ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 195

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

49o anno
18 agosto 2006


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

427a Sessione plenaria del 17 maggio 2006

2006/C 195/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni in relazione alla valutazione quinquennale delle attività di ricerca (1999-2003) svolta da esperti indipendenti di alto livello COM(2005) 387 def.

1

2006/C 195/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'immissione sul mercato di articoli pirotecnici COM(2005) 457 def. — 2005/0194 (COD)

7

2006/C 195/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso dei perfluorottano sulfonati (modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio) COM(2005) 618 def. — 2005/0244 (COD)

10

2006/C 195/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio e la direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di riesame delle direttive sui dispositivi medici COM(2005) 681 def. — 2005/0263 (COD)

14

2006/C 195/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle franchigie fiscali applicabili all'importazione di merci oggetto di piccole spedizioni a carattere non commerciale provenienti dai paesi terzi COM(2006) 12 def. — 2006/0007 (CNS)

19

2006/C 195/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta rivista di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia COM(2005) 319 def. — 2000/0212 (COD)

20

2006/C 195/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla promozione di veicoli puliti nel trasporto stradale COM(2005) 634 def. — 2005/0283 (COD)

26

2006/C 195/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile — Una piattaforma d'azione COM(2005) 658 def.

29

2006/C 195/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla valutazione e alla gestione delle alluvioni COM(2006) 15 def. — 2006/0005(COD)

37

2006/C 195/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce un meccanismo comunitario di protezione civile (rifusione) COM(2006) 29 def. — 2006/0009 (CNS)

40

2006/C 195/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Migliorare la salute mentale della popolazione — Verso una strategia sulla salute mentale per l'Unione europea COM(2005) 484 def.

42

2006/C 195/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca

48

2006/C 195/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi COM(2005) 334 def. — 2003/0329 (CNS)

54

2006/C 195/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Lotta contro gli ostacoli connessi alla tassazione delle società incontrati dalle piccole e medie imprese nel mercato interno — Descrizione di un eventuale regime pilota basato sul criterio della tassazione dello Stato di residenza COM(2005) 702 def.

58

2006/C 195/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di regolamento del Consiglio che istituisce un Fondo di coesione (versione codificata) COM(2006) 5 def. — 2003/0129 (AVC)

61

2006/C 195/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'azione esterna dell'Unione: il ruolo della società civile organizzata

62

2006/C 195/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 — Periodo di riflessione

64

2006/C 195/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione COM(2006) 32 def. — 2006/0010 (CNS)

66

2006/C 195/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per la biomassa COM(2005) 628 def.

69

2006/C 195/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sviluppo e promozione dei carburanti alternativi per il trasporto stradale nell'Unione europea

75

2006/C 195/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio in materia di tasse relative alle autovetture COM(2005) 261 def. — 2005/0130 (CNS)

80

2006/C 195/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa COM(2005) 447 def. — 2005/0183 (COD)

84

2006/C 195/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La situazione della società civile nei Balcani occidentali

88

2006/C 195/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversità — la posizione e il contributo della società civile

96

2006/C 195/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Dare la priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea

104

2006/C 195/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente COM(2005) 548 def. — 2005/0221 (COD)

109

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

427a Sessione plenaria del 17 maggio 2006

18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni in relazione alla valutazione quinquennale delle attività di ricerca (1999-2003) svolta da esperti indipendenti di alto livello

COM(2005) 387 def.

(2006/C 195/01)

La Commissione, in data 24 agosto 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra:

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Sintesi del parere

1.1

Il CESE apprezza e sostiene lo sforzo posto in atto nella terza valutazione quinquennale e il largo impiego di risorse intellettuali di così elevato livello, e auspica che le raccomandazioni emerse dai vari gruppi di esperti, e in particolare dal panel responsabile della valutazione globale (1), costituiscano un costante punto di riferimento nella implementazione dei PQ, nelle elaborazioni future della politica di ricerca e innovazione e, più in generale, nelle politiche atte a rendere operativa la strategia di Lisbona.

1.2

Il CESE si è ripetutamente espresso a favore di un sostanziale aumento del bilancio destinato alla RST europea, quindi deplora la riduzione prospettata di tale importo perché in contraddizione con la priorità dello sviluppo imposta dalle sfide competitive globali e richiesta dalla strategia di Lisbona.

1.3

Il CESE sottolinea l'importanza di una più ampia partecipazione e di un maggior impegno del settore industriale nella ricerca e nello sviluppo d'innovazioni per conseguire l'obiettivo del Consiglio di Barcellona, e auspica uno sforzo più mirato di comunicazione e di coinvolgimento di imprese, organizzazioni ed associazioni di produttori anche al fine di identificare le aree tematiche strategiche nelle quali l'eccellenza della ricerca europea può emergere.

1.4

Il CESE chiede che siano sviluppati strumenti idonei per incentivare i finanziamenti privati in ricerca e sviluppo (RST), dal risk capital o venture capital ai finanziamenti BEI dedicati e ai crediti agevolati per la ricerca, in modo da favorire il passaggio dai risultati di ricerca ad iniziative imprenditoriali concrete.

1.5

Il CESE condivide la posizione del panel sulla necessità di offrire ai ricercatori più autonomia e responsabilità (purché nel rispetto dei principi etici), una maggiore visibilità alle carriere scientifiche ed anche l'opportunità di garantire una maggiore mobilità interdisciplinare oltre che spaziale, nonché un'integrazione del sistema di borse Marie Curie con i programmi nazionali e regionali e una loro utilizzazione mirata specificatamente ad accrescere la mobilità tra ricerca pubblica e privata.

1.6

Il CESE chiede sia data priorità all'elaborazione di politiche atte a sviluppare l'istruzione universitaria in campi scientifici ed ingegneristici, per favorire la presenza di personale femminile tra i ricercatori, per rendere le carriere scientifiche più attraenti e richiamare nell'Unione europea ricercatori operanti all'estero. Sarebbero inoltre auspicabili, nelle scuole secondarie superiori, più corsi indirizzati a materie scientifiche e tecniche, e una politica di promozione dei percorsi universitari in campi scientifici.

1.7

Il CESE ai fini della semplificazione auspica la predisposizione di bandi in cui siano più chiari i tipi di schemi, i tipi di attività e le categorie dei partecipanti, una maggiore flessibilità e libertà di scelta per il richiedente, semplici guide sulla gestione amministrativa-finanziaria, specialmente per i Contractual Agreement tra i partecipanti.

1.8

Il CESE suggerisce una valutazione in itinere sulla bontà delle procedure utilizzate e dei processi di controllo formale e di valutazione, nonché, in progetti di sviluppo ben definiti, l'inserimento di momenti di verifica delle attività e dei risultati previsti in check point precisi e predeterminati del progetto, correlati alle erogazioni dei finanziamenti e al successivo procedere del progetto stesso.

1.9

Il CESE suggerisce di dedicare uno sforzo particolare ad implementare una serie di indicatori che permettano realmente di misurare le performance in termini di competitività e di sviluppo. Con tali indicatori di performance della ricerca si dovrebbe misurare l'efficacia delle attività finanziate per l'ulteriore progresso scientifico, lo sviluppo globale dell'UE e per indirizzare le priorità nelle future attività.

2.   Le sfide per la ricerca europea

2.1

La terza valutazione quinquennale (1999-2003) dei programmi quadro di ricerca costituisce un esercizio di analisi di grande rilievo per ampiezza e per profondità di contenuti (2). Il CESE condivide sostanzialmente le analisi e le raccomandazioni evidenziate dal panel di esperti e fatte proprie dalla Commissione. Dato il contesto competitivo globale e gli obiettivi della strategia di Lisbona e del Consiglio di Barcellona, il CESE sottolinea la necessità e l'urgenza di riflettere sulle priorità e gli obiettivi di fondo della ricerca comunitaria, specialmente al fine di una più ampia partecipazione dei settori produttivi.

2.2

Nella realtà odierna il progresso tecnico-scientifico e l'innovazione procedono sempre più anche con processi di fecondazione incrociata tra varie discipline, in ampia interazione pluridisciplinare tra università, imprese e mondo esterno, più che seguendo esclusivamente il modello lineare in cui l'innovazione procede alla ricerca di base (per lo più a livello accademico) mentre sviluppo e applicazione competono alla ricerca industriale, modello che ha guidato lo sviluppo scientifico sino ad anni recenti (3). Caratteristiche fondamentali dell'attività di ricerca diventano la collaborazione, l'apprendimento interattivo, l'incertezza e il rischio.

2.3

Il modello interattivo permette di capire il successo dei cluster regionali: essi costituiscono un sistema capace di influire positivamente sul comportamento delle imprese e delle università e di realizzare un idoneo contesto sociale e culturale, un efficace quadro organizzativo e istituzionale, una rete di infrastrutture, i sistemi regolatori appropriati alle sfide competitive.

2.4   Il contesto competitivo globale

2.4.1

L'Europa sta affrontando sfide senza precedenti in termini di competizione globale e di potenzialità di crescita, in cui si mostra meno efficace non solo dei suoi concorrenti tradizionali ma anche dei maggiori paesi emergenti. In particolare India e Cina registrano tassi di crescita della spesa in RST altissimi, con punte in Cina vicine al 20 % annuo: si calcola che nel 2010 tale paese avrà una percentuale di spesa in RST sul PIL identica a quella dell'UE. Molte imprese europee investono in Cina non solo per i costi più bassi, ma anche per la combinazione favorevole di risorse umane ben addestrate e di ampi e dinamici mercati per le tecnologie e i prodotti high-tech (4). Poiché la ricerca e l'innovazione sono fattori chiave per rispondere a tali sfide (5), l'Europa deve mobilitare adeguate risorse finanziarie e tutte le sue capacità intellettuali per promuovere la scienza, la tecnologia, l'innovazione (6).

2.4.2

I dati più recenti purtroppo mettono in allarme: dal 2001 l'intensità della spesa di ricerca è sostanzialmente stabile attorno all'1,9 % del PIL e la crescita annua dello 0,7 % registrata nel periodo 2000-2003, proiettata al 2010, permetterebbe di raggiungere una quota del PIL pari solo al 2,2 %. Occorre tener presente poi che, per il diverso volume del PIL, negli USA le attività di RST presentano una dimensione assoluta molto maggiore, e che quindi più facilmente si consegue la massa critica necessaria. Il gap tra la spesa in R&S dell'Europa e quella dei suoi principali concorrenti è dovuta in primo luogo al contributo inferiore del settore privato (nel 2002, esso contribuiva alla spesa globale nella misura del 55,6 % nell'UE, contro il 63,1 % degli USA e il 73,9 % del Giappone). Quello che preoccupa ancora di più è il fatto che nel medesimo periodo la spesa privata in ricerca si sia ridotta e che gli investimenti privati europei sembrano indirizzarsi verso altre aree del globo che offrono migliori condizioni di insieme: nel 1997-2002 le imprese europee hanno incrementato le spese in ricerca negli USA del 54 % in termini reali, mentre il corrispondente flusso dagli USA verso l'UE è aumentato solo del 38 % (7).

2.5   Gli obiettivi fondamentali

2.5.1

Il CESE condivide l'analisi che ha portato ad identificare quattro obiettivi fondamentali:

attirare e ricompensare i migliori talenti,

creare un ambiente fortemente favorevole alla ricerca e sviluppo tecnologico (RST) industriale,

mobilitare risorse a favore dell'innovazione e della crescita sostenibile,

creare fiducia nella scienza e nella tecnologia.

2.5.2

La sfida fondamentale lanciata dal Consiglio di Barcellona, cioè destinare il 3 % del PIL alla ricerca entro il 2010, incrementando la percentuale di ricerca finanziata dal settore privato a due terzi di tale valore, impegna ad un confronto e un coordinamento delle politiche di ricerca comunitarie e nazionali. Tale obiettivo può essere conseguito solo se si rende l'Europa più attraente per gli investimenti in ricerca, si migliora l'efficienza del sistema-ricerca con idonee condizioni-quadro, si incrementa l'effetto di leva della spesa pubblica sulla ricerca privata, si rendono efficaci e coerenti le politiche di ricerca sia a livello comunitario che a livello nazionale (8).

2.5.3

In base alle analisi condotte nel processo di valutazione e alle posizioni espresse da molti stakeholder, il CESE ritiene necessario un intervento più incisivo, con azioni coordinate tra Commissione e Stati membri, sulle condizioni di contesto che non sono sufficientemente favorevoli alle attività di ricerca. Occorre individuare un insieme di leve dirette per l'innovazione e la competitività del sistema a livello europeo: la frammentazione e lo scarso coordinamento degli sforzi impediscono di raggiungere la massa critica e la focalizzazione necessarie. Occorre altresì un ben diverso impegno di confronto e di coordinamento delle politiche di ricerca nazionali, come anche delle politiche di istruzione e di sviluppo delle risorse umane, di tutela della proprietà intellettuale, di sviluppo dell'innovazione attraverso la leva fiscale, di collaborazione costruttiva e sinergica tra università e imprese, ecc.

2.6   Le indicazioni sulla futura politica europea di ricerca

2.6.1

Il CESE si è ripetutamente espresso a favore di un sostanziale aumento del bilancio destinato alla RST europea, e ha quindi ribadito con forza il sostegno alla proposta della Commissione di incrementare i fondi destinati al 7PQ e, in prospettiva, di procedere ad un ulteriore incremento a lungo termine (9). La prospettiva emersa in Consiglio di ridurre tale importo in misura molto consistente, riportandolo attorno al 5 % del bilancio generale dell'UE invece dell'8 % previsto dalla Commissione, viene giudicata negativamente e in contraddizione con la priorità dello sviluppo imposta dalle sfide competitive globali e richiesta dalla strategia di Lisbona.

2.6.2

Il CESE ha sempre sostenuto la creazione di uno Spazio europeo della ricerca (10) e ha condiviso l'opportunità della costituzione di un organismo come il Consiglio europeo della ricerca (CER), organismo che potrebbe in particolare diventare uno strumento chiave per promuovere l'eccellenza scientifica attraverso la ricerca di frontiera individuata mediante un processo bottom-up. Il CESE si compiace che si siano seguite le sue raccomandazioni in particolare per quanto riguarda l'autonomia del CER e la composizione del suo comitato scientifico, ribadendo l'importanza di coinvolgere eccellenti scienziati provenienti anche dal mondo della ricerca industriale (11).

2.6.3

Il CESE condivide la necessità di un ampio ventaglio di azioni coordinate per garantire un'integrazione ottimale dei nuovi Stati membri, ma non ritiene che al riguardo siano stati posti in essere strumenti sufficienti. Il processo di transizione vissuto da tali paesi nel periodo di valutazione in oggetto complica la percezione delle azioni più idonee per costruire un'economia solidamente fondata sullo sviluppo delle conoscenze e della ricerca. L'approccio finalizzato all'obiettivo del «rafforzamento della ricerca» in essi ha particolare significato, ma va finalizzato alla «produzione di innovazioni» per innescare le leve di sviluppo di cui hanno bisogno.

3.   Considerazioni sulle raccomandazioni concernenti il PQ

3.1   La partecipazione del settore privato

3.1.1

Il CESE concorda con le raccomandazioni del panel, in particolare sottolinea l'importanza di una più ampia partecipazione e un maggiore coinvolgimento del settore industriale come precondizione per conseguire l'obiettivo del Consiglio di Barcellona. Il conseguimento di tale obiettivo può essere agevolato da una partecipazione più attiva del mondo economico alle scelte strategiche e all'identificazione delle aree tematiche nelle quali l'eccellenza della ricerca europea può emergere maggiormente.

3.1.2

Per garantire tale partecipazione, il CESE ritiene necessario uno sforzo più mirato di comunicazione e di coinvolgimento di imprese, organizzazioni ed associazioni di produttori, anche per facilitare la partecipazione delle PMI, innalzando così la soglia attuale di partecipazione del 13 %, che non è del tutto soddisfacente. Per loro natura il Settimo PQ e il programma quadro per la competitività e l'innovazione non devono essere visti come alternativi ma come complementari e sinergici.

3.1.3

Il CESE ritiene che gli strumenti di finanziamento tradizionali e quelli nuovi (12) già previsti per il Sesto PQ non vadano modificati sostanzialmente, per non creare involontariamente nuove barriere di accesso (come riscontrato dagli esperti agli inizi del Sesto PQ), ma adattati in base all'esperienza maturata per renderli più facilmente usufruibili.

3.1.4

Gli Integrated Projects (IPs) e gli Specific Targeted Research Projects (STREPs), utilizzati di preferenza dalle PMI, vanno quindi perfezionati per facilitare ulteriormente la loro partecipazione. Le piattaforme tecnologiche e ancor più le Joint Technology Initiatives sono strumenti che sicuramente favoriscono tale obiettivo. I Network of Excellence, che godono dell'apprezzamento e di un'ampia partecipazione di università e centri di ricerca pubblici, dovrebbero essere sviluppati in modo da favorire maggiormente la partecipazione industriale e come strumenti per ampliare la mobilità dei ricercatori, con maggiori ed auspicabili scambi tra settore privato e settore pubblico.

3.2   La semplificazione nella gestione e nelle procedure

3.2.1

La semplificazione della gestione e delle procedure è un tema ricorrente ad ogni rinnovo dei PQ: molti miglioramenti sono stati apportati negli anni, dai vari documenti sulla semplificazione al «consiglio di ascolto (sounding board)» di rappresentanti di piccole entità di ricerca istituito dal commissario POTOČNIK, ma le proposte concrete non sembrano aver risolto le difficoltà e i problemi riscontrati dai partecipanti.

3.2.2

In base alle esperienze raccolte dagli esperti e direttamente dagli stakeholder, il CESE suggerisce che le difficoltà riscontrate dai partecipanti ai progetti del corrente PQ vengano raccolte in modo sistematico e valutate al fine di proporre meccanismi più mirati alla realtà corrente. Esse potrebbero favorire valutazioni in itinere sulla bontà delle procedure utilizzate e dei processi di controllo formale e di valutazione.

3.2.3

Sarebbe opportuno anche l'inserimento, in progetti di sviluppo ben definiti, di momenti di verifica regolari delle attività e dei risultati previsti. Tali momenti di verifica in check point precisi e predeterminati del progetto dovrebbero essere correlati alle erogazioni dei finanziamenti e al successivo procedere del progetto stesso.

3.2.4

Quanto alle modalità di partecipazione e alla gestione amministrativa-finanziaria, potrebbero essere utili linee guida più articolate e di interpretazione univoca per i Contractual Agreement tra i partecipanti, una maggiore flessibilità e libertà di scelta per il richiedente, bandi in cui siano più chiari i tipi di schemi, i tipi di attività e le categorie dei partecipanti.

3.2.5

Si è riscontrato che un nucleo relativamente ridotto di organizzazioni ha partecipato ai bandi più volte e su più programmi, frequentemente come Prime contractor, si stima nella misura di circa un quinto dei progetti (13). Una simile concentrazione desta qualche preoccupazione: da un lato denuncia la difficoltà a partecipare, specie per chi affronta per la prima volta un bando di ricerca, dall'altro rappresenta un limite per la implementazione di nuovi progetti mirati ad innovazioni radicali e a rischio più elevato (richiesti nella raccomandazione 2).

3.3   Incentivare la ricerca

3.3.1

Le modalità per incentivare i finanziamenti privati in RST continuano ad essere insufficientemente definite, e le leve di mercato idonee ad innescare un circolo virtuoso e sinergico appaiono non ben individuate e quindi non operative a breve termine come invece dovrebbero. Incentivi fiscali, rafforzamento dei diritti di proprietà intellettuale, facilitazione degli interventi di risk capital, sono obiettivi più che strumenti operativi.

3.3.2

Il CESE auspica in particolare che siano sviluppati strumenti idonei a far crescere lo spirito imprenditoriale tra i ricercatori europei, e che siano posti in essere strumenti (dal risk capital o venture capital ai finanziamenti BEI dedicati e ai crediti agevolati per la ricerca) che favoriscano il passaggio dai risultati di ricerca ad iniziative imprenditoriali concrete.

3.3.3

La raccomandazione di far partecipare maggiormente le PMI ad alta tecnologia, pienamente condivisa dal CESE come già espresso in molti pareri, deve trovare ulteriori strumenti specifici oltre alle Joint Technology Initiatives, alle piattaforme tecnologiche e alle opportunità offerte dal programma «Idee». Il CESE auspica che questo aspetto costituisca un obiettivo primario e sia oggetto di particolare attenzione nella prassi del metodo aperto di coordinamento.

3.3.4

Per incentivare una ricerca più innovativa e finalizzata a risultati competitivi, il CESE ritiene urgente affrontare i nodi irrisolti dei diritti di proprietà intellettuale: ci si riferisce in particolare al brevetto comunitario, alla brevettabilità delle invenzioni realizzate mediante strumenti informatici e in nuovi campi del sapere, nonché all'applicazione piena della direttiva sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche.

3.4   Le risorse umane

3.4.1

Il CESE considera prioritario il rendere attraenti le carriere scientifiche e tecniche attraverso la valorizzazione della figura del ricercatore sul piano sociale oltre che su quello economico. La crescente tendenza a completare gli studi post laurea e a svolgere attività di ricerca in altri paesi, in contesti accademici e non, è una forma di mobilità sicuramente positiva nel processo formativo dei ricercatori, perché l'interscambio delle conoscenze e dei metodi di lavoro è un insostituibile processo di arricchimento. Essa si trasforma però in un fattore critico nel momento in cui la mobilità diventa unidirezionale, se nel paese di origine il ricercatore non trova condizioni di lavoro, di carriera, di prestigio sociale e di coerente apprezzamento economico tali da favorirne il rientro (14). L'Europa deve essere attraente in tutti i suoi Stati membri per i giovani che si affacciano alla carriera del ricercatore. In particolare si auspicano percorsi facilitati di ingresso nella UE di nuove risorse provenienti da paesi emergenti, compresi Cina ed India, anche attraverso modalità di scambio pilotato.

3.4.2

I programmi concernenti le risorse umane e la mobilità non sembrano sufficienti per operare quel salto di qualità capace di «attirare e ricompensare i migliori talenti» come recita il primo degli obiettivi fondamentali. Non si percepisce una prospettiva chiara verso lo status di «ricercatore europeo», che dovrebbe essere invece il cardine di tale azione.

3.4.3

Politiche innovative devono essere messe in opera per risolvere tale situazione critica. Occorre investire per sviluppare l'istruzione universitaria in campo scientifico ed ingegneristico, il che presuppone anche l'attivazione nella scuola secondaria superiore di corsi più indirizzati verso materie scientifiche e la promozione di percorsi universitari in campi scientifici. Nel contempo bisogna ridurre la quota di laureati in tali campi che non hanno un'occupazione coerente con i loro studi (una situazione negativa diffusa nei nuovi Stati membri e in Italia, Portogallo e Austria), favorendo una maggiore presenza di personale femminile tra i ricercatori (le donne rappresentano poco più di un terzo del totale, mentre sono più del 63 % tra i laureati in materie scientifiche e ingegneria) (15), e rendendo le carriere scientifiche più attraenti.

3.4.4

Il CESE ritiene che tali politiche, che sono una responsabilità primaria degli Stati membri, dovrebbero formare oggetto di particolare approfondimento nell'ambito del metodo aperto di coordinamento: si tratta infatti di uno strumento utilmente applicabile ai sistemi di istruzione superiore e universitaria e a quelli di ricerca, con l'obiettivo di favorire l'apprendimento delle migliori prassi, forme idonee di «peer review», azioni concertate fra Stati membri e regioni, nonché l'identificazione di temi prioritari di ricerca transnazionale.

3.4.5

La percentuale di ricercatori rispetto alla forza lavoro complessiva è molto inferiore a quella riscontrabile nei paesi concorrenti (5,4‰ nell'UE contro il 9,0‰ degli USA e il 10,1‰ del Giappone — ma in tutti i nuovi Stati membri e nei paesi dell'Europa meridionale essa non supera il 5,0 %), e l'età degli occupati in settori scientifici e tecnologici comincia ad essere fonte di preoccupazione (il 35 % è infatti nella fascia di età 45-64 anni, ma con punte oltre il 40 % in alcuni Stati membri e solo il 31 % rientra invece nella fascia 25-34 anni) (16). Un altro elemento che deve far riflettere è la stima che attualmente 150 000 ricercatori europei lavorino negli USA, e che per conseguire l'obiettivo di Barcellona nel prossimo decennio saranno necessari da 500 000 a 700 000 ricercatori (17) ulteriori.

3.4.6

Il CESE condivide la posizione del panel sulla necessità di offrire ai ricercatori più autonomia e responsabilità (purché nel rispetto dei principi etici), una maggiore visibilità alle carriere scientifiche, e anche sull'opportunità di garantire una maggiore mobilità interdisciplinare oltre che spaziale, nonché un'integrazione del sistema di borse Marie Curie con i programmi nazionali e regionali e una loro utilizzazione mirata specificatamente ad accrescere la mobilità tra ricerca pubblica e privata.

3.4.7

Il CESE sostiene inoltre lo sforzo della Commissione per la creazione della «Carta europea dei ricercatori» (18), che considera un primo passo nella giusta direzione, ma ritiene che un impegno maggiore e più coordinato debba essere messo in atto dagli Stati membri per pervenire a sistemi di formazione, di carriera, di retribuzioni (compresi i regimi contributivi, pensionistici e fiscali) più efficaci e maggiormente armonizzati (19).

3.4.8

Risolvere il problema della fiducia e della legittimazione della scienza e della tecnologia in Europa, problema cui il CESE annette una grande rilevanza, è una delle condizioni necessarie affinché il ricercatore sia legittimato e la sua attività economicamente riconosciuta: non fosse altro che per raggiungere tale obiettivo, è importante definire con urgenza una politica attiva e coordinata fra Commissione e Stati membri e dotarla di strumenti e risorse idonee.

3.5   Il processo di valutazione

3.5.1

IL CESE prende atto del notevole sforzo compiuto dalla Commissione per migliorare il processo di valutazione, ed evidenziato da una serie di documenti finalizzati all'azione dei valutatori. Il problema principale risiede tuttavia nella logica della valutazione ex post: se ci si limita a verificare la coerenza formale con gli obiettivi si rischia di perdere di vista il vero obiettivo strategico che è la valutazione dell'impatto strutturale dei PQ sul panorama economico e di ricerca dell'UE, delle priorità da perseguire e dell'allocazione conseguente dei fondi.

3.5.2

Il CESE suggerisce di dedicarsi all'implementazione di una serie di indicatori che dovrebbero realmente misurare le performance in termini di competitività e di sviluppo. Tali indicatori di performance della ricerca dovrebbero permettere di misurare l'efficacia delle attività finanziate per lo sviluppo globale dell'UE e di indirizzare le future attività in modo coerente con le priorità individuate. Il CESE è consapevole comunque che nessuna valutazione automatica è in grado di sostituire il giudizio differenziato e adattato alle singole situazioni degli esperti appropriati.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Five-Year Assessment of the EU Research Framework Programmes 1999-2003, Commissione europea, DG Ricerca, 15.12.2004.

(2)  Il processo di valutazione è stato accompagnato da numerosi documenti e relazioni, che sono messi a disposizione del pubblico nel sito http://forum.europa.eu.int/Public/irc/rtd/fiveyearasskb/library.

(3)  Cfr. Keith Smith, The Framework Programmes and the changing economic landscape, Commissione europea, JRC/IPTS, Siviglia, dicembre 2004, pagg. 11-12.

(4)  Prefazione di J. Potočnik a Key figures 2005. Towards a European Research Area: Science, Technology and Innovation, Commissione europea, DG Ricerca, 2005, pag. 5.

(5)  Il CESE ha dato ampio rilievo a questo tema in più pareri, da ultimo in INT/269 - CESE 1484/2005, Parere sul Settimo programma quadro di RST, 14 dicembre 2005, relatore WOLF, punti 2.2, 2.3, 2.4. GU C 65 del 17.3.2006.

(6)  Cfr. l'introduzione del presidente Erkki Ormala a Five-Year Assessment of the EU Research Framework Programmes 1999-2003, cit.

(7)  Tutti i dati del paragrafo sono tratti da: Key figures 2005, cit., pagg. 9-10.

(8)  Cfr. la premessa a Key figures 2005, cit., pag. 3.

(9)  CESE 1484/2005, cit., punti 1.4 pag. 2 e da 4.1 a 4.6, pagg. 9 e 10. GU C 65 del 17.3.2006.

(10)  Da ultimo, cfr. in particolare il parere CESE 1647/2004 in GU C 156 del 28.6.2005, in merito alla Comunicazione - La scienza e la tecnologia, chiavi del futuro dell'Europa, relatore WOLF, nonché il parere complementare sullo stesso tema (CCMI/015 - CESE 1353/2004, relatore van IERSEL, correlatore GIBELLIERI).

(11)  INT/269 - CESE 1484/2005, cit., punto 4.11. GU C 65 del 17.3.2006

(12)  Cfr. al riguardo il parere che il CESE sta elaborando in materia (INT/309).

(13)  Five-Year Assessment, cit., pag. 7.

(14)  Il CESE si è espresso in molti pareri sull'argomento, da ultimo, cfr. il già citato parere CESE 1484/2005, paragrafi 4.12 e segg. GU C 65 del 17.3.2006

(15)  Key figures 2005, cit., pagg. 53-57.

(16)  Key figures 2005, pagg. 47-51.

(17)  Five Year Assessment, cit., pag. 12.

(18)  Raccomandazione della Commissione dell'11.3.2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e un Codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori, GU L 75 del 22.3.2005, pag. 67.

(19)  Cfr. CESE 305/2004, parere sulla comunicazione I ricercatori nello spazio europeo della ricerca, relatore WOLF, in GU C 110 del 30.4.2004.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'immissione sul mercato di articoli pirotecnici

COM(2005) 457 def. — 2005/0194 (COD)

(2006/C 195/02)

Il Consiglio, in data 25 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del CESE

1.1

La proposta di direttiva intende:

assicurare la libera circolazione degli articoli pirotecnici nell'Unione europea,

migliorare la protezione generale dei consumatori e degli operatori professionali,

armonizzare i requisiti di sicurezza applicabili nei diversi Stati membri.

1.2

Il CESE sostiene in linea generale il testo proposto dalla Commissione, ma formula le raccomandazioni esposte ai punti seguenti.

1.2.1

La Commissione dovrebbe prevedere per il recepimento della direttiva un periodo più lungo di quello contemplato dall'articolo 20. Per i fuochi d'artificio il periodo previsto è di soli 24 mesi dalla pubblicazione della direttiva, mentre per gli altri articoli pirotecnici è di cinque anni. Dato che, secondo i distributori dell'UE, i tempi di reazione degli importatori di fuochi d'artificio dalla Cina e da altre fonti sono di almeno tre anni, il CESE raccomanda che il periodo concesso per i fuochi di artificio sia portato anch'esso a cinque anni, come per gli altri articoli pirotecnici.

1.2.2

Il Comitato osserva che le disposizioni riguardanti la verifica dei fuochi di artificio e il rispetto delle norme CEN impongono una serie di responsabilità agli importatori e ai distributori. Raccomanda pertanto di chiarire nella direttiva che, al momento di ordinare i prodotti da fabbricanti situati in paesi terzi, gli importatori devono specificare quali standard sono richiesti per ottenere il marchio CE. La responsabilità del controllo e dell'etichettatura CE deve spettare al produttore, e l'importatore deve essere responsabile solo in via secondaria, per garantire che i prodotti con marchio CE rispettino effettivamente le norme CEN, allo scopo di evitare che vengano commercializzati prodotti contraffatti.

1.2.3

Il Comitato ritiene che le dogane e le altre autorità degli Stati membri dovrebbero venire anch'esse coinvolte nelle procedure di controllo, per garantire che i prodotti contrassegnati dal marchio CE soddisfino effettivamente le norme.

1.2.4

I dati sugli infortuni forniti alla Commissione dagli Stati membri sono incompleti, e la Commissione ne è consapevole. Il Comitato esorta tutti gli Stati membri a migliorare il controllo degli incidenti di cui sono vittime i consumatori.

1.2.5

L'articolo 14 prevede disposizioni per l'informazione rapida sui prodotti che presentano rischi elevati. Come misura temporanea, in attesa dell'entrata in vigore della direttiva, si potrebbe anche utilizzare il sistema RAPEX (sistema comunitario di informazione rapida).

1.2.6

L'articolo 12, paragrafo 1, prevede che i prodotti pirotecnici utilizzati nell'industria automobilistica «siano adeguatamente etichettati nella lingua ufficiale/nelle lingue ufficiali del paese in cui l'articolo è venduto al consumatore». Il Comitato ritiene che il riferimento al consumatore sia fuorviante, dato che la maggior parte di tali articoli pirotecnici viene montata negli autoveicoli in fase di produzione. Le informazioni riguardanti le apparecchiature d'origine possono pertanto continuare a essere fornite nella lingua usata attualmente, cioè l'inglese. Tuttavia i produttori di tali apparecchiature esprimono preoccupazione per l'obbligo di stampare le istruzioni nelle 25 lingue ufficiali dell'Unione, dato che non possono sapere in anticipo in quali paesi tali prodotti saranno utilizzati. A parere del Comitato la scheda informativa in materia di sicurezza preparata dal produttore dovrebbe essere sufficiente, dato che per lo più presenta le informazioni sotto forma di diagrammi e di dati statistici.

Inoltre, la disposizione che prevede un'etichettatura «nella lingua ufficiale/nelle lingue ufficiali del paese in cui l'articolo è venduto al consumatore» contraddice i principi di base del mercato interno, dato che una tale etichettatura rappresenterebbe un ostacolo al commercio. Il Comitato inoltre osserva che prodotti quali ad esempio i ricambi per airbag sono di rado venduti direttamente al consumatore finale, essendo per lo più installati dai meccanici nelle autofficine.

1.2.7

L'articolo 8, paragrafo 4, della proposta di direttiva impone agli Stati membri di informare la Commissione se ritengono che i prodotti non soddisfino appieno i requisiti essenziali di sicurezza di cui all'articolo 4, paragrafo 1, che fungerà da base giuridica. Il Comitato raccomanda tuttavia che nel frattempo si impieghi il sistema RAPEX per trasmettere alla Commissione i dati sugli infortuni e permettere la circolazione delle informazioni tra gli Stati membri.

1.2.8

Il Comitato è a conoscenza del fatto che in alcuni Stati membri vi sono microimprese che producono fuochi di artificio destinati a speciali manifestazioni locali. Gli Stati membri devono assicurarsi che anche queste imprese rispettino i requisiti di sicurezza della direttiva.

1.2.9

Gli articoli pirotecnici per l'industria automobilistica dovrebbero essere disciplinati da un regolamento ONU/ECE (Commissione economica per l'Europa) conformemente all'accordo del 1958 (Ginevra WP 29), e non mediante una norma.

1.2.10

Il Comitato ritiene che per gli articoli pirotecnici destinati all'industria automobilistica la Commissione dovrebbe accettare una qualche forma di omologazione.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

I «fuochi di artificio», di solito utilizzati per motivi di svago o per contrassegnare eventi speciali come ad esempio le feste religiose, fanno parte della storia culturale di parecchi Stati membri dell'Unione. La direttiva li tratta separatamente rispetto agli «articoli pirotecnici» che, ai fini della direttiva, comprendono i dispositivi esplosivi che aprono gli airbag e i pretensionatori per cinture di sicurezza presenti nei veicoli a motore.

2.2   Categorie

L'articolo 3 della proposta propone la seguente ripartizione in categorie:

a)

Fuochi d'artificio:

categoria 1: fuochi d'artificio che presentano un rischio potenziale estremamente basso e che sono destinati a essere utilizzati in edifici d'abitazione o spazi confinati,

categoria 2: fuochi d'artificio che presentano un basso rischio potenziale e che sono destinati a essere usati al di fuori di edifici in spazi confinati,

categoria 3: fuochi d'artificio che presentano un rischio potenziale medio e che sono destinati ad essere usati al di fuori di edifici in grandi spazi aperti,

categoria 4: fuochi d'artificio che presentano un rischio potenziale elevato e che sono destinati a essere usati esclusivamente da persone con conoscenze specialistiche («fuochi d'artificio professionali»).

b)

Altri articoli pirotecnici:

categoria 1: articoli pirotecnici diversi dai fuochi d'artificio che presentano un rischio potenziale ridotto,

categoria 2: articoli pirotecnici diversi dai fuochi d'artificio che sono destinati esclusivamente alla manipolazione o all'uso da parte di persone con conoscenze specialistiche.

2.3   Limiti di età

2.3.1

L'articolo 7 della direttiva proibisce la vendita dei fuochi d'artificio:

di categoria 1 ai minori di 12 anni,

di categoria 2 ai minori di 16 anni,

di categoria 3 ai minori di 18 anni.

Gli altri articoli pirotecnici non possono essere messi a disposizione o venduti a minori di 18 anni che non siano in possesso della formazione professionale necessaria.

2.4

Il quadro giuridico per l'immissione sul mercato e l'uso di articoli pirotecnici varia notevolmente tra i 25 Stati membri, il che vale anche per le statistiche sugli infortuni e per le loro modalità di rendicontazione. I dati raccolti dagli Stati membri riguardano soltanto i fuochi d'artificio e non altri articoli pirotecnici come effetti scenici, bengala di segnalazione o articoli pirotecnici per l'industria automobilistica.

2.5

Il mercato degli articoli pirotecnici per l'industria automobilistica è di gran lunga il più importante dei due, con un valore di circa 5,5 miliardi e mezzo di euro l'anno (3,5 miliardi di euro per i sistemi airbag e 2 per i pretensionatori per cinture di sicurezza). Le esportazioni, nel 2004, sono ammontate a 223 438 297 euro; le importazioni a 16 090 411 euro.

2.6

La stragrande maggioranza dei fuochi d'artificio utilizzati nel mercato dell'Unione è importata dalla Cina, e nell'UE la maggior parte dei posti di lavoro del settore si trova in ambito PMI. Si stima che il mercato destinato ai consumatori sia pari a 700 milioni di euro circa l'anno e che il mercato «professionale» abbia dimensioni analoghe. Secondo la valutazione di impatto della Commissione i 3 000 addetti del settore operano principalmente nell'ambito dell'acquisto, dell'immagazzinamento, della distribuzione e dell'uso professionale dei fuochi d'artificio per effetti scenici. Malta rappresenta un'eccezione con le sue numerose feste religiose, che comportano l'uso di fuochi d'artificio realizzati a mano e non venduti ai consumatori.

2.7

I tassi di infortuni variano a seconda della precisione delle statistiche nazionali e vanno dall'1,36 per milione di abitanti dell'Estonia al 60,1 del Regno Unito. La Commissione, estrapolando tali dati, valuta che nell'intera Unione (che conta 455 milioni di abitanti) si avrebbe un numero totale di infortuni dovuti a fuochi d'artificio oscillante tra i 7 000 e i 45 000 casi.

2.8

Non sembrano esservi statistiche distinte per gli infortuni causati dagli articoli pirotecnici per autoveicoli rispetto a quelli dovuti all'uso degli autoveicoli in generale.

2.9   Marchio CE

2.9.1

Non è attualmente previsto che ai fuochi di artificio debba essere apposto un marchio CE, anche se nel maggio 2003 è stato pubblicato uno standard CEN. Stando agli articoli 9 e 10, tali prodotti non possono essere commercializzati se non soddisfano le procedure di valutazione previste da tali articoli.

2.9.2

Gli Stati membri devono notificare alla Commissione gli organismi da essi designati per eseguire le procedure di valutazione di conformità.

2.9.3

I fuochi d'artificio che non soddisfano le procedure di valutazione di conformità non potranno essere commercializzati.

2.10   Articoli pirotecnici per autoveicoli

2.10.1

Non esiste una procedura di approvazione unica per la commercializzazione di generatori di gas, moduli e dispositivi di sicurezza per gli autoveicoli e per altri usi.

2.11   Valutazione di impatto

2.11.1

La Commissione ritiene che l'armonizzazione proposta dovrebbe consentire una notevole riduzione dei costi sia per i fuochi d'artificio che per gli articoli pirotecnici per autoveicoli. Attualmente si valuta che vengano utilizzati nell'Unione ben 50 000 diversi tipi di fuochi d'artificio debitamente approvati, e la procedura di approvazione può costare tra i 500 e i 3 000 euro per fuoco d'artificio e per Stato membro. La Commissione osserva che il nuovo sistema, con un'unica valutazione di conformità che rimpiazzerà ben 25 procedure nazionali parallele, comporterà una notevole riduzione dei costi di approvazione.

2.11.2

Per quanto riguarda gli articoli pirotecnici per autoveicoli, il costo per l'approvazione di un modello di airbag può arrivare fino a 25 000 euro in uno Stato membro (la Germania). La Commissione spera che la concorrenza tra le autorità competenti a eseguire i controlli farà diminuire tali costi.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato accoglie con favore gli obiettivi della proposta — libera circolazione degli articoli pirotecnici, elevato livello di protezione del consumatore e requisiti di sicurezza fondamentali — ma esprime alcune riserve, soprattutto per quanto riguarda i fuochi d'artificio.

3.2

Tenendo conto del fatto che la stragrande maggioranza dei fuochi d'artificio viene prodotta in Cina, e che i produttori di tale paese possono non avere le risorse necessarie per rispettare gli standard dell'Unione, è opportuno chiedersi chi si assumerà la responsabilità del controllo: l'importatore, il rappresentante del produttore o il venditore al dettaglio?

3.3

Che garanzia ci sarà del fatto che il marchio CE apposto su un fuoco d'artificio importato sia autentico o che l'articolo pirotecnico sul quale è stato apposto non sia contraffatto?

3.4

Che livello di cooperazione si può sperare di ottenere tra gli organismi di protezione dei consumatori dell'Unione e le amministrazioni dei paesi dai quali provengono tali articoli?

3.5

Il CESE esprime un certo scetticismo circa le statistiche citate nella valutazione d'impatto della Commissione, soprattutto per l'ampio scarto fra i dati relativi al tasso di infortuni — tra 7 000 e 45 000. Il Comitato condivide l'opinione della Commissione, secondo cui «qualsiasi tentativo di stimare una cifra del numero totale di infortuni in tutta l'UE va affrontato con estrema cautela».

3.6

Riserve analoghe valgono anche per la valutazione dell'impatto economico e per l'affermazione piuttosto ottimistica secondo cui, nel caso degli articoli pirotecnici per autoveicoli, la maggior concorrenza tra le autorità competenti per i controlli farà scendere i costi delle procedure di approvazione.

3.7

Il CESE osserva che la valutazione dell'impatto sociale è positiva per quanto riguarda il tentativo di ridurre il numero di infortuni connessi ai fuochi d'artificio e neutra per quanto riguarda l'occupazione nei due settori, quello dei fuochi di artificio e quello degli articoli pirotecnici per autoveicoli.

3.8

La valutazione dell'impatto ambientale richiama l'attenzione sulle implicazioni della direttiva 96/82/CE del Consiglio (Seveso II) del 9 dicembre 1996 e della sua estensione, mediante la direttiva 2003/105/CE del Parlamento e del Consiglio del 16 dicembre 2003, ai depositi e agli impianti nei quali sono presenti sostanze pirotecniche.

3.9

Fatte salve le riserve suddette, il Comitato approva le valutazioni di impatto.

4.   Osservazioni di carattere specifico

4.1

Il settore automobilistico ha una valenza economica assai superiore a quella del settore dei fuochi di artificio. Si tratta di un settore di significativa importanza per l'esportazione e dal quale dipende un numero notevole di posti di lavoro. Il CESE accoglie favorevolmente qualsiasi misura capace di aiutare i produttori dell'Unione a tenere il passo in un settore nel quale la concorrenza off-shore si sta facendo sempre più intensa.

4.2

Il Comitato auspica che l'introduzione di standard uniformi per la commercializzazione di fuochi d'artificio sicuri possa rilanciare la produzione all'interno dell'Unione europea, consentendo un'economia di scala, relativamente a un mercato potenziale di 1,4 miliardi di euro (700 milioni di euro per le vendite al consumo e altri 700 per le vendite a professionisti del settore), che sinora è stata impedita dall'esistenza di un numero eccessivo di standard nazionali spesso in conflitto tra loro.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso dei perfluorottano sulfonati (modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio)

COM(2005) 618 def. — 2005/0244 (COD)

(2006/C 195/03)

Il Consiglio, in data 17 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La proposta in esame prende spunto dal fatto che il principale produttore di perfluorottano sulfonati (PFOS) ha annunciato che avrebbe smesso di produrre e commercializzare beni di consumo contenenti queste sostanze. Ha deciso in questo senso dopo aver accertato i rischi potenziali che esse presentano per la salute umana e per l'ambiente. Nel frattempo questi rischi sono stati quantificati e la bontà della sua decisione, per quanto riguarda l'uso finale in oggetto, è stata confermata. Ora che i rischi più gravi sono stati neutralizzati, occorre agire per evitare che il problema si ripeta. Al tempo stesso, vanno salvaguardate le esigenze degli utilizzatori di altri settori finché non disporranno anche loro di materiali o procedimenti alternativi e/o di valutazioni d'impatto complete.

1.2

Il Comitato accoglie la proposta della Commissione con favore, soprattutto perché introduce restrizioni all'immissione sul mercato e all'uso delle sostanze di tipo PFOS, perché prevede deroghe nel caso degli usi finali residui specificati e perché segnala la necessità di proseguire l'attività di ricerca.

1.3

Il Comitato osserva che gli usi finali ai quali si dovrà applicare una deroga presentano notevoli differenze in termini di quantità utilizzate, probabilità e misura dell'esposizione umana o ambientale e tempo necessario per identificare, sviluppare e rendere accettabili idonei materiali o procedimenti più sicuri. È quindi convinto che la Commissione dovrebbe sottoporli a riesame caso per caso, basandosi sulla consulenza fornita dal comitato scientifico dei rischi sanitari e ambientali (SCHER). I fattori che incidono su questo riesame sono illustrati nelle osservazioni specifiche. La tempistica di qualsiasi valutazione di rischio o d'impatto dovrebbe essere coerente con la crescente domanda di valutazioni di rischio indotta dalla direttiva REACH per quanto riguarda le sostanze chimiche. È essenziale che la Commissione mantenga una quantità di risorse interne sufficiente a consentirle di soddisfare questi obblighi in modo tempestivo e informato.

1.4

Il Comitato rileva che il modo di procedere descritto, che rappresenta una reazione a un inatteso cambiamento di circostanze esterne, è altra cosa rispetto al normale processo di gestione dei rischi, nel quale le misure da adottare sono decise in seguito a una valutazione, da parte delle autorità nazionali competenti, dei rischi derivanti da determinate sostanze prioritarie previamente identificate. Nell'ambito del sistema REACH, tuttavia, è probabile che questo approccio sarà riprodotto più spesso, cosa che rientra proprio tra le sue finalità specifiche. Un esito proporzionato, accettabile ed efficace nel settore dei PFOS dovrebbe rappresentare un modello da seguire per la futura applicazione del sistema REACH.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La proposta della Commissione si basa su due rapporti di valutazione dei rischi: il primo è stato ultimato dall'OCSE nel novembre 2002 mentre il secondo, britannico, è stato pubblicato nel luglio 2005. Questi e altri studi, condotti principalmente negli Stati Uniti, hanno preso lo spunto dal fatto che, il 16 maggio 2000, l'azienda 3M ha annunciato la sua decisione di ritirare volontariamente le sostanze di tipo PFOS dalla loro principale destinazione di utilizzo: rendere resistenti ai grassi, oliorepellenti e idrorepellenti materiali quali i tessuti, i tappeti, la carta e, in generale, i rivestimenti.

2.2

La Commissione ha accolto il parere che lo SCHER ha formulato in merito il 18 marzo 2005: benché la metodologia disponibile per testare queste sostanze sia limitata, i dati finora ottenuti indicano che i PFOS presentano un carattere altamente persistente e un'elevata tendenza al bioaccumulo e che sono potenzialmente tossici e dimostrano l'opportunità di misure di riduzione del rischio volte a impedire che si ritorni a un loro uso generalizzato.

2.3

La Commissione e lo SCHER, inoltre, concordano sul fatto che vi siano specifici settori di impiego a basso volume in cui non è ancora disponibile un efficace prodotto o procedimento sostitutivo. Poiché sembra che continuare ad usare i PFOS in questi settori di impiego non comporti rischi supplementari per la salute umana e l'ambiente, sarebbe opportuno che fossero esclusi dalla restrizione generale dell'uso e dell'immissione sul mercato. Gli usi finali ai quali si dovrà applicare una deroga sono elencati e discussi nella proposta.

2.4

È necessario proseguire il progetto in corso nell'ambito del programma quadro di ricerca (Perforce), in modo da ottenere nuovi dati sulle esposizioni, sulle fonti, sui percorsi e sui parametri fisicochimici dei PFOS.

2.5

La proposta in esame è volta a garantire un livello di protezione elevato della salute e dell'ambiente e, allo stesso tempo, a preservare il mercato interno dei prodotti in oggetto. Secondo la Commissione la sua applicazione comporterà un costo minimo per i settori interessati. Nell'ambito della sua preparazione si sono svolte ampie consultazioni.

3.   Osservazioni generali

3.1

Dal loro sviluppo alla fine degli anni '40, le sostanze chimiche fluorurate sono state usate in quantità sempre maggiore per creare liquidi inerti a bassa tensione superficiale (quindi molto spalmabili) o superfici solide con particolari proprietà (in genere antiaderenti). I prodotti di tipo PFOS, che sono un loro sottogruppo, sono stati sviluppati da aziende come la 3M per conferire ai materiali resistenza ai grassi, oliorepellenza e idrorepellenza in un'ampia gamma di applicazioni industriali e beni di consumo. Nel 2000 ne venivano prodotte e immesse sul mercato circa 4 500 tonnellate all'anno su scala mondiale in prodotti come Scotchgard™, il trattamento per tessuti e tappeti della 3M. Dopo il ritiro delle sostanze di tipo PFOS questi prodotti sono stati riformulati con altre sostanze fluorurate che presentano proprietà tensioattive analoghe ma un impatto più ridotto sulla salute e sull'ambiente.

3.2

Come indica la loro denominazione, si tratta di prodotti nei quali, in catene carboniche a otto atomi («ottano»), tutti («per») gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti da atomi di fluoro («fluoro») e da un gruppo solfonico (SO3 -, «sulfonato»), in modo da formare un'entità stabile a carica negativa («anione») in grado di formare a sua volta un sale cristallino idrosolubile insieme a metalli come il litio, il sodio o il potassio o ad altri gruppi a carica positiva («cationi») come l'NH4 + («ione ammonio»). La denominazione «PFOS», quindi non è riferita a un'unica «sostanza», bensì a componenti («frazioni» o «porzioni») di ciò che è definito una «sostanza» dalla normativa europea sulle «sostanze» e sui «preparati». Le sostanze di tipo PFOS si producono mediante un apposito processo chimico denominato «fluorazione elettrochimica».

3.3

Il fatto di combinare proprietà «organiche» (base carbonica, solubili in olio) e «inorganiche» (sali metallici, idrosolubili) fa delle sostanze di tipo PFOS agenti tensioattivi estremamente efficaci in una serie di applicazioni specializzate. Si tratta infatti di componenti che resistono all'ossidazione (sono inerti e incombustibili) e a qualsiasi altra forma di degradazione ambientale (sono stabili e quindi persistenti). Essendo solubili sia in olio che in acqua, i PFOS tendono a bioaccumularsi. La loro eventuale tossicità dipende dalla specie interessata e dalle condizioni di esposizione. Come rileva lo SCHER, le loro insolite proprietà fisiche e chimiche fanno sorgere la possibilità che la metodologia dei test di laboratorio risulti inaffidabile nel determinare i loro effetti nell'ambiente complessivo.

3.4

Mediante un processo noto come «telomerizzazione» si possono produrre polimeri a catena corta completamente fluorati, con proprietà tensioattive analoghe a quelle delle sostanze PFOS ma con un impatto minore o trascurabile sulla salute umana e sull'ambiente. I prodotti che ne risultano («telomeri»), però, esulano dall'ambito della proposta.

3.5

Secondo una stima effettuata dall'OCSE nel 2004 e citata dallo SCHER, nel 2000 l'utilizzo totale di sostanze PFOS nell'UE sarebbe stato pari a circa 500 tonnellate, il 98 % delle quali sarebbe stato usato per trattare tessuti, carta o rivestimenti. Allora le emissioni annue erano stimate a circa 174 tonnellate. Nel 2004, dopo una netta riduzione dell'utilizzo su scala mondiale, le emissioni annue nell'UE erano stimate — nel peggiore dei casi — a 10 tonnellate, di cui 9 erano ipotizzate nelle acque reflue non trattate dopo operazioni di placcatura. Secondo gli ultimi dati tedeschi, anche queste acque possono essere in gran parte trattate.

3.6

Lo SCHER, inoltre, rileva che solo negli ultimi anni le tecniche di analisi sono diventate abbastanza sofisticate da consentire di individuare e determinare in modo affidabile le concentrazioni di PFOS nei campioni ambientali. È quindi difficile ricostruire come siano variate per effetto della riduzione di cui sopra. Ciononostante, lo SCHER ha potuto concludere che le emissioni legate a un mantenimento degli impieghi per i quali è proposta una deroga inciderebbero sulla concentrazione di PFOS soprattutto a livello locale, e solo in misura irrisoria sulla concentrazione complessiva nell'ambiente. Più esattamente, lo SCHER ha concluso che l'opzione di continuare a impiegare i PFOS nei settori dell'aeronautica, dei semiconduttori e della fotografia comporterebbe rischi complessivi trascurabili per l'ambiente e la popolazione. L'impiego nel settore della placcatura, invece, è considerato dallo SCHER motivo di preoccupazione e andrebbe soggetto a restrizioni.

3.7

I rischi professionali necessitano una valutazione distinta in ognuno dei settori considerati. Nei casi dell'aeronautica, dei semiconduttori e della fotografia, però, viste le peculiarità e l'alto livello di protezione già esistente, è difficile vedere in che modo l'uso di sostanze PFOS possa comportare rischi aggiuntivi sul luogo di lavoro. L'impiego nel settore della cromatura, invece, è anche qui fonte di preoccupazione. Per quanto riguarda le schiume antincendio, prima di adottare qualsiasi decisione andranno valutati i rischi per la salute e per l'ambiente legati all'impiego di prodotti sostitutivi. Andranno inoltre concordati idonei metodi di smaltimento per gli stock esistenti e per gli effluenti degli incendi di grandi proporzioni.

3.8

Il Comitato sottoscrive quanto sopra e confida nell'inclusione degli interventi necessari nei programmi di lavoro della Commissione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato appoggia le due restrizioni all'uso di PFOS definite nella proposta, ovvero: (1) non possono essere immessi sul mercato o utilizzati come sostanza o componente di preparati in concentrazione pari o superiore allo 0,1 % della massa; (2) non possono essere immessi sul mercato in prodotti o parti dei medesimi in concentrazione pari o superiore allo 0,1 % della massa.

4.2

Il Comitato appoggia anche la deroga prevista nel paragrafo 3 dell'allegato alla proposta, secondo cui i paragrafi 1 e 2 non si applicherebbero ai sei casi specifici enunciati dalla Commissione e discussi di seguito.

4.2.1

Fotolitografia: è il processo con cui, in genere, si disegnano microcircuiti sui chip dei computer. I nuovi sviluppi nel campo della fabbricazione di semiconduttori rendono necessari speciali fluidi di processo che consentono di effettuare quest'operazione in modo estremamente affidabile e con grande densità e uniformità. L'industria dei semiconduttori considera le sostanze di tipo PFOS cruciali per il buon esito del processo, in quanto presentano proprietà elettrochimiche e tensioattive senza pari. Questi fluidi di processo, che non rimangono sui prodotti finiti, devono rispondere a rigorose specifiche tecniche e sono testati per ogni tecnologia in ogni stabilimento di ogni produttore. Poiché sono usati in ambienti di produzione tipo clean room, da cui viene eliminata qualsiasi forma di contaminazione, un'esposizione degli operatori sul luogo di lavoro non è possibile. Stando al bilancio di massa del settore per il 2002, la quantità totale annua di emissioni era inferiore a 45 kg. I tempi di sviluppo dei prodotti possono raggiungere anche dieci anni. Malgrado un'intensa attività di ricerca e sviluppo sul piano mondiale, per questi utilizzi residui non è ancora stato identificato un prodotto sostitutivo. La via più promettente per il ritiro delle sostanze di tipo PFOS potrebbe essere un nuovo metodo di fabbricazione dei chip, ancora da inventare. In mancanza della deroga prevista l'attività di fabbricazione non potrebbe più svolgersi nel territorio dell'UE, anche se potrebbe proseguire senza difficoltà altrove. Tutto sommato, in assenza di nuovi motivi di preoccupazione, il Comitato raccomanda di non prevedere una data di scadenza per la deroga in esame.

4.2.2

Rivestimenti fotografici: le sostanze di tipo PFOS sono prima acquistate sotto forma di soluzioni concentrate e poi notevolmente diluite, fino a presentare una serie di proprietà che sono essenziali sia per la salute e sicurezza sul luogo di lavoro che per il controllo globale delle prestazioni del prodotto in applicazioni specializzate per la riproduzione di immagini fotografiche. Tra le proprietà ricercate vi sono il controllo della carica elettrostatica, il controllo della frizione e dell'adesione, la repellenza allo sporco e altre proprietà tensioattive necessarie per la riproduzione di immagini ad alta prestazione. Le tecniche produttive in uso richiedono l'applicazione di ben 18 strati di immagini su una base di pellicola in rapido movimento, così da formare uno strato uniforme il cui spessore solitamente non supera 0,11 mm. I fluidi utilizzati non devono essere fotoattivi, ma devono permettere una spalmatura uniforme e una buona aderenza degli strati successivi. Le proprietà antistatiche sono essenziali per minimizzare i rischi di incendio o di esplosione e i conseguenti danni a carico dei lavoratori e degli impianti operativi. Negli ultimi anni l'utilizzo di sostanze di tipo PFOS si è ridotto di almeno il 60 % per effetto della loro sostituzione in impieghi meno critici e della generale contrazione dell'uso di pellicole, a beneficio dei supporti digitali, in un gran numero di beni di consumo e di applicazioni sanitarie e industriali. Le emissioni nell'ambiente legate agli utilizzi residui sono pari a meno di 8 kg all'anno. È probabile che la continua avanzata del digitale avrà per effetto ulteriori riduzioni delle quantità richieste per produrre pellicole, anche se si prevede una tenuta della domanda di carta fotografica, per esempio per stampare fotografie digitali. Malgrado un'intensa attività di ricerca, per questi pochi utilizzi residui non sono ancora stati identificati prodotti sostitutivi. Per completare il processo serviranno quindi nuovi procedimenti, ancora da inventare, che avranno bisogno di almeno dieci anni per le fasi di sviluppo, implementazione, sperimentazione e accreditamento. In mancanza della deroga prevista l'attività di fabbricazione non potrebbe più svolgersi nel territorio dell'UE, anche se potrebbe proseguire senza difficoltà altrove. Tutto sommato, in assenza di nuovi motivi di preoccupazione, il Comitato raccomanda di non prevedere una data di scadenza per la deroga in esame.

4.2.3

Agenti antivapori nella cromatura: le sostanze di tipo PFOS, in soluzione diluita, proteggono la salute e la sicurezza dei lavoratori impegnati nella cromatura di pezzi metallici o plastici, a fini decorativi e protettivi, nell'industria automobilistica o in altri settori trainati dalla domanda dei consumatori. Sono inoltre impiegate come riduttori della tensione superficiale e agenti bagnanti, soprattutto nell'incisione di materiali plastici. È noto che l'ambiente di lavoro degli addetti alla cromatura è sgradevole e potenzialmente pericoloso, specialmente in caso di procedimenti a base di Cr(VI), notoriamente cancerogeno. La soppressione dei vapori e la riduzione dell'esposizione umana sono quindi essenziali. La situazione può essere migliorata passando a procedimenti a base di Cr(III), che però non sono ancora pienamente disponibili. Finora solo i tensioattivi a base di PFOS si sono dimostrati stabili in entrambi i casi indifferentemente. Secondo i dati dello SCHER, nel 2000 l'utilizzo annuo in Europa si aggirava attorno alle 10 tonnellate. Le stime sul rilascio totale annuo nell'ambiente variano sensibilmente a seconda del procedimento usato e del grado di controllo applicato alle emissioni, al riciclo e all'incenerimento dei rifiuti. Secondo una stima dell'industria tedesca, basata sulle buone pratiche locali, estrapolando il dato per l'intera Europa si giungerebbe a una quantità totale di emissioni non superiore ai 500 kg all'anno. Nel caso in cui la tecnologia usata e i controlli applicati fossero meno validi, però, la quantità di emissioni prodotte potrebbe salire. Dato che la cromatura è il principale impiego residuo ancora consentito, che la tecnologia è in continua evoluzione e che, in una certa misura, sono già disponibili alternative, sembra opportuno che la deroga prevista sia provvista di scadenza e anche, come propone lo SCHER, che si effettuino al più presto analisi sull'esposizione professionale e valutazioni di lungo periodo del rischio per l'ambiente. Queste ultime andrebbero intraprese in collaborazione con il settore, in modo da assicurare che la produzione possa continuare sul territorio dell'UE. Nessuno ha interesse ad allontanare una delle fasi cruciali della produzione automobilistica se ciò comporta il palese rischio che anche le altre fasi di produzione prima o poi la seguiranno. Al tempo stesso, si dovrebbe evitare che un eventuale ritiro prematuro degli agenti antivapori di tipo PFOS accresca i rischi per la salute dei lavoratori. Il Comitato raccomanda pertanto di limitare la validità della deroga in esame a cinque anni e di sottoporla poi al riesame della Commissione e dello SCHER.

4.2.4

Fluidi idraulici per l'aviazione: sono i fluidi impiegati per azionare le superfici di comando e altri componenti degli aeromobili commerciali, militari e in genere. Sono usati, e devono continuare a funzionare giorno per giorno, secondo le massime norme operative possibili, per tutelare la sicurezza dell'aeromobile e dei passeggeri in condizioni di temperatura e pressione tra le più estreme. Si tratta di un settore globalizzato, nel quale i prodotti, i componenti e i sistemi sono sottoposti ad ampie verifiche e certificazioni da parte dei fabbricanti di aeromobili e degli organi competenti sul piano nazionale e internazionale. È normale che il ciclo di approvazione di una nuova formula possa richiedere anche venti anni. Le sostanze di tipo PFOS sono impiegate in piccole quantità (concentrazioni di circa 0,1 % della massa) per conferire resistenza all'erosione alle parti meccaniche, alle valvole, ai tubi e agli orifizi. Malgrado un'intensa attività di sperimentazione non sono stati individuati prodotti sostitutivi e, a tutt'oggi, non vi è neanche una possibile soluzione all'orizzonte. Le sostanze sono impiegate in sistemi chiusi in condizioni scrupolosamente controllate. Secondo una stima dello SCHER, il rilascio totale nel terreno e nelle acque non supera i 15 kg all'anno. Tutto sommato, in assenza di nuovi motivi di preoccupazione, il Comitato raccomanda di non prevedere una data di scadenza per la deroga in esame.

4.2.5

Schiume antincendio: i tensioattivi fluorati sono impiegati da anni nelle schiume antincendio che rispondono ad alte specifiche tecniche. Nelle schiume di nuova produzione, destinate a sostituire stock esauriti nell'estinzione non simulata di incendi o a rifornire nuovi complessi, aeroporti, raffinerie di greggio e impianti chimici, imbarcazioni marittime e aree di stoccaggio, le sostanze di tipo PFOS sono state in larga misura sostituite. L'impatto sulla salute e sull'ambiente di questi prodotti alternativi, però, non è stato ancora pienamente valutato. Tutti i prodotti di questo tipo devono essere venduti con la garanzia di poter essere usati per 15-20 anni, appunto perché la situazione ideale è che non debbano esserlo. Tuttora, quindi, esistono stock significativi di schiume contenenti PFOS e ora si pone il problema cruciale di come smaltirli. I tensioattivi sono destinati a permettere alle schiume a base di acqua di diffondersi rapidamente sulla superficie degli idrocarburi in fiamme invece di cadere sotto di loro, in modo tale da interrompere il rifornimento di ossigeno e prevenire la reignizione. Sia i tensioattivi che le schiume devono essere stabili in condizioni di utilizzo intense e resistenti all'ossidazione. Le norme di prestazione per le schiume in diversi scenari di incendio sono stabilite da organismi nazionali e internazionali. Degli stock con concentrazione pari al 3 % o al 6 % sono conservati in un deposito centrale per essere distribuiti e diluiti in loco in caso di incendio. Poiché il volume di prodotto richiesto può essere ingente, anche lo smaltimento degli effluenti dell'incendio può risultare molto problematico. Gli effluenti sono inevitabilmente contaminati dai prodotti bruciati, dai sottoprodotti della combustione incontrollata di carbonio a bassa temperatura (idrocarburi poliaromatici PAH e diossine) e dai componenti delle schiume. Per esempio, l'incendio scoppiato ultimamente in un deposito di stoccaggio di Buncefield, nel Regno Unito, ha lasciato un residuo di 20 milioni di litri di rifiuti contaminati. L'unica modalità di smaltimento che offra garanzie è l'incenerimento ad alta temperatura, ma risulta inefficiente e costosa nel caso in cui il materiale abbia un forte contenuto acquoso. Le emissioni annue nell'ambiente sono quindi difficili da determinare, essendo legate al numero di incendi, alle dimensioni e alle circostanze di ognuno di loro e, in misura cruciale, all'efficacia del contenimento degli effluenti mediante le apposite barriere. Lo SCHER indica per l'UE un rilascio annuo inferiore a 600 kg, osservando che potrebbe trattarsi di un valore approssimato per eccesso. Il Comitato concorda con lo SCHER sull'opportunità di non incenerire gli stock esistenti di concentrati di schiuma a base di PFOS finché le possibili alternative non siano state pienamente valutate. Il Comitato raccomanda pertanto di avviare quanto prima le necessarie valutazioni di impatto e di rischio e di utilizzare gli stock rimanenti di schiume a base di PFOS solo se indispensabile per motivi di prestazione e nei casi in cui gli effluenti potranno essere contenuti da apposite barriere. La Commissione dovrebbe collaborare con il settore e con i competenti organi degli Stati membri per garantire che vi siano idonee vie di smaltimento per l'ingente volume di rifiuti prodotto. Date le numerose incertezze descritte, il Comitato ritiene che non abbia senso fissare una data di scadenza per la deroga in esame e che, invece, sia quanto mai opportuno risolvere prima possibile le questioni in sospeso.

4.2.6

Altri sistemi chiusi controllati: si tratta, o dovrebbe trattarsi, di una deroga standard per la maggior parte delle sostanze il cui uso e immissione sul mercato sono soggetti a restrizioni sul piano europeo. Purché sia possibile immettere le materie prime e rimuovere i prodotti lavorati e di scarto in condizioni di sicurezza, i sistemi a produzione di emissioni molto bassa consentono di continuare a produrre gli intermedi necessari con rischi minimi per la salute umana e per l'ambiente. Un esame delle condizioni di funzionamento sul luogo di lavoro dovrebbe far parte delle ispezioni di routine degli enti preposti alla salute e alla sicurezza. In assenza di nuovi motivi di preoccupazione, il Comitato raccomanda di non prevedere una data di scadenza per la deroga in esame.

4.3

La Commissione continuerà a svolgere un ruolo di primo piano nell'assicurare un esito soddisfacente in ognuno dei settori descritti. Per sviluppare prodotti e procedimenti alternativi occorrerà un programma di ricerca continuo, all'interno e all'esterno dei settori interessati. Se necessario, le direttive che li riguardano dovrebbero essere modificate per tener conto dei cambiamenti intervenuti o proposti nelle pratiche internazionali.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio e la direttiva 98/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di riesame delle direttive sui dispositivi medici

COM(2005) 681 def. — 2005/0263 (COD)

(2006/C 195/04)

Il Consiglio, in data 2 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Sintesi del parere

1.1

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, lungamente attesa dagli Stati membri e dagli operatori del settore. Gli obiettivi perseguiti sono condivisibili e le proposte per lo più adeguate: una serie di suggerimenti concreti sono comunque formulati dal CESE per favorire il perseguimento degli obiettivi della certezza del diritto, della chiarezza, della semplificazione e della tutela della salute.

1.2

Il CESE auspica una maggiore chiarezza su quale autorità sia competente e responsabile per la valutazione globale in caso di combinazione di dispositivi medici con medicinali, derivati del sangue e tessuti umani. Auspica nel contempo che sia fissata la scadenza entro cui la valutazione deve essere effettuata dalle autorità competenti, e sia predisposta una guida sulle competenze specifiche e sulle modalità di tale valutazione.

1.3

Il CESE considera opportuno l'invio obbligatorio di una serie di informazioni rilevanti relative alla registrazione, ai dati clinici, ai certificati e alla vigilanza, e suggerisce al riguardo di rafforzare la banca dati europei già operante. Chiede inoltre che vengano studiate forme idonee per un'ampia circolazione delle informazioni non confidenziali non solo tra gli organismi notificati e le autorità competenti ma anche tra gli operatori coinvolti.

1.4

Il sistema di sorveglianza post-commercializzazione dovrebbe essere implementato esplicitando meglio il ruolo e le responsabilità degli operatori sanitari, e garantendo una opportuna diffusione delle informazioni e dei risultati di tali attività di sorveglianza.

1.5

Il CESE apprezza le proposte relative alle indagini cliniche, che per i dispositivi medici riguardano la sicurezza e la performance del dispositivo. Suggerisce alcune modifiche per renderle ancora più chiare in particolare per quanto riguarda il momento in cui ha inizio la ricerca clinica, una volta avuta l'autorizzazione del comitato etico competente, in funzione della classificazione dei dispositivi.

