ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 108

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

47o anno
30 aprile 2004


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

405a sessione plenaria del 28 e 29 gennaio 2004

2004/C 108/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima — COM(2002) 654 def.

1

2004/C 108/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni — Adeguamento delle politiche a sostegno dell'e-business in un contesto in evoluzione: insegnamenti da trarre dall'iniziativa GoDigital e sfide da affrontare (COM(2003) 148 def.)

23

2004/C 108/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (Versione rifusa) (COM(2003) 418 def. - 2003/0153 (COD))

29

2004/C 108/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da prendere contro l'emissione di inquinanti gassosi e di articolato prodotti dai motori ad accensione spontanea destinati alla propulsione di veicoli e contro l'emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione comandata alimentati con gas naturale o con gas di petrolio liquefatto destinati alla propulsione di veicoli (COM(2003) 522 def. - 2003/0205 (COD))

32

2004/C 108/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofi – mobilità sostenibile – finanziamento

35

2004/C 108/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema promuovere le energie rinnovabili: modalità d'azione e strumenti di finanziamento

45

2004/C 108/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1406/2002 che istituisce un'Agenzia europea per la sicurezza marittima (COM(2003) 440 def. - 2003/0159 (COD))

52

2004/C 108/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla disciplina dell'utilizzazione degli aerei di cui all'allegato 16 della convenzione sull'aviazione civile internazionale, volume 1, parte II, capo 3, seconda edizione (1988) (COM(2003) 524 def - 2003/0207 (COD))

55

2004/C 108/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'utilizzazione di veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada (versione codificata) (COM(2003) 559 def. – 2003/0221 (COD))

56

2004/C 108/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile (COM(2003) 566 def. - 2003/0222 (COD))

57

2004/C 108/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle spedizioni di rifiuti (COM(2003) 379 def. - 2003/0139 (COD))

58

2004/C 108/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni gas fluorurati ad effetto serra (COM(2003) 492 def. - 2003/0189 (COD))

62

2004/C 108/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne degli Stati membri e alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne temporanee tra gli Stati membri (COM(2003) 502 def. - 2003/0193 (CNS) - 2003/0194 (CNS))

65

2004/C 108/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema le industrie culturali in Europa

68

2004/C 108/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE, con riguardo alla possibilità di autorizzare gli Stati membri ad applicare un'aliquota IVA ridotta su taluni servizi ad alta intensità di lavoro (COM(2003) 825 def. - 2003/0317 (CNS))

78

2004/C 108/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1673/2000 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del lino e della canapa destinati alla produzione di fibre (COM(2003) 701 def. – 2003/0275 (CNS))

80

2004/C 108/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali) (COM(2003) 356 def. - 2003/0134 (COD))

81

2004/C 108/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla cooperazione fra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori (regolamento in materia di cooperazione per la tutela dei consumatori) — COM(2003) 443 def. - 2003/0162 (COD)

86

2004/C 108/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla relazione della Commissione XXXII Relazione sulla politica di concorrenza 2002 (SEC(2003) 467 def.)

90

2004/C 108/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (COM(2003) 687 def. - 2003/0273 (CNS))

97

2004/C 108/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema la situazione occupazionale nel settore nell'UE e nei paesi candidati: prospettive di azione per il 2010

101

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

405a sessione plenaria del 28 e 29 gennaio 2004

30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/1


405a SESSIONE PLENARIA DEL 28 E 29 GENNAIO 2004

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima

COM(2002) 654 def.

La Commissione europea, in data 14 gennaio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore PEGADO LIZ, in data 12 novembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 29 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 65 voti favorevoli, e 1 astensione, il seguente parere.

I.   INTRODUZIONE

A)   OBIETTIVI, RAGION D'ESSERE E OPPORTUNITÀ DELL'INIZIATIVA DELLA COMMISSIONE

1.1

L'obiettivo principale perseguito dalla Commissione con la presentazione del Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul suo rinnovamento (COM(2002) 654 def.) del 14 gennaio 2003, di seguito denominato semplicemente «Libro verde», è di «avviare un'ampia consultazione degli ambienti interessati su un certo numero di questioni di ordine giuridico» relative a detti trasformazione e rinnovamento, astenendosi formalmente dal prendere «posizione in merito alla necessità di modernizzare la convenzione di Roma o di trasformarla in strumento comunitario».

1.2

Il Comitato invece intende sin da ora, nell'ambito delle sue competenze specifiche in quanto organo consultivo, esprimere parere favorevole sulla trasformazione della Convenzione di Roma (CR) in strumento comunitario nonché sull'aggiornamento delle sue disposizioni. Il Comitato è del tutto consapevole di svolgere il proprio ruolo consultivo in un settore fondamentale per quanto riguarda non soltanto la regolamentazione di aspetti essenziali per il completamento del mercato interno ma anche, e soprattutto, per la creazione di una società civile europea nell'aspetto cruciale dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (1).

1.3

In diversi pareri, il Comitato si è già pronunciato a favore di una riflessione sull'attualità dei principi della convenzione di Roma e sulle varie difficoltà incontrate nella sua applicazione, a proposito di alcun aspetti generali o settoriali (2).

1.4

Anche per quanto concerne la trasformazione della Convenzione in strumento comunitario, grazie alle nuove possibilità offerte dal Trattato di Amsterdam e relative alla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppate nel Piano d'azione adottato dal Consiglio a Vienna nel 1998 (3) e concretizzate in occasione del Consiglio europeo di Tampere dell'ottobre 1999, il Comitato non può che ribadire quanto sottolineato nei pareri sulla trasformazione della convenzione di Bruxelles in strumento comunitario, sull'attuale regolamento CE 44/2001 del 22 gennaio 2000 (4) e sulla comunicazione della Commissione relativa al diritto contrattuale europeo (5).

1.4.1

Nel primo dei due pareri citati, si afferma in particolare quanto segue: «Il Comitato si compiace del fatto che la Commissione abbia deciso di trasformare la proposta di direttiva in una proposta di regolamento (…) direttamente applicabile», il che «costituisce un progresso considerevole, soprattutto nella misura in cui rafforza la certezza del diritto (…). Per di più, la Corte di giustizia potrà garantire un'applicazione uniforme in tutti gli Stati membri di quanto è disposto dal regolamento».

1.4.2

Nel secondo parere citato, si afferma quanto segue: «È innegabile che gli operatori internazionali sentano il bisogno di un quadro di riferimento universale che sia utilizzabile, stabile, prevedibile e che favorisca la sicurezza e la lealtà delle operazioni, come pure il rispetto delle disposizioni e dei principi pertinenti dell'ordine pubblico internazionale sanciti dalle grandi convenzioni internazionali e dal diritto consuetudinario».

1.4.3

A proposito dell'iniziativa della Commissione all'esame, il Comitato ribadisce pertanto l'opinione favorevole espressa in merito alla trasformazione della convenzione di Bruxelles in regolamento comunitario e sottolinea soprattutto la necessità di trovare, per motivi di coerenza giuridica, una soluzione analoga.

1.5

Il Comitato ritiene inoltre che la Commissione possieda già elementi sufficienti, raccolti in varie fonti (6) e in particolare nei già citati pareri del CESE, per concretizzare un'iniziativa che non solo risulta pienamente giustificata ma che in base a considerazioni di opportunità legate alla prossima adesione di dieci nuovi Stati membri, si consiglia di non ritardare ulteriormente.

1.6

In effetti, i progressi già realizzati o in via di realizzazione su questioni sostanziali o procedurali, tra cui (7) la comunicazione della Commissione sul diritto contrattuale europeo (8) e lo strumento Roma II sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (9), consigliano che, quanto meno, tutti gli aspetti del diritto internazionale privato (DIP) contenuti nei vari strumenti e documenti citati siano raccolti sistematicamente in uno strumento unico direttamente applicabile in tutti gli Stati membri al fine di garantire un'applicazione uniforme delle stesse norme di conflitto in tutti i paesi.

B)   L'IMPATTO SOCIOECONOMICO DELL'INIZIATIVA

1.7

Oltre agli aspetti prettamente tecnico-giuridici relativi al rinnovamento e alla trasformazione della convenzione di Roma in uno strumento comunitario, la Commissione esamina giustamente l'impatto socioeconomico dell'iniziativa e analizza una serie di questioni concernenti l'applicazione di alcune disposizioni di tale strumento.

1.8

Il Comitato condivide la preoccupazione della Commissione e, nel valutare le proposte di aggiornamento degli articoli della convenzione, non può fare a meno di prendere in considerazione gli elementi disponibili sull'impatto delle misure previste, in particolare per quanto concerne aspetti settoriali quali le assicurazioni, i contratti d'affitto, il diritto del lavoro oppure le imprese, in particolare le PMI, e i consumatori.

1.9

In linea di massima, il Comitato intende tuttavia esprimere sin da ora la propria convinzione che un aggiornamento delle disposizioni del DIP, consolidate in un unico strumento comunitario, avrà un impatto estremamente positivo sulle relazioni economiche e sociali all'interno dello spazio comunitario, in quanto contribuirà ad uniformare le norme di conflitto e costituisce pertanto fonte di sicurezza e di fiducia.

1.10

Il corretto funzionamento del mercato interno, più precisamente la libera circolazione e il diritto di stabilimento delle persone fisiche e giuridiche, esige una maggiore certezza del diritto. Dato che ciò implica la stabilità delle relazioni giuridiche, è necessario garantire a quest'ultime una parità di trattamento in qualsiasi Stato membro dell'Unione europea (pur con le limitazioni dettate, ovviamente, dai motivi di ordine pubblico in ciascun paese).

1.10.1

Questo obiettivo si estenderà alla protezione delle legittime aspettative di quanti sono impegnati in relazioni contrattuali tra più paesi, cosa che comporta anche la garanzia della certezza del diritto ad esse applicabile. Questa stabilità si rivelerà inoltre preziosa quando sarà possibile valutare in maniera uniforme le situazioni giuridiche e le relazioni contrattuali nei diversi Stati membri dell'Unione. Il cammino verso tale uniformità viene senza dubbio spianato dall'unificazione delle norme di conflitto, ossia di quelle norme che prevengono o risolvono conflitti di leggi tra paesi diversi.

