per i lavoratori e per le imprese:

le imprese non investono in questi lavoratori «mobili», che a loro volta non s'impegnano, sentendosi meno coinvolti nell'impresa e temendo che i benefici netti attualizzati della formazione non si rivelino positivi (22)  (23),

il capitale umano, che nella «società della conoscenza» è sempre più calibrato sulle esigenze specifiche delle singole imprese, è scarsamente «ricollocabile» (ossia non facilmente «trasferibile» da un'impresa all'altra) (24),

i rappresentanti dei lavoratori non riescono più a identificare gli interlocutori ai quali rivolgersi nel quadro del dialogo sociale e non possono «attribuire un volto» al loro management, che si risolve in una miriade di azionisti fluttuanti,

i lavoratori sono messi in concorrenza tra loro:

a livello mondiale, a causa della grande mobilità del capitale produttivo e di quello finanziario e al raddoppio del numero dei lavoratori inseriti nell'economia di mercato in seguito al collasso del blocco sovietico e all'ingresso nella scena internazionale della Cina e dell'India,

a livello nazionale, a causa del tasso di disoccupazione, della proliferazione di posti di lavoro di scarsa qualità — che accresce il valore di quelli di qualità — e del paradosso della formazione: da un lato, è segno di un certo stile denunciare il bisogno di formazione e l'inadeguatezza delle competenze, dall'altro, quasi un lavoratore su tre si dichiara sovraqualificato rispetto alle mansioni imposte dalla sua attività lavorativa, e ai lavoratori meno qualificati e a quelli temporanei non viene offerta una formazione sufficiente,

questa concorrenza tra lavoratori è tanto più intensa in quanto la loro mobilità è relativamente ridotta a causa del mantenimento dei periodi transitori nella legislazione in materia di migrazione economica, la quale subordina l'accesso degli stranieri al mercato del lavoro alla scarsità di lavoratori in determinati gruppi professionali (restrizioni politiche), a causa dell'assenza di progressi concreti in tema di portabilità delle pensioni e del rincaro dei prezzi del mercato immobiliare (restrizioni socioeconomiche), oppure ancora a causa dell'insufficienza delle competenze linguistiche (restrizioni culturali).

5.2.3.

Va trovato un nuovo equilibrio tra gli azionisti e i lavoratori. Oltre allo sbilanciamento nel PIL tra «capitale» e «lavoro» e agli elementi menzionati in precedenza, lo squilibrio si riflette anche in un andamento esponenziale dei mercati finanziari e borsistici nel corso degli ultimi anni, fenomeno che contrasta con un'evoluzione in senso contrario del diritto del lavoro, il quale non offre ai lavoratori tutele sufficienti (sia sotto l'aspetto contrattuale sia per quello della formazione continua (25), ad esempio). Per questi motivi la flessibilità (e l'accresciuta precarizzazione) del lavoro diventa una variabile d'aggiustamento per le imprese.

Evoluzione per «sottomodello» sociale

 

 

Capitalizzazione di borsa/PIL

Protezione dei lavoratori

Media

Paese

1990

2003

1990

2003

Modello anglosassone

UK, USA, CAN, AUS

54

119

0,63

0,73

Modello scandinavo

FI, DK, SE

28

85

2,71

1,89

Modello continentale

FR, DE, AT, BE, NL

30

59

2,79

2,30

Modello mediterraneo

IT, ES, EL

16

57

3,67

2,61

Giappone

 

98

70

2,10

1,84

NB: Non esistono dati disponibili per i nuovi Stati membri.

La protezione dei lavoratori è misurata dall'indicatore «EPL (employment protection legislation) versione 1» calcolato (per gli anni 1990, 1998 e 2003) dall'OCSE. Esso copre la regolamentazione sulla tutela dei posti di lavoro regolari e temporanei. Più si avvicina allo 0, più la regolamentazione della protezione dei lavoratori è debole (l'EPL versione 2 include le informazioni relative ai licenziamenti collettivi, ma non permette di risalire al 1990).

5.2.4.

Se è vero che l'azionariato dei dipendenti è cresciuto, questo sviluppo non può correggere la situazione in quanto esso riguarda essenzialmente e in misura sproporzionata (considerato quanto essi possano essere rappresentativi di tutti i lavoratori) i lavoratori percettori dei redditi più alti (in generale i quadri superiori).

5.2.5.

Tenendo presente che ogni sistema economico è un prodotto della storia (cfr. punto 3.3), si comprende facilmente come nell'Europa continentale la convergenza dei modelli di corporate governance (cfr. punti 3.1 e 3.2) non abbia prodotto effetti particolarmente evidenti in termini di lotta contro la disoccupazione, fondandosi il modello sociale europeo soprattutto su un'economia sociale di mercato, la quale presuppone un approccio di partenariato in senso ampio che va al di là degli interessi dei soli azionisti.

5.3.

Da diversi anni siamo entrati, sotto la duplice pressione di una concorrenza internazionale sempre più intensa e degli standard di redditività, in una fase di forte moderazione salariale (26). Tuttavia, non tutte le categorie socioprofessionali sono colpite da questo fenomeno.

5.3.1.

Di conseguenza, sull'esempio degli Stati Uniti (27), la Commissione, Eurostat e la BCE dovrebbero affinare i loro dati statistici, modulandoli (almeno) per quintili (28) onde individuare meglio le categorie di persone (salari molto elevati, salari molto bassi, fasce intermedie) che sono all'origine della crescita della massa salariale globale e più in generale dei redditi. In questo modo, tenendo conto del fatto che tali diverse fasce di reddito non hanno la stessa propensione al consumo, si potrebbero valutare meglio i rischi per la stabilità dei prezzi (29) (cfr. anche il punto 4.8.4).

6.   R&S e innovazione

6.1.

Poiché gli investitori istituzionali tendono a dar prova di mimetismo nelle loro decisioni di investimento, rimane possibile un sovrainvestimento in determinati settori e, nel contempo, un sottoinvestimento in altri, come testimoniato dalla crisi borsistica del 2000-2001.

6.2.

L'esempio dei paesi scandinavi mostra che è possibile combinare prestazioni sociali e tecnologiche avanzate e un sistema finanziario a prevalenza bancaria piuttosto che borsistica.

6.3.

Quanto ai fondi di private equity, se è vero che essi apportano capitale di rischio indispensabile per avviare nuove attività da parte di imprese di modeste dimensioni (start up), è anche vero che da alcuni anni questa filiera d'investimento è in declino (nel 2003 costituiva meno del 10 % dei loro investimenti) (30). L'attività di tali fondi è invece sempre più imperniata sui buyout, ossia sulle acquisizioni di società (che nel 2003 rappresentavano oltre il 60 % dei loro investimenti) (cfr. qui di seguito la sezione intitolata «Effetti leva & rischi sistemici»). Questa tendenza non favorisce peraltro neppure gli investimenti, poiché, dato il rischio connesso con tale attività, il fondo di private equity privilegerà il rimborso e la remunerazione degli azionisti rispetto all'investimento a lungo termine.

6.4.

Oltre alla R&S, le interazioni che vengono definite «tacite» (31) sono un fattore di competitività sempre più importante per il mondo imprenditoriale nel suo complesso. Tali interazioni tacite implicano lo scambio di informazioni, la formulazione di opinioni, il coordinamento e il monitoraggio di altre attività, e combinano diverse forme di conoscenza negli scambi (di beni, servizi e informazioni) con gli altri lavoratori, i clienti e i fornitori. I dipendenti che esplicano questo tipo di capacità rappresentano oggi tra il 25 % e il 50 % della forza lavoro.

6.4.1.

Se vogliono essere più competitive, le imprese non possono più puntare sulla standardizzazione del lavoro dei dipendenti o sulla loro sostituzione con le macchine. Al contrario, esse devono rimuovere le barriere organizzative, instaurare un clima di fiducia a livello del personale, ma anche un rapporto di fiducia tra il personale e l'impresa stessa e permettere al personale di assumere delle decisioni e di comunicare rapidamente e agevolmente. Da ciò consegue che la forza di un'impresa risiede ormai nella conoscenza collettiva che le è propria ed emerge con il tempo.

6.4.2.

Le imprese godono oggi di un ampio margine di manovra per migliorare la produttività dei lavoratori coinvolti in interazioni tacite, cosa che non avviene nella stessa misura per gli altri lavoratori. Ciò dà luogo a una grande disparità di prestazioni nei settori in cui questo tipo di posti di lavoro è importante. Il dialogo sociale settoriale ha una sua funzione in questo contesto, permettendo di procedere a scambi di esperienze tra imprese, in particolare nel quadro di seminari e di studi.

6.4.3.

L'importanza data alle competenze che sono specifiche delle singole imprese solleva interrogativi relativamente alla flessicurezza, dato che quest'ultima presuppone piuttosto una formazione generica, che consenta di trovare una nuova occupazione in un'altra impresa, operante eventualmente in un settore diverso da quello che il lavoratore lascia.

7.   Effetti leva & rischi sistemici

7.1.

Le operazioni di buyout effettuate da certi tipi di private equity sono un'attività di natura speculativa che si basa sull'indebitamento e che punta sulla possibilità di impiegare il reddito generato dalla società «obiettivo» dell'operazione per rimborsare il prestito e per generare un plusvalore significativo in 5 anni.

7.2.

Nel 1995, tali operazioni rappresentavano, per i paesi dell'Europa continentale, lo 0,6 % del PIL e nel 2005 non meno del 3 % (32) (per il Regno Unito, le cifre sono rispettivamente dell'1 % e del 7 %). Le operazioni di buyout costituiscono la parte essenziale (70 %) delle attività condotte dai fondi di private equity, mentre l'apporto di capitale di rischio rappresenta una quota decrescente (5 % per il 2005).

7.2.1.

Nel secondo semestre del 2006 le banche centrali (BCE, Banca d'Inghilterra) e le agenzie di rating (Standard and Poor's) hanno moltiplicato i segnali d'allarme dinanzi all'effervescenza che caratterizza questo settore (500 miliardi di dollari), il quale ha raccolto, nel 2005, 70 miliardi di dollari più che nell'anno precedente. Essi segnalano un rischio sistemico derivante dal forte aumento dei debiti delle società, come pure una moltiplicazione dei junk bond (obbligazioni «spazzatura»), che raggiunge livelli preoccupanti.

7.2.2.

Tutto ciò pone un dilemma alle autorità monetarie, dato che ogni rialzo dei tassi che frenasse questa attività metterebbe simultaneamente fuori gioco le imprese che oggi sopravvivono grazie all'eccesso di liquidità globale.

7.2.3.