1.6

Il CESE non condivide la rinuncia ad affrontare il tema del «ricondizionamento»: tale prassi di riutilizzo di dispositivi medici concepiti e prodotti per un uso una tantum rappresenta infatti un pericolo per la salute del paziente. Chiede pertanto sia almeno fissato il principio che l'ente che opera un intervento finalizzato al riutilizzo di un dispositivo medico presenti un set di dati sul tipo di intervento effettuato, e dia garanzie di qualità e sicurezza analoghe a quelle del prodotto originario, informandone gli utilizzatori e i pazienti.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

L'esperienza di applicazione delle direttive 90/385/CEE (1) concernente i dispositivi medici impiantabili attivi e 93/42/CEE (2) sui dispositivi medici è stata nel complesso positiva, anche se occorre una modifica normativa a sostegno di una migliore attuazione, sia per chiarire alcune prescrizioni vigenti sia per fornire una base giuridica a iniziative in programma.

2.2

La direttiva 93/42/CEE prevede che la Commissione, entro cinque anni dalla data di applicazione, sottoponga al Consiglio una relazione sul funzionamento di talune disposizioni della direttiva stessa. Nel giugno del 2002, nel quadro del processo di riesame, è stata pubblicata una relazione sul funzionamento delle direttive sui dispositivi medici, le cui conclusioni sono state riprese nella comunicazione della Commissione COM(2003) 386 (3), accolta favorevolmente dal Consiglio nelle conclusioni del dicembre 2003 e dal Parlamento.

2.3

Tale comunicazione individua i principali ambiti in cui dovrebbero essere introdotti miglioramenti:

la valutazione della conformità, in particolare in materia di esame della progettazione da parte degli organismi notificati (4),

l'adeguatezza dei dati clinici per tutte le classi di dispositivi,

la sorveglianza post-commercializzazione, specie per un migliore coordinamento delle attività,

gli organismi notificati, sotto il profilo della loro capacità di svolgere i compiti loro assegnati, delle divergenze interpretative che li separano e della mancanza di trasparenza nello svolgimento delle attività e nel controllo delle medesime,

una maggiore trasparenza nei confronti del pubblico per quanto attiene alla valutazione dei dispositivi.

La Commissione ha proceduto ad una consultazione, avviata nel 2003, principalmente attraverso il gruppo di esperti sui dispositivi medici (MDEG) dei servizi della Commissione, cui ha fatto seguito una consultazione pubblica su Internet (5).

2.4

Visto che la proposta è incentrata su un chiarimento normativo piuttosto che su una modifica normativa, non sono previsti effetti economici rilevanti, né sono stati individuati effetti ambientali. Attraverso la proposta la Commissione mira a conseguire:

una maggior chiarezza, ai fini di garantire un elevato livello di protezione della salute pubblica,

una maggiore trasparenza e una maggiore certezza per tutti i soggetti del mercato, e in particolare per il pubblico,

un quadro normativo migliorato per favorire un rapido progresso tecnico di cui i cittadini beneficeranno in condizioni più chiare garantendo sicurezza e maggiore fiducia.

2.5

La base giuridica della proposta è l'articolo 95 del Trattato CE (ex articolo 100 A) su cui si basa la direttiva 93/42/CEE. Per raggiungere l'obiettivo dell'eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi e di un chiarimento delle disposizioni vigenti delle direttive 93/42/CEE e 90/385/CEE, è necessario e opportuno armonizzare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri su alcuni aspetti riguardanti l'immissione in commercio o la messa in servizio dei dispositivi medici.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, lungamente attesa dagli Stati membri e dagli operatori del settore. Gli obiettivi perseguiti sono del tutto condivisibili, e le concrete proposte sembrano adeguate per meglio armonizzare attraverso regole più chiare e semplificate un settore tanto complesso e diversificato, fatte salve le osservazioni espresse di seguito.

3.2

I dispositivi medici sono un segmento di crescente rilevanza nell'area della sanità, di grande impatto sia per la salute che per la spesa sanitaria pubblica. Le disposizioni delle direttive citate riguardano oltre 10.000 tipi di prodotti, che spaziano da semplici dispositivi (come per esempio garze, siringhe, occhiali) a strumenti estremamente sofisticati e complessi (come per esempio i dispositivi impiantabili che salvaguardano la vita e apparecchiature per la diagnostica per immagini).

3.3

Il settore rappresenta un'attività ad alto profilo tecnologico, in quanto i cittadini e le autorità sanitarie chiedono prodotti sempre più sofisticati e sicuri. Ha inoltre grande rilevanza anche economica: il mercato europeo è secondo solo a quello americano, la sua dimensione è attorno ai 55 miliardi di euro, interessa più di 8.000 imprese ed occupa circa 450.000 addetti.

3.4

Occorre rilevare che un consistente e crescente numero di dispositivi è importato nell'UE, per cui un più chiaro ed efficace contesto giuridico e una più aperta collaborazione tra le autorità competenti può ridare slancio al settore e minimizzare il rischio di perdita di quote di mercato e di occupazione.

3.5

La valutazione della Commissione che gli effetti economici non saranno rilevanti a livello macroeconomico può essere condivisa, ma il combinato disposto delle richieste addizionali fatte potrebbe comportare un aggravio di costi anche rilevante per alcune realtà operative o per linee di prodotto.

3.6   Certezza giuridica

3.6.1

La proposta definisce le modifiche da apportare alle direttive sopra citate, e chiarisce alcune modalità di applicazione rispetto ad altre direttive o regolamenti in casi in cui non è del tutto chiaro quale norma sia applicabile (dispositivi comprendenti un medicinale (6), derivati del sangue umano (7), o prodotti ottenuti attraverso l'ingegneria dei tessuti umani (8)), e chiarisce che i dispositivi medico-diagnostici in vitro (9) non rientrano nella direttiva sui biocidi (10), che viene di conseguenza modificata.

3.6.2

Il CESE concorda con il principio che, se i dispositivi medici contengono «con azione accessoria» medicinali o derivati del sangue o prodotti di ingegnerizzazione di tessuti umani, vadano applicate le direttive sui dispositivi medici. Si domanda peraltro perché non si parli in maniera esplicita nell'articolato dei prodotti ottenuti da tessuti di origine animale, citati in alcuni allegati. Teme però che la definizione di «azione accessoria» possa dare origine nuovamente ad interpretazioni divergenti tra Stati membri e tra organismi notificati, per cui auspica che tale concetto sia definito con maggiore precisione.

3.6.3

Sarebbe utile una maggiore chiarezza su quale autorità sia competente e responsabile per la valutazione globale in caso di combinazione di dispositivi con medicinali, derivati del sangue e tessuti umani: gli organismi notificati possono coinvolgere in tali casi le autorità nazionali o comunitarie (come l'EMEA), le quali non sempre hanno competenze adeguate per la valutazione dei dispositivi medici in quanto tali, e operano applicando procedure concepite per una diversa tipologia di prodotti, con tempi sovente eccessivamente lunghi.

3.6.3.1

Il CESE auspica che siano definiti i tempi entro cui tale valutazione deve essere effettuata, dato che nel settore l'innovazione e l'obsolescenza dei prodotti sono molto rapidi. Auspica altresì che sia predisposta una guida sulle competenze specifiche e sulle modalità di valutazione da parte delle autorità competenti, in collaborazione con le autorità responsabili dei dispositivi. In base all'esperienza maturata negli anni dai fabbricanti auspica infine che gli organismi notificati possano ricorrere al parere scientifico di qualsiasi autorità competente riconosciuta, non solamente all'EMEA.

3.6.4

Una larga parte dei prodotti ottenuti attraverso l'ingegneria dei tessuti umani per loro natura, per il meccanismo di azione, per le tecniche di manifattura sono assimilabili ai dispositivi medici più che ai farmaci. Onde evitare possibili vuoti legislativi, il CESE ritiene opportuno che tali prodotti ricadano nell'ambito della presente proposta ad esclusione di quelli che agiscono sul o nel corpo umano con un meccanismo d'azione primariamente farmacologico, metabolico o immunologico.

3.6.5

Il CESE non ritiene condivisibile l'applicazione contemporanea di due direttive — nello specifico quella sui dispositivi medici e quella sui dispositivi di protezione individuale — in quanto prevedono differenti requisiti, pur perseguendo il comune obiettivo della protezione dell'utilizzatore. Ciò può costituire una complicazione sul piano operativo con un aggravio di oneri non giustificato da vantaggi sul piano della sicurezza.

3.6.6

Il CESE sostiene la nuova procedura di comitatologia aggiunta all'articolo 13, in modo da favorire decisioni vincolanti e rapide su questioni di erronea o mancata classificazione. Rileva però che per conseguire un risultato ottimale bisogna migliorare il flusso di informazioni tra le autorità competenti e garantire un'efficace gestione dei dati attraverso la banca dati europea.

3.7   Informazione e trasparenza

3.7.1

Il CESE considera necessarie disposizioni più chiare e di più ampia portata quanto alla raccolta e messa a disposizione delle informazioni, nonché sul coordinamento e sulla comunicazione per quanto concerne le attività di sorveglianza.

3.7.2

Ritiene la proposta lacunosa per quanto riguarda la capacità degli organismi notificati a svolgere i compiti loro assegnati, carenza già segnalata nella comunicazione del 2003 (11). Le nuove frontiere terapeutiche e la crescente complessità e sofisticazione dei dispositivi implicano infatti competenze scientifiche e tecniche che non sempre possono essere garantite a livello nazionale. Sarebbe auspicabile un piano europeo, o almeno un coordinamento per garantire una specializzazione delle competenze di alcuni organismi notificati per certe tipologie di prodotti particolarmente complessi e sofisticati.

3.7.3

Il CESE condivide la necessità che ogni fabbricante extra comunitario stabilisca un mandatario in uno Stato membro dell'UE per agire per suo conto e rispondere alle autorità per quanto riguarda gli obblighi derivanti dalla presente direttiva. Riscontra però delle lacune o incongruenze nel testo, che deve essere chiarito (cfr. successiva parte 3.3). Il CESE in linea di principio propende per un sistema che sia flessibile e permetta una concreta libertà di scelta imprenditoriale.

3.7.4

Il CESE ritiene che tutte le informazioni relative alla registrazione, ai dati clinici, ai certificati e alla vigilanza (compresi quindi gli eventi e gli effetti indesiderati gravi) vadano inviate obbligatoriamente, e non solo su base volontaria, alla banca data europea EUDAMED. Essa è già operante, ma in ambiti limitati: è auspicabile che i suoi compiti siano quanto prima ridefiniti, in particolare per quanto attiene la messa a disposizione delle informazioni non confidenziali per gli operatori interessati, e che sia dotata di strutture e risorse adeguate.

3.7.4.1

Sarebbe opportuno mettere a disposizione degli stakeholder direttamente interessati un set adeguato di informazioni non confidenziali, sia pure in forma sintetica, nonché le informazioni sulla sicurezza e la qualità dei prodotti e sulla sorveglianza post-commercializzazione: queste dovrebbero essere a disposizione anche delle associazioni degli operatori sanitari per garantire un uso più consapevole e sicuro dei dispositivi medici.

3.7.4.2

Il CESE auspica inoltre che, in collaborazione con gli stakeholder, sia predisposta una guida affinché gli operatori responsabili elaborino e rendano disponibile un sommario delle caratteristiche del prodotto. Tale documento e le informazioni raccolte e validate in materia di vigilanza dovrebbero essere messi a disposizione degli organismi notificati e delle autorità competenti. Si dovrebbero inoltre studiare forme idonee per una loro più ampia circolazione.

3.7.5

Si prevede che le istruzioni per l'uso possano essere fornite anche con uno strumento diverso dal foglio illustrativo, e ciò va incontro alle esigenze degli operatori, data anche l'ampia gamma di tipologie di dispositivi medici. Andrebbero maggiormente approfondite le possibilità di ricorso a strumenti elettronici (come per esempio CD-ROM ed Internet), attraverso una procedura più semplice e flessibile di quella attualmente prevista, tale da non richiedere la maggioranza qualificata degli Stati membri.

3.7.6

Il CESE auspica che siano espressamente menzionati nella direttiva i documenti guida interpretativi elaborati da gruppi di lavoro ad hoc e pubblicati dalla Commissione (documenti MedDev), prevedendo delle modalità semplificate per la loro approvazione, in modo da ridurre i problemi di interpretazione e favorire una maggiore armonizzazione nei comportamenti dei fabbricanti e degli organismi notificati.

3.8   Sicurezza

3.8.1

Il sistema di sorveglianza post-commercializzazione viene ben definito nella proposta per quanto riguarda il fabbricante, ma non si esplicitano ruolo e responsabilità degli operatori sanitari e non appare ancora adeguato il processo di diffusione delle informazioni e dei risultati di tali meccanismi di sorveglianza. Il sistema risente ancora troppo della dimensione nazionale, mentre sarebbe auspicabile un respiro europeo.

3.8.2

Il CESE apprezza le modifiche all'allegato X relative ai dati clinici, che per i dispositivi medici riguardano la sicurezza e la performance del dispositivo. Suggerisce di rendere ancora più chiaro l'articolo per quanto riguarda il momento in cui ha inizio la ricerca clinica, una volta avuta l'autorizzazione del comitato etico competente, in funzione della classificazione dei dispositivi.

3.8.3

Il CESE non condivide l'esclusione del «ricondizionamento» dal testo proposto: tale prassi di riutilizzo di dispositivi medici concepiti e prodotti per un uso una tantum, già bandita in alcuni Stati membri, non offre garanzie sufficienti di sicurezza per il paziente, in quanto non si sono effettuate tutte le prove di affidabilità e di sicurezza d'uso che hanno permesso l'autorizzazione del prodotto monouso.

3.8.3.1

Il CESE ritiene tale prassi, attuata frequentemente in ambito ospedaliero in vari Stati membri, da bandire in quanto pericolosa per la salute del paziente e in quanto rende difficile la definizione delle responsabilità. La sterilizzazione infatti non garantisce l'assoluta innocuità, anche perché può derivarne una modifica delle caratteristiche strutturali dei materiali impiegati.

3.8.3.2

Il CESE è consapevole che tali comportamenti ricadono nelle competenze nazionali, ma ritiene necessario un intervento a livello comunitario se non altro perché la libera circolazione dei cittadini e il recente riconoscimento della possibilità di ricevere assistenza in un altro Stato membro impongono comportamenti universalmente accettati. In via transitoria si potrebbe almeno fissare il principio che l'ente che opera il ricondizionamento presenti un set di dati coerenti con la classificazione del dispositivo medico e il tipo di intervento effettuato, al fine di fornire garanzie di qualità e sicurezza analoghe a quelle del prodotto originario, e che ne siano chiaramente informati gli utilizzatori e i pazienti.

3.8.4

Il CESE condivide appieno i chiarimenti proposti nella valutazione di conformità e l'obbligo di presentare i documenti di progettazione del dispositivo medico, adeguato alla classificazione del dispositivo stesso e alla novità tecnologica o terapeutica che esso rappresenta. Condivide altresì la necessità per il fabbricante di controllare in modo adeguato i soggetti terzi cui ricorre per la progettazione e la fabbricazione.

4.   Osservazioni in merito a specifici articoli

4.1   Chiarezza nel campo di applicazione

4.1.1

Il CESE non ritiene coerente con il principio della semplificazione e con la certezza del diritto che si applichino contemporaneamente due direttive ad uno stesso prodotto, come ora proposto per i dispositivi medici e i dispositivi protettivi personali. Auspica quindi che sia ripristinato il testo originale dell'articolo 1.6 della direttiva 93/42/CEE.

4.1.2

In linea generale il CESE auspica che, nel caso di un dispositivo medico che possa ricadere nella definizione di altre direttive (farmaci, cosmetici, ecc.), sia specificato, ovunque opportuno, che gli organismi e le autorità competenti nel valutare la direttiva applicabile devono prendere in considerazione l'attività primaria per cui tale prodotto è stato concepito e il meccanismo di azione principale.

4.1.3

Il CESE, onde evitare ogni incertezza normativa, ritiene necessario modificare l'attuale versione della sezione 7.4 dell'allegato I. In particolare deve essere chiarito che, qualora un dispositivo medico contenga una sostanza che, considerata separatamente, può essere definita come un medicinale, ad essa si applicano le specifiche parti della legislazione farmaceutica che fanno riferimento alla sicurezza e alla qualità della sostanza stessa, e non la legislazione farmaceutica nella sua globalità.

4.1.4

Per i dispositivi medici che incorporano un prodotto ottenuto attraverso l'ingegneria dei tessuti umani, il CESE teme che quanto specificato nel nuovo paragrafo 4ter non risolva ogni difficoltà interpretativa, ed auspica di conseguenza che la definizione di tali prodotti sia esplicitata all'articolo 1 in coerenza con le direttive vigenti e in particolare con il regolamento attualmente in discussione sui farmaci per le terapie innovanti (12).

4.2   Informazione e banca dati europea

4.2.1

Il CESE auspica che i dati rilevanti, compresi i dati clinici e la segnalazione di effetti avversi gravi e inattesi, siano obbligatoriamente inviati dalle varie autorità ed organismi competenti, nonché dai fabbricanti o dai mandatari, alla banca dati europea Eudamed. Per rendere efficace tale raccolta di dati è necessario però che siano ridefiniti i compiti di tale organismo e un programma di implementazione che ne garantisca l'efficace funzionamento grazie a struttura e risorse idonee.

4.2.2

Per garantire la completezza dei dati raccolti e una maggiore diffusione delle informazioni pertinenti e non confidenziali il CESE ritiene necessario modificare una serie di punti della proposta, tra cui in particolare:

il considerandum (7) affinché sia fatto obbligo di centralizzare i dati sulle indagini cliniche,

quanto alla direttiva 90/385/CEE, gli articoli 10 bis per rendere obbligatorio l'invio delle informazioni sui fabbricanti e sui mandatari e 10 ter sui dati regolamentari, nonché l'articolo 11, paragrafo5 per quanto riguarda i certificati rilasciati,

quanto alla direttiva 93/42/CEE, l'articolo 16, paragrafo 5 per quanto riguarda i certificati rilasciati.

4.2.3

Il CESE auspica altresì che sia modificato il testo attuale dell'articolo 20, paragrafo 3 per affermare il principio che le informazioni non confidenziali devono essere messe a disposizione degli utilizzatori, in forma sintetica, coinvolgendo i fabbricanti e i mandatari oltre che gli organismi e le autorità coinvolte.

4.3   Mandatario

4.3.1

Il CESE riscontra un'individuazione non univoca della figura del mandatario di un fabbricante senza sede nella Comunità: mentre nel considerandum 14 si parla di un unico rappresentante per tutte le classi di dispositivi, negli articoli 10bis, paragrafo 3 e 14, paragrafo 2 ci si riferisce ai dispositivi senza specificare se «tutti» o solo alcune categorie.

4.3.2

Il CESE, in considerazione della gamma eterogenea di dispositivi medici che un fabbricante potrebbe immettere in commercio, auspica una maggiore flessibilità, in modo che per ogni tipo di prodotto e non necessariamente per l'intera gamma della produzione sia designato un unico mandatario (chiarendo nelle varie versioni linguistiche che giuridicamente si fa riferimento a persone fisiche e a persone giuridiche).

4.4   Indagini cliniche

4.4.1

Le disposizioni relative all'informazione delle autorità competenti per facilitare il monitoraggio e la gestione dei dati delle indagini cliniche è opportuno siano integrate al punto 2) dell'articolo 2, con la specificazione che il fabbricante o il suo mandatario devono informare le autorità di tutti gli Stati membri in cui tali indagini sono svolte della sospensione, dell'interruzione o della fine delle indagini, con le opportune spiegazioni e motivazioni.

4.4.2

Il CESE considera positivamente la nuova versione dei paragrafi 2 e 3 dell'articolo 15. Si domanda se non sarebbe opportuno però modificare il paragrafo 3 specificando che per i dispositivi di classe I le indagini cliniche possono iniziare appena ricevuto il parere favorevole sul piano di valutazione clinica del comitato etico competente.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU L 189 del 20.7.1990.

(2)  GU L 169 del 12.7.1993, modificata da ultimo dal regolamento (CE) n. 1882/2003 in GU L 284 del 31.10.2003.

(3)  COM(2003) 386 in GU C 96 del 21.4.2004.

(4)  Gli «organismi notificati» sono gli enti ai quali i fabbricanti devono presentare la documentazione per ottenere, nei casi previsti, l'attestato di conformità come richiesto dalle direttive o il certificato per l'immissione in commercio. Tali organismi possono essere più d'uno per Stato membro, e sono diversamente specializzati.

(5)  Tale consultazione si è svolta dall'11.5.2005 al 25.6.2005.

(6)  Regolato dalla direttiva 2001/83/CE in GU L 311 del 28.11.2001, modificata da ultimo dalla direttiva 2004/27/CE, in GU L 136 del 30.4.2004.

(7)  Regolato dalla direttiva 2002/98/CE del 23.1.2003.

(8)  Si fa riferimento al regolamento n. 726/2004 e alla proposta attualmente in discussione sui farmaci per terapie avanzate su cui il CESE ha iniziato l'elaborazione del suo parere.

(9)  Direttiva 98/79/CE.

(10)  Direttiva 98/8/CE in GU L 123 del 24.4.1998, modificata da ultimo dal regolamento (CE) n. 1882/2003.

(11)  Si fa riferimento alla comunicazione COM(2003) 386 del 2.7.2003, cit.

(12)  COM(2005) 567, proposta di regolamento sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle franchigie fiscali applicabili all'importazione di merci oggetto di piccole spedizioni a carattere non commerciale provenienti dai paesi terzi

COM(2006) 12 def. — 2006/0007 (CNS)

(2006/C 195/05)

Il Consiglio, in data 14 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANUSĒVIČS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.

Lo scopo della presente proposta è quello di avviare la codificazione della direttiva 78/1035/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alle franchigie fiscali applicabili all'importazione di merci oggetto di piccole spedizioni a carattere non commerciale provenienti dai paesi terzi. La nuova direttiva sostituisce le varie direttive che essa incorpora, preservando in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione e limitandosi a riunirli, apportando unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell'opera di codificazione.

2.

Il Comitato non può non approvare la codificazione generale delle disposizioni comunitarie avviata dalla Commissione in base alla decisione adottata il 1o aprile 1987 e confermata nelle conclusioni del vertice di Edimburgo. Esso esprime quindi un parere favorevole alla proposta di direttiva, come ha già fatto del resto in altre occasioni riguardo a iniziative analoghe.

3.

Il Comitato osserva che, a norma dell'accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994, concluso tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, all'atto della codificazione non può essere apportata nessuna modifica sostanziale; nella proposta di direttiva in esame la Commissione garantisce il rispetto di questa condizione.

4.

Il ruolo consultivo del Comitato economico e sociale europeo e il suo atteggiamento responsabile comporta che esso verifichi le modifiche apportate prima di approvare la proposta. Il relatore ha proceduto a effettuare tale verifica senza trovare alcun elemento che desse adito a critiche o osservazioni particolari.

5.

Il Comitato non può che esprimere quindi un parere favorevole sulla proposta di codificazione che s'inserisce nel processo di semplificazione e chiarificazione del diritto europeo.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta rivista di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia

COM(2005) 319 def. — 2000/0212 (COD)

(2006/C 195/06)

Il Consiglio, in data 30 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 71 e 89 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT e dal correlatore OTT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 63 voti favorevoli, 1 voti contrario e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo ritiene che la proposta di regolamento relativo ai servizi pubblici di trasporto passeggeri su strada e per ferrovia presentata dalla Commissione rappresenti un miglioramento rispetto alle versioni precedenti per quanto riguarda la possibilità di aggiudicare direttamente, senza procedura concorsuale, i contratti di servizio pubblico.

1.2

Tuttavia, allo scopo di conseguire gli obiettivi di certezza normativa auspicati sia dalle autorità organizzatrici che dagli operatori, è opportuno che una serie di punti vengano ulteriormente chiariti:

attuazione concreta della limitazione geografica dell'attività di trasporto pubblico e delle clausole specifiche di non distorsione della concorrenza in caso di aggiudicazione diretta dei servizi ad un operatore locale interno,

deroga alle norme generali in caso di aggiudicazione diretta di contratti di trasporto per ferrovia, la quale sembra difficilmente giustificabile dal punto di vista giuridico e dovrebbe per lo meno essere precisata,

ritorno allo spirito della proposta di regolamento del febbraio 2002 (1) per quanto riguarda la qualità del servizio ed il rispetto delle legislazioni sociali, senza voler rimettere in causa il principio di sussidiarietà,

precisazioni riguardo al regime di reciprocità nel corso del periodo di transizione,

possibilità di prolungare la durata dei contratti, in via eccezionale, oltre i limiti previsti ogniqualvolta il volume degli investimenti e la durata dell'ammortamento lo richiedano,

definizione più chiara del «trasporto regionale o a lunga distanza»,

applicazione del regolamento a tutti i contratti che riguardano servizi pubblici di trasporto e obblighi di servizio pubblico (OSP) o che conferiscono diritti esclusivi,

conferma della prevalenza del regolamento in esame sulla disciplina degli appalti pubblici quando l'operatore deve sopportare dei rischi.

1.3

In tale contesto il Comitato sostiene espressamente l'obbligo di contrattualizzazione nonché l'equilibrio tra le possibilità concorsuali e quelle di aggiudicare direttamente i contratti, per promuovere la trasparenza necessaria ed il miglioramento della qualità dei servizi nell'ambito di un sistema concorrenziale.

1.4

Il Comitato auspica che le disposizioni del regolamento si applichino all'insieme dei contratti dei servizi pubblici di trasporto.

1.5

Nel contesto dell'equilibrio tra le possibilità concorsuali e quelle di aggiudicare direttamente i contratti ad un operatore interno, il Comitato è favorevole alla delimitazione geografica dell'attività, per evitare distorsioni della concorrenza e salvaguardare in tal modo le possibilità di libera scelta degli enti locali e l'equità delle condizioni in un ambito di concorrenza disciplinata.

1.6

Il Comitato auspica che, in caso di aggiudicazione diretta ad un operatore interno, sia salvaguardato un margine di flessibilità, ma che questo venga definito e regolato con chiarezza nei casi in cui, per l'unificazione delle reti e per l'integrazione dei servizi di trasporto, è essenziale che questi possano estendersi ai territori limitrofi e/o adiacenti facenti capo ad autorità diverse da quella che ha aggiudicato il contratto di servizio pubblico di trasporto.

1.7

Il Comitato ritiene giustificate le deroghe previste per i contratti di modesta entità e per salvaguardare la continuità della prestazione dei servizi.

1.8

Il Comitato si interroga circa l'opportunità di aggiudicare direttamente i contratti dei servizi pubblici di trasporto nel settore delle ferrovie sia ad operatori storici che a nuovi operatori, senza che sia prevista alcuna regolamentazione specifica e senza che vi siano norme che garantiscano una concorrenza equa, come è previsto per gli operatori interni, il che provoca incertezza sul piano giuridico e permette distorsioni della concorrenza.

1.9

A parere del Comitato i principi di trasparenza, parità di trattamento degli operatori, garanzia della qualità e dell'efficienza dei trasporti pubblici per ferrovia potranno venir garantiti in maniera ottimale solamente se verranno applicate le medesime norme utilizzate per i trasporti su strada.

1.10

Il Comitato chiede si ritorni allo spirito della proposta di regolamento del 2002 per quanto riguarda la qualità del servizio ed il rispetto delle legislazioni sociali in vigore negli Stati membri.

1.11

Fatto salvo quanto precede, il Comitato auspica una rapida adozione del regolamento, necessario per assicurare la certezza normativa del settore.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione europea ha pubblicato una nuova proposta di regolamento sugli obblighi di servizio pubblico nel settore del trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia. Si tratta della terza versione di tale proposta.

2.2

Il Comitato si compiace del lavoro svolto dalla Commissione, che permette alle istituzioni europee di riaprire un dibattito che si era inceppato.

2.3

Il testo proposto intende conciliare le diverse posizioni espresse nel corso dei precedenti dibattiti alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali, ed in particolare la causa Altmark-Trans GmbH, per dissipare le preoccupazioni circa il rispetto dei principi di sussidiarietà e autonomia amministrativa degli enti pubblici.

2.4

Il testo differisce notevolmente dalla precedente versione, e la redazione è stata semplificata. Tuttavia, per non prolungare la procedura legislativa, il Parlamento ha deciso di considerare il testo una revisione del testo precedente, e di esaminarlo in seconda lettura. La proposta si trova dunque ora al Consiglio, il quale ne ha iniziato l'esame ed ha deciso di studiarne la correlazione con il terzo pacchetto ferroviario, soprattutto per quanto riguarda l'apertura del traffico internazionale e le possibilità di cabotaggio (2).

2.5

A parere della Commissione il quadro legislativo attuale, che risale al 1969, è obsoleto e l'efficienza e la qualità dei servizi pubblici di trasporto vanno assolutamente migliorate per conservarne o addirittura aumentarne la quota di mercato. La Commissione desidera «disciplinare la concorrenza, anche nelle regioni e nelle città, allo scopo di garantire la trasparenza nella fase di stipulazione e nella fase di esecuzione dei contratti di servizio pubblico» (3). Al riguardo, nel parere del 2001 sulla precedente proposta di regolamento, il Comitato aveva accolto con favore, «l'intento della Commissione di organizzare il mercato dei trasporti pubblici basandosi su una concorrenza controllata e non su un'apertura totale alla concorrenza» (4).

2.6

Il Comitato rilevava altresì con soddisfazione che «d'ora in poi la trasparenza giuridica e contabile consentirà la realizzazione delle pari opportunità e della concorrenza fra qualsiasi tipo di impresa, indipendentemente dalla sua natura» (5).

2.7

Ora che la proposta di regolamento deve venir discussa in seconda lettura al Parlamento europeo, il Comitato non può che ribadire tale auspicio di trasparenza, realizzazione delle pari opportunità e concorrenza controllata nelle procedure di gestione dei servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, nel rispetto del principio di neutralità di cui all'articolo 295 del Trattato.

2.8

In tale prospettiva i recenti contributi giurisprudenziali della Corte di giustizia hanno offerto elementi di apprezzamento, soprattutto nelle cause Altmark–Trans e Stadt Halle. Nell'ambito dell'esercizio del suo diritto di iniziativa la Commissione non è vincolata dalla giurisprudenza, dato che il sistema giuridico dell'Unione poggia anzitutto sulla legislazione e non sulle decisioni giudiziali. In pratica la proposta di regolamento, nell'articolo 4, riprende i principi dei primi tre criteri definiti nella causa Altmark–Trans. Alcuni elementi del quarto criterio figurano invece nel punto 7 dell'Allegato.

2.9

È opportuno sottolineare che la causa Altmark–Trans definisce criteri volti a garantire che sotto il profilo giuridico le compensazioni di servizio pubblico non possano essere qualificate come aiuti di Stato. La proposta di regolamento ha un respiro più ampio e tratta punti che la giurisprudenza non ha regolato, in particolare la questione della compatibilità con le norme di concorrenza delle compensazioni qualificate giuridicamente come aiuti di Stato e la questione dell'attribuzione di diritti esclusivi. Al riguardo è opportuno sottolineare che nel 1969 non esisteva un mercato dei trasporti, e che pertanto la questione dei diritti esclusivi non sussisteva.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Pur compiacendosi dell'iniziativa della Commissione, il Comitato desidera elencare una serie di questioni giuridiche che è opportuno discutere e sottolinea quanto sia importante che il nuovo regolamento, per poter essere rapidamente adottato ed attuato, garantisca realmente la certezza del diritto che l'insieme del settore attende con urgenza.

3.2

Il Comitato si congratula con la Commissione europea per gli sforzi profusi per riuscire ad instaurare un nuovo equilibrio nei trasporti locali, che al tempo stesso rispetti l'autonomia amministrativa degli enti locali e possa soddisfare l'insieme delle parti in causa.

3.3

Il Comitato si compiace che agli enti locali sia data la possibilità di scelta fra avviare una procedura concorsuale, prestare direttamente i servizi di trasporto o affidarli ad un operatore interno, a condizione che siano soddisfatti una serie di criteri ben definiti atti ad evitare qualsiasi distorsione della concorrenza.

3.4

Il Comitato ribadisce di preferire, ad un'apertura totale alla concorrenza, il principio della «concorrenza disciplinata» che viene ripreso dalla nuova proposta di regolamento (articolo 3 e articolo 5, paragrafo 3). A parere del Comitato, infatti, tale principio può conciliare nel modo migliore le necessità del servizio pubblico con l'esigenza di definire un quadro armonizzato e sicuro di regole relative all'aggiudicazione dei contratti. Esso infatti armonizza le necessità del servizio pubblico con quelle della dimensione imprenditoriale del settore (indipendentemente dallo statuto delle imprese medesime).

3.5

Il Comitato ritiene che un sistema concorrenziale che offre la generalizzazione del principio della contrattualizzazione e la libera scelta tra la competizione e la possibilità di aggiudicazione diretta rappresenti un miglioramento della qualità e dell'efficienza dei trasporti pubblici. In effetti le autorità organizzatrici dovranno definire chiaramente, e preliminarmente, gli obblighi di servizio pubblico e le aree interessate, nonché le regole riguardanti il calcolo delle compensazioni e le modalità di suddivisione dei costi e dei ricavi. Dovranno anche garantire una sufficiente pubblicità preliminare.

3.6

Gli operatori otterranno per parte loro una chiarezza completa circa il quadro e gli obblighi della loro attività.

3.7

È inoltre previsto che tutte le autorità competenti pubblichino una volta l'anno una relazione dettagliata sugli obblighi di servizio pubblico di loro competenza, sugli operatori affidatari del servizio, sulle compensazioni e i diritti esclusivi ad essi conferiti a titolo di corrispettivo (articolo 7). Ciò permetterà ai cittadini di conoscere meglio le condizioni esatte di gestione dei servizi di trasporto che verranno loro proposti. Sarà tuttavia opportuno garantire che le relazioni previste non incrementino eccessivamente l'onere amministrativo imposto agli enti locali e, per riflesso, quello imposto agli operatori. Un'eccessiva burocrazia può infatti ostacolare una corretta informazione.

4.   Osservazioni di carattere specifico

4.1   Il regolamento proposto e l'attuale disciplina degli appalti pubblici

4.1.1

Vista la presenza di una duplice normativa applicabile al settore, si è posto il problema di quale delle due debba prevalere.

4.1.2

In occasione della prima lettura, nel 2001, il Parlamento europeo aveva adottato un emendamento nel quale si chiedeva che il futuro regolamento prevalesse sulla disciplina degli appalti pubblici, allo scopo di ottenere un quadro giuridico chiaro e coerente. La soluzione proposta dalla Commissione fa dipendere il criterio di applicazione del diritto dalla scelta operata dall'ente pubblico organizzatore:

se vi è obbligo di servizio pubblico e l'operatore si fa carico di parte dei rischi, viene applicato il regolamento,

se vi è un semplice «appalto pubblico», si applica invece la direttiva sugli appalti pubblici per la procedura concorsuale relativa ai contratti.

4.1.3

In merito a tale punto il Comitato ritiene che le disposizioni del regolamento debbano essere applicate all'insieme dei contratti dei servizi pubblici di trasporto, nel rispetto dei principi di trasparenza e della parità di trattamento. Tale soluzione sarebbe senz'altro la più semplice e la più chiara, e non rimetterebbe in causa l'autonomia contrattuale delle autorità competenti.

4.2   Possibilità di aggiudicazione diretta

4.2.1

Contrariamente alle due versioni precedenti, la proposta include per la prima volta la possibilità di aggiudicare direttamente un contratto di servizio pubblico ad un operatore interno senza una preliminare procedura concorsuale (articolo 5, paragrafo 2). Si tratta di un'innovazione che risponde alle richieste espresse nel corso delle discussioni sulla necessità di salvaguardare l'autonomia organizzativa degli enti locali.

4.2.2

Questa possibilità dipende da numerose condizioni:

i servizi in concessione devono essere locali,

l'operatore interno non deve partecipare a procedure concorsuali organizzate fuori del territorio dell'autorità competente e deve esercitare integralmente le propria attività all'interno del territorio di tale autorità. Le disposizioni ricalcano l'auspicio di reciprocità concorrenziale espresso in prima lettura dal Parlamento europeo (emendamento numero 61), purché conforme ai principi del Trattato. La disposizione è al tempo stesso logica ed equa, dato che sarebbe oltremodo scorretto se un operatore locale controllato da un ente pubblico che beneficia di una protezione contro la concorrenza sul proprio territorio potesse entrare a sua volta in concorrenza con altri operatori in aree aperte alla concorrenza,

l'aggiudicazione diretta può essere effettuata solo a favore di un operatore interno sul quale l'autorità competente esercita un controllo paragonabile a quello che esercita sui servizi da essa stessa prestati. Tuttavia la Commissione non ha tenuto completamente conto della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (causa Teckal del 18.11.1999, causa Stadt Halle dell'11.1.2005 e causa Parking Brixen del 13.10.2005).

4.2.3

In prima lettura il Parlamento europeo aveva preso chiaramente posizione a favore del mantenimento della possibilità di aggiudicazione diretta ad un operatore locale controllato dall'autorità competente, accanto alla possibilità di una procedura concorsuale. Le discussioni in ambito di Consiglio hanno seguito tale falsariga, dato che i rappresentanti degli Stati membri si sono in gran parte mostrati favorevoli a salvaguardare la libertà delle autorità competenti di scegliere se prestare esse stesse i servizi locali, mediante le proprie imprese, o ricorrere ad una procedura concorsuale per aggiudicarli.

4.2.4

La Commissione ha cercato di tener conto di tali posizioni sforzandosi di trovare un equilibrio tra la concorrenza disciplinata e la possibilità di aggiudicazione diretta, un orientamento che il Comitato approva dato che tutela l'autonomia amministrativa degli enti pubblici organizzatori tenendo conto dei principi indicati dalla Corte di giustizia.

4.2.5

È opportuno sottolineare che nella definizione di operatore interno la Commissione introduce un criterio di limitazione geografica, per poter tener conto — seppure in una formulazione conforme al Trattato — del principio di reciprocità concorrenziale che il Parlamento desidera applicare ai servizi locali gestiti in amministrazione interna. L'applicazione di tale criterio solleva due quesiti:

il criterio riguarda tutti i servizi di trasporto degli operatori interni ed anche i servizi prestati da subappaltatori?

Che succede allorquando una linea oltrepassa i limiti del territorio di competenza dell'autorità organizzatrice competente? Sarà necessario interromperla oppure applicare delle regole specifiche? Il Comitato ritiene che in tali casi occorra rendere più flessibile il criterio di competenza territoriale. In effetti, i servizi in questione possono interessare territori sottoposti ad autorità competenti diverse se ciò è necessario per garantire l'unificazione della rete e l'integrazione dei servizi di trasporto e se i territori sono limitrofi e/o adiacenti a quello dell'autorità che aggiudica il contratto di servizio pubblico di trasporto.

4.2.6

Sarebbe pertanto opportuno prevedere che, quando siano operati direttamente dall'autorità organizzatrice o mediante un operatore interno, i servizi interessati possano riguardare anche i territori di altre autorità competenti, se ciò risulta essenziale per garantire l'unificazione della rete e l'integrazione dei servizi di trasporto e se i territori in questione sono limitrofi e/o adiacenti a quello dell'autorità organizzatrice che aggiudica il contratto di servizio pubblico di trasporto. Per evitare che una tale possibilità possa servire ad aggirare il principio di non distorsione della concorrenza, sarebbe necessario prevedere che i servizi forniti al di fuori dell'area di competenza territoriale dell'autorità organizzatrice non possano superare una determinata percentuale del valore del contratto principale.

4.2.7

Bisognerebbe inoltre permettere agli operatori interni di entità territoriali diverse di cooperare tra di loro, soprattutto in materia di ricerca e sviluppo, per evitare che divengano strutturalmente meno efficaci dei loro potenziali concorrenti non soggetti alle stesse limitazioni.

4.2.8

Sarà opportuno chiarire questi punti sia sul piano della certezza normativa sia sul piano dell'organizzazione pratica dei servizi. Si può osservare che, tutto sommato, i criteri indicati nella giurisprudenza della Corte di giustizia (causa Stadt Halle dell'11.1.2005) per definire la natura di un operatore interno lasciano persistere un margine d'imprecisione, soprattutto riguardo all'espressione «… elementi come …» che implica un elenco non esaustivo. Ad ogni modo, la più recente giurisprudenza (causa Parking Brixen del 13.10.2005) ribadisce ancora una volta il carattere fondamentale del criterio del controllo paragonabile a quello esercitato dall'autorità competente sui servizi che fornisce direttamente.

4.2.9

Sorprende infine che vengano applicate condizioni rigorosamente definite al caso generale dell'aggiudicazione diretta ad un operatore interno, mentre la deroga specifica a favore del settore ferroviario, riguardante la possibilità di aggiudicare direttamente i contratti ad un operatore, non viene sottoposta ad alcuna condizione, il tutto senza che la relazione del documento fornisca alcuna giustificazione al proposito.

4.3   Procedura concorsuale e ricorso ai bandi di gara

4.3.1

Accanto all'aggiudicazione ad un operatore interno, la proposta prevede la possibilità di ricorrere a gare pubbliche. Il principio del ricorso alla gara pubblica prevede tre possibili eccezioni:

per i contratti di valore limitato,

per rispondere alla necessità di assicurare la continuità del servizio pubblico in caso di interruzione del servizio o di pericolo imminente di interruzione,

per i contratti di servizio pubblico di trasporto su lunga distanza nel settore ferroviario.

4.3.2

Il Comitato ritiene che, in linea di principio, le prime due eccezioni siano giustificate, anche se si potrebbero discutere i criteri utilizzati per definire i servizi di minore entità. La terza eccezione solleva invece tutta una serie di questioni. Anzitutto per l'importanza del settore (con una cifra d'affari di circa 50 miliardi di euro l'anno), poi perché le condizioni di aggiudicazione sembrano assai poco vincolanti, contrariamente a quelle che riguardano l'aggiudicazione ad un operatore interno, anche se l'articolo 7 prevede alcune utili misure di pubblicità, ed infine perché le ferrovie non sono un settore che per sua natura dovrebbe essere escluso definitivamente dalla concorrenza, a meno che non sia sottoposto ad un dispositivo analogo a quello previsto all'articolo 5, paragrafo 2, della proposta in esame.

4.3.3

È lecito pensare che una procedura concorsuale disciplinata garantirebbe meglio la trasparenza, la parità di trattamento e gli interessi dei clienti e degli operatori. La soluzione prescelta, senza dubbio per ragioni di compromesso politico, squilibra in parte il testo sul piano della coerenza giuridica.

4.4   Le compensazioni di servizio pubblico

4.4.1

L'articolo 6 della proposta di regolamento rimanda all'articolo 4, che si ispira a sua volta in parte ai criteri della causa Altmark–Trans. Tutte le compensazioni, indipendentemente dalle modalità di aggiudicazione, devono essere conformi a tali disposizioni. Le compensazioni per i contratti aggiudicati direttamente devono inoltre conformarsi alle disposizioni dell'allegato, le quali stabiliscono che l'ammontare della compensazione va calcolato mettendo a confronto la situazione di prestazione diretta del servizio con la situazione che sarebbe esistita qualora l'obbligo non fosse stato assolto e il servizio fosse stato prestato «alle condizioni di mercato».

4.4.2

Il testo in esame distingue dunque due situazioni:

se si è seguita una procedura concorsuale, la compensazione dei prestatori di servizi è conforme alle prime tre condizioni definite dalla causa Altmark–Trans,

se c'è stata un'aggiudicazione diretta, senza procedura concorsuale, la compensazione dei prestatori di servizi è solo in parte conforme ai criteri elencati nella causa Altmark-Trans, e bisogna inoltre procedere ad uno studio comparativo della gestione economica del servizio senza tener conto degli obblighi di servizio pubblico.

4.4.3

Tale sistema crea una certa complessità giuridica, che necessita una formulazione più chiara per garantire la trasparenza e la buona gestione nei confronti dei clienti e dei contribuenti.

4.5   Qualità dei servizi e legislazione sociale

4.5.1

La Commissione insiste sul fatto che l'obiettivo della proposta di regolamento è di disciplinare gli obblighi di servizio pubblico nel settore dei trasporti e le relative compensazioni, e non già di intervenire nella definizione degli aspetti riguardanti la qualità dei servizi, la legislazione sociale e la tutela dei consumatori. Pertanto, solo il paragrafo 7 dell'articolo 4 affronta, in maniera flessibile, la questione dei diritti sociali. Si tratta in effetti di un settore di competenza nazionale e non comunitaria.

4.5.2

Tuttavia, la proposta riveduta del 2002 era più precisa circa la definizione del livello adeguato di qualità dei trasporti pubblici, l'informazione per i viaggiatori e la legislazione sociale (ex articoli 4, 4bis e 4ter).

4.5.3

Il Comitato deplora che la nuova formulazione sia eccessivamente discreta circa la qualità dei servizi, l'informazione destinata ai viaggiatori e le garanzie offerte dalle legislazioni sociali nazionali. Il Comitato chiede con insistenza che la Commissione si rifaccia allo spirito della proposta del 2002 e completi il testo, pur nel rispetto dei principi di sussidiarietà e dell'autonomia amministrativa degli enti locali. Si tratta di ambiti per i quali sarebbe opportuno almeno elencare alcuni requisiti minimi, senza che perciò sia necessario definire anche un elenco esaustivo dei criteri di sicurezza e qualità dell'informazione per i viaggiatori.

4.6   Transizione tra l'attuale situazione e la nuova legislazione

4.6.1

Il paragrafo 6 dell'articolo 8 risulta abbastanza impreciso: esso regola la situazione concorrenziale per la seconda metà dei periodi transitori, ma la lascia del tutto incerta per la prima metà e non prende in considerazione i casi di aggiudicazione diretta.

Bruxelles, 18 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2000) 7 def. - 2000/0212 (COD) modificata da COM(2002) 107 def.

(2)  È opportuno osservare che la proposta in esame non riguarda più la navigazione fluviale, la quale resta dunque regolata dall'articolo 73 del Trattato.

(3)  COM(2005) 319 def., Relazione introduttiva: punto 2.1.

(4)  GU C 221 del 7.8.2001 (par. 2.2).

(5)  Ibidem, par. 2.4.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 4.6

Aggiungere un nuovo capoverso al punto 4.6:

Nell'Unione europea, i mercati dei trasporti pubblici via terra presentano vari livelli di apertura o liberalizzazione, da quelli chiusi a quelli a concorrenza disciplinata, fino a quelli totalmente liberalizzati. È per tale motivo che è necessario fissare un periodo di transizione, affinché i mercati possano adeguarsi alle disposizioni del regolamento e risultare paragonabili, evitando disparità tra gli Stati membri.

Motivazione

Sarà presentata oralmente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 22

Voti contrari: 43

Astensioni: 3


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla promozione di veicoli puliti nel trasporto stradale

COM(2005) 634 def. — 2005/0283 (COD)

(2006/C 195/07)

Il Consiglio, con lettera del 1o marzo 2006, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato CE, un parere sul tema della proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Più del 75 % della popolazione dell'Unione europea vive in aree urbane. Il trasporto urbano rappresenta pertanto una percentuale molto importante del settore dei trasporti nel suo complesso, influendo sia sui parametri di qualità dell'aria (monossido di carbonio, idrocarburi, ossidi d'azoto, particolato, precursori dell'ozono) e dunque sull'inquinamento locale, come pure sul cambiamento climatico (emissioni di CO2).

1.2

Diverse azioni legislative e di ricerca si sono susseguite nel corso degli ultimi anni sia in ambito europeo che in quello della cooperazione internazionale: migliorare l'efficienza energetica, ridurre le emissioni di inquinanti oltre che la dipendenza dal petrolio, sono gli obiettivi principali perseguiti.

1.3

Grazie alle norme che disciplinano le emissioni dei veicoli, note come norme «Euro», negli ultimi 25 anni le emissioni degli inquinanti dovuti al traffico veicolare sono state drasticamente ridotte.

1.4

Inoltre, grazie a modelli come il CAFE (Clean Air for Europe — Aria pulita per l'Europa, 2005), si è potuto preventivare un'ulteriore diminuzione del 5 % nei livelli di inquinamento per il 2020.

1.5

La direttiva in esame mira alla promozione di un ambiente urbano sostenibile: la proposta prevede la creazione di un parco di veicoli pesanti «puliti», che a fronte di un risparmio energetico producano meno emissioni di inquinanti.

1.6

In particolare, agli enti pubblici viene imposto l'obbligo di attribuire una quota del 25 % degli acquisti annui di mezzi pesanti, con massa superiore a 3,5 t, ai veicoli puliti. La proposta della Commissione prevede, inoltre, la possibilità di una successiva estensione di questo impegno alle altre categorie di veicoli acquistati da enti pubblici.

1.7

A fronte di un investimento iniziale da parte degli enti pubblici, una tempestiva entrata in vigore di questa direttiva favorirebbe un rapido sviluppo e un'ampia diffusione di tecnologie pulite.

1.8

Alle molte amministrazioni comunali che si trovano costrette ad imporre restrizioni alla libera circolazione dei veicoli, la direttiva, se approvata, offrirebbe una soluzione alternativa in grado di raggiungere risultati positivi in termini di impatto ambientale, sociale ed economico.

1.9

Città come Parigi, Montpellier, Francoforte, Helsinki ed altre che hanno investito fondi per disporre di una flotta di veicoli puliti (autobus o camion del servizio di raccolta dei rifiuti a gas naturale), hanno ottenuto risultati importanti e stanno procedendo all'acquisto di ulteriori veicoli per ampliare la flotta disponibile.

1.10

Accelerare i tempi di intervento, diversificando gli sforzi e agendo su diversi piani per ridurre l'impatto ambientale complessivo (norme Euro sul controllo delle emissioni dei veicoli, azioni volte al miglioramento dell'efficienza energetica e alla sicurezza per quel che riguarda l'approvvigionamento e la diversificazione delle fonti energetiche), non può che tradursi in benefici sociali ed avanzamenti tecnologici ed economici.

1.11

Il CESE auspica pertanto che la direttiva possa essere adottata ancora nel corso del 2006, aggiungendosi alle altre azioni già intraprese dalla Comunità europea e a quelle che si stanno delineando e sono in fase di approvazione.

2.   Ragioni e contesto legislativo

2.1

Il 21 dicembre 2005, la Commissione ha presentato la presente proposta di direttiva sulla promozione di veicoli puliti nel trasporto stradale (1) (base giuridica: articolo 175, paragrafo 1, TCE; procedura di codecisione).

2.2

Gli obiettivi principali della direttiva sono:

ridurre le emissioni di inquinanti prodotte dal settore dei trasporti,

incentivare il mercato dei veicoli puliti, con riferimento ai mezzi pesanti aventi una massa superiore a 3,5 t.

2.3

La direttiva prevede che gli enti pubblici siano soggetti all'obbligo di attribuire negli appalti annui di mezzi pesanti (che superino le 3,5 t) una quota minima di veicoli che siano conformi alla norma sulle prestazioni del «veicolo ecologico migliorato». La quota minima individuata è pari al 25 % e riguarda la sostituzione di automezzi pesanti per consentire l'introduzione graduale di criteri ambientali nella procedura di appalto e preparare enti pubblici ed industria ad una possibile estensione di tali requisiti ad altre categorie di veicoli.

2.4

A lungo termine, la direttiva porterà ad un miglioramento delle prestazioni ambientali dell'intera flotta grazie al progresso delle economie di scala, ad una riduzione dei costi e ad una più ampia diffusione delle tecnologie per veicoli ecologici migliorati.

3.   Definizioni e spiegazioni

3.1

I mezzi pesanti oggetto della direttiva sono gli automezzi con peso superiore a 3,5 t, come autobus e veicoli utilitari (ad es. camion per la raccolta dei rifiuti).

3.2

Per «veicolo pulito» si intende «veicolo ecologico migliorato» secondo la definizione fornita dalla norma di rendimento europea EEV (Enhanced Environmentally-Friendly Vehicle) (2), che individua limiti severi nelle emissioni di CO2 e in quelle nocive di monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi, particolato e precursori dell'ozono:

CO

(g/kWh)

HC

(g/kWh)

NOx

(g/kWh)

PM

(g/kWh)

FUMO

(m-1)

1,5

0,25

2,0

0,02

0,15

3.3

Gli Stati membri sono sempre stati incoraggiati ad introdurre facilitazioni fiscali per quei veicoli che abbiano valori limite di emissioni più severi rispetto alla norma Euro 4 attualmente in vigore (3), al fine di favorire l'ingresso sul mercato di mezzi più puliti ed efficienti.

3.4

Gli enti pubblici cui è rivolta la direttiva sono le autorità statali, regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico, le imprese pubbliche e gli operatori vincolati da contratti con enti pubblici per la fornitura di servizi di trasporto.

3.5

L'obbligo di allocare una quota minima degli appalti annuali a veicoli puliti è riferito ad entrambe le operazioni di acquisto e affitto dei mezzi pesanti.

3.6

Promuovere l'uso di veicoli EEV è, inoltre, in linea con la recente proposta di direttiva della Commissione sulla tassazione delle autovetture (4): questa verrebbe, infatti, parzialmente basata sulle emissioni di CO2, per incoraggiare l'acquisto di veicoli più puliti ed efficienti dal punto di vista energetico, quali quelli alimentati a biocarburanti, gas naturale, gas di petrolio liquefatto (GPL), motori elettrici o ibridi.

3.7

L'aumento nel consumo dei biocarburanti viene individuato come uno degli obiettivi del Piano di azione per la biomassa (5), recentemente adottato dalla Commissione e incentivato nella successiva comunicazione sui biocarburanti (6).

3.8

La presente proposta si inserisce quindi in un ampio contesto di azioni intraprese per far fronte al costante aumento di emissioni di gas serra che incidono negativamente sugli obiettivi comunitari connessi al cambiamento climatico, all'incremento dei fenomeni di inquinamento locale dovuti alle emissioni di scarico dei veicoli che influiscono in maniera negativa sulla salute dei cittadini, all'efficienza energetica dei carburanti che ancora determina una forte dipendenza europea dal petrolio.

3.9

Nel Libro verde sull'approvvigionamento energetico (7), i temi connessi alla crescita del settore dei trasporti, agli elevati consumi di energia, così come alle emissioni di CO2 e alla dipendenza dal petrolio vengono analizzati per individuare interventi che possano influenzare la domanda di tecnologie e carburanti alternativi e favorire una generazione di veicoli «puliti», così come ripreso nel Libro bianco (8) sulla politica europea dei trasporti fino al 2010.

3.10

La comunicazione sui carburanti alternativi per il trasporto stradale (9) e la successiva direttiva sulla promozione dei biocarburanti (10), individuano nella diversificazione delle fonti energetiche un sistema efficace per ridurre la dipendenza dal petrolio, le emissioni di CO2 e degli inquinanti locali.

3.11

Nella comunicazione sulla valutazione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile (11) vengono trattati gli aspetti connessi al cambiamento climatico: in questa strategia viene esplicitamente proposto lo sviluppo di un mercato di veicoli più puliti, all'interno di un programma di gestione del traffico nelle aree urbane in cui sia prevista la promozione di «eco-innovazioni» e viene espressamente raccomandata l'adozione di autobus «puliti».

3.12

Il Libro verde (12) sull'efficienza energetica propone azioni concrete, tra cui il ricorso ad appalti pubblici per sviluppare un mercato di veicoli meno inquinanti e a maggior efficienza energetica, rispetto a quelli convenzionali.

3.13

Produzione e uso di veicoli più rispettosi dei limiti rispetto agli inquinanti atmosferici rappresentano un fattore fondamentale nel tentativo di raggiungere gli obiettivi posti dalla normativa europea in materia (13).

3.14

Nel contesto della Strategia tematica sulla qualità dell'aria (14), con cui la Commissione si propone di uniformare le direttive vigenti in materia, si sottolinea nuovamente la necessità di raccomandare agli enti pubblici un'implementazione annua che raggiunga un quota minima di veicoli puliti ed energeticamente efficienti.

3.15

Il Parlamento europeo si è espresso a favore di un piano di azione comunitario per migliorare l'efficienza energetica nel settore dei trasporti, sostenendo nello specifico l'importanza di programmi mirati di appalti pubblici per ridurre il prezzo di attrezzature energeticamente efficienti e renderle competitive rispetto alle tecnologie convenzionali (15).

3.16

Il Consiglio europeo ha dato impulso a misure volte all'integrazione della gestione ambientale e dello sviluppo sostenibile nella politica dei trasporti (16).

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

L'approvazione della presente proposta di direttiva introdurrebbe una serie di misure obbligatorie relative agli appalti pubblici, misure intese ad accelerare la domanda di mercato per i cosiddetti veicoli puliti. Allo stesso tempo, la proposta promuove l'introduzione di veicoli puliti ed energeticamente efficienti attraverso un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico, come raccomandato dagli Stati membri (17).

4.2

L'obbligo d'appalto per i veicoli pesanti che eccedono le 3,5 t, rispetto ad accordi volontari o altri tipi di regolamentazione, presenta vantaggi dal punto di vista del bilancio costi-benefici, sia per quanto riguarda gli aspetti economici di competitività dell'industria europea sia, soprattutto, per quanto concerne l'impatto ambientale.

4.3

Stabilire che la quota da includere negli appalti debba corrispondere al 25 %, significa fare riferimento al 10 % dell'intero mercato e dunque ad una percentuale che permette di incidere sullo sviluppo del mercato dei veicoli puliti e anche di incentivare economie di scala, mantenendo accettabili i costi di investimento.

4.4

Secondo le stime effettuate, il numero di mezzi interessati da questa proposta di direttiva è pari a circa 52 000, di cui 17 000 autobus e 35 000 veicoli commerciali pesanti. Introdurre il 25 % di veicoli puliti corrisponderebbe pertanto a 13 000 mezzi EEV l'anno. La scelta di un settore specifico di sostituzione (autobus, mezzi di raccolta rifiuti o altri) è lasciata agli enti pubblici, che hanno la massima libertà nel determinare le quote specifiche di sostituzione.

4.5

Indire appalti per l'introduzione sistematica di veicoli puliti favorirebbe lo sviluppo dell'industria automobilistica e garantirebbe l'espansione di un solido mercato per i veicoli pesanti in Europa, aumentandone il livello di concorrenza e competitività.

4.6

Parigi, Montpellier e Francoforte, come anche altre città, possiedono già flotte di veicoli puliti, che si apprestano ad ampliare in considerazione dei risultati positivi ottenuti sul piano ambientale e socioeconomico.

4.7

L'introduzione obbligatoria di una percentuale di veicoli EEV nella flotta di mezzi pesanti rappresenta un ulteriore strumento a disposizione delle amministrazioni pubbliche per adempiere gli obblighi imposti dalle direttive comunitarie sulla qualità dell'aria.

4.8

La percentuale di sostituzione suggerita nella proposta di direttiva consentirebbe di ottenere rapidamente i primi risultati in termini di miglioramento della qualità dell'aria (18), rispondendo gli EEV a standard che riducono drasticamente le emissioni di HC, NOX e PM.

4.9

L'uso di veicoli EEV, inoltre, contribuisce a diminuire i consumi di carburante e ad incentivare la ricerca per ottenere risultati sempre più significativi per l'ambiente: promuovere l'uso di carburanti alternativi e studiare tecnologie di trattamento delle emissioni, dall'altra parte, danno un forte impulso alla crescita dell'industria automobilistica.

4.10

Considerando che la vita media dei mezzi pesanti oggetto della proposta in esame è pari a circa 15 anni ed ipotizzando l'entrata in vigore della stessa nel corso del 2006, gli enti pubblici avrebbero tempo fino al 2030 per recuperare l'investimento, compiere progressi a livello tecnologico e migliorare gli standard prestazionali.

4.11

Un impegno rapido e consistente nella promozione dei veicoli puliti avrebbe ricadute benefiche anche a livello sociale: migliorare la qualità dell'aria dei centri urbani significa, tra l'altro, ridurre l'insorgere o il peggioramento di malattie respiratorie, con un conseguente miglioramento del bilancio della sanità pubblica.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 634 def.

(2)  Direttiva 2005/55/CE, articolo 1, lettera c) e Allegato I, punto 6.2.1.

(3)  Direttiva 1998/69/CE.

(4)  COM(2005) 261 def. del 5.7.2005.

(5)  COM(2005) 628 def. del 7.12.2005.

(6)  COM(2006) 34 def. dell'8.2.2006.

(7)  COM(2000) 769 def.

(8)  COM(2001) 370 def.

(9)  COM(2001) 547 def.: prevede di sostituire il 20 % dei carburanti tradizionali con quelli alternativi entro il 2020.

(10)  Direttiva 2003/30/CE.

(11)  COM(2005) 37 def.

(12)  COM(2005) 265 def.

(13)  Direttiva 1996/62/CE sulla qualità dell'aria ambiente e direttive figlie: direttiva 1999/30/CE sui valori limite di biossido di zolfo, biossido di azoto, particolato e piombo; direttiva 2000/69/CE sulle concentrazioni limite di benzene e monossido di carbonio; direttiva 2002/3/CE relativa agli obiettivi sui valori di ozono.

(14)  COM(2005) 446 def.

(15)  A5-0054/2001.

(16)  Consiglio europeo di Helsinki (1999) e Consiglio europeo di Göteborg (2001).

(17)  In conformità con le priorità stabilite dal Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, nel contesto della strategia di Lisbona.

(18)  La città di Montpellier ha introdotto i primi autobus «puliti» a gas naturale nel 1999. Dopo trenta mesi le emissioni di NOX si erano ridotte del 50 %, il PM era quasi completamente scomparso e il rumore si era ridotto da 5 a 8 decibel. (Dati ADEME, Agence de l'environnement et de la maîtrise de l'énergie — Délégation régionale Languedoc-Roussillon).


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile — Una piattaforma d'azione

COM(2005) 658 def.

(2006/C 195/08)

La Commissione europea, in data 13 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE e dal correlatore DERRUINE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1

Il Comitato ha ripetutamente sottolineato la grande importanza che lo sviluppo sostenibile riveste per il futuro dell'Europa e per lo sviluppo globale e, pertanto, accoglie con favore la presentazione di una «piattaforma d'azione» nella quale la Commissione affronta questo argomento.

1.2

La comunicazione della Commissione fa parte di un gruppo di cinque documenti pubblicati nel solo 2005 sul tema «sviluppo sostenibile». Il Comitato, pur sottolineando ripetutamente l'importanza di misure concrete, formula nette riserve sulla pletora e varietà dei documenti, che praticamente impedisce ai normali cittadini interessati alla politica di aver ancora una visione d'insieme della situazione.

1.3

I legami tra la strategia di Lisbona e quella per lo sviluppo sostenibile sono confusi. Affinché i cittadini siano in grado di comprenderli, sono necessari degli sforzi sia sul piano pedagogico che in termini di coerenza. Lo strumento dell'analisi d'impatto va riformato per tener conto della dimensione sociale e ambientale alla stessa stregua di quella economica. La ricerca e l'innovazione raccomandate nel quadro della strategia di Lisbona dovrebbero fornire un supporto esplicito allo sviluppo sostenibile.

1.4

Il Comitato reputa che la «piattaforma d'azione» presentata insieme alla comunicazione non offra una vera strategia riveduta. Sebbene contenga un'analisi corretta della situazione attuale e affermi che «non si può andare avanti così», essa in pratica non va oltre tale analisi. Non spiega, o indica solo in modo alquanto insufficiente, come si potrebbe procedere concretamente.

1.5

Nel documento all'esame la Commissione non ha tenuto conto né della raccomandazione del CESE dell'aprile 2004 né dell'impegno che si era assunta essa stessa nel giugno 2005. In effetti, essa non indica alcun chiaro obiettivo che intende realizzare nel quadro della strategia della sostenibilità.

1.6

Di norma una strategia espone in quale modo si intende raggiungere degli obiettivi. Inevitabilmente, l'assenza di obiettivi comporta dei problemi nella determinazione degli strumenti che ci si propone di utilizzare. Questa è una lacuna fondamentale della comunicazione. Se non si hanno idee chiare sulla direzione da seguire non si può nemmeno precisare come raggiungere il traguardo.

1.7

Le azioni chiave illustrate nella comunicazione risultano vaghe e troppo astratte. Si tratta in parte di annose istanze o vecchi impegni che, dopo più di 30 anni, non hanno ancora trovato attuazione. Il documento non esamina né per quale motivo esigenze di così vecchia data siano rimaste disattese, né se esse permangano di attualità e, soprattutto, se siano ancora adeguate.

1.8

Nei punti contenenti annunci estremamente importanti la Commissione rimane però nel vago, senza assumere impegni. Il Comitato non può che accogliere con favore il fatto che la Commissione designi il commercio internazionale come strumento per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia da una «piattaforma d'azione» sarebbe lecito aspettarsi l'indicazione di come s'intende realizzare questo obiettivo.

1.9

La Commissione dovrebbe chiarire il ruolo dei vari attori rispondendo alla domanda «chi deve fare che cosa?» in base alle competenze dell'UE, degli Stati membri, delle parti sociali e delle altre parti interessate.

1.10

Da parte sua, il Comitato esprime la sua intenzione di contribuire al dibattito mettendo a punto progressivamente una banca dati che consenta la diffusione delle migliori pratiche e registri gli ostacoli incontrati dai vari attori sul terreno ecc., in modo da migliorare le conoscenze specialistiche di cui la Commissione e le parti interessate potranno avvalersi.

1.11

Di conseguenza, nella comunicazione sono più i quesiti posti che le risposte fornite e vengono addirittura sollevati nuovi interrogativi ai quali la società ha sinora atteso invano una risposta.

1.12

Il Comitato deplora vivamente questo stato di cose. Infatti, questa comunicazione non presenta alcun vero progresso sul fronte dello sviluppo sostenibile, ma dimostra piuttosto che attualmente sembra di essere a un punto morto.

2.   Punti principali e contesto del parere

2.1

In data 13 dicembre 2005, e quindi poco prima del «vertice finanziario» del Consiglio europeo di Bruxelles, la Commissione ha presentato al Consiglio e al Parlamento europeo la Comunicazione sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibileUna piattaforma d'azione  (1), sulla quale verte il presente parere.

2.2

La strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile attualmente all'esame è stata decisa al vertice di Göteborg, nell'estate 2001. Il Comitato economico e sociale europeo si è pronunciato più volte sia prima dell'elaborazione della strategia sia in merito alla strategia stessa, da ultimo nel quadro dei propri pareri esplorativi rispettivamente dell'aprile 2004 sul tema Valutazione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile  (2) e del maggio 2005 sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie  (3). Inoltre, in cooperazione con la Commissione, nell'aprile 2005 ha organizzato lo Stakeholders' Forum, una manifestazione che ha suscitato molto interesse ed è stata giudicata estremamente costruttiva, e nel marzo 2006, nel quadro dell'elaborazione del presente parere, ha organizzato un'ulteriore audizione dei cui risultati, ovviamente, si è tenuto conto.

2.3

Già la Commissione PRODI aveva annunciato che avrebbe riveduto e approvato la strategia per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia ciò non è avvenuto in quanto ogni volta ci sono stati notevoli ritardi nell'elaborazione dei vari documenti. Questo può essere indice di quanto sia difficile per la Commissione, ma anche per il Consiglio, portare avanti la strategia per lo sviluppo sostenibile.

2.4

Nel febbraio 2005 la Commissione BARROSO non ha presentato una strategia riveduta, bensì la comunicazione Valutazione 2005 della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile: bilancio iniziale e orientamenti futuri  (4), nella quale si parla fra l'altro di un «accentuarsi delle tendenze non sostenibili», e si afferma che, per quanto riguarda l'inserimento delle considerazioni ambientali nelle politiche settoriali, «i progressi fatti finora sono piuttosto limitati». Si aggiunge inoltre che «il problema della povertà e dell'esclusione sociale sta assumendo proporzioni considerevoli» e che «a mano a mano che aumenta» l'interdipendenza«, s'impone una revisione dei nostri modelli di produzione e di consumo».

2.5

La comunicazione all'esame va vista in questo contesto. Il Comitato può considerarla un ulteriore passo verso una revisione della strategia per la sostenibilità, ma non come il risultato di una revisione già avvenuta. Stando alle informazioni più recenti, però non ufficiali, si prevede che nella riunione del giugno 2006 il Consiglio adotti una revisione della strategia per la sostenibilità del 2001 e che le conclusioni raggiunte in tale occasione costituiscano la strategia comune europea per la sostenibilità fino al 2009. Il Comitato ne deduce anzitutto che la Commissione non ha tenuto fede all'impegno del 2001 di presentare una revisione della strategia all'inizio di ogni suo nuovo mandato. Per di più sono ora all'esame cinque documenti (5) del 2005 che, pur concepibili come spunti e documentazione per una revisione, non possono comunque essere valutati come una nuova strategia per i prossimi quattro anni in grado di affrontare le tendenze attuali, che rivelano tuttora una dinamica inquietante.

2.6

Il Comitato esprime sconcerto per il fatto che, malgrado l'impegno precedentemente assunto al riguardo, la Commissione non abbia formulato osservazioni dettagliate sul suo ultimo parere esplorativo sul tema Valutazione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile  (6). Molte delle questioni di principio sollevate dal Comitato in tale occasione rimangono ancora senza risposta, rivelando — e confermando — l'assenza di obiettivi, idee e progettualità della «piattaforma d'azione» ora presentata.

2.7

Anche questa volta, come del resto già nel 2004, il Comitato lamenta la mancanza di prese di posizione chiare sul modo in cui le due grandi strategie che ispirano l'attuale attività dell'Unione europea (strategia per lo sviluppo sostenibile e strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione) vengono delimitate e inquadrate conformemente agli obiettivi che l'UE si è data nell'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea (7). Dall'esame dei programmi nazionali di riforma relativi alla strategia di Lisbona emerge che gli Stati membri non considerano lo sviluppo sostenibile una priorità. È inevitabile constatare che c'è una discrepanza rispetto alle conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2005, che attribuiscono un'importanza preminente alla strategia per lo sviluppo sostenibile.

2.8

Nel presente parere il Comitato intende soprattutto valutare se le affermazioni, le questioni e le raccomandazioni formulate nei pareri summenzionati dell'aprile 2004 e del maggio 2005 siano state accolte e recepite.

2.9

Il Comitato valuterà inoltre se il documento all'esame sia in grado di soddisfare i requisiti fissati dalla Commissione stessa.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Nella comunicazione in esame la Commissione presenta dapprima la situazione generale, come già in molti documenti precedenti. Due citazioni dal terzo capoverso della comunicazione illustrano la situazione in modo molto chiaro: «L'Europa ha già cominciato ad applicare questi principi dello sviluppo sostenibile.» Occorre però «un impegno rafforzato».