1.10.2

Ciò comporta una visione unica di tali relazioni e rafforza la certezza del diritto per quanto concerne il modo in cui esse devono essere regolamentate, a tutto vantaggio della programmazione delle attività commerciali e della loro estensione geografica, in quanto non più soggette al timore di una modifica delle norme concernenti le relazioni contrattuali. (10) Si evita così anche il fenomeno detto di forum shopping (11).

1.10.3

Inoltre, l'unificazione delle norme di conflitto favorirà una maggiore prevedibilità del sistema chiamato a governare le relazioni contrattuali tra privati, il che contribuirà a facilitare e a potenziare l'attività commerciale, in quanto i partecipanti, meno preoccupati per il futuro delle loro relazioni, si mostreranno più audaci. (12)

C)   QUESTIONI METODOLOGICHE: IL QUESTIONARIO

1.11

Il Libro verde è rivolto principalmente agli esperti del diritto, in particolare alle università e ai magistrati, alle imprese, agli organismi e alle associazioni di protezione e di difesa dei cittadini, soprattutto dei consumatori. Sotto questo profilo risulta di grande pertinenza il questionario proposto, che copre in modo quasi completo i problemi causati dall'applicazione della Convenzione di Roma.

1.12

Dal canto suo, il Comitato intende raggruppare tali problemi per grandi temi, separando le questioni di carattere generale dalle proposte specifiche e strutturando il presente parere di conseguenza.

1.13

Ai fini della sinteticità e tenuto conto delle ampie informazioni sul piano dottrinale e della giurisprudenza che il Libro verde fornisce per motivare le diverse questioni che la Convenzione di Roma può sollevare e per giustificare le soluzioni offerte in alternativa, il Comitato non riporta tutte le possibili argomentazioni, limitandosi a volte ad elencare i vantaggi delle soluzioni proposte.

1.14

Nelle conclusioni, il Comitato cercherà nondimeno di dare una risposta concisa a ciascuno dei problemi evocati dalla Commissione permettendosi però di sollevare altre questioni e di formulare raccomandazioni sui futuri lavori della Commissione, allo scopo di contribuire all'elaborazione e all'adozione di uno strumento che corrisponda alle attuali necessità di questo settore.

II.   LA BASE GIURIDICA E LO STRUMENTO GIURIDICO DA UTILIZZARE

2.1

Il Comitato concorda sulla base giuridica dell'iniziativa proposta dalla Commissione, ovvero gli articoli 61, lettera c), e 65, lettera b), del Trattato, e condivide le motivazioni addotte. L'iniziativa stessa non rappresenta infatti alcun ostacolo ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, anzi vi si conforma totalmente.

2.2

Per quanto concerne lo strumento comunitario cui far ricorso, la scelta del Comitato si orienta, senza alcuna ambiguità, verso il regolamento, strumento che meglio si adatta alla natura delle norme in questione e all'obiettivo di perseguire la certezza della loro interpretazione e applicazione, da parte sia dei vari organi giudiziari nazionali competenti, sia delle imprese e dei privati nelle loro transazioni.

III.   I PRINCIPI SU CUI SI BASA LA CONVENZIONE E LA LORO RIAFFERMAZIONE

3.1

La CR si basa su alcuni principi e valori fondamentali che formano parte della tradizione ancestrale e del patrimonio comune dei sistemi giuridici degli Stati di diritto. Tra questi principi possono essere annoverati:

il principio dell'autonomia dei singoli individui nell'ambito del DIP, vale a dire il riconoscimento della volontà delle parti come elemento principale di connessione,

l'importanza di alcune norme imperative volte a salvaguardare interessi di ordine pubblico,

il valore della stabilità della vita giuridica internazionale: l'obiettivo di unificazione (con risvolti in termini di interpretazione uniforme) e il principio del favor negotii o del favor validitatis, in materia di forme di contratti e di capacità; il valore della protezione delle apparenze e della fiducia,

la protezione delle aspettative e della certezza del diritto: la tendenza a considerare applicabile la legge avente la più stretta connessione col contratto (orientamento a vocazione universale che certamente favorisce l'armonia delle decisioni); l'importanza della legge dell'ambiente economico e sociale delle parti (Umweltrecht) che consente di scegliere in via suppletiva o alternativa (in materia di esistenza e validità del contratto) la legge del paese di residenza di una delle parti o di entrambe.

3.2

Dato che sul piano materiale i vari ordinamenti prevedono norme di protezione del consumatore o della parte ritenuta più debole (lavoratore, assicurato o detentore di una polizza di assicurazione) non tanto per blandirla con vantaggi superiori a quelli che gli sarebbero dovuti da un tribunale, quanto per ristabilire l'equilibrio e la proporzione propri dell'elemento di obbligo su cui si basa qualsiasi rapporto contrattuale, anche nel DIP, l'orientamento volto a proteggere la parte più debole ha scelto come obiettivo specifico quello di assicurare un effettivo rispetto della teleologia delle norme di conflitto in questa materia, evitando la distorsione del diritto conflittuale che potrebbe derivare dalla scelta della legge applicabile. Può infatti accadere che l'apparenza dell'autonomia nasconda una scelta unilaterale della lex contractus da parte del più forte (ad esempio il professionista, il proprietario, il datore di lavoro, ecc.).

3.3

Inoltre, invocando norme di applicazione necessaria e immediata, si cerca di garantire non solo la realizzazione di quella giustizia commutativa tipica dei contratti, ma anche la presa in considerazione di alcuni obiettivi materiali di natura pubblica che potrebbero entrare in conflitto con l'organizzazione economica e sociale delle nazioni europee, nonché l'eventuale realizzazione di obiettivi derivanti dalla giustizia distributiva.

3.4

Tali orientamenti, che hanno una base più o meno profonda nel DIP, rispondono al desiderio di certezza del diritto, senza ostacolare di massima, l'armonia delle decisioni anche in relazione ai paesi terzi e corrispondono in tal modo alla vocazione a rendere tendenzialmente universali le connessioni scelte. Nonostante la necessità di garantire l'osservanza di taluni interessi di ordine pubblico o di applicare una serie di norme di protezione, derivate o meno dalla trasposizione del diritto comunitario (13), il CESE ritiene che il nuovo regolamento comunitario debba continuare ad ispirarsi essenzialmente a tali principi e valori.

IV.   PRINCIPALI OSSERVAZIONI E PROPOSTE

4.1

Le questioni riguardanti l'applicazione della CR ed il suo futuro possono essere divise in questioni endogene ed esogene. Le prime riguardano le stesse norme della CR e le scelte di valore che ne costituiscono la base, nonché i metodi seguiti; le seconde concernono ad esempio la relazione tra la convenzione e il diritto comunitario e altri strumenti di diritto internazionale pubblico (già conclusi o in fase di preparazione), in particolare quelli volti ad unificare le norme di conflitto o il diritto materiale nel settore dei contratti (14), nonché la relazione da stabilire tra la CR e il regolamento «Bruxelles» (15).

4.2   Struttura

4.2.1

La struttura della CR segue il modello classico delle convenzioni volte ad unificare le norme di conflitto. Pertanto, dopo la definizione del suo campo di applicazione e la dichiarazione del suo carattere universale — nella misura in cui continua ad essere applicata anche quando le sue norme designano come legge applicabile quella di uno Stato non firmatario - la convenzione entra nel tema specifico delle norme di conflitto. Tuttavia, l'inclusione al suo interno di alcune disposizioni suscita alcune riserve.

4.2.2

In primo luogo, ad esempio, dopo le disposizioni dell'articolo 3, la norma di conflitto generale all'articolo 4 contiene talune disposizioni specifiche che si riferiscono a contratti riguardanti gli immobili e il trasporto di merci. Considerando che taluni contratti meritano di essere trattati in articoli a parte, il Comitato ritiene necessario rivedere il duplice criterio di distribuzione delle disposizioni specifiche, se non altro per riconoscere al trasporto merci un diverso livello di specialità (qualora si decidesse di mantenere tale norma - cfr. punti successivi).

4.2.3

In secondo luogo, accanto a norme collegate a questioni riguardanti strettamente il DIP, vi sono norme generali sulle disposizioni transitorie e l'interpretazione uniforme. Per il Comitato è necessario riconsiderare l'inserimento di tali norme nella struttura.

4.3   Campo di applicazione (articolo 1, paragrafo 2)

4.3.1

La CR non ha esteso l'unificazione a tutte le materie conflittuali nel settore contrattuale. Rimangono pertanto fuori del suo campo di applicazione le obbligazioni contrattuali nel settore delle relazioni familiari e delle successioni, le obbligazioni relative a titoli di credito, le questioni societarie, le obbligazioni associate ad attività di rappresentanza o di intermediazione, e infine le questioni relative ai trust e ai contratti assicurativi che coprono rischi localizzati sul territorio comunitario.

4.3.1.1

Alcune di tali esclusioni dipendono in particolare o dall'esistenza di altri strumenti regolatori che già garantivano un'unificazione a livello internazionale o dal fatto che all'epoca erano in preparazione strumenti specifici di unificazione.

4.3.1.2

Il Comitato ritiene opportuno fare il punto della situazione sui lavori intrapresi all'epoca e valutare nuovamente il campo di applicazione in occasione della trasformazione in regolamento.

4.3.2

Alla luce dell'obiettivo di unificazione e del carattere generale delle norme del futuro regolamento, è consigliabile estendere il più possibile il campo di applicazione includendovi, ad esempio, tutti i contratti assicurativi, eliminando i paragrafi 3 e 4 dall'articolo 1 e lasciando al diritto comunitario e agli ordinamenti interni la compatibilità di tali norme con le eventuali norme imperative di recepimento in materia assicurativa (16).