I buyout pongono inoltre due problemi di natura completamente diversa ma non meno fondamentali:

nella misura in cui l'operazione viene realizzata mediante la costituzione di una holding, la direttiva sull'informazione/consultazione dei lavoratori non trova applicazione. Ne deriva una minore partecipazione di questi lavoratori che in Europa sono parecchie centinaia di migliaia,

mediante i leveraged buyout — LBO (operazioni di acquisizione effettuate usando capitale di prestito, cioè indebitandosi), i rappresentanti dei fondi d'investimento possono sedere, a nome della società di cui detengono il controllo, nel consiglio di amministrazione di un grande gruppo europeo che opera in un settore cruciale come quello aerospaziale. Dato che determinati fondi di origine statunitense mantengono legami particolarmente stretti con il potere politico e i servizi di intelligence degli Stati Uniti, l'indipendenza tecnologica, militare e politica dell'UE è minacciata nella misura in cui la partecipazione a quel consiglio di amministrazione dà accesso ad informazioni riservate (33).

7.3.

Vi sono in genere molti elementi distorsivi che gonfiano il rendimento medio indicato dai fondi di private equity. Dato che non sono soggetti ad alcun obbligo di reporting, solo i fondi di private equity con le performance più brillanti danno conto dei loro risultati e i fondi che scompaiono perché i loro risultati sono cattivi vengono ritirati dalle basi di dati; uno studio di Citygroup rileva che, tenuto conto di questi aspetti, il rendimento calcolato su un periodo di 10 anni è inferiore a quello di un paniere d'azioni mid-cap, cioè a media capitalizzazione. Anche la presa in considerazione delle spese di gestione e dell'investimento in attivi non liquidi contribuisce a ridurre i risultati indicati (34).

7.4.

Il settore degli hedge funds è valutato in oltre 1 500 miliardi di dollari USA. Benché non rappresentino una novità, negli ultimi 20 anni questi fondi hanno assunto un rilievo particolare. Gli hedge funds sono sottoposti a pressioni da parte degli investitori (come i fondi pensione) perché accrescano la loro trasparenza. Questa richiesta ha recentemente condotto alla messa a punto di valutazioni del credito e del rischio degli hedge funds da parte di diverse agenzie di rating.

7.4.1.

A loro volta, grazie al loro enorme peso finanziario, gli hedge funds esercitano una notevole influenza sui mercati finanziari, borsistici e monetari, che potrebbe essere oggetto di riflessioni approfondite:

recentemente, ancora una volta, le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei paesi dell'Europa continentale hanno espresso la loro preoccupazione sulla possibilità che le banche d'investimento possano consentire agli hedge funds di accrescere la loro capacità di indebitamento utilizzando garanzie relativamente non liquide, il cui valore potrebbe quindi cadere rapidamente in caso di crisi finanziaria. Tali autorità esprimono inoltre perplessità sulle strutture offshore (offshore vehicles) che sfruttano l'effetto leva e che consentono alle banche statunitensi di estendere i crediti agli hedge funds al di là dei limiti di legge,

gli hedge funds sono attivi anche nel segmento del carry trade, ossia nelle operazioni con cui gli investitori prendono in prestito valuta a basso tasso di interesse (come lo yen o il franco svizzero) per investire in valuta che corrisponde tassi di interesse superiori (come il dollaro australiano). Un numero crescente di banche (fra cui la Banca dei regolamenti internazionali — BRI) e di economisti sono convinti che tale attività, molto remunerativa per gli hedge funds, sia uno dei fattori che spiegano la debolezza dello yen, il quale alla fine di gennaio ha raggiunto il tasso di cambio più basso (da 4 anni a questa parte) rispetto al dollaro statunitense. Una improvvisa perdita di interesse per lo yen (dovuta a un rialzo dei tassi giapponesi in risposta al vigore dell'economia nipponica) potrebbe degenerare in una crisi finanziaria. Secondo Barclays Capital, il carry trade di natura speculativa è ormai al livello più alto mai raggiunto dopo la crisi russa del 1998.

7.5.

I derivati consentono alle banche di scaricare i rischi dal loro bilancio convertendoli in prodotti finanziari complessi negoziabili. Così facendo, il rischio viene parcellizzato, ma anche diffuso nell'intero sistema verso operatori che possono non essere soggetti a regole prudenziali.

7.5.1.

Se, con il tempo, è diminuita la probabilità statistica di un grave shock finanziario con ripercussioni sull'intero sistema economico, la probabilità che uno shock si verifichi rimane e in questo caso i danni sarebbero più gravi che in passato a causa, in particolare, dei legami più stretti tra le istituzioni e i mercati dovuti alle innovazioni finanziarie che hanno reso possibile una migliore integrazione dei mercati e alle operazioni di fusione-acquisizione nei settori bancario e assicurativo (35).

7.5.2.

A causa di un effetto leva, che è aumentato negli ultimi anni e, per definizione, non figura nei bilanci, è impossibile stimare quali siano gli importi realmente in gioco e valutare quale sia il rischio cui è esposto il sistema economico.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE sul tema Riesame del mercato unico (INT/332), doc. CESE 89/2007 del 17 gennaio 2007.

(2)  Direttiva 85/611/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985 concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) — GU L 375 del 31.12.1985, pag. 3.

(3)  Come è emerso dalla conferenza organizzata nel marzo 2007 dalla Commissione europea Increasing financial capability, la relazione Sandler presentata a Gordon Brown, all'epoca cancelliere dello Scacchiere britannico, contiene linee di riflessione interessanti.

(4)  Cfr. in particolare i lavori condotti nel quadro dell'Iniziativa finanziaria del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (United Nations Environment Programme Finance Initiative — Unepfi) e la sua relazione A legal framework for the integration of environmental, social and governance issues into institutional investment (2005).

(5)  Ibidem.

(6)  Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori — Dichiarazione congiunta del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sulla rappresentanza dei lavoratori — GU L 80 del 23.3.2002, pag. 29.

(7)  Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti — GU L 82 del 22.3.2001, pag. 16.

(8)  GU C 309 del 16.12.2006Il futuro dei servizi di interesse generale.

(9)  Qualora, in circostanze eccezionali, i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti causino o minaccino di causare difficoltà gravi per il funzionamento dell'Unione economica e monetaria, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, può prendere nei confronti di paesi terzi, e se strettamente necessarie, misure di salvaguardia di durata limitata, per un periodo non superiore a sei mesi.

(10)  Di cui 8 per le operazioni commerciali internazionali.

Fonte: François Morin, Le Nouveau mur de l'argent: Essai sur la finance globalisée, 2006.

(11)  Ecco, in parole povere, alcune caratteristiche che aiutano a capire la differenza tra gli hedge funds e i fondi di private equity. I primi operano su attivi negoziabili, vale a dire azioni, ma anche materie prime, derivati su crediti, ecc., e ricorrono a diversi tipi di strategie per raggiungere il loro obiettivo, il rendimento assoluto. Quando investono in un'impresa, si accontentano di una quota azionaria bassa, ma sono molto attivi nell'influenzare le scelte dell'impresa. I private equity mirano ad ottenere valore e procedono soprattutto mediante acquisizione di imprese, usando l'indebitamento. L'impresa non più quotata non è dunque più soggetta agli obblighi d'informazione. Alcuni anni più tardi i private equity disinvestono dopo aver ristrutturato l'impresa da cima a fondo.

(12)  Cfr. M. Aglieta, The surge in private equity, 2007.

(13)  James Shinn, Private profit or public purpose? Shallow convergence on the shareholder model, Princeton University, 2001. Studi riguardanti 14 paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Cina, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Singapore e Taiwan); Roger M. Baker, Insiders, outsiders, and change in European corporate governance, University of Oxford, 2006.

(14)  Cfr. J. Peyrelevade, Le capitalisme total, 2005, pagg. 39-42.

(15)  Cfr. BIPE, op. cit. La quota del patrimonio finanziario delle famiglie investita in azioni, fondi comuni, assicurazioni vita e pensioni è più che raddoppiata in Germania, Italia e Francia tra il 1980 e il 1998, raggiungendo quasi il 50 % nei primi due paesi e il 66 % nel terzo. Nel Regno Unito, che pure partiva da un livello più elevato, questi prodotti hanno continuato a crescere dal 52 % al 76 %.

(16)  Cfr. BIPE, La montée en puissance des investissements institutionnels: implications réglementaire. Studio realizzato per il Senato francese, gennaio 2003.

(17)  Cfr. in particolare S. M. Bilger et K. F. Hallock, Mass layoffs and CEO turnover, 2005 e Chicago Fed Letter Assessing the impact of job loss on workers and firms, aprile 2006.

(18)  Ministero danese delle Finanze, Status pa SKATs kontrolindsats verdrrorende kapitalfondes overtagelse af 7 danske koncerner, marzo 2007.

(19)  Watson Wyatt, Corporate directors give executive pay model mixed reviews, giugno 2006.

(20)  D. Plihon, Précarité et flexibilité du travail, avatars de la mondialisation du capital, 2006.

(21)  COM(2003) 728 def., Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi.

(22)  È sorprendente che il capitale umano non figuri all'attivo nei bilanci delle imprese, ora che si tende sempre più a considerarlo un fattore di competitività in una economia basata sulla conoscenza.

(23)  European Working Conditions Observatory, Fourth European Working Conditions Survey, 2007, pag. 49.

(24)  Cfr. punto 6.4 e segg.

(25)  European Working Conditions Observatory, Fourth European Working Conditions Survey, 2007, pag. 49.

(26)  Commissione europea, The contribution of labour cost developments to price stability and competitiveness adjustment in the Euro Area in Quarterly Report on the Euro Area, volume 6, n. 1, 2007.

(27)  Cfr. le inchieste annuali US Survey of Consumer Finances.

(28)  Distribuzione dei redditi, classificati in ordine crescente, divisa in 5 parti che contengono un uguale numero di osservazioni.

(29)  Studi recenti indicano questa direzione. Ci si riferisce in particolare a T. Piketty e E. Saez, The evolution of top incomes: a historical and international perspective, American Economic Review, 2006.

(30)  Deutsche Bank Research, Private equity in Europe, gennaio 2005.

(31)  The McKinsey Quarterly, Competitive advantage from better interactions, 2006, n. 2.

(32)  Adrian Blundell-Wignall, Private Equity Trends and Issues, OCSE, 2007.

(33)  B. Carayon, Patriotisme économique: de la guerre à la paix économique, 2006, pag. 119.

(34)  House of Commons, Treasury Committee, Private equity: tenth report of session 2006-07.

(35)  Financial Times, 30 gennaio 2007.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Emendamenti respinti

L'emendamento che segue è stato respinto nel corso della discussione, ma ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del regolamento interno).