3.2

Il Comitato può confermare che quest'affermazione è veritiera e condivide la valutazione generale: in molti ambiti sono state intraprese numerose iniziative esemplari, sia a livello dell'UE che a livello degli Stati membri o da parte di imprese, ONG e privati. Questo loro impegno non è però sufficiente perché si possa già parlare di una svolta.

3.3

Si possono constatare concreti successi a livello nazionale (ad esempio l'impatto positivo, sull'ambiente e sull'occupazione, del programma tedesco per il risanamento degli edifici e l'impiego delle energie rinnovabili), a livello settoriale (ad esempio la decisione di non utilizzare i CFC nocivi per il clima nei sistemi di condizionamento per automobili o il «Piano d'azione per le tecnologie ambientali») e a livello delle imprese (si pensi ad esempio alla società British Petroleum, che nel 1998 si era impegnata a ridurre entro il 2010 le emissioni di gas a effetto serra del 10 % rispetto al 1990 e che, grazie all'efficienza energetica, ha realizzato questo obiettivo già nel 2003). Si rammenta poi anche il documento sottoscritto dalle grandi imprese inglesi e multinazionali a sostegno del premier britannico nella lotta ai cambiamenti climatici (8).

3.4

Questi esempi illustrano come processi sostenibili di produzione e di consumo siano non solo tecnicamente possibili, ma anche economicamente percorribili e contribuiscano al mantenimento o alla creazione di posti di lavoro. Questo aspetto deve essere comunicato in modo più chiaro di quanto non sia avvenuto finora.

3.5

Lo sviluppo sostenibile è un progetto di sviluppo sociale diverso, nuovo, integrato: infatti, le dimensioni economica, sociale ed ecologica dello sviluppo sostenibile si rafforzano reciprocamente e contribuiscono a realizzare dei «valori europei». Lo sviluppo sostenibile promuove quindi il benessere generale della società. Al riguardo il Comitato si compiace dell'impegno profuso in comune dalla Commissione e da Eurostat per mettere a punto un «indicatore del benessere» che, sotto il profilo dello sviluppo sostenibile, offra uno strumento di misura più pertinente del PIL. L'«impronta ecologica» calcolata fra l'altro anche dall'Agenzia europea per l'ambiente potrebbe essere un tale strumento. Un indicatore di questo tipo dovrebbe tener conto non solo dei costi ambientali esterni, ma anche di taluni costi sociali.

3.6

Lo sviluppo sostenibile non significa compensare i deficit delineatisi nello sviluppo di un settore con misure adottate in altri settori. Nel giugno 2005 il Consiglio europeo ha confermato questa interpretazione del concetto di sviluppo, e da numerosi documenti della Commissione europea (9) si evince che un tale approccio funziona effettivamente.

3.7

In primo luogo occorre però un ampio dibattito, nel mondo politico e nella società, sui valori che abbiamo in Europa (talvolta contrariamente ad altre regioni del mondo) e che dobbiamo difendere e sugli obiettivi che vogliamo raggiungere in Europa con lo sviluppo sostenibile. Oltretutto questo dibattito era atteso da tempo. Solo quando si avrà un'idea chiara degli obiettivi da raggiungere e dei valori (europei) da salvaguardare si potrà cominciare a discutere dei modi per conseguire tali obiettivi (ossia della strategia da attuare). Anche qui il Comitato dubita che il dibattito sia già stato condotto a dovere. A questo proposito, esso ribadisce quanto affermato due anni fa, e cioè che il concetto di «sostenibilità» è totalmente sconosciuto a gran parte dei cittadini e che spesso quelli che ne hanno già sentito parlare non sanno di che cosa si tratti. Sono dei presupposti assai sfavorevoli per attuare delle misure politiche (per la strategia di Lisbona la situazione è analoga!).

3.8

Il Comitato è del tutto consapevole del fatto che questo dibattito sui valori e sugli obiettivi non sia facile, specialmente considerato il contesto dei mercati globali. Il fatto che l'Europa svolga un ruolo di avanguardia nel preservare i presupposti fondamentali del vivere può infatti far sì, ad esempio, che le produzioni non sostenibili vengano trasferite dall'Europa in altre parti del mondo (il che, in un'ottica globale, non costituisce un successo) e può influire negativamente sulla competitività delle imprese europee. Tuttavia, proprio poiché si prevedono molti problemi, è necessario avviare finalmente l'ampio dibattito ripetutamente sollecitato dal Comitato.

Concentrazione sui settori chiave

3.9

Nella comunicazione la Commissione si concentra su sei «questioni essenziali», vale a dire:

cambiamenti climatici ed energia pulita,

sanità pubblica,

esclusione sociale, demografia ed immigrazione,

gestione delle risorse naturali,

trasporti sostenibili,

povertà mondiale e sfide dello sviluppo.

3.10

Il Comitato — come ha già affermato ripetutamente nei suoi precedenti pareri — reputa che concentrarsi su tali argomenti sia giusto, ma fa notare che occorre intensificare la riflessione quantomeno nei settori in cui l'UE ha piena responsabilità anche finanziaria, come ad esempio nel caso della politica agricola e regionale. Colpisce che la comunicazione non faccia praticamente alcun riferimento a tali settori. Tutt'al più l'Allegato 2 contiene ad esempio un link Internet alla proposta di decisione presentata dalla Commissione in merito agli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale (periodo di programmazione 2007-2013) [COM(2005) 304 def.], senza però illustrare più in dettaglio il contenuto degli obiettivi e delle misure concernenti lo sviluppo sostenibile.

3.10.1

Nell'introduzione della comunicazione, nel quadro della descrizione degli sforzi compiuti finora dall'UE, si fa riferimento alla riforma della politica agricola e di quella della pesca e viene sottolineato che «il potenziamento della politica di sviluppo rurale [riflette] questo impegno a un'elaborazione integrata delle politiche». Secondo il Comitato questa affermazione è però del tutto incomprensibile poiché non si può affatto parlare di «potenziamento». Nelle prossime prospettive finanziarie 2007-2013 le risorse finanziarie destinate allo sviluppo rurale, contrariamente alle promesse politiche della Commissione e alle raccomandazioni del CESE (10), saranno in molti casi notevolmente inferiori all'attuale bilancio e agli stanziamenti previsti dalla Commissione (11).

3.10.2

Per quanto riguarda la politica della pesca, il Comitato fa solo notare che finora non si è riusciti nemmeno a garantire il rispetto dei limiti di cattura concordati, ragion per cui lo sfruttamento delle risorse alieutiche marine continua ad essere eccessivo. In questa situazione il Comitato giudica dunque insufficiente limitarsi ad elencare diverse pagine Internet riportanti informazioni su precedenti politiche oppure possibili comunicazioni o libri verdi progettati dalla Commissione se in materia di risorse alieutiche si vuole effettivamente realizzare l'obiettivo «operativo» della «produzione massima equilibrata entro il 2015» (12).

Mancanza di obiettivi chiari

3.11

Nella sua comunicazione del febbraio 2005 (COM(2005) 37 def.) la Commissione aveva fatto un'analisi importante, e a parere del Comitato giusta, della situazione e delle tendenze, che continuavano a non essere sostenibili. Nella Parte II («Raccogliere le sfide») aveva assunto posizioni conformi a quanto chiesto in precedenza dal Comitato. Aveva sottolineato infatti la necessità «di conciliare crescita economica, inclusione sociale e tutela dell'ambiente in Europa e nelle altre parti del mondo», specificando che si vuole «porre lo sviluppo sostenibile al centro delle politiche dell'UE». Aveva ribadito inoltre «$la necessità di fissare con maggior precisione obiettivi e scadenze per poter concentrare gli interventi nei settori prioritari e valutare i progressi. Sebbene le tendenze non sostenibili costituiscano problemi a lungo termine che richiedono soluzioni a lungo termine, l'unico modo di accertarsi che la società si stia muovendo nella giusta direzione consiste nel definire obiettivi intermedi chiari e nel valutare i progressi. La definizione di obiettivi a lungo termine non deve giustificare, pertanto, il rinvio degli interventi necessari».

3.12

Anche il Comitato, nel proprio parere dell'aprile 2004, aveva criticato il fatto che la strategia per lo sviluppo sostenibile contenesse obiettivi troppo difficili da comprendere e quindi anche da controllare. Aveva altresì segnalato che non era stato sempre così e che anche nella comunicazione della Commissione che in fondo era servita da base per l'elaborazione della strategia per lo sviluppo sostenibile erano stati formulati obiettivi chiari (13).

3.12.1

Il Comitato, già nel summenzionato parere, aveva spiegato chiaramente che senza obiettivi adeguati e senza la formulazione di obiettivi intermedi la strategia sarebbe stata priva di orientamento. In tale occasione il Comitato aveva anche sollevato la questione di che cosa sia in realtà una «strategia» e aveva osservato che una strategia, per definizione, è un piano preciso dell'azione che un determinato soggetto deve intraprendere per raggiungere un obiettivo, tenendo conto fin dall'inizio dei fattori che potrebbero influire su di essa. Di conseguenza, la futura strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile dovrebbe:

stabilire obiettivi chiari,

illustrare i singoli strumenti per il raggiungimento dell'obiettivo o degli obiettivi, il che comporta anche un'accurata descrizione delle responsabilità, competenze e possibilità di influsso di ognuno,

eventualmente, suddividere gli obiettivi a lungo termine in obiettivi intermedi, il cui rispetto o raggiungimento sarebbe controllato regolarmente mediante indicatori comprensibili,

prestare attenzione ai fattori che potrebbero ostacolare un percorso così strutturato e

garantire che tutte le politiche siano costantemente analizzate e valutate in base a criteri di sostenibilità (14).

3.13

Il difetto più grave della comunicazione all'esame e della «piattaforma d'azione» ivi contenuta consiste però nel fatto che ancora una volta non vengono descritti indicatori e obiettivi veramente chiari e non viene indicata la strada da percorrere per realizzarli, nonostante tutto ciò sia giudicato necessario dalla stessa Commissione. In effetti, il documento annuncia al massimo «azioni chiave» assai vaghe e l'Allegato 2 elenca una serie di «obiettivi operativi» ed «esempi di azioni chiave in corso o previste» che appaiono o arbitrari o poco significativi, o che tutt'al più vanno «studiati» o «presi in considerazione».

3.14

Non viene indicato nemmeno chi in ultima analisi dev'essere responsabile di che cosa, né in che modo vadano collegati tra loro i diversi livelli politici per ottenere le migliori sinergie possibili partendo dalla combinazione delle varie competenze.

Nessun dibattito sugli strumenti

3.15

Il Comitato ha preso atto con grande interesse del capitolo 3.2 e delle osservazioni relative alla combinazione più efficace di strumenti. È verissimo che «i governi e gli altri organi pubblici dispongono di un'ampia gamma di strumenti con cui possono incoraggiare i cittadini a cambiare comportamento: la regolamentazione, la fiscalità, le commesse pubbliche, le sovvenzioni, gli investimenti, le spese e le informazioni. La sfida consiste nel trovare la giusta combinazione di ingredienti politici (…). Il metodo più efficace per promuovere il cambiamento è forse quello di assicurare che il mercato invii i segnali giusti (“fissare prezzi che riflettano i costi”), offrendo così ai cittadini un forte incentivo a cambiare il loro comportamento e modificando di conseguenza il mercato. Questo si può ottenere se tutti noi, produttori e consumatori, sopportiamo pienamente i costi e le conseguenze delle nostre decisioni — quando siamo noi a prendere tali decisioni. Questo significa, ad esempio, integrare nel prezzo del prodotto il costo imposto agli altri membri della società dagli “inquinatori” (…).»

3.16

Il Comitato non può che confermare il suo sostegno a questa impostazione, che coincide con le richieste formulate in molti suoi pareri adottati negli ultimi anni (15). Tuttavia, si duole profondamente che il documento si limiti a un'analisi della situazione e non contenga alcuna indicazione su come si intende procedere a questa internalizzazione dei costi esterni.

3.17

Già nella sua relazione dell'aprile 2004 il Comitato aveva esortato la Commissione ad intervenire e ad avviare e portare avanti un dialogo con tutti gli ambienti interessati. Le parti interessate, infatti, non hanno solo un profondo interesse, ma anche il diritto di sapere come ed entro quando si intende garantire l'internalizzazione dei costi esterni. Il Comitato, già allora, aveva invitato anche a chiarire quali sarebbero state le conseguenze dell'internalizzazione dei costi sulla competitività dell'economia in generale e, in particolare, nel settore dei trasporti. La Commissione stessa aveva infatti rilevato che meno della metà dei costi esterni ambientali è internalizzata nei prezzi di mercato, il che significa che vengono incoraggiati modelli di domanda non sostenibili (16) .

3.18

Il Comitato si chiede quando e in che contesto la Commissione intenda finalmente organizzare questo dibattito. A suo parere la strategia per lo sviluppo sostenibile è proprio il contesto giusto. Si duole che la presentazione di una comunicazione sull'uso degli strumenti di mercato per la politica ambientale nel mercato interno, già promessa da oltre due anni, si faccia ancora attendere.

3.19

Si duole inoltre del carattere relativamente poco vincolante delle affermazioni della Commissione, secondo cui «gli Stati membri, insieme alla Commissione, dovrebbero scambiare le esperienze e le pratiche migliori su come trasferire l'imposizione fiscale dal lavoro al consumo e/o all'inquinamento, senza conseguenze sul reddito, per contribuire agli obiettivi dell'Unione di aumentare l'occupazione e proteggere l'ambiente». Esorta pertanto la Commissione ad intervenire direttamente su questo punto, svolgendo quanto prima ricerche al riguardo e trasmettendone poi i risultati alle istituzioni europee unitamente a una valutazione e ad un'analisi d'impatto, sotto forma di comunicazione.

3.20

Un ulteriore grave difetto della comunicazione all'esame, oltre al mancato rispetto di una vecchia virtù dell'UE, cioè quella di formulare obiettivi chiari e stabilire scadenze chiare, è dato dal fatto che non è previsto alcun dibattito sui possibili strumenti e le relative conseguenze. In questo modo, ovviamente, si evitano possibili conflitti, ma il Comitato ha esortato più volte a cercare attivamente proprio questo confronto critico con tutte le parti coinvolte poiché senza di esso il processo dello sviluppo sostenibile non avanzerà in modo decisivo.

3.21

Il Comitato esprime parere favorevole sull'intenzione di coordinare meglio le strategie nazionali con quelle europee. A tal fine, però, come già affermato, è necessaria dapprima una vera strategia europea e non solo un documento che riunisce posizioni, intenzioni e programmi che sono già noti da tempo, ma non sono stati in grado di invertire sufficientemente le tendenze negative.

3.22

Dal documento in esame si evince che le valutazioni d'impatto svolgono un ruolo fondamentale per migliorare la coerenza tra le diverse iniziative e le varie fasi di ciascuna di esse (pianificazione, attuazione ecc.). Tuttavia è fondamentale tenere presente che queste valutazioni non devono basarsi unicamente sui costi generati, ma devono tener conto anche dei vantaggi economici, sociali e ambientali (17). È quindi importante prevedere un criterio simile al «test della competitività» per sincerarsi che queste due ultime dimensioni non vengano trascurate.

3.22.1

Il Comitato ribadisce quanto affermato, e cioè che l'ammissibilità dei progetti al finanziamento a titolo dei diversi programmi e voci di bilancio dovrebbe basarsi sul criterio dello sviluppo sostenibile (18). Questo criterio andrebbe preso in considerazione anche al momento della valutazione dell'efficacia delle spese.

Assenza di una governance chiara

3.23

Oltre agli obiettivi poco chiari e alla sospensione del dibattito sugli strumenti, il CESE individua un'ulteriore lacuna nel documento in esame. La Commissione, infatti, non fornisce alcuna risposta alla questione della ripartizione delle responsabilità. Si tratta di una questione delicata, dato che alcune delle azioni previste sono di competenza comunitaria (rientrando nella politica commerciale comune) ed altre di competenza degli Stati membri (energia) o sono oggetto di tentativi di coordinamento a livello europeo (politica sociale). A questa diversità di competenze si aggiunge poi un'ulteriore dimensione, ossia l'aspetto globale (di cui si è trattato in precedenza).

3.24

Il CESE ritiene che una delle ragioni per cui non vi sono stati dei veri progressi sul piano dello sviluppo sostenibile sia la molteplicità delle strategie, dei piani d'azione, ecc., nonché le modifiche che vi sono state apportate nel corso degli anni, in base alle priorità politiche del momento. In linea con i principi guida dello sviluppo sostenibile enunciati dal Consiglio europeo del giugno 2005 (19), il Comitato ritiene che, per quanto concerne le misure, spetti alla Commissione stabilire in modo chiaro quale istanza sia competente al riguardo, in modo che tale istanza possa poi farsi garante, nei confronti delle altre parti interessate, della stabilità nel lungo periodo e della coerenza con le altre misure.

3.25

In virtù dei principi enunciati nel Libro bianco sulla governance, considerata la volontà di «colmare il fossato» tra l'UE e i suoi cittadini manifestata nel Libro bianco sulla politica di comunicazione, e in seguito al forum consultivo del 20 e 21 marzo 2006 sullo sviluppo sostenibile, il Comitato reputa che una consultazione strutturata e permanente delle parti interessate sia indispensabile per convertire l'impegno degli attori che operano sul terreno in progressi significativi e per dare forma concreta allo sviluppo sostenibile. Il CESE si impegnerà quindi a mettere a punto una banca dati simile a quella di cui dispone già per il mercato unico (PRISM). L'obiettivo sarà quello di recensire gli ostacoli incontrati dagli attori sul terreno, di diffondere le buone pratiche, fornire informazioni relative alle organizzazioni responsabili dei progetti innovativi, concretizzare l'approccio dal basso verso l'alto e migliorare le conoscenze su cui si basa soprattutto la Commissione per l'elaborazione delle proposte di direttiva, delle analisi d'impatto e delle comunicazioni.

3.26

Inoltre, il Comitato ritiene che la riforma del Fondo monetario internazionale, annunciata per il 2008, offrirà ai rappresentanti europei un'occasione di esprimersi in modo unitario per far sì che il concetto di sviluppo sostenibile divenga uno dei criteri di assegnazione degli aiuti.

3.27

Il Comitato si compiace che la Commissione abbia annunciato di voler controllare regolarmente — e precisamente ogni due anni — il processo di sostenibilità, in base a una relazione sui progressi compiuti, coinvolgendo anche il Consiglio europeo e il Parlamento europeo ed avvalendosi del contributo apportato dal CESE e dal CdR in quanto catalizzatori nella società.

Legami con la politica industriale moderna e con la ricerca

3.28

Nella recente comunicazione sulla nuova politica industriale (20) la Commissione annuncia, da un lato, la creazione di un gruppo ad alto livello sulla competitività, l'energia e l'ambiente e, dall'altro, una riflessione sugli aspetti esterni della competitività e l'accesso ai mercati (primavera 2006), nonché su una gestione delle trasformazioni strutturali nell'industria manifatturiera (fine 2005). Il Comitato si compiace dell'istituzione (nel febbraio 2006) di un gruppo ad alto livello, nonché del mandato (21) ad esso conferito, e si offre di assistere il gruppo nei suoi lavori ove necessario. Inoltre, il Comitato auspica che tali riflessioni, che in futuro verranno precisate ulteriormente dalla Commissione, siano conformi all'impegno assunto, che consiste nel garantire che le sinergie tra le politiche europee siano sfruttate in modo adeguato e che i vantaggi e gli inconvenienti siano tali da poter conseguire l'obiettivo della sostenibilità.

3.29

Se da un lato il Comitato è un instancabile sostenitore dell'obiettivo di destinare il 3 % del PIL alla R&S (i 2/3 di tale importo dovranno provenire dal settore privato), dall'altro esso reputa che tali investimenti e l'innovazione che ne scaturisce debbano iscriversi nella prospettiva della promozione dello sviluppo sostenibile. Sarebbe opportuno che, nei limiti del possibile, la Commissione con l'aiuto di Eurostat e dei suoi omologhi nazionali presentasse periodicamente una relazione per fare il punto della situazione, al fine di conciliare la strategia di Lisbona e la strategia globale per lo sviluppo sostenibile. Se del caso, essa dovrebbe formulare delle raccomandazioni nel quadro degli orientamenti integrati per garantire la compatibilità e la sinergia fra le due strategie.

4.   Osservazioni riguardanti alcuni dei settori chiave illustrati nel documento della Commissione

4.1   Cambiamenti climatici ed energia pulita

4.1.1

Il Comitato constata con estremo disappunto che nella sua comunicazione la Commissione ammette quasi rassegnata che non è più possibile arrestare i cambiamenti climatici e che ormai non resta che attenuarne l'impatto per quanti ne risentono maggiormente.

4.1.2

Le «azioni chiave» in questo ambito consistono in mere dichiarazioni d'intenti e nel cauto annuncio, non formale, d'impegni di più ampia portata e di accordi internazionali. L'assenza di obiettivi chiari in questa particolare politica è tanto più inquietante se si considera che sarà manifestamente impossibile realizzare gli attuali obiettivi riguardanti la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2012, e questo malgrado le crescenti minacce e l'ormai innegabile verificarsi di gravi perturbazioni atmosferiche, con conseguenze devastanti in termini di costi umani ed economici.

4.1.3

Il Comitato si compiace in ogni caso dell'intento, espresso in termini piuttosto generali, di sfruttare il potenziale proprio dell'UE per conseguire maggiore efficienza e realizzare sviluppi tecnologici nel settore delle energie rinnovabili e del consumo energetico. Pur appoggiando questi obiettivi della Commissione, il Comitato raccomanda al Consiglio e alla Commissione di stabilire senza alcun indugio degli obiettivi chiari e al tempo stesso ambiziosi e di illustrare gli strumenti per realizzarli, consultando poi al riguardo tutte le parti interessate.

4.1.4

Attualmente sembra che l'industria stia per ottenere ottimi risultati per quanto riguarda le centrali a carbone che non emettono CO2. Nel quadro di una strategia per lo sviluppo sostenibile ci si può senz'altro aspettare che venga affrontata la questione di quali condizioni generali (e quindi quali strumenti) la politica debba creare per promuovere l'impiego di una tale tecnologia.

4.2   Esclusione sociale, demografia e immigrazione

4.2.1

Se da un lato il Comitato si compiace che nel piano d'azione la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale non si riduca unicamente a una questione di redditi bassi, dall'altro reputa che le azioni chiave proposte siano largamente insufficienti. In particolare, la Commissione dovrebbe procedere ad un aggiornamento degli indicatori di Laeken (22) sulla qualità del lavoro (23) e rafforzare questa dimensione negli orientamenti in materia.

4.2.2

La Commissione annuncia che consulterà le parti sociali sul tema della conciliazione tra vita professionale e vita privata. A parere del Comitato, qualora le parti sociali ritenessero opportuno affrontare la questione ma non riuscissero poi a concretizzare questo approccio in un accordo a norma dell'articolo 139 del Trattato, la Commissione e il legislatore europeo dovrebbero occuparsene. Questo approccio dovrebbe peraltro essere consentito anche negli altri settori previsti.

4.3   Gestione delle risorse naturali

4.3.1

Anche per la priorità relativa alle risorse naturali le «azioni chiave» non sembrano comportare un impegno formale, o risultano assolutamente poco credibili. Basti considerare che la Commissione scrive: «l'Unione e gli Stati membri dovrebbero garantire strumenti di finanziamento e di gestione sufficienti alla rete Natura 2000 delle zone protette e integrare in modo più efficace le preoccupazioni sulla biodiversità nelle politiche interne ed esterne in modo da arrestare la perdita di biodiversità». Considerate le decisioni prese dal Consiglio europeo del dicembre 2005 in merito al bilancio, che hanno comportato dei tagli proprio in questo settore, l'opinione pubblica, ovviamente, capisce subito fino a che punto nella politica dell'UE vi sia un abisso tra le ambizioni e la realtà.

4.3.2

Gli «obiettivi operativi» indicati nella sezione dell'Allegato 2 intitolata «Gestire più efficacemente le risorse naturali» si limitano a ribadire politiche già note ed adottate. È il caso, per esempio, dell'obiettivo di portare al 12 % entro il 2010 la quota di consumo energetico coperta con fonti rinnovabili, obiettivo che la stessa Commissione aveva già indicato in un Libro bianco del 1997 (24) (!) e poi, in una comunicazione del 2004 (25), ritenuto irrealizzabile con le misure attuali. Nonostante tale previsione, nel documento in esame non viene proposta alcuna nuova misura e non è effettuata alcuna analisi delle cause di questo fallimento annunciato.

4.3.3

Il Comitato ritiene che, anche nel campo della gestione delle risorse naturali, prefiggersi degli obiettivi ambiziosi e rivolti al futuro, come quelli enunciati dalla Svezia all'inizio di febbraio del 2006, susciterebbe più clamore, attenzione e sostegno di queste vaghe dichiarazioni di intenti, che non appaiono né nuove né attuali. Come si sa, la Svezia si è posta l'obiettivo a lungo termine non solo di sostituire i combustibili fossili, ma anche di abbandonare il nucleare.

4.3.4

Inoltre, nel campo del risparmio e dell'efficienza energetici si potrebbe indicare un altro obiettivo, altrettanto efficace in termini di visibilità, rivolto verso il futuro e propizio all'innovazione: far sì che, ad esempio entro il 2020, tutti i nuovi edifici costruiti nell'Unione europea siano «edifici a energia zero», ossia che non necessitano di alcun apporto supplementare di energia dall'esterno.

4.4   Trasporti sostenibili

4.4.1

Nella sezione relativa ai trasporti si afferma dapprima che «le tendenze attuali non sono sostenibili».

4.4.2

Dopo di che la Commissione scrive: «I benefici della mobilità possono essere realizzati ad un costo economico, sociale e ambientale nettamente inferiore. Questo obiettivo può essere conseguito riducendo la necessità dei trasporti (ad esempio modificando l'uso dei suoli e favorendo il telelavoro e le videoconferenze), utilizzando più efficacemente le infrastrutture e i veicoli, cambiando le modalità di trasporto, ad esempio ricorrendo al trasporto ferroviario invece che a quello stradale, coprendo brevi distanze a piedi e in bicicletta, potenziando i trasporti pubblici, utilizzando veicoli più puliti e sviluppando alternative al petrolio, quali i biocarburanti e i veicoli a idrogeno». Ciò corrisponde sostanzialmente a quanto affermato nel parere del CESE sul tema Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofimobilità sostenibilefinanziamento  (26). Inoltre, la Commissione afferma anche che «i benefici che si traggono da trasporti più sostenibili sono significativi e interessano una pluralità di settori».

4.4.3

Il Comitato si compiace, in linea di principio, delle affermazioni e dei riferimenti relativi a situazioni vantaggiose per tutti. Tuttavia si chiede per quale motivo poi, nonostante tutti questi vantaggi e queste possibilità, si registrino ancora le tendenze negative ripetutamente descritte, ad esempio nel settore dei trasporti, e la Commissione debba quindi constatare una tendenziale involuzione al riguardo.

4.4.4

Devono esserci delle ragioni per cui le persone e le imprese puntano su modi di trasporto non sostenibili e li preferiscono in larga misura, nonostante i vantaggi dei trasporti sostenibili illustrati dalla Commissione. I motivi che inducono a questa scelta non vengono analizzati, ma senza una tale analisi non è possibile elaborare le strategie giuste per porvi rimedio.

4.4.5

Nel settore dei trasporti la Commissione cita 3 azioni chiave:

l'UE e gli Stati membri dovrebbero anzitutto rendere economicamente più interessanti le alternative al trasporto su strada per merci e passeggeri (il CESE prende atto del fatto che la Commissione non promette di non investire più nello sviluppo di alternative non sostenibili),

la Commissione europea continuerà ad esaminare il ricorso a sistemi di tariffazione delle infrastrutture nell'UE (il CESE constata che la Commissione non annuncia che procederà a un'imputazione completa dei costi di percorrenza e degli ulteriori costi esterni),

la Commissione proporrà un pacchetto di misure volte a migliorare le prestazioni ambientali delle automobili promuovendo veicoli puliti ed efficienti dal punto di vista energetico (e il CESE se ne compiace).

4.4.6

A giudizio del Comitato è più che dubbio che l'UE, con le summenzionate azioni chiave, riesca a tenere sotto controllo l'«aumento della congestione» tanto deplorato nella strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile (27) e che si possa quindi arrivare, ad esempio, a ridurre il traffico in misura sufficiente. Le richieste e le affermazioni formulate nelle azioni chiave sono decisamente meno ambiziose di quanto affermato in precedenti documenti dell'UE, come ad esempio quello sulla «rete dei cittadini» o il Libro bianco sulla politica dei trasporti (28).

4.4.7

Un obiettivo ben più attraente — ai fini della sensibilizzazione del grande pubblico riguardo alla strategia in esame — e ben più ambizioso e appropriato potrebbe essere invece, ad esempio, quello di autorizzare in Europa, entro il 2020 o il 2025, soltanto i veicoli che non producono emissioni. Ciò rappresenterebbe un notevole incentivo alla ricerca e sviluppo, stimolerebbe l'innovazione tecnologica e aumenterebbe la competitività delle automobili europee, con ricadute positive anche sullo sviluppo economico dell'Unione europea. Si tratterebbe inoltre di un approccio tecnologico che potrebbe contribuire a evitare che lo sviluppo dei trasporti in alcuni paesi emergenti, ansiosi di recuperare il loro ritardo in questo campo, abbia un impatto disastroso sull'ambiente e sul clima.

4.4.8

Un tale obiettivo strategico nel settore dei trasporti, accompagnato dall'attuazione delle misure chieste dal CESE per favorire lo sviluppo sostenibile del settore (29), sarebbe degno di una strategia europea per lo sviluppo sostenibile e consentirebbe di produrre gli effetti positivi per tutte le parti interessate più volte invocati.

4.5   Povertà mondiale e sfide dello sviluppo

4.5.1

Il Comitato è critico sul fatto che nella comunicazione vengano quasi «riciclate» richieste che l'UE formula da anni, ma alle quali non si è ancora dato seguito. Un esempio è dato dall'azione chiave della sesta priorità «Povertà mondiale e sfide dello sviluppo», nella quale si afferma che «l'UE e gli Stati membri dovrebbero aumentare il volume di aiuti fino a raggiungere lo 0,7 % del reddito nazionale lordo (RNL) nel 2015, con un obiettivo intermedio dello 0,56 % nel 2010 e obiettivi individuali dello 0,51 % per l'UE dei 15 e dello 0,17 % per l'UE dei 10». Il Comitato non dubita affatto che si tratti di una richiesta giusta (30). Fa solo presente che le nazioni industrializzate, già nel corso dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 24 ottobre 1970 (cioè oltre 35 anni fa!), avevano promesso di stanziare lo 0,7 % del loro PIL per gli aiuti allo sviluppo (importo che però da solo, ovviamente, non risolverebbe tutti i problemi). Ripetendo continuamente delle promesse che poi non vengono mantenute, la politica non diventa certo più attendibile.

4.5.2

Il Comitato si compiace ovviamente di tutti gli sforzi annunciati per la lotta contro la povertà mondiale. La Commissione si impegna a moltiplicare gli sforzi per garantire che il commercio internazionale venga utilizzato come strumento per promuovere uno sviluppo davvero sostenibile. Si tratta senz'altro di un approccio estremamente importante e forse, in una prospettiva globale, finanche decisivo. Quello raggiunto in sede OMC è un accordo di natura commerciale, che non contempla alcun criterio per lo sviluppo sostenibile, benché gli scambi mondiali abbiano un impatto determinante al riguardo. Il Consiglio e la Commissione, quindi, dovrebbero dare il giusto rilievo a questa importante dichiarazione, ma anche delineare i modi in cui si prevede di darvi attuazione.

4.5.3

Ciò è importante anche per mostrare chiaramente all'opinione pubblica che non si tratta di una mera dichiarazione programmatica. Secondo il CESE, è chiaro che gli aiuti finanziari non possono, da soli, migliorare in modo duraturo le condizioni di vita e di lavoro delle popolazioni dei paesi emergenti.

Ricordando che nella risoluzione del Consiglio del marzo 2005 sulla dimensione sociale della globalizzazione il concetto di «lavoro dignitoso» è stato posto al centro della politica estera dell'UE, il Comitato non può rassegnarsi ad accettare che alcuni paesi fondino i loro vantaggi comparativi sul mancato rispetto delle norme dell'OIL o di quelle ambientali. Tali norme, infatti, non sono una forma velata di protezionismo sostenuta dai paesi ricchi; al contrario, esse contribuiscono a garantire la dignità umana, il progresso sociale e la giustizia. L'UE dovrebbe monitorare i progressi compiuti in questi settori e imporre ritorsioni commerciali qualora la valutazione — da effettuarsi possibilmente in cooperazione con le parti sociali riconosciute dall'OIL nei paesi interessati (o con organizzazioni rappresentative e riconosciute che lavorano in loco) — dovesse giungere alla conclusione che vi è un deterioramento della situazione. Il CESE deplora che la comunicazione in esame non faccia riferimento a questo aspetto.

4.6

Più in generale, il Comitato invita la Commissione e gli Stati membri a dimostrare ai loro partner commerciali che lo sviluppo sostenibile non va considerato una fonte di costi, ma piuttosto un fattore di ricchezza sia per le loro economie che aspirano a un livello di vita più elevato sia per il mondo intero.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 658 def.

(2)  GU C 117 del 30.4.2004, pag. 22.

(3)  GU C 267 del 27.10.2005, pag. 22.

(4)  COM(2005) 37 def. del 9.2.2005.

(5)  

1)

COM(2005) 658 def.: Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile — Una piattaforma d'azione (13.12.2005) (http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0658it01.pdf).

2)

Relazione dell'Eurostat intitolata Measuring progress towards a more sustainable Europe — Sustainable development indicators for the European Union — Data 1990 — (13.12.2005).

3)

Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, Allegato I — Dichiarazione sui principi guida dello sviluppo sostenibile. (http://register.consilium.eu.int/pdf/it/05/st10/st10255-re01.it05.pdf).

4)

COM(2005) 37 def.: Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Valutazione 2005 della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile: bilancio iniziale e orientamenti futuri (9.2.2005) (http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2005/com2005_0037it01.pdf).

5)

SEC(2005) 225: Documento di lavoro della Commissione The 2005 Review of the EU Sustainable Development Strategy — Stocktaking of Progress.

(6)  GU C 117 del 30.4.2004, pag. 22.

(7)  GU C 325 del 24.12.2002, pag. 5.

(8)  http://www.cpi.cam.ac.uk/bep/downloads/CLG_pressrelease_letter.pdf (documento in inglese).

(9)  Tra questi, si segnalano in particolare i seguenti documenti di lavoro:

 

The effects of environmental policy on European business and its competitiveness — a framework for analysis, SEC(2004) 769 (disponibile solo in inglese),

 

On the links between employment policies and environment policies, SEC(2005) 1530 (disponibile solo in inglese),

 

Employment and productivity and their contribution to economic growth, SEC(2004) 690 (disponibile solo in inglese, francese e tedesco).

(10)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), GU C 234 del 22.9.2005, pag. 32, e il parere esplorativo sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie, GU C 267 del 27.10.2005, pag. 22.

(11)  Cfr. anche il discorso pronunciato dalla commissaria all'agricoltura, FISCHER BOEL il 12.1.2006 alla Settimana verde internazionale.

(12)  COM(2005) 658 def., Allegato 2, pag. 27.

(13)  In tale comunicazione erano stati definiti obiettivi in parte molto ambiziosi: si era parlato p. es. della necessità, a lungo termine, di ridurre il CO2 del 70 % (COM(2003) 745 def.)

(14)  GU C 117 del 30.4.2004, pag. 22, punto 2.2.7.

(15)  Da ultimo nel parere di iniziativa sul tema Le fonti energetiche rinnovabili adottato il 15.12.2005, punto 1.3, GU C 65 del 17.3.2006, pag. 105.

(16)  SEC(1999) 1942 del 24.11.1999, pag. 14 (non disponibile in italiano).

(17)  Cfr. la Comunicazione della Commissione relativa a un metodo comune in ambito UE per la valutazione dei costi amministrativi imposti dalla legislazione, COM(2005) 518 def.

(18)  Parere esplorativo sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie, GU C 267 del 27.10.2005, pag. 22.

(19)  Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo del 16 e 17 giugno 2005, Allegato I — Dichiarazione sui principi guida dello sviluppo sostenibile.

(20)  Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE — verso un'impostazione più integrata della politica industriale, COM(2005) 474 def.

(21)  Cfr. comunicato stampa IP/06/226.

(22)  Qualità intrinseca del lavoro; competenze, istruzione, formazione permanente e avanzamento di carriera; parità tra i sessi; tutela della salute e sicurezza sul lavoro; flessibilità e sicurezza; integrazione e accesso al mercato del lavoro; organizzazione del lavoro e conciliazione tra la vita professionale e la vita privata; dialogo sociale e partecipazione dei lavoratori; diversità e non discriminazione; prestazioni lavorative complessive.

(23)  Cfr. la comunicazione della Commissione Migliorare la qualità del lavoro: un'analisi degli ultimi progressi, COM(2003) 728 def.

(24)  COM(1997) 599 def.

(25)  COM(2004) 366 def.

(26)  GU C 108 del 30.4.2004, pag. 35.

(27)  COM(2001) 264 def.

(28)  Libro bianco La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, COM(2001) 370 def.

(29)  Cfr. il parere d'iniziativa del CESE sul tema Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofi — mobilità sostenibile — finanziamento (GU C 108 del 30.4.2004 pag. 35), nel cui ambito si è discusso fra l'altro anche della possibilità di ricorrere a strumenti fiscali.

(30)  Cfr. il parere del CESE sul tema Integrare ambiente e sviluppo sostenibile nella politica di cooperazione economica e allo sviluppo, GU C 14 del 16.1.2001, pag. 87.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla valutazione e alla gestione delle alluvioni

COM(2006) 15 def. — 2006/0005(COD)

(2006/C 195/09)

Il Consiglio, in data 13 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Raccomandazioni e conclusioni

1.1

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione abbia presentato una proposta di direttiva sulle alluvioni, come lo stesso CESE aveva chiesto nel parere relativo ad una precedente comunicazione sullo stesso argomento (1); apprezza in particolare che la proposta adotti la metodologia e gli strumenti creati dalla direttiva quadro sulle acque (DQA). L'inserimento della mappatura e dei piani relativi al rischio di inondazioni nel piano di gestione del bacino idrografico permette di regolare tutte le questioni attinenti alla gestione delle acque continentali e delle zone marittime inserite nei bacini.

1.2

Affinché la nuova disciplina sia efficace è essenziale una valutazione preliminare della situazione dei bacini idrografici e delle zone costiere, che permetta una diagnosi approfondita della situazione attuale, specialmente in zone che sono ad alto rischio a causa di interventi umani o del cambiamento climatico.

1.3

Occorre inoltre dare grande rilievo alle azioni preventive contro gli effetti dannosi delle alluvioni, e in special modo alle misure rivolte alla popolazione, che si basano su interventi miranti a promuovere l'informazione e la partecipazione. Il Comitato chiede pertanto alla Commissione di aver cura che le disposizioni in tal senso, previste dall'articolo 14 della direttiva quadro sulle acque e dalla proposta di direttiva, figurino nei piani di gestione dei bacini idrografici.

1.4

I piani di gestione dei distretti idrografici e le mappe di rischio, di cui alla proposta di direttiva, devono essere ampliati. La classificazione dei bacini a rischio elevato deve essere integrata da azioni prioritarie, dotate di un finanziamento adeguato, e da criteri volti a ridurre al minimo i costi e accrescere i benefici per la popolazione. Ciò deve condurre a uno sviluppo sostenibile integrato delle zone inondabili.

1.5

Va infine sottolineato che, ai fini delle azioni comunitarie in materia di ricerca e di coordinamento multidisciplinare, bisogna potenziare tutte le politiche che incidono sulle acque europee.

2.   Considerazioni preliminari

2.1

Nello sviluppo della direttiva 2000/60/CE, o direttiva quadro sulle acque, rimaneva una lacuna: la determinazione di un obiettivo per la prevenzione e il contenimento delle alluvioni e la protezione da esse. Nell'ultimo decennio il territorio dell'UE ha subito più di 100 alluvioni, con un numero elevato di vittime e gravi danni economici. La Commissione ha presentato una comunicazione (2) in cui analizza la situazione, e una proposta di azione concertata nell'Unione europea. La proposta di direttiva in esame rientra in tale intervento.

2.2

Sia la comunicazione che la proposta di direttiva ribadiscono che è necessario coordinare tutti gli interventi di politica delle acque con le altre politiche comunitarie attinenti alla prevenzione e al contenimento delle alluvioni. La politica della ricerca, attraverso progetti di ricerca come FLOODsite, contribuisce al miglioramento dei metodi di gestione e di analisi integrata dei rischi di alluvioni. Dal canto loro la politica regionale, mediante i fondi strutturali, in particolare il Fondo di sviluppo regionale, e la PAC, con i meccanismi di dissociazione e di condizionalità (3), formano un insieme che permette di ottenere risultati migliori rispetto ad un'azione incentrata unicamente sul settore delle acque.

2.3

La proposta di direttiva è rivolta a ridurre e gestire i rischi di alluvioni che incombono sulla vita e sulla salute delle persone, sui loro beni, sulla natura e sull'ambiente. Il fatto che la proposta sia integrata nella direttiva quadro sulle acque permette di semplificare le procedure organizzative e amministrative, perché verranno utilizzate le demarcazioni idrografiche esistenti, secondo le norme della direttiva quadro. Pertanto, qualsiasi intervento volto a evitare o ridurre al minimo i rischi di alluvione dovrà essere compreso nei piani di gestione del bacino idrografico di ciascun fiume e le autorità competenti saranno le stesse in entrambi i casi e acquisiranno una nuova competenza. È da notare che facendo coincidere i calendari della nuova proposta con quelli stabiliti in precedenza si accresce il livello di efficacia.

2.4

Il CESE esprime il proprio sostegno alla proposta di direttiva. Da un'attenta considerazione del contenuto di tale documento risulta che numerose osservazioni esposte nel parere relativo alla comunicazione del 2004 sono state recepite (4). Al Comitato non rimane quindi che ribadire che la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo di garante della corretta applicazione, da parte delle amministrazioni competenti degli Stati membri, della direttiva quadro sulle acque e di tutte le relative disposizioni esecutive, senza perdere di vista i benefici che ne possono derivare per i paesi terzi che condividono con l'UE dei bacini idrografici.

3.   Sintesi della proposta

3.1

La proposta di direttiva è suddivisa in sette capi:

il capo I contiene le disposizioni generali e le definizioni di «alluvione» e di «rischio di alluvione», che sono complementari a quelle di cui all'articolo 2 della direttiva quadro sulle acque,

il capo II concerne la valutazione preliminare del rischio di alluvione per ciascun bacino idrografico; tale valutazione deve comprendere dei contenuti minimi, stabiliti nell'articolo 4, paragrafo 2. Sulla base di detta valutazione, i bacini vengono classificati in due categorie, quelli che non presentano rischi di inondazioni e quelli che presentano tale rischio in misura significativa. La suddetta valutazione dev'essere eseguita entro tre anni dall'entrata in vigore della direttiva,

il capo III riguarda le mappe del rischio di alluvione; in queste mappe non figurano solo i bacini fluviali, ma anche i tratti di litorale compresi nei distretti idrografici. Dette mappe saranno elaborate in base alla probabilità di alluvione di ciascuna zona geografica, in modo da poter valutare gli eventuali effetti sulla popolazione, l'economia della zona e l'ambiente,

il capo IV, contenente gli articoli 9 e seguenti, riguarda i piani di gestione del rischio. Gli Stati membri predisporranno ed eseguiranno i piani di gestione del rischio relativi a ciascun distretto idrografico, conformemente alla classificazione che risulta dalla valutazione preliminare, in modo da ridurre le probabilità di alluvione e le relative conseguenze. A tal fine essi interverranno sui seguenti aspetti: gestione delle acque, gestione del suolo, pianificazione del territorio e utilizzo del territorio. Le misure applicate non devono in nessun caso avere ripercussioni negative nei paesi vicini,

l'informazione e la partecipazione del pubblico, previste dal capo V, devono avvenire nel contesto sia della valutazione preliminare che dei piani di gestione, come stabilisce l'articolo 14 della direttiva quadro sulle acque,

il capo VI prevede tra l'altro che la Commissione sia assistita dal comitato di cui all'articolo 21 della direttiva quadro sulle acque,

il capo VII, infine, stabilisce che la Commissione dovrà presentare entro il 2018 una relazione al Parlamento e al Consiglio, mentre gli Stati membri dovranno comunicare alla Commissione, entro due anni dall'entrata in vigore della direttiva, il testo delle disposizioni adottate per conformarvisi.

4.   Osservazioni in merito alla proposta

4.1

Il CESE osserva che includendo la proposta in esame nella metodologia della direttiva quadro sulle acque si favorisce l'inserimento dei piani di gestione delle alluvioni nei piani di gestione dei bacini idrografici, garantendo così, da un lato, che si realizzi la pianificazione necessaria per agire su tutta l'estensione di un determinato bacino e, dall'altro, la compatibilità tra le misure e le azioni efficaci a vari livelli (locale, statale, transnazionale, ecc.), come pure il coordinamento di tutte le autorità competenti.

4.2

Inoltre, integrare nella direttiva quadro sulle acque la gestione delle alluvioni favorisce, sul piano concettuale, la definizione dell'alluvione come un fenomeno naturale e normalizzato nel regime fluviale e nella dinamica costiera. La definizione di rischio si riferisce agli effetti dannosi per la salute umana, l'ambiente e l'attività economica e, di conseguenza, ai danni per le masse idriche oggetto della direttiva quadro sulle acque.

4.3

La valutazione iniziale del rischio di alluvione costituiva una delle principali richieste del Comitato (5); riteniamo quindi che le disposizioni di cui agli articoli 4 e 5 della proposta di direttiva faciliteranno in termini scientifici i piani di gestione delle inondazioni. È importante sottolineare alcuni degli elementi che devono figurare nella valutazione:

descrizione delle alluvioni già avvenute in passato,

descrizione dei processi di alluvione e della loro sensibilità ai cambiamenti,

descrizione dei piani di sviluppo che potrebbero comportare modifiche nell'utilizzo del territorio o nella distribuzione della popolazione e delle attività economiche con il conseguente aumento del rischio di alluvione.

4.4

Ci sembra importante anche la classificazione dei bacini idrografici e dei tratti di litorali in base alla presenza o all'assenza di rischio di alluvione. Il CESE condivide il giudizio secondo cui lo scopo della gestione dei rischi è ridurre la probabilità e l'impatto delle alluvioni e a tale scopo è necessario redigere una classificazione delle azioni e delle misure che possono essere attuate e dei criteri di scelta da impiegare caso per caso.

4.5

In particolare il CESE propone alla Commissione di inserire nell'articolo 9 e nell'allegato A, relativi ai piani di gestione dei distretti idrografici, i principi e le misure seguenti:

l'adeguamento al funzionamento naturale dei sistemi idrici fluviali e costieri, da realizzarsi attraverso il recupero di spazi ed elementi naturali di autoregolamentazione dei bacini (rimboschimento delle zone di montagna, protezione delle zone umide e degli ecosistemi correlati, linee di controllo dell'erosione e della sedimentazione degli alvei, programmi che prevedano il cambio di destinazione, ecc.),

il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile delle zone inondabili, mediante:

la valutazione del potenziale economico reso disponibile utilizzando queste zone in maniera compatibile con il regime naturale delle inondazioni,

la pianificazione della transizione verso questi modelli nei diversi settori della pianificazione, in particolare urbanistica.

4.6

Per coinvolgere maggiormente la società civile nella prevenzione dei rischi di alluvione e delle relative conseguenze è importante predisporre in tutti gli Stati membri un sistema di informazione e di partecipazione del pubblico, come previsto dall'articolo 14 della direttiva quadro sulle acque. I relativi meccanismi di partecipazione devono comprendere sia i piani di rischio che le valutazioni preliminari.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere CESE 125/2005, GU C 221 dell'8.9.2005.

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Gestione dei rischi di inondazione - Prevenzione, protezione e mitigazione delle inondazioni (COM(2004) 472 def. del 12.7.2004).

(3)  Regolamento (CE) n. 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).

(4)  Parere CESE 125/2005 (cfr. nota 1). GU C 221 dell'8 settembre 2005.

(5)  Cfr. i punti 3.2 e 3.3 del parere CESE 125/2005 GU C 221 dell'8 settembre 2005.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce un meccanismo comunitario di protezione civile (rifusione)

COM(2006) 29 def. — 2006/0009 (CNS)

(2006/C 195/10)

Il Consiglio, in data 7 marzo 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 1 voto contrario e un'astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato apprezza la decisione adottata da Consiglio relativa al meccanismo comunitario di protezione civile, in quanto ritiene che, in generale, accolga le osservazioni che il Comitato aveva espresso nel parere, adottato nel novembre 2005, in merito alla comunicazione della Commissione Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile  (1).

1.2

Il comitato desidera inoltre mettere in risalto il fatto che il procedimento di rifusione, in quanto metodo di semplificazione della legislazione comunitaria, facilita la conoscenza e una migliore applicazione della normativa da parte delle autorità per la protezione civile degli Stati membri in modo tale da renderla più efficace in caso di catastrofi naturali o originate dall'uomo.

1.3

Il rafforzamento del meccanismo, grazie all'estensione delle competenze e, soprattutto, a un aumento della dotazione di risorse, faciliterà il suo intervento sia nel territorio comunitario che al di fuori di esso. È molto importante che si menzioni il coordinamento di tale meccanismo con quello delle nazioni Unite, l'Ufficio per il coordinamento delle questioni umanitarie (OCHA). Il Comitato ritiene tuttavia che tale coordinamento dovrebbe coinvolgere anche la Croce rossa e le ONG che operano nelle zone interessate oltre che le organizzazioni di volontariato, che svolgono un ruolo rilevante nelle catastrofi.

1.4

Una dotazione di bilancio sufficiente per il meccanismo è cruciale per il suo corretto funzionamento, ciò comporta il riconoscimento della necessità di migliorare l'informazione, della disponibilità di mezzi di trasporto, di fondi per la formazione degli esperti, ecc. Poiché considera questo punto di importanza cruciale, il Comitato ne ribadisce la necessità e ritiene che la Commissione dovrà disporre di tali fondi ed esigere dagli stati membri il rispetto di questi stessi obblighi affinché tutto il sistema della protezione civile assolva i propri compiti.

2.   Introduzione

2.1

Il meccanismo comunitario di protezione civile è stato creato nel 1981 (2) e, insieme con il programma di azione a favore della protezione civile (3), è stato utile durante tutto questo tempo per facilitare la mobilitazione e il coordinamento della protezione civile dentro e fuori l'UE. Sulla base dell'esperienza maturata nel corso di questi anni è risultata evidente la necessità di migliorare il meccanismo, soprattutto perché il Consiglio e il Parlamento europeo hanno riconosciuto l'importanza del suo intervento nelle grandi catastrofi verificatesi dentro e fuori il territorio europeo.

2.2

La commissione ha presentato una comunicazione (4) con l'obiettivo di migliorare il meccanismo; in essa si proponevano una serie di miglioramenti incentrati su:

un maggior coordinamento tra il meccanismo e i sistemi nazionali di protezione civile, come pure con gli organismi internazionali, specie con le Nazioni Unite,

una maggiore preparazione delle squadre, con specifico riferimento all'esistenza di nuclei di intervento rapido e alla creazione di nuclei di riserva in ogni Stato membro, disponibili ad operare dentro e fuori l'UE,

analisi e valutazione delle necessità in ciascuna catastrofe, mediante un sistema di allerta che utilizzi i mezzi del sistema comune di comunicazione e informazione per le emergenze (Common Emergency Communication and Information System — CECIS),

potenziamento della base logistica.

2.3

Il Comitato ha emesso un parere (5) su questa comunicazione in cui dava una valutazione positiva della proposta di miglioramento, pur affermando che, a suo parere, alcune misure potevano essere modificate alla luce dell'esperienza acquisita, soprattutto con gli ultimi interventi nel caso delle catastrofi verificatesi in Asia. Nel parere il comitato esponeva alla Commissione le seguenti proposte per migliorare il funzionamento del meccanismo:

potenziare il sistema CECIS, predisponendo una struttura di satelliti che consenta di avere un'informazione più completa sulle catastrofi e, di conseguenza, di disporre dei dati necessari per un intervento più efficace dei mezzi e delle persone,

nel quadro della formazione delle squadre d'intervento, tener presente la necessità dell'apprendimento delle lingue. Inoltre si segnalava la necessità di un sistema visibile di identificazione delle persone che l'UE invia in caso di catastrofi,

prevedere la necessità di mezzi minimi d'intervento che, coordinati dal meccanismo, siano a loro volta coordinati con quelli dell'ONU. Il comitato ritiene perciò necessario un corpo tecnico accentrato operativo sulle 24 ore, con una dotazione di bilancio sufficiente per operare nelle migliori condizioni,

fare in modo che il meccanismo possa utilizzare dotazioni proprie, sia di comunicazione che di trasporto.

3.   Osservazioni in merito alla proposta

3.1

La decisione del consiglio in esame, che fonde in un solo testo la precedente decisione del 23 ottobre 2001 e la comunicazione succitata, è in linea con il programma di semplificazione legislativa avviato dalla Commissione. Il metodo della rifusione utilizzato favorisce l'applicazione della decisione sia da parte del meccanismo di protezione civile sia da parte delle autorità nazionali responsabili per la protezione civile. Inoltre, anche il contenuto ne è risultato sostanzialmente migliorato, sia per quanto concerne il funzionamento del meccanismo, sia in riferimento alla dotazione di mezzi che gli consentono di operare.

3.2

Il Comitato apprezza questa iniziativa perché chiarifica la funzione dell'organismo comunitario che deve coordinare l'intervento in caso di catastrofi dentro e fuori l'UE, in special modo perché il suo campo di applicazione si estende, da un lato, alle catastrofi originate dall'uomo, agli atti terroristici e, dall'altro, all'inquinamento marino dovuto a cause accidentali.

3.3

Il comitato reputa di grande importanza l'inclusione di alcune proposte di miglioramento da esso avanzate nel parere del 2005. Per esempio, va sottolineato l'inserimento nell'articolo 2 dei mezzi e delle capacità militari disponibili per sostenere la protezione civile, che in molti casi si considerano indispensabili per un'azione rapida ed efficace. È stata inoltre accettata un'altra richiesta del Comitato, vale a dire l'adozione di disposizioni per i trasporti, la logistica e altri sostegni a livello comunitario.

3.4

Il Comitato ribadisce il suo accordo con la costituzione di nuclei d'intervento le cui risorse devono provenire dagli Stati membri sotto il coordinamento del meccanismo e che manterranno un collegamento permanente con il CECIS in modo che, attraverso un sistema di allerta rapida, si possa intervenire con i mezzi appropriati, inclusi i mezzi di trasporto supplementari.

3.5

È stata introdotta una modifica, non prevista nella comunicazione, riguardante gli interventi fuori del territorio comunitario. Essa stabilisce che sarà lo stato membro che assume in quel momento la presidenza del consiglio dell'UE ad assicurare il collegamento con il paese terzo colpito, sebbene sia il CECIS che dispone dell'informazione e la Commissione che nomina la squadra di coordinamento operativo che, a sua volta, si coordinerà con l'ONU. Il Comitato ritiene che sia importante coinvolgere nell'azione del meccanismo comunitario di protezione civile l'organo massimo di rappresentanza dell'UE e per tale ragione sollecita l'intervento dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'UE. Nonostante ciò il Comitato ha l'impressione che l'operatività completa del sistema non sia garantita.

3.6

È importante mettere in evidenza il nuovo articolo 10 in cui si stabilisce la complementarità del meccanismo comunitario con gli enti nazionali della protezione civile, disponendo che questi ultimi potranno essere sostenuti con mezzi di trasporto e mediante la mobilitazione di nuclei e squadre che possano agire sul campo.

3.7

Da ultimo, l'articolo 13 sancisce la competenza della Commissione per l'adozione delle regole d'attuazione relative alle misure previste nella decisione, specie la disponibilità di risorse per gli interventi, per il sistema CECIS, per le squadre di esperti, per la formazione degli stessi e per qualsiasi altra forma di sostegno supplementare. Il Comitato valuta in modo positivo il fatto che si riconosca la necessità di disporre di risorse adeguate, ma ritiene che queste debbano essere quantificate, in modo che il meccanismo possa operare in tutte le sfere di responsabilità che gli sono assegnate.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere CESE 1491/2005 del 14.12.2005, GU C 65 del 17.3.2006, pag. 41.

(2)  Decisione 2001/792/CE, Euratom.

(3)  Decisione del Consiglio, del 9.12.1999, che istituisce un programma d'azione comunitario a favore della protezione civile — 1999/847/CE.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile. COM(2005) 137 def.

(5)  Cfr. nota 1.


18.8.2006   

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C 195/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Migliorare la salute mentale della popolazione — Verso una strategia sulla salute mentale per l'Unione europea

COM(2005) 484 def.

(2006/C 195/11)

La Commissione, in data 14 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Migliorare la salute mentale della popolazione. Verso una strategia sulla salute mentale per l'Unione europea

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BEDOSSA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Sintesi

Nel Libro verde la Commissione afferma inequivocabilmente l'importanza della salute mentale in Europa e, di conseguenza, sostiene la necessità di elaborare una strategia

che sia composta di più elementi:

migliorare l'informazione sulla salute,

reagire più efficacemente alle minacce per la salute,

ridurre le disuguaglianze in questo campo,

garantire un livello elevato di salute e di protezione sociale mediante una strategia intersettoriale,

che definisca obiettivi:

promuovere la salute mentale di tutti,

dare ampio spazio alla prevenzione,

migliorare le condizioni di vita dei malati,

elaborare un sistema informativo e un programma di ricerca per l'Unione europea,

che formuli raccomandazioni, per esempio:

un progetto pilota sulla creazione di reti informative regionali che coinvolgano tutti gli operatori,

favorire il processo di deistituzionalizzazione per sfruttare meglio le risorse a disposizione,

che identifichi le buone pratiche da seguire per agevolare l'inclusione sociale dei malati mentali e tutelare i loro diritti, i quali dovrebbero rientrare nelle competenze dell'Agenzia per i diritti fondamentali dell'UE.

L'importanza della salute mentale si manifesta alla confluenza di più fattori evolutivi:

il fenomeno di massa dell'esplosione della domanda, con il cambiamento di paradigma dalla psichiatria alla salute mentale,

l'irreversibile entrata in scena dei pazienti e/o dei loro rappresentanti, che dà luogo a un'interazione nell'ambito di ogni politica,

lo squilibrio tra ospedale e ambulatorio e i problemi di flessibilità dell'intero sistema sanitario, dal pronto soccorso all'assistenza sociosanitaria.

2.   Esposizione del problema

2.1

I disturbi mentali sono tra le prime dieci cause di incapacità nel mondo e comportano quindi conseguenze socioeconomiche devastanti per le persone, le famiglie e i governi.

2.2

Le persone affette da disturbi mentali si trovano spesso a subire comportamenti discriminatori, atteggiamenti di esclusione e gravi violazioni dei loro diritti fondamentali.

2.3

Il Comitato rileva una correlazione tra i problemi di salute mentale e la povertà: quest'ultima accresce il rischio di disturbi e riduce la possibilità di accedere a interventi essenziali per la salute mentale. I governi devono quindi annoverare i problemi di salute mentale tra le principali preoccupazioni per la salute pubblica.

2.4

Spesso, purtroppo, la salute mentale non è considerata una priorità sanitaria, in parte perché non tutti i paesi possiedono la capacità di istituire servizi di salute mentale completi ed efficaci.

2.5

Lo strumento comunitario per la salute mentale si inserisce nel programma di sanità pubblica che l'Unione europea, sulla base dell'articolo 152 del Trattato, ha elaborato per il periodo 2003-2008. Va però osservato che gli interventi avviati a questo titolo devono tener conto delle competenze degli Stati membri in materia di organizzazione dei servizi sanitari e prestazione di cure mediche.

2.6

Nel quadro di un piano d'azione europeo, il Libro verde della Commissione punta ad avviare in Europa un ampio dibattito sul miglioramento della gestione della malattia mentale e sulla promozione del benessere mentale. Ciò per i seguenti motivi:

senza salute mentale la salute non è possibile, cosa importante per l'individuo come per la società. La salute mentale consente all'individuo di esprimere il proprio potenziale e di trovare una collocazione nella società, nella scuola e nella vita lavorativa. È inoltre un'essenziale fonte di coesione sociale per un'Unione europea intenzionata a diventare una società della conoscenza,

il disagio provocato dai disturbi mentali è molto pesante; ognuno di noi ha tra le persone care qualcuno che soffre di una malattia mentale. I disturbi compromettono la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie e sono una delle principali cause d'invalidità,

il costo sociale ed economico dei disturbi mentali è molto elevato e incide fortemente sulle risorse della società e sui meccanismi dell'economia, dell'istruzione, della società, dei sistemi penali e giudiziari. I dati di alcuni paesi indicano infatti che i disturbi mentali sono tra le principali cause di assenteismo, prepensionamento e riconoscimento di una pensione d'invalidità,

l'esclusione sociale, la stigmatizzazione e la discriminazione dei malati mentali sono tuttora una realtà. Talvolta i trattamenti possono ledere i diritti fondamentali e la dignità di questi malati, suscitando in loro un senso di sfida contro la società e compromettendo quindi il «capitale sociale» dell'Unione.

2.7

Il Libro verde è stato pubblicato dalla Commissione europea nell'ottobre 2005, in seguito alla conferenza ministeriale europea sulla salute mentale svoltasi nel gennaio 2005 e organizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dalla stessa Commissione. Basandosi sull'articolo 152 del Trattato («sanità pubblica»), la Commissione ha lanciato una consultazione su scala europea in merito alla salute mentale.

2.8

L'obiettivo espressamente dichiarato è migliorare la salute mentale della popolazione europea mediante una strategia che travalichi i confini del settore sanitario e tenda, più in generale, a «ripristinare» una prosperità sostenibile e accrescere la solidarietà, la giustizia sociale e la qualità della vita.

2.9

Nel corso di quest'anno il Libro verde deve suscitare un dibattito e un processo di consultazione tra i poteri pubblici, gli operatori del settore e le associazioni di pazienti, consentendo così di formulare proposte di azione comunitaria che, alla fine dell'anno, confluiranno nell'elaborazione di una strategia europea per la salute mentale.

3.   L'analisi e le proposte del Libro verde

3.1   Un'affermazione inequivocabile dell'importanza della salute mentale in Europa …

3.1.1

Secondo stime argomentate, nell'arco di un anno il 27 % degli adulti europei soffre di una forma di cattiva salute mentale: il 6,3 % di loro è affetto da disturbi somatoformi, il 6,1 % da depressione e un altro 6,1 % da fobie.

3.1.2

Il numero di suicidi registrato negli Stati membri dell'Unione supera quello dei decessi provocati da incidenti stradali o dall'HIV/AIDS.

3.1.3

Ciò ha molteplici conseguenze per la collettività, e la relazione in esame si propone di valutarle tenendo conto della perdita di produttività e del costo per il sistema sociale, educativo, penale e giudiziario.

3.1.4

Si registrano significative discrepanze non solo tra gli Stati membri ma anche al loro interno.

3.2   … che dimostra l'utilità di una strategia comunitaria per la salute mentale

3.2.1

Il programma d'azione comunitaria in materia di salute pubblica comprende già diverse iniziative destinate a:

migliorare l'informazione sulla salute,

reagire più efficacemente alle minacce per la salute,

garantire un livello elevato di salute e protezione sociale mediante una strategia intersettoriale,

ridurre le disuguaglianze in questo campo.

3.2.2

Una strategia comunitaria per la salute mentale potrebbe essere orientata verso i seguenti obiettivi:

promozione della salute mentale di tutti,

lotta al problema della cattiva salute mentale attraverso interventi preventivi,

miglioramento della qualità della vita dei malati mentali mediante l'inclusione sociale e la tutela dei loro diritti e della loro dignità,

elaborazione di un sistema dell'Unione europea per l'informazione e la ricerca sulla salute mentale e la comprensione del fenomeno.

3.2.3

Tra le iniziative comunitarie ipotizzabili vi potrebbero essere raccomandazioni del Consiglio per la riduzione dei comportamenti depressivi e suicidi, basate su un progetto pilota che ha consentito di diminuire del 25 % i tentativi di suicidio tra i giovani mediante la creazione di reti informative regionali comprendenti il settore sanitario, i pazienti e familiari e i facilitatori sociali.

3.2.4

Nel quadro della sua azione per una migliore inclusione dei malati mentali nella società, la Commissione europea invita gli Stati membri ad accelerare il processo di deistituzionalizzazione. Uno studio che ha commissionato di recente ha infatti confermato che la sostituzione degli istituti psichiatrici con centri di salute mentale distribuiti sul territorio ha consentito di migliorare la qualità di vita dei pazienti. Nel giugno 2005 è stata lanciata una gara d'appalto per la realizzazione di uno studio che punterà ad analizzare ed esporre le possibili modalità per sfruttare al meglio le risorse disponibili e che fornirà dati numerici sulla deistituzionalizzazione.

3.2.5

In quest'ambito si potrebbero ipotizzare altre iniziative comunitarie:

l'UE potrebbe determinare le buone pratiche da seguire per promuovere l'inclusione sociale dei malati mentali e tutelare i loro diritti,

la Carta inclusa nel progetto di Costituzione europea dovrebbe garantire condizioni adeguate per i malati mentali e gli ospedali psichiatrici, all'insegna dei diritti fondamentali e diritti dell'uomo.

3.2.6

L'Unione europea intende migliorare la comprensione della salute mentale sostenendo programmi di ricerca e favorendo le occasioni di contatto tra ricerca e ambienti decisionali.

4.   Il punto di vista del Comitato sulle proposte

4.1   L'importanza della salute mentale si manifesta alla confluenza di più fattori evolutivi

4.1.1

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dai seguenti dati: il fenomeno di massa dell'esplosione della domanda, il cambiamento di paradigma dalla psichiatria alla salute mentale, l'irreversibile entrata in scena degli utenti e dei familiari che li rappresentano. Ognuno di questi dati, con ritmi diversi a seconda del paese, ha indotto cambiamenti legislativi o normativi che sono espressione del loro maggiore o minore recepimento da parte della politica o dell'amministrazione.

4.1.2

La domanda di massa, che sta saturando tutte le strutture, è dovuta alla complessa interazione tra cambiamenti intervenuti, da un lato, nella rappresentazione da parte della società del fatto psichico e della psichiatria, ormai considerata più normale o meno stigmatizzata e, dall'altro, nell'offerta di servizi. Osservato allo stesso tempo in tutti i paesi sviluppati, l'incremento della domanda trova riscontro nell'epidemiologia: i disturbi mentali diagnosticabili presentano un tasso di prevalenza annuo nella popolazione generale pari al 15-20 %; sono causa di invalidità nel 12-15 % dei casi, quanto le malattie cardiovascolari e due volte più del cancro; sono all'origine del 30 % del numero totale di anni di vita persi per mortalità evitabile o invalidità (fonte: OMS, 2004). Questa pressione si riflette anche nell'arricchimento della programmazione sanitaria, che con il passare del tempo affida alla psichiatria sempre più compiti.

4.1.3

La combinazione tra domanda di massa e cambiamenti nella rappresentazione della malattia mentale ha accentuato il carattere ambulatoriale delle richieste di intervento. Alla dicotomia classica tra malattia e salute si è così sostituita l'esperienza più marcata di un passaggio tra stati clinici contigui che può condurre fino alla sofferenza psichica. Ciò ha reso impossibile scindere i disturbi osservati dal contesto sociale in cui compaiono, obbligando a stimare, nell'ambito della valutazione dei bisogni, anche le ripercussioni dei disturbi nella società. Oggi il compito della psichiatria consiste in gran parte nel precisare la diagnosi distinguendo ciò che è psichiatrico da ciò che non lo è e stabilendo ciò che lo è abbastanza per rendere necessario l'intervento della disciplina senza però ridursi ad essa, per consentire una condivisione del carico di lavoro con altri partner o per aiutare questi ultimi a ridiventare i soggetti principali dell'assistenza o della terapia. Queste tensioni dialettiche, a volte conflittuali, tra clinica, etica e organizzazione sono espressione dell'opposizione tra i paradigmi «psichiatria contro salute mentale» e di una terminologia a volte contraddittoria, perfino nei documenti ufficiali. Nella letteratura internazionale, però, la differenziazione tra psichiatria (psychiatry) e salute mentale (mental health) non pone praticamente nessun problema.

4.1.4

Infine, ultimo ma non per importanza, l'aspetto dell'acquisizione di potere da parte degli utenti e dei rappresentanti delle famiglie. È un fenomeno che esprime un'evoluzione generale, nazionale e internazionale, che non si limita alla psichiatria e che è stato accentuato da patologie come l'AIDS, che hanno profondamente alterato il rapporto tra medico e malato. Ne sono l'illustrazione più notevole la legislazione sui diritti del malato e il fatto che i documenti amministrativi del settore, nell'ambito dell'organizzazione dei servizi, della risposta ai bisogni e delle loro concrete applicazioni, facciano ora riferimento agli utenti e alle loro famiglie.

4.1.5

Quest'acquisizione di potere investe anche i rappresentanti della popolazione e tutti gli utenti potenziali. La politica generale, quella urbana in particolare, e la salute mentale rivelano sempre più chiaramente le interazioni esistenti tra loro. I rappresentanti eletti sono sempre più coinvolti nelle ripercussioni dell'evoluzione della psichiatria, che vedrà sempre più spesso la loro partecipazione.