4.4   Carattere universale (articolo 2)

4.4.1

Il Comitato giudica opportuno mantenere l'opzione a favore del carattere universale del regolamento, come nel caso della CR, riconoscendone l'applicabilità delle norme di conflitto anche laddove venga designata la legge di un paese terzo. Un'opzione diversa potrebbe essere quella di riconfigurare l'ambito materiale del regolamento, limitandolo ad esempio alla risoluzione di un conflitto di leggi in determinati contratti; essa comporterebbe la difficoltà di precisare che cosa è un contratto comunitario, un contratto che ha un'influenza o che è in grado di produrre effetti sulla vita giuridica ed economica della Comunità o sul territorio della Comunità.

4.4.2

Dal punto di vista degli obiettivi della politica legislativa comunitaria, inoltre, non sarebbe sufficiente applicare le norme di conflitto unificate solo nella misura in cui esse designino come applicabile la legge di uno Stato membro e non farlo negli altri casi, anche se gli effetti di un contratto si facessero sentire con forza sul territorio o nella vita della Comunità, lasciando in tal caso alle legislazioni nazionali e ad altre norme comunitarie il compito di garantire il perseguimento di determinati obiettivi comunitari di protezione.

4.5   La libertà di scelta (Electio iuris) (articolo 3) (17)

4.5.1

Per quanto riguarda la possibilità di scegliere un corpus normativo non nazionale, che si tratti di principi generali del diritto o, come nel campo della cosiddetta lex mercatoria, di usi o di norme consuetudinarie dell'attività commerciale, messe o meno per iscritto e organizzate o meno per entità corporative internazionali, data la complessità intrinseca di uno studio di tali insiemi normativi e considerati la riluttanza ad accettare una designazione di questo tipo, la pratica giurisprudenziale, lo spirito delle legislazioni nazionali, l'attuale evoluzione di questi corpi normativi e il loro carattere frammentario, il Comitato giudica consigliabile mantenere l'approccio adottato dalla CR, vale a dire quello che stabilisce che la electio iuris deve ricadere su un ordinamento di origine statale (18).

4.5.2

Per quanto concerne la possibilità di scelta del regime contenuto in una convenzione internazionale, è opportuno specificare che occorre accettare il fatto che una scelta di questo tipo può assumere valore per la risoluzione di un conflitto, sempre che la convenzione in questione stipuli che la volontà delle parti è una delle condizioni per la sua applicabilità (19). Una scelta di questo tipo sarebbe soggetta alle normali limitazioni imposte dagli altri obblighi internazionali cui è vincolato il foro, dalle sue regole di applicazione necessaria e immediata e dall'ordine pubblico internazionale (20).

Il problema è diverso quando la scelta ricade su una convenzione della quale lo Stato del foro è parte e quando detta convenzione prevede che il suo regime sia applicabile in virtù della scelta delle parti: in questo caso il regolamento dovrà garantire di non pregiudicare l'applicazione delle convenzioni speciali alle quali gli Stati sono o saranno vincolati a livello internazionale (articoli 21 e 24).

4.5.3

Per quanto concerne gli accordi sulla scelta della giurisdizione e le clausole di arbitrato, il collegamento tra le questioni procedurali (che saranno disciplinate dalla lex fori e, quando il caso rientra nella sfera materiale di applicazione del regolamento«Bruxelles I», dalle norme ivi contenute, oltre che eventualmente da altre norme di origine internazionale) e le questioni contrattuali permette di continuare ad escludere tale materia, anche se ciò va a scapito dell'auspicata uniformità.

4.5.3.1

Tuttavia, laddove si opti per l'adozione di una norma in materia, bisognerà sempre garantire la salvaguardia delle disposizioni del diritto comunitario e degli strumenti internazionali, siano essi generali o specifici. Si dovranno inoltre esaminare attentamente gli aspetti di carattere puramente contrattuale da sottoporre a questa eventuale norma sui conflitti, lasciando agli Stati la regolamentazione degli aspetti e degli effetti di natura procedurale riguardanti la loro organizzazione giurisdizionale.

4.5.3.2

Una volta definito il campo di applicazione di questa norma, la sua scelta nell'ambito dei conflitti potrebbe indicare la lex contractus, ossia la legge applicabile per la regolamentazione di un contratto, nella misura in cui quest'ultimo esista e sia valido.

4.5.4

I problemi sollevati dalla verifica dalla determinazione tacita delle parti, una questione concreta e dipendente dalle circostanze specifiche di ogni singolo caso, devono essere lasciati alla valutazione del giudice nell'ambito dell'attività probatoria, conformemente alle norme procedurali.

4.5.5

Per quanto riguarda infine la scelta posteriore o la modifica posteriore della legge scelta dalle parti (articolo 3, paragrafo 2), pur essendo ammessa in base all'interpretazione delle norme e alla teleologia della norma di conflitto della CR, il Comitato ritiene opportuno chiarire che un'opzione del genere potrebbe avere effetti ex tunc, a condizione che venga salvaguardata la posizione dei terzi.

4.6   Legge applicabile in mancanza di scelta (articolo 4)

4.6.1   L'enunciazione del principio di prossimità (collegamento più stretto) (articolo 4, paragrafo 1) (21)

4.6.1.1   La questione

La necessità o meno di attenuare il grado di flessibilità nella determinazione della legge applicabile, qualora non vi sia electio legis, oppure l'esigenza di limitare, quanto meno, il grado di apparente flessibilità, che finisce per non essere auspicata dalla stessa CR quando le presunzioni di cui all'articolo 4, paragrafo 2 vengono interpretate in un certo modo, sono ancora oggetto di dibattito.

4.6.1.2   La proposta

Una soluzione potrebbe consistere nel sopprimere l'enunciazione verbale del principio di prossimità di cui all'articolo 4, paragrafo 1. È chiaro che il principio del «collegamento più stretto» (most significant relationship, engste Beziehung) ha ispirato le opzioni suppletive in materia di conflitto ma la situazione risulterà altrettanto chiara sopprimendo la norma di cui al paragrafo 1.

Inoltre, ciò permetterebbe di chiarire il valore delle norme ai paragrafi successivi, il che contribuirebbe ad appianare le divergenze circa il valore delle presunzioni di cui agli attuali paragrafi 2, 3 e 4. Di conseguenza, in queste norme le connessioni pertinenti non indicherebbero più le presunzioni per l'identificazione del collegamento più stretto ma verrebbero considerate connessioni suppletive, generali o specifiche, sempre soggette alla riserva rappresentata dalla clausola dell'eccezione finale.

La clausola d'eccezione di cui al paragrafo 5 dovrebbe dunque rimanere inalterata. Ad essa potrebbe essere aggiunta la facoltà del giudice di procedere al «frazionamento» del contratto, attualmente prevista all'articolo 4, paragrafo 1, seconda frase.

4.6.2   La nozione di «prestazione caratteristica» (articolo 4, paragrafo 2) (22)

4.6.2.1   La questione

Si suggerisce di precisare la nozione di prestazione caratteristica, punto centrale per la determinazione della legge applicabile in via suppletiva. Tuttavia, esistono non solo diverse concezioni dottrinali relative al criterio di identificazione di detta prestazione, ma anche casi in cui l'osservazione delle circostanze specifiche di una singola fattispecie fornisce un contributo prezioso a tale identificazione, in particolare grazie alla presa in considerazione del carattere innovativo di determinati contenuti contrattuali, più o meno complessi.

4.6.2.2   La proposta

Indipendentemente dalla fiducia che si può avere in un'attenta ponderazione da parte del giudice, il Comitato ritiene opportuno stilare un elenco, a titolo puramente esemplificativo, di prestazioni caratteristiche per i casi più specifici. Un elenco del genere potrebbe in effetti essere già diffuso; inoltre, il giudice avrà sempre ricorso alla clausola di eccezione di cui all'articolo 4 (anche se bisogna riconoscere che se il giudice decidesse di non tener conto di detto elenco dovrebbe apportare controprove più ampie di quelle che già è tenuto a fornire qualora faccia ricorso alla clausola di eccezione). Tuttavia, il vantaggio di un elenco del genere consiste in un eventuale potenziamento della certezza del diritto, basata sulla prevedibilità, considerato il valore normativo che sempre riveste un'indicazione di questo tipo, valore però alquanto attenuato dal suo carattere esemplificativo e, in alcuni casi, tipicamente generico.

4.6.3   I contratti locativi di breve durata (23)

4.6.3.1   La questione

In linea di principio, attualmente, a questo tipo di contratti si applica a titolo suppletivo la legge del paese in cui l'immobile è ubicato (articolo 4, paragrafo 3). Tali contratti di affitto di breve durata («affitto in località di villeggiatura») sono però spesso stipulati tra parti non risiedenti o non stabilite nei paesi in cui è situato l'immobile oggetto del contratto. Inoltre il locatario ha minori possibilità di conoscere le disposizioni vigenti della lex rei sitae rispetto alla controparte. Può tuttavia verificarsi che le norme di conflitto del paese in cui è sito l'immobile stabiliscano che la legge applicabile è la lex rei sitae in quanto al di fuori del campo di applicazione del regolamento. Potrebbe d'altra parte essere necessario rispettare le norme vincolanti o di ordine pubblico della lex rei sitae.

4.6.3.2   La proposta

Il Comitato ritiene che occorra considerare la possibilità di applicare a tali contratti non la lex rei sitae bensì la lex domicilii communis identificando in tal modo la legge applicabile in via suppletiva, attraverso una serie di connessioni indicanti il regime giuridico dell'ambiente economico e sociale di entrambe le parti, a condizione che il locatario sia una persona fisica (e tenendo presente che il regolamento «Bruxelles I», all'articolo 22, paragrafo 1, attribuisce la competenza giurisdizionale anche ai tribunali di un altro Stato membro se entrambe le parti vi hanno residenza). Eventualmente potrebbe rivelarsi necessario prendere in considerazione o applicare alcune disposizioni imperative di ordine pubblico della lex rei sitae qualora la loro osservanza non fosse adeguatamente salvaguardata dalle disposizioni di cui all'articolo 7 (inoltre la lex rei sitae può sempre essere invocata in virtù della clausola generale di eccezione).