Punti 5.1 e 5.1.1

Sostituire i due punti con un punto 5.1 così formulato:

« Se è vero che in passato l'elevata remunerazione degli azionisti è stata spesso giustificata con la rischiosità delle operazioni in cui impegnavano i loro capitali, la fondatezza di tale argomento è messa a dura prova dagli sviluppi degli ultimi anni.

La responsabilità limitata soltanto ai capitali investiti e la negoziabilità del loro attivo legata ad una crescente liquidità dei mercati finanziari e borsistici, grazie alle nuove tecnologie e alla globalizzazione, riducono considerevolmente il livello di rischio cui gli azionisti sono esposti, dando loro una capacità di uscita dall'investimento e di diversificazione senza precedenti.

5.1.

La remunerazione degli azionisti deve essere in linea con i risultati delle imprese.»

Motivazione

I due punti appaiono troppo critici rispetto al ruolo degli azionisti come parte importante dello sviluppo delle imprese. Il testo, affermando che la responsabilità si limita soltanto ai capitali investiti, sembra sminuire l'importanza del rischio che comporta investire nei mercati finanziari e borsistici. L'ultima crisi di tali mercati smentisce inoltre l'affermazione secondo cui le nuove tecnologie e la globalizzazione riducono l'intensità del rischio. Limitare la remunerazione degli azionisti potrebbe ripercuotersi negativamente sull'evoluzione dei mercati dei valori azionari.

Esito della votazione

Voti contrari: 70

Voti favorevoli: 65

Astensioni: 13


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/106


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politiche economiche che favoriscono la strategia industriale europea

(2008/C 10/24)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere sulle «Politiche economiche che favoriscono la strategia industriale europea».

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Crescita, innovazione ed occupazione, obiettivi rilanciati dall'Agenda di Lisbona nella primavera del 2000, sono strettamente connessi ad una rivalutazione e rivalorizzazione del ruolo delle politiche industriali in Europa. Pur nel rispetto del patto di stabilità e crescita e nel consolidamento del mercato unico, è necessario realizzare forme di coordinamento che consentano all'industria europea di avere un ruolo centrale nelle sfide imposte dalla globalizzazione.

Tra gli obiettivi strategici bisognerà infatti determinare i settori prioritari di interesse comunitario o sovranazionale e sostenerli con strumenti economici adeguati. Le strategie industriali di medio e lungo termine attengono principalmente alla sfera europea, mentre la loro applicazione e la realizzazione concreta spettano agli Stati membri.

La moneta unica e il mercato interno sono strumenti formidabili ma non sono obiettivi di per sé; gli obiettivi rimangono quelli fissati dal Trattato: il progresso economico e sociale ed un elevato livello di occupazione.

Sulla base di queste premesse, nell'ambito delle politiche economiche che favoriscono la strategia industriale europea, il CESE ritiene che ci si debba concentrare sulle seguenti aree:

1.2.

I GOPE e l'Agenda di Lisbona. I grandi orientamenti di politica economica (GOPE), pur rappresentando uno strumento di indirizzo e di coordinamento delle politiche economiche, devono integrarsi maggiormente con le iniziative dell'Agenda di Lisbona e prevedere investimenti in innovazione e in nuove tecnologie nel settore industriale, tenendo presente la situazione economica di ciascuno Stato membro.

1.3.

Ruolo e politiche della Banca centrale europea. Le decisioni adottate dalla BCE sono essenzialmente volte a perseguire obiettivi quali il controllo dell'inflazione e la stabilità dei prezzi. La realizzazione di tali obiettivi può a volte frenare gli investimenti. Pur restando fedele ai suoi obiettivi prioritari, la BCE potrebbe, nei limiti del possibile, portare avanti una politica monetaria più flessibile per favorire gli investimenti.

1.4.

Ruolo della BEI. La Banca europea per gli investimenti deve garantire un apporto determinante alla coesione economica e sociale e sostenere lo sviluppo industriale attraverso incentivi per la ricerca e lo sviluppo. Allo stesso tempo la Commissione dovrà dotarsi di nuovi strumenti di politica macroeconomica per favorire l'espansione e la crescita industriale.

1.5.

Necessità di migliori politiche fiscali. Nell'ambito delle politiche fiscali occorre, da un lato, ridurre gli oneri amministrativi, in particolare a carico delle PMI e, dall'altro, è opportuno che le misure fiscali si traducano in incentivi per investimenti in ricerca e sviluppo destinati alle imprese.

1.6.

I rischi di una finanziarizzazione  (1) delle imprese priva di regole. L'eccessiva finanziarizzazione delle imprese e la presenza sempre maggiore di investimenti puramente speculativi nelle industrie mette a rischio il tessuto industriale, spesso colpendo produzione, occupazione e coesione sociale: bisognerà perciò adottare strumenti che regolamentino efficacemente la penetrazione del mondo finanziario nella vita delle imprese.

1.7.

Rilancio del modello industriale europeo. Uno dei modi per combattere il declino manifatturiero e le delocalizzazioni è il rilancio del modello industriale europeo, che è caratterizzato da distretti e filiere di successo. In ogni caso il tessuto industriale ha bisogno sia di infrastrutture materiali che di infrastrutture immateriali: è interesse dell'UE, nel suo insieme, finanziare tali progetti.

Inoltre dato che i servizi svolgono un ruolo centrale nell'economia europea, essi devono interagire con il mondo delle imprese: queste ultime trovano certamente nei servizi, in particolare in quelli destinati al sostegno alla produzione, la linfa vitale. Tali servizi alle imprese soccomberebbero senza una adeguata dinamicità e vitalità del settore industriale stesso.

1.8.

Ricerca, sviluppo e proprietà intellettuale. È ormai evidente che bisogna migliorare i risultati e gli investimenti in ricerca e sviluppo, che sono attualmente assai lontani dagli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. Anche in questo senso deve essere rafforzato l'impegno economico da parte dell'UE. Una nuova strategia industriale dovrà tenere conto, negli investimenti destinati alla ricerca, dei nuovi obiettivi che l'UE si è posta in materia di emissioni di anidride carbonica. La difesa dei diritti di proprietà intellettuale è altresì importante per la competitività e la capacità innovativa delle industrie europee e va garantita con opportuni strumenti comunitari.

1.9.

Istruzione e industria. L'interdipendenza e i collegamenti fra il mondo dell'impresa e il mondo scolastico e universitario hanno un'importanza fondamentale. Gli istituti scolastici, universitari e post-universitari devono essere consapevoli della necessità di dotare gli allievi di qualifiche che siano anche utili per il mondo economico, e dal canto loro le imprese devono far conoscere le loro esigenze a tutti questi istituti. Un modo per migliorare i legami fra le due parti sta nel creare dei Business Park in prossimità degli istituti universitari, come anche valorizzare i centri d'eccellenza europei e, per altri versi, l'Istituto europeo di tecnologia.

1.10.

Dialogo sociale. L'individuazione di sinergie e il coinvolgimento di tutte le parti interessate nel portare avanti con successo le trasformazioni strutturali possono rendere socialmente accettabili le trasformazioni industriali, se è garantita la partecipazione sistematica delle parti sociali nel quadro dell'anticipazione e della gestione delle trasformazioni e se si persegue in modo coerente un duplice obiettivo: quello della competitività delle imprese e quello della riduzione delle conseguenze sociali negative. Nelle regioni transfrontaliere, le trasformazioni industriali potrebbero essere agevolate realizzando il quadro facoltativo per la negoziazione collettiva transnazionale annunciato nell'Agenda sociale 2005-2010. I comitati aziendali europei possono anch'essi dare un contributo: occorre rafforzare le competenze di coloro che vi partecipano in modo che tali comitati possano svolgere il loro ruolo di attori essenziali del processo di consultazione e di dialogo (2).

2.   Premessa

2.1.

La base giuridica per l'attuazione di una politica industriale comunitaria è presente all'articolo 157 del Trattato che istituisce la Comunità europea (3) e la ritroveremo poi in una serie di importanti documenti. La storia della politica industriale europea ha un punto fermo nella ormai lontana comunicazione della Commissione europea La politica industriale in un ambiente aperto e concorrenziale: orientamenti per una soluzione comunitaria  (4). Altri atti seguirono (5): la comunicazione della Commissione La politica industriale in un'Europa allargata  (6), che si soffermava sulle opportunità e conseguenze del previsto allargamento dell'Unione europea. Tra i documenti successivi sono da ricordare le comunicazioni della Commissione Alcune questioni fondamentali in tema di competitività europea  (7) e Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata  (8). Ancor più recente è la comunicazione Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UEverso un'impostazione più integrata della politica industriale  (9), che e stata seguita dall'esame intermedio della politica industriale (10).

2.2.

L'introduzione dell'euro come moneta comune ha dato origine all'accordo sul patto di stabilità e crescita tra i paesi aderenti, rilanciando la necessità di un migliore coordinamento delle politiche economiche nazionali in particolare nell'area delle politiche di bilancio.

L'allargamento ai nuovi paesi dell'Europa centro-orientale, d'altra parte, rappresenta una importante sfida per il futuro dell'Europa e la necessità di superare i divari ancora esistenti tra le diverse realtà economiche, sociali, produttive.

Le politiche comunitarie hanno realizzato importanti obiettivi soprattutto nel consolidamento del mercato interno e più recentemente in materia di libera circolazione dei servizi.

L'attenzione rivolta all'insieme di queste priorità (rispetto dei parametri di Maastricht, regolamentazione del mercato interno, realtà economico produttive particolarmente diverse) ha fatto si che venissero trascurate le politiche di sostegno al potenziale industriale dell'UE.

2.3.

In questo scenario le politiche industriali hanno avuto un peso meno rilevante nella strategia per la crescita e l'occupazione. Ciò è dovuto a scelte che hanno lasciato agli Stati membri praticamente ogni orientamento in questo settore, con scarsi risultati in materia di accordi sovranazionali e certamente rare forme di coordinamento all'interno dell'Unione europea. Nonostante infatti negli ultimi 25 anni siano stati sottoscritti impegni e elaborati documenti per dotare l'Unione di una politica industriale che permettesse di stare al passo con le grandi potenze economiche mondiali, l'impressione generale è che abbiano prevalso gli interessi nazionali. Molto è stato fatto per accelerare privatizzazioni e liberalizzazioni, considerate come i migliori incentivi alla crescita economica e si è invece trascurata una politica comunitaria di supporto al settore industriale e manifatturiero.

2.4.