4.1.6

Il fenomeno ha aggravato fortemente lo squilibrio tra ospedale e ambulatorio e i problemi di flessibilità dell'intero sistema sanitario, dal pronto soccorso all'assistenza sociosanitaria. Ha inoltre evidenziato il frequente insuccesso della deistituzionalizzazione e la mancata integrazione della psichiatria nel complesso ospedaliero. Poiché i confini tra sanitario e sociale, professione e formazione sono permeabili, una delle chiavi della soluzione futura è la formazione iniziale e continua degli operatori allo svolgimento di nuove funzioni. Oltre a queste trasformazioni si sono imposti anche problemi nuovi, come quelli dei detenuti con malattie mentali, degli anziani con patologie neurodegenerative che si traducono in disabilità psichiche, e di gruppi particolarmente deprivati della popolazione.

4.1.7

Nella maggior parte dei paesi sviluppati la fine della seconda guerra mondiale, la sensibilizzazione all'esperienza dei campi di concentramento e ai diritti dell'uomo, l'atteggiamento critico verso il ricovero psichiatrico com'era praticato allora, l'avvento dei farmaci psicotropi, la comparsa di movimenti di consumatori-utenti e i vincoli di bilancio hanno costretto la psichiatria a un'evoluzione che la letteratura internazionale definisce, con espressione anglosassone, «processo di deistituzionalizzazione», ossia un'organizzazione delle cure e dei servizi basata non tanto sul ricovero quanto su interventi volti a favorire il mantenimento del paziente nel suo ambiente naturale.

4.1.8

Laddove ha dato la priorità alla deospitalizzazione, però, la deistituzionalizzazione si è sempre ritrovata di fronte ad ostacoli: la criminalizzazione, ovvero la tendenza della società e della psichiatria a trasferire o mantenere in carcere un gran numero di malati mentali; il nomadismo dei pazienti marginali o precari che, una volta interrotto o concluso il trattamento, senza alloggio né prestazioni sociali, diventano senzatetto (homeless); la «sindrome della porta girevole» (revolving door syndrome), ossia il percorso regolare di un certo numero di pazienti che sono ricoverati, dimessi e di nuovo ricoverati in un ciclo interminabile. Con il passare del tempo e i tagli al bilancio, la combinazione tra questi fenomeni e la domanda di massa ha saturato le unità di pronto soccorso e gli ospedali e ha finito per indurre a creare ulteriori posti letto a tempo pieno probabilmente evitabili, a volte per la pressione seguita al verificarsi di gravi incidenti (malati mentali aggressori o vittime). In questi casi l'opinione pubblica è riuscita ad influenzare i decisori politici, spingendoli a reagire accrescendo l'attenzione alla sicurezza o, al contrario, avviando programmi di salute mentale.

4.2   L'informazione e i media

I media per lo più si interessano al disagio mentale nei casi in cui un malato mentale commette un atto criminale (che però non sono più numerosi in questa categoria che nella popolazione in genere). L'impatto di questo stato di cose, in termini di creazione di immagini negative e tensioni legate all'insicurezza, determina un aumento dell'intolleranza e il rifiuto dei malati mentali. L'informazione sulla salute mentale, nella sua continuità, deve smettere di essere un aspetto incontrollato e sempre più sensibile ed essere impiegata per prevenire gravi conseguenze e raggiungere il grande pubblico attraverso i media e i loro operatori.

4.3   I presupposti e gli elementi di una strategia comune per la salute mentale

4.3.1

Il Comitato sostiene l'iniziativa della Commissione diretta ad elaborare una strategia europea integrata in favore della salute mentale. A suo giudizio il dibattito sulla ricerca, l'individuazione e l'elaborazione di questa strategia deve inserirsi nel contesto della società della conoscenza. Ciò, tra l'altro, significa che la società europea deve:

farsi un'idea chiara dei concetti inerenti alla salute mentale e del loro contenuto,

cogliere con precisione l'ampiezza del problema, nella sua forma attuale e anche nella sua probabile dinamica,

essere nettamente più coinvolta nella creazione dei presupposti necessari per la scelta di soluzioni integrate.

4.3.2

L'ampiezza dei bisogni esige quindi un programma ambizioso e una strategia comune fondata su alcuni principi pienamente condivisi. Va sottolineato che problemi di salute, anche di dimensioni più limitate, si avvalgono di una mobilitazione massiccia. La situazione della salute mentale, tra l'altro, si presenta diversa a seconda del paese considerato e, in futuro, sarà aggravata dal ritardo dei paesi che aderiranno all'Unione più a lungo termine, ritardo che rischia di accentuarsi.

Sembra comunque necessario affermare fin d'ora alcuni presupposti.

4.3.3

Una strategia comune presuppone innanzitutto una comprensione condivisa di termini e concetti quali, per esempio, «cattiva salute mentale» o «portatore di handicap mentale».

4.3.4

Riconoscere la salute mentale come priorità, conformemente agli effettivi bisogni, rappresenta un notevole passo in avanti nell'imposizione degli interventi necessari.

4.3.5

Su un piano diverso, questo riconoscimento va consolidato da un inventario dei bisogni esistenti e delle risposte attualmente fornite.

4.3.6

Per quanto riguarda gli interventi da realizzare, le proposte del Libro verde non possono che incontrare il favore del Comitato. Le proposte per la promozione della salute mentale della popolazione mettono l'accento sui bambini e sugli adolescenti, sui lavoratori e sulle persone anziane.

4.4   Per una salute mentale dalla parte del cittadino

4.4.1

La politica per la salute mentale s'interessa al malessere delle persone nell'ambito della famiglia, del loro contesto esistenziale e di una data società. Riunisce quindi diversi interventi:

il dispositivo di lotta alle malattie mentali, che deve necessariamente combinare prevenzione, cura e reinserimento,

le campagne di prevenzione destinate a determinati gruppi della popolazione,

gli interventi terapeutici in risposta al disagio di determinate fasce della popolazione,

le azioni positive per la salute mentale, in grado di modificare comportamenti dannosi che interessano indifferentemente l'individuo, determinati gruppi o la società intera.

4.4.2

Da questo punto di vista va posto l'accento sulla prevenzione, o sulla sua componente primaria, secondaria e terziaria più adatta al settore interessato. Devono essere sviluppati gli interventi di promozione della salute mentale e quelli di informazione del pubblico sull'acquisizione e sul mantenimento di sane abitudini di vita e sulla creazione di un contesto propizio alla realizzazione del potenziale individuale. Lo stesso vale per l'attività di prevenzione che punta a ridurre l'incidenza dei disturbi mentali concentrandosi sui fattori di rischio e sulle situazioni patogene. Qualche esempio:

intervento precoce presso madri e lattanti che presentano un quadro depressivo o provano un senso di incompiutezza,

interventi mirati presso i bambini con gravi difficoltà scolastiche,

informazione e sostegno alle famiglie confrontate alla malattia mentale,

studio dei fattori di rischio, o dei fattori legati a manifestazioni di disagio o malattia, in funzione della cultura d'origine,

organizzazione di una psichiatria di collegamento che consenta un approccio più globale alle patologie somatopsichiche e il coinvolgimento attivo e passivo della famiglia del malato (apprendimento delle modalità di vita e di sostegno ai malati e, se necessario, aiuti finanziari). Gli strumenti di sostegno psicologico sono preferibili alla prescrizione di farmaci psicotropi senza un sostegno.

4.4.3

La risposta ai bisogni dei bambini e degli adolescenti rappresenta una palese priorità. La domanda non proviene esclusivamente dalle famiglie o non è espressa solo da loro, ma anche dalle istituzioni educative, giudiziarie e sociali, dalle forze dell'ordine o dagli enti locali, sulla base di situazioni sempre più estreme che coinvolgono bambini sempre più piccoli e famiglie affette da molteplici problemi. Più di altri, le famiglie e i bambini subiscono in pieno le conseguenze dell'evoluzione della società.

4.4.4

Un'organizzazione coerente e armoniosa dovrebbe consentire di offrire un pacchetto di servizi coordinati e articolati attorno a tre moduli o programmi di base:

il modulo dedicato alla prima infanzia, alle famiglie e ai partner sociosanitari, educativi e giudiziari corrispondenti a questa fascia d'età,

il modulo dedicato ai bambini in età scolare, alle famiglie e ai partner corrispondenti,

il modulo dedicato agli adolescenti, alle famiglie e ai partner corrispondenti.

4.4.5

Ogni modulo dovrebbe poter offrire, oltre a trattamenti ambulatoriali programmati nell'ambito di consultori, anche trattamenti più intensivi e istituzionali secondo formule adeguate all'età, trattamento degli episodi acuti e trattamenti di lunga durata. La psichiatria di collegamento, assicurando la reattività e la mobilità dei moduli, parteciperebbe alla rivelazione precoce delle crisi, alla loro prevenzione e all'offerta di sostegno ambulatoriale alle famiglie e ai partner corrispondenti.

4.4.6

A questi moduli di base si aggiungerebbero programmi specializzati destinati a gruppi di popolazione o situazioni a rischio tali da rendere plausibile un'attività di prevenzione primaria o secondaria: individuazione precoce dei disturbi invasivi dello sviluppo, di determinate patologie della prima infanzia, delle disfunzioni genitoriali precoci, delle famiglie monogenitoriali o multiproblematiche, dei disturbi di dipendenza adolescenziali, ecc. Un'attenzione ancora maggiore dovrà essere riservata a quelle strutture sociali, educative e giudiziarie (centri di prevenzione, carceri) in cui siano ospitati gravi casi sociali che presentano disturbi mentali associati o che, dato il carattere estremo e cumulativo delle situazioni, rischiano di svilupparli.

4.5   I rapporti tra lavoro, disoccupazione e salute

4.5.1

Considerata la loro influenza sulla salute mentale, va promosso il miglioramento delle condizioni di lavoro o di non lavoro (disoccupazione). La relazione tra i temi del lavoro e della salute mentale tocca questioni come il valore attribuito al lavoro e il suo costo personale, gli effetti della disoccupazione e l'invalidità.

4.5.2

Le risposte che andranno trovate al problema dell'esclusione sociale sono altrettanto importanti per la salute mentale.

4.5.3

Infine, anche l'invecchiamento della popolazione rende necessarie risposte adeguate. Il fatto che il 20 % degli anziani si trovi, per usare un concetto dell'OMS, a «invecchiare con successo», significa che l'80 % degli anziani soffre di malattie, perdita dell'autonomia, ecc. L'avanzare dell'età non fa certo scomparire le malattie mentali, anzi. Le malattie demenziali, quasi assenti (1 %) nella fascia d'età dei sessantenni, diventano frequenti (30 %) dopo gli 85 anni. Nel 70 % dei casi le persone colpite presentano disturbi del comportamento.

4.6   I richiedenti asilo

4.6.1

In questo settore si pone il problema della salute mentale in relazione all'accompagnamento del richiedente asilo nella procedura d'accoglienza, al suo luogo e modo di vita e, infine, alla sua dimensione esistenziale, comprendente la storia della persona e la sua temporalità psichica. La gravità dei traumi subiti, spesso causati intenzionalmente e con estrema crudeltà e contenenti una dimensione collettiva, attesta situazioni di violenza organizzata. In questa popolazione i disturbi post-traumatici sono spesso aggravati da lutti multipli e da un'esperienza di esilio molto dolorosa.

4.7   La problematica della salute mentale

4.7.1

La stessa problematica di salute mentale si pone in relazione a un ingente numero di detenuti, che ha a disposizione strutture di cura molto ridotte.

4.7.2

Occorre appoggiare l'elaborazione di programmi di prevenzione della depressione, dei suicidi e dei comportamenti di dipendenza.

4.7.3

Per quanto riguarda il cambiamento di paradigma proposto con la deistituzionalizzazione, si può osservare che nella fase attuale, iniziata alla fine degli anni '90, si sta arrestando il declino della soluzione del ricovero, e si sta assistendo, da un lato, alla disillusione dei fautori del processo e, dall'altro, all'emergere dell'esigenza di un'organizzazione che preveda la compresenza di solide strutture sul territorio e possibilità di ricovero a tempo pieno. Un tasso di ricovero troppo elevato impedisce di allocare risorse all'estensione dell'ampiezza e della gamma dei servizi offerti dall'unità territoriale, dei quali hanno bisogno i pazienti e le loro famiglie. Viceversa, però, non si può garantire il primato di una struttura ambulatoriale se questa non è sostenuta in permanenza da una struttura ospedaliera immediatamente accessibile, per brevi soggiorni, ai pazienti che presentino disturbi acuti che non possono essere oggetto di altri tipi di trattamento. Infine, non si può conseguire una riduzione del ricorso al ricovero laddove la risposta ambulatoriale non offre servizi che consentano: di prevenire i ricoveri evitabili; di accogliere e accompagnare i pazienti lungodegenti in grado di essere dimessi se adeguatamente preparati; di accompagnare i pazienti non ricoverati per mantenerli nella comunità di origine a condizioni accettabili e rispettose delle loro esigenze; di offrire un'alternanza tra ricovero e trattamento ambulatoriale ai pazienti che ne abbiano bisogno.

4.7.4

La decisione di trattare un malato mentale mediante ricovero o in ambulatorio è fortemente influenzata dalla cultura e dal modello formativo dell'operatore, dal suo grado di isolamento, da fattori socioculturali generali come la tolleranza della società, dai fattori di precarietà presenti nel territorio considerato (che accrescono il ricorso a questo tipo di servizi) e dalla disponibilità di alternative. È perciò impossibile raccomandare perentoriamente un unico indice del bisogno di posti letto per i ricoveri a tempo pieno di pazienti in fase acuta senza tener conto delle circostanze locali.

4.7.5

Il fattore determinante per un trattamento, peraltro, non è tanto il luogo in cui viene prestato ma la sua natura, ossia quali vantaggi è destinato ad apportare, per soddisfare quali bisogni, con quale efficacia riconosciuta.

4.7.6

I vantaggi abitualmente riconosciuti al trattamento ospedaliero riguardano la disponibilità di personale qualificato, l'accoglienza in un idoneo ambiente di contenimento e la possibilità di svolgere il proprio lavoro in condizioni sufficientemente sicure. Questi vantaggi si riducono o scompaiono se la carenza di posti letto determina una concentrazione di pazienti non collaborativi con disturbi molto gravi, tali da provocare un grado di disturbo del lavoro ambiente troppo elevato, insopportabile o pericoloso.

4.7.7

Numerosi studi, francesi e internazionali, rivelano che fino al 40 % dei malati con disturbi acuti che chiedono di essere ricoverati o di cui viene disposto il ricovero possono essere presi in carico in contesti terapeutici alternativi nella misura in cui si dimostrano collaborativi oppure se ne può ottenere o negoziare la collaborazione con l'aiuto di familiari o della rete di sostegno sociale (interventi urgenti e in caso di crisi). Tanto è vero che la crescente efficacia delle strutture sul territorio tende a riservare agli ospedali, e quindi a concentrare negli ospedali, solo i casi più «inevitabili»: quelli che hanno urgentemente bisogno di una doppia valutazione psichiatrica e somatica, che presentano patologie acute miste particolarmente severe, gravi ricadute di patologie psichiatriche note, comportamenti violenti e suicidi incoercibili e così via. Questi casi rendono spesso necessario il ricovero forzato. Come si vedrà, tutto ciò ha conseguenze sul piano dell'organizzazione e dell'inquadramento.

4.7.8

Tenuto conto di quanto esposto, gli stessi studi raccomandano di non scendere sotto la soglia di 0,5 posti letto per 1 000 abitanti adulti destinati a pazienti in fase acuta, una cifra da ponderare se si ipotizza, come si raccomanda, un tasso di occupazione delle strutture dell'80-85 %. Beninteso, questa soglia presuppone che le alternative a monte e a valle siano sufficientemente attrezzate ed efficaci e non include i letti di sicurezza per casi acuti necessari alla psichiatria medico-legale né i posti letto per adolescenti e persone anziane. Avvicinarsi troppo a questa soglia senza che siano soddisfatte tutte le condizioni ambulatoriali sostitutive non farebbe altro che indurre a creare posti letto aggiuntivi, psichiatrici o medici, estremamente costosi.

4.8   L'ambiente di prestazione delle cure

4.8.1

Mentre la soglia per il numero di posti letto può variare a seconda del paese, un complesso di norme minime di ricovero può essere proposto con maggiore convinzione. Qualsiasi locale impiegato dovrebbe essere adatto allo scopo e, pur potendo far parte di una vecchia struttura, conformarsi agli attuali valori di dignità e rispetto per i degenti. L'idoneità dell'ambiente è infatti fondamentale ai fini della guarigione. I rischi legati all'ambiente dovrebbero essere valutati e affrontati in funzione delle specifiche esigenze dei degenti.

4.8.2

I degenti dovrebbero avere accesso a un'ampia gamma di terapie destinate ad integrare e a favorire il trattamento in corso. Tutti gli addetti ai malati mentali dovrebbero influire positivamente sull'ambiente della struttura grazie a un'idonea formazione, alle loro competenze e all'umanità del loro approccio.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca

(2006/C 195/12)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Anita VIUM.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La versione danese della flessicurezza sembra essere un esempio di come sia possibile conseguire il triplice risultato della crescita economica, dell'occupazione elevata e della sostenibilità delle finanze pubbliche senza stravolgere gli equilibri sociali. Si tratta di un approccio in linea con il processo di Lisbona, inteso a garantire contemporaneamente una crescita, un'elevata occupazione e un benessere sociale sostenibili.

1.2

La flessicurezza danese, che, grazie a efficienti meccanismi di sicurezza sociale e ad un'attiva politica in materia di occupazione e di formazione, consente di realizzare un mercato del lavoro mobile, sembra contribuire positivamente alla competitività del paese. Insieme ad altre caratteristiche tipiche della società danese, la flessicurezza ha dato al mercato del lavoro danese una forza ed una flessibilità tali da mettere il paese nelle condizioni ottimali per affrontare le sfide del futuro. L'elevato tasso di occupazione, le generose indennità di disoccupazione e il diffuso ottimismo dimostrano che i datori di lavoro e i lavoratori, di comune accordo, sono disposti ad accettare l'insicurezza e gli svantaggi del sistema, grazie alla contropartita di cui beneficiano.

1.3

La chiave per comprendere la flessicurezza danese è l'accettazione del fatto che flessibilità e sicurezza non sono necessariamente contrapposte. I datori di lavoro possono desiderare relazioni di lavoro stabili e sicure, e nel contempo i lavoratori possono desiderare un maggiore grado di flessibilità in materia di orari, organizzazione e sistemi di remunerazione.

1.4

Nel quadro della globalizzazione e della delocalizzazione dei posti di lavoro la flessicurezza offre inoltre ai cittadini un elevato grado di sicurezza economica e sociale, grazie ai nuovi paradigmi «sicurezza dell'occupazione» piuttosto che «sicurezza del posto di lavoro» e «essere disponibili al cambiamento per avere nuove opportunità personali» piuttosto che «assumersi il rischio minimo». Certamente il rischio di perdere il posto di lavoro esiste; ma, a breve termine, la rete di sicurezza sociale garantisce mezzi di sussistenza per tutti e, a più lungo termine, le misure positive intraprese sul mercato del lavoro, insieme all'elevato tasso occupazionale, accrescono le probabilità di trovare una nuova occupazione.

1.5

Per il singolo lavoratore ciò significa che non esiste una grande sicurezza dell'occupazione, e che nel corso della vita professionale è possibile perdere il lavoro più volte. Nonostante questo, grazie alle garanzie insite nella flessicurezza, che si concretizza, da un lato, in sussidi di disoccupazione elevati, finanziati da fondi pubblici e dallo sforzo contributivo di tutti i cittadini e, dall'altro, nella sicurezza dell'occupazione, i cittadini danesi si sentono generalmente sicuri e soddisfatti (cfr. allegato 2).

1.6

Considerando la flessicurezza danese nel contesto europeo, è evidentemente impossibile copiare il sistema nella sua totalità, viste le differenze culturali, strutturali ed economiche. È tuttavia possibile mutuare alcune delle sue caratteristiche generali e adottarle come strategia politica in altri Stati membri, soprattutto in quelli dove l'acquis sociale, inteso come insieme di norme, reti e fiducia tra i cittadini e tra le organizzazioni, si è sviluppato, a livello nazionale, in maniera analoga a quanto è accaduto in Danimarca, secondo tradizioni di cooperazione tra il governo e le parti sociali e di disponibilità al cambiamento da parte dei cittadini. La flessibilità geografica, tuttavia, può comportare anche problemi molto seri per le famiglie, le coppie e la carriera scolastica e di formazione dei giovani, soprattutto nei paesi molto grandi e in quelli a struttura federale.

1.7

In termini generali, il concetto di flessicurezza si fonda sull'idea che un mix di flessibilità e di sicurezza per i lavoratori dipendenti può essere contemporaneamente fonte di sicurezza sociale e di competitività. La versione danese della flessicurezza crea, da un lato, la sicurezza — grazie a generose indennità di disoccupazione (e a trasferimenti di redditi che possono coprire altre necessità sociali) — e, dall'altra, la flessibilità, grazie a norme liberali in materia di licenziamenti che, ad esempio, prevedono preavvisi molto brevi. La sicurezza sociale e la grande mobilità sono associati ad una attiva politica del mercato del lavoro, grazie alla quale i disoccupati sono realmente pronti ad entrare sul mercato del lavoro, e possono migliorare le proprie chances lavorative ricevendo una formazione adeguata. Ciò significa che l'aspetto più importante della politica occupazionale danese, che prevede contemporaneamente incentivi e sanzioni (ad esempio con il ricollocamento obbligatorio in attività), consiste proprio nell'offerta di formazione di qualità, intesa a migliorare le qualifiche professionali. Una politica occupazionale attiva è lo strumento necessario per garantire l'efficienza del mercato del lavoro, pur mantenendo indennità di disoccupazione così elevate.

1.8

La versione danese della flessicurezza, tuttavia, è inscindibile dal concetto di welfare state e da un solido sistema organizzativo. Il funzionamento del mercato del lavoro danese è condizionato da una serie di altri fattori sociali, quali, ad esempio, il ruolo centrale delle parti sociali nelle decisioni politiche e nell'attuazione della politica occupazionale e di formazione; il sistema di sicurezza sociale — in grandissima parte finanziato dallo Stato -, il livello di competenze dei cittadini e il mix di politiche macroeconomiche applicato nel corso dell'ultimo decennio.

1.9

Nella messa a punto del modello danese un ruolo centrale è stato svolto dalle parti sociali: esse, infatti, sono state protagoniste sia del processo decisionale che dell'attuazione, tra l'altro, della politica di formazione e delle riforme strutturali del mercato del lavoro. In diversi settori, quali ad esempio l'introduzione di regimi pensionistici, a carattere privatistico, legati al mercato del lavoro, l'evoluzione si fonda proprio sugli accordi tra le parti sociali. Il fatto che le parti sociali abbiano un ruolo così forte è dovuto in parte all'evoluzione storica, e in parte alla loro solida organizzazione interna. Questo ruolo dominante delle parti sociali ha permesso di trovare soluzioni creative e di far sì che esse venissero per la maggior parte accettate. Il fatto che le parti sociali ed altri attori della società civile siano molto influenti, tuttavia, presuppone che tutti siano favorevolmente disposti al cambiamento, desiderosi di cooperare e disposti a vedere la realtà da angolazioni diverse, più attente all'interesse generale. Un ruolo più partecipativo e influente delle parti sociali può pertanto rappresentare un vantaggio per la competitività della società e la sua capacità d'adattamento. In questi processi è particolarmente importante anche l'azione di sostegno e la critica costruttiva da parte di altre organizzazioni della società civile, quali ad esempio le associazioni, gli organismi di formazione, ecc.

1.10

Un livello elevato di aiuti ai disoccupati presuppone un livello elevato di competenze professionali: in caso contrario, si rischierebbe infatti di trovarsi in una situazione nella quale molte persone non riescono a trovare un lavoro la cui remunerazione sia superiore alle indennità di disoccupazione. Un elevato livello di competenze ed un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento (anche fra le persone meno dotate di un'istruzione di tipo «formale») contribuiscono in misura decisiva a spiegare il successo del sistema danese di flessicurezza.

1.11

Nel corso della seconda metà degli anni '90, periodo nel quale la Danimarca ha conosciuto importanti riforme strutturali, il rafforzamento della regolamentazione del mercato del lavoro è stato parallelo allo sviluppo di una politica economica d'espansione, che ha fatto aumentare la crescita e l'occupazione. Oltre alla sicurezza del reddito, garantita dal livello degli aiuti ai disoccupati, la Danimarca cerca di dare ai suoi cittadini la sicurezza dell'occupazione. Non si può mai essere certi di mantenere la propria occupazione, ma, grazie all'assistenza delle pubbliche amministrazioni, esistono forti possibilità di trovarne una nuova. Quando le riforme strutturali si realizzano in un ambiente di ottimismo e di crescita favorevole all'occupazione, è inoltre più facile attuarle e ottenere l'adesione necessaria. Il sistema danese di flessicurezza si fonda su un mix di politiche macroeconomiche che favorisce la crescita e l'occupazione.

1.12

Il modello danese di flessicurezza è in costante discussione ed evoluzione. Questo modello comporta allo stesso tempo vantaggi ed inconvenienti e, benché la flessibilità, la sicurezza e la politica attiva del mercato del lavoro costituiscano indubbiamente un insieme inscindibile, si discute sempre su come trovare il corretto equilibrio tra queste componenti.

1.12.1

L'elevato livello degli introiti fiscali costituisce il fondamento del sistema danese di flessicurezza e di altri meccanismi, importanti ai fini del funzionamento del mercato del lavoro. Nel 2003 alla politica occupazionale è stata destinata una quota della spesa pubblica pari al 4,4 % del PIL, cosa che in Europa costituisce un record (1). La forte pressione fiscale, pari al 49 % circa del PIL, se da un lato è accettata di buon grado dalla popolazione danese, dall'altro è oggetto di un acceso dibattito: pertanto, si suppone che un giorno l'imposizione fiscale sul lavoro conoscerà una diminuzione. Tale forte pressione fiscale, peraltro, si spiega in parte con l'elevato tasso di occupazione, che apporta un contributo positivo alle finanze pubbliche. Una crescita dell'occupazione comporterà pertanto l'ulteriore aumento del gettito fiscale.

1.13

L'importanza del modello danese di flessicurezza per l'Unione europea sta nella disponibilità, insita in questo approccio, ad adattarsi a nuove realtà in maniera proattiva, applicando un nuovo paradigma socioeconomico equilibrato e negoziato con attenzione tra le parti interessate, nel pieno rispetto dei valori di base del modello sociale europeo.

2.   La competitività del sistema danese

2.1

La Danimarca è in crescita stabile e le sue finanze pubbliche sono in buono stato. Tra il 2000 ed il 2005, la crescita media è stata pari all'1,7 %, il tasso di occupazione medio al 77,5 % e il surplus del bilancio dello Stato all'1,4 % del PIL. Nel 2004 il debito pubblico globale era pari al 42,7 % del PIL e il surplus del bilancio dello Stato al 2,8 % del PIL. Il surplus delle finanze pubbliche è dovuto in primo luogo all'elevatissimo tasso di occupazione che, attraverso le imposte sul reddito, genera ingenti introiti fiscali.

2.2

Il livello di rotazione (turnover) sul mercato del lavoro è molto elevato: nell'arco di un anno scompare oltre il 10 % dei posti di lavoro, e ne viene creato un numero quasi equivalente. Circa il 30 % dei lavoratori dipendenti cambia lavoro ogni anno, e la Danimarca occupa la seconda posizione fra i paesi con la più bassa anzianità media dei lavoratori, immediatamente dopo il Regno Unito. Questa situazione deve essere vista alla luce delle regolamentazioni vigenti ed in funzione della struttura del settore privato danese, caratterizzato dal gran numero di piccole e medie imprese.

2.3

Gli effetti, da una parte, del mix di politiche macroeconomiche e, dall'altra parte, delle riforme strutturali intraprese dalla Danimarca soprattutto sul mercato del lavoro possono essere rappresentati con la curva di Phillips, che raffigura la relazione tra la disoccupazione e il ritmo di aumento dei salari. La curva relativa alla Danimarca è riportata nell'Allegato 1. Dal 1993 si è riusciti a ridurre drasticamente la disoccupazione, senza aumentare l'inflazione salariale: per questo periodo si constata infatti un'inversione abbastanza marcata della curva di Phillips. Le misure adottate in materia di occupazione e di formazione fanno da contrappeso ai problemi di adattamento e agli ostacoli che potrebbero altrimenti provocare aumenti dei salari e dei prezzi.

2.4

Come è facile prevedere, la Danimarca si situa ai primi posti negli studi sull'attrattività dei vari paesi per gli investitori. Nello studio svolto dalla Economic Intelligence Unit nel marzo 2005 la Danimarca risultava addirittura al primo posto. L'Allegato 2 indica la posizione della Danimarca rispetto al resto dei paesi dell'Unione europea, in funzione di diversi parametri.

3.   Il modello danese di flessicurezza

3.1

Il concetto di flessicurezza ha acquisito una grande popolarità negli ultimi anni. Il senso di questa nozione, tuttavia, non è sempre chiaro, e la sua interpretazione varia da un paese all'altro.

3.2

L'organizzazione danese del mercato del lavoro viene descritta come «il triangolo d'oro» tra norme d'assunzione flessibili (che conducono ad una grande flessibilità numerica), un sistema di sussidi generoso (sicurezza sociale) e interventi efficaci in materia di accesso al mercato del lavoro e di formazione, che inducono i disoccupati a cercare attivamente lavoro e danno loro la formazione necessaria per reinserirsi sul mercato.

3.2.1

Il sistema danese di flessicurezza contribuisce a fare in modo che gli impieghi creati siano di qualità e soddisfacenti. L'elevato livello di sussidi di disoccupazione comporta un elevato livello del «salario di riserva» (ossia del salario minimo richiesto per accettare un'occupazione): ciò significa che i danesi guadagnano abbastanza per vivere. Per questo motivo, almeno sul mercato del lavoro ufficiale, il fenomeno dei «lavoratori poveri» è raro e poco rilevante, anche tra i danesi di diversa origine etnica.

3.3

Riportiamo un'illustrazione del triangolo d'oro. L'Allegato 3 descrive brevemente il sistema danese di sussidi e la politica attiva del mercato del lavoro.

Gli assi della flessicurezza danese:

Image

3.4

La flessibilità del mercato occupazionale danese è tuttavia caratterizzata da molteplici dimensioni. Essa è resa possibile non solo da norme liberali in materia di licenziamento, ma anche dalla flessibilità degli orari di lavoro, dato che gli accordi consentono sia di calcolare le ore di lavoro sull'intero anno, e sia di praticare il lavoro ripartito (job-sharing) su periodi brevi. Il fatto che, in linea con i contratti collettivi, la fissazione del salario finale avvenga sempre più frequentemente al livello delle imprese, comporta un certo grado di flessibilità salariale. La flessibilità proviene anche dall'ampiezza del ventaglio di competenze della manodopera: ciò significa che le persone sono autonome, favorevolmente disposte al cambiamento e responsabili e, quindi, anche in grado di convertirsi rapidamente ad un nuovo tipo di produzione o di occupazione.

3.5

La sicurezza che caratterizza il mercato occupazionale danese non deriva esclusivamente dal livello relativamente elevato dei sussidi di disoccupazione, ma anche del fatto che il tasso elevato di occupazione e di rotazione sul mercato del lavoro offre una certa sicurezza dell'occupazione. Questa sicurezza è completata dall'ampia gamma di attività di perfezionamento e di formazione permanente, gestite e amministrate congiuntamente dai pubblici poteri e dalle parti sociali. Inoltre, la società danese, attraverso interessanti opportunità in materia di congedi di maternità e assistenza ai bambini, offre alle famiglie delle garanzie per poter conciliare la vita familiare e la vita professionale.

3.6

La chiave per comprendere la flessicurezza danese è l'accettazione del fatto che flessibilità e sicurezza non sono necessariamente contrapposte. Tradizionalmente, i datori di lavoro desiderano un maggiore grado di flessibilità sul mercato del lavoro, che è inconciliabile con le aspirazioni dei lavoratori in materia di sicurezza dell'occupazione e di indennità elevate in caso di disoccupazione e di malattia.

3.7

Il concetto di flessicurezza segna la rottura con questa idea di contrapposizione. I datori di lavoro possono essere interessati a creare rapporti di lavoro stabili e sicuri e ad avere collaboratori motivati. Analogamente, i lavoratori possono essere interessati a beneficiare della flessibilità degli orari, dell'organizzazione del lavoro e dei sistemi retributivi. Nuovi mercati dell'occupazione così concepiti possono quindi dar vita a nuove forme di interazione tra flessibilità e sicurezza.

3.8

Sul mercato del lavoro, il sistema danese della flessicurezza unisce il dinamismo di un'economia di mercato liberale alla sicurezza sociale del welfare state scandinavo, passando attraverso il servizio pubblico universale e la riduzione dei divari salariali. In una prospettiva più ampia, questo è il risultato di una decisione politica, quella cioè di offrire opportunità professionali a tutti i cittadini e di ridistribuire le risorse tramite il bilancio pubblico e gli interventi dello Stato. A loro volta, il forte livellamento dei redditi e la diminuzione delle tensioni sociali contribuiscono alla coesione sociale e danno ai lavoratori la sicurezza necessaria per potersi riconvertire e sostenere la flessibilità.

4.   Il ruolo delle parti sociali

4.1

Le parti sociali occupano da sempre una posizione centrale nelle decisioni in materia di politica del mercato del lavoro e della formazione. Trovandosi nella posizione ideale per valutare i bisogni e per introdurre gli adattamenti necessari a soddisfarli, le parti sociali hanno favorito l'emergere di soluzioni creative ed equilibrate ai problemi legati al mercato ed all'innovazione, e hanno contribuito a preparare il paese ad affrontare i cambiamenti e gli sviluppi conseguenti alla globalizzazione. Uno stretto dialogo tra gli attori sociali consente inoltre di accumulare nel tempo un capitale sociale che si concretizza in un atteggiamento di fiducia, responsabilità e comprensione reciproca.

4.2

Le radici storiche della situazione attuale risalgono a oltre 100 anni fa. Il modello tipico della regolamentazione del mercato del lavoro in Danimarca risale al cosiddetto compromesso di settembre, concluso nel 1899 tra le organizzazioni nazionali sorte poco prima, cioè la Confederazione dei sindacati danesi (LO, Landsorganisationen) e la Confederazione dei datori di lavoro (DA, Dansk Arbejdsgiverforening). Questo accordo è stato il primo contratto collettivo a livello mondiale, e da allora è stato un punto di riferimento per la conclusione di convenzioni collettive e per l'interazione tra le parti sociali.

4.2.1

I datori di lavoro hanno accettato la confederazione dei sindacati come partner legittimo dei negoziati e, per parte loro, i lavoratori hanno riconosciuto ai datori di lavoro il diritto di assumere e licenziare lavoratori, riconoscendo quindi la libertà d'azione della dirigenza. Questa disposizione, di importanza fondamentale, ha contribuito a creare la concezione liberale dei danesi in materia di licenziamenti. Un altro elemento importante del compromesso di settembre è stato l'impegno a mantenere una situazione non conflittuale per tutta la durata del contratto collettivo. La regolamentazione volontaria del mercato del lavoro e la risoluzione dei conflitti da parte delle stesse parti sociali sono stati i pilastri del sistema fino al 2003: nel momento in cui l'Unione europea ha rifiutato di riconoscere il diritto sovrano delle parti sociali ad attuare le direttive, in Danimarca si è resa necessaria una legislazione integrativa. L'Allegato 4 presenta in modo più dettagliato l'evoluzione storica del ruolo delle parti sociali e la progressiva affermazione del modello danese.

4.3

Dopo molti anni caratterizzati da un'inflazione elevata, ma anche da un'evoluzione molto irregolare degli aumenti reali dei salari, a partire dagli anni 1987/1988, le parti sociali hanno riconosciuto che i contratti collettivi dovevano tener conto anche di considerazioni socioeconomiche generali. Esiste ovviamente la possibilità che i datori di lavoro, i lavoratori ed il governo non siano d'accordo; la cultura danese, però, è soprattutto una cultura di dialogo e di consenso, che deve essere considerata parte integrante del capitale sociale. Il fatto che la gerarchia sia poco importante a tutti i livelli della società contribuisce a mantenere questa cultura del consenso.

4.4

Sul piano politico, fin dagli anni '60 la Danimarca ha sviluppato un sistema pubblico completo di formazione professionale (perfezionamento e formazione permanente), rivolto sia ai lavoratori che ai disoccupati, che ha favorito la capacità di cambiamento di tutta la forza lavoro. Durante tutto il XX secolo le parti sociali hanno coperto, e ancora coprono, una posizione importante nelle strutture pubbliche preposte alle decisioni ed alla loro attuazione, ed il loro ruolo si è ulteriormente rafforzato a partire dagli anni 1993/1994, contrariamente a ciò che è avvenuto nella maggior parte degli altri paesi europei.

4.5

Riguardo al contenuto, la politica del mercato del lavoro è passata da un approccio normativo ad un approccio modulato sulle necessità individuali, che prevede interventi su misura. Le parti sociali, insieme ai comuni, hanno assunto un ruolo chiave nei 14 consigli provinciali dell'occupazione, che sono dotati di competenze e di risorse pubbliche tali da consentire loro di mettere al primo posto gli interventi contro la disoccupazione e la politica occupazionale a livello locale.

4.6

In questo modo, nel corso degli anni, le parti sociali si sono formate una coscienza collettiva globale, assumendosi le proprie responsabilità sul piano sociale e, nel contempo, i pubblici poteri hanno imparato a valorizzare le proprie risorse e la propria influenza. Le parti sociali conoscono più di chiunque altro il mercato del lavoro, e sono quindi in grado di individuare i bisogni rapidamente e in modo affidabile. Essendo organizzazioni d'interessi i cui metodi di lavoro sono improntati al consenso, le parti sociali apportano alle amministrazioni pubbliche risorse a costo zero, nel senso che, attraverso dibattiti e consultazioni, trovano soluzioni innovative a problemi comuni. Le organizzazioni svolgono inoltre un ruolo decisivo per l'adozione e l'attuazione delle politiche e, soprattutto, per farle accettare. È per questo motivo che nell'applicazione dei dispositivi di flessicurezza i pubblici poteri dipendono dalla cooperazione delle parti sociali.

5.   Il giusto mix delle politiche

5.1

Per comprendere appieno il sistema danese di flessicurezza, occorre considerare il contesto sociale nel quale esso si inscrive. Sull'efficienza del mercato del lavoro, inoltre, influiscono sia la politica economica che il settore pubblico: è proprio l'interazione tra questi due elementi (cfr. Allegato 7) che dà corpo al cosiddetto «modello danese».

5.2

Nella seconda metà degli anni '80 e nella prima metà degli anni '90, l'economia danese ha attraversato un momento di crisi. Così, dal 1987 al 1993 la crescita media era pari allo 0,8 % annuo, e nello stesso periodo il tasso di disoccupazione è passato dal 5 % del 1987 al 9,6 % del 1993. Questa crisi era, tra l'altro, imputabile alle manovre economiche adottate per colmare i gravi deficit pubblici degli anni precedenti.

5.3

A partire dal 1993 la politica del mercato del lavoro è diventata più attiva e, nel contempo, l'economia ha beneficiato di tassi d'interesse modesti e di una politica economica espansiva. All'inizio del periodo di crescita, cioè alla metà degli anni '90, il deficit pubblico era tale che, se fossero esistite le regole del patto di stabilità e crescita, la Danimarca le avrebbe violate. In quel periodo, inoltre, sono state modificate le regole sui finanziamenti immobiliari (prolungando la durata dei prestiti e prevedendo la possibilità di rifinanziamento), in modo da aumentare le disponibilità finanziarie dei cittadini. La forte crescita economica, il calo della disoccupazione e la ventata di ottimismo hanno fatto sì che la popolazione accettasse più facilmente l'inasprimento delle norme che disciplinano il mercato del lavoro.

5.4

La spesa pubblica supplementare è servita, tra l'altro, a finanziare un massiccio intervento inteso a garantire l'assistenza all'infanzia, in modo da rendere disponibili sul mercato del lavoro le madri di bambini in età prescolare.

5.5

Questa grande attenzione alla politica occupazionale ha comportato anche un maggiore impegno a favore della formazione e del perfezionamento: lo Stato ha effettuato massicci investimenti affinché tutti, lavoratori e disoccupati, avessero accesso al perfezionamento. Ciò si è tradotto nel finanziamento di azioni di formazione, oppure nella parziale compensazione delle perdite di salario. Nel contempo è stata aumentata a tutti i livelli la disponibilità di posti di formazione destinati ai giovani.

5.6

In genere si deve riconoscere che il sistema danese, basato sull'erogazione di sussidi di disoccupazione molto elevati, e dunque su un salario di riserva elevato, esige una forza lavoro qualificata e produttiva. Se infatti vi fosse un gran numero di lavoratori poco qualificati, dunque non in grado di aspirare ad una retribuzione superiore al loro sussidio di disoccupazione, si verificherebbe un eccessivo aumento del tasso di disoccupazione.

5.7

La strategia economica applicata con successo a partire dagli anni '90 era imperniata sugli investimenti, e consisteva nel creare crescita attraverso profonde riforme e investimenti nella formazione e nei servizi pubblici. La fiducia nel futuro e la forte sicurezza del reddito favoriscono il desiderio di consumo e garantiscono un livello elevato di domanda interna.

5.8

L'attuale strategia economica è stata una reazione alla crisi economica che ha colpito la Danimarca a partire dal 1987, quando il governo riduceva i disavanzi delle finanze pubbliche e della bilancia dei pagamenti introducendo tagli e restrizioni. La strategia di risparmio ha effettivamente risolto i problemi di bilancio, ma ha avuto come risultato una crescita debole ed un tasso di disoccupazione sempre più elevato. La strategia attuale sembra salvaguardare la crescita e l'occupazione, nonché garantire l'equilibrio delle finanze pubbliche e della bilancia dei pagamenti: per ritrovare in Danimarca una situazione altrettanto favorevole, bisogna risalire al periodo precedente la crisi petrolifera degli anni '70.

6.   Le sfide del presente

6.1

Benché in questi ultimi anni il modello danese di flessicurezza abbia dato buoni risultati, esso deve ovviamente far fronte a diverse sfide.

6.2

La globalizzazione e lo sviluppo tecnologico fanno pressione sul mercato danese del lavoro. A risentirne sono soprattutto le persone non qualificate, esposte alla concorrenza dei paesi a basso livello salariale e all'automazione dei processi produttivi.

6.2.1

Finora la Danimarca ha resistito a questa pressione riducendo il numero dei lavoratori non qualificati presenti sul mercato del lavoro: la percentuale di lavoratori non qualificati è infatti maggiore tra i lavoratori più anziani, quelli cioè in uscita dal mercato, piuttosto che tra i più giovani, che sono invece in entrata. Attualmente, tuttavia, numerosi giovani non ricevono una formazione che offra loro qualifiche sufficienti, e ciò potrebbe, nel lungo termine, minare il sistema danese di flessicurezza: se l'offerta di manodopera qualificata non è adeguata alla domanda, la spesa pubblica destinata ai sussidi di disoccupazione e ad altri trasferimenti di reddito rischia infatti di diventare insostenibile.

6.2.2

In Danimarca diverse imprese chiudono e delocalizzano la produzione, completamente o in parte, verso paesi caratterizzati da livelli salariali più bassi: si tratta di un fenomeno problematico soprattutto per le aree periferiche, molto sensibili alla chiusura delle singole imprese. Il mercato danese, strutturalmente dominato da piccole e medie imprese, è tuttavia considerato come un'entità dinamica: anziché cercare di mantenere i posti di lavoro, ci si adopera, a livello politico ed in cooperazione con le parti sociali, per creare nuovi posti di lavoro, più competitivi.

6.3

La rapida rotazione che caratterizza il mercato del lavoro fa sì che i datori di lavoro, non sapendo per quanto tempo potranno mantenere il proprio personale, siano meno propensi a finanziare azioni di perfezionamento. Il problema riguarda soprattutto il personale non qualificato, dato che i datori di lavoro sono più disponibili a investire per mantenere la manodopera specializzata, difficilmente reperibile, e per garantirle una formazione continua, e dato che il personale non qualificato non è sempre motivato a partecipare ad azioni di formazione continua. È per questo motivo che lo Stato, con il contributo obbligatorio dei datori di lavoro, finanzia un vasto sistema di formazione e di perfezionamento destinato sia ai lavoratori qualificati che a quelli non qualificati: una manodopera con livelli di qualificazione adeguati è infatti essenziale per il corretto funzionamento del sistema danese di flessicurezza, ed una vasta azione di riqualificazione professionale è politicamente auspicabile.

6.4

Per molti immigrati è difficile inserirsi sul mercato del lavoro danese, e ciò costituisce un ulteriore limite all'integrazione. I problemi incontrati sul mercato del lavoro sono dovuti, tra l'altro, al fatto che alcune categorie di immigrati ed i loro discendenti non possiedono competenze commisurate al livello dei sussidi e dei salari in Danimarca. Gli immigrati e i loro discendenti hanno dunque un livello di formazione inferiore a quello dei danesi e, in media, rispetto al resto della popolazione, essi partecipano di meno al mercato del lavoro e presentano un tasso di disoccupazione più alto. I problemi incontrati possono essere di natura linguistica o sociale, oppure dovuti alla mancanza di formazione.

6.4.1

La spiegazione risiede forse, almeno in parte, nelle differenze culturali ed in abitudini profondamente radicate. L'esperienza dimostra che per queste categorie il tasso di disoccupazione è più fluttuante che per altre. Quando la disoccupazione è in calo, i datori di lavoro sono più propensi a provare formule nuove e ad assumere lavoratori di origine etnica diversa. Un contesto caratterizzato da un tasso elevato di occupazione e da una bassa percentuale di disoccupazione può, di per sé, offrire agli immigrati ed ai loro discendenti un accesso più facile al mercato del lavoro, senza tuttavia risolvere il problema dell'integrazione nel suo insieme. L'evoluzione demografica induce a pensare che negli anni futuri il mercato occupazionale danese dovrebbe aprirsi maggiormente agli immigrati.

6.5

Il modello danese di benessere si basa su un elevato livello di occupazione femminile, sia per garantire i servizi pubblici necessari sia per mantenere elevato il gettito fiscale. Tale situazione, pur comportando una maggiore indipendenza finanziaria per le donne, implica la necessità di conciliare la vita familiare e la vita professionale. Rispetto a molti paesi europei, la Danimarca è molto avanzata in questo settore: rimane tuttavia molta strada da percorrere, tra l'altro per garantire le pari opportunità in materia di carriera.

6.6

Il sistema danese è molto oneroso per lo Stato, che finanzia gran parte delle indennità di disoccupazione. Nel 2003 la spesa per gli interventi di politica passiva del mercato del lavoro era pari al 2,7 % del PIL, un record nell'Unione europea. In futuro il sistema di finanziamento del welfare state danese si troverà a dover affrontare diversi banchi di prova. Per mantenere il finanziamento del sistema sociale senza aumentare la pressione fiscale sarà necessario accrescere il tasso di occupazione di tutte le persone in età lavorativa.

6.6.1

In Danimarca la pressione fiscale è pari a circa il 49 % del PIL, ed è quindi tra le più elevate dell'Unione europea, dove la media si attesta intorno al 40 %. Particolarmente pesante è soprattutto la tassazione dei consumi, mentre l'imposizione sul reddito non occupa il primo posto. L'imposta sul reddito è elevata e molto progressiva, ma, in genere, non vi sono contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Il sistema fiscale danese è descritto in maniera più dettagliata nell'Allegato 5. È possibile che in futuro la globalizzazione comporti la diminuzione di alcune componenti del gettito fiscale.

6.6.2

Lo sviluppo demografico comporta un aumento degli anziani e una diminuzione della popolazione attiva. Ciò è dovuto all'esiguità numerica delle giovani generazioni, alla forza numerica delle generazioni del dopoguerra e all'aumento della speranza di vita media. Nel dibattito sulle possibili riforme del welfare state rientra anche la politica occupazionale e, quindi, i sussidi di disoccupazione. Il sistema pensionistico comunque è, almeno in parte, preparato a questi cambiamenti (cfr. Allegato 6). Potrebbe verificarsi una carenza di manodopera e, dato che la riserva costituita dalle donne è già in gran parte utilizzata, sarà necessario trovare altri strumenti per fare aumentare l'occupazione. Questi mezzi potrebbero essere ad esempio l'aumento dell'età pensionabile o l'aumento dei permessi di immigrazione per chi possiede le competenze richieste.

6.7

Circa un quarto della popolazione in età attiva non svolge un'attività lavorativa e beneficia, in varie forme, di sussidi statali (disoccupazione, collocamento in attività, pensione anticipata, congedi di maternità, studi, ecc.). Quasi la metà di queste persone si è ritirata definitivamente dal mercato del lavoro per stanchezza, disoccupazione o scelta, mentre l'altra metà si trova fuori dal mercato dell'occupazione solo temporaneamente. I sussidi pubblici di cui beneficiano queste persone, oltre ad essere uno dei pilastri del welfare state, rappresentano una sfida per il futuro finanziamento della società del benessere. Per poter garantire il finanziamento della società del benessere nel lungo termine, sarà necessario ridurre la percentuale della popolazione che esce prematuramente dal mercato del lavoro.

6.8

La politica del mercato del lavoro viene regolamentata sempre più in funzione delle disposizioni e delle pratiche dell'Unione europea. In Danimarca il mercato del lavoro è sempre stato disciplinato tramite convenzioni tra le parti sociali, e non per via legislativa. Se la regolamentazione comunitaria diventasse eccessivamente dettagliata, si rischierebbe di compromettere la disponibilità dei cittadini al cambiamento, e di lasciare evolvere la situazione in una direzione diversa rispetto a quella auspicata dalle parti sociali. Grazie al metodo UE di coordinamento aperto, sembra che si sia trovato il modo di sincronizzare la politica europea dell'occupazione con quella del mercato del lavoro, consentendo tuttavia alle tradizioni danesi di continuare a consolidarsi.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. OECD, Employment Outlook (Perspectives de l'Emploi de l'OCDE) 2005, tabella H.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi

COM(2005) 334 def. — 2003/0329 (CNS)

(2006/C 195/13)

La Commissione europea, in data 14 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 250 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore METZLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli e 4 astensioni.

Sintesi e raccomandazioni

Il Comitato accoglie con favore l'iniziativa della Commissione, ritenendola un passo avanti nella giusta direzione. La proposta in esame mira a semplificare e rendere più trasparenti alcune disposizioni particolarmente controverse riguardanti la determinazione del luogo di prestazione dei servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (IVA). Il Comitato si compiace di questa iniziativa in materia di Sesta direttiva IVA, ritenendo che costituisca un progresso verso l'attuazione della strategia di Lisbona e la realizzazione degli obiettivi indicati nella direttiva sul mercato interno. Per funzionare bene, la società civile europea ha bisogno di un sistema economico efficiente e competitivo, e il conseguimento di questo obiettivo fondamentale presuppone l'applicazione di regole comparabili. La proposta modificata di direttiva rappresenta pertanto un progresso in quanto mira ad evitare distorsioni della concorrenza, estendendo il principio dell'imposizione nel luogo di consumo. Come sarà spiegato più avanti, ciò richiede la parallela introduzione di meccanismi di accompagnamento, che consentano anche alle piccole e medie imprese di competere sul mercato comunitario senza essere gravate da eccessivi oneri amministrativi. Si potrebbe pensare ad esempio all'introduzione del meccanismo dello «sportello unico» (one-stop shop).

Nel suo parere del 28 aprile 2004 il CESE aveva già richiamato l'attenzione sulla relativa facilità di evadere l'IVA e proposto di sviluppare un sistema alternativo più efficace dal punto di vista della riscossione. Inoltre, in quel parere si deplorava la disparità di trattamento tra i cittadini/consumatori causata dai difetti del regime IVA in vigore, difetti cui occorre rimediare in tempi rapidi.

Le distorsioni della concorrenza dovrebbero essere eliminate al più presto. Un esempio di tali ostacoli è costituito dal fenomeno per cui un'impresa può offrire i propri servizi sul mercato a prezzi vantaggiosi per il solo fatto di evadere l'IVA nella fase di intermediazione, ottenendo così un ingiustificato vantaggio competitivo. Anche in questo caso le istituzioni competenti devono intervenire al riguardo e il Comitato le esorta vivamente a farlo.

Una babele linguistica significa la fine del commercio comunitario e dei mercati comuni. L'applicazione di un diritto unitario presuppone un accordo sulla definizione dei concetti giuridici ivi impiegati. Pertanto, il CESE esorta a eliminare ogni confusione relativa a tali concetti. La nozione di «beni immobili» di cui all'articolo 9 bis della proposta modificata costituisce un buon esempio di come la CGCE stia cercando di porre rimedio alla confusione dovuta alla diversità delle definizioni adottate nei vari Stati membri. A tal fine, essa presuppone che determinati concetti di diritto comunitario siano alla base della Sesta direttiva IVA (cfr. il concetto di «locazione di beni immobili», di cui alla sentenza C-315/00, Maierhofer, del 16 gennaio 2003).

Ciò significa anche che le misure legislative ritenute necessarie devono essere adottate al più presto per dare ai legislatori nazionali la possibilità di recepirle il prima possibile nella rispettiva normativa interna in materia di IVA. Tuttavia, vi è motivo di dubitare che la direttiva in esame possa effettivamente essere recepita entro il 1o luglio 2006.

Motivazione

1.   Introduzione

Nelle conclusioni del vertice di Lisbona l'Unione europea si è posta fra l'altro l'obiettivo di diventare nei prossimi anni l'economia più competitiva del mondo. Per raggiungere tale obiettivo, l'UE e i suoi Stati membri dovrebbero disporre di una normativa fiscale coerente, coordinata e competitiva. Nell'Unione europea la disciplina dell'IVA è stata in gran parte armonizzata (soprattutto dalla Sesta direttiva CE), ma esistono ancora barriere ed ostacoli che intralciano notevolmente gli scambi intracomunitari, come il CESE aveva già evidenziato nel parere del 28 aprile 2004, in merito alla proposta di direttiva del 23 dicembre 2003 relativa al luogo di prestazione dei servizi (ECO/128).

La proposta di direttiva in esame, che modifica la Sesta direttiva IVA, rimanda alla proposta di direttiva del 23 dicembre 2003 e offre una revisione coerente delle norme relative al luogo di imposizione dei servizi fra imprese (business to business — B2B) e di servizi fra imprese e consumatori finali (business to consumer — B2C).

2.   Antecedenti e contesto della proposta

2.1

Fin dalle prime due direttive CEE, dell'11 aprile 1967, la Comunità europea si era posta l'obiettivo di eliminare le barriere fiscali fra gli Stati membri. A tal fine era necessario disporre di un luogo di imposizione fiscale unico. In base al principio del paese d'origine sarebbero state assoggettate ad IVA nello Stato di stabilimento di un dato operatore economico tutte le attività imponibili da esso condotte nell'ambito della Comunità europea. Quindi, secondo questo principio, i beni consegnati per esempio da un operatore stabilito in Francia in un altro Stato membro sarebbero stati assoggettati ad IVA in Francia in base alla pertinente aliquota prevista dalla normativa francese. Ciò sarebbe valso anche per i servizi.

2.2

Tuttavia, per evitare distorsioni della concorrenza, il principio del paese di origine avrebbe richiesto l'allineamento delle aliquote IVA applicate nei singoli Stati membri. Ma soprattutto sarebbe stato necessario un meccanismo interno di compensazione, dato che il gettito derivante dall'IVA contribuisce in misura notevole al gettito fiscale complessivo degli Stati membri e al finanziamento dell'Unione europea.

2.3

Per questi motivi, l'Unione europea ha deciso di non applicare il principio del paese di origine, per lo meno per un lungo periodo transitorio.

2.4

Tuttavia, la Commissione europea ha adottato una serie di misure volte a stimolare gli scambi intracomunitari, rimuovere gli ostacoli burocratici e ridurre o, ove possibile, eliminare completamente le distorsioni della concorrenza, in particolare quelle derivanti dalla diversità delle aliquote fiscali. Soprattutto il Consiglio ha contribuito in passato al mantenimento di tali diversità. Il CESE continua ad appoggiare la Commissione in tutti gli sforzi da essa profusi per adeguare i vari sistemi e agevolare così il completamento del mercato interno.

3.   Spirito e ratio della nuova disciplina

In linea di principio, il luogo di imposizione dell'IVA è quello in cui i servizi sono prestati. Dato che nell'Unione europea l'aliquota IVA ordinaria varia dal 15 % al 25 %, nei settori che la proposta modificata è volta a disciplinare si apre la strada a notevoli distorsioni della concorrenza tra le imprese comunitarie che sono soggetti passivi IVA, ma anche tra queste e le imprese stabilite in paesi terzi. Nella giurisprudenza della Corte di giustizia si registra una tendenza sempre più marcata a vietare le distorsioni della concorrenza provocate da una diversa disciplina delle imposte sul volume di affari, e ciò vale anche per la concorrenza tra imprese assoggettate ad IVA e operatori del settore pubblico. Per esempio, nella sentenza del 13 ottobre 2005, causa C-200/04, Finanzamt Heidelberg/iSt internationale Sprach- und Studienreisen GmbH, la Corte ha statuito che, nel caso in questione, ogni condizione supplementare per l'applicazione dell'articolo 26 della Sesta direttiva CE sarebbe suscettibile di operare una distinzione inammissibile tra gli operatori economici interessati, determinando così incontestabilmente una distorsione della concorrenza tra gli operatori, che comprometterebbe l'uniformità dell'applicazione di detta direttiva.

4.   Proposta modificata di direttiva del Consiglio del 20 luglio 2005

4.1   Osservazione generale

Una delle misure summenzionate è costituita dalla proposta modificata, del 20 luglio 2005, di direttiva del Consiglio (COM(2005) 334 def.), che fa seguito alla proposta di direttiva del Consiglio, del 23 dicembre 2003, che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi (COM(2003) 822 def. — 2003/0329 (CNS)).

Il 28 aprile 2004 il Comitato economico e sociale europeo ha adottato un parere in merito alla proposta di direttiva del 2003. In quel parere il CESE sottolineava che le nuove norme erano ben lontane dal conseguire l'obiettivo della semplificazione generalmente perseguito dalla Commissione e manifestava l'opinione che si dovessero eliminare, nei limiti del possibile, il margine di discrezionalità degli Stati membri nell'interpretazione delle norme e il margine di autonomia decisionale delle amministrazioni fiscali. Soprattutto, il Comitato ritiene ancor oggi, alla luce delle difficoltà già allora riscontrate nel suo funzionamento, che il VIES (sistema di scambio di informazioni sull'IVA) sia un sistema di controllo insoddisfacente.

4.2   Documento di consultazione

Nel periodo tra le due proposte sono state condotte numerose consultazioni sul tema delle regole in materia di luogo di prestazione dei servizi. In generale, da tali consultazioni è emerso che le disposizioni vigenti in materia dovrebbero essere rivedute, perché ritenute problematiche. Nel contempo si è generalmente riconosciuto che ogni modifica in questo campo deve, da un lato, soddisfare le esigenze di controllo da parte delle autorità fiscali e quelle relative agli obblighi fiscali degli operatori economici ma, dall'altro, anche tener conto del principio secondo cui l'imposizione dell'IVA dovrebbe avvenire nello Stato in cui si fruisce del servizio. Al riguardo le parti consultate hanno sottolineato costantemente la necessità di adottare delle regole che, oltre ad essere di facile applicazione e a non comportare eccessivi oneri finanziari, non intralcino gli scambi intracomunitari.

4.3   Regole generali previste dalla proposta modificata

4.3.1

Occorre distinguere nettamente tra le prestazioni di servizi effettuate da un'impresa a un'altra (dove sia il prestatore che il destinatario sono soggetti passivi d'imposta (1)) e quelle effettuate da un'impresa a una persona che non è soggetto passivo (2). La proposta in esame prevede infatti un trattamento rigorosamente distinto per ciascuna di queste due fattispecie.

4.3.2

Se il servizio è reso a un soggetto passivo dell'imposta, la regola generale per la determinazione del luogo della prestazione dovrebbe essere che tale luogo è quello dove è stabilito il destinatario del servizio e non quello in cui il prestatore ha fissato la sede della sua attività economica.

4.3.3

Nella proposta in esame la Commissione propone di mantenere la regola generale secondo cui, se un servizio è reso a una persona non soggetto passivo, l'imposizione dell'IVA avviene nel luogo di stabilimento del prestatore del servizio. Tale decisione è dettata dalla considerazione che, se i servizi resi alle persone che non sono soggetti passivi dell'IVA venissero tassati in uno Stato diverso da quello di stabilimento del prestatore di tali servizi, quest'ultimo sarebbe gravato da oneri amministrativi eccessivi, come l'obbligo di iscriversi al registro dell'IVA nello Stato membro di imposizione.

4.3.4

Fintanto che non esiste un meccanismo che consenta di riscuotere l'IVA nello Stato membro di fruizione del servizio senza che ciò comporti inutili complicazioni amministrative, non è realistico tassare nel luogo di fruizione tutte le prestazioni di servizi resi a persone non soggetti passivi.

4.3.5

Tuttavia, si è reso necessario prevedere alcune eccezioni alla suddetta regola generale.

5.   Contenuto della proposta di direttiva — Le novità previste

5.1   Eccezioni alla regola generale

Nell'UE le proposte di modifica della normativa riguardante il luogo di imposizione delle prestazioni di servizi sono state sostenute da molti degli interessati. Tuttavia, si sono levate anche diverse voci a favore del mantenimento del principio del paese di origine e delle disposizioni generali oggi in vigore.

5.2   La nuova disciplina in dettaglio

Le osservazioni che seguono sintetizzano soltanto le modifiche che la proposta di direttiva mira ad introdurre:

5.2.1   Articolo 6 — Prestazioni di servizi

Si propone di inserire un sesto paragrafo, secondo il quale, ai fini della direttiva, i servizi resi tra le varie sedi (stabili organizzazioni) di una medesima persona giuridica non sono considerati prestazioni di servizi.

5.2.2   Articolo 9 quinquies — Prestazioni di servizi specifici a soggetti passivi

Viene inserito un nuovo paragrafo 2, secondo cui, quando i servizi di ristorazione e la fornitura di pasti preparati (catering) vengono resi a soggetti passivi a bordo di navi, aerei o treni durante un servizio di trasporto di passeggeri, si considera luogo della prestazione il luogo di partenza del servizio di trasporto.

Si è dunque tenuto conto della richiesta di maggiore chiarezza espressa anche dal CESE.

Il paragrafo 3 è stato modificato in modo tale da precisare che, per «noleggio o locazione a lungo termine», si intende un accordo, disciplinato da un contratto, che prevede il possesso o l'utilizzo continui del bene mobile materiale per un periodo superiore a 30 giorni. Questa norma dovrebbe servire a evitare a priori controversie, ad esempio nel caso di noleggio per uso immediato di autoveicoli da parte di soggetti passivi.

5.2.3   Articolo 9 septies — Prestazioni di servizi specifici a persone non soggetti passivi

Nel paragrafo 1, lettera c), è stato aggiunto un inciso che esclude dai servizi ivi elencati quelli di insegnamento a distanza (cioè impartito senza la presenza fisica del prestatore) di cui all'articolo 9 octies, paragrafo 1, lettera d), che formano oggetto di una disposizione specifica.

Nel paragrafo 1, lettera d), sono stati aggiunti i servizi di ristorazione e di catering, per far sì che vengano tassati nel luogo in cui le relative prestazioni sono materialmente eseguite.

Il paragrafo 2 prevede che si consideri luogo della prestazione dei servizi di ristorazione e di catering resi a bordo di navi, aerei o treni durante un servizio di trasporto passeggeri il luogo di partenza di quest'ultimo servizio. Questa modifica tiene conto di una proposta formulata in tal senso durante la fase di consultazione.

Nel caso di «noleggio o locazione a lungo termine» (ossia per un periodo superiore a 30 giorni) di mezzi di trasporto a persone che non sono soggetti passivi, si considera luogo della prestazione quello in cui il destinatario è stabilito oppure ha il suo domicilio o la sua residenza abituale.

Nel caso di noleggio o locazione a breve termine (ad esempio, il noleggio di un autoveicolo per pochi giorni), si considera luogo della prestazione quello in cui il mezzo di trasporto viene effettivamente messo a disposizione del destinatario del servizio. Anche questa disposizione ha incontrato il favore della maggioranza di coloro che si sono espressi nel corso della fase di consultazione.

5.2.4   Articolo 9 octies — Servizi che possono essere prestati a distanza a persone che non sono soggetti passivi

Questo articolo è stato modificato radicalmente. I servizi elencati nel primo paragrafo dell'articolo si considerano prestati nel luogo in cui il destinatario è stabilito oppure ha il suo domicilio o la sua residenza abituale.

Durante la fase di consultazione questa norma ha incontrato perlopiù una forte opposizione, ritenendosi che l'osservanza degli obblighi in materia di IVA avrebbe comportato oneri amministrativi sproporzionati. Per questo motivo, si è visto nell'introduzione del meccanismo dello sportello unico un presupposto indispensabile per l'applicazione della norma in questione.

Il CESE chiede che si definiscano ancor più chiaramente i servizi rientranti nell'ambito di applicazione di questo articolo.

5.2.5   Articolo 9 nonies — Servizi resi da intermediari a persone non soggetti passivi

Questa modifica chiarisce che si considera luogo di prestazione di tali servizi quello in cui viene effettuata la transazione principale ai sensi delle disposizioni degli articoli da 9 bis a 9 octies e 9 undecies.

5.2.6   Articolo 9 decies — Servizi resi a persone non soggetti passivi al di fuori della Comunità europea

Le modifiche apportate a questo articolo sono la conseguenza di quelle apportate all'articolo 9 octies, cui si è già accennato.

5.2.7   Articolo 9 undecies — Misure volte ad evitare i casi di doppia imposizione

Restano invariate le disposizioni volte a stabilire il luogo della prestazione dei servizi di e-commerce, telecomunicazioni, radiodiffusione e televisione resi da un prestatore stabilito al di fuori dell'UE. Continuerà pertanto ad essere determinante lo Stato membro di stabilimento della persona (non soggetto passivo) destinataria del servizio o dello Stato membro in cui il servizio è materialmente utilizzato.

Poiché le relative disposizioni sono ormai contenute negli articoli 9 octies e 9 nonies, le lettere h), j) e l) del precedente articolo 9 decies vengono espunte.

5.2.8   Articolo 22, paragrafo 6, lettera b), nella versione indicata all'articolo 28 nonies della direttiva 77/388/CEE — Estensione dell'ambito di applicazione dell'elenco riepilogativo

Si propone di modificare il testo di questo articolo in modo da estendere a determinate transazioni l'ambito di applicazione dell'elenco riepilogativo depositato da ogni soggetto passivo identificato ai fini IVA. Infatti, tale elenco dovrebbe contenere dati sugli acquirenti identificati ai fini IVA cui detto soggetto passivo ha ceduto dei beni, sui destinatari identificati ai fini IVA delle operazioni di cui al quinto comma, nonché sui destinatari soggetti passivi cui egli ha prestato servizi ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1.

5.2.9   Modifiche di carattere tecnico

Le altre modifiche proposte sono essenzialmente di carattere tecnico; in proposito, rinviamo al punto 2.12 dell'illustrazione dettagliata della proposta.

6.   Proposte e osservazioni del Comitato

6.1   Luogo di prestazione dei servizi resi a soggetti passivi

6.1.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di estendere il campo di applicazione del meccanismo di inversione contabile (reverse charge) al livello delle imprese e quindi agli scambi di servizi tra soggetti passivi d'imposta.

6.1.2

Tale proposta presuppone tuttavia che il meccanismo di inversione contabile possa essere applicato dalle persone interessate senza alcun problema. Potrebbero insorgere difficoltà nel caso in cui il prestatore del servizio possa demandare al destinatario la valutazione della transazione e di altri aspetti relativi all'IVA, come il luogo della prestazione, gli obblighi fiscali, le aliquote d'imposta o una possibile esenzione dall'imposta, senza che quest'ultimo abbia la possibilità di verificare l'attendibilità di tali informazioni.

6.1.3

Le imprese non dovrebbero essere gravate da ulteriori, onerosi obblighi di registrazione e dichiarazione. All'interno dell'Unione europea ogni impresa deve poter determinare in modo sicuro se un'impresa/soggetto passivo, stabilita in un altro Stato membro, destinataria di un servizio è tenuta ad applicare il meccanismo di inversione contabile a una determinata transazione. Un'eccessiva responsabilizzazione dell'impresa prestatrice dei servizi nel caso in cui l'inversione contabile non sia poi andata a buon fine comprometterebbe l'intero sistema del reverse charge e ne provocherebbe il rifiuto da parte degli ambienti interessati.

6.2   Servizi resi a persone non soggetti passivi

6.2.1

Se i servizi sono resi da un soggetto passivo a una persona che non lo è, l'applicazione del meccanismo di inversione contabile è esclusa a priori. Ciò significa che, nel caso in cui l'imposizione avvenga nel luogo di fruizione del servizio, un'impresa stabilita in un altro Stato membro dovrebbe iscriversi nel registro dell'IVA del paese in cui il servizio viene prestato ed osservare la pertinente normativa di quest'ultimo Stato. In una situazione siffatta, per ridurre al minimo gli oneri amministrativi e quindi anche gli ostacoli agli scambi intracomunitari, bisogna prevedere norme la cui applicazione non richieda adempimenti burocratici.

6.2.2

Un obbligo di iscrizione nel registro dell'IVA comporterebbe notevoli oneri amministrativi supplementari e costi aggiuntivi e, nei casi dubbi, susciterebbe una riluttanza a prestare il servizio da parte dell'impresa soggetto passivo d'imposta. Lungi dall'aprire il mercato interno e dal creare condizioni uniformi di concorrenza per le imprese in tutti gli Stati membri, ciò porrebbe le imprese comunitarie stabilite in un altro paese dell'Unione in notevole svantaggio rispetto a quelle nazionali. Così facendo, non si andrebbe certo nella direzione auspicata dell'eliminazione degli ostacoli agli scambi. Pertanto, quella di estendere l'imposizione nel luogo di utilizzo del servizio alle persone che non sono soggetti passivi è un'ipotesi realizzabile solo se il sistema dello «sportello unico» che si propone di introdurre funziona in modo rapido e ineccepibile. Solo in tal caso le imprese potrebbero prestare servizi imponibili, magari anche in tutti e 25 gli Stati membri, in assenza di un meccanismo di inversione contabile. In caso contrario, vi è il rischio di ottenere l'effetto opposto a quello voluto, ossia l'esclusione delle piccole e medie imprese dal mercato interno.