4.6.4   Il contratto di trasporto di merci (articolo 4, paragrafo 4)

4.6.4.1   La questione

Si tratta di determinare se un contratto del genere può essere trattato separatamente, considerato che la legge applicabile in via suppletiva si basa su una serie di connessioni che ruotano intorno al luogo di stabilimento del vettore, anche se si fa riferimento alla sua sede principale.

4.6.4.2   Proposta

Sebbene la Commissione non abbia sollevato la questione, il Comitato ritiene che, considerata la salvaguardia rappresentata dalla clausola di eccezione di cui all'attuale articolo 4, paragrafo 5, non sarebbe sbagliato eliminare la norma di cui all'articolo 5, paragrafo 4, relativa al trasporto di merci, trasporto che resterebbe soggetto alla norma suppletiva generale. Inoltre, l'obiettivo di protezione del trasportatore, che ha permeato diversi regimi materiali uniformi relativi a diversi tipi di trasporto merci, non richiede una formulazione come quella attuale in quanto l'impossibilità di concretizzare le connessioni imporrebbe il ricorso alla norma generale di cui al paragrafo 1 o alla norma di cui al paragrafo 2.

4.7   Contratto concluso dai consumatori (24)

4.7.1   Alcune questioni

4.7.1.1

È generalmente riconosciuto che le disposizioni della CR non miravano a proteggere i consumatori o altre «parti deboli» di un contratto. Di conseguenza, il regime che ne deriva, nel suo insieme, non è il più adeguato a garantire un'effettiva tutela dei consumatori. (25)

4.7.1.2

Occorre quindi risolvere diversi problemi perché il sistema creato dal nuovo regolamento possa tenere nella debita considerazione la posizione particolarmente sfavorevole del singolo consumatore nei contratti internazionali, specie laddove questi si trovi dinanzi a contratti standard, i cosiddetti «contratti di adesione» in settori di carattere altamente tecnico, quali i servizi finanziari o elettronici. Tra i problemi da risolvere si possono sottolineare i seguenti: il concetto di consumatore; la definizione dei contratti con i consumatori che possono essere coperti dalle disposizioni dell'articolo 5 (l'attuale esclusione di taluni consumatori «mobili» o «attivi»; l'esclusione di determinati contratti concernenti gli immobili e di eventuali prestazioni collegate con l'uso degli immobili come ad esempio la multiproprietà; la presa in considerazione di contratti stipulati grazie ai nuovi strumenti elettronici, attraverso i quali il contratto è stato pubblicizzato e/o l'offerta contrattuale è stata comunicata); l'adeguamento dell'elemento suppletivo di connessione scelto nell'attuale CR; l'esigenza di conciliare le disposizioni degli articoli 4, 5 e 9; l'attuale esclusione dei contratti di trasporto semplici; la relazione con il regolamento «Bruxelles I». Bisogna tuttavia fare in modo di non sconvolgere la regolamentazione onde garantire che in un contratto la posizione dell'operatore professionale non venga eccessivamente svantaggiata rispetto al consumatore, considerato che nell'ambito del DIP è importante anche proteggere le aspettative e garantire la sicurezza giuridica dell'operatore.

4.7.2   Proposte

4.7.2.1

Articolo 5, paragrafi 1 e 2. Si consiglia di inserire i consumatori «mobili» e «attivi» in questa norma specifica concernente i contratti con i consumatori.

4.7.2.1.1

Per quanto concerne la complessa questione degli strumenti elettronici, sarà opportuno definire un'unica norma di conflitto per i contratti con i consumatori, che si tratti o meno di commercio elettronico, per non scoraggiare l'eventuale ricorso a tali strumenti.

4.7.2.1.2

Pertanto, al fine di conseguire questi due obiettivi, la definizione dell'ambito materiale di applicazione della norma di cui all'articolo 5 non dovrebbe tener conto della localizzazione di alcuni elementi, attualmente considerati significativi, come l'offerta contrattuale, la pubblicità del bene o del servizio, la formulazione della dichiarazione della volontà contrattuale o, in generale, gli atti necessari per la stipula del contratto.

4.7.2.1.3

Dovranno dunque rimanere al di fuori del campo di applicazione della norma i casi in cui il consumatore, senza essere stato convinto o incoraggiato dal fornitore, si sposti nel paese di quest'ultimo, oppure i casi in cui debba assolutamente ottenere ovvero ottenga effettivamente il bene e la prestazione in quel paese.

4.7.2.2

Articolo 5, paragrafo 1. Il Comitato propone di estendere il disposto dell'articolo 5 ai contratti concernenti beni immobili: diritto reale di occupazione periodica o contratto di multiproprietà.

4.7.2.3

Articolo 5, paragrafo 3. È opportuno considerare l'eventualità di applicare la norma suppletiva dell'articolo 4 e di sostituire l'attuale criterio suppletivo del ricorso alla legge vigente nel paese di residenza del consumatore. Questa soluzione continua a tutelare la sicurezza e le aspettative di entrambe le parti. Inoltre non è detto che la legge del paese di residenza del consumatore sia materialmente più favorevole a quest'ultimo.

4.7.2.4

Articolo 5, paragrafi 2 e 3. Il limite minimo di protezione materiale del consumatore dovrà continuare ad essere garantito dalle disposizioni imperative della legge del paese di residenza abituale. Questa prevarrebbe sul regime previsto dalla legge applicabile in virtù degli articoli 3, 4 e 9, tranne nel caso in cui il fornitore possa adeguatamente provare di non essere a conoscenza, nonostante tutta la sua possibile diligenza, del luogo di residenza del consumatore.

4.7.2.5

Articolo 5, paragrafo 2. Per quanto concerne il contratto stipulato a distanza con l'uso di strumenti elettronici e la presa in considerazione del consumatore «mobile» rispetto alla protezione delle legittime aspettative del fornitore, bisognerebbe stabilire che il limite minimo di protezione della lex domicilii non può essere invocato qualora il fornitore dia prova di non essere a conoscenza del luogo di residenza del consumatore oppure dimostri che detta circostanza non è dovuta a negligenza bensì alla reticenza del consumatore; egli deve, in altri termini, dimostrare che la mancata conoscenza è imputabile al consumatore (cosa che non succederebbe, ad esempio, se, in un contratto stipulato con strumenti elettronici, il fornitore non avesse dato al consumatore la possibilità di inviargli i dati relativi alla sua residenza).

4.7.2.6

Articolo 5, paragrafi 2 e 3. Non si considera necessario estendere al massimo la protezione materiale del consumatore, ad esempio attraverso una norma di connessione multipla alternativa, in quanto ciò sarebbe in contraddizione con quanto affermato a proposito dell'interpretazione attuale del principio di protezione della parte più debole. È sufficiente garantire un limite minimo di protezione, non pregiudicare inutilmente il valore della sicurezza e della certezza di entrambe le parti e non annullare totalmente l'importanza della volontà contrattuale anche in questo settore.

Il Comitato è pertanto dell'avviso che il contratto stipulato con i consumatori potrebbe essere soggetto alle norme generali di conflitto (gli attuali articoli 3, 4 e 9), ferma restando l'impossibilità di ridurre la protezione offerta al consumatore dalle norme vincolanti del suo paese di residenza, a meno che il fornitore ignori in buona fede il luogo di residenza della controparte. L'onere della prova di tale mancata conoscenza incombe sempre al fornitore a prescindere dalla possibile diligenza di cui questi faccia prova.

4.7.2.7

Articolo 5, paragrafi 4 e 5. Il Comitato considera ingiustificata l'esclusione dei contratti semplici di trasporto dal campo di applicazione della norma di cui all'articolo 5, anche se ciò comporta il ricorso a diverse leggi per i diversi crediti relativi ad una stessa operazione di trasporto. A suo avviso, è più opportuno mantenere un'esclusione del genere all'articolo 15 del regolamento «Bruxelles I» al fine di concentrare tutte le cause in una stessa sede giurisdizionale.

4.7.2.8

Potrebbe non essere necessario prevedere in questo articolo il ricorso a talune norme imperative di uno Stato membro, nella misura in cui il contratto stipulato con il consumatore presenti una connessione diversa dal paese di residenza di quest'ultimo (connessione che potrebbe corrispondere al luogo in cui l'offerta al pubblico viene proposta o reclamizzata - cfr. la legge tedesca del 27 giugno 2000) (26) considerando sia le proposte relative ai cosiddetti contratti «intracomunitari» sia il disposto dell'articolo 7, paragrafo 1, anche se in questo caso la decisione di applicare tali disposizioni potrebbe sempre dipendere dal giudice (oltre alle ben note riserve sul tipo di disposizioni previste nell'ambito di detta norma).

4.7.2.9

Dato che le ragioni che giustificano il favor personae stabilito dalla CR e dal regolamento «Bruxelles I» sono le stesse, nonostante le norme di conflitto contengano disposizioni diverse per via dei diversi obiettivi perseguiti dai due strumenti, il Comitato giudica necessario allineare l'articolo 15 del regolamento «Bruxelles I» all'eventuale estensione del contratto con i consumatori in virtù dell'articolo 5, soprattutto laddove non si tenga conto della localizzazione di taluni atti che precedono il contratto o che servono per la sua stipula (cfr. l'articolo 15, paragrafo 1, lettera c).

4.8   I contratti di lavoro (27)

4.8.1   Alcune questioni

Anche per quanto concerne i contratti di lavoro sono state sollevate diverse questioni. Il Comitato sottolinea in particolare: il confronto della CR con le norme comunitarie sul distacco temporaneo e le diverse nozioni di distacco; il problema di accertare se la stipula di un nuovo contratto con un membro del gruppo del datore di lavoro iniziale mette fine o meno al distacco per quanto concerne gli effetti dell'applicazione della rispettiva norma di conflitto; il problema della necessaria applicazione delle norme di recepimento del diritto comunitario in materia di distacco; il problema del lavoro effettuato a bordo di taluni mezzi di trasporto internazionali soggetti a registrazione o su piattaforme situate in alto mare; il ruolo delle convenzioni collettive nelle relazioni di lavoro internazionali e la questione delle convenzioni collettive internazionali.