In un mondo globalizzato come l'attuale diventa sempre più necessario individuare quali possano essere le strategie industriali europee più adeguate per rispondere alla competizione mondiale, che non è più soltanto con i giganti USA e Giappone, ma che si realizza anche con le potenze asiatiche emergenti, tra cui Cina e India. Occorrono dunque degli strumenti comunitari per rispondere con successo alle sfide poste dal resto del mondo e per essere leader e non soltanto follower nei settori strategici.

2.5.

Nello scenario europeo, al contrario, negli ultimi anni si è assistito ad una tendenza alla rinazionalizzazione delle politiche industriali, specie in alcuni settori strategici, come ad esempio quello dell'energia. In molti casi, il rischio è che la propensione a prediligere i campioni nazionali piuttosto che quelli europei, specie nei settori che necessitano di dimensioni di mercato e di investimenti più ampi, vada contro l'interesse nazionale degli stessi Stati interessati.

2.6.

Le strategie industriali di medio e lungo termine e le politiche economiche a supporto di esse attengono alla sfera europea, fermo restando che spetta esclusivamente agli Stati membri attuare dette politiche e tradurle in scelte calate nella dimensione nazionale.

2.7.

Con l'affacciarsi sulla scena mondiale di nuove potenze economiche più competitive nelle produzioni ad alta intensità di mano d'opera, la strategia industriale europea deve necessariamente riorientarsi verso una produzione di qualità. Occorre non solo saper prevedere quali saranno i settori trainanti della produzione di alta tecnologia di innovazione e di qualità, ma anche individuare quali strumenti economici possono essere messi a disposizione dei settori industriali e manifatturieri più atti a rappresentare l'interesse dell'Unione europea nel suo complesso.

3.   Rilanciamo le politiche economiche dell'Unione europea!

3.1.

Il mercato interno dell'UE è, dalla sua nascita, il vero e proprio motore dell'integrazione europea e della crescita economica. L'euro, in quanto moneta unica, ha ulteriormente dato vigore al ruolo del mercato unico, rendendo più veloci e sicuri gli scambi e migliorando la concorrenza. Ma sia il mercato interno che l'euro sono strumenti e non obiettivi di per sé. Gli obiettivi rimangono quelli fissati dal Trattato e ribaditi nelle conclusioni del Consiglio del 21-22 giugno 2007: il progresso economico, la coesione sociale ed un elevato livello di occupazione.

3.2.

Dopo le incoraggianti performance della seconda metà del 2003, il contesto economico europeo ha visto, nel corso del secondo semestre 2004, un certo rallentamento, conseguentemente a fattori anche esogeni, quali il prezzo del petrolio, che risentiva della crisi internazionale e l'andamento del commercio mondiale. L'andamento del 2005, la lieve crescita del 2006 e l'incoraggiante primo quadrimestre del 2007 (11) hanno confermato che comunque il rafforzamento dell'economia europea dipende sempre di più dall'andamento delle esportazioni e sempre meno dalla domanda interna (12).

3.3.

Nei grandi orientamenti per le politiche economiche (GOPE) 2005-2008 (13) il Consiglio si sofferma sugli strumenti, sulle priorità e sulle politiche macroeconomiche che gli Stati membri dovrebbero perseguire, nonché sulle relative riforme, necessarie anche ad una strategia industriale sostenibile.

3.4.

Le politiche macroeconomiche previste dai GOPE sono volte al miglioramento di crescita economica e occupazione, ma sottolineano al contempo anche l'importanza delle politiche economiche per la stabilità dei prezzi. Le misure proposte hanno il fine di:

garantire la stabilità economica, rispettando gli obiettivi di medio periodo,

garantire la gestibilità della situazione economica e di bilancio, riducendo il debito pubblico e rafforzando i sistemi pensionistici e assistenziali,

favorire un'allocazione efficiente delle risorse, privilegiando le voci di spesa atte a promuovere la crescita economica, e favorire una evoluzione salariale che contribuisca alla stabilità economica,

promuovere una maggiore coerenza delle politiche macroeconomiche, strutturali e occupazionali.

3.5.

Le politiche macroeconomiche del patto di stabilità e di crescita dovrebbero essere maggiormente coordinate con gli obiettivi della strategia di Lisbona, al fine di dare vita ad un'unica politica economica dell'Unione europea e dell'area euro. Per sostenere coerentemente le scelte di strategia industriale auspicate, il bilancio europeo dovrebbe essere riformato, nel senso di un riorientamento delle risorse verso investimenti che incentivino in misura maggiore la crescita (14).

4.   Investiamo sulla strategia di Lisbona!

4.1.

Per quanto riguarda invece le riforme volte ad aumentare la crescita e quelle più importanti dal punto di vista industriale, il Consiglio si sofferma sulle seguenti priorità:

migliorare e incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo, ribadendo l'obiettivo del 3 % del PIL stabilito a Lisbona,

sfruttare i vantaggi competitivi dell'industria europea delineando una politica industriale moderna e attiva, sviluppando nuove tecnologie, creando condizioni attraenti per l'industria, aumentando i fattori di competitività per fronteggiare la globalizzazione e favorendo i poli imprenditoriali all'interno dell'UE in termini di qualità,

ampliare e potenziare il mercato interno e applicare con maggiore efficacia le politiche della concorrenza, anche diminuendo gli aiuti di Stato,

promuovere la cultura imprenditoriale e favorire le PMI,

migliorare ed investire nelle infrastrutture europee in quanto fattore determinante per il buon funzionamento del tessuto industriale europeo.

4.2.

Il «rapporto Sapir» del 2003 (15) già prendeva in parte in considerazione questi obiettivi, insistendo sulla salvaguardia del patto di stabilità e crescita. Nell'ambito delle politiche monetarie — si sosteneva — l'unico modo per creare il terreno ideale per la strategia industriale delineata è quello di utilizzare misure che tengano sotto controllo il costo del denaro ed assicurino una stabilità macroeconomica di lungo periodo.

4.3.

Il CESE nell'esprimere il proprio parere sui GOPE, auspicava una maggiore integrazione degli stessi con le altre iniziative dell'Agenda di Lisbona (16).

4.4.

Permane però ancora oggi un forte squilibrio nelle scelte relative alle politiche macroeconomiche, con una accentuata concentrazione sulla lotta all'inflazione ed alla stabilità dei prezzi, ed una eccessiva tendenza della BCE ad utilizzare i tassi di interesse senza troppa flessibilità, e a volte anche in modo non comprensibile. In tempi di crescita robusta (1999-2000), infatti, la BCE ha praticamente raddoppiato i tassi di interesse, mentre è stata estremamente lenta nel ridurli nei lunghi anni di crescita scarsa. Una politica monetaria flessibile unita a politiche fiscali mirate (rigore ed investimenti pubblici) potrebbe essere un elemento vincente per una crescita sostenibile e di lunga durata nel sistema europeo.

4.5.

La Banca centrale europea ha il compito di mantenere la stabilità monetaria e di tenere sotto controllo l'aumento dei prezzi. Queste politiche però si possono tradurre in ostacoli alla crescita economica dei paesi dell'euro, e quindi avere effetti frenanti anche sugli altri 15 paesi «convergenti». Ecco perché è necessario un maggiore coordinamento dell'attività della BCE con le politiche macroeconomiche dell'UE. È evidente che, nelle sue decisioni, la BCE deve tenere in considerazione il fatto che una moneta forte incide positivamente sulle importazioni, rendendole più convenienti, mentre penalizza le esportazioni.

4.6.

In questi mesi si osserva una incoraggiante, anche se lieve, crescita economica dell'UE. Questa crescita è sorretta specialmente dalle esportazioni verso gli altri mercati: questo è indubbiamente un elemento positivo, ma è anche, e soprattutto, la domanda interna che deve essere sostenuta perché la crescita nel mercato interno sia duratura e solida. A sostenere e a incrementare la domanda interna sono anche le politiche salariali, che garantiscono un'economia più dinamica e migliori risultati, evitando i rischi di un'inflazione eccessivamente bassa o di una caduta dei prezzi.

5.   Verso migliori politiche fiscali concordate

5.1.

Una strategia concordata anche nell'ambito delle politiche fiscali potrebbe garantire quegli interventi a sostegno dello sviluppo industriale e, complessivamente, del rafforzamento dell'economia europea. Se da una parte si richiede di ridurre gli oneri amministrativi che gravano eccessivamente sulle imprese, in particolare sulle PMI, dall'altra si auspica un miglioramento della regolamentazione, semplificandola, rendendola trasparente, ma rigorosamente osservata. Un sistema fiscale equo, redistributivo coerentemente con il trend di crescita, che favorisca la coesione, è un importante volano per crescita, occupazione e produttività.

5.2.

Il fenomeno della crescente finanziarizzazione (17) delle imprese può avere ripercussioni negative per il settore industriale e manifatturiero. Gli effetti di tale situazione sono pesanti sia sul fronte della distribuzione del reddito e della ricchezza, sia su quello dello sviluppo economico e dell'occupazione.

5.3.

È necessaria una maggiore trasparenza ed una migliore regolamentazione comunitaria, essenzialmente per le seguenti ragioni: 1) i fondi speculativi rappresentano, nel mercato finanziario, uno strumento ad alto rischio; 2) non è ancora sufficiente l'attenzione e la protezione dovuta agli investitori individuali; 3) regole efficaci proteggerebbero sia le imprese che il mercato finanziario, nonché investitori e risparmiatori. Per queste ragioni, a livello dell'Unione europea occorre una regolamentazione trasparente ed efficiente per assicurare che gli investitori ricevano un'informazione adeguata ed esauriente. L'adozione della direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MIFID), inoltre, rappresenta un passo decisivo nella tutela degli investitori, siano essi imprese o persone fisiche.

5.4.

L'UE e gli Stati membri devono dunque dotarsi di strumenti efficaci che mettano al riparo le loro economie dalle speculazioni e dalla eccessiva finanziarizzazione dei gruppi industriali ed economici. Questi ultimi fenomeni, infatti, non giovano all'aumento della ricchezza e del benessere di uno o più paesi, e sono per contro un vero e proprio rischio per la coesione sociale e l'occupazione.

6.   Investire nei settori chiave

6.1.

Le imprese che nel futuro svolgeranno un ruolo primario sono certamente quelle che si occuperanno di settori dell'alta tecnologia come le energie alternative, le nano e biotecnologie, l'aerospazio e l'aeronautica, il multimediale e le telecomunicazioni. Tutti questi settori, tuttavia, sono ad alta intensità di capitale, piuttosto che ad alta intensità mano d'opera, e per questo hanno bisogno di una classe lavoratrice di alta professionalità.

6.2.