7.   La procedura di rimborso dell'IVA a monte

7.1

Ciò vale anche per la semplificazione degli obblighi fiscali nell'ambito dalla procedura di rimborso dell'IVA a monte. Come è noto, tale procedura comporta dei problemi in particolare nei casi in cui le somme in questione siano relativamente modeste e le imprese debbano decidere se «valga la pena» presentare richiesta di rimborso all'amministrazione tributaria straniera, o se non risulti più conveniente rinunciare fin dall'inizio al proprio diritto al rimborso. Tuttavia, ciò contraddice di fatto il principio, sotteso alla Sesta direttiva IVA, della detraibilità dell'IVA a monte.

Al riguardo il Comitato ritiene che, in alcuni Stati membri, gli sforzi di riscuotere l'IVA in maniera completa e uniforme debbano essere ancora notevolmente migliorati.

7.2

Per questo motivo occorre far sì che le proposte della Commissione concernenti l'introduzione del sistema dello «sportello unico» vengano tradotte in pratica e che ne venga verificata l'efficacia.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Qui e in seguito per «soggetto passivo d'imposta» si intende un'impresa i cui servizi sono soggetti ad IVA e che di regola può detrarre l'IVA pagata sugli acquisti dal debito lordo IVA.

(2)  Qui e in seguito per «persona non soggetto passivo d'imposta» si intende un soggetto non imprenditore (di solito una persona fisica/utente finale) che non è tenuto a presentare una dichiarazione IVA.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Lotta contro gli ostacoli connessi alla tassazione delle società incontrati dalle piccole e medie imprese nel mercato interno — Descrizione di un eventuale regime pilota basato sul criterio della tassazione dello Stato di residenza

COM(2005) 702 def.

(2006/C 195/14)

La Commissione, in data 23 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore LEVAUX.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, nessun voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE ribadisce di essere favorevole, a lungo termine, all'armonizzazione fiscale a livello europeo. Constatando tuttavia con rammarico l'esistenza di numerosi ostacoli, il CESE:

riconferma il proprio sostegno agli orientamenti e agli sforzi profusi dalla Commissione per facilitare lo sviluppo dell'attività delle PMI, interrogandosi tuttavia sull'efficacia e sui limiti del dispositivo proposto,

ritiene che, trattandosi di un progetto pilota, sarebbe stato più adeguato proporre un sistema maggiormente inquadrato, ispirato a esperienze concrete e basato sull'impegno volontario di alcuni Stati e organizzazioni di categoria delle PMI, nonché limitare la durata dell'esperimento a 5 anni, al fine di individuarne gli elementi riproducibili e di metterli in opera in base all'esperienza acquisita,

suggerisce alla Commissione di trarre spunto dagli elementi contenuti nei diversi pareri elencati in seguito per formulare, a lungo termine, delle linee direttrici che offrano alle PMI soluzioni coerenti, in particolare raccomandando la redazione di uno statuto della PMI europea.

2.   Pareri antecedenti del CESE in relazione all'argomento considerato

2.1

La proposta in esame fa seguito a tutta una serie di altre proposte presentate dalla Commissione negli ultimi anni. Essa rappresenta un nuovo contributo inteso ad offrire, nel settore fiscale e più in particolare nel campo delle imposte societarie, nuove possibilità di sviluppo alle piccole e medie imprese (PMI), la cui importanza nella creazione di ricchezza e posti di lavoro all'interno dell'UE è stata ribadita in più occasioni, in particolare nel Piano d'azione di Lisbona.

2.2

Dalla fine degli anni '90 il Comitato economico e sociale europeo è stato consultato a più riprese su proposte, raccomandazioni e comunicazioni dedicate a questo argomento o ad altri temi ad esso connessi. Si ricordano qui di seguito alcuni pareri recenti elaborati dal Comitato, su consultazione o di propria iniziativa, intorno al concetto di «impresa europea» applicato alle PMI e alle semplificazioni fiscali necessarie per rimuovere rapidamente gli ostacoli incontrati dalle PMI.

Nel 2000, parere d'iniziativa del Comitato economico e sociale in merito alla Carta europea delle piccole imprese  (1). Nel testo venivano avanzate una dozzina di proposte, tra cui quella di sviluppare un sistema fiscale semplificato e di esentare le microimprese con un fatturato minimo da eccessivi impegni fiscali.

Nel 2001, parere del Comitato economico e sociale sul tema La politica fiscale dell'Unione europeaPriorità per gli anni a venire  (2). In esso il CESE appoggiava in generale gli obiettivi della Commissione in materia di politica fiscale sottolineando l'esigenza di coordinare i regimi impositivi applicati alle società per eliminare le difficoltà delle PMI legate alle differenze nazionali.

Nel 2002, parere d'iniziativa del Comitato economico e sociale sul tema L'accesso delle PMI ad uno statuto di diritto europeo  (3). Il CESE affermava che un tale statuto permetterebbe «di garantire [alle PMI] la parità di trattamento con le imprese più importanti […] e di proporre loro un» marchio «europeo per facilitarne le attività nel mercato interno […], escludere il rischio d'imposizioni multiple […].»

Nel 2002, parere d'iniziativa del Comitato economico e sociale riguardante L'imposizione diretta delle imprese  (4). Il parere evocava con urgenza la necessità di accelerare l'adozione di misure contro la doppia imposizione e appoggiava l'idea di un mercato interno privo di barriere fiscali, sottolineando al contempo l'importanza di stabilire principi comuni per incoraggiare tale mercato. Evidenziava inoltre che l'obiettivo di una base imponibile comune a tutte le società presenti nell'Unione è compatibile con la sovranità fiscale degli Stati membri e delle regioni in quanto non pregiudica la loro facoltà di fissare i livelli impositivi.

Nel 2003, parere del CESE sulla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 90/435/CEE del Consiglio del 23 luglio 1990 concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi  (5). In esso il CESE sosteneva la Commissione nel progetto di «eliminazione o quantomeno […] riduzione dell'imposizione doppia o plurima degli utili distribuiti da una società figlia nello Stato della società madre o di una stabile organizzazione.»

Nel 2003, parere d'iniziativa del CESE sul tema La fiscalità nell'Unione europea: principi comuni, convergenza delle norme fiscali e possibilità di introdurre il voto a maggioranza qualificata  (6). In tale parere il Comitato chiedeva che venissero affrontate tre questioni, tra cui «l'introduzione di una base comune per le imposte societarie» e «il ricorso al voto a maggioranza qualificata per stabilire aliquote minime per le imposte societarie

Nel 2004, parere esplorativo del CESE, elaborato dietro richiesta della Commissione, sul tema Adattabilità delle PMI e delle imprese dell'economia sociale ai cambiamenti imposti dal dinamismo dell'economia  (7). Il Comitato vi riaffermava la necessità di una «riduzione degli ostacoli all'accesso delle PMI e delle IES ai mercati globali, specie attraverso una semplificazione delle incombenze amministrative e giuridiche cui queste devono far fronte.»

Nel 2004, parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo: Un mercato interno senza ostacoli inerenti alla tassazione delle societàrisultati, iniziative in corso e problemi ancora da risolvere  (8). In esso il CESE sottolineava:

la necessità di rimediare alle disfunzioni del mercato interno «per consolidare gli accordi sulle imposte societarie», in quanto le «PMI […] non dispongono delle risorse per conformarsi a 15 (presto 25) sistemi diversi» (punti 3.2 e 3.3),

l'opportunità di «considerare il sistema della cosiddetta» tassazione vigente nel paese di residenza «per le PMI, magari fissando un fatturato massimo per la sua applicazione» (punto 3. 3),

il fatto che «il progetto pilota della Commissione basato sulla» tassazione vigente nel paese di residenza «offre una soluzione alle PMI per le loro attività transfrontaliere, alleggerendo gli oneri amministrativi legati alla fiscalità da esse sopportati. Si potrebbe iniziare con un'applicazione sperimentale a livello bilaterale per poi estendere il sistema, se i risultati della prima fase saranno positivi, a tutta l'UE» (punto 3.3.1),

il fatto che «l'istituzione di una base imponibile comune a livello europeo rappresenta un passo importante» (punto 3.4),

«la necessità che gli Stati membri, dotati della più forte influenza nel settore, raggiungessero un accordo per promuovere l'espansione delle PMI al di là del paese di origine e con essa la creazione di posti di lavoro, di cui le PMI sono le prime artefici» (punto 3.7).

2.3

Nel presente documento vengono citati brani di questi 8 pareri, che si sono scaglionati su un periodo di cinque anni, al fine di:

sottolineare meglio l'importanza dei contributi del CESE,

ricordare quali sono le misure più idonee a fornire alle PMI gli strumenti per svolgere un ruolo maggiore nel mercato interno dell'UE,

sottolineare il fatto che la Commissione testimonia, con la sua perseveranza, la sua determinazione a trovare soluzioni che consentano di arrivare all'obiettivo.

2.4

Il Comitato si duole tuttavia che siano passati 5 anni senza che sia stato realizzato un dispositivo efficace. Chiede inoltre con insistenza al Parlamento e al Consiglio di decidersi a rimuovere finalmente gli ostacoli che ancora sussistono in tal senso, ostacoli che sono ormai chiaramente identificati.

3.   Proposte della Commissione e apporti del CESE

3.1

Pur ritenendo di aver formulato con ampio anticipo dei pareri che vanno nel senso delle proposte della Commissione, il CESE desidera tuttavia integrare il proprio contributo su un certo numero di punti.

3.2

Nella comunicazione in esame la Commissione sottolinea che la partecipazione delle PMI al mercato interno è molto inferiore a quella delle imprese di maggiori dimensioni e che ciò è dovuto in particolare a motivi fiscali. Ricorda come sia opportuno incoraggiare l'espansione transfrontaliera delle PMI e raccomanda di applicare il criterio della tassazione in base alle regole dello Stato di residenza. La proposta della Commissione, per quanto riguarda la tassazione delle imprese e più specificamente l'imposta sulle società, è di far testare agli Stati membri e alle imprese il principio della tassazione vigente nello Stato di residenza attraverso un dispositivo pilota di tipo sperimentale.

3.3

Il CESE ha già raccomandato ed espresso il suo accordo di massima per un'iniziativa in tal senso. Rammenta tuttavia che le PMI che contemplano la possibilità di espandersi oltre i confini nazionali sono numericamente limitate: tale sperimentazione potrà dunque svolgersi unicamente con il concorso di quel numero ristretto di imprese che per loro ubicazione o natura possono prevedere una strategia di espansione oltre confine. Al di là della posizione di principio comune, il CESE desidera che la Commissione indichi con più precisione:

il numero approssimativo di PMI potenzialmente interessate, nel prossimo futuro, all'attuazione del dispositivo auspicato in materia di calcolo della base imponibile,

il loro «peso» economico all'interno dell'UE,

i settori dell'economia maggiormente interessati.

3.3.1

L'obiettivo perseguito è infatti quello di migliorare la crescita e l'occupazione facilitando al tempo stesso l'attività delle PMI. Data l'esiguità dei mezzi di bilancio di cui dispone l'Europa, il CESE ritiene che si debba evitare il frazionamento dei fondi disponibili dando priorità a un numero limitato di provvedimenti che favoriscano l'efficacia. A tale proposito non è sufficiente verificare, sulla base delle informazioni statistiche disponibili, l'efficacia della misura proposta ma è necessario anche paragonarla a quella di altre misure che potrebbero rivelarsi più adeguate. Il CESE si stupisce del fatto che, in mancanza di informazioni sufficienti al riguardo, nella propria analisi d'impatto la Commissione non sia in grado di misurare i costi connessi all'attuazione della misura preconizzata.

3.4

Per giustificare la propria proposta, la Commissione si basa sui risultati di un'inchiesta da essa condotta nel secondo semestre del 2004 presso le PMI e le organizzazioni di categoria dei 25 Stati membri. Orbene, la Commissione ha ricevuto soltanto 194 questionari compilati, di cui 168 provenienti da imprese tedesche (cfr. documento allegato).

3.4.1

Il CESE osserva che l'inchiesta non ha consentito di raccogliere un numero significativo di risposte all'interno dell'UE, dove invece esistono diversi milioni di PMI, di cui due milioni solamente nel settore delle costruzioni. Il Comitato si sorprende inoltre del fatto di non essere stato messo al corrente in merito ai contributi apportati dalle organizzazioni di categoria e dalle parti sociali. A meno che tali contributi non siano a carattere confidenziale, il CESE chiede che gli vengano trasmessi per informazione.

3.4.2

Dato che l'inchiesta apporta poche informazioni utilizzabili, il CESE ritiene che la Commissione non avrebbe dovuto trarne delle conclusioni che potrebbero non essere sufficientemente fondate.

3.5

Il CESE reputa che la Commissione debba:

ricercare le cause del disinteresse manifestato dalle imprese per l'inchiesta in esame,

prevedere un bilancio sufficiente per fare realizzare i questionari da esperti di sondaggi. Questi ultimi valuterebbero innanzitutto la pertinenza dell'oggetto dell'inchiesta e del suo obiettivo e poi quella del contenuto stesso del questionario. Parallelamente, un contatto diretto con PMI che già dispongono di filiali in altri paesi potrebbe consentire una valutazione migliore delle difficoltà cui devono far fronte le imprese di tale categoria,

evitare la diffusione di un questionario unicamente a mezzo Internet: si tratta di una modalità che mal si adatta alle PMI, anche se è invece adeguata alle organizzazioni che consultano regolarmente il sito della Commissione.

3.5.1

È d'altronde anche possibile che alcuni dirigenti di PMI decise a insediarsi in altri Stati membri non considerino la tassazione una delle loro preoccupazioni prioritarie, ma privilegino la possibilità di trovare un'équipe commerciale sul posto, investire nel marketing e col tempo ricavare dei margini di profitto.

3.5.2

Infine, è possibile che altri dirigenti di PMI, nel considerare l'ipotesi di creare un'attività in un altro Stato membro, ritengano di dover affrontare una serie di problemi amministrativi, giuridici, sociali, fiscali, ecc. talmente complessi che il modo in cui verrebbe tassata la società figlia diventa un problema marginale e prematuro; preferiscono così dar vita a una joint venture con un'impresa locale (iniziative, queste, che favoriscono la coesione europea).

3.6

La Commissione stabilisce nei termini che seguono il campo d'applicazione, le modalità e gli obiettivi del dispositivo pilota da essa raccomandato:

un'ampia applicazione a tutte le PMI, ivi comprese le microimprese con meno di 10 dipendenti,

il fatto di calcolare gli utili imponibili della società madre di una PMI, nonché di tutte le filiali e sedi stabili ammissibili al progetto da essa possedute in altri Stati membri partecipanti, in base alle regole sulla base imponibile vigenti nello Stato di residenza,

la base imponibile così stabilita sarebbe ripartita tra gli Stati membri interessati in funzione della loro quota rispettiva della massa salariale totale e/o del fatturato globale della società. Ciascuno Stato membro applicherebbe poi la propria aliquota alla frazione della base imponibile che gli viene attribuita,

la compensazione transfrontaliera delle perdite.

In questo modo si ridurrebbero, per le PMI, i costi legati alla molteplicità delle regole nazionali in materia di imposta sulle società, regole che generalmente impongono il ricorso a onerose consulenze di specialisti.

3.7

Il CESE constata che gli obiettivi e il campo d'applicazione proposti corrispondono a quanto da esso ipotizzato in precedenza. Conferma pertanto il proprio accordo, raccomandando, in caso di successo dell'esperimento, la creazione in tempi rapidi di un dispositivo europeo di vigilanza ed, eventualmente, di controllo sul dumping fiscale per impedire alle imprese, ad esempio, di spostare la società madre in Stati membri che offrono condizioni più vantaggiose in materia di calcolo della base imponibile dell'imposta sulle società.

3.8

La Commissione invita gli Stati membri a negoziare e a concludere convenzioni bilaterali per stabilire le modalità pratiche di attuazione di tale dispositivo pilota, tenendo conto degli orientamenti generali non vincolanti da essa suggeriti. Essa offre la propria assistenza agli Stati membri nella preparazione e attivazione di tali convenzioni.

3.9

Il CESE è consapevole dei limiti d'azione e d'intervento della Commissione e si compiace che l'esecutivo europeo si limiti a svolgere un ruolo propositivo e incitativo. Ciò consentirà alle PMI interessate di sperimentare i dispositivi pilota previsti negli accordi bilaterali conclusi tra taluni Stati membri. A tempo debito, in funzione dei risultati di tali esperienze, la Commissione potrà proporre di estendere la sperimentazione nel tempo con i più efficaci di tali dispositivi.

3.10

Il CESE si associa alla Commissione per confermare che la molteplicità delle norme nazionali rappresenta un grave ostacolo per le PMI. Rileva d'altro canto che la moltiplicazione degli accordi bilaterali (in linea di principio tutti diversi gli uni dagli altri) tra i 25 Stati membri indurrà necessariamente le PMI a utilizzarne solo un numero limitato, il che non condurrebbe alla semplificazione auspicata.

3.11

Il CESE si interroga inoltre sulle ricadute pratiche della volontà espressa dalla Commissione di non prevedere per l'esperimento proposto un programma maggiormente inquadrato. In un domani, successivamente all'entrata in applicazione di numerosi accordi bilaterali, come si potrà giungere, a tempo debito, ad una armonizzazione delle norme fiscali (auspicabile sul lungo termine), se non vengono stabiliti fin dall'inizio alcuni criteri di convergenza?

3.12

Infine, il CESE osserva che non è stata intrapresa alcuna ricerca accurata per verificare se già non esistano in Europa, presso determinate regioni o Stati, come la Svizzera, il Liechtenstein, Città del Vaticano, Monaco, San Marino, Andorra, ecc., dispositivi che consentano di eliminare o ridurre le ricadute dei molteplici sistemi fiscali nazionali, regionali o locali a vantaggio delle imprese, e in particolare delle PMI.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 204 del 18.7.2000, pag. 57.

(2)  GU C 48 del 21.2.2002, pag. 73.

(3)  GU C 125 del 27.5.2002, pag. 100.

(4)  GU C 241 del 7.10.2002, pag. 75.

(5)  GU C 32 del 5.2.2004, pag. 118.

(6)  GU C 80 del 30.3.2004, pag. 139.

(7)  GU C 120 del 20.5.2005, pag. 10.

(8)  GU C 117 del 30.4.2004, pag. 41.


18.8.2006   

IT

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C 195/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di regolamento del Consiglio che istituisce un Fondo di coesione (versione codificata)

COM(2006) 5 def. — 2003/0129 (AVC)

(2006/C 195/15)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 28 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla propsta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore GRASSO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.

Il Comitato economico e sociale europeo approva l'iniziativa della Commissione di procedere alla codificazione del regolamento (CE) n. 1164/94 che istituisce un Fondo di coesione.

2.

Il Comitato conferma il parere, già espresso a più riprese, secondo cui la codificazione della regolamentazione comunitaria contribuisce a ravvicinare i cittadini europei agli strumenti dell'Unione europea. Questo aspetto è ancora più importante nel caso della politica di coesione, settore che riveste un'importanza fondamentale nella costruzione comunitaria.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


18.8.2006   

IT

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C 195/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'azione esterna dell'Unione: il ruolo della società civile organizzata

(2006/C 195/16)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: L'azione esterna dell'Unione: il ruolo della società civile organizzata.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore KORYFIDIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

A.

Il presente parere è stato formulato sulla base di un questionario e di uno studio. Essi sono a loro volta il risultato di una lunga analisi condotta a livello teorico e pratico, come pure dell'esperienza acquisita dal CESE nelle relazioni che esso intrattiene con gli organi consultivi della società civile nei paesi candidati e nei paesi terzi. L'intera operazione, che ha avuto una durata di diversi anni, ha portato il CESE a convincersi della necessità di passare ormai a una nuova fase, conferendo maggiore organicità, regolarità e lungimiranza ai suoi impegni e alle relazioni che essi comportano.

B.

Il CESE ritiene che la globalizzazione dell'economia, abbinata all'evoluzione scientifica e tecnologica, specie nel settore dell'informazione, stia generando una potente dinamica che può essere controllata solo spostando il centro di gravità nell'ambito della definizione e dello sviluppo delle odierne relazioni internazionali. Tale spostamento dovrebbe fondamentalmente tradursi nell'integrazione strutturale dei rapporti da società a società nelle tradizionali relazioni fra Stati.

C.

Da ciò consegue che l'intera Unione, intesa come sistema di governance, deve prendere atto congiuntamente e quanto prima di tale nuova realtà. In tale contesto deve anche elaborare e sviluppare politiche in materia di azione esterna che prevedano la partecipazione attiva della società civile organizzata e la sua valorizzazione sul piano dell'attuazione.

D.

Tali politiche comunitarie dovranno essere possibilmente preventive e in ogni caso integrate. I criteri per la loro definizione e sviluppo, all'interno come all'esterno delle frontiere dell'Unione, devono essere la vita democratica dell'Europa, il suo bagaglio di conquiste economiche e sociali, gli obiettivi strategici dell'Unione e la validità delle conoscenze.

E.

In tale nuovo contesto, sarà indispensabile tendere a un nuovo equilibrio interno sul piano organizzativo e a un'armonia più creativa tra concorrenza e cooperazione, specie per quanto riguarda settori e attività rivolte all'esterno dell'Unione.

F.

Per la società civile organizzata europea, tuttavia, prendere coscienza del nuovo ruolo che è chiamata a svolgere rappresenta un problema complesso, il quale rende necessario promuovere il ricorso a metodi moderni per acquisire familiarità con l'apprendimento e la conoscenza.

G.

Per creare un tale rapporto di familiarità ma anche, più in generale, per consentire ai cittadini europei di muoversi in una società e in un'economia imperniate sulla conoscenza, serve una prospettiva nuova nei programmi di apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Ciò significa in pratica integrare i programmi esistenti con le conoscenze relative alla globalizzazione e all'azione esterna dell'Unione.

H.

Al CESE, in quanto espressione principale della società civile organizzata al livello europeo, spetta un triplice compito:

fungere da portavoce presso gli organi politici dell'Unione, della posizione della società civile organizzata sulle questioni attinenti all'azione esterna comunitaria, grazie al suo acquis democratico e a un processo di conciliazione dei diversi interessi,

essere parte attiva del processo di definizione e di sviluppo delle politiche dell'Unione in materia di azione esterna,

garantire il monitoraggio delle politiche esterne attuate dall'UE e del loro impatto economico e sociale.

I.

Tale ruolo del CESE abbraccia un gran numero di tematiche e di attività, visto che tutti i problemi generati dal nuovo ambiente mondiale hanno attinenza con una o l'altra delle sue componenti, in altri termini la dimensione economica, sociale, ambientale e culturale.

J.

Ne consegue che il contributo più sostanziale del CESE alla definizione e allo sviluppo delle politiche comunitarie in materia di azione esterna consiste nella sua capacità di esprimere di volta in volta, grazie alle proprie posizioni, un equilibrio creativo. Tale equilibrio scaturisce dalla sintesi dei diversi interessi manifestati dai suoi membri nell'ambito di una procedura e di una prospettiva che ingloba le quattro dimensioni suddette.

K.

Si noti che il CESE ha già maturato un'esperienza significativa nelle questioni attinenti all'azione esterna dell'Unione. Ciò non toglie che vi sia una carenza riguardo alla promozione di tale bagaglio di esperienze mediante meccanismi e approcci comunitari più ampi. Le istituzioni europee, in particolare, non hanno saputo valorizzare e sfruttare abbastanza tali esperienze e le conclusioni fornite loro attraverso pareri, relazioni informative e proposte.

L.

Il CESE considera necessario esaminare il modo di migliorare il legame tra tale sua esperienza e le strutture politiche centrali dell'Unione. Ciò potrebbe avvenire attraverso la firma di accordi di cooperazione rafforzata, come quello concluso con la Commissione europea. Meglio però sarebbe che ciò si verificasse nel quadro di una cooperazione tra tutti gli organi politici dell'Unione e il CESE per la messa a punto di politiche integrate e preferibilmente preventive.

M.

In ogni caso, il CESE intuisce e rileva la necessità di rafforzare il proprio ruolo, e in senso lato quello della società civile organizzata, nei processi legati alla globalizzazione. Tale necessità è legata a una motivazione generale, cioè promuovere i più ampi obiettivi che l'Unione persegue in materia nel mondo del XXI secolo, ma anche a una ragione specifica che, specie nel caso del CESE, riguarda le modalità di tale promozione. Essa riguarda in altri termini il nuovo modello di funzionamento del CESE che si va delineando nel quadro di una società della conoscenza, ma anche una caratteristica unica del Comitato: la capacità di realizzare interventi affidabili fuori dell'Unione al livello della società e con strumenti che si potrebbero definire di «diplomazia morbida».

N.

Il CESE aspira alla consacrazione e al rafforzamento di questa sua caratteristica unica e di questa sua capacità, e ambisce a essere riconosciuto come attore mondiale e rappresentante istituzionale della società civile organizzata europea, specie in seno a consessi internazionali come il Consiglio economico e sociale dell'ONU. Inoltre, sollecita la valorizzazione della propria posizione e del proprio ruolo nei trattati firmati con paesi terzi e il sostegno alle proprie politiche volte a sostenere la società civile di tali paesi.

O.

Nell'espletamento di tale duplice ruolo, il CESE chiede aiuto per poter sviluppare nel medio periodo una serie di scelte importanti, tra cui:

la creazione di un sistema moderno e integrato di comunicazione proattiva, di scambio di informazioni e di collegamento in rete con i suoi interlocutori europei e mondiali, ma anche con gli altri organi dell'Unione,

il potenziamento della propria visibilità e della collaborazione con organi consultivi, organizzazioni intergovernative e altre istituzioni internazionali, in particolare per quanto riguarda i rapporti con la società civile organizzata,

la costituzione di una banca dati elettronica sull'attività degli organi e delle strutture che esercitano una funzione consultiva nel mondo e su quella delle reti di organizzazioni della società civile, e l'utilizzo di tale banca come strumento di comunicazione, conoscenza, comprensione e interpretazione dei comportamenti della società civile, nonché di promozione su scala mondiale dei valori e degli obiettivi strategici dell'Unione,

l'elaborazione, a cadenza biennale, di un rapporto evolutivo sull'attività degli organi e delle strutture con funzioni consultive su scala mondiale e sull'impatto esercitato su di essi dall'azione esterna dell'Unione.

P.

Sullo sfondo delle osservazioni e delle proposte che precedono, il CESE chiede agli organi politici dell'Unione di adottare e promuovere un metodo permanente di dialogo interistituzionale con i seguenti obiettivi:

fornire un'informazione trasparente e tempestiva e creare un sapere collettivo convalidato riguardo all'azione esterna dell'Unione, e

giungere a una concezione unica e coerente sul contenuto, sulle motivazioni e sulle modalità delle azioni proposte.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


18.8.2006   

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C 195/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 — Periodo di riflessione

(2006/C 195/17)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 — Periodo di riflessione

e, conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno, ha nominato MALOSSE relatore generale.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.

Innanzitutto il Comitato si compiace che la presidenza del Consiglio dell'Unione europea non abbia inteso limitarsi a stilare un bilancio delle iniziative intraprese nel periodo di riflessione, ma abbia voluto stabilire anche le prossime tappe del processo in corso.

2.

Al riguardo il CESE ribadisce la posizione espressa nei pareri del 24 settembre 2003 (1) e del 28 ottobre 2004 (2), secondo cui il Trattato costituzionale costituisce per l'UE uno strumento essenziale per affrontare le sfide che le si presentano. In particolare il CESE riafferma l'importanza del fatto che il Trattato incorpori la Carta dei diritti fondamentali, che fonda le politiche dell'Unione sui diritti dei cittadini, e includa delle disposizioni istituzionali e in materia di governance, che assicurano maggiore visibilità ed efficacia all'Unione europea.

3.

Vista anche la risoluzione del Parlamento europeo, del 19 gennaio 2006, sul «periodo di riflessione: struttura, temi e contesto per una valutazione del dibattito sull'Unione europea».

4.

Il CESE ritiene che:

l'assenza di una visione chiara e di un consenso riguardo agli obiettivi e alle finalità dell'integrazione europea abbiano alimentato molti dubbi, nonostante i successi e le conquiste realizzati in 50 anni di costruzione dell'Europa,

le perplessità dei cittadini riguardino il funzionamento e le politiche attuali dell'Unione europea piuttosto che il Trattato costituzionale in sé e per sé, il cui carattere innovativo non è stato spiegato sufficientemente all'opinione pubblica,

l'attuale sistema istituzionale, stabilito dal Trattato di Nizza, non consenta all'Unione europea di avanzare sulla strada dell'integrazione. I Trattati in vigore non rispondono alle esigenze di una moderna governance europea e, in particolare, concedono uno spazio davvero troppo esiguo alle organizzazioni della società civile nel processo di elaborazione delle politiche e di preparazione delle decisioni comunitarie, a tutti i livelli,

spetti alla Commissione e al Consiglio, nell'ambito delle rispettive responsabilità, presentare proposte adeguate per porre le basi di una visione del futuro dell'Europa che sia proficua per i suoi cittadini e dare alle politiche dell'Unione un contenuto corrispondente alle attese degli europei. In questo contesto, il CESE si compiace che l'accordo interistituzionale concluso il 4 aprile 2006 fra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione preveda un aumento dell'importo delle prospettive finanziarie 2007-2013 inizialmente deciso dal Consiglio europeo. Tuttavia, il CESE constata che tale aumento è ancora limitato e, di conseguenza, deplora fortemente che le prospettive finanziarie non consentano all'Europa di stanziare dei mezzi finanziari pienamente adeguati alle sue stesse ambizioni. Al riguardo esso rinvia al parere adottato in materia il 15 settembre 2004 (3),

per attuare con successo una strategia di comunicazione sull'Europa, si debba prima:

elaborare una visione chiara dell'avvenire dell'Europa,

definire e attuare delle politiche che apportino ai cittadini un effettivo valore aggiunto,

garantire una maggiore intelligibilità e visibilità della costruzione europea e dei suoi obiettivi,

rendere più democratico il funzionamento dell'Unione europea, in particolare assicurando un maggiore coinvolgimento dei cittadini e un dialogo più strutturato con la società civile organizzata.

5.

Il CESE formula le seguenti raccomandazioni all'indirizzo del Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006.

5.1   Le responsabilità

5.1.1

La responsabilità di trovare in tempi rapidi una via d'uscita alla crisi d'identità che vive l'Unione europea incombe oggi essenzialmente agli Stati membri, e dunque al Consiglio europeo. Di conseguenza, il vertice del giugno 2006 dovrà lanciare un messaggio chiaro sull'avvenire dell'Europa e aprire delle prospettive di soluzione delle attuali difficoltà politiche. In quest'ottica il CESE ritiene che la soluzione per uscire dalla crisi debba preservare i progressi e gli equilibri raggiunti dal Trattato costituzionale e tener conto del fatto che esso è stato ratificato, ad oggi, da 15 Stati membri.

5.1.2

In virtù dell'articolo IV-443, paragrafo 4, del Trattato costituzionale, i due risultati negativi del processo di ratifica — le cui ragioni, peraltro, non vanno ignorate — non comportano necessariamente l' abbandono del Trattato.

5.2   Una governance migliore

5.2.1

La Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio devono anticipare gli aspetti più innovativi previsti in materia di governance dal Trattato costituzionale. Il CESE raccomanda quindi di ampliare e rafforzare fin d'ora il processo di consultazione delle organizzazioni della società civile prima di ogni iniziativa legislativa di particolare rilievo. Inoltre, esso invita la Commissione a studiare le condizioni per l'esercizio del diritto di iniziativa popolare.

5.2.2

In questo contesto, la capacità del CESE di contribuire — mediante pareri esplorativi e relazioni informative come pure nel quadro delle valutazioni d'impatto — all'elaborazione delle politiche comunitarie dovrebbe essere sfruttata maggiormente dalle istituzioni europee.

5.2.3

Anche a questo titolo, in particolare collegandosi con i consigli economici e sociali nazionali e con le istituzioni analoghe, il Comitato proseguirà nelle sue iniziative per recare un contributo decisivo alla promozione e alla maggiore strutturazione del dialogo e della consultazione tra le istituzioni europee e la società civile organizzata.

5.2.4

Si tratterà dunque di sviluppare il principio di «solidarietà funzionale», attribuendo «in nome dell'Unione» responsabilità sempre maggiori agli enti locali e regionali e alle organizzazioni della società civile per accelerare il processo di appropriazione della realtà europea da parte dei cittadini. Inoltre, bisognerà estendere il monitoraggio sull'attuazione del principio di sussidiarietà non solo agli enti locali e regionali, ma anche alle organizzazioni della società civile.

5.3   Arricchire il contenuto alle politiche comunitarie e alla cittadinanza europea

5.3.1

Spetta alle istituzioni europee dare un contenuto più ricco alle politiche europee per dimostrare la loro efficacia e il loro impatto positivo sulla vita quotidiana dei cittadini: occupazione, mobilità, ambiente, progresso sociale, politica della gioventù, imprenditorialità, lotta alle discriminazioni e all'esclusione, ecc. Inoltre, tali istituzioni dovrebbero perseguire la realizzazione dei grandi progetti europei, che consentono di identificarsi con l'Unione (reti transeuropee, politica spaziale, ecc.), e lanciarne dei nuovi, come il servizio civile europeo e il sistema europeo di prevenzione e gestione dei grandi rischi.

5.3.2

Spetta alla Commissione europea, conformemente al ruolo e alle competenze assegnatele dai Trattati, elaborare e proporre delle vere politiche comuni nei campi (in particolare l'energia, l'ambiente, la ricerca) in cui il valore aggiunto della dimensione europea non ha più bisogno di essere dimostrato. In quest'ottica, si deve optare per le soluzioni più pragmatiche, sia che si tratti in particolare, a seconda degli ambiti, di cofinanziamenti UE/Stati membri o di cooperazioni rafforzate.

5.3.3

In materia di politica estera, conformemente all'impegno assunto nel Consiglio europeo di Vienna del 1998, anziché disperdere le iniziative e le posizioni, facendo così dubitare della reale volontà degli Stati membri di «giocare la carta» dell'Unione europea, si devono aumentare in misura considerevole la coesione e la solidarietà dell'UE. Una presentazione coerente e convincente dei legittimi interessi dell'UE nel mondo permetterà anche di rafforzare notevolmente il credito dell'Unione presso i cittadini europei e di garantirne una maggiore visibilità.

5.3.4

Dando un contenuto effettivo alle politiche comunitarie, la Commissione e il Consiglio renderanno credibile la strategia riveduta di Lisbona e apriranno la strada a un progetto europeo post-2010 conforme alle attese dei cittadini, purché questa volta si mettano a disposizione mezzi realmente adeguati agli obiettivi che ci si è prefissi. Infatti, se si vuole che il Trattato costituzionale sia meglio compreso dai cittadini, bisogna offrir loro la prospettiva di un progetto globale di società.

5.4   Utilizzare appieno i Trattati in vigore

5.4.1

Senza attendere l'entrata in vigore di un nuovo Trattato, la Commissione e il Consiglio dovrebbero fin d'ora dare piena attuazione ad alcune disposizioni del Trattato di Nizza, come quelle che permettono di decidere a maggioranza qualificata anziché all'unanimità in alcuni ambiti della politica sociale e nel campo della giustizia e affari interni.

5.4.2

Inoltre, il CESE raccomanda che la Commissione e gli Stati membri adottino nuove iniziative in materia di governance economica dell'Unione. Ciò per rafforzare il processo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri nell'ottica del rilancio degli investimenti orientati verso la realizzazione degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona. In quest'ottica, è opportuno provvedere fin d'ora ad ampliare le competenze dell'Eurogruppo.

5.4.3

Infine, incombe al Consiglio la responsabilità di porre rimedio fin d'ora ai ritardi e alle insufficienze, quando non addirittura alle lacune, che si registrano ancora in molti campi, come l'introduzione di statuti europei per le associazioni, le società mutualistiche e le piccole imprese o del brevetto comunitario. Oltre a far ciò, il Consiglio dovrebbe procedere in tempi rapidi anche a rimuovere gli ostacoli che ancora intralciano la libera circolazione delle persone, dei servizi e delle merci. Tali ritardi e tali lacune hanno fatto perdere credibilità alle istituzioni europee e favoriscono il manifestarsi degli egoismi nazionali e il riemergere della competizione tra gli Stati membri.

5.4.4

Quando una proposta legislativa, presentata dalla Commissione in qualità di titolare del diritto di iniziativa e di garante dell'interesse generale, non giunge in porto, il Consiglio dovrebbe spiegarne le ragioni, o addirittura darne giustificazione, ai cittadini.

5.5   Un'informazione credibile e coerente

5.5.1

Il CESE chiede agli Stati membri di sviluppare delle campagne d'informazione mirate e permanenti sulle conquiste dell'integrazione europea e il valore aggiunto di questa, nonché di prevedere un'«educazione civica europea» fin dalla scuola primaria. Affinché l'informazione così diffusa sia credibile e non assimilabile alla propaganda, i responsabili devono appoggiarsi alle reti di organizzazioni della società civile allo scopo di discutere sul contenuto concreto delle politiche. La Commissione svolge un ruolo fondamentale anche per garantire la coerenza tra le azioni di informazione condotte in tutta Europa e, in tale contesto, dovrebbe impegnarsi maggiormente per difendere le politiche e i meccanismi dell'Unione anziché accontentarsi di assumere un atteggiamento neutrale.

6.   Favorire la creazione di un nuovo patto tra l'Europa e i suoi cittadini

6.1

Con la firma e la ratifica dei Trattati europei, tutti gli Stati membri si sono impegnati volontariamente in un processo di integrazione che ha il proprio fondamento in un'unione sempre più stretta tra i popoli europei.

6.2

Il periodo di riflessione deve servire non solo a trovare una via di uscita all'attuale situazione di stallo istituzionale, ma anche e soprattutto a favorire la nascita di un nuovo consenso sulle finalità dell'integrazione e su un progetto politico realistico ma ambizioso: un progetto, cioè, che prospetti la visione di un'Europa portatrice non solo di pace, ma anche di una maggiore prosperità e democrazia per i suoi cittadini. Dare una nuova credibilità al progetto europeo e conferire nuova legittimità al processo di integrazione sono infatti due condizioni indispensabili per superare la crisi di identità attraversata oggi dall'Europa.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere destinato alla Conferenza intergovernativa 2003 — (GU C 10 del 14.1.2004).

(2)  Parere sul tema Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa — (GU C 120 del 20.5.2005).

(3)  Parere in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Costruire il nostro avvenire comune - Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013 (COM(2004) 101 def.) — (GU C 74 del 23.3.2005).


18.8.2006   

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C 195/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione

COM(2006) 32 def. — 2006/0010 (CNS)

(2006/C 195/18)

Il Consiglio, in data 10 febbraio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore GREIF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 91 voti favorevoli e un'astensione.

1.   Proposta di decisione della Commissione

1.1

All'inizio del 2006, la Commissione ha presentato al Consiglio una proposta di decisione relativa agli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione per il 2006.

Nel documento si propone di mantenere immutati gli orientamenti per il 2005-2008, adottati nel 2005, e di raccomandare agli Stati membri di portare avanti le loro politiche in materia di occupazione e di mercato del lavoro conformemente alle priorità stabilitevi.

1.2

Con tale decisione la Commissione si conforma al nuovo ciclo di governance che rientra nella riforma della strategia di Lisbona, in base alla quale gli orientamenti a favore dell'occupazione, definiti in un pacchetto integrato assieme agli indirizzi di massima per le politiche economiche, verranno rivisti interamente solo ogni tre anni.

1.3

In tal modo gli Stati membri riuniti in sede di Consiglio hanno rinunciato, per il 2006, alla possibilità di effettuare eventuali adeguamenti negli anni intermedi.

La decisione della Commissione è stata preceduta da una valutazione dei programmi nazionali di riforma degli Stati membri, presentati nell'autunno del 2005 nella relazione annuale sullo stato di avanzamento e nel progetto di relazione congiunta sull'occupazione.

2.   Osservazioni del Comitato

2.1

Il Comitato ha già accolto con soddisfazione questo nuovo approccio integrato, nonché il ciclo pluriennale, nel parere sull'adozione degli orientamenti per il periodo 2005-2008 (1), facendo tuttavia notare che:

sussiste, in alcuni ambiti, una mancanza di coerenza tra gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli orientamenti per l'occupazione,

il successo dipende anche dalla serietà con la quale gli Stati membri assolvono i loro obblighi e dall'effettiva attuazione sul piano nazionale delle priorità stabilite,

occorre assicurare un autentico coinvolgimento dei Parlamenti, delle parti sociali e della società civile in tutte le fasi del coordinamento delle politiche in materia di occupazione.

2.2

Il Comitato ha inoltre rilevato che nella definizione delle linee direttrici per il periodo 2005-2008 occorre un adeguamento, in particolare per quanto riguarda le seguenti priorità:

una politica diretta a favorire un migliore inserimento dei giovani sul mercato del lavoro, soprattutto per assicurare loro una prima occupazione con prospettive future,

misure legate al passaggio ad un'economia della conoscenza, specie per migliorare la qualità dei posti di lavoro e la produttività del lavoro,

il problema della parità tra i sessi nel settore dell'occupazione e, nel medesimo contesto, gli sforzi avviati nel senso della conciliazione della vita lavorativa e della vita familiare,

la sfida dell'invecchiamento delle persone attive,

la necessità di combattere in maniera più efficace la discriminazione fondata sull'età, gli handicap o l'origine etnica nel mercato del lavoro.

2.3

Il Comitato condivide il giudizio formulato dal Cambridge Review Report che, su richiesta della Commissione, esamina le politiche nazionali in materia di occupazione nel quadro dei piani d'azione nazionali per il 2005. Secondo detta fonte numerosi Stati membri, pur avendo menzionato alcune misure relative proprio alle questioni orizzontali di cui al punto 2.2, nel complesso non hanno attribuito loro la necessaria priorità.

Visto che la situazione del mercato del lavoro è tuttora stagnante e che l'attuazione a livello nazionale delle misure previste in questi ambiti rimane insufficiente, il Comitato reputa urgente ribadire l'importanza di tali punti nelle raccomandazioni annuali agli Stati membri, nonché effettuare i necessari adeguamenti nel quadro degli orientamenti pluriennali.

2.4

Ciò vale in particolare per l'assenza, sul piano europeo, di obiettivi chiari e vincolanti nell'ambito della politica per l'occupazione e del mercato del lavoro:

con la trasformazione degli obiettivi espliciti e quantificati in valori di riferimento, ci si è allontanati, nell'adozione degli orientamenti per il periodo 2005-2008, dall'impostazione seguita fino a quel momento nell'ambito della strategia europea per l'occupazione, impostazione che consisteva nell'imporre agli Stati membri un quadro e degli impegni chiari,

si è invece previsto che i singoli Stati membri, previa consultazione dei parlamenti nazionali e delle parti sociali, dovessero fissare i propri obiettivi per l'attuazione degli orientamenti a livello nazionale, nel quadro dei programmi nazionali di riforma.

2.5

Già l'anno scorso il Comitato aveva osservato che questo sistema avrebbe potuto comportare un ulteriore indebolimento del carattere vincolante dell'attuazione, a livello nazionale, delle priorità stabilite sul piano europeo, dal momento che i provvedimenti adottati dagli Stati membri per favorire l'occupazione non avrebbero più potuto essere misurati, come in passato, in base ad obiettivi europei concreti e quantificati.

A un anno di distanza, questa preoccupazione (e in particolare la tendenza alla riduzione degli obiettivi vincolanti) è ampiamente confermata, come risulta anche da una prima verifica del capitolo sull'occupazione dei piani nazionali di riforma presentati dagli Stati membri. Come è già stato notato da diversi osservatori, numerosi programmi nazionali di riforma trasmessi alla Commissione appaiono poco ambiziosi ai fini di una politica per l'occupazione rispettosa dei diritti e dei doveri dei lavoratori:

da un lato, come già negli anni passati, i programmi presentano sovente delle misure in corso, che figuravano comunque all'ordine del giorno dei governi nazionali,

dall'altro, numerosi programmi nazionali di riforma non forniscono indicazioni specifiche sui tempi o sui modi di realizzazione di tali misure, né sulle risorse previste o su coloro che le porteranno a termine.

Alla luce delle diverse strutture e dei distinti problemi presenti nell'ambito del mercato del lavoro dei vari Stati membri, sarebbe in linea di principio auspicabile prevedere un certo grado di flessibilità nell'attuazione degli orientamenti. Finché sussistono le condizioni esposte al punto 2.4, è assolutamente necessario evitare di indebolire gli obiettivi della strategia di Lisbona rinnovata a causa di una presentazione insufficientemente precisa.

2.6

Il Comitato si pronuncia pertanto a favore dell'applicazione di misure efficaci volte a migliorare, in futuro, la qualità dei programmi nazionali in modo da renderli più vincolanti in termini di scadenze, responsabilità e, nei limiti del possibile, basi finanziarie adeguate.

In genere i programmi nazionali di riforma presentano solo disposizioni nazionali relative agli obiettivi generali fissati dalla strategia di Lisbona (occupazione totale, donne, anziani). Il Comitato è a favore di un incremento del numero di obiettivi specifici, ad esempio relativi alla lotta contro la disoccupazione giovanile; alla promozione delle pari opportunità, dell'apprendimento permanente e delle attività destinate ai disabili (2); allo sviluppo dei servizi per la custodia dei bambini e delle risorse per una politica attiva in materia di occupazione. Solo pochi Stati membri hanno presentato proposte ambiziose in questi ambiti.

In questo contesto è necessario impegnarsi seriamente per dare nuovo dinamismo agli obiettivi europei ed inserirli negli orientamenti per l'occupazione.

2.7

Il Comitato ha già sottolineato che un fattore determinante del successo dei programmi nazionali di riforma è costituito dal coinvolgimento più ampio possibile di tutti gli attori sociali interessati, e in particolare delle parti sociali, in ogni fase del processo.

A questo proposito, il Comitato deplora il fatto che, nel quadro dell'elaborazione dei programmi nazionali di riforma, spesso siano mancati la necessaria consultazione delle parti sociali nonché un autentico dibattito con la società civile. Ciò è dovuto naturalmente anche alle scadenze per l'elaborazione dei programmi, molto ravvicinate nel tempo, come osserva anche il Cambridge Review Report del comitato dell'occupazione in un'analisi delle relazioni specifiche sugli Stati membri.

Al fine di realizzare il coinvolgimento di tutti gli attori sociali interessati, secondo il Comitato è necessario conciliare, ad esempio, la flessibilità del mercato del lavoro e importanti garanzie di sicurezza dell'impiego.

A giudizio del Comitato, il coinvolgimento limitato della società civile costituisce uno dei motivi per cui gli sforzi effettuati da gran parte degli Stati membri per includere il pilastro della protezione sociale sono stati insufficienti.

2.8

In questo contesto va inoltre ricordato che la maggior parte dei programmi di riforma non tiene sufficientemente conto della necessità di adottare, oltre a riforme strutturali del mercato del lavoro, provvedimenti sul lato della domanda volti a promuovere la crescita e l'occupazione. A questo proposito, il Comitato ha di recente più volte ribadito la necessità di creare un contesto macroeconomico sano a livello europeo e nazionale.

In molti Stati membri sarà possibile realizzare un significativo miglioramento della situazione occupazionale solo se si riuscirà a innescare una ripresa economica durevole. Per sfruttare pienamente il potenziale di crescita e piena occupazione sarà pertanto necessario creare condizioni idonee a favorire la domanda sia esterna che interna. Sono pochi gli Stati membri che nei propri programmi di riforma tengono debitamente conto della necessità di creare nuovi stimoli economici.

2.9

Inoltre il Comitato ha più volte ribadito che gli sforzi a favore dell'occupazione saranno vani se non saranno accompagnati da finanziamenti adeguati a livello nazionale ed europeo, per cui sarà indispensabile stabilire le corrispondenti priorità nella pianificazione di bilancio. Anche in questo caso il Cambridge Review Report constata una divaricazione nella maggior parte degli Stati membri tra le iniziative proposte per promuovere l'occupazione e la copertura finanziaria che risulta insufficiente.

Occorre per esempio ampliare il margine di manovra finanziario destinato dagli Stati membri agli investimenti nelle infrastrutture. I programmi nazionali di riforma dovranno, nella misura del possibile, essere concepiti in modo da rilanciare l'economia in maniera coordinata sul piano europeo. In tale contesto anche gli investimenti pubblici costituiscono un presupposto importante. Gli ingenti tagli previsti dal prossimo bilancio dell'UE nei fondi destinati ai progetti RTE dovranno pertanto essere bilanciati da una ridistribuzione delle risorse.

Il Comitato chiede che si tenga conto di questi aspetti e di altri ostacoli alla crescita e all'occupazione nella definizione concreta delle prospettive finanziarie 2007-2013.

3.   Follow-up

3.1

Il Comitato chiede che, nel quadro dell'attuazione dei programmi di riforma nazionale negli Stati membri ma anche dell'esame degli orientamenti per l'occupazione dei prossimi anni, si attribuisca il giusto peso al principio della democrazia partecipativa. I progressi nell'attuazione del capitolo «Occupazione» del processo di Lisbona, la cui urgenza ormai è innegabile, dipenderanno essenzialmente da questo.

3.2

In questo contesto il Comitato ribadisce la propria disponibilità a svolgere un ruolo attivo, assieme ai consigli economici e sociali nazionali e alle istituzioni analoghe, adoperandosi in particolare nel monitoraggio dell'effettiva applicazione degli orientamenti da parte degli Stati membri.

3.3

Il Comitato si propone di prendere posizione in un apposito parere di iniziativa sulla necessità di adeguare gli orientamenti nei prossimi anni.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere del CESE del 31.5.2005 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione ai sensi dell'articolo 128 del Trattato CE (Relatore: MALOSSE) (GU C 286 del 17.11.2005).

(2)  Parere del CESE del 20.4.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La situazione dei disabili nell'Unione europea allargata: il piano d'azione europeo 2006-2007 (Relatrice: GREIF).


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per la biomassa

COM(2005) 628 def.

(2006/C 195/19)

La Commissione europea, in data 23 gennaio 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea e al protocollo di cooperazione firmato il 7 novembre 2005 fra la Commissione europea e il Comitato economico e sociale europeo, di consultare quest'ultimo in merito alla Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per la biomassa

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore VOSS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 85 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il piano d'azione per la biomassa presentato dalla Commissione, il quale costituisce un importante contributo allo sviluppo sostenibile in Europa.

1.2

L'analisi dell'attuale sviluppo della biomassa e del suo potenziale offre per la prima volta un'ampia visione delle prospettive e degli ostacoli all'impiego della biomassa nei diversi settori energetici.

1.3

Accrescere la quota relativa all'impiego di biomassa tra le energie rinnovabili è essenziale per conseguire, entro il 2010, l'obiettivo di portare al 12 % l'impiego di energia rinnovabile rispetto al consumo complessivo di energia dell'UE. Il Comitato giudica pertanto condivisibile e indispensabile il proposito di promuovere maggiormente l'impiego della biomassa.

1.4

Il CESE sostiene espressamente la proposta di colmare l'attuale vuoto giuridico esistente riguardo all'impiego delle energie rinnovabili nel settore del riscaldamento. Finora sul piano europeo sono state varate solo due direttive, una sulla promozione di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili e l'altra sulla promozione dei biocarburanti. Inoltre, dato che il riscaldamento rappresenta circa il 50 % del consumo energetico totale e considerato il grande potenziale della biomassa per il riscaldamento, entro fine 2006 si attende una proposta della Commissione europea su tale materia.

1.5

Questa proposta non dovrebbe però limitarsi alla biomassa, bensì tenere conto anche di altre tecnologie legate alle energie rinnovabili destinate al riscaldamento e al raffreddamento. La definizione, da parte dell'UE, di obiettivi concreti e vincolanti per il 2020 favorirebbe la fiducia degli investitori nel settore. L'UE dovrebbe quindi fissare l'obiettivo vincolante di portare almeno al 25 %, entro tale data, la quota di energia rinnovabile rispetto al consumo finale di energia.

1.6

Il Comitato seguirà con occhio critico la relazione annunciata dalla Commissione sull'impiego dei biocarburanti e sollecita interventi più decisi in questo settore, visto che i biocarburanti, in linea di principio, possono contribuire in maniera significativa a ridurre la dipendenza dell'Europa dalle fonti energetiche fossili. Al tempo stesso è ovvio che, anche nell'ambito di un'ambiziosa strategia di sostituzione dei combustibili, lo sviluppo di sistemi di trasporto più efficaci e il sostanziale miglioramento dell'efficienza energetica restano fattori di importanza determinante.

1.7

Il CESE sollecita quindi la Commissione a definire entro fine anno una prospettiva a lungo termine per gli investitori e a proporre nuovi obiettivi vincolanti da realizzare entro il 2020 per quanto riguarda la quota di biocarburanti.

1.8

Le risorse previste attualmente dal Settimo programma quadro di ricerca vanno drasticamente aumentate. È necessario anche e in particolare approfondire ulteriormente l'impiego della biomassa ricavata dalla legnocellulosa e dai sottoprodotti.

1.9

L'attuale direttiva sulla tecnica particolarmente efficiente della cogenerazione (1) va estesa allo scopo di rendere poi prioritario l'impiego della biomassa nella cogenerazione, quando le condizioni generali lo consentiranno.

1.10

L'approccio della politica volta a incrementare l'impiego della biomassa nell'Unione europea deve essere di tipo orizzontale. Il coordinamento delle politiche agricola, strutturale, regionale ed energetica può favorire l'accesso dei produttori agricoli anche alla produzione energetica, con sviluppi promettenti per la competitività dell'Europa, la tutela dell'ambiente e l'approvvigionamento energetico.

1.11

Il Comitato vede con favore il segnale lanciato dalla Commissione riguardo alla necessità di accordi commerciali chiari e affidabili. Occorre però mettere a punto strumenti che garantiscano anche per i prodotti della biomassa un accesso qualificato al mercato nel quadro degli accordi OMC, giacché solo così si può offrire un'opportunità di sviluppo alla giovane produzione europea.

1.12

Un piano d'azione europeo dovrebbe inoltre esaminare le applicazioni della biomassa come materia prima.

1.13

Il Comitato sollecita la Commissione e gli Stati membri a modificare la sesta direttiva (2) sull'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sul fatturato, in maniera da permettere a questi ultimi di applicare un'aliquota IVA ridotta ai materiali e ai servizi per l'impiego delle fonti energetiche rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento.

1.14

Il Comitato esorta gli Stati membri e la Commissione a garantire che almeno un minimo delle risorse dei fondi strutturali comunitari sia destinato a investimenti nell'impiego della biomassa e delle altre energie rinnovabili. Caldeggia inoltre la definizione di quote minime nell'ambito del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). La quota degli investimenti destinati a questo settore dovrebbe aumentare e alla fine del periodo di programmazione, ossia nel 2013, dovrebbe essere mediamente pari al 10 % delle risorse destinate dagli Stati membri al settore strutturale.

1.15

Il CESE reputa che anche il disaccoppiamento dei pagamenti diretti nel quadro dell'ultima riforma agricola sia un presupposto importante per incrementare la coltivazione delle piante energetiche. Prevede a breve termine il delinearsi di margini di manovra nel quadro della PAC con l'adeguamento dei premi per le colture energetiche. L'uso di un tale strumento andrebbe consentito in particolare anche nei nuovi Stati membri.

1.16

Oltre a un controllo costante del perseguimento degli obiettivi previsti, il Comitato reputa altresì necessario che gli Stati membri adottino piani d'azione vincolanti in materia di biomassa. Ciò permetterebbe di riconoscere e mobilitare il potenziale delle diverse regioni.

1.17

Il Comitato formula proposte finalizzate alla rimozione degli ostacoli amministrativi e a una adeguata considerazione delle fonti energetiche rinnovabili, ad esempio nelle programmazioni a livello regionale.

1.18

Il CESE auspica che già nell'ambito di un piano d'azione per la biomassa si espongano i requisiti in materia di certificazione sicura dell'origine dei prodotti. Cita a tale proposito i criteri di sostenibilità per l'origine europea e la sovranità alimentare, nonché gli standard ecologici e sociali per un accesso qualificato ai mercati.

1.19

Il Comitato si compiace che, stando a quanto affermato dalla Commissione, per le bioenergie valgano le medesime norme in materia di emissioni che per i combustibili fossili.

1.20

Il Comitato constata un'evoluzione verso una politica energetica europea unica. Nonostante una certa concorrenza opportuna tra i meccanismi di immissione sul mercato delle fonti energetiche rinnovabili, i sistemi dimostratisi particolarmente efficienti a livello dei costi e per la portata dello sviluppo di nuovi metodi andrebbero utilizzati in tutta Europa. Un esempio è dato dai modelli dinamici di prezzi fissi già utilizzati in molti Stati membri nelle leggi sulle energie rinnovabili.

1.21

A parere del Comitato l'obiettivo delle misure di commercializzazione non deve consistere nel sovvenzionare perennemente un determinato prodotto, ma nel renderlo concorrenziale e garantirne la redditività a livello dell'impiego, tenendo conto al medesimo tempo dei costi esterni.

2.   Motivazione

2.1

Alla luce di elementi quali la sicurezza dell'approvvigionamento, la crescente dipendenza dell'Europa dalle importazioni di petrolio e di gas naturale, il rialzo dei prezzi del petrolio e gli obblighi di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili rimane una delle priorità della politica energetica dell'UE e degli Stati membri.

2.2

A meno di non introdurre misure più incisive non sarà possibile conseguire gli obiettivi delle direttive sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, né quelli della direttiva sull'uso dei biocarburanti. Inoltre, se le cose permangono allo stato attuale l'Unione non riuscirà a realizzare l'obiettivo globale di raddoppiare la percentuale delle fonti energetiche rinnovabili, portandola al 12 % del consumo energetico dell'UE. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che, per realizzare tali obiettivi, un contributo sostanziale dovrebbe provenire dal settore della biomassa, ma lo sviluppo di questo mercato è tuttora al di sotto delle aspettative.

2.3

Complessivamente la quota di energie rinnovabili rimane ferma a percentuali piuttosto basse. Se non verranno introdotte misure adeguate, nel 2010 la quota di energie rinnovabili nel mix energetico nell'UE sarà pari al 9-10 %, invece dell'auspicato 12 %. Per questo motivo la Commissione ha presentato un piano d'azione per la biomassa che annuncia ulteriori iniziative almeno in questo ambito importante e finora trascurato sul piano strategico.

2.4

Gli investimenti nell'uso dell'energia sono sempre investimenti a lungo termine. Una centrale elettrica di nuova costruzione rimarrà operativa per oltre 30 anni. Oltre a conseguenze quali i mutamenti climatici, anche le incertezze circa l'evoluzione dei prezzi del petrolio e del gas rispetto alla prevedibilità dei costi delle materie prime nel settore della biomassa sono un forte motivo economico per promuovere tali tecnologie. L'obiettivo consiste non nell'istituire un regime di sovvenzioni permanente, quanto nel rafforzare la competitività tenendo conto dei costi esterni.

2.5

In controtendenza rispetto al previsto rialzo dei prezzi dei carburanti convenzionali, le tecnologie energetiche rinnovabili diventano sempre meno care grazie al calo dei costi di investimento, legato a sua volta ai progressi tecnici e alla produzione di massa.

2.6

Un'analisi comparativa dei costi delle energie rinnovabili, da un lato, e di quelli delle energie convenzionali o nucleari, dall'altro, è per lo più insufficiente. Si effettuano spesso confronti tra i costi delle centrali elettriche ammortizzate costruite in vecchi regimi di monopolio statale e le capacità di impianti nuovi che sfruttano le energie rinnovabili. Inoltre, i prezzi non rispecchiano i costi esterni delle tecnologie convenzionali o nucleari, come quelli di eventuali danni ambientali o delle prestazioni assicurative statali per le centrali.

2.7

Il piano d'azione presenta oltre 20 misure, la maggior parte delle quali da attuare a partire dal 2006. Per quanto riguarda l'impiego dei biocarburanti nei trasporti, si prevedono lavori preparatori per l'introduzione di obblighi in base ai quali le imprese fornitrici di carburanti sono tenute ad integrare una quota prestabilita di biocarburanti nei combustibili tradizionali commercializzati.

2.8

Nell'ottica di una eventuale revisione della direttiva sui biocarburanti, la Commissione annuncia per il 2006 una relazione volta a esaminare l'attuazione della direttiva negli Stati membri. Nell'UE la quota di mercato corrisponde attualmente allo 0,8 %, per cui è altamente improbabile che l'obiettivo del 5,75 % fissato per tutta l'UE nel 2003 possa essere raggiunto entro il 2010.

2.9

Il piano prevede un esame delle possibilità di migliorare le norme in materia di carburanti, allo scopo di promuovere l'impiego dell'energia ricavata dalla biomassa per i trasporti, l'elettricità e il riscaldamento. Prevede inoltre di promuovere gli investimenti nella ricerca, soprattutto al fine di produrre carburanti liquidi derivati dal legno e dai rifiuti, nonché una campagna informativa sulle colture energetiche destinata agli agricoltori e ai proprietari di boschi. La Commissione intende inoltre elaborare atti legislativi per promuovere l'impiego delle fonti energetiche rinnovabili per il riscaldamento.

2.10

Secondo le stime della Commissione, le misure previste dal piano d'azione potrebbero indurre un aumento dell'impiego di biomassa fino a 150 Mtep entro il 2010 (rispetto a 69 Mtep nel 2003), senza determinare un'intensivizzazione dell'agricoltura o riflessi significativi sulla produzione interna di prodotti alimentari. Ne deriverebbe, secondo la Commissione, una riduzione delle emissioni responsabili dell'effetto serra dell'ordine di 209 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all'anno. A ciò si aggiungerebbero la creazione di 250-300.000 posti di lavoro, principalmente nelle aree rurali, e una riduzione dal 48 % al 42 % delle importazioni di energia.

2.11

La Commissione stima che, partendo da un prezzo dei combustibili fossili di 60 dollari al barile, i costi direttamente misurabili dovrebbero aggirarsi intorno ai 9 miliardi di euro all'anno: 6 miliardi per i biocarburanti e 3 per lo sfruttamento della biomasa a fini energetici. Ciò equivale ad un aumento di 1,5 cent al litro per la benzina e di 0,1 cent al chilowattora per l'energia elettrica.

3.   Osservazioni generali

3.1

L'Unione europea non potrà conseguire gli obiettivi che si è proposta per lo sviluppo delle energie rinnovabili a meno di non prevedere nuove misure. Il CESE accoglie con favore il piano d'azione per la biomassa e rileva che durante il vertice di primavera dei capi di Stato e di governo sono stati fissati ulteriori obiettivi intermedi, ad esempio il 15 % per le energie rinnovabili e l'8 % per i biocarburanti entro il 2015, segnalando così la necessità di perseguire una politica ambiziosa in materia di fonti energetiche rinnovabili. Anche la decisione del Parlamento europeo favorevole all'obiettivo di portare al 25 % entro il 2020 la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili mostra la volontà crescente di procedere a un riorientamento della politica energetica dell'UE.

3.2

Un ulteriore ostacolo è dato dal fatto che la fiducia degli investitori, dei governi e dei consumatori nelle tecnologie destinate alle fonti energetiche rinnovabili, come del resto in molte altre tecnologie innovative, spesso è ancora insufficiente per via della scarsa conoscenza delle possibilità tecniche ed economiche. A giudizio del Comitato, vi è una forte necessità di intervenire con azioni di informazione e formazione non solo presso gli utenti e i consumatori, ma anche nel settore della ricerca e dello sviluppo. Di ciò si dovrebbe tenere conto in maniera più sistematica nel piano d'azione per la biomassa.

3.2.1

Il Comitato osserva inoltre che l'esigenza di introdurre rapidamente tecnologie e processi innovativi si scontra a volte con la concentrazione di imprese tipica del settore energetico. Inoltre, l'odierna struttura delle aziende non permette di recepire in maniera adeguata i nuovi impulsi spesso provenienti dalle piccole e medie imprese, per cui si esorta la Commissione a formulare proposte migliorative a questo riguardo.

3.3

Una maggiore utilizzazione della biomassa potrebbe contribuire in maniera sostanziale non solo a ridurre la dipendenza dell'UE dall'importazione di energia, ma anche a realizzare la strategia di Lisbona e gli obiettivi di protezione climatica. L'impiego della biomassa tende a favorire le strutture decentrate e quindi anche lo sviluppo rurale. Inoltre, proprio per i nuovi Stati membri in cui una grande percentuale della popolazione è occupata nel settore agricolo, esso presenta un notevole potenziale per quanto riguarda la diversificazione delle fonti di reddito e la garanzia dei posti di lavoro.

3.4

Il Comitato constata che l'Europa è attualmente all'avanguardia in alcuni settori delle tecnologie per la produzione di bioenergia. L'economia dell'UE dipende dallo sviluppo e dall'esportazione di nuove tecnologie. I processi e i prodotti innovativi derivati dalle materie prime rinnovabili costituiscono il presupposto perché l'Europa assuma un ruolo leader sul mercato mondiale nel settore delle tecnologie del futuro. Il quadro politico per la promozione delle materie prime rinnovabili riveste quindi un ruolo centrale ai fini del loro sviluppo commerciale nell'Unione europea. La messa a punto di strutture innovative andrebbe accompagnata da misure intese a promuovere l'esportazione delle tecnologie per la produzione di bioenergia sui mercati di paesi terzi.

3.5

Il Comitato riconosce che già solo l'attuazione del piano d'azione per la biomassa presenta un enorme potenziale in termini di posti di lavoro. Stando al rapporto di sintesi MITRE (Monitoring and Modelling Initiative on the Targets for Renewable Energy — Iniziativa di monitoraggio e modulazione degli obiettivi per l'energia rinnovabile) del 2003, se l'UE attuasse un'ambiziosa strategia per le materie prime imperniata sulle energie rinnovabili, di qui al 2020 potrebbe creare quasi 2,5 milioni di posti di lavoro (netti) solo nei 15 vecchi Stati membri. Di tali posti di lavoro, circa i 2/3 riguarderebbero il comparto della biomassa. Ciò farebbe sorgere, da un lato, l'esigenza di nuovo personale altamente qualificato soprattutto nel settore della ricerca e dello sviluppo, valutato a circa 400.000 persone e, d'altro lato, la necessità di manodopera con un livello di competenze iniziali basso o molto modesto. Il Comitato esorta la Commissione a rivedere le prospettive occupazionali nell'UE di qui al 2020 nell'ipotesi di un ambizioso sviluppo dell'utilizzo della biomassa e delle fonti di energia rinnovabili.

3.6

Per il Comitato, se si vogliono mobilitare gli investimenti e avviare le ristrutturazioni, è indispensabile definire in modo vincolante orientamenti politici per il lungo periodo, orientamenti che mancano nel piano d'azione per la biomassa. Si sollecita pertanto la Commissione a fissare quanto prima obiettivi concreti per l'utilizzazione della biomassa e l'impiego delle fonti energetiche rinnovabili. Gli obiettivi vincolanti da realizzare entro il 2020 sul piano europeo nel settore dell'elettricità, del riscaldamento e del trasporto dovrebbero essere realistici, ma anche ambiziosi. Uno di essi dovrebbe consistere nel conseguire entro il 2020 una quota minima pari al 25 % del consumo finale di energia. Il perseguimento di tali obiettivi può essere favorito dal potenziale della biomassa esistente in Europa, specie nel settore dei sottoprodotti o prodotti derivati, e da quello dei terreni, una volta che si siano adeguate le colture all'evoluzione della domanda. Il Comitato segnala che gli Stati Uniti hanno elaborato una legge sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico fissando obiettivi analoghi sull'impiego della biomassa nel lungo periodo.

3.7

Il Comitato conviene sulla prudente valutazione del fabbisogno di materie prime (biomassa necessaria) per la realizzazione del piano di azione per la biomassa, secondo cui durante il periodo di programmazione non dovrebbe esservi concorrenza per le materie prime agricole. A lungo termine si prevede, da un lato, un incremento della produttività e una diminuzione del consumo di generi alimentari in Europa. Inoltre, una grossa porzione della superficie agricola europea è oggi destinata all'allevamento. Dall'altro lato, in tutto il mondo è in atto una riduzione delle superfici agricole, per cui servono nuovi standard rigorosi per lo sviluppo di tecnologie di sfruttamento e conversione efficaci. In questo contesto il CESE esprime riserve sul cosiddetto approccio equilibrato adottato dalla Commissione per assicurare su scala internazionale riserve di materie prime per la produzione di biocombustibili, e ricorda che le importazioni a basso costo possono pregiudicare le basi alimentari di altre regioni del globo e frenare gli sviluppi tecnologici in Europa.

3.8

Nonostante le molteplici esigenze energetiche e le disponibilità di biomassa esistenti in Europa, il Comitato considera che un piano di azione per la biomassa dovrebbe formulare dichiarazioni chiare sulla definizione di sistemi di immissione sul mercato. Ad esempio, per promuovere la produzione di energia elettrica dalle energie rinnovabili, compresa la biomassa, i modelli più efficaci in termini sia di costi che di sviluppo sono risultati quelli basati sull'alimentazione della rete o quelli fondati sui premi (adottati, ad esempio, in Germania), come osservato dalla Commissione nella comunicazione sull'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili (3). Tuttavia, il contesto finanziario non è l'unico fattore determinante per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Per garantire uno sviluppo ottimale è infatti necessario il rispetto di almeno quattro parametri.

3.9

Tali parametri sono: un valido modello di incentivo finanziario, condizioni di accesso alla rete garantite ed eque, procedure amministrative trasparenti e l'accettazione del grande pubblico. Solo se essi vengono soddisfatti contemporaneamente è possibile realizzare tassi di crescita significativi nell'ambito dell'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili. L'elettricità copre circa il 20 % del fabbisogno energetico in Europa.

3.10

Il Comitato approva le conclusioni della succitata comunicazione, secondo cui è prematuro procedere a un'armonizzazione completa dei modelli di sostegno per l'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili. Chiede però alla Commissione e agli Stati membri di avviare i lavori necessari per l'introduzione su scala europea degli elementi più efficaci del sistema.