4.8.2   Proposte

4.8.2.1

Senza voler pregiudicare la libera scelta della legge applicabile, così come definita all'attuale articolo 6, il Comitato ritiene opportuno confermare l'applicabilità della legge del luogo abituale in cui viene effettuato il lavoro, a condizione che si tratti di un distacco temporaneo e specificando che la stipula, nel paese di accoglienza, di un contratto con un datore di lavoro che fa parte dello stesso gruppo del datore di lavoro iniziale non impedisce il proseguimento del distacco.

4.8.2.2

Il Comitato propone tuttavia di prendere in considerazione la necessità di includere una disposizione che garantisca l'applicazione delle norme di recepimento della direttiva 96/71 nel paese di accoglienza (28).

4.8.2.3

Per quanto concerne la nozione di «distacco», nonostante i vari tentativi di definizione e tenuto conto dei diversi contesti possibili e delle circostanze specifiche dell'attività imprenditoriale, risulta più opportuno che il concetto continui a non essere definito in modo rigido (sia ex ante che ex post) lasciando al giudice il compito di valutare in concreto l'esistenza di un distacco temporaneo.

4.8.2.4

In merito al lavoro prestato a bordo di navi o aeromobili che effettuano tratte internazionali, nonché di piattaforme site in alto mare, nonostante il contributo della già citata relazione sulla CR e il possibile accordo nell'ambito del diritto internazionale, si potrebbe cogliere l'opportunità per addivenire ad una soluzione specifica di queste ipotesi di lavoro, facendole rientrare nel criterio suppletivo di cui all'articolo 6, paragrafo 2, lettera b) e mantenendo sempre la clausola di eccezione prevista all'articolo 6, paragrafo 2, in fine.

4.8.2.4.1

In tal modo, si contribuirebbe ad allontanare la tendenza a considerare extraterritoriali tali mezzi di trasporto e ad applicare la legge dello Stato di bandiera la quale, come è noto, non rappresenta sempre la connessione più significativa con il caso in questione, soprattutto se si tiene conto del fenomeno delle bandiere di compiacenza, convenienza o bandiere ombra.

4.8.2.4.2

Pertanto, senza pregiudizio dell'attuale articolo 6, paragrafo 1, la legge del luogo di stabilimento dell'impresa che ha stipulato il contratto con un lavoratore sarebbe applicabile se il lavoratore stesso non svolgesse abitualmente la sua attività in quel paese, oppure lavorasse a bordo di un mezzo di trasporto soggetto a registrazione non circolante nello stesso paese, su una piattaforma in alto mare o su un territorio non soggetto alla sovranità di uno Stato, a meno che non ci sia un'altra legge che presenti connessioni più forti, considerate le specificità del caso.

4.8.2.5

Per quanto concerne le convenzioni collettive in vigore nei paesi interessati da una relazione di lavoro plurilocalizzata, in conformità della dottrina internazionale e nonostante il dibattito sulla natura dogmatica delle stesse convenzioni, il Comitato ricorda che saranno applicate le clausole in esse contenute nella misura in cui assumano carattere di norme imperative nel sistema di una delle leggi pertinenti, vuoi in virtù dell'articolo 6 (in quanto si tratta di una convenzione del paese della legge prescelta, o della lex loci laboris o ancora della legge del luogo in cui è stabilita l'impresa contraente), vuoi in virtù dell'articolo 7.

4.8.2.6

D'altro canto, bisognerebbe cogliere l'opportunità per chiarire se il regolamento si applica alle cosiddette convenzioni collettive internazionali. La specificità di questo caso, anche se non sviluppato nella pratica internazionale, e la controversia teorica sulla natura delle convenzioni collettive sono un motivo sufficiente per giustificare questa riflessione.

4.8.2.6.1

In realtà, le soluzioni legislative nel settore del diritto del lavoro potranno essere ravvicinate in maniera più adeguata nel quadro delle attività comunitarie di unificazione o allineamento del diritto sostanziale degli Stati membri, attività tra le quali si possono annoverare l'elaborazione di convenzioni collettive internazionali e/o comunitarie, o la definizione delle condizioni per una loro elaborazione. Si tratterà pertanto di uno sforzo e di un impegno che non si situeranno sul mero piano delle norme di conflitto, di cui si occuperà il regolamento, bensì su quello del ravvicinamento delle disposizioni di diritto sostanziale.

4.9   Il diritto reale di occupazione periodica e il contratto di multiproprietà (cfr. punto 4.6.)

4.9.1   La questione

Considerati l'ambito più esteso dell'articolo 15, paragrafo 1, lettera c) del regolamento «Bruxelles I», che non fa più esclusivamente riferimento a beni mobili, nonché il contenuto di questo tipo di contratto e la posizione delle parti generalmente interessate, il Comitato si chiede se la protezione offerta nei contratti stipulati con i consumatori non dovrebbe essere valida anche quando si tratti della messa a disposizione di un bene immobile, soprattutto alla luce delle proposte di modifica del criterio suppletivo che serve a determinare la legge applicabile ai contratti con i consumatori (e dunque, il ricorso all'attuale articolo 4, paragrafi 3 e 5).

4.9.2   La proposta

Il Comitato propone di estendere il concetto quadro dell'articolo 5 includendovi un riferimento ai beni immobili. Le norme della lex rei sitae permangono di pertinenza, in particolare quelle di protezione che derivano dal recepimento del diritto comunitario (in una nuova formulazione dell'articolo 5, questa legge continuerà ad essere la legge suppletiva applicabile, in virtù sia dell'articolo 4, paragrafo 3, sia dell'articolo 7, sia dell'articolo 9, paragrafo 6).

4.10   Le leggi di polizia e sicurezza, le norme di applicazione necessaria e immediata, le disposizioni (per la trasposizione o meno delle direttive comunitarie) che impongono la loro applicazione a prescindere dalla competenza del rispettivo ordinamento giuridico (29)

4.10.1   Alcune questioni

Questi concetti sollevano un certo numero di questioni complesse tra le quali si sottolineano le seguenti: la compatibilità delle norme di cui agli articoli 5, 6, 7 e 9, paragrafo 6 con quelle di cui all'articolo 10, paragrafo 2 e il diverso modo in cui il giudice è tenuto a considerarle (margine di valutazione previsto all'articolo 7, paragrafo 12); le difficoltà insite nel tentativo di specificare quali disposizioni devono essere inserite all'articolo 7 e il compito del giudice in materia; le disparità nel recepimento delle direttive da parte dei vari paesi e il problema del mancato recepimento, problematiche che non sembrano riguardare il settore specifico delle norme di conflitto quanto piuttosto lo sforzo di armonizzazione; il possibile ostacolo che le «leggi di polizia» o le norme di applicazione necessaria ed immediata possono rappresentare per la realizzazione degli obiettivi legati al mercato unico e alle sue libertà; la necessità, dal punto di vista degli obiettivi del diritto internazionale privato, di conciliare le soluzioni trovate con l'obiettivo di armonizzare le decisioni a livello internazionale e anche a livello comunitario, evitando una diversa valutazione delle stesse, in particolare all'interno del territorio comunitario.

4.10.2   Le proposte

4.10.2.1

Il Comitato raccomanda di sostituire l'attuale articolo 3, paragrafo 3, relativo ad un contratto oggettivamente interno (dato che, anche in assenza di una norma esplicita, l'orientamento sarà necessariamente mantenuto); una norma di conflitto non deve infatti essere oggetto di ricorso in una situazione puramente interna. Il riferimento fatto dalle parti ad una legge straniera nell'ambito di un contratto interno non potrà mai precludere l'applicazione delle norme imperative dell'ordinamento giuridico su cui si basano tutte le connessioni obiettive.

4.10.2.1.1

Pertanto, tale riferimento non dovrà essere visto come attinente ad un conflitto (kollisionsrechtliche Verweisung), ma avrà necessariamente valore di riferimento puramente materiale o di semplice inclusione materiale (materiellrechtliche Verweisung). In altre parole, sarà l'espressione della libera scelta nel campo del diritto sostanziale interno e non l'espressione della libera scelta delle norme di conflitto effettuata dalle parti, le quali potranno scegliere liberamente la legge applicabile solo se il loro contratto presenta connessioni con diversi Stati.

4.10.2.1.2

Il posto lasciato vuoto dall'eliminazione di questa norma (articolo 3, paragrafo 3) potrebbe essere occupato, in quanto luogo ideale per il suo inserimento, da una norma che preveda il concetto di contratto oggettivamente «intracomunitario» al quale vadano sempre applicate, a prescindere dalla scelta della legge di un paese terzo, le norme imperative del diritto comunitario o di recepimento del diritto comunitario in vigore nell'ordinamento giuridico applicabile in via suppletiva.

4.10.2.1.3

Il Comitato ritiene che tale limitazione dovrebbe intervenire solo se tutte le connessioni oggettive previste dal contratto legassero quest'ultimo agli Stati membri. Tuttavia, considerando in particolare la possibilità di effettuare o modificare la scelta della legge applicabile dopo la stipula di un contratto, l'insieme delle connessioni del contratto all'interno del territorio comunitario dovrebbe riferirsi al momento della scelta della legge e non, come proposto dal Libro verde, al momento della stipula del contratto.

4.10.2.1.4

In questo modo sarà possibile garantire rapidamente il rispetto di un livello minimo di efficacia del diritto comunitario derivato, a condizione che le parti facciano la professo iuris in un contratto «intracomunitario».

4.10.2.2

Il Comitato reputa che si dovrebbe vagliare l'opportunità di inserire una norma generale che preveda l'applicazione delle norme imperative di protezione derivanti dalla trasposizione del diritto comunitario, a condizione che il contratto presenti una connessione diretta con uno Stato membro (in questo caso si applicano le regole di trasposizione di tale paese), come per la legge tedesca del 2000.