Ai settori tradizionalmente forti dell'industria europea (automobili, elettrodomestici, ecc.), bisogna affiancare quelli di produzioni di alta qualità: quindi la politica economica europea deve incentivare, con strumenti sia diretti che indiretti, la realizzazione di grandi progetti europei in questi ambiti.

6.3.

Come sottolineato nel suo intervento al CESE dal presidente della BEI, Philippe MAYSTADT, «il ruolo della Banca europea per gli investimenti è orientato al sostegno della coesione economica e sociale, ed in questo senso saranno prioritari gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica, delle attività di ricerca e sviluppo, della sicurezza degli approvvigionamenti e della diversificazione delle fonti energia». Allo stesso tempo iniziative come il programma Jaspers sono finalizzate alla preparazione di progetti destinati alle reti dei trasporti, al quadro ambientale, alla protezione della salute.

6.4.

Esistono imprese ad alto consumo energetico che sono fondamentali nel tessuto industriale europeo: queste vanno difese in sede comunitaria ricercando il coordinamento tra i diversi paesi dell'Unione su misure di politica industriale che rendano possibili interventi transitori e — a regime — anche di tipo settoriale, a sostegno di queste produzioni primarie europee. Questa esigenza dovrà tenere conto dei fondamentali traguardi che l'UE si è posta in termini di riduzione delle emissioni di anidride carbonica per combattere il riscaldamento del pianeta: questi obiettivi sono l'occasione per coniugare la necessità di crescita del mercato interno con i cambiamenti climatici in corso. Coerentemente con questi obiettivi, l'UE deve assumere un ruolo da protagonista nei negoziati internazionali per il rispetto di Kyoto e perché venga salvaguardato il recente regolamento REACH.

6.5.

Alcune produzioni già subiscono una pesante delocalizzazione che, giustamente, è fonte di preoccupazione: è dunque necessario compiere ogni sforzo affinché le chiusure degli stabilimenti di produzione siano il meno traumatiche possibile per i lavoratori e per il benessere di determinate regioni. Ma la risposta non può essere solo di «contenimento»: l'obiettivo costante deve essere anche quello di riqualificare le imprese, e insieme i lavoratori, offrendo loro delle possibilità di formazione continua per permettergli di restare sul mercato del lavoro, forti della loro professionalità.

7.   Politiche territoriali

7.1.

Al fine di garantire uno sviluppo equilibrato di tutto il territorio comunitario occorre, anche da un punto di vista europeo, incentivare le imprese affinché i loro investimenti non siano semplicemente sostitutivi, bensì aggiuntivi: l'obiettivo è quello di consentire loro di ampliare il bacino di utenza dei loro prodotti e di beneficiare concretamente dei vantaggi del mercato interno, oramai allargato anche ai nuovi Stati membri dell'UE. Il tessuto industriale europeo è caratterizzato da distretti e filiere industriali di successo: questo modello non è affatto obsoleto e può essere competitivo anche nelle sfide del futuro, specie in alcuni settori manifatturieri specifici.

7.2.

È la Commissione stessa (18) a sottolineare le tendenze in corso alla «deindustrializzazione» e alla «delocalizzazione», che sono fenomeni in parte collegati tra loro. È indubbio che l'economia europea ha subito negli ultimi decenni una macroscopica rivoluzione: la quota dell'industria manifatturiera nella produzione totale dell'Unione è passata dal 30 % del 1970 al 18 % del 2001, con una parallela esplosione del settore dei servizi, balzati dal 52 % al 71 %. La delocalizzazione si concentra specialmente su produzioni a bassa intensità di tecnologia e ad alta intensità di manodopera, ma uno dei veri rischi è che vengano delocalizzate fuori dai confini europei (come d'altronde già accade) anche le attività di ricerca e sviluppo. Preoccupano, inoltre, gli ultimi dati sugli ordini industriali pubblicati alla fine di aprile 2007 da Eurostat (19).

7.3.

L'industria manifatturiera è stata sempre e continuerà ad essere la spina dorsale dell'economia europea. Molti settori dipendono da una solida base industriale incluso quello dei servizi: rinunciarvi sarebbe deleterio perché esiste un potenziale enorme e numerose punte di eccellenza (20). Mentre si registra una delocalizzazione di alcune industrie ad alta intensità di manodopera fuori dall'Unione europea, è essenziale che il nucleo forte della produzione industriale, che rappresenta l'alto valore aggiunto della nostra economia, rimanga nel nostro continente.

7.4.

Se si osserva, infatti, quali sono le compagnie mondiali con il più alto fatturato nel mondo, ci si accorge della perdurante forza, nell'economia contemporanea, dell'industria. Inoltre lo stesso settore terziario, che cresce ed è destinato a crescere, trova proprio nei «servizi alla produzione» la sua parte più dinamica ed innovativa (21).

7.5.

Nel corso di questi ultimi anni, la Commissione europea ha assunto diversi impegni a sostegno di settori industriali; ne citiamo due a titolo di esempio. L'industria automobilistica, vale a dire un comparto che, rappresentando il 3 % del PIL europeo e il 7 % dell'occupazione nel settore manifatturiero, è considerato tradizionalmente forte per l'economia europea, ha meritato recentemente l'attenzione della Commissione. Con la comunicazione «CARS 21» (22), la Commissione ha inteso dar vita ad una strategia complessiva dell'industria dell'auto europea, al fine di mantenere nel lungo periodo la produzione di autoveicoli, ai migliori prezzi per i consumatori. Il documento copre vari aspetti, come la riduzione delle spese amministrative, la sostenibilità ambientale, la sicurezza stradale, il commercio sui vari mercati, anche d'oltremare, e infine la ricerca. La Commissione sembra aver preso coscienza del fatto che l'industria automobilistica, insieme al suo indotto, è al centro dell'economia europea e come tale ha bisogno di strumenti che ne orientino lo sviluppo con una coordinazione di dimensioni, appunto, europee.

7.6.

Un altro settore nel quale le istituzioni europee hanno dato vita ad iniziative ad hoc è il tessile, settore particolarmente delicato perché subisce in misura rilevante le conseguenze della concorrenza internazionale. Già il Consiglio Competitività del 27 novembre 2003 aveva sottolineato l'importanza di assicurare un'efficace interazione delle politiche a livello comunitario, specie attraverso la ricerca, l'innovazione, le misure di formazione e la protezione dei diritti di proprietà intellettuale. All'inizio del 2004, la Commissione ha istituito un gruppo ad alto livello (GAL) per il settore tessile e dell'abbigliamento, con il compito di formulare raccomandazioni su una serie di iniziative concrete a livello regionale, nazionale ed europeo (23).

7.7.

Nel novembre 2003 la Commissione ha inoltre avviato l'Iniziativa europea per la crescita, volta ad accelerare la ripresa economica nell'UE. L'Iniziativa per la crescita comprende tra gli altri il «programma Quick-Start» di progetti di investimenti pubblici e privati nelle infrastrutture, nelle reti e nella conoscenza, volti a incoraggiare la creazione di partnership pubblico-privato, in cooperazione con la Banca europea per gli investimenti. Questo progetto andrebbe supportato, specie in considerazione degli obiettivi economici, sociali e di tutela ambientale che l'Unione europea si sta ponendo negli ultimi anni.

7.8.

Il Fondo sociale europeo può essere definito come uno degli strumenti destinati alla transizione in settori ed aree colpite dai cambiamenti strutturali, infatti è destinato soprattutto alle politiche attive del lavoro, alla formazione e all'accesso al mercato del lavoro. I fondi europei di sviluppo regionale sostengono la competitività, puntando sulla ricerca, l'innovazione, l'istruzione e le infrastrutture. Le attività dei fondi strutturali raggiungeranno i loro obiettivi se gli attori socioeconomici saranno adeguatamente coinvolti nella programmazione secondo un principio di partnership.

8.   La ricerca e lo sviluppo

8.1.

È dimostrato che la ricerca e lo sviluppo costituiscono una vera e propria condicio sine qua non della crescita economica e delle strategie industriali; le iniziative delle istituzioni dell'Unione europea per valorizzare, incentivare, migliorare i risultati e gli investimenti nell'innovazione sono numerose e concordi nell'attribuire a questi aspetti un peso specifico essenziale.

8.2.

L'Agenda di Lisbona prevede l'obiettivo, per tutti gli Stati membri, di arrivare ad investire il 3 % del PIL in ricerca e sviluppo. Questo ambizioso risultato appare oggi molto lontano e negli ultimi anni si è osservato che gli Stati che tradizionalmente hanno sempre investito continuano a farlo, mentre dagli altri non si è avuto quell'incremento che ci si aspettava (24). Misure fiscali ad hoc possono anche tradursi in incentivi per gli investimenti in ricerca e sviluppo.

8.3.

Come sottolineava con forza il rapporto Sapir, l'Unione europea paga le conseguenze di una differenza sostanziale, rispetto agli Stati Uniti, in termini di investimenti in ricerca e sviluppo. E questa differenza non si limita alla quantità di risorse indirizzate alla ricerca e allo sviluppo dal settore pubblico e da quello privato: rispetto agli USA, infatti, l'Europa ha anche meno ricercatori e pubblicazioni scientifiche, una minore incidenza di prodotti ad alta tecnologia nel commercio internazionale, registra un numero minore di brevetti e dà vita ad un numero minore di nuove imprese di successo (le cosiddette start-up) (25).

8.4.

Nel Libro verde sulle Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca  (26) è stata proposta dalla Commissione una strategia per superare gli ostacoli emersi sulla strada del brevetto comunitario, e sono in fase di elaborazione delle iniziative a sostegno dello sviluppo di «mercati guida» in settori promettenti ad elevato contenuto tecnologico.

8.5.

All'interno del programma comune di ricerca e del programma quadro per la competitività e l'innovazione, oggi più che mai si sente l'esigenza di creare una forte cabina di regia maggiormente focalizzata sulle strategie industriali.

8.6.

Il sostegno alla ricerca rimane una politica essenzialmente nazionale, ma vi sono esempi che vanno in senso opposto e che dimostrano la validità del loro approccio: il consorzio Airbus e la joint-venture STMicroelectronics sono definiti dalla maggioranza degli economisti come «campioni europei» di successo, rari esempi di coordinazione sovranazionale realmente competitivi, a livello mondiale, in settori tecnologicamente complessi. Il fondo per l'innovazione potrebbe essere funzionale alla creazione di consorzi industriali europei, facilitando la moltiplicazione delle esperienze positive di carattere sovranazionale.

8.7.