3.11

Conformemente alla direttiva 2001/77/CE (4), il Comitato chiede alla Commissione di sorvegliare e se necessario ordinare che siano rispettate tali condizioni.

3.12

Il Comitato condivide la valutazione della Commissione sul ruolo della biomassa nell'attuazione della direttiva 2001/77/CE. In base al piano d'azione, lo sviluppo della cogenerazione costituisce, in modo particolare proprio nel caso dell'impiego della biomassa, un'importante prospettiva di sviluppo. Il CESE chiede che la direttiva venga allineata a quella relativa alla cogenerazione. Resta da sottolineare che i cospicui investimenti in programma in Europa nei prossimi 20 anni per la costruzione di centrali elettriche rappresentano un'ottima opportunità per lo sviluppo della cogenerazione. È noto che ciò favorisce una produzione di energia elettrica decentrata e più vicina ai consumatori. Per il Comitato, tuttavia, il piano di azione sulla biomassa non chiarisce in che modo si possa garantire ai produttori di elettricità, anche quelli attivi nel comparto della biomassa, un accesso non discriminatorio alla rete.

3.13

Dato che il 50 % del fabbisogno energetico in Europa riguarda il settore del riscaldamento e che attualmente l'energia prodotta dalla biomassa non raggiunge probabilmente neanche il 10 % del totale, malgrado il grande potenziale insito in tale fonte, il Comitato accoglie con esplicito favore le proposte del piano di azione. Gli investimenti in sistemi termici e nel riscaldamento dei fabbricati richiedono tempi molto lunghi e a volte anche capitali ingenti, per cui il Comitato esorta ad attuare quanto prima le misure proposte. La proposta di iniziativa legislativa in materia di riscaldamento e raffreddamento dovrebbe diventare una direttiva sulla promozione del riscaldamento e del raffreddamento da tutte le fonti energetiche rinnovabili, comprese quindi l'energia solare termica e quella geotermica. Oltre alle misure proposte dalla Commissione, la direttiva dovrebbe prevedere anche la definizione di obiettivi vincolanti sul piano nazionale che tengano conto delle diverse risorse naturali e delle capacità esistenti.

3.14

Il Comitato deplora l'assenza quasi totale di statistiche attendibili nel settore del riscaldamento. Un sistema unico europeo per il monitoraggio dell'utilizzazione del calore potrebbe offrire all'UE migliori possibilità di pianificazione delle risorse impiegate. Il Comitato ribadisce il giudizio della Commissione in merito all'importanza, al potenziamento e al mantenimento delle reti di teleriscaldamento nel passaggio all'impiego della biomassa come combustibile. In questo contesto, soprattutto nei nuovi Stati membri è necessario mantenere un numero rilevante di sistemi di questo tipo.

È indispensabile applicare quanto prima in tutti gli Stati membri e cercare di modificare l'attuale direttiva sull'efficienza energetica negli edifici, il cui campo di applicazione andrebbe esteso a tutti gli edifici, compresi quelli con una superficie inferiore ai 1.000 m2. La priorità va inoltre data ai sistemi energetici decentrati basati sulla biomassa. Il Comitato sostiene quanto osservato nel piano d'azione circa lo sviluppo di nuovi sistemi di teleriscaldamento e il mantenimento di quelli esistenti per lo sfruttamento della biomassa nel settore del riscaldamento e, in particolare, della cogenerazione.

3.15

Il Comitato si compiace di quanto affermato dalla Commissione nel piano d'azione per la biomassa in merito alle norme attuali o future sulle emissioni (e in merito alla direttiva sulle polveri sottili) applicabili all'impiego della biomassa. Le medesime norme valgono sia per la cogenerazione di calore e energia che nel settore dei carburanti.

4.   Osservazioni particolari

4.1

I carburanti, che costituiscono solo il 20 % del fabbisogno energetico, sono quasi sempre importati e di origine fossile, il che spiega il rilievo attribuito a questo settore nel piano d'azione per la biomassa. A giudizio del Comitato, le attività previste a questo riguardo nel piano d'azione della Commissione sono eccessivamente improntate alla ricerca di risultati rapidi. Troppa importanza è data alle importazioni di combustibili commerciabili, e troppo poca agli effetti della dipendenza da nuovi prodotti di importazione e alle ripercussioni sull'equilibrio ecologico e sociale nei nuovi paesi produttori di energia. Il Comitato sollecita la Commissione a chiedersi se questa strategia del piano d'azione non possa ritardare lo sviluppo di soluzioni europee sostenibili.

4.2

Nell'ambito dei biocombustibili, le riduzioni d'imposta e le esenzioni fiscali si sono dimostrate le misure di sostegno più efficaci. Tali strumenti hanno inoltre favorito la realizzazione di investimenti adeguati alle specificità regionali. Gli Stati membri dovrebbero poter continuare a ricorrere a tale possibilità, il che però non traspare dal piano di azione.

4.2.1

Un posto di rilievo va attribuito all'impiego del gas naturale di sostituzione (GNS; il biogas ha una resa energetica per ettaro 5 volte superiore a quella del biodiesel prodotto a partire dalle piante oleaginose), accanto ai carburanti BTL (biomass to liquid) nel contesto della ricerca e dello sviluppo, nonché nella futura attuazione di una strategia comunitaria per i biocarburanti. I fattori che spingono verso tale opzione sono un'elevata produttività dei terreni, il fatto di trovarsi in una fase di sviluppo avanzato e il fatto di permettere in linea di principio la contestuale produzione di carburante, elettricità e calore in impianti di produzione di GNS decentrati.

4.3

Il Comitato sostiene la Commissione europea negli sforzi intesi a rendere vincolante l'obiettivo di portare al 5,75 % la quota di mercato dei biocarburanti entro il 2010. Rileva con soddisfazione che il vertice di primavera dei capi di Stato e di governo del 2006 ha indicato l'8 % come obiettivo intermedio per il 2015, ma deplora l'assenza di un impegno più serio da parte degli operatori economici interessati, della Commissione e degli Stati membri a favore di un salto di qualità che si rende urgentemente necessario per migliorare l'efficacia dei sistemi di trasporto. A questo riguardo il CESE accoglie con favore le proposte del piano di azione sull'eliminazione delle discriminazioni in materia di biocarburanti e quelle relative alla standardizzazione.

4.4

L'impiego della biomassa dovrebbe occupare un posto di gran lunga più importante nel Settimo programma quadro di ricerca. L'obiettivo dev'essere fra l'altro quello di rendere competitive le fonti energetiche rinnovabili. Il CESE osserva che una modifica degli schemi tradizionali della politica della ricerca a favore delle risorse rinnovabili è di capitale importanza per lo sviluppo economico dell'Europa, e si aspetta impegni precisi a questo riguardo, in particolar modo nel piano di azione per la biomassa. Sottolinea inoltre che i notevoli ritardi di sviluppo non riguardano la preparazione della biomassa, bensì la disponibilità delle tecnologie per la fabbricazione di prodotti commerciabili.

4.4.1

Anche nell'esame dell'impiego della biomassa, compreso l'uso come materia prima, spesso conviene optare per un utilizzo scaglionato e a cascata. Fondamentalmente, però, il criterio decisivo sono i prezzi di mercato, quelli di produzione e le stime relative ai costi futuri. Dato che ad esempio non esiste un mercato per l'utilizzo materiale del legno, in generale risulta molto più oculato e opportuno sfruttarlo direttamente a fini termici o energetici anziché trasformarlo in combustibile attraverso un lungo processo di BTL con perdite energetiche. Secondo il CESE, il piano d'azione dovrebbe prevedere maggiori opzioni a questo riguardo e attribuire quindi maggiore importanza al calore ottenuto dalla biomassa.

4.5

Il Comitato si aspetta che, al momento dell'assegnazione e della ripartizione negli Stati membri delle risorse previste dai fondi strutturali, il Consiglio e la Commissione attribuiscano la priorità all'incremento degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili e, in particolare, della biomassa. Sarebbe opportuno prevedere l'obbligo per gli Stati membri di destinare a tal fine una quota minima dei fondi strutturali. Al termine dell'attuale periodo di programmazione, ossia nel 2013, tale quota negli Stati membri dovrebbe essere pari in media al 10 %.

4.5.1

Nella strategia politica, che in linea di massima va accolta con soddisfazione, le energie rinnovabili vengono menzionate in riferimento alla ripartizione delle risorse destinate dal FEASR allo sviluppo rurale, che costituisce il secondo pilastro della PAC. Alla luce, in particolare, delle risorse estremamente limitate e delle potenzialità delle aree rurali, sarebbe opportuno garantire anche in questo ambito che nel 2013, cioè alla fine del periodo di programmazione, a livello di Stati membri in media almeno il 10 % delle risorse venga destinato alle energie rinnovabili.

4.6

Il Comitato sottolinea quanto affermato nel piano d'azione circa gli effetti del disaccoppiamento sulle colture di materie prime rinnovabili. Richiama tuttavia l'attenzione su un eventuale aggiustamento che potrebbe intervenire nel breve periodo: il premio a favore delle piante energetiche (45 euro per ettaro), previsto per 1,5 milioni di ettari nelle decisioni di Lussemburgo del 2003 sulla riforma della PAC, formerà oggetto di revisione già alla fine del 2006. Il Comitato invita la Commissione a verificare se l'importo del premio sia sufficiente. Esso ritiene che la procedura per la richiesta del premio sia troppo burocratica e propone di modificarla con la massima sollecitudine. Attualmente tale premio non può essere richiesto nei paesi che hanno optato per procedure semplificate nel quadro della PAC, ossia 8 dei 10 nuovi Stati membri. Il Comitato chiede che, nel quadro dell'adeguamento previsto, dalla fine del 2006 si consenta anche a questi paesi di accedere al premio in parola. Riguardo alla sua entità andrebbe previsto un adeguamento specifico per i terreni che, a seguito del processo di trasformazione, non abbiano ottenuto alcun diritto a pagamenti (5).

4.7

Il Comitato propone che il piano d'azione comunitario per la biomassa preveda l'obbligo per gli Stati membri di elaborare piani d'azione nazionali e regionali. Alla luce della diversità dei paesi e delle regioni d'Europa, si tratta di un passo verso l'individuazione delle potenzialità e verso un'adeguata definizione delle politiche e delle procedure amministrative.

4.7.1

Il Comitato deplora che il piano d'azione, nel trattare la promozione dell'utilizzo della biomassa e delle energie rinnovabili, non menzioni le possibilità, le lacune e gli ostacoli presenti negli Stati membri e nelle regioni. Per ovviare a ciò, si potrebbe rendere obbligatorio tenere conto di questi aspetti e includerli nella pianificazione regionale, prevedere l'individuazione e l'eliminazione delle discriminazioni sul piano amministrativo, e concentrarsi sull'apertura di uno sportello amministrativo unico nella fase di pianificazione e di costruzione.

4.8

Il Comitato invita la Commissione e gli Stati membri a modificare la sesta direttiva 77/388/CEE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari, in maniera da permettere agli Stati membri di applicare un'aliquota IVA ridotta ai materiali e ai servizi per l'impiego delle energie rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento. Attualmente, in alcuni Stati, i bruciatori a gas e a petrolio, ad esempio, non sono soggetti ad alcuna imposta, mentre gli investimenti in una fonte di riscaldamento rinnovabile sono tassati ad aliquota piena.

4.9

Il CESE reputa urgente definire una politica europea in materia di energia. Per quanto riguarda gli strumenti intesi a introdurre sul mercato le energie rinnovabili, occorre tendere a un approccio equilibrato fondato sulla concorrenza tra i sistemi nazionali, ma anche realizzare un'evoluzione dinamica che tenda ad adottare le regole considerate più efficaci.

4.10

Secondo il Comitato servono azioni rapide per mettere a punto un sistema di certificazione dell'origine delle materie prime da biomassa. Si tratta infatti dell'unica maniera per evitare conseguenze negative in termini di bilancio ambientale e climatico. Vanno pertanto affermate le seguenti esigenze (6):

per la coltivazione delle materie prime rinnovabili valgono gli stessi principi delle buone pratiche professionali applicabili alla produzione di alimenti,

le superfici devono continuare a poter essere adibite alla produzione di prodotti alimentari anche dopo la coltivazione di materie prime non alimentari,

la coltivazione di materie prime rinnovabili deve avvenire su terreni già sfruttati per attività agricole e su superfici messe a riposo — comprese anche, ad esempio, le superfici temporaneamente incolte a causa del processo di transizione — e non deve portare a una riduzione dei pascoli permanenti,

per ridurre i trasporti occorre puntare a una produzione in circuiti regionali o locali,

le superfici importanti dal punto di vista ecologico vanno protette e coltivate nel rispetto degli obiettivi di tutela ambientale,

occorre promuovere e coltivare le materie prime rinnovabili che presentano un buon bilancio ecologico,

occorre prestare particolare attenzione alla chiusura dei cicli degli elementi nutritivi.

4.11

Per quanto riguarda il commercio internazionale della biomassa e dei prodotti derivati, la certificazione deve comprendere anche i seguenti criteri: sovranità alimentare (cioè la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare ha priorità rispetto alle colture commerciali), standard di produzione sociali ed ecologici, assenza di disboscamento delle foreste vergini. L'UE deve inoltre far sì che tali punti siano ripresi anche nelle regole dell'OMC.

4.12

Il Comitato esorta la Commissione a sostenere, nel quadro del piano di azione per la biomassa, la creazione di un'agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) e a soppesare maggiormente la questione della trasparenza nel settore delle materie prime a livello internazionale.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direttiva 2004/8/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004, sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia e che modifica la direttiva 92/42/CEE, GU L 52 del 21.2.2004.

(2)  Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sul fatturato - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme.

(3)  COM(2005) 627 def. del 7.12. 2005.

(4)  Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.

(5)  Cfr. parere d'iniziativa del Comitato economico e sociale europeo sul tema Materie prime rinnovabili - Prospettive di sviluppo del loro utilizzo a scopi energetici e in altri settori (NAT/288), punto 3.2.4.2.

(6)  Id., punto 3.7.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Sviluppo e promozione dei carburanti alternativi per il trasporto stradale nell'Unione europea

(2006/C 195/20)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sullo Sviluppo e promozione dei carburanti alternativi per il trasporto stradale nell'Unione europea

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 82 voti favorevoli, 2 contrari e 1 astensione.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Nei prossimi decenni è previsto un forte incremento della domanda di energia; aumentano di conseguenza i timori dei cittadini di fronte alla dipendenza energetica da altre regioni del mondo e alla questione ambientale.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo, che è perfettamente cosciente del problema, ha già adottato importanti pareri esplorativi o d'iniziativa su aspetti centrali della tematica energetica (1), mentre ne ha altri ancora in discussione (2).

1.3

I pareri del Comitato appaiono tutti concordi su alcuni assunti fondamentali: il dominio delle fonti energetiche tradizionali (fossili) è destinato a continuare per i prossimi venti o trent'anni. Al contempo crescerà sicuramente il contributo delle energie rinnovabili, ma non ad un tasso superiore al consumo energetico. Le forniture energetiche saranno coperte per il 15-20 % dalle energie rinnovabili, che comunque hanno un ruolo preferenziale da svolgere e vanno pertanto incentivate e sostenute.

1.4

Lo stesso dicasi per il trasporto stradale, che praticamente dipende nella sua quasi totalità dal petrolio (benzina e diesel convenzionale). Il presente parere intende pertanto contribuire all'ambizioso obiettivo, fissato dalla Commissione, di sostituire il 20 % dei carburanti tradizionali con quelli alternativi entro il 2020.

1.5

Il piano d'azione della Commissione affidava ai biocarburanti, al gas naturale (GN) e all'idrogeno (H2) il compito di rimpiazzare i carburanti convenzionali derivati dal petrolio. In realtà il GN, data la sua origine fossile, non dovrebbe essere considerato a pieno titolo un carburante alternativo in quanto non è una fonte rinnovabile; ciononostante il suo contributo all'obiettivo della Commissione è di importanza enorme grazie alla sua notevole disponibilità e ai suoi vantaggi per l'ambiente. Nessuna delle prime due opzioni (biocarburanti e GN) è perfetta e completamente priva di impatti negativi sull'ambiente e sull'efficienza energetica. L'idrogeno sembra la soluzione giusta, ma è necessaria un'attività di R&S molto più intensa per riuscire ad ottenere un'«economia dell'idrogeno» sicura ed efficiente in termini di costi.

1.6

I biocarburanti presentano vantaggi per l'ambiente poiché, in generale, il loro impatto sul clima è decisamente minore e, in una situazione ideale, è addirittura inesistente. Dal momento che i carburanti derivati da colture agricole, come il bioetanolo e l'estere metilico degli acidi grassi (Fatty Acid Methyl Ester — FAME — detto comunemente biodiesel), sono disponibili in quantità proporzionali ai raccolti, una miscela di bioetanolo e benzina o di biodiesel e diesel costituisce un'alternativa efficace e vantaggiosa per l'ambiente.

1.7

I componenti della miscela devono soddisfare le specifiche pubblicate, ad esempio, dal CEN (Comité européen de Normalisation — Comitato europeo di normalizzazione) per garantire il corretto funzionamento del motore ed impedire un incremento del consumo di carburante e il deteriorarsi dei gas di scarico. Una maggiore concentrazione di biodiesel nel diesel rende necessario un particolare adattamento dei veicoli. Ciò costituisce un'alternativa possibile nel caso di automezzi adibiti a funzioni specifiche, come gli autobus urbani.

1.8

La Commissione ha adottato la direttiva 2003/30/CE sulla promozione dell'uso dei biocarburanti. Per il GN invece, a parte la possibilità di prevedere sgravi fiscali come per i biocarburanti, finora non sono state adottate iniziative specifiche; eppure da questo carburante ci si attende il contributo più sostanziale agli obiettivi fissati per il 2020. Evidentemente la Commissione voleva vedere quale sarebbe stato l'andamento della situazione per il GN in seguito all'introduzione degli sgravi fiscali.

1.9

A cinque anni dalla comunicazione della Commissione e a tre dalla direttiva sui carburanti alternativi, i progressi compiuti sono inferiori alle aspettative; gli Stati membri, infatti, sono ancora ben lungi dal soddisfare gli obiettivi previsti. Forse è questo uno dei motivi per cui la Commissione ha di recente pubblicato una comunicazione sul Piano d'azione per la biomassa (3).

1.9.1

Il piano d'azione si occupa del ricorso alla biomassa per l'autotrazione e per la produzione di elettricità e di calore. Le principali azioni proposte per il settore dei trasporti sono le seguenti: i) adozione di una nuova legislazione sull'utilizzo delle energie rinnovabili, ii) possibile revisione — nel corso del 2006 — della direttiva sui biocarburanti che definisca gli obiettivi nazionali in termini di contributo dei biocarburanti e costringa i fornitori di energia a mettere a disposizione questi prodotti alternativi, iii) preparazione di piani d'azione nazionali per la biomassa, iv) ricerca di biocarburanti di seconda generazione (derivati dal legno e dai rifiuti).

1.9.2

Secondo la Commissione il piano d'azione dovrebbe ridurre le importazioni di petrolio dell'8 %, evitare emissioni di gas a effetto serra pari a 209 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, con un costo diretto di 9 miliardi di euro l'anno. Di questi, 6 miliardi saranno destinati ai biocarburanti per autotrazione, molto più costosi dei carburanti derivati dal petrolio (a titolo di esempio, affinché il biodiesel e il bioetanolo risultino competitivi, il prezzo del petrolio deve attestarsi attorno — rispettivamente — a 95 e a 115 USD al barile (4)).

1.9.3

Il Comitato accoglie con grande favore il piano d'azione in quanto è in armonia con il presente parere, che si prefigge l'obiettivo d'incoraggiare le istituzioni europee e gli Stati membri a incentivare maggiormente le misure in grado di promuovere i carburanti alternativi.

1.9.4

Il Comitato accoglie con favore anche la recente comunicazione della Commissione intitolata Strategia dell'UE per i biocarburanti  (5), nella quale si esorta ad imprimere un nuovo impulso alla produzione di biocarburanti.

1.10

In effetti, mentre i biocarburanti e il GN possono conquistare quote di mercato sempre maggiori grazie ai progressi tecnologici dei motori per autotrazione e al sistema di distribuzione di tali carburanti, consentendo così di sostituire i derivati del petrolio nella percentuale prevista per il 2020, alternative a lungo termine come l'H2 sono ancora in fase di sviluppo; in altri termini, i biocarburanti e il GN costituiscono una soluzione transitoria in attesa di mettere a punto una miscela sostenibile di carburanti in una prospettiva più a lungo termine.

1.11

Il Comitato raccomanda alla Commissione di adottare disposizioni vincolanti qualora la revisione della direttiva sui biocarburanti prevista per il 2006 dimostri che quanto è stato fatto dagli Stati membri non è servito a raggiungere gli obiettivi previsti per i biocarburanti e per il GN.

1.12

Il Comitato riconosce che è opportuno utilizzare maggiormente il gas naturale come carburante per autotrazione quale alternativa al petrolio per un periodo transitorio, fino a quando non sarà possibile applicare la tecnologia dell'idrogeno. La Commissione europea e gli Stati membri, nelle loro strategie di comunicazione, dovrebbero pertanto menzionare costantemente questa tecnologia già ora conveniente sul piano economico, e dare il buon esempio anche quando acquistano i propri veicoli.

2.   Motivazione

2.1

Nel novembre 2001 la Commissione ha adottato la comunicazione sui carburanti alternativi per il trasporto stradale (6), la quale faceva seguito al Libro verde Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico  (7) e al Libro bianco sulla politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte  (8). La comunicazione conteneva un piano d'azione in due punti.

2.2

Il primo punto mirava a diffondere l'uso di biocarburanti secondo una duplice strategia; da un lato, prevedeva di immettere sul mercato una percentuale sempre maggiore di benzina e diesel miscelati con biocarburanti, preparando così la strada alla miscelazione obbligatoria. Dall'altro, proponeva incentivi fiscali per rendere i biocarburanti interessanti in termini economici, tenendo conto anche del GN. Il Comitato ha già presentato un parere su questo primo aspetto il 25 aprile 2002 (9). Entrambe le proposte di direttiva contenute nella comunicazione sono state poi adottate (10).

2.3

Il secondo punto suggeriva di creare un gruppo di contatto sui carburanti alternativi con il compito di fornire alla Commissione indicazioni circa l'immissione sul mercato dei carburanti alternativi in generale, e in particolare del GN e dell'H2. Il gruppo di contatto doveva analizzare i vent'anni successivi in linea con l'obiettivo della Commissione di sviluppare un mercato dei carburanti alternativi tale da consentir loro di rimpiazzare il 20 % dei carburanti derivati dal petrolio entro il 2020.

2.4

Nel dicembre 2003 il gruppo di contatto ha presentato una relazione esauriente e circostanziata (11).

3.   Il cammino da percorrere in vista del 2020

3.1

In base al piano d'azione della Commissione, i biocarburanti, il GN e l'H2 sono i tre carburanti alternativi che dovrebbero maggiormente contribuire al raggiungimento dell'obiettivo del 20 % secondo lo schema seguente:

Anno

Biocarburanti

Gas naturale

Idrogeno

Totale

2005

2

 

 

2

2010

6

2

 

8

2015

7

5

2

14

2020

8

10

5

23

3.1.1

A partire dal 2005 i biocarburanti devono raggiungere una percentuale di utilizzo del 2 %, che dovrà arrivare all'8 % entro il 2020. I carburanti derivati dalla biomassa sono generalmente noti come «biocarburanti». I biocarburanti che potrebbero verosimilmente sostituire i carburanti convenzionali nell'autotrazione sono i seguenti:

3.1.1.1

il bioetanolo, cioè etanolo (EtOH), anche noto come alcol etilico, prodotto dalla fermentazione di colture amidacee come i cereali e la barbabietola da zucchero: viene utilizzato puro come sostituto della benzina (è quanto avviene in Brasile), ma in questo caso richiede motori appositamente concepiti, oppure è aggiunto alla benzina puro o sotto forma di etere butilico terziario (ETBE), un prodotto di sintesi chimica; stando alle specifiche tecniche che definiscono le caratteristiche della benzina, quest'ultima può essere miscelata con percentuali di etanolo pari anche al 5 % senza che sia necessario adattare il motore;

3.1.1.2

il biodiesel, un sostituto del diesel prodotto tramite transesterificazione di oli vegetali, anche noto come estere metilico dell'acido grasso (FAME); il biodiesel più diffuso in Europa è l'estere metilico di colza. Il CEN ha già messo a punto una norma per il biodiesel e un prodotto che soddisfi le specifiche del CEN è già utilizzabile fino al 5 % nei motori diesel. La produzione di biodiesel derivanti da colture agricole come la colza è riuscita fino a poco tempo fa a soddisfare la domanda e ha beneficiato di particolari incentivi fiscali. Nella comunicazione del novembre 2001 la Commissione esprimeva dubbi riguardo alla produzione su vasta scala di biocarburanti e alla sua fattibilità (12);

3.1.1.3

il biogas, vale a dire il gas ricco di metano prodotto dalla fermentazione anaerobica di materie organiche come il letame, i fanghi di depurazione o i rifiuti solidi urbani, è simile al GN. Il biogas deve essere portato al livello qualitativo del GN per poter essere utilizzato nei veicoli a GN. In Svezia oltre 5 000 veicoli sono alimentati a biogas, un'esperienza, questa, che dimostra come il metano — biogas o GN che sia — costituisca un carburante sostenibile ed economico in grado di ridurre drasticamente le emissioni prodotte dal trasporto urbano.

3.2

Quanto al gas naturale, la Commissione non si è adoperata come sarebbe stato necessario affinché il GN possa contribuire pienamente all'obiettivo fissato per il 2020, e finora non è stata presentata alcuna proposta al riguardo.

3.3

La mancanza di iniziative da parte della Commissione è tanto più problematica in quanto la relazione del gruppo di contatto, che si basa su un'analisi approfondita dell'intero ciclo di vita (la cosiddetta analisi Well-to-Wheels, dalla fonte all'utilizzo) dei carburanti alternativi, giunge alla conclusione che «il GN è l'unico carburante alternativo che abbia le potenzialità per conquistare una quota di mercato significativa, ampiamente superiore al 5 %, di qui al 2020, e che, in termini di economia dell'offerta, in uno scenario di mercati maturi potrebbe eventualmente competere con i carburanti tradizionali».

3.4

Nella comunicazione del novembre 2001 la Commissione assegnava al GN il compito di fornire il principale contributo agli obiettivi fissati per il 2020 in materia di carburanti alternativi. Il gruppo di contatto si è mostrato concorde con questa posizione per le ragioni che seguono.

3.4.1

Il GN soddisfa l'esigenza di una maggiore sicurezza di approvvigionamento non solo in quanto consente di diversificare l'offerta, visto che non dipende dal petrolio, ma anche perché la sua domanda non è limitata dall'offerta di energia primaria. Se la diffusione di biocarburanti potrebbe nel tempo essere limitata dall'offerta, la percentuale del 10 % per i trasporti su strada, che costituisce l'obiettivo fissato dalla Commissione per il GN nel 2020, corrisponderebbe al 5 % circa del consumo totale di GN previsto nell'UE a tale data. Questa considerazione pone in evidenza la necessità di uno sviluppo sinergico di tutti e tre i carburanti alternativi.

3.4.2

Il GN contribuisce a raggiungere l'obiettivo strategico di una riduzione delle emissioni ad effetto serra. Come risulta chiaro dalla struttura chimica del metano (CH4), il GN contiene meno carbonio rispetto ad altri combustibili fossili, come la benzina e il diesel. L'analisi dalla fonte all'utilizzo ha dimostrato che le emissioni di gas a effetto serra di un veicolo a GNC (gas naturale compresso) sono inferiori a quelle di un veicolo a benzina e, con le tecnologie odierne, sono paragonabili a quelle di un diesel. Grazie ai progressi tecnologici previsti per i motori a GNC, a partire dal 2010 un veicolo equipaggiato a GNC dovrebbe produrre meno gas a effetto serra di un diesel.

3.4.3

I veicoli a GN presentano ulteriori vantaggi ambientali in termini di emissioni di gas di scarico. Quelli già in circolazione hanno un livello molto basso di emissioni di ossidi di azoto (NOx) e non contribuiscono alla produzione di particolato, che costituisce un vero e proprio problema. I limiti rigorosi fissati dall'Unione europea per le particelle aerodiffuse sono quindi utili per i veicoli alimentati a GN. Gli autobus a GN si sono dimostrati un mezzo di trasporto urbano valido e la Commissione, con il sostegno finanziario già erogato per l'introduzione dei veicoli modello, ha contribuito a promuovere l'uso di tali veicoli. Si potrebbe facilmente contribuire a migliorare l'ambiente urbano favorendo l'uso del GN per gli autobus pubblici e gli autocarri adibiti alla raccolta dei rifiuti nel quadro di un efficace piano per gli «appalti verdi» (Green Public ProcurementGPP).

3.4.4

Un importante passo in questa direzione potrebbe essere costituito dalla recente proposta di direttiva sulla promozione dei veicoli da trasporto puliti (13). Una volta adottata, tale direttiva imporrà agli Stati membri di vigilare affinché il 25 % dei veicoli commerciali pesanti (oltre le 3,5 t) acquistati o noleggiati ogni anno dagli enti pubblici siano alimentati con carburanti alternativi che soddisfano i requisiti relativi ai veicoli ecologici migliorati (enhanced environment-friendly vehicles — EEV) (14). Le norme EEV si applicano ai veicoli alimentati con biocarburanti, GNC, GPL o idrogeno, nonché ai veicoli ibridi e a quelli elettrici.

3.5

L'idrogeno non esiste in natura allo stato libero. In natura esistono infatti composti chimici che contengono H2, come l'acqua e gli idrocarburi. Il contenuto (in peso) di idrogeno nell'acqua (H2O) è dell'11 % (2/18). Benzina e diesel sono miscele di idrocarburi. Il metano, un idrocarburo, è il principale costituente del GN e del biogas.

Non esistendo in natura, l'H2 va prodotto. E infatti viene prodotto per poter essere utilizzato nel settore chimico e petrolchimico, nella raffinazione del petrolio e in altri processi industriali.

Per produrre H2, ad esempio dall'acqua (mediante elettrolisi) o dal GN (mediante steam reforming), occorre energia, e più precisamente elettricità nel primo caso e calore nel secondo.

L'analisi dalla fonte all'utilizzo è fondamentale per classificare i diversi percorsi produttivi possibili dalla materia prima all'H2 in funzione del consumo energetico e delle emissioni di gas a effetto serra.

Da tempo ormai l'H2 è un prodotto industriale fabbricato e commercializzato dalle compagnie del gas di grandi dimensioni o destinato a uso interno nelle raffinerie di petrolio. Dal momento però che il suo utilizzo per l'autotrazione è ancora agli albori, l'obiettivo del 2 % nel 2015 e del 5 % entro il 2020 risulta alquanto ambizioso.

3.5.1

Il gruppo di contatto ha riscontrato una serie di problemi legati a un maggiore ricorso all'H2 per l'autotrazione, più precisamente:

i)

H2 liquido, a — 252 °C, contenuto in serbatoi criogenici p. es. a bordo di veicoli con motori a combustione interna, o H2 allo stato gassoso p. es. compresso in bombole a 700 atmosfere a bordo di veicoli a celle a combustibile?

ii)

produzione centralizzata di H2 in unità di grandi dimensioni che possono essere ottimizzate in termini di consumo energetico, o produzione distribuita in piccole unità alla stazione di rifornimento?

iii)

dal momento che i veicoli a celle a combustibile raggiungono la massima efficienza alle medie potenze, forse sarebbe auspicabile distinguere questi veicoli utilizzati a potenza ridotta, ad esempio nel traffico cittadino, dai veicoli dotati di motore a combustione interna da impiegare per i lunghi tratti, in cui il motore deve funzionare a pieno regime;

iv)

altra fonte di preoccupazione è la tecnologia stessa della cella a combustibile, l'apparecchio cioè in cui l'H2 libera il flusso di elettroni, che poi è la corrente elettrica che alimenta il motore elettrico, il quale a sua volta fa girare le ruote. Questi, però, sono aspetti che esulano dall'ambito del parere.

3.5.2

Riassumendo, l'H2 in quanto carburante alternativo presenta una duplice problematica: a) la rete di distribuzione e b) il power train (motore e trasmissione). È logico che, nell'ambito del Quinto e del Sesto programma quadro, l'Unione abbia investito in misura sempre crescente nelle attività di R&S legate all'H2 e alle celle a combustibile. Attualmente le attività di ricerca in materia di idrogeno e celle a combustibile rientrano nell'ambito della sottopriorità Sistemi energetici sostenibili del Sesto programma quadro, con uno stanziamento complessivo di 890 milioni di euro. Nella discussione attualmente in corso sul Settimo programma quadro, il Parlamento europeo sta proponendo di far rientrare questo aspetto in una nuova priorità tematica che raccolga «tutte le fonti di energia (esenti da emissioni di CO2) attuali e future» a cui destinare stanziamenti ancora più consistenti. I vantaggi ambientali derivanti dal fatto che l'ossidazione dell'H2 in una cella a combustibile produce solo e soltanto acqua giustificano tali investimenti.

4.   Conclusioni

4.1

La realizzazione dell'obiettivo, fissato dalla Commissione, di sostituire, entro il 2020, il 20 % dei carburanti convenzionali con carburanti alternativi è affidata a due tecnologie/prodotti ormai consolidati, i biocarburanti e il GN, e a un'applicazione promettente, l'H2 e le celle a combustibile.

4.2

I biocarburanti e il GN — nonostante alcuni ostacoli — sono già disponibili e presentano proprietà tali da consentir loro di risolvere i problemi legati alla rete di distribuzione e alla tecnologia dei motori.

4.2.1

Data la sua origine fossile (non essendo cioè rinnovabile) il GN non dovrebbe essere considerato a pieno titolo un carburante alternativo, benché esso rappresenti oggi una delle alternative più realistiche ai carburanti derivati dal petrolio e sia indispensabile per realizzare l'obiettivo di sostituzione del 20 % nel 2020. Il GN può svolgere in questo contesto un ruolo importante in quanto:

le sue riserve sono ampie e destinate a durare più a lungo di quelle di petrolio,

nonostante i recenti problemi la sua distribuzione geopolitica garantisce un mercato dell'approvvigionamento relativamente stabile rispetto al petrolio,

tra gli idrocarburi, presenta il miglior rapporto H/C (idrogeno/carbonio), con il più basso livello di emissioni di CO2,

il GN può rappresentare la strada da percorrere per arrivare all'idrogeno.

Una solida rete per il GN potrebbe da ultimo facilitare lo sviluppo dei piccoli distributori locali di idrogeno. Le attuali barriere alla diffusione di veicoli a GN sono legate principalmente alla rete di distribuzione insufficiente e discontinua.

4.2.2

I biocarburanti combinano lo scarso impatto ambientale del GN e il vantaggio di essere un'energia rinnovabile, riducendo così la dipendenza dai carburanti fossili. Inoltre, anche se non è dimostrato chiaramente, c'è la reale possibilità di creare nuovi posti di lavoro nel settore agricolo, o quantomeno di non perderne altri. Le risorse forestali possono contribuire alla produzione di biocarburanti, ad esempio mediante la gassificazione del liquido che ha estratto la lignina separandola dalla cellulosa (black liquor) e la fermentazione di biomassa lignocellulosica. Entrambe le tecnologie sono attualmente ancora in fase di sperimentazione e il loro contributo alla produzione di biocarburanti si comincerà ad avvertire solo a medio termine. Di fronte all'attuale domanda di carburante per autotrazione (15), un ricorso massiccio ai biocarburanti va considerato alla luce dei suoi effetti collaterali sull'ambiente:

le colture destinate alla fabbricazione di biodiesel, in quanto produzione di nicchia, non sono in grado di coprire la domanda comunitaria di carburante,

per raggiungere l'obiettivo del 6 % nel 2010, fino al 13 % dei terreni agricoli nell'Unione a 25 dovrà essere destinato a colture impiegate per la produzione di biocarburanti. Questo potrebbe rendere necessarie misure onerose per proteggere il suolo, le acque sotterranee e la biodiversità, nonché per evitare ulteriori emissioni di gas a effetto serra (16). Le importazioni non farebbero che spostare il problema in altri paesi, aumentando così il traffico marittimo.

4.2.3

Sembrerebbe che la comunicazione della Commissione del 7 febbraio 2006 intenda affrontare questi problemi e risolvere queste incertezze (17). Sono state presentate diverse misure intese a promuovere e a sostenere la produzione e l'uso dei biocarburanti sia nell'UE che nei paesi terzi. Il Comitato seguirà con grande interesse l'attuazione della strategia proposta.

4.3

Per poter raggiungere nel 2020 l'obiettivo fissato per i carburanti alternativi occorre un approccio sinergico: ciò significa che tutti e tre i carburanti devono ricevere pari attenzione.

4.4

È ragionevole credere che l'immissione sul mercato di questi carburanti alternativi di comprovata validità commerciale incontrerà meno ostacoli perché sia il know-how che le tecnologie sono sin d'ora disponibili.

4.5

La Commissione europea e il mondo economico dovrebbero chiedersi per quale motivo le misure adottate finora non si siano rivelate sufficienti per promuovere la diffusione del GN per autotrazione. Secondo il Comitato, ogni Stato membro dovrebbe fissare un obiettivo minimo alla luce della situazione nazionale specifica.

4.6

Nel quadro di una proposta del genere andrebbero anche rivisti i requisiti tecnici e di sicurezza delle stazioni di rifornimento di GNC. In molti casi, infatti, si tratta di norme decisamente superate e che non tengono conto dei recenti sviluppi. Una tale revisione, accompagnata dalla semplificazione delle procedure burocratiche, potrebbe senz'altro contribuire a una maggiore diffusione delle stazioni di rifornimento di GNC. Molto spesso le autorizzazioni a costruire queste stazioni sono inutilmente complesse e richiedono troppo tempo.

4.7

Come già affermato al precedente punto 4.2.1, in avvenire un tale approccio faciliterà anche il passaggio ai veicoli a H2. I progressi tecnologici sul piano dello stoccaggio del carburante a bordo del veicolo, infatti, saranno importanti anche per l'H2 compresso. Ciò vale anche per il rifornimento, i contatori e la progettazione delle stazioni di rifornimento di H2. Qualsiasi investimento nelle tecnologie del GN è un passo avanti anche per l'H2.

4.8

Il rapido sviluppo di carburanti alternativi di comprovata validità commerciale potrebbe servire da soluzione di ripiego nel caso di un ritardo imprevisto nell'ambizioso progetto di sfruttamento dell'H2 per l'autotrazione.

4.9

Infine, Il Comitato ribadisce ancora una volta che si possono compiere dei veri progressi verso veicoli più ecologici che consumano meno carburante, sviluppando sì carburanti alternativi, ma anche lottando contro la congestione del traffico mediante infrastrutture migliori, promuovendo i trasporti pubblici e, cosa ancor più importante, modificando il comportamento dei consumatori. L'attuale mania di acquistare i cosiddetti «fuoristrada da città» (SUVs — Sport Utility Vehicles) dimostra che i consumatori non sono pronti a modificare le loro abitudini. Eppure questi tipi di veicolo consumano in genere enormi quantità di carburante e producono emissioni di CO2 altrettanto rilevanti. È proprio per la crescente domanda di fuoristrada che le case automobilistiche hanno difficoltà ad impegnarsi a favore di veicoli più ecologici.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Promuovere le energie rinnovabili: modalità d'azione e strumenti di finanziamento (GU C 108 del 30.4.2004), L'energia di fusione (GU C 302 del 7.12.2004), Situazione e prospettive delle fonti d'energia «tradizionali» — carbone, petrolio e gas naturale — nel futuro mix energetico (GU C 28 del 3.2.2006), Le fonti energetiche rinnovabili (GU C 65 del 17.3.2006), Efficienza energetica (GU C 110 del 9.5.2006).

(2)  L'approvvigionamento energetico dell'UE: una strategia per un mix energetico ottimale (TEN/227).

(3)  COM(2005) 628 def., del 7.12.2005.

(4)  Cfr. la nota 16 del piano d'azione per la biomassa, COM(2005) 628 def. del 7.12.2005.

(5)  COM(2006) 34 def. del 7.2.2006.

(6)  COM(2001) 547 def.

(7)  COM(2000) 769 def.

(8)  COM(2001) 370 def.

(9)  GU C 149 del 21.6.2002.

(10)  Direttive 2003/30/CE (GU L 123 dell'8.5.2003, pag. 42) e 2003/96/CE (GU L 283 del 27.10.2003, pag. 51).

(11)  Market Development of alternative fuels (Commercializzazione dei carburanti alternativi), dicembre 2003.

(12)  Cfr. COM(2001) 547, punto 2.2, capitolo Politica agricola.

(13)  COM(2005) 634 def., del 21.12.2005

(14)  Cfr. la direttiva 2005/55/CE.

(15)  I biocarburanti rappresentano attualmente solo lo 0,6 % circa del consumo di diesel e di benzina nell'Unione.

(16)  Agenzia europea dell'ambiente (AEA 2004/4). Altri studi cercano di stabilire la quantità di biomassa che l'Europa può utilizzare senza danneggiare l'ambiente.

(17)  Strategia dell'UE per i biocarburanti, COM(2006) 34 def.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio in materia di tasse relative alle autovetture

COM(2005) 261 def. — 2005/0130 (CNS)

(2006/C 195/21)

Il Consiglio, in data 6 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 67 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE esprime il suo pieno appoggio alla proposta di direttiva che intende insieme migliorare il funzionamento del mercato interno e promuovere la sostenibilità ambientale.

1.2

Il CESE evidenzia positivamente l'utilizzo, per la prima volta, del terzo pilastro, quello fiscale, ai fini della riduzione delle emissioni di biossido di carbonio (CO2).

1.3

Il CESE concorda con la Commissione europea anche nella valutazione delle ricadute positive che tale proposta può avere sulla libera circolazione dei cittadini e sull'industria automobilistica.

1.4

Il CESE riconosce che trattando la proposta di un tema, quello della fiscalità, riservato alla competenza prevalente degli Stati membri, la Commissione europea non poteva utilizzare il principio della sussidiarietà in misura più ampia e cogente di quanto faccia la proposta stessa.

1.5

Tuttavia alcuni aspetti non regolati nella proposta potrebbero creare delle criticità in fase di recepimento della direttiva, con il rischio di applicazioni divergenti tra gli Stati membri. Per ridurre tali rischi la Commissione dovrà anche risolvere in tempo utile alcuni dubbi di natura tecnica che la proposta non chiarisce.

1.6

Il CESE, nel condividere gli obiettivi della direttiva proposta, ritiene che gli stessi saranno raggiunti solo se gli Stati membri interpreteranno le linee guida e le raccomandazioni della direttiva in modo coordinato. In caso contrario esiste il rischio che la frammentazione del mercato interno si aggravi invece di diminuire, come è nelle intenzioni della proposta.

1.7

In questo quadro il CESE invita la Commissione europea ad un monitoraggio attento non solo delle disposizioni di attuazione della direttiva, come d'uso, ma anche ad un confronto continuo e collaborativo con gli Stati membri per una implementazione coordinata del nuovo sistema di tassazione delle autovetture.

1.8

Il CESE auspica inoltre che dopo questo primo, importante passo, si possa ancora avanzare per realizzare in un giorno non troppo lontano un sistema di tassazione basato prevalentemente, se non esclusivamente, sull'uso della vettura piuttosto che sull'acquisto o il possesso. Solo allora sarà veramente applicato il principio pienamente condiviso dal CESE: «chi inquina paga».

1.9

Il CESE non può infine non sottolineare ancora una volta la necessità di un approccio integrato per una migliore sostenibilità ambientale del trasporto su strada. La leva fiscale, sicuramente importante, deve però essere accompagnata dall'ammodernamento delle infrastrutture, dalla promozione del trasporto collettivo e, non ultimo, da un'adeguata campagna di educazione del consumatore che lo orienti verso scelte più consapevoli e rispettose dell'ambiente. In quest'ottica non appare ad esempio opportuno l'incoraggiamento rivolto dalla Commissione europea agli Stati membri verso l'allineamento delle imposte sul diesel per auto a quelle applicate sulla benzina, senza considerare che le auto a diesel emettono meno CO2 di quelle a benzina.

2.   Motivazione

2.1   Antecedenti e contesto della proposta

2.1.1

L'industria automobilistica è, per definizione della stessa Commissione europea, una delle forze trainanti dell'economia europea, in quanto origina il 7,5 % del valore aggiunto di tutta l'industria manifatturiera e il 3 % del PIL. Essa offre anche un rilevante contributo alla bilancia commerciale con 35 miliardi di euro e, elemento quest'ultimo tutt'altro che marginale, rappresenta un bacino di occupazione importante con due milioni di posti di lavoro diretti, che arrivano a 10 milioni con l'indotto.

2.1.2

L'acquisto e l'utilizzo dell'automobile sono inoltre tra le più importanti fonti di reddito degli Stati membri con circa 340 miliardi di euro, l'8 % del totale delle entrate fiscali dell'Europa a 15 (1).

2.1.3

Queste ingenti entrate derivano, essenzialmente, da tre tasse specifiche: tasse di immatricolazione (TI); tasse annuali di circolazione (TAC) e tasse sui carburanti. Ogni Stato membro, peraltro, persegue in questo campo una propria politica fiscale, che dà luogo a 25 sistemi impositivi diversi, ben lungi quindi dall'auspicato obiettivo della convergenza, che è il presupposto indispensabile per un corretto funzionamento del mercato interno.

2.1.4

Attualmente in 16 Stati membri (2) è prevista una TI del veicolo, mentre la TAC è applicata in 18 Stati membri (3). Inoltre i criteri di calcolo e la base imponibile variano da Stato a Stato in maniera molto rilevante, specie per quanto riguarda la TI. Basti pensare che per un'autovettura di 2000 cc si va dall'1 % del suo valore in Italia ad oltre il 170 % in Danimarca. La TAC varia invece dai 30 euro ai 500 euro circa per veicolo.

2.1.5

In questo contesto la Commissione europea presentò, già nel 2002, una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla tassazione delle autovetture (4). Nella comunicazione si impostava una strategia mirata alla revisione dell'attuale sistema, con l'intento di promuovere un avvicinamento delle legislazioni nazionali, inserendovi anche finalità ambientali.

2.1.6

Negli anni successivi i risultati di ulteriori consultazioni con il Consiglio e il Parlamento europeo, nonché con l'industria e le altre parti interessate, hanno consentito alla Commissione di presentare la proposta di direttiva in esame.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta della Commissione che, va ricordato, non riguarda né l'IVA né le tasse sui carburanti, non prevede un'armonizzazione delle aliquote fiscali ma una loro ristrutturazione, fatta salva l'entità del gettito.

3.2

La proposta si articola su tre elementi principali:

3.2.1

Abolizione della TI.

Da attuare in maniera graduale e progressiva fino all'eliminazione totale in 10 anni, nel 2016. Tale gradualità potrà consentire agli Stati membri che attualmente prevedono la TI un adeguato periodo di transizione, ivi compresa l'adozione di misure di recupero del minor gettito anche mediante il trasferimento del gravame fiscale sulla TAC.

3.2.2

Istituzione di un sistema di rimborso della TI e della TAC.

3.2.2.1

Il nuovo regime, previsto dall'entrata in vigore della direttiva, riguarderà le vetture che sono state immatricolate in uno Stato membro e successivamente esportate o trasferite a titolo permanente in altro Stato membro o anche in uno Stato terzo.

3.2.2.2

Tale misura persegue una doppia finalità: evitare un secondo pagamento della TI già corrisposta al momento dell'acquisto dell'autovettura e applicare la TAC in funzione dell'uso effettivo dell'autovettura all'interno dello Stato membro.

3.2.2.3

L'importo delle tasse di immatricolazione da rimborsare è direttamente connesso al valore residuale della vettura ed è equivalente all'importo residuale della tassa incorporato nel valore residuale della vettura.

3.2.2.4

Gli Stati membri sono liberi di determinare il metodo di valutazione del valore residuo della vettura ai fini del rimborso della TI nel rispetto della trasparenza ed oggettività dei criteri adottati. Al proprietario dell'autovettura deve essere garantita la possibilità di contestare presso un'autorità indipendente la decisione dello Stato che applica il rimborso.

3.2.2.5

Per quanto concerne la TAC, che in considerazione dei criteri impositivi adottati nei 18 Stati membri che la prevedono dovrebbe più correttamente definirsi tassa di possesso, la direttiva conferma che può essere applicata ad un'autovettura soltanto dallo Stato membro di immatricolazione della vettura. Si considera Stato membro di immatricolazione quello nel quale la vettura è usata a titolo permanente in quanto il proprietario ha in tale Stato la sua residenza normale o in quanto viene usata in tale Stato per più di 185 giorni nell'arco di un periodo di 12 mesi. Da ciò consegue che in caso di trasferimento permanente dell'autovettura in un altro Stato, anche non comunitario, deve essere rimborsata al proprietario dell'autovettura la TAC residuale determinata secondo un principio di proporzionalità temporale.

3.2.3

Ristrutturazione della base imponibile della TI e della TAC in modo che sia interamente o in parte basata sulle emissioni di CO2.

3.2.3.1

La proposta di direttiva introduce un sistema di determinazione della TAC e della TI (per il periodo transitorio di vigenza) basato anche, e in maniera crescente, sulle emissioni di biossido di carbonio.

3.2.3.2

L'introduzione è infatti graduale e progressiva e prevede che il gettito totale della TAC e della TI sia fornito dalla tassazione basata sulle emissioni di CO2 nella misura del 25 % entro il 2008 e nella misura del 50 % entro il 2010.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE apprezza anzitutto l'impegno della Commissione europea che mira ad un duplice scopo: migliorare il funzionamento del mercato interno e dare un ulteriore impulso alla strategia di riduzione delle emissioni di CO2 utilizzando la leva fiscale. A questo proposito va sottolineato che la proposta utilizza per la prima volta il «terzo pilastro» (quello fiscale, appunto) previsto dalla strategia comunitaria per la riduzione delle emissioni di CO2 e il risparmio di carburante (5).

4.2

Il CESE valuta positivamente la proposta anche per le ricadute positive che essa dovrebbe comportare sia per i consumatori (6) che per l'industria automobilistica europea.

In effetti gli obiettivi della proposta sono del tutto condivisibili, nella misura in cui si prefiggono di favorire:

4.2.1

la riduzione se non l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, riducendo sensibilmente i costi e i tempi delle procedure amministrative relative alle esportazioni o ai trasferimenti delle vetture tra i vari Stati;

4.2.2

una maggiore competitività dell'industria dell'auto in un mercato interno più integrato. Attualmente la frammentazione del mercato dal punto di vista fiscale incide pesantemente sui prezzi finali delle autovetture costringendo le case automobilistiche a produrre e vendere versioni differenti dello stesso modello nei vari paesi, solo per ragioni fiscali, senza quindi poter fruire delle economie di scala di un mercato interno veramente compiuto, senza neppure benefici per i consumatori. Inoltre tasse di immatricolazione onerose normalmente influiscono negativamente sulla decisione di acquisto di una nuova vettura, provocando un rallentamento del rinnovo del parco circolante a favore di veicoli meno inquinanti e più sicuri;

4.2.3

una migliore sostenibilità ambientale, rappresentando le autovetture una significativa fonte di emissioni di CO2. A questo proposito va sottolineato come le due scadenze previste dalla proposta per la ristrutturazione della TI e della TAC sulla base delle emissioni di biossido di carbonio non siano certo casuali ma anzi in qualche modo «emblematiche», infatti il 2008 è l'avvio del periodo di Kyoto e il 2010 è l'anno in cui il Consiglio e il Parlamento europeo auspicano che le emissioni di CO2 delle nuove vetture siano contenute entro i 120 g/km.

4.3

Il CESE ritiene peraltro che gli obiettivi della direttiva saranno raggiunti solo se gli Stati membri ne interpreteranno fedelmente le linee guida e le raccomandazioni, senza deviazioni che potrebbero ampliare la già eccessiva frammentazione del mercato o, peggio ancora, aggravare il carico fiscale sugli automobilisti.

4.4

Si tratta infatti di un tema, la fiscalità, estremamente sensibile e di competenza degli Stati membri, sul quale la Commissione europea non poteva utilizzare il principio della sussidiarietà in misura più ampia e cogente di quanto faccia la proposta in esame.

4.5

Ad esempio la proposta prevede sì un cambiamento strutturale della tassazione ma con un risultato neutrale in termini di livello delle entrate, senza quindi incremento del totale delle imposte. Ciò significa che la perdita di gettito fiscale originata dall'abolizione della TI potrà essere accompagnata da un uguale e parallelo aumento della TAC e, ove necessario, da altre misure fiscali consentite dalla direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici (7).

4.6

Inoltre l'aver stabilito un legame diretto tra tassazione delle auto e CO2 rappresenta solo un aspetto, peraltro importante, da inserire nella strategia globale di riduzione delle emissioni di biossido di carbonio, che deve svilupparsi con un approccio olistico al problema, assicurando coerenza con le altre politiche comunitarie.

4.7

Considerato quanto sopra il CESE raccomanda che, oltre al consueto monitoraggio sulle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva nonché sulla concordanza di queste ultime e la direttiva stessa, la Commissione promuova uno scambio di informazioni con e tra i paesi membri, con scadenze più ravvicinate rispetto al quinquennio previsto per la relazione sull'applicazione della direttiva.

5.   Osservazioni particolari

5.1

A parere del CESE alcuni altri aspetti della proposta in esame potrebbero rilevarsi critici in fase di recepimento della direttiva con il rischio di applicazioni divergenti tra gli Stati membri. In particolare:

5.1.1

la progressività del cambiamento della tassazione dovrà realizzarsi in modo equilibrato per evitare che i cittadini che hanno acquistato un veicolo soggetto a TI si trovino poi penalizzati da un improvviso, notevole aumento della TAC;

5.1.2

l'utilizzo della «componente CO2» nella tassazione dovrà esser applicato in maniera coordinata tra tutti gli Stati membri, evitando così la creazione di nuove frammentazioni di mercato.

5.2

A questo proposito la Commissione dovrebbe, al più presto, suggerire agli Stati membri soluzioni opportune a due problemi che si presenterebbero se la direttiva fosse approvata nella formulazione attuale.

5.2.1

Il primo problema riguarda le vetture immatricolate prima del gennaio 2001. Infatti:

le emissioni di CO2 espresse in grammi al chilometro sono disponibili per tutte le vetture immatricolate a partire dal gennaio 1997; in precedenza il dato non era rilevato,

tra il 1997 e il 2000 le emissioni di CO2 sono state rilevate con il ciclo di guida europeo, successivamente modificato a partire dal 1o gennaio 2001 e pertanto i dati di emissione tra i due periodi non risultano perfettamente coerenti,

una tassazione riferita ad un parametro oggettivo ed omogeneo potrebbe essere quindi applicata solo alle vetture immatricolate dal gennaio 2001.

5.2.2

Il secondo problema da risolvere riguarda i paesi membri nei quali la TAC è attualmente calcolata in base alla potenza del motore espressa in Kilowatt. Tale sistema sembra assicurare una maggiore progressività rispetto ad una tassa che tenga conto solo del parametro CO2. Se in tali paesi la TAC fosse basata interamente sulle emissioni di CO2, ne conseguirebbe un aumento dell'importo a carico delle vetture piccole ed una forte riduzione per le vetture più grandi, più potenti e quindi più inquinanti, con un risultato paradossalmente opposto a quello atteso. È quindi necessario prevedere fin d'ora opzioni correttive del sistema.

5.3

È fondamentale che gli Stati membri, nella parte di imposta correlata alle emissioni di CO2, applichino una chiara, diretta e trasparente relazione tra prelievo fiscale ed emissioni di CO2 di ciascun veicolo, allo scopo di evitare la creazione arbitraria di ulteriori differenziazioni basate su parametri tecnici diversi quali cilindrata, dimensioni ecc. che sono causa di distorsioni del mercato.

5.4

Il recepimento della direttiva dovrà essere anche tecnologicamente neutrale, tenendo in conto solo le prestazioni della vettura in termini di CO2, senza accordare privilegi ad una tecnologia a scapito di un'altra. Come potrebbe essere nel caso in cui l'applicazione delle nuove norme risultasse penalizzante per le auto con motori diesel, tecnologia nella quale l'Europa mantiene ancora un vantaggio competitivo sui costruttori non europei. A questo proposito stupisce l'incoraggiamento che la Commissione europea rivolge agli Stati membri per l'allineamento delle imposte sul diesel per auto a quelle applicate sulla benzina, senza considerare che le auto a diesel emettono meno CO2 di quelle a benzina.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Dati 2003. Non sono disponibili dati completi e più recenti per l'Europa a 25.

(2)  NON applicano la TI: Repubblica ceca, Estonia, Francia (dove esiste però la carte grise , imposta assimilabile alla TI), Germania, Lituania, Lussemburgo, Svezia, Slovacchia, Regno Unito.

(3)  NON applicano la TAC: Repubblica ceca, Estonia, Francia, Lituania, Polonia, Slovenia, Slovacchia.

(4)  COM(2002) 431 def. del 6.9.2002.

(5)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al PE: COM(95) 689 def. e conclusioni del Consiglio del 25.6.1996.

(6)  La Commissione ha stimato che una riduzione del 50 % della TI, negli Stati membri a TI elevata, potrà ridurre tra il 10 % e il 25 % il prezzo delle auto.

(7)  GU L 283 del 31.10.2003, pag. 51.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa

COM(2005) 447 def. — 2005/0183 (COD)

(2006/C 195/22)

Il Consiglio, in data 2 dicembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 72 voti favorevoli, 5 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE non può che approvare gli obiettivi generali della strategia tematica sull'inquinamento atmosferico e la proposta di direttiva che ne è la trasposizione legislativa.

1.2

Per quanto concerne la strategia tematica, che, come indicato chiaramente al punto 4.1.1 del relativo documento, non può essere dissociata dalla proposta legislativa stessa, il Comitato:

approva pienamente la volontà di integrare trasversalmente gli obiettivi relativi alla qualità dell'aria nelle altre politiche comunitarie,

invita la Commissione a rivedere gli scenari in materia di energia messi a punto nel modello Primes, i quali sembrano presentare delle inesattezze: ciò avrà come probabile conseguenza la modifica del riferimento di base CAFE «Aria pulita per l'Europa» (Clean Air For Europe).

1.3

Per quanto concerne la proposta di direttiva, il Comitato:

sostiene appieno la volontà di semplificare, chiarire e codificare la legislazione relativa alla qualità dell'aria,

approva la volontà di garantire l'attuazione effettiva, da parte degli Stati membri, delle disposizioni legislative vigenti,

propone di modificare come segue le date entro cui si debbono conformare agli obblighi previsti dalla direttiva: dal 2010 al 2015 per i livelli massimi di concentrazione di PM2,5 e dal 2015 al 2020 per la riduzione dell'esposizione umana, tenuto conto dei tempi necessari per portare a termine il processo legislativo e creare le stazioni di misurazione negli Stati membri, nonché del costo degli investimenti necessari,

ritiene che, prima di fissare dei valori limite vincolanti, sarebbe stato utile prevedere un periodo di transizione per consentire agli Stati membri di avvicinarsi a determinati valori obiettivo di concentrazione,

chiede che vengano escluse dal campo di applicazione della direttiva le particelle sottili di origine naturale.

2.   Introduzione

2.1

La strategia tematica e la proposta di direttiva si collocano nel quadro del sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (6o PAE, pubblicato il 10 settembre 2002 (1)) e della comunicazione «Aria pulita per l'Europa» (Clean Air For Europe — CAFE — del 2001). Nel 6o PAE era stato stabilito l'ambizioso obiettivo di «raggiungere livelli di qualità dell'aria che non comportino rischi o impatti negativi significativi per la salute umana e per l'ambiente».

Al punto 4.1.1 della comunicazione relativa alla strategia tematica, viene indicato che: «La presente strategia è corredata di una proposta legislativa». È quindi evidente che i due testi sono collegati e che, di conseguenza, per pronunciarsi sulla proposta di direttiva occorre esaminare la strategia che ne costituisce, in qualche modo, il quadro generale e che definisce gli obiettivi strategici della Commissione in materia di qualità dell'aria.

2.2   La strategia tematica

2.2.1

La strategia tematica in esame fissa alcuni obiettivi intermedi in materia di inquinamento atmosferico. Essa chiede che la legislazione in vigore venga aggiornata e incentrata maggiormente sugli inquinanti più nocivi, e che vengano compiuti maggiori sforzi per inserire le problematiche ambientali nelle altre politiche e programmi comunitari.

2.2.2

In ogni caso, malgrado i progressi compiuti nella riduzione delle emissioni dei principali inquinanti atmosferici e anche qualora la legislazione vigente venisse applicata pienamente, i problemi ambientali e sanitari non potrebbero essere risolti per il 2020 senza l'adozione di misure complementari.

2.2.3

La Commissione propone quindi:

la semplificazione delle disposizioni vigenti e la fusione della direttiva quadro del 1996, della prima, della seconda e della terza direttiva derivata (1999-2000-2003) nonché della decisione sullo scambio di informazioni (1997). La quarta direttiva derivata (2004) dovrebbe essere integrata successivamente tramite codificazione,

l'introduzione di nuove norme di qualità dell'aria per le particelle sottili (PM2,5) presenti nell'atmosfera,

la revisione della direttiva sui limiti nazionali di emissione (LNE del 2002).

Tutte queste misure rispondono all'esigenza di semplificare la legislazione e di renderla più chiara per consentirne una migliore applicazione.

2.2.4

L'altro obiettivo della strategia è quello di una migliore integrazione delle problematiche relative alla qualità dell'aria nelle altre politiche comunitarie, ossia: energia; piccoli impianti di combustione; trasporti terrestri, aerei e marittimi; agricoltura; fondi strutturali.

2.2.5

La strategia verrà riesaminata nel 2010 e i risultati ottenuti saranno integrati nella valutazione finale del 6o PAE.

3.   La proposta di direttiva relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa

3.1

La proposta è intesa a dare attuazione concreta alla componente legislativa della strategia, ossia la fusione in un'unica direttiva dei cinque strumenti giuridici succitati.

3.2

Le modifiche legislative più consistenti riguardano il capo III, relativo alla gestione della qualità dell'aria. Non viene proposto di modificare i valori limite, bensì di rafforzare le disposizioni in vigore imponendo agli Stati membri l'obbligo di predisporre ed applicare piani atti a garantire il rispetto di tali valori.

3.3

Il secondo punto importante riguarda le particelle sottili (PM2,5), più pericolose di quelle più pesanti. È quindi necessario integrare i metodi in uso per il controllo del PM10 con un nuovo metodo per il controllo del PM2,5.

3.4

A questo proposito, la Commissione propone di definire un livello massimo di concentrazione di PM2,5 nell'atmosfera allo scopo di evitare rischi eccessivamente elevati per la popolazione: l'obiettivo dovrebbe essere raggiunto entro il 2010. Tale disposizione sarà completata dalla fissazione di obiettivi non vincolanti volti a ridurre in generale, tra il 2010 e il 2020, l'esposizione umana alle particelle sottili in ciascuno Stato membro.

3.5

Il capo V affida agli Stati membri il compito di informare il pubblico, gli organismi e le associazioni interessate alla qualità dell'aria ambiente onde adempiere agli obblighi previsti dalla Convenzione di Aarhus. Gli Stati membri devono anche, chiaramente, far pervenire tali informazioni alla Commissione. Per facilitare la trasmissione di questi dati la Commissione propone di adottare un sistema elettronico basato sulla condivisione delle informazioni nel quadro dell'infrastruttura Inspire.

3.6

Affinché le informazioni raccolte siano sufficientemente rappresentative e comparabili, sono peraltro previste tecniche di misurazione standardizzate per valutare la qualità dell'aria ambiente, nonché l'uso di criteri comuni per quanto riguarda il numero e l'ubicazione delle stazioni di misurazione.

4.   Osservazioni di carattere generale

A)   La strategia tematica

4.1

Il CESE non può che approvare gli obiettivi generali della strategia e della proposta di direttiva. Il vero problema, però, al di là degli obiettivi di per sé lodevoli, è il rapporto costi-efficacia, la fattibilità delle misure proposte — la cui applicazione è relativamente semplice per quanto riguarda le fonti puntuali, ma molto più delicata per quanto concerne invece le fonti diffuse — e la loro incidenza reale, sia sul piano del miglioramento della qualità dell'aria che sul piano economico.

4.2

La Commissione calcola che il costo della realizzazione degli obiettivi della strategia dovrebbe essere di 7,1 miliardi di EUR all'anno — che andrebbero a sommarsi alle spese destinate alla lotta contro l'inquinamento atmosferico (circa 60 miliardi di EUR all'anno) -, ma che il risparmio in termini di spese sanitarie dovrebbe raggiungere i 42 miliardi di EUR all'anno. Sebbene l'impatto macroeconomico sia quindi ampiamente positivo, la realtà economica quotidiana va considerata sul piano microeconomico. Nondimeno, la Commissione ritiene che, anche se si facesse ricorso a tutte le tecniche disponibili, i benefici resterebbero superiori ai costi. Il problema sta nel fatto che, se è relativamente facile fare una stima dei costi, è invece nettamente più arduo calcolare i benefici previsti, né risultano molto chiare le modalità di calcolo del risparmio sul piano sanitario. La Commissione sottolinea tuttavia che i costi della normativa in esame sarebbero inferiori a quelli della regolamentazione americana in vigore.

4.3

L'intenzione di semplificare, chiarire e codificare la legislazione è indubbiamente positiva. In effetti, la complessità e l'oscurità di talune disposizioni legislative comportano immancabilmente divergenze di applicazione, distorsioni della concorrenza, nonché l'impossibilità di acquisire dati certi sulla qualità dell'aria in Europa.

4.4

L'iniziativa legislativa proposta gode quindi del sostegno del Comitato.

4.5

Il Comitato si rammarica tuttavia che la Commissione non abbia definito il ruolo che dovrebbero svolgere gli enti locali, in particolare le città, nel settore dei trasporti (politica dei modi di trasporto alternativi, trasporti pubblici, deviazione del traffico degli autoveicoli pesanti, ecc.). Inoltre gli enti locali, i comuni in special modo, esercitano di fatto una funzione determinante nell'attuazione pratica delle disposizioni adottate a livello europeo, specie in materia di misurazioni.

4.6

Analogamente, andrebbe sottolineato il ruolo che possono svolgere le ONG attive in campo ambientale e taluni organismi specializzati nel settore sanitario e sociale, come pure, in modo più generale, la società civile organizzata, nel sensibilizzare il grande pubblico sulle questioni relative alla sanità pubblica e alla salute sul lavoro.

4.7

Infine, per quanto riguarda la protezione degli ecosistemi, sono già stati compiuti progressi relativamente a sostanze quali gli ossidi di azoto, il biossido di zolfo e l'ammoniaca. Una migliore applicazione della legislazione unita alla sua semplificazione dovrebbe consentire di perfezionare ulteriormente i risultati.

B)   La proposta di direttiva

4.8

La volontà di controllare i livelli delle particelle sottili nell'atmosfera è un fatto comprensibile, dato il loro impatto sulla salute umana. Finora tuttavia la fissazione di valori massimi si è scontrata con una difficoltà di principio, in quanto la stessa OMS non era in grado di stabilire una soglia per la protezione della salute (2). Sussistono inoltre grandi incertezze per quanto riguarda la misurazione della concentrazione di PM e la composizione chimica di queste particelle, che fa sì che esse siano più o meno nocive alla salute: le tecniche in uso non consentono infatti di determinare questi aspetti.

4.9

Ci si può quindi chiedere se non sarebbe stato più opportuno determinare dei valori obiettivo, anziché dei valori massimi. Inoltre, data la scadenza ravvicinata per l'applicazione della direttiva (2010) rispetto al momento di inizio della procedura legislativa (fine 2005) e vista la lentezza del processo legislativo stesso, è possibile che gli Stati membri finiscano per avere pochissimo tempo a disposizione per conformarsi alla normativa.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   La strategia tematica

5.1.1

Il CESE accoglie con favore la consultazione estremamente ampia effettuata dalla Commissione europea presso i soggetti interessati e condivide appieno la volontà di inserire trasversalmente gli obiettivi in materia di qualità dell'aria nelle altre politiche comunitarie. Tuttavia, la pressione esercitata dalle scadenze ha pesato sui lavori, e non è stato possibile effettuare tutte le verifiche necessarie. Il problema riguarda in particolare gli scenari strategici adottati.

5.1.2

Tali scenari, che sono stati messi a punto nel quadro del modello Primes, presentano un certo numero di inesattezze quanto alle previsioni di crescita, all'entità della penetrazione del gas rispetto al carbone e allo squilibrio tra importazioni ed esportazioni di energia elettrica tra Stati membri.

5.1.3

Del resto la Commissione europea, avendo preso atto di questa situazione, aveva chiesto all'IIASA (Istituto internazionale di analisi dei sistemi applicati) di organizzare delle consultazioni bilaterali con tutti gli Stati membri tra aprile e settembre 2005, in modo tale da perfezionare gli scenari energetici nel quadro della revisione, appena avviata, della direttiva sui limiti nazionali di emissione.

5.1.4

Attualmente è in corso un profondo aggiornamento degli scenari energetici del modello Primes. Le modifiche più importanti consisteranno nel:

ridurre la penetrazione del gas e aumentare la parte riservata al carbone,

assicurare una maggiore coerenza tra le importazioni e le esportazioni di elettricità tra Stati,

aumentare la quota di energia elettrica riservata al nucleare,

correggere le previsioni in materia di costi dei combustibili e di andamento della crescita economica.

5.1.5

Gli scenari energetici del CAFE dovrebbero quindi essere sottoposti a revisione, con la conseguente modifica del riferimento di base CAFE e quindi del livello di ambizione degli obiettivi.

5.1.6

Inoltre, sarebbe opportuno garantire la coerenza tra questa strategia e altre politiche dell'Unione europea. Così, ad esempio, si può osservare che, malgrado la combustione del legno domestico comporti l'emissione di particelle PM2,5, la Commissione ne incoraggia l'impiego come fonte di energia alternativa, mentre ciò richiederebbe l'applicazione di tecniche di filtraggio dei fumi. Anche il carbone rappresenta un esempio analogo.