4.10.2.2.1

Tuttavia, ci si potrebbe limitare a riconoscere che le disposizioni di cui all'articolo 7 (che lasciano sempre al giudice un certo margine di valutazione) insieme al primato del diritto comunitario e agli articoli 3, paragrafi 3, 5, anche con le necessarie modifiche (cfr. punti precedenti, che consentono di rendere applicabile in via suppletiva la legge indicata all'articolo 4 fatto salvo unicamente il quadro minimo di protezione) e 6 (che obbliga ad applicare talune norme di recepimento di determinati ordinamenti giuridici, in particolare di quello che risulterebbe applicabile all'oggetto o di quello del paese di accoglienza del lavoratore distaccato) bastano ai fini di detta applicazione (30).

4.10.2.3

D'altro canto, oltre a quanto sostenuto a proposito dell'articolo 3, paragrafo 3, è opportuno ribadire che le disparità di recepimento delle direttive a livello nazionale e il problema del mancato recepimento sono problemi che sembrano esulare dal settore specifico delle norme di conflitto e riguardare invece lo sforzo di armonizzazione. Spetta agli Stati membri assicurare, nella loro legislazione interna, la realizzazione degli obiettivi del diritto comunitario nei casi coperti dalle direttive.

4.10.2.4

Sarebbe opportuno che, malgrado il carattere potenzialmente equivoco del titolo, che evoca un certo passato concettuale delle «leggi di polizia», la definizione delle norme all'articolo 7 venisse mantenuta sul piano formale. In altre parole, occorre fare riferimento al carattere immediato dell'applicazione di dette norme, indipendentemente cioè dalla legge applicabile in virtù delle norme di conflitto, piuttosto che optare per un'impostazione sostanziale delle stesse legata al loro oggetto o al loro contenuto.

4.10.2.4.1

In realtà, le disposizioni dell'articolo 7 non sono altro che un ulteriore sforzo per armonizzare le decisioni o ancora per promuovere l'applicazione di talune norme di recepimento del diritto comunitario che potrebbero non essere applicate in virtù di altre disposizioni della CR (o anche a causa di un recepimento incompleto in uno degli ordinamenti nazionali di cui bisogna tener conto alla luce di una delle norme di conflitto, o ancora in caso di mancato recepimento). Questo tuttavia non sembra essere il loro obiettivo normativo fondamentale, tanto più che l'articolo 7, paragrafo 1, presenta un carattere universale.

4.10.2.5

Per quanto concerne le leggi di polizia e sicurezza o le norme di applicazione necessaria e immediata dei paesi terzi, giova riflettere sul mezzo migliore per realizzare tanto il principio di armonia giuridica internazionale, cui tende il DIP, quanto l'obiettivo unificatore che informa la CR ed il futuro regolamento (31).

4.10.2.5.1

Ammettendo che sia preferibile accettare la presa in considerazione o l'applicazione di queste norme provenienti da altri ordinamenti giuridici, al fine di dare concretezza ai valori propri del DIP, si ritiene sufficiente attribuire al giudice un margine di valutazione, come avviene già attualmente. Bisogna infatti tener presente che il giudizio sulla necessità di detta applicazione o presa in considerazione, nella misura in cui corrisponde agli obiettivi del DIP, presuppone un'analisi approfondita delle circostanze del caso e del contenuto globale di detti ordinamenti giuridici terzi (il testo prevede inoltre che il giudice tenga conto in maniera adeguata della natura, dell'oggetto e delle possibili conseguenze di un eventuale non ricorso a tali norme e che le conseguenze vengano sempre messe a confronto con gli effetti della loro applicazione o presa in considerazione).

4.10.2.5.2

Questo margine di valutazione potrebbe essere sufficiente, visto soprattutto che i rischi per la sicurezza e per la prevedibilità sono già stati presi in considerazione nel momento in cui dette norme sono state stabilite. Precisare in modo eccessivo le condizioni di applicazione o di presa in considerazione delle stesse potrebbe risultare estremamente difficile, se fatto in astratto, e finire col condizionare il giudice al punto di impedirgli di valutare adeguatamente le esigenze di certezza del diritto per ciascun caso specifico. Un numero elevato di precisazioni metterebbe dunque a repentaglio l'obiettivo iniziale delle stesse norme.

4.10.2.6

Considerando la già affermata prevalenza del diritto comunitario, e nonostante il suo interesse pedagogico, occorre riflettere sull'effettiva necessità di sancire espressamente l'orientamento della causa Arblade vale a dire l'opportunità di inserire un'osservazione all'articolo 7 per ricordare che le norme imperative di applicazione necessaria e immediata non devono comportare ostacoli ingiustificati alle libertà di circolazione previste nel diritto primario.

4.11   La forma dei contratti e il commercio elettronico (cfr. punto 4.6) (32)

4.11.1   La questione

Alla luce delle difficoltà di localizzazione provocate dai nuovi strumenti elettronici e delle necessità che questi ultimi, data la loro utilità, non vengano discriminati, il Comitato si chiede se non convenga adottare una regola unica, indipendentemente dai mezzi dei quali le parti si servono per la stipula del contratto, che continui a dare validità formale al contratto stesso.

4.11.2   La proposta

Da un punto di vista formale, la designazione della lex causae potrà dipendere dalla scelta tra la lex contractus, la legge del luogo in cui le parti si trovano al momento della dichiarazione della volontà contrattuale, e la legge del luogo di residenza delle parti, aggiungendo un riferimento all'articolo 5 in base al quale il disposto dell'articolo 9 non pregiudica l'applicazione delle norme di protezione stabilite all'articolo 5 (vale a dire quelle previste dalla legge del paese di residenza del consumatore).

4.12   Capacità e persone giuridiche (articolo 11)

4.12.1   La questione

Per quanto riguarda la capacità, l'articolo 11, che prevede l'applicazione della lex loci celebrationis (che non si applica al contratto inter absentes) mira a favorire la validità della transazione e a proteggere la fiducia di una delle parti contraenti nell'apparente capacità della controparte. Questa norma si basa sulla «teoria dell'interesse nazionale». Ci si chiede tuttavia se tale approccio sia applicabile anche alle persone giuridiche (il che sarebbe in conflitto con la capacità di queste ultime, in virtù dell'eventuale principio di specificità, e con questioni attinenti alla rappresentanza organica) visto che la CR accenna solamente alle persone fisiche (33).

4.12.2   La proposta

Nel caso in cui si intenda adottare una posizione legislativa in materia, l'eccezione potrebbe essere estesa alle persone giuridiche, ai fini di chiarificazione e armonizzazione.

4.13   La cessione del credito e la surrogazione (34)

4.13.1

La questione comparatistica del chiarimento degli ambiti concettuali (cfr. il caso del factoring). Il Comitato si chiede se debbano essere introdotte delle precisazioni che, pur contribuendo allo sforzo chiarificatore, entrerebbero in conflitto con le diverse sfumature delle legislazioni nazionali. Bisognerà inoltre tener presente la prossimità delle due norme (articoli 12 e 13) per quanto concerne il giudizio soggiacente in materia di conflitto e dunque le connessioni scelte che tengono conto del carattere trilaterale di tali relazioni.

4.13.1.1

Dato che nella fattispecie si tratta effettivamente di una questione di qualificazione, il Comitato ritiene che essa debba essere lasciata alla discrezione del giudice, tanto più che, considerata la struttura analoga di entrambe le norme di conflitto, che finiscono col provocare l'applicazione distributiva di diverse leggi, la certezza del diritto non viene messa a repentaglio.

4.13.2

La questione dell'opponibilità della cessione a terzi (eventuali titolari di diritti opponibili al cedente/creditore iniziale). Si pone il problema di sapere se il regolamento debba pronunciarsi espressamente sulla legge più adeguata per disciplinare la questione, di fronte ai rischi del forum shopping. L'obiettivo unificatore raccomanda di armonizzare la norma applicabile a tale questione, scoraggiando gli interessati dal praticare un eventuale forum shopping. Bisognerebbe prendere in considerazione il valore della certezza e della prevedibilità, nonché i rischi del ricorso a diverse leggi. Poiché non si porterebbe pregiudizio alla prevedibilità e si garantirebbe un trattamento unico a tutti i terzi aventi pretese concorrenti al cessionario nei confronti del cedente, il Comitato ritiene che convenga optare per l'applicazione della legge che regola il credito ceduto.

4.13.3

La questione del conflitto tra cessionari e la sua soluzione. Le osservazioni formulate al punto precedente valgono mutatis mutandis anche in questo caso. Il Comitato propone di fare eventualmente ricorso alla legge che regola il credito ceduto in caso di conflitto tra i sistemi giuridici che disciplinano le varie relazioni di cessione (nonostante la prevalenza di questa legge possa portare all'applicazione di leggi diverse ai cessionari e ai terzi che tentino di far valere le loro pretese nei confronti del cedente/creditore iniziale - cfr. punto precedente).

4.13.4   Il problema della surrogazione non fondata sul rispetto di un obbligo da parte del creditore surrogato.

4.13.4.1

Nell'utilissima relazione iniziale della CR, si affermava già l'intenzione di non voler escludere dall'ambito dell'articolo 13 la surrogazione risultante da un pagamento non fondato su un obbligo ma su un semplice «interesse economico riconosciuto dalla legge», anche se la surrogazione può avvenire ex lege (35).

4.13.4.2

Sarebbe opportuno ritoccare il testo al fine di precisare che l'ipotesi può essere applicata anche a questa norma, mostrando la connessione che prevale nel caso specifico.

4.13.4.3

D'altra parte, converrebbe anche completare la disposizione, precisando quale dovrebbe essere la legge applicabile all'esistenza e all'estensione della surrogazione, qualora la soddisfazione del credito si basasse su un interesse economico fondato. Tale legge potrebbe essere quella che disciplina la relazione o la situazione che funge da base a tale interesse economico (nonostante la necessità di concedere al giudice un margine sufficiente di valutazione, assicurata ad esempio dall'introduzione di una clausola di eccezione).