Un tessuto industriale come quello che si auspica ha bisogno di una rete per operare, e innanzitutto di una rete europea. Si deve dunque anche perseguire lo scopo di migliorare e consolidare le infrastrutture materiali, come reti dei trasporti, reti informatiche, porti, corridoi e vettori, come anche le infrastrutture immateriali, di importanza certamente non secondaria specie nelle sfide di lungo periodo, puntando sulla formazione e sul coordinamento delle università e dei centri di ricerca.

8.8.

È in tale ambito indispensabile un forte legame tra il mondo accademico, quello della ricerca e quello delle imprese. A questo proposito è necessario un approccio strategico che assicuri da una parte agli studenti le necessarie competenze per entrare nel mondo del lavoro; inoltre saranno necessari investimenti pubblici e privati perché sempre di più si sviluppino centri di eccellenza che, collegati alle università, rappresentino il terreno fertile per l'imprenditorialità del futuro.

8.9.

Ricordiamo inoltre che il Settimo programma quadro per la ricerca dell'Unione europea 2007-2013 (27) aumenta la dotazione delle piccole e medie imprese, stanziando 1,3 miliardi di euro per:

offrire supporto a piccoli gruppi di aziende innovative al fine di risolvere problemi comuni di natura tecnologica,

garantire per le attività di ricerca e sviluppo delle PMI un finanziamento del 75 % (rispetto al 50 % del Sesto programma quadro),

sviluppare e coordinare il supporto alle PMI su scala nazionale.

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Finanziarizzazione: «il predominio crescente del settore finanziario nel complesso dell'attività economica, dei controllori finanziari nella gestione delle società, degli attivi finanziari tra gli attivi totali, dei titoli negoziati sul mercato e in particolare delle azioni tra gli attivi finanziari, la prevalenza crescente del mercato azionario come mercato per il controllo societario nel determinare le strategie societarie, e delle oscillazioni del mercato azionario come elemento determinante dei cicli economici» citato da Wikipedia

(http://en.wikipedia.org/wiki/Financialisation).

(2)  GU C 24 del 31.1.2006Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali; GU C 185 dell'8.8.2006 — «Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE» e Verso un'impostazione più integrata della politica industriale e politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013.

(3)  Il paragrafo 2 dell'articolo 157, in particolare, recita «Gli Stati membri si consultano reciprocamente in collegamento con la Commissione e, per quanto è necessario, coordinano le loro azioni. La Commissione può prendere ogni iniziativa utile a promuovere detto coordinamento».

(4)  COM(1990) 556 def.

(5)  Si pensi alle due comunicazioni della Commissione europea degli anni '90 Una politica di competitività industriale per l'Unione europea (COM(1994) 319 def.) e Incentivi a favore della competitività delle imprese europee a fronte della globalizzazione (COM(1998) 718 def.).

(6)  COM(2002) 714 def.

(7)  COM(2003) 704 def.

(8)  COM(2004) 274 def.

(9)  COM(2005) 474 def.

(10)  COM(2007) 374 def.

(11)  Eurostat News Release 64/2007, 15 maggio 2007.

(12)  Eurostat News Release 50/2007, 12 aprile 2007.

(13)  Raccomandazione del Consiglio 2005/601/CE, del 12 luglio 2005, relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità (2005-2008), GU L 205 del 6.8.2005, pag. 28.

(14)  Cfr. Lisbon Agenda GroupWorkshop on developing the Lisbon Agenda at European Level — Bruxelles, 17 novembre 2006, Sinthesis report by Maria Joao Rodrigues.

(15)  An Agenda for a Growing EuropeMaking the EU Economic System Deliver, André Sapir e altri, luglio 2003.

(16)  Cfr. il parere CESE Indirizzi di massima per le politiche economiche e la governance economica, GU C 324 del 30.12.2006, pag. 49.

(17)  Cfr. nota 1.

(18)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Alcune questioni fondamentali in tema di competitività europea — Verso un approccio integrato (COM(2003) 704 def.).

(19)  Eurostat News Release 56/2007, 24 aprile 2007.

(20)  La fondamentale importanza di un settore industriale forte e vitale in Europa è ribadita nella comunicazione della Commissione Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UEverso un'impostazione più integrata della politica industriale (COM(2005) 474 def.) e nel parere del CESE in merito (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 80).

(21)  Sull'importanza dei servizi alla produzione e dell'interazione di questi con le industrie manifatturiere europee si veda il parere del CESE I servizi e le industrie manifatturiere europee: i processi di interazione e l'impatto su occupazione, competitività e produttività, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 26.

(22)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Un quadro normativo competitivo nel settore automobilistico per il XXI secolo — Posizione della Commissione sulla relazione finale del gruppo ad alto livello CARS 21 — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione (COM(2007) 22 def.).

(23)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Il settore tessile e dell'abbigliamento dopo il 2005 — Raccomandazioni del gruppo ad alto livello per il settore tessile e l'abbigliamento (COM(2004) 668 def.).

(24)  Cfr. i lavori del Gruppo di Lisbona del CESE, in particolare la risoluzione L'attuazione della strategia di Lisbona rinnovata del 15 febbraio 2007, CESE 298/2007.

(25)  COM(2006) 728 def.

(26)  COM(2007) 161 def.

(27)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013), GU C 65 del 17.3.2006, pag. 22.


15.1.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 10/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Coordinamento dei sistemi di imposizione diretta degli Stati membri nel mercato interno

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Trattamento fiscale delle perdite in situazioni transfrontaliere

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri

COM(2006) 823 def.

COM(2006) 824 def. — {SEC(2006) 1690}

COM(2006) 825 def.

(2008/C 10/25)

La Commissione, in data 19 dicembre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle proposte summenzionate.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 settembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore NYBERG.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 settembre 2007, nel corso della 438a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 168 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Per quanto riguarda gli obiettivi e gli orientamenti dei lavori in materia di imposizione fiscale e di mercato interno, il CESE concorda con la Commissione sul fatto che il coordinamento e la collaborazione tra gli Stati membri possono consentire a questi ultimi di realizzare gli obiettivi delle rispettive politiche fiscali e di salvaguardare le rispettive basi imponibili, riducendo nello stesso tempo i costi di messa in conformità ed eliminando ostacoli quali la discriminazione e la doppia imposizione.

1.2.

Nelle comunicazioni in esame, la Commissione utilizza formulazioni prudenti, come «propone di presentare», «propone di esaminare prossimamente», ecc. Il CESE ritiene che le proposte avanzate dalla Commissione siano adeguate ad un programma di lavoro in campo fiscale, dato che si tratta di ambiti che presentano problemi in relazione alle attività transfrontaliere.

1.3.

L'approccio prudente della Commissione, tuttavia, mette a dura prova il lettore: le descrizioni delle varie situazioni sono assai sintetiche e anche le interpretazioni sul piano giuridico appaiono incerte. Pertanto, anche le osservazioni in merito alle idee contenute nelle comunicazioni della Commissione devono riguardare non tanto posizioni concrete quanto piuttosto questioni di principio. I dibattiti tenuti con rappresentanti della Commissione hanno inoltre evidenziato che le comunicazioni suddette devono essere considerate soprattutto come delle relazioni sui lavori complessivi effettuati dalla Commissione nel settore in esame.

1.4.

Per quanto riguarda la compensazione transfrontaliera delle perdite, la Commissione sostiene che estendere le normative interne a fattispecie transfrontaliere non costituisce la soluzione ideale, ma rappresenterebbe comunque un miglioramento. Sia dal punto di vista giuridico che da quello macroeconomico, questa soluzione è tuttavia altamente problematica poiché in pratica implica l'utilizzo di una società estera per introdurre le normative nazionali in vigore nel paese di tale società nel territorio di un altro paese. I vari problemi di ordine giuridico ed economico che la compensazione delle perdite comporta per le società con attività transfrontaliere potrebbero essere risolti a lungo termine attraverso l'introduzione di una base imponibile consolidata comune per le persone giuridiche (Common consolidated corporate tax base — CCCTB). Dato che al riguardo la Commissione collabora con gli Stati membri attraverso un gruppo di lavoro specifico, è all'interno di tale gruppo che dovrebbe cercare di trovare rapidamente una soluzione a questo problema, mentre nelle comunicazioni dovrebbe concentrarsi sugli altri problemi di carattere più generale.

1.5.

Nella propria analisi, la Commissione tenta di risolvere un problema che, per lo meno nella comunicazione in esame, non viene valutato in termini di portata e di conseguenze reali in caso di introduzione del diritto di trasferimento transfrontaliero delle perdite. Inoltre, nelle sue argomentazioni la Commissione non ha tenuto sufficientemente conto della possibilità di un riporto delle perdite. Nella maggior parte dei casi non è necessario un trasferimento transfrontaliero delle perdite.

1.6.

Quanto al trasferimento tra Stati membri delle plusvalenze societarie non ancora realizzate, non ci si può basare unicamente su un caso di trasferimento riguardante le persone fisiche. La regola secondo cui nel caso di uscita del capitale da un paese non si può chiedere alcun versamento d'imposta sulle plusvalenze non realizzate conduce a un eccesso di richieste d'informazione. La cooperazione tra le autorità fiscali dovrebbe bastare per assicurare che ambedue gli Stati ricevano la loro quota legittima dell'imposta man mano che essa viene pagata. Vi sono attivi che nel caso di uscita da un paese vengono trasferiti ma mai ceduti, come per esempio i beni immateriali, o attivi che vengono semplicemente consumati. La descrizione fornita dalla Commissione per questi casi non è chiara.

1.7.

In linea generale, è importante sviluppare le attività di collaborazione e coordinamento nel campo della tassazione delle imprese. Al tempo stesso, nel campo dell'imposizione fiscale va rispettato, in virtù del principio di sussidiarietà, il diritto degli Stati membri di prendere decisioni in modo autonomo, in funzione delle condizioni nazionali.

2.   Introduzione

2.1.

Il 19 dicembre 2006, la Commissione ha presentato tre comunicazioni riguardanti il coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri: una è orizzontale, mentre le altre due sono incentrate su problemi specifici, rispettivamente le perdite in situazioni transfrontaliere e la tassazione in uscita. Le tre comunicazioni puntano a migliorare l'interazione tra i vari sistemi fiscali nazionali, non a proporne l'armonizzazione.

2.2.

Anche se le comunicazioni si riferiscono a sistemi di imposizione diretta, in realtà sono incentrate unicamente sulla tassazione delle imprese. Esse mirano, da un lato, a tentare di trovare rapidamente delle soluzioni ai problemi relativi alle attività transfrontaliere, che potrebbero invece essere risolti a lungo termine attraverso l'introduzione della CCCTB e, dall'altro, a risolvere i problemi che possono permanere anche in seguito all'introduzione di una base imponibile di questo tipo.

2.3.