5.1.7

Ciò nonostante, la strategia tematica ha il merito di aver preso in considerazione settori spesso trascurati, quali l'agricoltura o la navigazione marittima, malgrado sorprenda l'assenza della questione del trasporto aereo e delle emissioni prodotte in fase di decollo e atterraggio. In ogni caso occorre prevedere difficoltà di ordine politico nella sua attuazione: ad esempio, la riduzione delle emissioni di SO2 e NOx provenienti da imbarcazioni richiederà dei negoziati internazionali lunghi e complessi. Bisognerà anche evitare che le difficoltà incontrate nel conseguire gli obiettivi in taluni settori (ad esempio in agricoltura, in materia di azoto e ammoniaca) inducano ad esercitare una maggiore pressione su «bersagli» di più facile individuazione, come gli impianti industriali.

5.2   La proposta di direttiva

5.2.1

Il CESE approva la semplificazione delle disposizioni vigenti e la fusione della direttiva quadro del 1996, della prima, della seconda e della terza direttiva derivata, nonché della decisione sullo scambio di informazioni. L'eccesso e la frammentazione delle disposizioni legislative nuocciono alla buona applicazione di queste ultime: la sostituzione di questi cinque atti con un'unica direttiva è quindi un'iniziativa utile.

5.2.2

Il Comitato approva anche la volontà di impiegare tecniche di misurazione standard e criteri comuni per quanto concerne il numero e l'ubicazione delle stazioni di misurazione (capo II). Osserva, tuttavia, che taluni enti locali nutrono preoccupazione per il costo di tali strumenti di misurazione.

5.2.3

Il CESE sostiene anche la proposta della Commissione di non modificare i valori limite per la qualità dell'aria, ma di rafforzare le disposizioni vigenti imponendo agli Stati membri l'obbligo di predisporre ed attuare dei piani di azione atti a garantire l'effettivo rispetto di tali valori limite (art. 13). L'applicazione concreta delle norme vigenti è un obiettivo prioritario che dovrebbe arrecare notevoli benefici alla qualità dell'aria e alla tutela della salute umana.

5.2.4

Il CESE sottolinea che il punto essenziale della proposta di direttiva è l'introduzione di un livello massimo per la concentrazione delle particelle sottili (PM2,5) nell'aria, da raggiungere entro il 2010. Il dispositivo è integrato da una serie di obiettivi non vincolanti di riduzione dell'esposizione umana alle particelle sottili, da conseguire tra il 2010 e il 2020 (-20 %).

5.2.5

Il CESE fa rilevare che i dati disponibili sulle particelle sottili e sui loro effetti sono scarsi e incerti. Persino l'OMS riconosce che è impossibile determinare una soglia adeguata di protezione della salute, e il comitato scientifico dei rischi sanitari ed ambientali ammette che le conoscenze attuali sulle particelle sottili e sui loro effetti a lungo termine sulla salute sono carenti.

5.2.6

Il CESE giudica opportuno fissare in un primo tempo dei valori obiettivo, anziché dei livelli massimi di concentrazione. Altrimenti, c'è da temere che i tempi previsti dalla Commissione siano troppo ristretti, dato che la procedura legislativa ha avuto inizio solo alla fine del 2005. Gli Stati membri rischierebbero quindi di avere troppo poco tempo a disposizione per conformarsi alle nuove norme, mentre alcuni di loro hanno difficoltà già ora, in parte a causa del ritardo accumulato nell'attuazione, a rispettare le norme vigenti. Inoltre, il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che i livelli massimi di concentrazione sono più difficili da rispettare per gli Stati membri più piccoli, poiché questi ultimi sono ulteriormente svantaggiati dalla minore dispersione dell'inquinamento atmosferico. Propone quindi di fissare valori obiettivo invece di livelli massimi di concentrazione. Le norme proposte richiederebbero uno sforzo enorme per la creazione di stazioni di misurazione da parte degli Stati membri e/o degli enti locali: ciò richiederebbe tempi lunghi e investimenti considerevoli. Il PM10, oltre a ricadere rapidamente, viene misurato ed è misurabile con esattezza: tuttavia, i risultati delle misurazioni dovrebbero essere valutati, verificando poi se tali livelli possano essere rispettati in tutti gli Stati membri. Il PM2,5 pone invece delle reali difficoltà di misurazione e risulta estremamente volatile. Si sposta quindi facilmente nell'atmosfera ed è da considerarsi un inquinante transfrontaliero. Esistono poi particelle sottili di origine naturale, come il sale marino, che andrebbero logicamente escluse dal campo di applicazione della direttiva.

5.2.7

Inoltre, la misurazione del PM2,5 non è ancora armonizzata in Europa. Se infatti la prima direttiva derivata raccomanda un metodo di riferimento gravimetrico per la misura del PM, essendo questo metodo lungo e di difficile utilizzo, la direttiva consente anche di ricorrere a metodi di misurazione alternativi, purché realmente equivalenti a quelli pubblicati dalla Commissione. Nella pratica, questi metodi presentano una deviazione sistematica dal metodo di riferimento; inoltre gli Stati membri utilizzano fattori di correzione diversi o addirittura non ne utilizzano affatto. È lecito chiedersi se, tenuto conto delle incertezze che presentano i metodi di misurazione, sia ragionevole impegnarsi per il raggiungimento, in tempi così brevi, di valori limite giuridicamente vincolanti.

5.2.8

Infine, il CESE osserva che il rapporto costi-benefici delle misure proposte è difficile da valutare poiché si vogliono mettere in relazione costi certi con benefici sanitari difficili da quantificare con precisione. Il costo marginale delle disposizioni proposte rischia quindi di essere elevato, in cambio di un beneficio reale piuttosto limitato, e ciò pone un problema di opportunità nella scelta dell'assegnazione delle risorse.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU L 242 del 10.9.2002

(2)  Per quanto riguarda l'esposizione umana al PM 2,5, l'OMS ha appena proposto un limite di 10 μg/m3.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La situazione della società civile nei Balcani occidentali

(2006/C 195/23)

La Commissione, con lettera della vicepresidente Margot WALLSTRÖM del 14 giugno 2005, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema: La situazione della società civile nei Balcani occidentali.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 marzo 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore DIMITRIADIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 95 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

Il presente parere, conforme all'articolo 9 del Protocollo di cooperazione tra la Commissione europea e il Comitato economico e sociale europeo, costituisce la risposta del Comitato alla richiesta della vicepresidente della Commissione Margot WALLSTRÖM di elaborare un parere sulla situazione della società civile nei Balcani occidentali come contributo alle sue valutazioni strategiche nel quadro del processo di stabilizzazione e di associazione (PSA).

Il presente parere si prefigge i seguenti obiettivi:

fornire alla Commissione e al Consiglio il migliore contributo possibile per elaborare e attuare politiche dotate di una base solida e al servizio di obiettivi realistici e misurabili,

permettere all'opinione pubblica europea di comprendere meglio tali politiche, al fine di cogliere gli elementi positivi dell'UE, e di sostenerle in modo consapevole,

rendere più agevole la valutazione e quindi, se necessario, il miglioramento o la revisione delle politiche e azioni attuate nella misura in cui ci si prefigge obiettivi chiari e incontrovertibili, specie per quanto riguarda i beneficiari diretti,

migliorare l'immagine dell'UE e accrescerne il prestigio sulla scena internazionale, ma soprattutto in una regione duramente provata come i Balcani occidentali, dimostrando che l'UE è sensibile ai bisogni urgenti e concreti dei popoli della regione e offre le conoscenze che consentiranno loro di raggiungere il benessere,

evidenziare il ruolo che il Comitato può svolgere nella regione come ponte tra le organizzazioni europee della società civile e le loro omologhe su scala locale.

1.   Sintesi

1.1   Osservazioni del CESE

L'UE ha perso gran parte della propria credibilità a livello sia internazionale che regionale in occasione della crisi iugoslava, e appare quindi come un soggetto internazionale, debole sul piano politico, che continua a non comprendere appieno la situazione reale dei Balcani occidentali e non riesce a coordinare le sue diverse organizzazioni.

In diverse regioni dei Balcani occidentali, in particolare il Kosovo, il senso di sicurezza non si è consolidato e i conflitti etnici possono in qualsiasi momento innescare violente ostilità.

L'unione tra Serbia e Montenegro non risponde sufficientemente alle attese legate alla creazione di una federazione democratica di Stati.

La Bosnia-Erzegovina e il Kosovo sono formazioni (costruzioni) statali imposte dagli organismi internazionali, e non è certo che si mantengano nel tempo.

I criteri di Copenaghen sono fondamentali e non negoziabili.

Il percorso più adeguato per la messa a punto di una strategia europea integrata deve prevedere il coinvolgimento della società civile, che ha iniziato cautamente a svolgere il ruolo che le è proprio, e delle sue organizzazioni.

I paesi dei Balcani occidentali hanno bisogno di un sostegno costante, diretto e consistente, sia sul piano delle competenze che in termini economici (sostegno agli investimenti stranieri diretti e indiretti).

Occorre rafforzare il dialogo sociale plurivoco e multilaterale e creare un quadro giuridico democratico per consentire il funzionamento della società civile.

La lotta contro la corruzione e l'affermazione del potere giudiziario come pilastro della società sono da considerare come priorità assolute.

È necessario finanziare le organizzazioni della società civile.

Il CESE giudica necessario creare comitati consultivi misti con tutti i paesi della regione dei Balcani occidentali, non appena le condizioni lo permetteranno.

1.2   Il ruolo e le responsabilità del CESE

Date le importanti competenze e le valide risorse umane di cui dispone, il CESE ritiene di essere particolarmente adatto a svolgere un ruolo più attivo nell'elaborazione delle suddette politiche, come dimostra l'importante iniziativa di creare nella propria sede, nel 2006, un forum delle organizzazioni della società civile dei Balcani occidentali.

Il CESE è disposto a esercitare i suoi buoni uffici, qualora venga invitato a farlo, per mettere le organizzazioni balcaniche della società civile in contatto con le loro omologhe europee.

La Commissione potrebbe incaricare il CESE di organizzare incontri locali di aggiornamento con la società civile su temi specifici: il CESE ritiene infatti di poter fungere da canale di comunicazione tra la società civile e organismi internazionali come l'FMI, la Banca mondiale, la BEI, ecc.

È necessario che il CESE, in collaborazione con la Commissione europea, progetti, lanci e sostenga analisi sistematiche e studi sulla situazione sociale nei Balcani occidentali e sui progressi compiuti dalla società civile.

1.3   Raccomandazioni e proposte del CESE

A)

Alle forze politiche nazionali e regionali dei paesi dei Balcani occidentali

Il CESE raccomanda ai paesi dei Balcani occidentali di impegnarsi maggiormente nell'adeguamento all'acquis comunitario, ed esorta i governi di tali paesi a intensificare gli sforzi di democratizzazione.

Il CESE invita tutte le parti interessate a dare prova di particolare rispetto per le minoranze nazionali e religiose.

B)

Agli organi politici dell'Unione europea

Il CESE invita la Commissione a intensificare gli sforzi per portare a termine le procedure degli accordi di stabilizzazione e associazione con gli altri paesi della regione, e a mostrare una più forte volontà politica e un maggiore coordinamento dei propri organi politici e consultivi nel promuovere tutti i temi dell'agenda di Salonicco.

Il CESE ritiene che l'istruzione sia l'ambito più importante tra quelli in cui l'UE può fornire assistenza e sostegno alle società dei Balcani occidentali.

Il CESE ritiene che la decisione definitiva sull'assetto statale del Kosovo sia di importanza vitale per la sicurezza, la pace e la stabilità nella regione.

Il CESE ritiene che l'UE dovrebbe anche proseguire nella valutazione dello status e degli obiettivi delle organizzazioni delle parti sociali.

C)

Agli Stati membri dell'UE confinanti con i Balcani occidentali e alle organizzazioni europee della società civile

Il CESE raccomanda agli Stati membri dell'UE di intraprendere azioni mirate al rafforzamento della società civile.

2.   La situazione della società civile nei Balcani occidentali: quadro storico

2.1

Il presente parere esamina la situazione della società civile (1) nella regione balcanica, concentrandosi sui seguenti paesi: Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia e Serbia-Montenegro, compresa la regione del Kosovo conformemente alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

2.2

Durante il vertice di Salonicco del giugno 2003, l'UE ha ribadito l'impegno a integrare i paesi dei Balcani occidentali (2) non appena le condizioni lo permetteranno. Il processo di stabilizzazione e di associazione è stato integrato con nuovi strumenti volti a sostenere i processi di riforma. Sono state inoltre definite le priorità a breve-medio termine e nel 2004 è stata approvata la prima serie di partenariati europei.

2.3

Ciò non toglie che la situazione politica nella regione rimanga instabile per una serie di fattori: la questione tuttora irrisolta dello statuto definitivo del Kosovo, la precarietà dei rapporti tra Serbia e Montenegro e la lentezza dei progressi in atto in Bosnia-Erzegovina, che rischiano di interrompersi in qualunque momento.

2.4

Le missioni del gruppo di contatto del CESE in Croazia, in Bosnia-Erzegovina (21-22 marzo 2005), in Serbia e Montenegro (26 maggio 2005), nell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia e in Albania hanno riferito le reazioni positive al forum della società civile organizzato dal CESE. Al tempo stesso, però, hanno sottolineato le difficoltà di dar vita a un dialogo sociale e a un dialogo delle organizzazioni della società civile costruttivo, in assenza di una partecipazione davvero rappresentativa delle parti sociali, ma anche per la mancanza di legittimità e di ufficialità da parte di certe organizzazioni che si propongono come rappresentanti della società civile (3). L'interazione tra governi e società civile sta gradualmente migliorando, ma non ha ancora raggiunto un livello tale da produrre risultati concreti e sinergie.

2.5

La debolezza delle istituzioni democratiche, l'ambiente politico e i problemi di sicurezza nei paesi della regione non hanno consentito finora di intessere un dialogo sociale strutturato con parti sociali indipendenti e rappresentative. Tale dialogo deve sorgere dal confronto all'interno delle società per poi essere sostenuto dall'UE, data la sua ricca esperienza e competenza in materia.

2.6

Il presente parere viene elaborato sulla scia dell'accordo del vertice di Zagabria (novembre 2000), dell'agenda di Salonicco (giugno 2003) e di tutte le altre iniziative assunte nella regione dalle istituzioni dell'UE con un chiaro orientamento su temi economici, politici, sociali e culturali.

2.7

La situazione oggi prevalente nelle organizzazioni della società civile non ha subito mutamenti sensibili rispetto a quella descritta dal precedente parere del CESE sul tema Il ruolo della società civile nel quadro della nuova strategia per i Balcani occidentali  (4). I suoi aspetti principali si possono sintetizzare come segue:

un impegno costante e intenso da parte delle organizzazioni sindacali per rivestire il nuovo ruolo che spetta loro nell'ambito di economie e società liberamente strutturate, con un settore privato al servizio di uno sviluppo moderno,

una serie di sforzi volti ad affrancare le organizzazioni imprenditoriali dal giogo statale. Tale giogo, che in passato dipendeva dal carattere pubblico delle proprietà, nel nuovo contesto deriva dallo speciale ruolo svolto dallo Stato dopo il crollo dei vecchi regimi nella creazione di nuove imprese e nella formazione di nuovi imprenditori, attività — queste — generosamente finanziate dai donatori internazionali,

una molteplicità di azioni, anche se in certi casi prive di efficacia, le quali necessitano di una cooperazione più coordinata.

2.8

Più in generale, il quadro sociale nella regione resta problematico. Nonostante i progressi realizzati, non si può ancora parlare di consolidamento delle istituzioni e delle strutture sociali e politiche. La guerra ha innescato conflitti estremamente gravi e a tutt'oggi irrisolti. Di conseguenza, gli sforzi esercitati dalle organizzazioni internazionali ed europee non hanno sortito i risultati previsti, il che si deve in parte all'assenza di un modello unitario di dialogo sociale e di dialogo tra le organizzazioni della società civile tale da attribuire ai singoli gruppi e organismi della società civile un ruolo distinto e preciso in materia di diritti, competenze e obblighi.

3.   Le organizzazioni della società civile: uno sguardo d'insieme

3.1   Parti sociali

Con la conclusione di accordi di libero scambio nei Balcani occidentali, si rende ormai necessario istituzionalizzare la rappresentanza delle parti sociali nella regione creando al tempo stesso strutture rappresentative non frammentate a livello nazionale.

I programmi europei per la creazione di infrastrutture (5) sono essenziali in particolare per le organizzazioni sindacali e imprenditoriali operanti nella regione. Occorre ricorrere alle migliori pratiche in materia di cooperazione interregionale, giacché, man mano che ci si avvicina all'entrata in vigore dell'accordo unico di libero scambio nel 2006, le parti sociali saranno destinate ad affrontare le problematiche regionali mediante la cooperazione.

Coinvolgere il settore pubblico nei paesi in questione è spesso un compito arduo, e occorre inoltre assicurare e promuovere il dialogo pubblico-privato.

3.2   Altre organizzazioni

Le organizzazioni già esistenti nei paesi della regione possono suddividersi in quattro categorie: a) organizzazioni nate per contrastare i precedenti regimi, b) ONG funzionanti unicamente grazie a donazioni e create per attuare i programmi internazionali di aiuti allo sviluppo, c) organizzazioni estremamente specializzate che di solito si occupano delle categorie più vulnerabili, d) organizzazioni agricole.

La sostenibilità di queste organizzazioni e l'indipendenza dei loro donatori sono le principali questioni da affrontare nell'immediato futuro. Le ONG del primo tipo, che nella maggior parte dei casi esistono da più tempo e partecipano direttamente al dibattito politico, hanno ottenuto nel frattempo un ampio riconoscimento, ma devono far fronte a gravi problemi di sopravvivenza economica. Le organizzazioni del secondo tipo sono molto meno note ed estremamente numerose, e sembrano essere state create per ottemperare ai desiderata provenienti dalla comunità dei donatori. È certo che, in assenza di questi ultimi, la maggioranza di esse scomparirebbe.

La creazione di infrastrutture e lo sviluppo della cooperazione sia tra le organizzazioni della società civile sia al livello regionale sono questioni che vanno senz'altro affrontate, ma ciò che più conta è gestire la transizione tra la riduzione dei fondi internazionali e l'emergere in futuro di fonti di finanziamento autoctone. Il rischio reale è che venga a perdersi gran parte del capitale sociale accumulato grazie all'attività della società civile e che vi sia una recrudescenza della violenza.

4.   I problemi strutturali della regione e la loro incidenza sullo sviluppo della società civile organizzata

4.1   Corruzione

La corruzione, il maggior problema strutturale della regione, è il prodotto dell'inefficienza dell'amministrazione pubblica, della mancanza di un quadro istituzionale e legislativo serio ed efficace, dell'assenza di una magistratura indipendente, delle cattive condizioni economiche, della povertà e dell'assenza di interventi sostanziali da parte della società civile organizzata.

4.2   Violazione dei diritti umani, individuali e sociali

Al momento, malgrado i tentativi delle organizzazioni internazionali che non sempre sono coronati da successo, continuano sistematicamente a registrarsi casi di violazione dei diritti individuali da parte delle autorità. Il principale problema è però che il potere giudiziario non sembra prendere coscienza del proprio ruolo e adempiere a esso.

Il fatto che questi paesi si siano integrati da subito nel quadro istituzionale del Consiglio d'Europa rappresenta uno sviluppo positivo. In molti casi, tuttavia, si rileva una mancanza di volontà politica finalizzata all'attuazione concreta di questo quadro. Peraltro, l'inserimento delle controversie legate alle minoranze o alle religioni nell'ambito dei negoziati sociali rende particolarmente complesso il cammino verso un clima più generale di ravvicinamento e di conciliazione.

4.3   Gestione inefficace — Amministrazione pubblica

L'instabilità politica e sociale, derivante a sua volta dagli acuti conflitti politici interni, è la principale causa di un malgoverno che si manifesta attraverso gravi disfunzioni della pubblica amministrazione, le quali alimentano a loro volta soprusi e corruzione. Gli sforzi della comunità internazionale e dell'Europa per modernizzare le amministrazioni pubbliche della regione non hanno prodotto finora risultati di rilievo.

4.4   Assenza di dialogo con la società civile

Il dialogo sociale (6) con le organizzazioni della società civile presuppone non solo un quadro giuridico, il rispetto reciproco tra le parti e lo sforzo di comprendere e di attenuare le divergenze, ma soprattutto una cultura volta alla risoluzione di ogni conflitto. Nella regione dei Balcani occidentali non vi è mai stato un autentico dialogo a causa dei regimi totalitari e delle pseudo-organizzazioni che da essi erano strettamente controllate. Indubbiamente ci vorrà del tempo per creare un dialogo sociale che presenti la qualità e lo spessore necessari.

4.5   Necessità di organizzazioni certificate rappresentative della società civile

Il gran numero di organizzazioni della società civile solleva una serie di legittimi interrogativi sulla reale situazione sociale nella regione. Molte di queste organizzazioni sono state istituite su richiesta o incitamento di organizzazioni internazionali che le finanziano e spesso forniscono la protezione sociale e l'assistenza che dovrebbe provenire dal governo. Altre ancora sono state create su iniziativa di organizzazioni internazionali della società civile e di altre ONG che provvedono anche a influenzarne direttamente le attività. Altre, infine, sono sorte da iniziative locali che celano interessi di partito, etnici, di minoranze o religiosi.

5.   Osservazioni del CESE sulla situazione sociale, politica ed economica dei Balcani occidentali e sulla relativa strategia europea

5.1

L'UE ha perso gran parte della propria credibilità a livello sia internazionale che regionale in occasione della crisi iugoslava e durante il conflitto nell'ex Iugoslavia, perché non ha saputo mettere a punto interventi politici efficaci.

5.2

Nel quadro del processo di stabilizzazione e di associazione, l'Unione europea dovrà definire una strategia politica più chiara e riaffermare la propria presenza nei Balcani occidentali. Dovrà inoltre intensificare il proprio impegno al fine di migliorare la qualità dei propri interventi e la propria immagine nella regione.

5.3

È da notare che in diverse regioni dei Balcani occidentali, in particolare il Kosovo (7), i conflitti etnici hanno impedito il consolidarsi del senso di sicurezza e della pace, e inoltre che l'unione tra Serbia e Montenegro non risponde alle attese legate alla creazione di una federazione democratica di Stati (8).

5.4

Va poi osservato che la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo sono formazioni (costruzioni) statali imposte dagli organismi internazionali, per cui non è certo che si mantengano nel tempo. Di conseguenza, è necessario risolvere sin d'ora i problemi politici di questi paesi con strumenti concreti tali da garantire la prosperità economica, la protezione dei diritti delle minoranze e delle comunità religiose, come pure il rafforzamento delle strutture democratiche, sotto l'egida delle organizzazioni internazionali. L'avvio nel 2005 di negoziati multilaterali sul futuro del Kosovo, nel quadro dell'ONU, rappresenta l'unica speranza di dare soluzione a questo scottante problema.

5.5

Il CESE ritiene che l'UE debba rafforzare la sua presenza nella regione attraverso politiche di informazione e di comunicazione vigorose e pratiche, e che debba chiarire non solo la sua politica nella regione, ma anche il costo dell'adesione all'UE per questi paesi (9).

5.5.1

I criteri di Copenaghen sono ritenuti fondamentali e non negoziabili anche per i paesi dei Balcani occidentali desiderosi di aderire all'UE. Il CESE osserva tuttavia che, per fare avanzare tale processo in maniera sostanziale e garantire il rispetto di tali criteri, l'UE dovrà intervenire con i propri meccanismi nelle strutture istituzionali dei paesi in questione e nella messa in atto dell'acquis comunitario.

5.6

Da quanto precede, il percorso più adeguato per la messa a punto di una strategia europea integrata deve prevedere il coinvolgimento della società civile e delle sue organizzazioni. Più in concreto, la società civile organizzata rappresenta un'occasione unica per assicurare il corretto svolgimento del lungo processo di transizione e garantire che i programmi di cooperazione e di intervento risultino veramente efficaci per i beneficiari finali.

5.7

Basandosi sulle informazioni di cui dispone e sulle conoscenze da esso acquisite riguardo alla regione, in particolare a seguito della creazione del gruppo di contatto Balcani occidentali, il CESE formula le constatazioni e osservazioni seguenti.

5.7.1

I conflitti razziali ed etnici possono in qualsiasi momento innescare violente ostilità nei Balcani occidentali: nella regione serpeggia infatti una tensione nascosta e latente che può esplodere bruscamente.

5.7.2

La società civile (10) ha iniziato cautamente a svolgere il ruolo che le è proprio, ma di solito si appoggia a finanziamenti stranieri e in certi casi è priva non solo delle necessarie competenze, ma anche di credibilità.

5.7.3

L'accettazione della Carta dei diritti fondamentali dell'UE costituisce una condizione essenziale cui devono ottemperare tutti i paesi della regione desiderosi di aderire all'UE.

5.7.4

I paesi dei Balcani occidentali hanno bisogno di un sostegno costante, diretto e sostanziale, in termini sia economici che di competenze, per poter consolidare le loro nuove istituzioni e acquisire la necessaria sensibilità democratica. Tale assistenza dovrà essere maggiormente coordinata e, per quanto concerne l'intervento dell'UE, sarà necessaria una più stretta cooperazione tra l'Agenzia europea per la ricostruzione (AER) e le delegazioni dell'UE nella regione.

5.7.5

Per la normalizzazione della vita economica e sociale dei paesi della regione, è indispensabile, da un lato, rafforzare il dialogo plurivoco e multilaterale e, dall'altro, creare un quadro giuridico democratico da porre in essere ai fini del funzionamento della società civile.

Per quanto riguarda in particolare il rafforzamento del dialogo sociale, è necessario:

a)

riconoscere il ruolo delle parti sociali;

b)

riconoscere l'importanza dell'autonomia delle parti sociali;

c)

rispettare il diritto delle organizzazioni rappresentative ad essere bene informate, ad essere consultate e ad esprimersi su tutte le questioni economiche e sociali.

5.7.6

Occorre inoltre debellare la corruzione adottando norme severe ma quanto più possibile semplici, da applicare in modo rigoroso servendosi delle nuove tecnologie.

5.7.7

Infine, è necessario finanziare le organizzazioni della società civile: i problemi relativi al finanziamento costituiscono infatti il principale ostacolo al loro sviluppo e, in particolare, allo sviluppo del dialogo.

5.7.8

Il potere giudiziario deve assurgere a sostegno della società. Anche per questo occorre sostenerlo e rafforzarlo in particolar modo affinché adempia al suo ruolo istituzionale, in base ai modelli europei.

5.7.9

La cooperazione economica tra gli Stati della regione rappresenta la chiave di un processo di transizione globale e integrato in direzione dell'acquis comunitario. Tale cooperazione, inoltre, contribuirà notevolmente a ridurre le tensioni e a creare ulteriori opportunità di sviluppo e benessere.

5.7.10

Il dialogo interculturale, interreligioso e interetnico favorirà la creazione di vie di ravvicinamento e di comunicazione tra i paesi dei Balcani occidentali. In questo ambito, ai leader religiosi della regione spetta un ruolo cruciale nell'appianare le tensioni e appoggiare gli sforzi volti al rafforzamento del dialogo.

5.7.11

Il CESE ritiene che lo sviluppo economico della regione sia legato al sostegno degli investimenti diretti esteri e alle necessarie privatizzazioni, le quali provocheranno il trasferimento di capitali e know-how, contribuiranno a restringere il settore pubblico e daranno vita a sostanziali sviluppi positivi per tutti i rimanenti problemi economici e sociali. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che, oltre al quadro istituzionale, anche il settore bancario funzioni in modo credibile e rispettando le norme riconosciute e sancite a livello internazionale, al fine di debellare la corruzione in ogni sua forma (riciclaggio di denaro sporco, contrabbando, ecc.).

La Banca centrale europea e la BERS sono chiamate a svolgere un particolare ruolo di coordinamento nella regione.

5.7.12

Gli organismi internazionali (FMI, Banca mondiale, OIL, ONU, ecc.) devono intensificare la cooperazione con le organizzazioni rappresentative della società civile per rafforzare il loro ruolo all'interno delle varie società nell'area dei Balcani occidentali.

5.7.13

Il CESE constata che il coordinamento tra i diversi organismi dell'UE nella regione è progressivamente migliorato. L'Agenzia europea per la ricostruzione (AER) gestisce programmi di centinaia di milioni di euro, alcuni dei quali presuppongono o promuovono lo sviluppo delle risorse umane e in particolare la formazione della forza lavoro. È anche importante far cenno all'operato della Fondazione europea per la formazione professionale (ETF) e del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop) che, grazie non solo all'eccellente collaborazione in atto con l'ETF ma anche alla sua vicinanza geografica, potrebbe mettere le sue notevoli esperienze e competenze al servizio dei paesi della regione. Al di là degli organi dell'UE bisognerà anche sottolineare il ruolo del Patto di stabilità, anche se il suo futuro permane incerto, il che potrebbe indebolire la sua influenza nella regione.

6.   Proposte e raccomandazioni del CESE

6.1

Il ruolo e le responsabilità del CESE

Per avvicinare l'odierna realtà economica, sociale e culturale dei Balcani occidentali al corrispondente acquis comunitario, nei termini della società civile, occorre riconsiderare l'intero processo. Sarà anzitutto necessario valorizzare l'esperienza acquisita in occasione del grande ampliamento dell'Unione attraverso i comitati consultivi misti (CCM) ed associare maggiormente la società civile organizzata europea a tutte le fasi di elaborazione e sviluppo delle relative politiche. Inoltre, nell'ambito delle consultazioni politiche tra l'UE e i governi balcanici, bisognerà coinvolgere in modo più sistematico e chiaramente istituzionale la società civile organizzata di ambo le parti. Serviranno infine azioni integrate per le singole regioni e i singoli obiettivi.

6.1.1

Date le valide risorse umane di cui dispone e le importanti competenze (11) acquisite nel quadro dei comitati consultivi misti (CCM) in occasione dei negoziati di adesione all'UE dei dieci nuovi Stati membri, ma anche dei CCM istituiti con Bulgaria, Romania e Turchia, che sono ancora attivi, il CESE ritiene di essere particolarmente adatto a svolgere un ruolo più attivo nell'elaborazione delle suddette politiche, in coordinamento e in cooperazione con il Comitato delle regioni nonché partecipando all'organizzazione di iniziative comuni nella regione.

6.1.2

In particolare, a seguito della creazione del gruppo di contatto Balcani occidentali e grazie alle missioni effettuate dai membri del gruppo nella regione, il CESE è venuto in possesso di valide informazioni e ha instaurato contatti utili per realizzare gli obiettivi dell'agenda di Salonicco per quanto riguarda le principali questioni economiche, sociali e culturali che richiedono un'integrazione più attiva e celere delle istituzioni e delle posizioni europee nei paesi dei Balcani occidentali.

6.1.3

A tale scopo, il CESE reputa importante l'iniziativa di creare nella propria sede, nel 2006, un forum delle organizzazioni della società civile dei Balcani occidentali, poiché tale iniziativa consentirà di mettere in diretto contatto tutte le organizzazioni importanti della società civile della regione con il CESE ma anche, più in generale, con le istituzioni europee. Chiede quindi alla Commissione di sostenere tale iniziativa con tutti i mezzi di cui dispone, come pure le altre sue iniziative volte a rafforzare le organizzazioni rappresentative della società civile a livello nazionale e regionale, e a tenere debito conto dei risultati prodotti da tale forum.

6.1.3.1

Il CESE è disposto a esercitare i suoi buoni uffici, qualora venga invitato a farlo, per mettere le organizzazioni balcaniche della società civile in contatto con le loro omologhe al livello comunitario, allo scopo di favorire il trasferimento delle competenze e rendere più fruttuosa la loro attività nei paesi dei Balcani occidentali.

6.1.3.2

Allo stesso tempo, guarda con particolare interesse alle organizzazioni della società civile con problemi di finanziamento e incapaci di far fronte ai costi di gestione con risorse proprie. Esorta quindi a rafforzarle nel quadro dell'attuazione del Patto di stabilità.

6.1.3.3

Altrettanto interesse il CESE mostra per i problemi del mondo agricolo dei paesi dei Balcani occidentali. Invita pertanto la Commissione a soffermarsi su tali problemi con particolare attenzione e a fornire l'opportuno know-how e le competenze necessarie per la modernizzazione del settore primario.

6.1.3.4

Il CESE ritiene che la promozione delle riforme economiche e lo sviluppo economico della regione siano due fattori fondamentali per la risoluzione dei problemi strutturali. Il sostegno alle PMI (12) e alle imprese agricole da parte dei loro organismi di rappresentanza costituisce la premessa di fondo per la prosperità economica della regione: a tal fine può essere utile ricorrere alle migliori pratiche già applicate negli Stati membri dell'UE. Il CESE dispone delle competenze e del potenziale umano necessario per appoggiare tali sforzi.

6.1.3.5

In tal senso, e in cooperazione con la Commissione europea, il CESE potrebbe partecipare a riunioni informative nazionali e locali con la società civile.

6.1.3.6

Il CESE potrebbe contribuire alla diffusione di informazioni riguardo alle attività di quegli organismi internazionali nella regione che hanno legami con le organizzazioni della società civile. Inoltre, nel quadro della dichiarazione comune sottoscritta dal Segretario generale dell'OIL e dalla Presidente del CESE, il Comitato potrebbe definire, di concerto con l'OIL, azioni volte in particolare al rafforzamento del dialogo sociale nella regione.

6.1.3.7

L'UE e il CESE devono progettare, lanciare e sostenere analisi e studi a carattere sistematico sulla situazione sociale nei Balcani occidentali e sui progressi della società civile, concentrandosi soprattutto sul rapporto tra sforzi e investimenti, da un lato, e risultati, dall'altro. A tale scopo si può ricorrere ad appositi «indicatori di rendimento» (da creare ex novo qualora non esistano) per gli investimenti sia pesanti (hard) che leggeri (soft), sì da individuare le eventuali debolezze e lacune nelle politiche e azioni adottate finora dall'UE e apportare gli opportuni miglioramenti o cambiamenti (ad esempio, la classificazione delle diverse organizzazioni della società civile in base a caratteristiche fondamentali quali i motivi o le cause della loro creazione, gli obiettivi, lo statuto, la copertura geografica, le modalità di funzionamento e di controllo, le fonti e l'entità dei finanziamenti, ecc.).

6.2

Il CESE è disposto a creare dei comitati consultivi misti con tutti gli Stati della regione non appena la situazione lo consentirà.

6.3

Sulla base delle proprie esperienze e delle conoscenze acquisite grazie ai contatti con le organizzazioni della società civile nei paesi dei Balcani occidentali, il CESE sostiene e raccomanda, caso per caso, le azioni che seguono.

6.3.1   Raccomandazioni rivolte alle forze politiche nazionali e regionali dei paesi dei Balcani occidentali

6.3.1.1

Il CESE raccomanda ai paesi dei Balcani occidentali di procedere con maggior lena per adeguarsi all'acquis comunitario, specie per quanto riguarda la protezione dei diritti individuali, sociali e collettivi, attraverso piani provvisori di sviluppo nazionale simili a quello predisposto dalla Turchia, al fine di prepararsi ad assorbire i futuri aiuti comunitari.

6.3.1.2

Il CESE esorta i governi a intensificare gli sforzi di democratizzazione e di rafforzamento della coesione sociale, rafforzando il dialogo con le organizzazioni della società civile.

6.3.1.3

Il CESE invita tutte le parti interessate a dar prova di particolare rispetto per le minoranze nazionali e religiose, tutelandone i diritti individuali, religiosi e politici e proteggendone i monumenti religiosi e culturali.

6.3.1.4

Il CESE si compiace per i progressi effettuati nel completamento delle procedure relative agli accordi di stabilizzazione e di associazione in tutti i paesi interessati.

6.3.2   Raccomandazioni rivolte agli organi politici dell'Unione europea

6.3.2.1

Il CESE ritiene che, data l'assenza di competenze adeguate e di un impianto legislativo, i problemi della regione legati alla parità fra i sessi, alla protezione dell'ambiente, alla tutela dei consumatori e delle minoranze siano particolarmente gravi. Di conseguenza, invita la Commissione ad aiutare i paesi dei Balcani occidentali a procedere più speditamente con i necessari interventi di ammodernamento.

6.3.2.2

Il CESE invita la Commissione ad avviare le procedure per un ulteriore rafforzamento dei legami tra l'UE e gli Stati della regione e, a seguito dei vari accordi di stabilizzazione e associazione sottoscritti con l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia e la Croazia, a intensificare gli sforzi per il completamento delle procedure anche con gli altri Stati della regione, e a mostrare una più forte volontà politica e un maggiore coordinamento nel promuovere tutti i temi dell'agenda di Salonicco (13).

6.3.2.3

Per quanto riguarda più in particolare l'Agenda di Salonicco, il CESE nota che, pur trattandosi di un testo importante in materia di cooperazione, esso necessita di aggiornamenti costanti.

6.3.2.4

Il CESE ritiene che l'istruzione sia l'ambito più importante tra quelli in cui l'UE può fornire assistenza alle società dei Balcani occidentali. Una migliore istruzione e la riduzione dell'analfabetismo sono in grado di attenuare in misura considerevole le cospicue differenze esistenti tra le etnie, i gruppi religiosi o le minoranze e, unitamente alla prosperità economica e al rafforzamento delle istituzioni democratiche, possono traghettare i popoli dei Balcani occidentali verso migliori livelli di governance. La Commissione può svolgere un ruolo di spicco nel settore dell'istruzione e della cultura, in particolare attraverso lo sviluppo di programmi volti a sostenere lo scambio di personale scientifico e la formazione di nuovi scienziati.

6.3.2.5

In questo contesto, particolare attenzione va rivolta al vuoto geopolitico, economico e sociale che tende a crearsi nella prospettiva dell'UE, data l'assenza dei paesi dei Balcani occidentali dalle sue strutture.

6.3.2.6

Di conseguenza, il CESE raccomanda di integrare appieno i Balcani occidentali nella strategia di sviluppo dell'UE attraverso il rafforzamento del processo di stabilizzazione e associazione e l'eventuale adozione di ulteriori misure, viste le particolari difficoltà presenti nella regione.

6.3.2.7

Raccomanda altresì un migliore coordinamento tra gli organi politici dell'Unione, ma anche tra i suoi organi consultivi (CESE e Comitato delle regioni), al fine di creare le condizioni per mettere a punto in maniera più efficace il programma in questione.

6.3.2.8

Il CESE ritiene che la decisione definitiva sulla questione dell'assetto statale del Kosovo sia di importanza vitale per la sicurezza, la pace e la stabilità nella regione, e invita quindi il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo, nel quadro delle rispettive competenze, a sostenere gli sforzi dell'ONU e dell'inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite.

6.3.2.9

L'UE dovrebbe concedere visti di ingresso speciali ai rappresentanti della società civile organizzata e ai rappresentanti di organizzazioni rappresentative, mostrando, più in generale, una certa flessibilità in materia (14).

6.3.2.10

L'UE deve inoltre procedere a una valutazione delle organizzazioni delle parti sociali per quanto concerne il loro statuto, obiettivi, assetto e modalità di funzionamento, campo di attività (settore pubblico o privato), grado di rappresentatività (rispetto all'insieme delle imprese e dei lavoratori o su base settoriale), ecc., al fine di avere organizzazioni credibili con cui collaborare. Procedere a tali analisi potrebbe essere ancora più semplice se l'UE raccogliesse e divulgasse i dati necessari a tal fine (cioè in uno spirito di trasparenza), come premessa essenziale alla concessione di ogni tipo di sostegno comunitario ai soggetti pubblici e privati e alle organizzazioni rappresentative della società civile.

Questa operazione può essere svolta internamente, da parte cioè degli organi istituzionali dell'UE (Commissione, CESE, ecc.) o, qualora lo si giudichi necessario, dando un incarico pieno o parziale a un soggetto esterno.

6.3.3   Raccomandazioni rivolte agli Stati membri dell'UE confinanti con i Balcani occidentali e alle organizzazioni europee della società civile

6.3.3.1

Il CESE raccomanda agli Stati membri dell'UE (ad esempio, l'Italia, l'Ungheria, la Slovenia e la Grecia) di intraprendere azioni mirate al rafforzamento della società civile nei paesi della regione, in particolare in materia di strategia, di valorizzazione delle risorse umane, di amministrazione e di allineamento degli impianti istituzionali e legislativi agli standard europei.

6.3.3.2

Allo stesso tempo, il CESE raccomanda di sensibilizzare e mobilitare maggiormente le organizzazioni europee delle parti sociali, ma anche quelle della società civile organizzata in senso più lato, sì da promuovere l'integrazione delle organizzazioni omologhe dei Balcani occidentali nelle strutture e procedure europee pertinenti.

6.3.3.3

Si osserva che tanto le azioni degli Stati membri che circondano i Balcani occidentali, quanto quelle corrispondenti delle organizzazioni europee della società civile dovranno integrarsi nel citato programma di sviluppo economico, sociale e politico a medio-lungo termine.

6.4   Il finanziamento

6.4.1

L'UE dispone di una serie di strumenti finanziari finalizzati a rafforzare la società civile nei Balcani occidentali. Oltre a ciò, altri organismi internazionali o altri paesi forniscono aiuti allo sviluppo a diverse organizzazioni della società civile ubicate nella regione. Per quanto in generale tali aiuti siano da giudicare positivamente, non mancano rischi legati per lo più al modo in cui essi vengono distribuiti. I problemi più gravi riscontrati nei paesi dei Balcani occidentali durante l'iter di realizzazione di opere internazionali di aiuto allo sviluppo sono descritti ai punti che seguono.

6.4.1.1

L'aiuto internazionale ai Balcani occidentali può essere relativamente ingente in termini economici, ma il più delle volte esso è inteso a promuovere le priorità ravvisate dai donatori, senza tenere conto delle effettive necessità locali. Nella maggioranza dei casi, gli aiuti internazionali allo sviluppo (per quanto riguarda la società civile) ignorano le esigenze delle categorie interessate a livello locale e interpretano gli sforzi di riforma istituzionale come iniziative isolate prive di collegamento con le strutture di potere e di organizzazione sociale già esistenti o con gli interessi e le tradizioni dei paesi beneficiari. In molti casi, l'intero lavoro nei paesi beneficiari viene affidato alle ONG, le quali dipendono in tutto e per tutto dai programmi di aiuto internazionale e presentano proposte operative rispondenti sì alle priorità dei donatori, ma non alle esigenze dei beneficiari dell'aiuto.

6.4.1.2

L'efficacia dei programmi internazionali di aiuto allo sviluppo nei Balcani occidentali risulta considerevolmente ridotta dalla mancanza di coordinamento tra i vari donatori e dalla estrema brevità dei periodi di sostegno dei programmi che spesso finanziano opere isolate. Molte opere che avevano iniziato a produrre risultati concreti sono state abbandonate in quanto i donatori hanno modificato da un giorno all'altro le loro priorità di finanziamento, avendo previsto tempi di realizzazione molto più brevi di quelli effettivamente necessari nei paesi dei Balcani occidentali. I servizi finanziari dell'UE e degli altri organismi internazionali devono comprendere che mutare bruscamente le priorità di finanziamento non è una mossa efficace. I programmi di formazione e di rafforzamento delle capacità rientrano di regola in questa categoria. Anche il sostegno accordato agli attori istituzionali è frammentario e in genere si esplica attraverso congressi o piccoli seminari, e non attraverso una reale assistenza tecnica.

6.4.1.3

Numerose ONG si occupano di attività sociali per potersi garantire delle entrate, il che ha ridotto sensibilmente la loro capacità di creare saldi legami con la società e ottemperare ai loro obiettivi statutari. Un gran numero di ONG scambiano la loro funzione per quella di gestori di programmi di assistenza tecnica e operano con criteri economici tipici del settore privato per ottenere maggiori finanziamenti.

6.4.2

Vista la necessità di far fronte a tali problemi per fornire un aiuto più concreto alla società civile organizzata, il CESE formula le seguenti proposte riguardo al finanziamento delle opere di aiuto allo sviluppo.

6.4.2.1

I programmi di aiuto allo sviluppo dell'UE, quelli già in corso ma anche quelli in fase di elaborazione per il periodo 2007-2013, devono puntare per lo più ai settori della governance democratica, dell'amministrazione finanziaria e della gestione ambientale.

6.4.2.2

I governi dei paesi dei Balcani occidentali devono mettere a punto, di concerto con l'UE, programmi operativi chiari volti a rafforzare la società civile, i quali devono formare oggetto di discussione con l'UE. Il CESE propone quindi di istituire una comunicazione regolare tra la Commissione, il CESE e i governi locali per la definizione di tali programmi.

6.4.2.3

Serve in particolare un solido meccanismo per monitorare l'efficacia dei programmi di aiuto allo sviluppo nel settore della società civile. Il CESE potrebbe svolgere un ruolo importante nella messa a punto di tale meccanismo.

6.4.2.4

È inoltre necessario adattare il piano dei programmi di aiuto allo sviluppo alle necessità reali della società civile. L'aiuto allo sviluppo mirato a creare nuove istituzioni della società civile può valersi di un ampio sostegno tecnico da parte del CESE.

6.4.2.5

Una volta conclusosi il forum sui Balcani occidentali in fase di allestimento da parte del CESE, si potrebbe creare un gruppo tecnico di lavoro su base permanente tra il gruppo di contatto del CESE e i rappresentanti della società civile dei Balcani occidentali. Tale gruppo coadiuverebbe le organizzazioni della società civile nell'elaborazione di un'agenda strategica e operativa, e agevolerebbe i trasferimenti di buone pratiche e know-how tra i membri dell'UE e i paesi dei Balcani occidentali al fine di rafforzare la società civile.

6.4.2.6

Nelle prospettive finanziarie dell'UE per il periodo 2007-2013, l'obiettivo della cooperazione territoriale deve anche contemplare gli strumenti finanziari da stanziare come aiuto ai paesi terzi. I meccanismi finanziari per i paesi terzi vanno semplificati senza ovviamente sacrificare la trasparenza esistente, e sostenuti nell'ambito dei programmi di vicinato. È necessario valorizzare e moltiplicare l'esperienza accumulata con programmi come il Cadses.

6.4.2.7

Al momento di elaborare i programmi di aiuto allo sviluppo destinati alla società civile, l'UE dovrà tenere conto anche di quelli promossi da altri organismi internazionali. La cooperazione con i programmi e i servizi specializzati dell'ONU va approfondita ed estesa al livello operativo.

Bruxelles, 17 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Nel presente documento, conformemente ai precedenti pareri del CESE, per «società civile» si intendono: (1) le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori; (2) le organizzazioni che rappresentano altri interessi economici e sociali; (3) le organizzazioni non governative (ONG); (4) le organizzazioni di base; (5) le unioni confessionali.

(2)  Parere CESE sul tema Per una maggiore partecipazione della società civile organizzata nell'Europa sudorientale - Esperienze passate e sfide future, relatore: WILKINSON (GU C 208 del 3.9.2003, pag. 82).

(3)  Parere CESE sul tema Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea (GU C 329 dell'11.11.1999) e parere CESE sul tema La società civile organizzata ed il sistema di governo europeo (governance) - Contributo del Comitato all'elaborazione del Libro bianco (GU C 193 del 10.7.2001).

(4)  Parere CESE sul tema Il ruolo della società civile nel quadro della nuova strategia per i Balcani occidentali, relatore: CONFALONIERI (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 158) e parere CESE sul tema Per una maggiore partecipazione della società civile organizzata nell'Europa sudorientale - Esperienze passate e sfide future, relatore: WILKINSON (GU C 208 del 3.9.2003, pag. 82).

(5)  CARDS (Assistenza comunitaria per la ricostruzione, lo sviluppo e la stabilizzazione), regolamento (CE) del Consiglio n. 2666/2000 del 5.12.2000.

(6)  Convegno della DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità sul rafforzamento del dialogo sociale nei Balcani occidentali (Skopje, 6-7.10.2005).

(7)  Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dell'integrazione regionale nei Balcani occidentali (P6_TA(2005)0131).

(8)  Presidenza austriaca dell'UE 2006 - Ministro federale degli Affari esteri - 23.11.2005 - Politica estera europea.

(9)  Parere CESE sul tema Il ruolo della società civile nel quadro della nuova strategia per i Balcani occidentali, relatore: CONFALONIERI (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 158).

(10)  Risoluzione del Parlamento europeo P6_TA(2005)0131.

(11)  Finora, il CESE ha elaborato i seguenti documenti sui Balcani occidentali: (1) Relazione informativa del 9.9.1998 in merito alle Relazioni tra l'Unione europea e alcuni paesi dell'Europa sudorientale, adottata il 23.7.1998, relatore: SKLAVOUNOS (CES 1025/98 fin); (2) Parere di iniziativa del 25.4.2001 sul tema Lo sviluppo delle risorse umane nei Balcani occidentali, relatore: SKLAVOUNOS (GU C 193 del 10.7.2001, pag. 99); (3) Piano d'azione volto a promuovere la cultura e la pratica del dialogo sociale e la partecipazione della società civile e delle sue reti nella regione dell'Europa sudorientale, in cooperazione con la Fondazione europea per la formazione (FEF) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL); (4) Parere CESE sul tema Per una maggiore partecipazione della società civile organizzata nell'Europa sudorientale - Esperienze passate e sfide future, relatore: WILKINSON (GU C 208 del 3.9.2003, pag. 82); (5) Parere CESE sul tema Il ruolo della società civile nel quadro della nuova strategia per i Balcani occidentali, relatore: CONFALONIERI (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 158); (6) Parere CESE sul tema Europa ampliata - Prossimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali, relatrice: ALLEWELDT (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 148).

(12)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - I Balcani occidentali e l'integrazione europea (COM(2003) 285 def. del 21.5.2003).

(13)  The Thessaloniki Agenda for the Western Balkans: Extracts from Successive General Affairs and External Relations Council (Agenda di Salonicco per i Balcani occidentali: estratti da successivi consigli Affari generali e Relazioni esterne), 16.6.2003.

(14)  Risoluzione del Parlamento europeo P6_TA(2005)0131.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversità — la posizione e il contributo della società civile

(2006/C 195/24)

La presidenza austriaca del Consiglio dell'Unione europea, con lettera del 13 settembre 2005, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di adottare un parere esplorativo sul tema: Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversità — la posizione e il contributo della società civile

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

1.1

La biodiversità costituisce nel contempo la base e la garanzia della vita sul nostro pianeta. Anche solo nel proprio interesse economico, l'uomo dovrebbe sforzarsi di preservare la stabilità degli ecosistemi. Inoltre, la nostra responsabilità davanti al creato ci impone di preservare la diversità delle specie. La lotta per la biodiversità non è un «lusso» che ci si possa permettere o cui si possa rinunciare.

1.2

L'uomo stesso è il primo beneficiario della biodiversità, pur essendo anche la causa principale del suo deterioramento.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che in Europa la biodiversità sia minacciata in modo gravissimo. Le misure finora adottate al riguardo dall'UE non sono ancora sufficienti ad arrestare la tendenza negativa registrata in questi ultimi anni.

1.4

Il CESE si compiace che non solo tutte le istituzioni europee, ma anche tutti gli Stati membri, in quanto parti della convenzione sulla biodiversità, si siano impegnati non solo ad arrestare tale tendenza, ma addirittura ad invertirla.

1.5

Il CESE, tuttavia, si rammarica del divario esistente tra le dichiarazioni d'intenti e la realtà. Finora, infatti, le autorità pubbliche non hanno contribuito come ci si sarebbe potuto aspettare alla tutela della biodiversità. Benché in materia i pubblici poteri debbano svolgere una funzione esemplare, in realtà la loro pianificazione e i loro programmi spesso contribuiscono a mettere a repentaglio la biodiversità. A ciò si aggiunga il fatto che, nel periodo finanziario 2007-2013, proprio in quelle politiche comunitarie che assumono un particolare rilievo per la conservazione della biodiversità si imporranno delle economie di bilancio.

1.6

Il deterioramento della biodiversità è un fenomeno insidioso, che si protrae ormai da molti anni. Dato che sempre meno persone sono a diretto contatto con l'ambiente naturale, quelle che si sentono direttamente coinvolte da questo fenomeno sono ben poche, e, di conseguenza, la pressione politica esercitata per contrastarlo è piuttosto debole. I responsabili politici non devono accontentarsi di questa situazione, ma, invece, elaborare delle strategie intese a combatterla.

1.7

Se si vuole che la società civile sia meglio informata sul contesto e sulle ragioni della tutela della biodiversità, si devono adottare misure di educazione e formazione rivolte al personale delle pubbliche amministrazioni locali, regionali e nazionali: molti fra i loro membri, infatti, non hanno una cognizione esatta del fenomeno e spesso non sono motivati a contrastarlo.

1.8

Il CESE ritiene che una campagna per la conservazione della biodiversità promossa dalla presidenza dell'UE si giustifichi alla luce del fatto che sensibilizzare l'opinione pubblica è fondamentale per il successo di questa battaglia, e la società civile può contribuire in modo molto concreto a quest'opera di sensibilizzazione. Tuttavia, una tale campagna non può ovviare alle carenze constatate dalla stessa UE e non deve indurre a ritenere che i problemi sorgano da soli o derivino soprattutto dall'insufficiente impegno della società civile.

1.9

Sono necessari più esempi pratici positivi e più progetti pilota, ma anche più casi concreti, che facciano prendere coscienza del valore e dell'utilità dei vari paesaggi e, più in generale, della biodiversità, nonché un impegno esemplare da parte delle autorità pubbliche: si tratta, infatti, di mantenere i fondamenti stessi della vita dell'uomo.

2.   Elementi chiave e contesto del parere

2.1

Con una lettera del 13 settembre 2005, la presidenza austriaca del Consiglio dell'Unione europea ha chiesto al CESE di adottare un parere esplorativo sul tema Campagna dell'UE per la conservazione della biodiversitàla posizione e il contributo della società civile. Nella lettera si precisa che il parere del Comitato potrebbe aiutare il Consiglio e la Commissione, sia sotto il profilo dei contenuti che sul piano politico, nei loro sforzi di porre fine al deterioramento della biodiversità, un obiettivo che deve essere raggiunto entro il 2010 (1).

2.2

Nella stessa lettera si propone al CESE di esaminare i seguenti punti:

quali siano le cause del deterioramento della biodiversità,

se le misure finora adottate dal Consiglio e dalla Commissione siano sufficienti ai fini della realizzazione dell'obiettivo di tutelare la biodiversità,

se le diverse politiche comunitarie siano coerenti tra loro,

quali siano le iniziative supplementari che la Commissione e gli Stati membri dovrebbero lanciare,

quali saranno le ripercussioni di tutto ciò nell'ambito della strategia di Lisbona e della strategia per lo sviluppo sostenibile,

quale contributo possa recare la società civile.

2.3

La consultazione da parte della presidenza austriaca nasce probabilmente dalla constatazione, menzionata nella lettera, che, secondo i dati forniti da diversi centri di ricerca ed istituti come Eurostat, malgrado tutti gli sforzi compiuti, la diversità biologica continua a diminuire in Europa e nel resto del mondo e, per il momento, nulla lascia intravedere una possibile inversione di tendenza. Nella sua comunicazione sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile, anche la Commissione prende le mosse dalle tendenze negative che si registrano in questo campo.

2.4

Il CESE ringrazia la presidenza austriaca di avergli sottoposto questa importante questione. Come richiesto dalla presidenza, il Comitato esaminerà di seguito ciascuno dei punti sollevati nella lettera, con l'intento di darvi risposta e proporre idee per la «campagna» che si prevede di lanciare.

3.   Osservazioni generali

3.1

La biodiversità è la base di ogni forma di vita presente sul nostro pianeta: senza di essa l'uomo non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivere. Infatti, le piante che trasformano l'energia solare in biomassa sono un anello fondamentale di tutti i cicli di energia e di materia sulla Terra ai quali l'uomo partecipa ogni giorno, per esempio quando respira, si nutre o coltiva la terra. Analogamente, senza le specie che, ritrasformando e modificando i rifiuti «prodotti» dall'uomo, consentono a questi cicli di proseguire, l'uomo non potrebbe vivere.

3.2

Di conseguenza, la biodiversità non è qualcosa che la società può «permettersi» se lo ritiene importante e di cui può fare a meno se ritiene di dover stabilire altre priorità. La biodiversità è indispensabile.

3.3

Nel riesame della politica ambientale del 2003 (2) la Commissione afferma chiaramente che «la biodiversità riflette la complessità, l'equilibrio e la condizione dei vari ecosistemi. Oltre a svolgere funzioni essenziali di sostegno alla vita, essa è alla base di importanti attività economiche, ricreative e culturali».

3.4

Biodiversità significa, letteralmente, «diversità della vita», ma è un concetto applicabile su piani diversi: può infatti riferirsi sia alla diversità genetica in seno a una popolazione sia al grado di ricchezza di specie in un determinato habitat.

3.5

Data la sua intelligenza, l'uomo è il maggior beneficiario della biodiversità: nessun'altra specie vivente, infatti, sfrutta o utilizza altre specie più dell'uomo. Quest'ultimo, tuttavia, è anche la causa principale della distruzione della biodiversità. La distinzione che l'uomo stabilisce tra specie «benefiche» e «nocive» si fonda su un ragionamento puramente economico, centrato sulle attività umane. La natura, invece, ignora siffatte distinzioni: essa, infatti, conosce solo degli equilibri che, in larga misura, si regolano da soli. La diversità delle specie è un fattore decisivo per la sostenibilità.

3.6

Gli equilibri divenuti incontrollabili costituiscono un problema per chi ha interesse a mantenere stabili le relazioni tra le specie. Con le sue molteplici attività, di natura essenzialmente economica, l'uomo interviene sugli equilibri ecologici e li influenza. Tale influenza dura ormai da millenni, e in passato ha spesso condotto (ad esempio mediante forme di sfruttamento estensivo dei suoli) alla formazione di nuovi equilibri, che a loro volta si sono in gran parte consolidati. Purtroppo, però, l'impatto delle attività umane sulla biodiversità ha ormai raggiunto un'intensità senza precedenti: le molteplici forme di sfruttamento realizzate dall'uomo non si sono più limitate a modificare leggermente l'ecosistema, ma lo hanno addirittura distrutto completamente e a più livelli.

La situazione attuale e le cause della perdita di biodiversità

3.7

Nella lettera indirizzata al CESE, la presidenza dell'Unione europea ha descritto chiaramente e inequivocabilmente la situazione attuale nel campo della conservazione della biodiversità (cfr. punto 2.3). Tale analisi è, tra l'altro, conforme a quella contenuta nella relazione sulla diversità delle specie del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP/PNUE), secondo cui, su scala mondiale, la diversità biologica si riduce a un ritmo più rapido che in passato.

3.8

Già nel 1998, nell'ambito della strategia comunitaria per la diversità biologica (3), l'UE aveva sottolineato l'estrema gravità della situazione in Europa. Nella comunicazione della Commissione sull'argomento si legge infatti che «la ricca diversità biologica dell'Unione europea ha subito lenti cambiamenti nel corso dei secoli, dovuti all'impatto delle attività umane. Negli ultimi decenni l'intensità di questo impatto è aumentata drasticamente. La valutazione del Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite conferma che in alcuni paesi europei il 24 % delle specie appartenenti ai lepidotteri, agli uccelli e ai mammiferi sono estinte a livello nazionale».

3.9

Nel 2001, nell'ambito della strategia di Göteborg (4) per lo sviluppo sostenibile, l'UE ha constatato che «negli ultimi decenni la perdita di biodiversità in Europa ha subito una drastica accelerazione». Il CESE tiene a sottolineare che il tasso di estinzione delle specie è oggi da 100 a 1 000 volte superiore a quello naturale, e uno studio più recente dell'Università di Utrecht parla addirittura di un fattore di moltiplicazione che va da 1 000 a 10 000.

3.10

Le ragioni del declino della biodiversità sono molteplici. In linea generale, si può constatare che a tale declino contribuisce la soppressione o la modificazione materiale degli habitat naturali della fauna e della flora. Il deterioramento, infatti, si spiega essenzialmente con la frammentazione degli habitat naturali dovuta allo sviluppo delle infrastrutture e all'urbanizzazione, con l'apporto di sostanze nutritive, con l'eccessiva edificazione, nonché con l'esposizione al turismo di massa e con l'inquinamento dell'aria e dell'acqua.

3.11

In Europa un ruolo particolare — in pratica una doppia funzione — è svolto dall'agricoltura. In passato, questa aveva contribuito alla conservazione della biodiversità grazie a forme di sfruttamento estensivo e altamente diversificato. Da tempo, tuttavia, le colture estensive non sono più redditizie, e sono quindi state rimpiazzate da forme di sfruttamento più intensivo, che anno ovviamente un impatto maggiore sui cicli naturali. Tale cambiamento ha influenzato la biodiversità in due modi: da una parte, l'agricoltura intensiva contribuisce fortemente alla scomparsa delle specie e, dall'altra, la cessazione dello sfruttamento e la messa a riposo prolungata o il cambio di coltura in terreni fino ad allora coltivati in modo estensivo o «naturale» causa la perdita di biotopi preziosi. Così, a seconda delle forme di sfruttamento adottate, l'agricoltura può favorire o ridurre la biodiversità.

3.12

Tra gli altri fattori principali che contribuiscono a ridurre la biodiversità figurano la successione delle formazioni arboree, lo squilibrio determinato nella competizione biologica (per esempio dall'apporto di sostanze nutritive), la forestazione di superfici non boschive, l'introduzione di specie allogene e lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche.

3.12.1

Altri fattori, la cui incidenza è per ora meno significativa, potrebbero in futuro aggravare ulteriormente la situazione. In una recente relazione (5), l'Agenzia europea per l'ambiente considera i previsti cambiamenti climatici come un fattore di rischio molto grave, forse destinato a diventare addirittura il più grave, tale da ridurre la biodiversità in modo irreversibile.

3.12.2

Un altro, nuovo fattore di rischio per la biodiversità in Europa potrebbe essere costituito dalle tecnologie genetiche applicate all'agricoltura. Secondo alcuni ricercatori, la coltivazione a scopo commerciale di piante geneticamente modificate potrebbe avere gravi ripercussioni sulla flora dell'ambiente circostante, e quindi sui lepidotteri e sulle api: sono queste le conclusioni di uno studio, cui hanno partecipato oltre 150 ricercatori, condotto per tre anni su richiesta del governo britannico (6). Il CESE invita la Commissione a sostenere con vigore le attività di ricerca condotte in questo campo.

3.13

Le potenziali conseguenze della perdita di biodiversità possono essere illustrate con esempi concreti. Al riguardo si consideri il caso degli insetti impollinatori, la cui popolazione è indiscutibilmente diminuita (addirittura su scala mondiale, secondo la FAO). Le piante con fiori (antofite) hanno sviluppato ulteriormente i loro sistemi riproduttivi per adattarli all'evoluzione degli insetti impollinatori, che a loro volta hanno sviluppato dei meccanismi efficaci di raccolta del nettare e del polline, contribuendo così a una migliore produzione e propagazione dei semi delle piante bottinate. L'impollinazione incrociata tramite gli insetti aumenta la diversità genetica e fa produrre semi più resistenti e frutti di migliore qualità. Il 70-95 % degli insetti impollinatori appartiene all'ordine degli imenotteri, al quale appartiene anche l'ape mellifera, utile all'uomo. La diminuzione che si registra nella popolazione degli insetti impollinatori può avere conseguenze disastrose, anche sul piano economico.

3.14

Data la moltitudine degli studi e delle dichiarazioni che rilevano la drastica diminuzione della biodiversità, in questo parere il CESE può fare a meno di approfondire ulteriormente le singole cause di questo fenomeno e soprattutto di invocare una adeguata consapevolezza della sua gravità. Tutti i soggetti responsabili a livello politico dovrebbero ormai avere un quadro chiaro della situazione: i dati disponibili, infatti, sono sufficienti a descriverla con precisione.

3.15

Il CESE si compiace che tutte le istituzioni europee riconoscano sempre più l'esigenza di tutelare la biodiversità. Tuttavia, ad onta dei moltissimi riconoscimenti e delle molteplici dichiarazioni a livello politico, malgrado la firma della Convenzione sulla biodiversità (ratificata sia dall'UE che da tutti e 25 gli Stati membri) e nonostante l'adozione, a livello comunitario, di opportune misure di protezione ambientale, quali la direttiva del 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (7) e quella del 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (8) (in seguito, rispettivamente «direttiva» uccelli «e» direttiva «habitat»), si continua a registrare una perdita di biodiversità.

3.16

Gli Stati partecipanti al secondo vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio +10), svoltosi nel 2002 a Johannesburg, si sono impegnati a ridurre in modo significativo il ritmo della perdita di biodiversità entro il 2010. Nelle conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Göteborg, l'Unione europea è andata persino oltre, impegnandosi, sempre entro il 2010 (9), ad arrestare questo fenomeno.

3.17

La conservazione della biodiversità, dunque, è un compito la cui necessità ed urgenza sono ormai ampiamente riconosciute, ma anche un compito estremamente complesso, al quale tutti i livelli politici (dall'UE agli enti locali) e la società civile organizzata devono lavorare in stretto contatto tra loro, anche fungendo da esempio per la società nel suo insieme.

Lo sfondo politico-sociale della perdita di biodiversità

3.18

Una questione interessante, purtroppo tuttora irrisolta e sollevata troppo di rado, è l'individuazione delle cause politiche che, negli ultimi decenni, hanno contribuito a questa talora drastica perdita di biodiversità, in mancanza di appropriate contromisure di natura politica.

3.19

Tali cause sono molteplici. Una di esse è senz'altro il fatto che la perdita di biodiversità è un processo lento, strisciante e quindi appena percepibile (sotto questo aspetto paragonabile al fenomeno dei cambiamenti climatici). Non c'è una singola «misura» che si possa additare come causa scatenante di questo problema, né un'unica contromisura che potrebbe risolverlo. La perdita della biodiversità, infatti, è il risultato di milioni di azioni decise e compiute negli ultimi anni e, più in generale, negli ultimi secoli, per quanto trascurabile o marginale possa apparire l'impatto di ciascuna di esse.

3.20

Per questo motivo, nell'imminenza di una decisione, è sempre molto difficile, se non proprio respingerla, riuscire almeno a segnalarne i pericoli per la biodiversità. Tanto più che, secondo le indicazioni delle cosiddette «autorità competenti a intervenire» in materia, ogni intervento su questo aspetto della natura dovrebbe essere controbilanciato da misure compensative o sostitutive in un altro campo (il che, peraltro, non avviene quasi mai).

3.21

Un'ulteriore causa si può ravvisare nel fatto che in un periodo relativamente breve si è arrivati al punto in cui sempre meno persone sperimentano direttamente o comunque percepiscono l'importanza della biodiversità e del paesaggio, nonché delle alterazioni che vi hanno luogo. Assistiamo a una sorta di alienazione dell'uomo dalla natura, che comincia a manifestarsi col fatto che sempre meno persone conoscono o riconoscono il valore utilitario  (10) e spirituale  (11) del paesaggio.

3.22

La maggioranza delle persone (compresa gran parte dei responsabili politici) non è del tutto conscia del significato e dell'importanza del compito che va sotto il nome di «tutela della biodiversità» (nonché della grave responsabilità etica e morale che esso implica). Sono «consumatori» del paesaggio, ne apprezzano la bellezza, ne godono esteticamente, passano il tempo libero nella natura, vi praticano sport, vi trascorrono le vacanze. Tuttavia, non sono pienamente consapevoli del fatto che l'interazione tra gli elementi biotici del paesaggio (cioè le singole specie animali e vegetali) modula il paesaggio, né di quanto essi contribuiscano alla sua stabilità, né dell'enorme importanza di questa fragile stabilità, che è alla base delle nostre condizioni di vita e del nostro sistema economico. La maggior parte dei nostri contemporanei ha della natura una conoscenza solo sporadica e talvolta, per giunta, perlopiù indiretta, mediata dai programmi televisivi o dai film che descrivono le bellezze dell'Africa, delle isole Galapagos o di altri luoghi esotici, ma raramente trattano dei problemi del patrimonio naturale europeo.

3.23

Del resto, non è un caso che alle organizzazioni per la conservazione della natura accada talvolta di constatare che, paradossalmente, gli europei sono più disposti a impegnarsi per la protezione degli elefanti o delle tigri siberiane che per quella dei criceti che vivono nel nostro continente.

3.24

Della perdita di biodiversità si viene a conoscenza leggendo relazioni, rapporti e documenti politici, ma non se ne avvertono direttamente le conseguenze negative. Alcuni non hanno addirittura mai visto con i propri occhi ciò che il paesaggio «là fuori» ha perduto e continua a perdere. È noto che ci si impegna solo per ciò che si conosce e si ama davvero, per ciò che può recarci un qualche beneficio.

3.25

La biodiversità è dunque un concetto ampiamente conosciuto, ma sempre più lontano dall'interesse della maggior parte dei cittadini, che non si sentono coinvolti in prima persona. I valori emergono dal nostro attaccamento a ciò che li rappresenta. A molte persone la biodiversità sembra non avere alcun impatto diretto sulle loro vite, cosicché la responsabilità per la sua conservazione è sempre più considerata un compito dello Stato piuttosto che un impegno personale.

3.26

La tutela della biodiversità nel pianeta dipenderà dalla capacità dei responsabili politici di far sentire la gente nuovamente «coinvolta». Bisogna spiegare chiaramente ai cittadini che non tutto ciò che è possibile può anche essere fatto. Si tratta insomma di far loro comprendere che il rispetto della natura esige delle rinunce da parte dell'uomo, ma che si tratta di rinunce che lo arricchiscono. Una parte dell'eventuale campagna dell'UE sulla perdita di biodiversità deve essere dedicata a questo obiettivo.

3.27

Poiché la situazione sembra essere quella descritta, nella società odierna ciascuno riconosce sempre più la fondatezza della tutela della biodiversità, ma si chiede anche:

se la natura debba essere protetta proprio dove si progetta di realizzare la nuova tangenziale,

se la presenza di una specie protetta a livello europeo ai sensi della direttiva «habitat» sia una valida ragione per bloccare, ad esempio, la costruzione di uno stabilimento industriale,

se la protezione dell'ambiente debba proprio avere un costo economico (così elevato).