4.14   La legge applicabile alla compensazione dei crediti (36)

Nella misura in cui è necessario inserire una norma di conflitto relativa alla compensazione, il Comitato ritiene opportuno determinare l'applicazione cumulativa delle leges contractuum

V.   SINTESI DELLE RISPOSTE AL QUESTIONARIO

5.1

Come già affermato al punto 1.14, il Comitato, pur avendo trattato altri aspetti al fine di dare il contributo più completo possibile alle questioni sollevate, risponde qui di seguito in maniera sintetica a ciascuna delle domande formulate nel questionario della Commissione.

5.2   DOMANDA 1

5.2.1

In base alle esperienze raccolte dai membri del CESE nei rispettivi luoghi di origine, l'opinione generale è che i magistrati abbiano in linea di massima una conoscenza poco approfondita e puramente accademica della CR. Sono pochi i giudici, specie delle istanze inferiori, che possano vantare solide conoscenze sul contenuto e le potenzialità di questo strumento.

5.2.2

Lo stesso si può dire degli operatori economici in generale, dei consumatori e delle PMI in particolare. Solo le grandi imprese, soprattutto le multinazionali, dispongono di strumenti tecnici e giuridici che permettono loro di trarre profitto dalla CR nella formulazione dei contratti, in particolare dei «contratti di adesione».

5.2.3

Sulla base delle esperienze personali nei rispettivi luoghi di origine, i consiglieri del CESE sono inoltre convinti che tale situazione pregiudichi la regolare conclusione di un contratto e dia luogo ad un maggior numero di conflitti nell'ambito delle transazioni transfrontaliere.

5.3   DOMANDA 2

La risposta a questa domanda è stata sviluppata dal punto 1.2. al punto 1.10 del presente parere.

5.4   DOMANDA 3

Come già affermato in diversi pareri, citati nel presente documento, il CESE denuncia da tempo gli inconvenienti della sovrabbondanza e della dispersione di norme che hanno un'incidenza sulla legge applicabile nell'ambito di vari strumenti comunitari e mette in risalto i vantaggi di una loro organizzazione sistematica, coerente e coesa in un unico strumento comunitario.

5.5   DOMANDA 4

5.5.1

Il CESE approva l'introduzione di una clausola in linea con la proposta avanzata dalla Commissione al punto 3.1.2.2. del Libro verde, specie nella misura in cui essa permetterebbe di contrastare un uso improprio del libero arbitrio come mezzo per impedire l'applicazione di norme più vigorose a protezione dei diritti di alcune parti più deboli.

5.5.2

La risposta è fornita al punto 4.10.2.1. del presente parere, che suggerisce di modificare la redazione proposta nel Libro verde, in quanto mette in questione norme che pur fondandosi su strumenti di diritto comunitario sono norme di diritto interno.

5.6   DOMANDA 5

Per quanto concerne le relazioni con le convenzioni internazionali sottoscritte dagli Stati membri e che comprendono norme di conflitto, il Comitato ritiene che gli inconvenienti risultanti dall'applicazione, in casi specifici, di norme di conflitto diverse da quelle previste in uno strumento comunitario saranno meno gravi della denuncia delle stesse convenzioni. Pertanto, occorre mantenere l'orientamento della prima parte dell'articolo 21 della CR. Considerando la primazia del diritto comunitario, l'adesione a convenzioni di unificazione delle norme di conflitto già esistenti o future, avrà efficacia solo se dette convenzioni non hanno ripercussioni sull'oggetto del regolamento. Quest'ultimo dunque non deve pregiudicare la facoltà di aderire a convenzioni di diritto sostanziale uniforme, così come non sembra opporsi all'adesione degli Stati membri a convenzioni che estendano gli orientamenti normativi del regolamento ad altri paesi extracomunitari.

5.7   DOMANDA 6

Il Comitato ha dato una risposa circostanziata a questa domanda al punto 4.5.3.

5.8   DOMANDA 7

Sotto il profilo degli interessi dei singoli assicurati/sottoscrittori di polizze assicurative, il CESE ritiene che la soluzione adottata dalla CR sia quella che meglio tutela i loro diritti. In questa misura, il caso degli assicurati/sottoscrittori di polizze assicurative deve essere assimilato a quello dei consumatori, a prescindere dal fatto che l'assicuratore sia o meno stabilito sul territorio comunitario. D'altra parte, è noto che talune direttive concernenti le assicurazioni contengono norme che influiscono sulla legge applicabile (cfr. le direttive 88/357/CEE del 22 giugno 1988, 90/619/CEE dell'8 novembre 1990 e 83/2002/CE del 5 novembre 2002). Tuttavia, tenendo conto dell'obiettivo di unificazione, bisogna riflettere sull'opportunità di includere tutti i contratti assicurativi nel regolamento, adottando una norma speciale di conflitto che preveda l'approccio più conveniente in materia.

5.9   DOMANDA 8

Il Comitato ha dato una risposa circostanziata a questa domanda ai punti 4.5.1. e 4.5.2.

5.10   DOMANDA 9

La risposta a questa domanda figura al punto 4.5. È chiaro che i termini dell'alternativa proposta dalla Commissione non si escludono e sono perfettamente compatibili e complementari. Tuttavia, è importante riconoscere che spetta al giudice stabilire caso per caso se vi è stata una scelta tacita, sulla base degli elementi concreti e probatori di cui dispone.

5.11   DOMANDA 10

Il Comitato ha dato una risposta a questa domanda al punto 4.6.1.

5.12   DOMANDA 11

Il Comitato ha risposto a questa domanda al punto 4.6.3.

5.13   DOMANDA 12

Le risposte ai vari problemi sollevati in proposito e agli aspetti connessi, sono state ampiamente elaborate al punto 4.7.

5.14   DOMANDA 13

Il Comitato ha risposto a questa domanda al punto 4.10.

5.15   DOMANDA 14

Il Comitato ha risposto a questa domanda al punto 4.8.

5.16   DOMANDA 15

Il Comitato ha risposto a questa domanda al punto 4.8.

5.17   DOMANDA 16

Il Comitato ha risposto in modo circostanziato a questa domanda al punto 4.10.

5.18   DOMANDA 17

Il Comitato ha risposto a questa domanda al punto 4.11.

5.19   DOMANDA 18

Il Comitato ha risposto a questa domanda al punto 4.13.

5.20   DOMANDA 19

Anche la risposta a questa domanda si trova al punto 4.13.

5.21   DOMANDA 20

La risposta alla domanda figura al punto 4.14.

5.22

Il Comitato ricorda che oltre alle domande di cui sopra, nel presente parere sono stati esaminati altri aspetti non evocati nel questionario. Tra questi, in particolare, quelli relativi alla struttura della CR (punti 4.2.2. e 4.2.3.), agli effetti di una scelta successiva della legge applicabile ad opera delle parti (punto 4.5.5.), al contratto di trasporto merci (punto 4.6.4.2.) e alle legge applicabile alla capacità delle persone giuridiche (4.12.2).

VI.   CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

6.1

Il Comitato accoglie con favore la trasformazione della convenzione di Roma in uno strumento comunitario e l'aggiornamento del suo contenuto, i due obiettivi principali del Libro verde, e raccomanda di procedervi con la massima tempestività, compatibilmente con la difficoltà della materia.

6.2

Il Comitato ritiene che lo strumento giuridico comunitario cui fare ricorso sia il regolamento e concorda con la base giuridica indicata dalla Commissione (articoli 61, lettera c) e 65, lettera b) del Trattato).

6.3

Sostanzialmente, il Comitato ribadisce i grandi principi che informano la Convenzione e ritiene che essi vadano mantenuti come elementi portanti del regolamento.

6.4

Nelle sue proposte, esposte con dovizia di particolari ai punti precedenti, il Comitato ha espresso fondamentalmente la necessità non solo di aggiornare le varie disposizioni della Convenzione di Roma alla luce dell'evolversi delle transazioni commerciali intracomunitarie e dei nuovi strumenti contrattuali, in particolare nelle vendite a distanza, ma anche di risolvere diverse questioni d'interpretazione suscitate dalla dottrina e dai tribunali nel periodo di applicazione della Convenzione di Roma.

6.5

Nel testo del parere e nelle risposte alle 20 domande formulate dalla Commissione, come negli altri aspetti esaminati di propria iniziativa, il Comitato ha cercato di presentare soluzioni atte a mantenere l'equilibrio degli interessi delle parti in causa, nel rispetto dei principi del diritto sanciti come patrimonio comune degli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

6.6

Il Comitato si rende tuttavia conto di non aver trattato la problematica nella sua interezza e raccomanda pertanto alla Commissione di tenere in considerazione, in sede di elaborazione finale del testo, di tutti i contributi che le perverranno a seguito dell'encomiabile iniziativa che costituisce il Libro verde.

Bruxelles, 29 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. la domanda 2 del Libro verde.

(2)  Cfr. in particolare i pareri in merito alla proposta di regolamento (CE) del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale nonché il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU C 117 del 26.4.2000), all'iniziativa della Repubblica federale tedesca in vista dell'adozione del regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione fra i giudici degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile e commerciale (GU C 139 dell'11.5.2001), alla proposta di decisione del Consiglio relativa alla creazione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (GU C 139 dell'11.5.2001), alla proposta di direttiva del Consiglio relativa alla notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale (GU C 368 del 20.12.1999), alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (GU C 85 dell'8.4.2003), alla relazione della Commissione sull'applicazione della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU C 116 del 20.4.2001), e al Libro verde sul procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento e sulle misure atte a semplificare ed accelerare il contenzioso in materia di controversie di modesta entità (COM(2002) 746 def., (GU C 220/2 16.9.2004).

(3)  GU C 19 del 23.1.1999.

(4)  GU C 117 del 26.4.2000.