Il CESE si è già espresso a favore dell'introduzione della CCCTB, elencando una serie di principi applicabili in caso di effettiva introduzione di tale base imponibile (1).

2.4.

La Commissione afferma chiaramente che il dibattito e le proposte avanzate non puntano soltanto ad eliminare gli ostacoli discriminatori per le società e il rischio di doppia imposizione, ma anche a fare in modo che gli Stati membri possano salvaguardare la loro base imponibile.

3.   Coordinamento dei sistemi di imposizione diretta degli Stati membri nel mercato interno (COM(2006) 823 def.)

3.1.

Secondo la Commissione, il coordinamento dell'imposizione fiscale va improntato ai seguenti principi: eliminare la discriminazione e la doppia imposizione, combattere la non imposizione e l'abuso, e ridurre i costi sostenuti dalle società e dalle persone fisiche soggette a diversi sistemi di imposizione. In caso di incompatibilità tra due sistemi, si ricorre innanzitutto ad accordi bilaterali. L'intervento dell'autorità giudiziaria è stato messo a punto quale soluzione alternativa per stabilire se le disposizioni interne siano in conformità con il diritto comunitario. Tra le disposizioni della normativa fiscale che possono essere in conflitto con il diritto comunitario vengono menzionate le imposte in uscita, le ritenute sui dividendi, le perdite transfrontaliere per i gruppi e l'imposizione fiscale delle succursali o sedi stabili.

3.2.

La Corte di giustizia delle Comunità europee continua ad alimentare la giurisprudenza in materia: si tratta però per lo più di sentenze su casi specifici, la cui interpretazione può difficilmente essere generalizzata. La Commissione ritiene che sia necessaria un'interpretazione più completa della giurisprudenza e con le comunicazioni in esame intende aiutare gli Stati membri a trovare delle soluzioni coordinate.

3.3.

Per la Commissione, un obiettivo importante è quello di eliminare la doppia imposizione, che può essere di ostacolo alle attività transfrontaliere. Per impedire la non imposizione e l'abuso, la Commissione propone di esaminare la giurisprudenza pertinente insieme agli Stati membri nell'ambito di un gruppo di lavoro. Oltre alla diversità delle disposizioni vigenti in materia, vanno presi in esame anche 27 diversi sistemi amministrativi. La Commissione si propone di esaminare le modalità attraverso cui migliorare la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri.

3.4.

La Commissione precisa anche i temi delle prossime comunicazioni in materia, come per esempio le misure per contrastare gli abusi, le definizioni di capitale di prestito e di capitale netto, e il maggiore ricorso alla procedura d'arbitrato in caso di controversie fiscali tra Stati membri.

Osservazioni

3.5.

Nelle osservazioni sulle tre comunicazioni della Commissione, il Comitato intende in primo luogo ribadire il suo sostegno ai lavori sulla CCCTB. Nel suo precedente parere in materia il Comitato sosteneva, tra gli altri, il principio che la CCCTB per essere pienamente effettiva dovesse avere carattere vincolante. A livello politico sono state espresse perplessità circa tale base ma il Comitato ritiene tuttavia che il tentativo di giungere a una base imponibile consolidata comune non possa essere messo in discussione: nel lungo termine essa è necessaria per garantire il buon funzionamento del mercato interno e dovrebbe inoltre agevolare l'attuazione delle proposte presentate nella comunicazione della Commissione. Per contro, vi possono naturalmente essere punti di vista diversi su come configurare una tale base impositiva. Quando esisterà una proposta concreta, occorrerà pertanto rilanciare il dibattito in materia.

3.5.1.

Nel suo parere sulla CCCTB, il Comitato aveva sottolineato l'opportunità di presentare proposte graduali da attuare prima della finalizzazione del documento principale. Il CESE considera le comunicazioni della Commissione come un primo passo in questa direzione.

3.6.

Nella comunicazione in esame, la Commissione utilizza formulazioni estremamente prudenti, come «La Commissione propone di presentare alcune iniziative», «essa propone di esaminare prossimamente il settore insieme agli Stati membri nell'ambito di un gruppo di lavoro», ed «è opportuno esaminare a livello più generale come si possano ridurre i costi di conformità transfrontalieri». L'approccio prudente della Commissione alla problematica fiscale è comprensibile, se si considera l'atteggiamento negativo che caratterizza soprattutto i ministri delle Finanze. Se i politici non sono pronti ad impegnarsi in modo costruttivo in attività di collaborazione, di coordinamento e, ove applicabile, di armonizzazione (specie per quanto riguarda la CCCTB), sarà la Corte di giustizia delle Comunità europee a dovere stabilire anche in futuro le modalità di interazione tra i vari sistemi di imposizione nazionali.

3.7.

Il CESE ritiene che le proposte avanzate dalla Commissione siano adeguate ad un programma di lavoro in campo fiscale, dato che si tratta di ambiti che presentano problemi per quanto riguarda le attività transfrontaliere. È importante che le future proposte della Commissione siano accompagnate da una valutazione del loro prevedibile impatto sul conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

3.8.

I problemi affrontati nella comunicazione in esame e negli altri due documenti oggetto del presente parere riguardano principalmente le attività transfrontaliere delle società: solo la comunicazione sulla tassazione in uscita fa riferimento alle persone fisiche. Il CESE considera corretto, nell'ambito di un dibattito sul mercato interno e sulla tassazione, dare priorità alle società.

3.9.

Quando una società esamina la possibilità di insediarsi in un altro paese, ha bisogno di una grande quantità di informazioni sul sistema di imposizione fiscale di tale paese. È dunque necessario garantire a tali informazioni una maggiore trasparenza e accessibilità: la Commissione può svolgere un ruolo essenziale al riguardo, fungendo da tramite tra le imprese e le amministrazioni fiscali degli Stati membri riguardo alle informazioni di cui esse dispongono. Il ruolo informativo che la Commissione stessa svolge nell'ambito della politica della concorrenza può forse servire da modello in questo ambito.

3.10.

Nel campo della tassazione delle imprese esiste una forte necessità di collaborazione e di coordinamento. Sebbene la Commissione parli di cooperazione e di coordinamento, diversi punti della comunicazione sembrano in pratica suggerire piuttosto la necessità di rinunciare alla sovranità nazionale in ambito fiscale: questo deve essere evitato nelle proposte concrete che la Commissione avanzerà in futuro.

4.   Trattamento fiscale delle perdite in situazioni transfrontaliere (COM(2006) 824 def.)

4.1.

Il trattamento fiscale delle perdite in situazioni transfrontaliere nel caso delle imprese o dei gruppi si basa in modo preponderante sulla sentenza della Corte di giustizia nella causa Marks and Spencer. Se non esiste la possibilità di una compensazione transfrontaliera delle perdite, un'impresa che ha attività in più paesi può finire per essere assoggettata a un regime fiscale più aspro di un'impresa le cui attività siano tutte stabilite in un solo paese. Con una base imponibile comune e consolidata per le società questo problema, cui devono far fronte le imprese con attività in più paesi, potrebbe essere risolto. In attesa però dell'introduzione di questa CCCTB, la Commissione propone diverse procedure per la compensazione delle perdite all'interno di un gruppo di società, tra la capogruppo e una controllata, o all'interno di un'impresa con sedi/succursali in altri paesi.

4.2.

Non è possibile descrivere la situazione nell'UE nella sua interezza perché i singoli Stati membri hanno normative diverse.

4.3.

Per le imprese che hanno diverse sedi in uno stesso paese, è sempre possibile effettuare una compensazione delle perdite tra queste. Secondo lo schema presentato nella comunicazione, una compensazione transfrontaliera è possibile nella maggior parte dei casi, ma non tra tutti gli stati membri. La Corte di giustizia ha stabilito che un'impresa con più attività in un unico paese e un'impresa con attività in più Stati membri devono essere trattate allo stesso modo. La Commissione afferma pertanto che la compensazione delle perdite è il risultato della libertà di stabilimento.

4.4.

Nel caso dei gruppi di società (capogruppo-controllata), nella maggioranza degli Stati membri è possibile una compensazione all'interno del paese. Per le controllate che hanno sede in altri paesi ciò è possibile solo in via eccezionale. Nella causa Marks and Spencer è proprio questo il caso. La sentenza ha stabilito che le perdite possono essere compensate a livello della capogruppo solo se sono state esaurite tutte le possibilità di contabilizzarle nel paese in cui la controllata ha la sua sede. La compensazione delle perdite può essere effettuata solo verticalmente, a livello della capogruppo. Inoltre essa deve essere limitata nel tempo.

4.4.1.

Le imprese che fanno parte di un gruppo sono entità giuridicamente separate e sono tassate in quanto tali. Tuttavia, 19 Stati membri hanno introdotto dei sistemi di imposizione comune per uno stesso gruppo all'interno di un paese. La maggior parte di essi opera un cumulo dell'imposizione totale, mentre alcuni riconoscono solo la possibilità di una compensazione delle perdite. Ovviamente, per permettere una compensazione transfrontaliera delle perdite sono necessarie disposizioni specifiche, in quanto i risultati sono tassati in base a sistemi diversi. In tale materia i singoli Stati membri hanno disposizioni diverse. Con la CCCTB si potrebbero risolvere tutti questi problemi cui devono far fronte le imprese con attività in più paesi. L'obiettivo della Commissione è quello di trovare soluzioni comuni e limitate nel tempo per permettere la compensazione transfrontaliera delle perdite all'interno di un gruppo di società.

Osservazioni

4.5.

In effetti la comunicazione si occupa della compensazione delle perdite, ma è ovvio che il suo punto di partenza è l'imposizione degli utili. L'approccio migliore sarebbe stato quello di esaminare esplicitamente nello stesso documento sia l'imposizione degli utili che la compensazione delle perdite: questi due aspetti non possono infatti essere trattati separatamente. Mentre la Commissione si concentra sulla possibilità di trasferire le perdite in un altro paese, non affronta l'altra opzione possibile per finanziare un deficit, vale a dire i contributi intragruppo. Se questi contributi intragruppo vengono versati prima del pagamento dell'imposta sugli utili, ciò ha lo stesso effetto fiscale di un trasferimento delle perdite.

4.6.