3.28

Ma c'è di più. Nell'attuale congiuntura economica, ritenuta piuttosto difficile, la protezione della natura non è considerata un presupposto fondamentale della vita e dell'economia, ma serve anzi da capro espiatorio, accusato di intralciare questo o quello sviluppo «positivo», cioè importante per l'economia. Per inciso, gli argomenti addotti al riguardo sono perlopiù contraddittori. Infatti, se la normativa che tutela l'ambiente impedisce di realizzare un'opera, come una strada, che a qualcuno sembra importante, questi scuoterà il capo con disapprovazione; se, invece, il luogo in cui trascorre le vacanze o il tempo libero rischia di essere deturpato da una strada, per opporvisi ricorre volentieri all'argomento della tutela del paesaggio.

3.29

Oggi la natura è considerata un «bene comune liberamente disponibile», che può essere modellato e modificato più o meno a piacimento, in ossequio agli imperativi economici di una società sempre più urbanizzata e industrializzata, con aspettative elevate anche riguardo all'utilizzo del tempo libero. In proposito, poi, i politici suggeriscono a torto che ci si può limitare a rispondere alle esigenze di conservazione della biodiversità con misure compensative o sostitutive.

L'efficacia delle misure finora adottate dal Consiglio e dalla Commissione

3.30

Come dimostra la gravità della situazione, gli effetti delle misure finora adottate dal Consiglio e della Commissione sono del tutto insufficienti. Tuttavia, l'approccio seguito dalla Commissione con le direttive «Uccelli» del 1979 e «Habitat» del 1992, cioè quello di proteggere gli habitat naturali della flora e della fauna europee, era e resta valido e giusto. Il problema fondamentale è la mancanza della volontà politica di attuare e applicare queste misure: come ha riconosciuto la stessa Commissione, «l'attuazione delle direttive» Uccelli «e» Habitat «è stata difficile. Le violazioni rappresentano oltre un quarto delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea» (12).

3.31

Il CESE ravvisa qui due distinti livelli di responsabilità.

3.31.1

Il primo livello è quello politico, dove manca una consapevolezza sufficiente della gravità del problema. Il CESE ritiene ad esempio assolutamente incomprensibile il fatto che gli Stati membri adottino in sede di Consiglio direttive sulla protezione della natura che, in quegli stessi Stati, sono destinate ad essere applicate in modo del tutto insufficiente o a non esserlo affatto. Secondo il Comitato, è assolutamente inaccettabile che, non riuscendo a garantire l'attuazione di tali misure, i politici stessi si rendano responsabili di una così grave perdita di credibilità.

3.31.2

Inoltre, non è possibile dar credito a una classe politica che, pur ambendo ad arrestare il declino della biodiversità entro il 2010 e ben conoscendo il costo economico che ciò comporta, riduce di oltre il 30 % le principali voci di bilancio (13) pertinenti per i paesi dell'UE a 15. Così facendo, i capi di Stato e di governo degli Stati membri dell'Unione hanno di fatto posto i presupposti di una politica rinunciataria, incapace di rispondere alle proprie ambizioni. In tal senso, quindi, è la politica stessa a dare il cattivo esempio.

3.31.3

Gli Stati membri non devono — ed è questo il secondo livello di responsabilità — imputare il fallimento della propria politica ai fruitori della natura. In proposito il CESE non può che ribadire in questa sede quanto più volte affermato nei suoi pareri in merito al problema della mancata o insufficiente attuazione di direttive importanti per la conservazione o l'aumento della biodiversità: fintanto che l'attuazione di tali misure si scontrerà ad esempio con i (comprensibili) interessi economici degli utilizzatori dei suoli, bisognerà almeno compensare le potenziali perdite economiche di questi ultimi, anche se sarebbe meglio prevedere degli incentivi per attuare le misure adottate a tutela della biodiversità. Al riguardo, in seguito alla decisione del Consiglio europeo del 16 dicembre 2005, l'assoluta mancanza di garanzie per quanto concerne il finanziamento delle misure della rete Natura 2000 nel prossimo periodo finanziario dell'UE costituisce un ostacolo decisivo. Per quanto seria essa sia, ogni dichiarazione politica a favore della conservazione e dello sviluppo della biodiversità rimarrà lettera morta, se non sarà accompagnata dalle appropriate condizioni finanziarie.

3.32

Pertanto, finché il problema del finanziamento della rete Natura 2000 non sarà risolto nel senso auspicato sia dal CESE che dal Parlamento europeo (ossia con la creazione di un'apposita linea di bilancio, con fondi sufficienti per le misure compensative previste), l'approccio dell'Unione europea continuerà in sostanza a rivelarsi inefficace. Per quanto svolte con le migliori intenzioni, le campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica non basteranno a cambiare la situazione.

3.33

Una delle misure per la conservazione della biodiversità previste nell'ambito della strategia per lo sviluppo sostenibile consiste nel «migliorare, in occasione del riesame intermedio della politica agricola comune, le misure agroambientali affinché garantiscano un sistema trasparente di pagamenti diretti per la prestazione di servizi ambientali». Il CESE deplora che neppure questo impegno, giusto e importante, sia stato onorato, cosa che si è rivelata controproducente. La responsabilità principale al riguardo non è tanto della Commissione quanto piuttosto degli Stati membri, in particolare per quanto concerne le misure di finanziamento.

Le varie politiche comunitarie sono sufficientemente coerenti tra loro?

3.34

Il CESE constata purtroppo che le varie politiche comunitarie non sono ancora coordinate in misura sufficiente per arrestare la perdita di biodiversità. Al contrario, anche le politiche rientranti nelle competenze dell'UE pongono ulteriori minacce per l'ambiente, non compensate dalle poche e modeste misure adottate per proteggerlo. I programmi di azione già attuati (14) non sono in grado di cambiare la situazione e anche le strategie tematiche in corso di elaborazione sembrano non avere alcuna influenza decisiva al riguardo (15).

3.35

Oltre a quello della politica agricola, di cui il Comitato ha già avuto modo di occuparsi in altri pareri, si può citare il caso delle reti transeuropee di trasporti, adducendo l'esempio di un progetto in questo campo. Con un corso di 2 880 km, che attraversa 10 paesi europei, il Danubio si può senz'altro considerare «il» fiume europeo per eccellenza. Lungo questa arteria vitale si trovano ancora numerose oasi naturalistiche, da integrare nella rete Natura 2000. Tuttavia, secondo l'UE, per circa la metà del suo corso (e precisamente per 1 400 km), comprendente principalmente tronconi fluviali ancora liberi, per esempio a Straubing-Vilshofen, in Germania, oppure presso Hainburg e nella Wachau, in Austria, nonché gran parte del tratto ungherese e la quasi totalità di quelli bulgaro e rumeno, il Danubio presenta delle strozzature che occorre eliminare per favorire la circolazione fluviale. Una tale politica, che pone in diretto contrasto la crescita economica e la protezione dell'ambiente, finisce col provocare e programmare i conflitti che essa dovrebbe invece contribuire a risolvere nel quadro della strategia per lo sviluppo sostenibile e la conservazione della biodiversità, ossia nell'ambito di una politica comunitaria coerente.

3.36

Secondo il CESE, questa sostanziale incoerenza tra le politiche comunitarie non si riscontra solo nei settori che, in senso «classico», si potrebbero considerare potenzialmente problematici per la protezione della natura e delle specie viventi, come la politica dei trasporti e delle infrastrutture oppure un'agricoltura, silvicoltura e piscicoltura troppo intensive, ma anche nei campi in cui non è facile scorgere una connessione diretta con la biodiversità.

3.36.1

A titolo di esempio, si possono citare le misure per la lotta all'encefalopatia spongiforme bovina (ESB), che vietano praticamente ovunque di abbandonare o deporre delle carcasse nell'ambiente (16) e obbligano gli allevatori a portare gli animali morti nei locali adibiti all'eliminazione delle carogne, il che è estremamente costoso.

3.36.2

Nelle zone d'Europa in cui esistono ancora intere popolazioni di animali selvatici che si cibano di carogne, come gli avvoltoi, i lupi o gli orsi, si pongono dei gravi problemi di protezione delle specie. Nelle Asturie, ad esempio, negli anni '90 e fino al 2003 sono stati portati ai servizi di eliminazione delle carogne, in media, 3 000 animali domestici all'anno, mentre già nel 2004, in applicazione del regolamento comunitario in materia, tale numero era aumentato a circa 20 000 capi.

3.36.3

Di conseguenza, nell'ambiente di quella regione spagnola (il cui territorio si estende per 10 604 km2) vi sono oggi circa 17 000 carcasse di animali «in meno», che avrebbero costituito un'importante base alimentare per avvoltoi, orsi, lupi e molte altre specie che si nutrono di carogne. Calcolando una media di 200 kg per ciascun animale, ciò equivale a 3 400 tonnellate di biomassa proteica in meno nell'ambiente (17). È ancora presto per dire se il regio decreto spagnolo del novembre 2002, che disciplina l'alimentazione degli animali saprofagi con determinati animali morti o prodotti derivati, cambierà davvero qualcosa. In ogni caso, nessuna misura analoga è stata adottata negli altri Stati membri dell'UE.

Quali iniziative supplementari dovrebbero lanciare la Commissione e gli Stati membri?

3.37

Nel riesame della politica ambientale del 2003 (18), la Commissione fissa le seguenti priorità:

passare a una politica agricola più sostenibile,

introdurre la dimensione ambientale nella politica comune della pesca,

accrescere la protezione del suolo e dell'ambiente marino,

migliorare l'attuazione delle norme di protezione della natura,

evidenziare meglio le attuali tendenze in materia di biodiversità,

rafforzare la protezione della biodiversità a livello internazionale.

3.38

Inoltre, nella comunicazione sulla strategia politica annuale per il 2007 la Commissione ha previsto la revisione delle direttive «Habitat» e «Uccelli» per adeguarle alle nuove conoscenze scientifiche (19). Il CESE gradirebbe che la Commissione precisasse quanto prima la natura di queste nuove conoscenze scientifiche e la portata della revisione, che, a suo avviso, dovrebbe solo migliorare la protezione dell'ambiente in Europa.

3.39

Il CESE ritiene evidente la necessità di proteggere l'ambiente naturale e sbloccare i fondi necessari a tale scopo. Le direttive «Habitat» e «Uccelli» non sono ancora riuscite a garantire una protezione sufficiente, su tutto il territorio europeo, alle specie e agli habitat naturali che ne hanno bisogno. A ciò si aggiunge il fatto — deplorevole secondo il CESE — che nel frattempo negli Stati membri (dal livello nazionale a quello locale) si è in parte adottato il seguente atteggiamento: tutto ciò che non forma oggetto di una regolamentazione europea, ma, eventualmente, di una normativa di tutela «solo» nazionale, è una questione ambientale di second'ordine. Il che equivale a dire che se l'UE non assicura i finanziamenti necessari, non si vede perché a farlo debbano essere gli Stati membri. La tutela della biodiversità appare ancor meno garantita al di fuori delle aree protette, dove non si riscontra più quasi nessun intervento da parte dei poteri pubblici, nonostante tale tutela non sia un compito che ci si può limitare ad assolvere in quelle poche aree.

3.40

Peraltro, alla luce dell'atteggiamento e della mentalità descritti sopra, è più che evidente che gran parte della popolazione, ma anche la maggior parte dei responsabili politici, non comprende le interrelazioni ecologiche in generale e la necessità di tutelare la biodiversità in particolare. Al riguardo sono innanzitutto le istituzioni pubbliche ad essere sollecitate e a dover fungere da esempio. Esse devono far comprendere ai cittadini che per loro la biodiversità è importante e che sono disposte ad adottare le misure necessarie per proteggerla nei territori di loro competenza, anche se esistono delle possibilità economicamente più «vantaggiose» nel breve periodo.

3.41

Il decennio delle Nazioni Unite dell'educazione per lo sviluppo sostenibile (2005-2014) dovrebbe quindi essere l'occasione per lanciare una vasta campagna volta ad arrestare e invertire la tendenza all'erosione delle conoscenze e dell'esperienza in fatto di biodiversità che si osserva nella popolazione. Sarà necessaria una campagna imponente e positiva, che faccia comprendere che la natura non è un lusso che la società può permettersi nei periodi di prosperità economica e cui può rinunciare quando la congiuntura è più difficile. Bisogna che la società riacquisisca la consapevolezza del fatto che la biodiversità è un patrimonio economico e culturale-spirituale. La protezione dell'ambiente deve essere concepita in modo positivo (non può esserci nulla di più positivo del fatto di preservare i fondamenti stessi della vita), deve essere fonte di gioia e di piacere e non essere percepita come un peso. Inoltre, bisogna far comprendere che i costi generati dall'ulteriore erosione dei fondamenti naturali della nostra vita saranno molto superiori a quelli della loro protezione, e che i valori che vanno perduti a causa di tale erosione non si possono esprimere in termini pecuniari.

3.42

Secondo il CESE, è evidente che la politica comunitaria di protezione dell'ambiente deve limitarsi a perseguire gli obiettivi raggiungibili solo con un'azione transfrontaliera. Tuttavia, un'adeguata «politica di tutela della biodiversità» deve essere condotta anche a livello nazionale, regionale, locale e addirittura della sfera privata. Si tratta quindi di un'esigenza che si impone sia agli Stati membri che all'Unione europea.

3.43

Di conseguenza, il CESE si rallegrerebbe se, nell'ambito di una campagna mirata e condotta in collaborazione coi gruppi che si occupano della tutela dell'ambiente e con le associazioni degli utilizzatori dei suoli interessati, la Commissione decidesse di sostenere dei progetti pilota di protezione dell'ambiente in grado di fondare un'identità a livello europeo e ampiamente pubblicizzati. Tra i progetti idonei a far parte di una tale campagna si potrebbe citare ad esempio la cosiddetta «cintura verde europea» (European Green Belt), un'iniziativa di alcune ONG che riceve già un certo sostegno dai pubblici poteri (20) e si è posta come obiettivo la protezione degli habitat sviluppatisi a ridosso delle (talora addirittura inumane) frontiere terrestri. Questa «cintura verde europea», che si estende dalla Scandinavia ai Balcani, è (ancora) uno degli assi di biotopi più lunghi d'Europa.

3.44

Riguardo alla promozione della tutela della biodiversità a livello internazionale, il CESE ritiene che, rientrando tra le «questioni non commerciali» (non-trade concerns), la biodiversità debba divenire parte integrante del sistema commerciale internazionale (e quindi di essa si debba tener conto, ad esempio, negli accordi in sede di OMC).

Le conseguenze per la strategia di Lisbona e la strategia per lo sviluppo sostenibile

3.45

Qui di seguito il CESE si limita a menzionare alcune riflessioni concernenti la strategia di Lisbona. In questa sede non è necessario formulare delle osservazioni riguardo alla strategia per lo sviluppo sostenibile: da una parte, infatti, le affermazioni fatte dalla Commissione nella sua comunicazione in materia (21) sono così vaghe e poco impegnative che non ci si può attendere che la tutela della biodiversità ne risulti rafforzata e, dall'altra, il CESE esaminerà tale comunicazione in un apposito parere.

3.46

Se è vero, come ha affermato il Consiglio europeo nel vertice di primavera 2005 svoltosi a Bruxelles, che la strategia di Lisbona rientra nel più ampio contesto di quella per lo sviluppo sostenibile, la prima deve essere concepita in modo tale da sforzarsi non solo di tener conto degli imperativi ecologici, ma anche di produrre sviluppi economici che, oltre ad essere vantaggiosi, favoriscano, in maniera consapevole, anche la biodiversità. Tuttavia, nei documenti riguardanti la strategia di Lisbona questo approccio non è neppure accennato.

3.47

Bisognerebbe che la Commissione elaborasse al più presto una visione globale del significato puramente economico della tutela della biodiversità in Europa. Sarebbe inoltre opportuno citare e far conoscere maggiormente gli esempi positivi che mostrano come la tutela della biodiversità e lo sviluppo economico possano e debbano andare di pari passo. Infine, bisognerebbe avviare nella società il necessario dibattito sui modi concreti di «internalizzare» i costi esterni.

Il contributo della società civile

3.48

Il contributo della società civile alla conservazione della biodiversità è importante e può senz'altro produrre molti altri effetti positivi, ma non può controbilanciare o compensare gli errori e le omissioni delle autorità pubbliche. È giusto chiedere alla società civile di fare di più, ma ciò non deve distogliere l'attenzione dalle carenze dimostrate dai pubblici poteri.

3.49

Il CESE accoglierebbe con grande favore una nuova campagna, come la presidenza ha già preannunciato nella lettera del 13 settembre 2005. Tale campagna dovrebbe mirare ad accrescere la consapevolezza dell'importanza di tutelare la natura e la biodiversità e a rafforzare la motivazione a proteggerle. L'educazione in questo campo dovrebbe iniziare molto presto, già nelle scuole materne e primarie, e mirare a spiegare che ciascuno di noi deve fare la propria parte per preservare i fondamenti stessi della vita umana. Si deve iniziare a proteggere la biodiversità già nell'ambiente in cui si vive, nella maniera di fare acquisti, nel modo di configurare il proprio giardino, ecc.

3.50

Le persone sono più disposte ad impegnarsi ad agire quando conoscono la posta in gioco, sanno che il loro impegno è desiderato ed apprezzato e possono prendere a modello la politica. Una campagna del tipo proposto potrebbe servire non solo a fornire delle informazioni di base, ma anche a conquistare alla causa della tutela della biodiversità «ambasciatori» come rockstar, intellettuali, attori, politici, giornalisti, ecc.

3.51

Le organizzazioni non governative, ma anche molti cittadini non coinvolti in gruppi o associazioni, svolgono un prezioso lavoro per la tutela della natura e delle specie viventi. Da parte loro, gli agricoltori si impegnano nell'ambito dei programmi agroambientali e delle iniziative volontarie. Molte altre categorie sociali lavorano con impegno per proteggere la biodiversità, talora assumendosi persino dei compiti che spetterebbero chiaramente ai pubblici poteri. Gran parte dei risultati ottenuti nel campo della biodiversità non sarebbero stati possibili senza tale impegno. Senza il contributo dei privati che si occupano della tutela dell'ambiente, ma anche di molti fruitori della natura, oggi la situazione sarebbe ancora peggiore. I politici dovrebbero promuovere tale impegno anche, ma non soltanto, con incentivi finanziari.

3.52

Al riguardo, non si tratta soltanto di lavorare concretamente sull'ambiente stesso. Se i politici vogliono davvero arrestare il declino della biodiversità, devono avere interesse a suscitare nei cittadini la consapevolezza della necessità di una politica appropriata in questo campo. In proposito si può ben parlare di pressione politica. Non c'è dubbio che l'opinione pubblica europea sia generalmente concorde sulla necessità di agire. Secondo l'Eurobarometro, in Europa nove persone su dieci ritengono che, nell'adottare decisioni importanti, i politici debbano dare alle considerazioni ambientali lo stesso peso che attribuiscono agli interessi economici (Attitudes of Europeans towards the environment, 2004).

3.53

È necessario e urgente promuovere l'educazione dei cittadini per favorire la loro comprensione delle misure imposte da questa politica (nonché delle spese che la loro attuazione comporta). Al riguardo la società civile può e deve recare il suo contributo, ma per farlo ha bisogno del sostegno dei poteri pubblici. Per esempio, la società civile deve far sì che la protezione della natura non sia più ingiustamente considerata «ostile al progresso», ma che si trovino soluzioni adeguate ai problemi sollevati in proposito, in modo che in ultima analisi si abbia un aumento — e non una perdita — di biodiversità.

3.54

Il CESE si compiace quindi dell'iniziativa «Countdown 2010» (22), lanciata da una serie di ONG per incitare tutti i governi europei a intraprendere quanto necessario per arrestare il declino della biodiversità entro il 2010, e garantire così che questo obiettivo politico, oltre che dichiarato, sia anche perseguito con le azioni appropriate. Come questa campagna dimostra, la società civile e i governi hanno una lunga serie di compiti da assolvere insieme.

Bruxelles, 18 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. le conclusioni del Consiglio europeo di Göteborg, del 15 e 16 giugno 2001.

(2)  COM(2003) 745 def.

(3)  Cfr. COM(1998) 42 def.

(4)  COM(2001) 264 def.

(5)  AEA, The European Environment - State and outlook 2005, novembre 2005.

(6)  Apparso sulla rivista scientifica Nature del 22.3.2005.

(7)  GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1.

(8)  GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7.

(9)  Cfr. il punto 31 delle conclusioni.

(10)  Il valore utilitario, o economico, del paesaggio va molto al di là della sua importanza come «luogo di produzione» per l'agricoltura e la silvicoltura. Si pensi, ad esempio, al turismo o alle attività ricreative. In particolare il valore turistico presuppone l'esistenza di paesaggi ricchi di biodiversità e quindi considerati «belli» dalla generalità delle persone.

(11)  Il paesaggio ha un valore spirituale sotto un duplice aspetto: in primo luogo per il valore intrinseco della natura, che deve essere riconosciuto e preservato e non può essere annullato da uno sfruttamento tecnologico ed economico unilaterale, e in secondo luogo per il valore che assume per la rigenerazione fisica, ma anche e soprattutto psichica, dell'uomo e la sua integrazione nell'ambiente naturale con le altre specie viventi.

(12)  Cfr. COM(2003) 745 def. e, negli stessi termini, COM(2005) 17 def.

(13)  La politica di sviluppo rurale, nella rubrica 2 delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013.

(14)  Per esempio in materia di agricoltura biologica.

(15)  Il CESE sta elaborando su ciascuna delle strategie dei pareri distinti, ai quali va fatto riferimento in questa sede.

(16)  Ciò è ancora possibile solo a determinate condizioni, che però sono così complesse da non essere in pratica quasi mai soddisfatte.

(17)  Le conseguenze di tutto ciò possono essere descritte brevemente con qualche esempio. Nella valle di Trubia, la FAPAS, un'associazione spagnola per la protezione dell'ambiente, effettua da molti anni un monitoraggio della popolazione locale di grifoni. Fino al 2003 vi erano in media 10 coppie di grifoni, che, nella maggior parte dei casi, riuscivano ad allevare 8-9 piccoli (i grifoni non hanno mai più di un pulcino alla volta). Nel 2004, invece, solo 4 piccoli avevano raggiunto lo sviluppo sufficiente per volare. Coloro che si occupano della tutela degli orsi riferiscono che, tra i cuccioli di questi animali, si riscontra un tasso di mortalità molto elevato, anch'esso imputato alla diminuzione della quantità di cibo disponibile.

(18)  COM(2003) 745 def.

(19)  COM(2006) 122 def.

(20)  Per esempio dal Bundesamt für Naturschutz (il servizio federale tedesco di protezione della natura, un'agenzia collegata al ministero federale tedesco dell'Ambiente).

(21)  COM(2005) 658 def., del 13.12.2005, Riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile - una piattaforma d'azione.

(22)  Cfr. http://www.countdown2010.net/


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Dare la priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea

(2006/C 195/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere su: Dare la priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dal relatore BEDOSSA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 1 astensione.

Sintesi

Il presente parere di iniziativa del Comitato economico e sociale europeo nasce dall'esperienza del suo comitato di monitoraggio ACP/UE, che segue ormai da anni l'applicazione dell'Accordo di Cotonou e partecipa attivamente alla preparazione e all'attuazione degli accordi di partenariato economico (APE) con le organizzazioni della società civile dei paesi ACP.

La comunicazione della Commissione europea «Strategia dell'Unione europea per l'Africa: verso un patto euroafricano per accelerare lo sviluppo dell'Africa» (1) induce il Comitato a stilare un bilancio riguardo al grado di coinvolgimento dei soggetti non statali nell'attuazione dell'Accordo di Cotonou e della politica comunitaria di aiuto allo sviluppo. Riguardo a queste politiche, il Comitato deve purtroppo constatare che troppo spesso gli impegni assunti non sono stati mantenuti, dagli europei così come dagli africani. In passato, infatti, si è potuto osservare un certo divario tra le intenzioni annunciate e la loro realizzazione pratica, mentre è chiaro che le politiche di aiuto non servono a nulla se non sono predisposte sul campo.

L'Accordo di Cotonou è innanzitutto un accordo tra Stati, che lascia uno spazio insufficiente alle attività concrete della società civile. D'altronde, raramente gli aiuti e gli strumenti pur previsti nel quadro di tale accordo hanno mantenuto le loro promesse.

Pertanto, considerato anche il ritardo nello sviluppo delle capacità della società civile organizzata di agire efficacemente e autonomamente, non deve sorprendere che l'immediato futuro degli APE susciti dubbi, timori e interrogativi.

Il Comitato è convinto che, se si vogliono conseguire gli obiettivi da esso indicati, si debba tener conto di alcuni particolarismi socio-politici profondamente radicati nei modelli organizzativi della società africana. Tuttavia, il Comitato reputa che, ai fini della riuscita di questa nuova e ambiziosa strategia europea per l'Africa, il proprio ruolo debba consistere nel porsi al servizio della società civile, vista come attore essenziale della politica dello sviluppo. A tal fine, esso sottolinea che i due ambiti fondamentali in cui le organizzazioni della società civile possono fare la differenza sono:

la realizzazione di una governance che promuova lo sviluppo umano del continente africano e in particolare si faccia carico dei seguenti obiettivi:

il rispetto dei diritti dell'uomo,

il diritto a un'informazione libera e non centralizzata,

la trasparenza delle organizzazioni e delle amministrazioni dei paesi interessati,

la lotta alla corruzione, il principale ostacolo per qualsiasi forma di buona governance,

il diritto all'acqua, alla sanità e all'istruzione per tutti,

il diritto alla sicurezza alimentare.

Il Comitato ritiene in particolare che, per conseguire questi obiettivi, si debba ampliare e agevolare l'accesso delle organizzazioni della società civile ai finanziamenti comunitari, nonché rendere sistematico il suo contributo alla definizione e all'attuazione delle politiche e delle strategie di cooperazione.

La lotta contro l'AIDS

Al riguardo le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo fondamentale, poiché, dal punto di vista pratico (in termini di prevenzione, diagnosi, cure, ecc.), godono di un accesso privilegiato ai malati. Serve un approccio integrato alle tre pandemie (AIDS, malaria e tubercolosi) e in tale lotta le associazioni di pazienti rappresentano un anello essenziale.

L'Unione europea deve contribuire al superamento della crisi delle risorse umane in Africa intensificando lo sviluppo delle capacità tecniche e la formazione di tutti i soggetti. Il Comitato invita tutti i dirigenti politici, economici e sociali a unirsi per raggiungere tale obiettivo.

Secondo il Comitato, la priorità assoluta è mettere a disposizione medicinali (in formato «tutto in uno») i cui costi siano controllati dalle istanze internazionali. Inoltre, l'Unione europea deve adoperarsi per sviluppare e accelerare la ricerca volta ad ottenere un vaccino universale.

1.   Introduzione

1.1

Il 12 ottobre 2005 la Commissione europea ha adottato una comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo intitolata Strategia dell'Unione europea per l'AfricaVerso un patto euroafricano per accelerare lo sviluppo dell'Africa.

1.2

Il Comitato condivide le linee generali e lo sforzo di coerenza di questo ambizioso progetto euroafricano, a dire il vero accolto in vario modo dalle organizzazioni non governative (ONG) africane. Queste, ormai disilluse, si chiedono per quale motivo questo nuovo piano dovrebbe riuscire dove altri hanno fallito.

1.3

Frutto di un lavoro di ampio respiro, condotto dal commissario Louis MICHEL fin dall'inizio del suo mandato nel novembre 2004, il documento propone ai 25 Stati membri dell'UE una politica comune di cooperazione con l'Africa, partendo dalla constatazione dei molteplici contesti politici e livelli di sviluppo del continente africano, i quali si fondano a loro volta su rapporti di vecchia data che necessitano ormai di un nuovo orientamento.

1.4

Si tratta di una strategia veramente ambiziosa che abbraccia numerosissimi settori prioritari, anche se non tutti, tra quanti possono influire sullo sviluppo del continente africano.

1.5

Molto interessante a questo riguardo è anche il fatto che essa ricolloca la dimensione politica al centro dello sviluppo, il che può consentire all'UE di continuare a essere il partner più influente dei paesi africani.

1.6

Anche il metodo proposto tende a migliorare il coordinamento europeo e a favorire una comunitarizzazione delle prassi. Si tratta di una mossa volta a rendere più incisivo l'intervento dell'Unione europea in un momento in cui numerose voci deplorano una carenza in tal senso.

2.   Osservazioni generali

2.1

Numerose voci si levano dappertutto per avvertire che, se l'Europa o il resto nel mondo non agisce rapidamente, in Africa accadrà il peggio.

2.2

Se in Africa non si produrrà uno sviluppo autonomo, che lo si voglia o no i problemi delle migrazioni, delle malattie o del degrado ambientale si aggraveranno ulteriormente.

2.3

La conclusione da trarre è quindi la seguente: bisogna ripensare l'aiuto che i paesi industrializzati concedono all'Africa. Non è la prima volta che suona il campanello d'allarme e alcuni responsabili politici o economici parlano apertamente di «ipocrisia» dei paesi sviluppati.

2.4

Stando alle previsioni, la continua spinta migratoria proveniente dall'Africa provocherà una pressione destinata ad aumentare nei prossimi anni. La popolazione africana crescerà ancora di molto e le prospettive di sviluppo economico restano fosche. Fino a quando i problemi dell'acqua, della salute, dell'istruzione e della sicurezza alimentare non saranno risolti a lungo termine, le popolazioni dell'Africa avranno diritto di cercare altrove migliori condizioni di vita. Lo stesso presidente della Commissione europea mostra di condividere tali preoccupazioni, quando dichiara che bisogna affrontare le cause strutturali del sottosviluppo africano. L'annuncio di questa nuova strategia, prevista da diversi mesi, ha coinciso con la crisi di Ceuta e Melilla.

2.5

Il Comitato riconosce con chiarezza gli obiettivi della comunicazione:

rendere più coerente la politica di sviluppo in Africa,

ribadire la volontà di realizzare gli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM) in Africa entro il 2015, profondendo uno sforzo particolare e fissando gli obiettivi fondamentali. Per l'Europa, si tratta di raggiungere con l'Africa un consenso che produca dei risultati. In questo senso, agire significa trovare soluzioni a problemi fondamentali come le malattie, la scarsità di acqua, la mancanza di istruzione o di lavoro. La Commissione spera quindi che la sua nuova strategia, essendo stata elaborata — come è bene sottolineare — di concerto con gli africani, possa produrre in tempi rapidi dei risultati concreti,

2.6

Tuttavia, il Comitato si chiede se, malgrado tutto, tale strategia non sia un po' troppo ambiziosa, in particolare considerando i seguenti fattori:

le innumerevoli promesse non mantenute. Tra le intenzioni annunciate e la loro realizzazione si osserva un costante divario, poiché le politiche di assistenza sono del tutto inutili se non sono il risultato di una concertazione con le organizzazioni attive sul campo. Gli aiuti alla società civile previsti dall'Accordo di Cotonou sono rimasti troppo a lungo lettera morta: infatti, essendo essenzialmente intervenuto fra Stati, fin dall'inizio l'Accordo non ha tenuto nel debito conto la presenza e l'azione della società civile,

il problema dell'AIDS, di fondamentale rilievo per quel continente: al riguardo, sono occorsi 15 anni per misurare la nostra capacità di aiutare davvero l'Africa,

tutte le difficoltà dovute all'assenza di governance nei paesi africani, e in particolare il problema dell'eccessivo indebitamento, spesso contratto da governi privi di legittimità democratica.

2.7

Per essere all'altezza delle ambizioni di partenza, servono quindi tre condizioni preliminari:

garantire ai cittadini una maggiore sicurezza (nel senso ampio del termine),

pervenire a una crescita economica sufficiente, grazie in particolare agli Accordi di Cotonou e agli APE,

realizzare una migliore governance ovunque.

2.8

Va osservato che le risorse accantonate a questi scopi dall'Unione europea e dal G8 sono in fortissimo aumento. In 10 anni esse saranno raddoppiate e la metà di tale incremento sarà destinata all'Africa. Al riguardo, però, il ricordo delle tante promesse non mantenute in passato, anche se forse da ambo le parti, induce alla prudenza. Se, da un lato, è vero che gli impegni vanno aumentando, dall'altro è giocoforza constatare che, in questi ultimi anni, alcuni paesi industrializzati hanno ridotto l'entità effettiva dei loro aiuti.

2.9

Il Comitato condivide lo spirito della comunicazione in esame, in particolare riguardo alla sua concezione della politica sui diritti umani. Dal 2001 si sono registrati passi avanti per quanto riguarda il rispetto dei diritti dell'uomo e il processo di democratizzazione di alcuni paesi, ma bisogna insistere ancora sul consolidamento di tali diritti e della democrazia. Per assicurare la promozione della giustizia e dello Stato di diritto, bisogna sostenere il rafforzamento e l'organizzazione della società civile, in particolare le parti sociali, di cui va garantito il dialogo conformemente alle regole dell'OIL.

2.10

Tuttavia, il Comitato osserva che bisogna definire alcune priorità, approfondendo a tal fine le grandi questioni che si pongono al riguardo:

definire il coordinamento delle politiche comunitarie, in particolare quello delle politiche degli Stati membri,

proseguire nello studio e nella creazione di nuove forme di finanziamento solidale, in particolare sostenendo il gruppo di monitoraggio sulla ricerca di nuovi finanziamenti che integrino l'aiuto pubblico (gruppo istituito nel quadro della conferenza di Parigi del febbraio 2006),

discutere e strutturare la necessaria integrazione regionale e politiche interregionali che diano priorità alla realizzazione di infrastrutture interregionali sulla base di gare d'appalto con precisi requisiti sociali e ambientali. Ciò aiuterebbe la creazione delle istituzioni regionali,

porre con forza il problema dell'emigrazione, in particolare creando strutture tali da favorire la stanzialità delle popolazioni africane. A tal fine, è necessaria una presa di coscienza evidente e piena da parte dell'Unione europea e, dato che l'emigrazione subsahariana è anzitutto rurale, bisogna che l'UE si impegni al massimo e in totale concertazione con le organizzazioni della società civile per favorire la definizione e l'applicazione di una politica agricola che consenta di andare verso l'autosufficienza alimentare di tali regioni,

infine, per migliorare il ruolo della governance, rendere efficace la partecipazione della società civile: non si può negare, infatti, che in tal senso l'accordo di Cotonou sia finora stato deludente e il forum euroafricano non abbia prodotto risultati decisivi. Il rispetto dei principi di buona governance nei paesi partner dovrebbe quindi presupporre una serie di condizioni:

il rispetto dei diritti dell'uomo,

la parità tra uomini e donne,

il diritto a un'informazione libera e decentrata,

la trasparenza degli organi di governo e delle amministrazioni dei paesi interessati,

la lotta alla corruzione, il principale ostacolo per qualsiasi forma di buona governance,

il diritto all'acqua, alla sanità e all'istruzione per tutti,

la graduale riduzione dell'economia sommersa, che in certi paesi può raggiungere l'80 % del totale.

2.11

Il Comitato ricorda altresì che la priorità assoluta spetta alla questione dello sviluppo rurale, spesso valutata in modo inesatto, sulla quale occorre restare vigili. In Africa, infatti, l'agricoltura presenta un'importanza evidente per una serie di ragioni abbondantemente evocate: il bisogno di pervenire all'autosufficienza alimentare, la centralità di tale ambito di sviluppo, l'esigenza di stanzialità delle popolazioni. Una parte molto consistente della società civile partecipativa è formata da agricoltori e allevatori, per cui è essenziale dare loro ascolto in vista della definizione della politica agricola e coinvolgerli nella sua attuazione per accrescerne le possibilità di successo.

2.12

Il Comitato rammenta inoltre che il problema delle infrastrutture è ulteriormente aggravato dalla loro completa assenza o dalla mancanza di immaginazione in questo campo. Ciò vale sia per le vie o i mezzi di comunicazione nazionali o interregionali che per l'accesso all'acqua, di cui è evidente la rilevanza geopolitica.

2.13

Infine, il Comitato chiede la cessazione di ogni forma di sostegno diretto al bilancio.

2.14

Tutto ciò non sarà possibile senza un maggiore coinvolgimento degli attori della società civile nel quadro di un miglioramento globale della governance che interessi tutti i poteri pubblici, economici e sociali.

3.   Osservazioni specifiche

In questo contesto generale, nel 2005 l'Africa è stata al centro dell'agenda planetaria. Tra il vertice del G8 svoltosi in Scozia nel luglio di quell'anno, le celebrazioni del 60o anniversario dell'ONU a New York, la recente riunione annuale dei vertici delle istituzioni di Bretton Woods, ognuno, da Tony Blair a Horst Kohler e anche a Paul Wolfowitz, nuovo Presidente della Banca mondiale, ha ripetuto per l'ennesima volta la necessità di far uscire l'Africa dal naufragio.

In proposito il Comitato economico e sociale europeo intende ribadire la necessità e l'urgenza, già espresse nelle sue varie prese di posizione, di:

accordare sì la priorità all'Africa, ma dando amplissimo accesso, nel quadro di questa nuova governance, alla società civile in tutta la sua variegata realtà,

fare della lotta contro l'AIDS una priorità assoluta; tale fenomeno, infatti, ha assunto le proporzioni di una tragedia, che per di più si svolge sotto i nostri occhi e in un relativo disinteresse.

3.1   Dare la priorità all'Africa

3.1.1

Il Comitato sostiene l'intento della Commissione europea di fare dell'Africa subsahariana un'area prioritaria per gli interventi UE in materia di aiuto allo sviluppo. Tuttavia, per essere efficace, tale azione deve accompagnarsi a un miglioramento della governance nei paesi africani a livello sia nazionale sia regionale, il che interessa tanto le organizzazioni interstatali africane quanto gli Stati e le organizzazioni della società civile. Queste ultime, per la loro indipendenza — che necessita peraltro di sostegno -, la loro prossimità alla popolazione e la loro capacità di reazione, sono in grado di favorire l'effettiva condivisione delle politiche di sviluppo da parte delle popolazioni direttamente interessate. Il processo di disgregazione in atto in Africa è legato certo a molteplici ragioni, ma la mancanza di autonomia della società civile e il suo scarso consolidamento ne sono sicuramente una causa ed hanno un impatto non trascurabile. Il concetto di delega, espressamente previsto dall'accordo di Cotonou per risolvere tale problema, è risultato inefficace in quanto l'aiuto diretto (e, ovviamente, condizionato) alle associazioni, prospettato dall'accordo, è difficile da attuare.

3.1.2

Il Comitato propone quindi:

di ampliare e facilitare l'accesso delle organizzazioni della società civile africana ai finanziamenti comunitari, garantire possibilità di accesso diretto a livello nazionale ed elaborare un programma orizzontale per il finanziamento degli attori non statali, con carattere integrativo rispetto ai programmi nazionali,

di ampliare e di rendere sistematica la partecipazione della società civile alla definizione e attuazione delle politiche e strategie di cooperazione; ciò per favorire la condivisione del processo di sviluppo da parte della società civile e contribuire al sorgere di una buona governance. Se, in qualche caso, si sono registrati progressi in questo senso, è perché, lentamente ma costantemente, si è andata levando la voce delle popolazioni, che si esprimono attraverso tutti i canali a loro disposizione: le parti sociali e le associazioni credibili e autorevoli, in particolare quelle che si sforzano di promuovere l'eguaglianza fra i sessi, l'economia locale, l'istruzione o l'informazione.

3.1.3

L'Unione europea ritiene intangibili i valori espressi dai diritti dell'uomo. In quest'ottica, il Comitato chiede che il sostegno dell'Unione europea alla società civile diventi realtà e che, tenuto conto dell'accennata problematica dei diritti umani:

si adotti un approccio pragmatico nella definizione della società civile,

si individuino degli interlocutori validi, capaci di dialogare con i governi, in particolare mediante la creazione di reti di ONG indipendenti,

si garantisca loro l'accesso ai finanziamenti, formulando proposte riguardo a inviti alla presentazione di progetti e realizzando microprogetti da attuare localmente.

3.1.4

È prevedibile che l'attuazione degli APE si scontri con le medesime difficoltà. Se si vuole realizzare un vero programma di mercato unico e un vero programma di riforma, bisogna considerare che:

la formazione delle capacità umane e tecniche della società civile e, più in generale, degli africani è ancora molto precaria, specie per quanto riguarda le donne,

se è necessario mirare gli aiuti comunitari al sostegno dei fattori di produzione, allora ciò dovrebbe avvenire in modo più efficace; inoltre, nel programma degli APE bisognerebbe prevedere la realizzazione di reti transnazionali coerenti.

3.1.5

Il Comitato ha preso debitamente atto dell'apertura dei negoziati in vista della conclusione degli APE con vari blocchi regionali e auspica che tale processo finisca per produrre un'espansione commerciale favorevole allo sviluppo sostenibile e allo sradicamento della povertà. Tuttavia, affinché tali accordi siano davvero vantaggiosi per la popolazione, il Comitato chiede che si provveda a:

diffondere un'informazione il più possibile esauriente che permetta di coinvolgere sistematicamente le organizzazioni della società civile nei negoziati e nell'elaborazione di studi di impatto a livello sia nazionale e regionale,

associare il settore privato ai negoziati e sostenere lo sviluppo delle sue capacità,

integrare le conseguenze sociali e le questioni di genere nelle valutazioni di impatto,

rendere flessibili gli accordi commerciali al fine di tutelare le imprese dei paesi firmatari, prevedendo periodi transitori quanto alla loro applicazione, disposizioni specifiche a tutela delle industrie nascenti e misure di salvaguardia per far fronte alla concorrenza dei nuovi paesi industrializzati,

tenere conto dell'esigenza degli Stati di ricostruire le proprie risorse dopo avere assorbito le compensazioni finanziarie temporanee, ma anche eventualmente di beneficiare di misure più flessibili per mantenere un minimo di autonomia fiscale in materia commerciale. In effetti, gli Stati che vedranno ridursi il loro gettito a causa dell'abbattimento dei dazi doganali spesso vivono già oggi una situazione finanziaria assai precaria e incontrano difficoltà a garantire il finanziamento pubblico minimo dell'istruzione e della sanità.

3.1.6

Tuttavia, affinché lo sviluppo economico rechi benefici al più gran numero possibile di individui senza provocare abusi, il Comitato auspica che le attività comunitarie di aiuto allo sviluppo dell'Africa tengano conto della necessità di osservare i principi che impongono di assicurare la coesione sociale e un lavoro dignitoso per tutti. L'osservanza di tali principi sarà tanto più garantita quanto più esisterà un effettivo dialogo sociale e, in senso ancora più ampio, un dialogo tra gli attori della società civile.

3.1.7

Il Comitato propone quindi: di collaborare, come esorta a fare una recente comunicazione della Commissione (2), con i consigli economici, sociali e culturali africani in termini di comunicazione reciproca di esperienze e conoscenze. Ciò, in particolare, allo scopo di farne dei partner efficaci nell'orientamento settoriale o geografico degli investimenti e degli aiuti,

di recare il contributo della sua esperienza e del suo know-how a livello nazionale, nonché, ove necessario, di incoraggiare la creazione di consigli economici e sociali, nelle forme appropriate per le culture africane, in tutti i paesi in cui tali organismi non esistono e di favorire, se del caso, il rinnovo di quelli esistenti in calo di visibilità o credibilità, il Comitato osserva alcuni segnali incoraggianti: l'evoluzione positiva e l'influenza crescente dell'Unione africana, il consenso raggiunto tra il Consiglio dell'UE, il Parlamento europeo e la Commissione europea sulla politica UE in materia di sviluppo, il collegamento in rete in certe regioni di organizzazioni della società civile come quelle che rappresentano gli agricoltori, le PMI, le parti sociali, ecc.

È possibile che l'Unione europea sia ormai diventata consapevole dello scarso coinvolgimento della società civile e della necessità di associarla all'attuazione di questa nuova strategia.

3.2   La lotta contro le pandemie

3.2.1

In merito al problema dell'AIDS il Comitato esorta tutti i responsabili a livello politico, economico e sociale a unire le forze. Esso si compiace delle iniziative dell'Organizzazione internazionale degli industriali e della Confederazione internazionale dei sindacati liberi, che hanno chiesto al Comitato di collaborare ai vari piani di contrasto da loro lanciati nel 2003 in otto paesi dell'Africa australe.

3.2.2

Il Comitato deve farsi portavoce di questa causa presso tutte le istanze, nei seminari regionali e locali così come nelle assemblee plenarie. Grazie al sistema educativo e alla mobilitazione delle famiglie da parte degli attori della società civile, si intravede un barlume di speranza: per la prima volta, infatti, si osservano una regressione dell'incidenza dell'AIDS in Senegal, Uganda e Zimbabwe, e una ripresa della speranza di vita. Poiché, tuttavia, non bisogna abbassare la guardia, la Commissione annuncia orientamenti programmatici di lotta all'AIDS destinati ai partner nazionali.

3.2.3

Il Comitato sottolinea che in questa lotta sono necessarie ingenti risorse finanziarie, per condurre politiche di prevenzione permanente e strategie di trattamento possibili con l'ausilio di terapie semplici ed efficaci, i cui costi devono essere interamente disciplinati in sede OMC nel quadro dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs), nonché per sostenere la ricerca di un vaccino affidabile e universale.

3.2.4

I paesi dell'Africa subsahariana presentano bisogni enormi per far fronte alle grandi pandemie, in particolare quella di HIV/AIDS, dato che le conseguenze umane, sociali ed economiche sono già catastrofiche. Il fenomeno presenta un carattere di urgenza assoluta poiché in certi paesi, in cui l'incidenza dell'AIDS è enorme (45-49 %), si vanno profilando situazioni di carestia. Il Comitato raccomanda un intervento dell'Unione europea articolato a due livelli:

a livello mondiale,

nel quadro dei negoziati di Doha per lo sviluppo promossi dall'OMC, il Comitato ha sostenuto e sostiene le posizioni della Commissione europea che favoriscono l'accesso ai medicinali per i paesi colpiti dalle grandi pandemie. Inoltre, alcuni nuovi strumenti inducono l'UE a partecipare a un dialogo generale con il Programma congiunto delle Nazioni Unite per l'AIDS (Unaids), il Fondo mondiale per la lotta contro l'HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS),

a livello nazionale:

a questo riguardo, il Comitato parte dal principio che le organizzazioni della società civile hanno una particolare capacità di raggiungere le popolazioni delle zone rurali nei paesi dove mancano le necessarie infrastrutture e i poteri pubblici non hanno mezzi sufficienti per garantire un servizio minimo nell'intero territorio.

Pertanto, facendosi latore delle istanze delle parti economiche e sociali dei paesi ACP, il Comitato invita a prevedere finanziamenti europei specifici che permettano alle organizzazioni della società civile di diffondere le informazioni relative alle pandemie fra le popolazioni interessate.

Il Comitato ritiene che un approccio integrato alle tre pandemie citate debba poggiare sulla società civile e in particolare sulle associazioni di pazienti che rappresentano quanti convivono con tali malattie, in modo da coinvolgere la società civile a livello dei paesi beneficiari.

L'UE deve contribuire a risolvere la crisi delle risorse umane attraverso il potenziamento delle capacità umane e tecniche.

Forti delle risorse e delle capacità umane necessarie, tali organizzazioni dovranno essere incoraggiate a stabilire alleanze e partenariati con la totalità degli attori coinvolti nella lotta contro le pandemie.

Il Comitato chiede che le azioni di prevenzione — in particolare l'accesso delle donne alle misure di pianificazione familiare — e quelle di assistenza ai malati e alle loro famiglie siano effettivamente sostenute da finanziamenti comunitari.

3.2.5

Il Comitato ritiene che si debba ampliare la mobilitazione di tutti — ONG, parti sociali, responsabili politici — e che esso debba svolgere un ruolo di coordinamento tra tutti i poteri coinvolti in questa indispensabile lotta. Al riguardo, inoltre, il Comitato intende svolgere una funzione di vigilanza, dato che la lotta contro le pandemie è prioritaria ed essenziale per tutti i paesi colpiti. Non si dimentichi, infatti, che, a causa del mancato coinvolgimento degli attori interessati, l'AIDS viene a sovrapporsi a situazioni preesistenti di emergenza alimentare.

3.2.6

L'Unione europea deve concentrarsi sulla riduzione del costo dei farmaci, creando un partenariato speciale con l'OMC. Il Comitato invita gli Stati membri dell'Unione ad associarsi all'iniziativa sui finanziamenti ingenti e continui per l'acquisto di farmaci (Conferenza di Parigi, febbraio 2006) e riconosce che la sua attuazione dovrebbe permettere di rafforzare la partecipazione dei CES nazionali, associandoli all'applicazione e alla valutazione, ma anche al controllo, di questo nuovo meccanismo, sì da garantire un'effettiva tracciabilità.

Bruxelles, 18 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 489 def.

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo - Accelerare i progressi verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del millennio - Il contributo dell'Unione europea (COM(2005) 132 def.), del 7.10.2005.


18.8.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 195/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente

COM(2005) 548 def. — 2005/0221 (COD)

(2006/C 195/26)

Il Consiglio, in data 28 novembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere in data 3 maggio 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HERCZOG.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo appoggia pienamente le raccomandazioni della Commissione in merito alle competenze chiave per l'apprendimento permanente; ritiene che siano del tutto conformi alla strategia di Lisbona, intesa a creare una società fondata sulla conoscenza, e agli orientamenti per l'occupazione 2005-2008.

1.2

Il CESE reputa cha la realizzazione della proposta in esame potrebbe alleviare gli attuali problemi occupazionali, in particolare l'inadeguata preparazione della mano d'opera rispetto alle esigenze dell'economia.

1.3

Privilegiando la definizione delle competenze chiave nella formazione si può contribuire a realizzare il principale obiettivo comune: fare in modo che al termine dei programmi iniziali di istruzione e di formazione i giovani abbiano assimilato dette competenze chiave ad un livello tale da potere affrontare la vita adulta e il mercato del lavoro, sia come lavoratori dipendenti che come imprenditori. Questo approccio consente inoltre agli adulti di sviluppare e aggiornare tali competenze lungo l'intero arco della vita a partire da una solida base di conoscenze generali, elemento essenziale della capacità di adattamento permanente.

1.4

Affinché tale obiettivo venga realizzato è particolarmente importante, a giudizio del Comitato, che gli insegnanti, sia nel quadro dell'istruzione pubblica e dell'insegnamento professionale che in quello della formazione degli adulti, siano preparati da un lato ad aiutare efficacemente i discenti ad acquisire le competenze chiave, e dall'altro ad acquisire e poi sviluppare continuamente essi stessi le competenze chiave necessarie per la loro attività professionale.

1.5

Pur sostenendo pienamente gli obiettivi generali della proposta, il CESE ritiene essenziale fare in modo che i giovani che abbandonano prematuramente gli studi siano aiutati ad assimilare, attraverso programmi di formazione extrascolastica, le competenze chiave menzionate nella proposta.

1.6

L'invecchiamento della popolazione impone il prolungamento della vita attiva dei lavoratori anziani. Il Comitato considera pertanto fondamentale che nei vari Stati membri anche i lavoratori più anziani abbiano la possibilità di acquisire le competenze di cui sono carenti, e che gli stessi Stati predispongano un'infrastruttura dell'istruzione e della formazione che permetta di esercitare e di sviluppare ulteriormente le competenze già acquisite.

1.7

Il CESE riconosce alle parti sociali, nella loro qualità di soggetti principali del mercato del lavoro, un ruolo di primo piano nella realizzazione degli obiettivi stabiliti e nel monitoraggio dei progressi compiuti in tal senso. Gli sforzi comuni profusi dalle parti sociali europee nel settore dell'istruzione e dell'apprendimento permanente nel contesto del loro primo programma di lavoro pluriennale per il periodo 2003-2005 hanno dato vita al quadro d'azione per lo sviluppo delle competenze e delle qualifiche lungo l'intero arco della vita. Altre azioni sono previste, tra l'altro, in base al prossimo programma pluriennale per il periodo 2006-2008, nel cui ambito le parti sociali europee negozieranno un eventuale accordo volontario.

1.8

Il CESE auspica anche una partecipazione più attiva delle organizzazioni non governative all'intero processo e raccomanda di rafforzare il dialogo con la società civile.

1.9

È indispensabile disporre di statistiche affidabili, da utilizzare nel monitoraggio e nella valutazione degli obiettivi relativi all'istruzione e all'apprendimento permanente. Per questo motivo il Comitato sostiene la proposta di regolamento relativo alla produzione e allo sviluppo di statistiche sull'istruzione e sull'apprendimento permanente: essa predispone infatti dei quadri che permettono di operare un'armonizzazione o un'uniformazione dei metodi di raccolta dei dati negli Stati membri e di migliorare l'affidabilità e comparabilità dei dati raccolti. Bisogna fare in modo che tali rilevazioni forniscano dati costantemente aggiornati e affidabili per le analisi relative ai principali elementi degli obiettivi politici dell'Unione.

2.   Introduzione (1)

2.1

La proposta relativa a un programma di azione integrato nel settore dell'apprendimento permanente è frutto di un lungo processo di studio, elaborazione e consultazione. Il Comitato accoglie con favore tale proposta e fa presente che le idee esposte nel presente parere sono intese a renderla quanto più possibile funzionale ed efficace.

2.2

A questo proposito, il CESE fa notare che il suo punto di vista in merito alla proposta della Commissione si basa anzitutto sulle proprie conoscenze ed esperienze in materia di:

2.3

ritardo accumulato nell'attuazione degli obiettivi di Lisbona,

2.4

ritardo evidenziato nel creare una corrispondenza tra formazione e istruzione da un lato e produttività dall'altro (2),

2.5

situazione demografica in Europa,

2.6

preoccupazioni sorte di recente, sia a livello europeo che a livello mondiale, circa le possibili soluzioni ai problemi di cui sopra (3).

3.   Presentazione commentata della proposta della Commissione

3.1

Il gruppo di lavoro «Competenze di base» (4), istituito nel 2001 nel contesto del programma di lavoro «Istruzione e formazione 2010» ha elaborato un quadro di riferimento delle competenze chiave necessarie in una società fondata sulla conoscenza e ha formulato varie raccomandazioni miranti a far sì che venga garantita a tutti i cittadini la possibilità di acquisire tali competenze (5).

3.2

Il principale obiettivo comune è quello di far sì che al termine dei cicli iniziali di istruzione e di formazione i giovani abbiano assimilato le competenze chiave ad un livello tale da essere ben equipaggiati per la vita adulta, e che gli adulti siano in grado di sviluppare e di aggiornare tali competenze durante l'intero arco della vita.

3.3

La raccomandazione indica le seguenti competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze interpersonali, interculturali, sociali e civiche; 7) imprenditorialità; 8) espressione culturale. La raccomandazione definisce inoltre la combinazione di conoscenze, abilità e attitudini che corrisponde a ciascuno di questi campi.

3.4

I lavori avviati in materia di competenze chiave sono strettamente collegati a numerose altre iniziative o attività in corso, come per esempio i lavori attuali relativi all'istituzione di un quadro europeo delle qualifiche, o gli sforzi volti ad accrescere la trasparenza dei sistemi di qualificazione (ad esempio attraverso il riconoscimento delle conoscenze acquisite grazie ad un apprendimento informale).

3.5

La proposta fornisce uno strumento di riferimento per l'individuazione delle competenze chiave necessarie a tutti; essa contribuisce inoltre agli sforzi effettuati dagli Stati membri per integrare le competenze chiave nelle loro strategie volte a istituire la formazione permanente.

3.6

Si tratta di uno strumento di riferimento che ha l'obiettivo di aiutare i responsabili politici, gli erogatori di formazione, i datori di lavoro e gli stessi discenti a realizzare, a livello nazionale ed europeo, gli obiettivi comuni.

3.7

La raccomandazione definisce le competenze chiave necessarie a tutti i cittadini in un'economia e in una società fondate sulla conoscenza. Essa riconosce che le decisioni concernenti l'attuazione competono al livello nazionale, a quello regionale e a quello locale. Inoltre la raccomandazione sollecita gli Stati membri a garantire a tutti l'acquisizione delle competenze chiave entro la fine dell'istruzione e formazione iniziale e li incoraggia, alla luce dei livelli di riferimento europei, ad affrontare il problema dello svantaggio educativo.

3.8

Per quanto riguarda gli adulti, la raccomandazione invita a creare, con la partecipazione delle parti sociali, un'infrastruttura globale che garantisca ai cittadini più anziani l'accesso agli strumenti di sviluppo delle conoscenze.

3.9

La raccomandazione invita infine la Commissione a favorire le riforme realizzate a livello nazionale attraverso l'apprendimento tra pari, lo scambio di buone pratiche e il monitoraggio sistematico dei progressi compiuti nella realizzazione degli obiettivi.

3.10

La proposta non ha implicazioni per il bilancio comunitario.

4.   Osservazioni generali del Comitato

4.1

La raccomandazione si prefigge di sostenere gli sforzi profusi dagli Stati membri per sviluppare i sistemi di istruzione e formazione iniziale, l'offerta di formazione e istruzione agli adulti e l'intero sistema di apprendimento permanente, elaborando uno strumento di riferimento sulle competenze chiave. Per quando riguarda l'esatta definizione del contenuto di tali competenze, le discussioni tra esperti continueranno in futuro ad essere giustificate (e indispensabili). La raccomandazione indica tuttavia chiaramente, nell'insieme, l'orientamento auspicabile della formazione di base nel quadro del sistema scolastico e dell'apprendimento degli adulti.

4.2

In un precedente parere dedicato al collegamento tra formazione e produttività (6), il CESE formulava la mancanza di coordinamento e di armonia tra i diversi sistemi di formazione degli Stati membri. Secondo il CESE il sistema di formazione professionale permanente di ciascun paese è isolato dal sistema di istruzione nel suo complesso e poco collegato con la vita economica e sociale circostante. Nella maggior parte dei casi il contenuto della formazione è orientato in maniera eccessiva alle esigenze a breve termine e può rivelarsi inadeguato sul lungo periodo. In base a tale analisi il Comitato ritiene che le raccomandazioni relative alle competenze chiave possano costituire dei punti di riferimento comuni e generali per i vari programmi educativi e fornire un potenziale principio direttivo ai fini di un funzionamento più armonioso dei vari sottosistemi che compongono l'istruzione.

4.3

D'altro canto la valutazione dell'attuazione della strategia comunitaria rispecchia chiaramente le diverse interpretazioni delle competenze chiave, nonché le divergenze che ne derivano nell'ambito dei vari programmi. Da anni sono in corso, dentro e fuori dell'Unione europea, delle discussioni volte a formulare una definizione a un tempo scientifica e pratica del concetto di competenza. Anche l'OCSE, nel quadro di un progetto autonomo denominato DeSeCo (definizione e selezione delle competenze), ha definito le competenze chiave giudicate più importanti (esse corrispondono solo in parte a quelle elencate nella proposta).

4.4

L'acquisizione di competenze negoziabili sul mercato del lavoro e tali da garantire il successo sociale, conformemente alla logica di base di una società detta della conoscenza, avviene nel quadro di una emulazione (concorrenza) tra i differenti gruppi e individui che costituiscono la società. La creazione di opportunità eque di accesso e di concorrenza potrebbe figurare a giusto titolo tra gli obiettivi dell'azione statale e dei programmi strategici predisposti dai governi in materia di istruzione.

4.5

Per quanto riguarda la formazione permanente e la questione delle competenze, il Comitato, in linea con il testo della raccomandazione, sottolinea l'importanza di favorire non soltanto l'acquisizione delle diverse competenze, ma anche il mantenimento, attraverso programmi specifici, di quelle già acquisite.

4.6

L'attuazione delle raccomandazioni sulle competenze chiave rappresenta una sfida importante per i sistemi educativi degli Stati membri. La loro integrazione richiede un approccio radicalmente nuovo, specie per la formazione iniziale e nei sistemi educativi che non hanno ancora abbandonato un'organizzazione dell'istruzione rigida e basata sulle materie di insegnamento.

4.7

Una sfida almeno altrettanto grande è cambiare l'atteggiamento degli insegnanti attivi nel sistema di istruzione e la loro preparazione. Il Comitato ritiene quindi particolarmente importante che gli insegnanti, sia nel quadro dell'istruzione pubblica e dell'insegnamento professionale che in quello della formazione degli adulti, siano preparati da un lato ad aiutare efficacemente i discenti ad acquisire le competenze chiave, e dall'altro ad acquisire e poi sviluppare continuamente essi stessi le competenze chiave necessarie per la loro attività professionale.

4.8

La proposta attribuisce grande importanza sotto il profilo della coesione sociale, all'acquisizione di competenze da parte delle persone anziane (7). Nel quadro dell'obiettivo prioritario dell'Unione di accrescere l'occupazione, gli Stati membri concentrano sia la loro attenzione che i fondi destinati all'istruzione sulle fasce d'età che beneficiano della formazione iniziale e sulla popolazione attiva. Tuttavia anche la mancanza di competenze nelle persone più anziane solleva, a buona ragione, numerose problematiche. Il divario tra generazioni è già evidente in determinati settori, come per esempio l'alfabetizzazione digitale. Gli obiettivi strategici nazionali adottati dalla maggior parte degli Stati membri, ad esempio nel campo dell'amministrazione elettronica o della disponibilità di informazioni e di servizi importanti per i cittadini in forma digitale, finiscono per far dipendere il diritto all'informazione e la partecipazione alla vita sociale dal possesso di competenze chiave (ad esempio le conoscenze informatiche di base). Di conseguenza, poiché le persone anziane — come del resto altri gruppi meno favoriti — sono escluse dai programmi di acquisizione delle competenze principali, il perseguimento dei suddetti obiettivi può avere conseguenze negative in termini di coesione sociale.

4.9

Dal momento che la realizzazione di un'istruzione basata sulla competenza ha implicazioni particolarmente complesse in materia di politica dell'istruzione, sarebbe estremamente importante avviare in tutta l'Unione un dialogo costante tra esperti del settore e dare poi ampia diffusione alle conclusioni da essi raggiunte. Considerando la complessità della questione sarebbe auspicabile che la Commissione, nel rispetto delle competenze attribuite dal Trattato CE e del principio di sussidiarietà, assistesse gli esperti di politica dell'istruzione degli Stati membri non soltanto nella definizione degli obiettivi, ma anche nell'individuazione dei vari modi di procedere e dei mezzi che si possono utilizzare per concretizzare tali obiettivi, nonché degli eventuali ostacoli (gli scambi di esperienze dovrebbero servire sia a far conoscere gli esempi di buone pratiche, che a trarre insegnamento dagli insuccessi).

5.   Raccolta di dati statistici relativi alla formazione permanente

5.1

La questione della formazione permanente è strettamente legata al progetto di regolamento relativo alle statistiche sull'istruzione e sull'apprendimento permanente (8).

5.2

Detto progetto di regolamento prende le mosse dalla considerazione che, per favorire l'attuazione del metodo aperto di coordinamento nel settore dell'istruzione e della formazione, l'Unione europea ha sempre più bisogno di statistiche e di indicatori comparabili sull'istruzione, la formazione e l'apprendimento permanente.

5.2.1

A tutt'oggi la cooperazione e lo scambio di dati tra Stati membri si fondano su un tacito accordo. Il progetto di regolamento mira a creare una base giuridica grazie alla quale sviluppare un sistema durevole di produzione di dati sull'istruzione, in grado di fungere da base per le discussioni politiche che si svolgono nei vari settori a livello comunitario.

5.2.2

L'obiettivo è quello di predisporre un quadro comprendente tutte le attività esistenti o potenziali in materia di statistiche sull'apprendimento permanente, a esclusione della formazione nelle imprese, di cui si occupa l'indagine di Eurostat sulla formazione professionale continua (CVTS — Continuing vocational training survey) e che è oggetto di un regolamento distinto di recente adozione.

5.2.3

La proposta verte unicamente sulle statistiche concernenti l'istruzione, la formazione e l'apprendimento permanente, da fornire alla Commissione per l'elaborazione di statistiche comunitarie.

5.2.4

L'obiettivo principale del regolamento è quello di stabilire norme statistiche comuni che consentano di ottenere dati armonizzati e, in questo modo, di predisporre un quadro comune per l'elaborazione sistematica di statistiche comunitarie nel settore dell'istruzione e dell'apprendimento permanente.

5.3

È estremamente importante che gli obiettivi strategici dell'Unione europea vengano definiti sulla base di una realistica visione d'insieme dei relativi processi. Almeno altrettanto importante è che le valutazioni effettuate nel corso dell'attuazione delle strategie possano basarsi su rilevazioni e su serie di dati affidabili dal punto di vista metodologico e realizzate in maniera regolare, nonché sulle conclusioni che ne derivano. È inoltre importante disporre di dati e indicatori che permettano di operare raffronti a livello internazionale.

5.3.1

Nella pratica le risorse di formazione sono ripartite in maniera estremamente diseguale. Inoltre il più delle volte la formazione post scolastica destinata agli adulti non conduce ad un riequilibrio, bensì a un aggravamento delle disuguaglianze esistenti (come risulta dai dati raccolti in materia). Un flusso regolare di dati basati su principi e basi metodologiche uniformi potrebbe fornire utili elementi per il monitoraggio e la valutazione di questo aspetto.

5.4

Attualmente vengono svolte varie indagini statistiche parallele, e in grande misura indipendenti l'una dall'altra, nei settori dell'istruzione, della formazione e della formazione degli adulti. I dispositivi per la raccolta di dati dell'Unione europea non sono in grado, neppure con l'ausilio delle nuove indagini statistiche la cui realizzazione comincia attualmente, di coprire l'intero campo d'indagine. Tenuto conto delle caratteristiche di Eurostat, vi è una certa differenza, in termini di contenuto e di orientamento, tra le sue indagini statistiche e quelle di altri organismi analoghi.

5.5

Affinché le risorse possano essere utilizzate adeguatamente è opportuno che nelle raccolte regolari di dati si evitino le sovrapposizioni non giustificate da un punto di vista scientifico; al tempo stesso bisogna tuttavia cercare sistematicamente di rendere in un modo o nell'altro sovrapponibili i dati di indagini differenti. Ciò può essere assicurato solo attraverso una stretta cooperazione scientifica con organismi specializzati esterni all'Unione europea (OCSE, Associazione internazionale per la valutazione del rendimento scolastico — International Association for the Evaluation of Educational Achievement — IEA) e una comparazione con le loro indagini statistiche.

5.6

La situazione attuale impone una stretta cooperazione tecnica con le organizzazioni esterne all'Unione, in quanto la misurazione delle competenze chiave non figura tra le competenze di Eurostat (in tema di misurazione delle competenze possono svolgere un ruolo privilegiato le indagini condotte dall'OCSE, principalmente il programma PISA e il programma per la misurazione delle competenze della popolazione adulta, attualmente in corso di elaborazione e intitolato Programma per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti — PEICA).

5.7

Vi è una forte esigenza di statistiche utili per l'elaborazione delle politiche e di dati che contribuiscano alla valutazione dei progressi compiuti. La richiesta di statistiche aggiornate aumenta sensibilmente; è essenziale che gli Stati membri raccolgano i dati in base a metodologie analoghe e che l'affidabilità e la comparabilità di tali dati vengano messe in primo piano.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

Il funzionamento dei sistemi di raccolta dei dati è particolarmente costoso: consapevole di questo problema, il Comitato ritiene opportuno valutare, nel lungo periodo, la possibilità di accrescere la frequenza, attualmente quinquennale, delle rilevazioni relative all'apprendimento permanente, tenendo conto della capacità degli Stati membri di farsi carico di tale rilevazione. Per quanto riguarda la raccolta dei dati, una soluzione a breve termine potrebbe consistere nell'integrare le grandi indagini statistiche riguardanti i settori politicamente più pertinenti con studi mirati ed eseguiti più di frequente, eventualmente con cadenza annuale, e con indagini di portata più limitata. Tali indagini mirate e le analisi basate sulle relative conclusioni potrebbero consentire di monitorare processi più importanti dal punto di vista politico e di valutare la realizzazione degli obiettivi comunitari in materia di apprendimento permanente.

6.2

Appare legittimo che anche la raccolta di dati relativi alla formazione nelle imprese venga assoggettata al regolamento proposto, dal momento che riguarda un settore importante dell'apprendimento permanente. Una parte di tali misure di formazione, quelle che vengono attuate nelle imprese con almeno dieci dipendenti, è attualmente coperta dall'indagine quinquennale sulla formazione professionale continua. Tale indagine, tuttavia, non fornisce dati sulle misure di formazione eseguite nelle imprese con meno di dieci dipendenti.

Bruxelles, 18 maggio 2006

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere del CESE sul tema Programma d'azione integrato nel campo dell'apprendimento permanente — SOC/176 — relatore: KORYFIDIS- GU C 221 dell'8.9.2005.

(2)  Parere del CESE sul tema Formazione e produttività (SOC/183) del 28.10.2004 — relatore KORYFIDIS — GU C 120 del 20.5.2005.

(3)  Vedere il rapporto Kok sulla valutazione di medio periodo della strategia di Lisbona http://europa.eu.int/comm/lisbon_strategy/pdf/2004-1866-FR-complet.pdf, in inglese, francese e tedesco).

(4)  Il gruppo di lavoro ha dato la priorità al concetto di «competenza», che costituisce una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini; esso ha inoltre utilizzato il concetto di «competenza chiave» per definire le competenze necessarie a tutti. Tale concetto copre le attitudini di base, ma va anche al di là di esse.

(5)  Gruppo di lavoro Competenze di base, relazione di monitoraggio sui progressi realizzati nel 2003 e nel 2004: http://europa.eu.int/comm/education/policies/2010/objectives_en.html#basic (in inglese).

(6)  Parere del CESE sul tema Formazione e produttività (SOC/183) del 28.10.2004 — relatore KORYFIDIS — GU C 120 del 20.5.2005.

(7)  Definizione del target: sono «persone anziane» le persone che non svolgono e/o che hanno cessato definitivamente qualsiasi attività?

(8)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione e allo sviluppo di statistiche sull'istruzione e sull'apprendimento permanente (COM(2005) 625 def. — 2005/0248 (COD)).