Con l'argomentazione che un'impresa con attività in più paesi dovrebbe essere trattata allo stesso modo di un'impresa con attività in un solo paese, si affronta soltanto la metà del problema. La Commissione vuole garantire la parità di trattamento tra le imprese che hanno attività in più paesi. Dato però che le regole sulla compensazione delle perdite variano da uno Stato membro all'altro, ciò determina nuove disparità tra le imprese. Se un'impresa è originaria di un paese in cui è consentita la compensazione transfrontaliera delle perdite ma deve conformarsi alle regole di un paese in cui tale compensazione tra la capogruppo e la controllata non è permessa, ne risulta una disparità tra le imprese nazionali e quelle estere. Fino a quando vi saranno disposizioni diverse, non sarà possibile una parità di trattamento tra i tre tipi di imprese, ma la parità di trattamento verrà solo spostata. La parità giuridica che in passato esisteva tra tutte le imprese operanti in un dato paese si trasforma in una parità tra tutte le imprese originarie di uno stesso paese, indipendentemente dal luogo in cui hanno delle attività. Detto altrimenti le disposizioni sul trasferimento delle perdite vengono spostate da un paese all'altro, e precisamente attraverso la controllata o la succursale in questo paese, il che è inaccettabile. In altre parole, nell'analisi della Commissione manca la valutazione dell'impatto potenziale di tali misure sulle imprese che non hanno attività transfrontaliere.

4.6.1.

La Commissione sostiene che estendere normative interne a fattispecie transfrontaliere non è la soluzione ideale, ma che questo rappresenterebbe comunque un miglioramento. Sia dal punto di vista giuridico che da quello macroeconomico, però, questa soluzione è altamente problematica, in quanto praticamente implica l'utilizzo di una società estera per introdurre le normative nazionali in vigore nel paese di tale società nel territorio di un altro paese. Per quanto concerne le ripercussioni negative dell'impossibilità di una compensazione transfrontaliera delle perdite enunciate dalla Commissione, il CESE ritiene che una delle più gravi concerna le difficoltà che si incontrano al momento dello stabilimento. Nella fase di avviamento di un'impresa le perdite sono normali. In questa fase, tuttavia, non vi sono possibilità di compensare tali perdite con gli utili dell'impresa nel paese d'origine. Ciò scoraggia dall'aprire succursali in altri paesi. Inoltre, sono le piccole e medie imprese ad avere maggiori difficoltà a sostenere questi costi iniziali. Questi problemi riguardano naturalmente anche le aziende nazionali, dato che non sono specifici della creazione di succursali in altri paesi.

4.7.

Inoltre, nella sua argomentazione, la Commissione non ha tenuto sufficientemente conto della possibilità di un riporto delle perdite. Nella maggior parte dei casi non è necessario un trasferimento transfrontaliero delle perdite. La differenza tra il riporto delle perdite all'interno di un paese e la loro compensazione transfrontaliera è una questione di tempo: nel secondo caso, una perdita può essere direttamente compensata con un utile. Bisogna però chiedersi se le difficoltà che occorre affrontare per creare le soluzioni speciali necessarie per garantire la compensazione transfrontaliera delle perdite all'interno dell'UE possano essere giustificate dai vantaggi derivanti dalla possibilità di effettuare una compensazione delle perdite nello stesso esercizio in cui queste si verificano. Le perdite, infatti, possono essere finanziate attraverso contributi intragruppo come versamenti transitori straordinari. Il problema che la Commissione cerca di risolvere non è forse grande quanto sembra. Nella sua analisi, la Commissione dovrebbe considerare la compensazione transfrontaliera delle perdite e il riporto delle perdite come soluzioni alternative per le imprese che hanno attività transfrontaliere, invece di concentrarsi unicamente su un solo approccio.

4.8.

Inoltre nella comunicazione non si effettua alcuna analisi della dimensione del problema e delle ripercussioni pratiche che avrebbe l'introduzione di un diritto alla compensazione transfrontaliera delle perdite. È invece assolutamente necessario procedere ad una tale analisi prima di adottare una decisione sul fatto di autorizzare o meno il trasferimento transfrontaliero delle perdite.

4.9.

Quando interpreta la situazione giuridica affermando che nel caso che un'impresa abbia attività o succursali in altri Stati membri, si deve autorizzare una compensazione delle perdite in nome della libertà di stabilimento, la Commissione non dice se tale autorizzazione debba essere temporanea o meno. Sembrerebbe che al momento si parli solo di una compensazione delle perdite limitata nel tempo: si dovrebbe però indicare chiaramente se è questo ciò che si raccomanda.

4.10.

La Commissione intende utilizzare le restrizioni applicate al caso Marks and Spencer come orientamenti per le future misure che proporrà. Il CESE ritiene dal canto suo che le prossime proposte dovranno essere strutturate in modo tale da minimizzare il rischio di evasione fiscale nel contesto della compensazione delle perdite.

4.11.

La Commissione ha già presentato diverse proposte nel senso di autorizzare la compensazione per l'anno successivo a quello del trasferimento delle perdite. Le perdite vengono recuperate dalla capogruppo non appena risultino degli utili da cui esse possono essere dedotte. In questo caso, questo sembra il metodo migliore perché la base imponibile viene trasferita solo temporaneamente tra i paesi interessati.

4.12.

Se si cercano di risolvere le difficoltà collegate alla compensazione transfrontaliera delle perdite senza avere introdotto la CCCTB, ci si trova davanti a un problema generale che la Commissione sembra non avere considerato sufficientemente. Com'è possibile sapere quali perdite debbano essere compensate in modo transfrontaliero quando gli utili e le perdite nei due paesi di riferimento si basano su sistemi di calcolo diversi della base imponibile? Non è possibile convenire su quale sia l'ammontare reale delle perdite. In poche parole, insomma, i problemi giuridici ed economici connessi alla compensazione transfrontaliera delle perdite potranno essere risolti nel lungo periodo solamente con l'introduzione della CCCTB. Se questa questione verrà chiarita con una certa rapidità, la Commissione potrebbe opportunamente occuparsi più a fondo degli altri problemi che vengono trattati in queste comunicazioni.

5.   Tassazione in uscita e necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri (COM (2006) 825 def.)

5.1.

La Commissione è del parere che quando tra le imprese vengono trasferite plusvalenze non realizzate, si dovrebbero applicare per il differimento dell'imposta le stesse regole all'interno di un paese e tra paesi diversi. Poiché tuttavia le norme per la tassazione delle plusvalenze non realizzate differiscono tra loro, sorgono problemi. Oltre alla diversità delle norme, anche un insufficiente flusso di informazioni tra autorità fiscali e imprese o persone interessate può portare ad una non imposizione o ad una doppia imposizione. La Commissione cita degli esempi su come migliorare il coordinamento delle norme tra gli Stati membri. Rimane tuttavia ancora parecchio da fare, perché tutti i problemi siano risolti.

5.2.

La Commissione poggia la sua argomentazione sul caso di una persona privata (2) che, al momento di lasciare il paese, si è vista tassare le plusvalenze non realizzate, mentre le persone che mantengono la residenza nel paese vengono tassate quando le plusvalenze sono realizzate. La Corte di giustizia ha sentenziato che questa differenza è contraria alle disposizioni del Trattato CE sulla libertà di movimento. Qui sorge tuttavia il secondo problema: il paese in cui si determinano le plusvalenze si vede sottrarre gettito fiscale. Senza prescrizioni particolari, queste entrate fiscali al momento della realizzazione delle plusvalenze affluiscono al paese in cui è stata trasferita la residenza. La Corte di giustizia è giunta alla conclusione che è lecito, nel caso di un trasferimento di residenza, pretendere una dichiarazione che costituirà la base per la ripartizione della potestà impositiva al momento della realizzazione delle plusvalenze.

5.3.

La maggior parte degli Stati membri ha nel frattempo dato seguito alla sentenza della Corte di giustizia e abolito la tassazione in uscita. Regna l'incertezza riguardo alle modalità o addirittura al fatto se la futura tassazione spetti in parte al paese che la persona ha lasciato. La Commissione sostiene un sistema in cui il paese ove è stata trasferita la residenza garantisca una riduzione d'imposta per la parte di plusvalenze che è sorta prima del trasferimento di residenza. Ciò presuppone che le autorità dei due paesi interessati coordinino i loro regimi fiscali. La Commissione interpreta la sentenza della Corte che si riferiva a una persona fisica, nel senso che essa si applica anche alle imprese che trasferiscono plusvalenze non realizzate.

5.4.

Un caso speciale è rappresentato dai paesi del SEE o dell'EFTA cui si applica la libertà di movimento ma non la normativa fiscale valida all'interno dell'UE. La Commissione difende l'idea che si possa pretendere, quando si lascia un paese, il versamento delle imposte per garantire le entrate fiscali allo Stato da cui la residenza viene trasferita, a meno che accordi bilaterali specifici prevedano altre soluzioni.

Osservazioni

5.5.

Quando la Commissione esamina dei casi di trasferimento degli attivi derivanti da plusvalenze non realizzate tra imprese, la situazione giuridica appare meno chiara rispetto al caso delle persone fisiche. La Commissione formula un'interpretazione, che applica alle imprese, basandosi su una sentenza che riguarda le persone fisiche: ma una sentenza valida per queste ultime non può applicarsi direttamente alle società. È pertanto necessario che la Commissione completi la propria analisi prendendo in esame gli eventuali problemi specifici che devono affrontare le imprese.

5.6.

Servono spiegazioni più esaurienti sulle soluzioni da applicare, secondo la Commissione, alle diverse situazioni: capogruppo e controllata, succursale o sede stabile. In base alle descrizioni contenute nella comunicazione della Commissione ci si può chiedere, tra l'altro, se un trattamento distinto delle plusvalenze non realizzate debba esser fatto dipendere dai rapporti tra le imprese interessate.

5.7.

La regola secondo la quale nel caso si lasci un paese non può essere chiesto alcun versamento d'imposta sulle plusvalenze non realizzate conduce a una forte necessità d'informazione. Non sembra giusto chiedere di dichiarare annualmente che gli attivi non sono stati ceduti, quando la cooperazione tra le autorità fiscali dovrebbe bastare ad assicurare che ambedue gli Stati ricevano la loro quota legittima dell'imposta quando essa viene versata.

5.8.

Vi sono attivi che, nel caso si lasci un paese, vengono trasferiti, ma non ceduti, come per esempio beni immateriali, o attivi che vengono semplicemente consumati. La descrizione fornita dalla Commissione per questi casi non è esauriente. In che modo lo Stato membro da cui hanno origine gli attivi potrà riscuotere le imposte sul valore non realizzato in precedenza, se non può riscuotere tali imposte al momento del trasferimento?

Bruxelles, 26 settembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE sul tema Creazione di una base imponibile comune e consolidata per le società nell'UE, GU C 88 dell'11.4.2006, pag. 48.

(2)  Causa C-9/02 Hughes de Lasteyrie du Saillant contro Ministère de l'Économie, des Finances et de l'Industrie, GU C 94 del 17.4.2004, pag. 5.