(5)  GU C 241 del 7.10.2002.

(6)  Tra le quali si segnalano i lavori del Gruppo europeo di diritto internazionale privato (http://www.drt.ucl.ac.be/gedip).

(7)  Si segnalano in particolare i regolamenti (CE) n. 1346, 1347 e 1348/2000 del 29 maggio 2000 relativi alle procedure di insolvenza, alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (GU L 160 del 30.6.2000), il regolamento (CE) 1206/2001 del 28 maggio 2001 relativo all'assunzione delle prove in materia civile e commerciale (GU L 174 del 27.6.2001), la proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il titolo esecutivo europeo (COM(2002) 159 def.), il Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale (COM(2002) 196 def. del 19 aprile 2002), il Libro verde sulla responsabilità civile per danno da prodotti difettosi (COM(1999) 396 def. del 28 luglio 1999), la direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU L 200 dell'8.8.2000), la direttiva 2002/65/CE del 23 settembre 2002 concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari (GU L 271 del 9.10.2002), la direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999), la direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997 riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU L 144 del 4.6.1997), la comunicazione della Commissione sulla codificazione della normativa comunitaria (COM(2001) 645 def.), la decisione 2003/48/GAI del Consiglio del 19 dicembre 2002, relativa all'applicazione di misure specifiche di cooperazione di polizia e giudiziaria per la lotta al terrorismo (GU L 16 del 22.1.2003), la direttiva 2002/8/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere (GU L 26 del 31.1.2003), la direttiva 98/27/CE del 19 maggio 1998 relativa a provvedimenti inibitori (GU L 166 dell'11.6.1998).

(8)  Cfr. la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo - Un piano d'azione (COM(2003) 68 def.).

(9)  Cfr. il doc. COM(2003) 427 def. del 22 luglio 2003 - http://europe.eu.int/comm/dgs/justice_home/index_it.htm

(10)  L'approccio formale proprio del diritto internazionale privato è, del resto, propizio agli sforzi di unificazione in quanto la sua effettiva regolamentazione è spesso indipendente dalle circostanze specifiche di ciascuna comunità nazionale. È ancor più evidente nel settore contrattuale, in cui i partecipanti tendono ad avere identità di propositi, indipendentemente dalla loro situazione geografica. Ciò non toglie che taluni obiettivi normativi o materiali non vengano presi in considerazione, ma al loro riguardo esiste un diffuso accordo all'interno della comunità. Resta da valutare l'adeguatezza delle norme esistenti rispetto ai risultati materiali auspicati, come ad esempio il caso della protezione della parte considerata più debole. Le recenti riflessioni a proposito del regolamento «Bruxelles I» possono, mutatis mutandis servire anche per questa ricerca.

(11)  Inoltre, l'unificazione delle norme di conflitto, nel ridurre il fenomeno della scelta del foro in funzione della legge considerata competente da ciascun sistema nazionale di DIP, permette anche di potenziare gli obiettivi di unificazione delle norme concernenti la competenza giurisdizionale internazionale. Essa rende infatti indifferente la scelta del foro nel quale portare avanti l'azione tra le varie alternative disponibili, per lo meno dal punto di vista della legge applicabile, il che non solo potenzia l'unità del mercato ma facilita anche l'attività commerciale nel mercato unico. È un altro argomento a favore della complementarità dei due rami conflittuali del diritto internazionale privato, che tuttavia perseguono valori e propositi diversi in quanto cercano di risolvere problemi distinti e suscitano interrogativi di carattere normativo anch'essi diversi. Pertanto, l'indifferenza per quanto concerne il luogo in cui intentare un'azione in giustizia finirà sempre per stimolare la circolazione e lo stabilimento di persone e interessi in diverse località e favorirà una reale mobilità nel mercato comune, basata su effettive necessità, senza tuttavia forzarla solo perché in un determinato paese la legge applicabile è considerata più favorevole.

Cfr. M. GIULIANO, P. LAGARDE, opera citata alla nota successiva, i quali sottolineano che l'unificazione delle norme di conflitto in materia contrattuale sarebbe «il naturale prolungamento della Convenzione sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni». Cfr anche M. GIULIANO, op. cit. loc. cit., il quale sottolinea che la CR sarebbe tale «complemento naturale» della Convenzione di Bruxelles del 1968 «in quanto essa avrebbe evitato il forum shopping che l'ultima Convenzione lasciava in qualche modo aperto in materia di contratti».

(12)  Cfr. M. GIULIANO, P. LAGARDE, Relazione introduttiva alla Convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980, GU C 327 dell'11.12.1992, pag. 4. Cfr. anche M. GIULIANO, Osservazioni introduttive in Verso una disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti, Padova, 1983, pag. XXI il quale propone un'eloquente metafora secondo la quale bisognerebbe guardare alla CR «come ad una »tessera« di quello spazio giuridico comune» cercando di «garantire alle persone fisiche e giuridiche operanti nel quadro della Comunità un più elevato grado di sicurezza giuridica nei loro rapporti contrattuali, tanto all'interno come verso l'esterno, contribuendo (…) a facilitare il funzionamento del mercato comune».

(13)  Eventualmente a beneficio della stessa teleologia delle norme di conflitto, come avviene con la protezione di talune categorie di persone, dato che, anche assicurando un livello minimo di protezione mediante politiche legislative nazionali o comunitarie, si cerca di non svalutare il concetto della scelta delle norme di conflitto, scelta che dovrà fondarsi sulla reale autonomia di entrambe le parti.

(14)  In alcuni settori la storia dell'unificazione materiale e dei suoi successi è già lunga, tuttavia la sua natura parziale continua a rendere necessaria l'unificazione in materia di norme di conflitto. Cfr. a proposito dell'unificazione e dell'armonizzazione del diritto materiale dei contratti, il piano d'azione della Commissione di cui alla nota 8 del presente parere e il Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa al diritto contrattuale europeo»(GU C 241 del 7.10.2002).

(15)  Nella presente analisi si tiene conto delle assennate proposte di modifica formulate nel corso della lunga e approfondita riflessione da parte del GEDIP di cui vengono accolte numerose osservazioni.

(16)  Cfr. domanda 7 del Libro verde.

(17)  Riguarda, tra l'altro, le domande 8 e 9 del Libro verde.

(18)  Chiaramente ciò non impedirà di fare un riferimento materiale a tali insiemi normativi che, pur dipendendo dalla posizione della lex contractus, sarebbero considerati parte del contenuto negoziale, soprattutto perché alcune di queste norme saranno in vigore in alcuni Stati. Il far passare dal vaglio conflittuale degli ordinamenti nazionali il ricorso a questi insiemi normativi non sembra costituire un ostacolo al commercio internazionale, ma può anzi favorire la certezza del diritto (anche se gli Stati possono offrire alle parti un'ampia libertà in questo campo e nonostante sussista la possibilità di procedere al frazionamento del contratto entro certi limiti). In realtà, anche se una tale scelta fosse consentita, gli Stati potrebbero sempre impedire l'applicazione di alcune di queste norme internazionali attraverso l'elaborazione di norme di applicazione necessaria e immediata.

(19)  In merito a questi casi specifici, si afferma inoltre che, anche alla luce dell'attuale versione della CR, è opportuno accettare la possibilità di un riferimento alle norme contenute in una convenzione internazionale per la risoluzione di conflitti, anche laddove lo Stato del foro non abbia sottoscritto la Convenzione, a condizione che la Convenzione stessa preveda questo tipo di electio iuris.

(20)  Da questo punto di vista, si tratterebbe unicamente di un chiarimento, anche se la questione può risultare controversa. La teleologia della CR non solo non si oppone a questa conclusione ma addirittura la consiglia. Far pertanto ricadere la electio iuris direttamente su una convenzione equivale ad una scelta indiretta, in altre parole significa scegliere (espressamente o tacitamente) un ordinamento nazionale che autorizzi il riferimento al regime di una convenzione internazionale. Questo sarà, in linea di principio, il caso della legge di uno Stato che abbia aderito ad una convenzione che permette espressamente alle parti di provocare le sua applicazione attraverso una clausola di scelta, una professo iuris (cfr. il caso delle norme de Haia-Visby del 1968 e della convenzione di Amburgo del 1978 in materia di trasporto marittimo di merci)

Sono la teleologia della CR e i valori propri del DIP a indurci a questa conclusione. Da un lato la CR favorisce lo scrupoloso rispetto della volontà delle parti, dall'altro è innegabile che accettare il riferimento delle parti ad un tale regime internazionale per la risoluzione di conflitti (sempre previa verifica della reale volontà delle parti) costituisce il modo migliore per proteggere la certezza del diritto e la prevedibilità, ossia per salvaguardare le aspettative delle parti che hanno espresso la loro volontà e il contenuto negoziale tenendo conto del disposto di una convenzione internazionale di questo tipo. Questa interpretazione può essere efficace anche per la prevenzione del fenomeno del forum shopping.

Infine, questa soluzione potrà favorire l'unificazione normativa internazionale, soprattutto se esistono diverse versioni di una stessa convenzione oggetto di revisioni, e se le parti delle differenti versioni non coincidono. In questo caso, a meno che non sia obbligato ad applicare una versione precedente della convenzione, tenendo conto delle obiettive connessioni, il foro potrà decidere di applicare una versione diversa da quella alla quale è vincolato, proprio perché è stata scelta dalle parti, che avrebbero sempre potuto optare per la legge di uno Stato vincolato alla nuova versione, che prevede già la sua applicazione in virtù della volontà delle parti.

Il riferimento delle parti ad una convenzione che non consideri l'autonomia individuale un elemento in grado di provocare la sua applicabilità potrà sempre essere visto come un riferimento materiale, vale a dire come un'incorporazione materiale delle norme del regime internazionale nel contratto.

(21)  Cfr. domanda 10 del Libro verde.

(22)  Ibidem.

(23)  Cfr. domanda 11 del Libro verde.

(24)  Cfr. domanda 12 del Libro verde.

(25)  Si fa in particolare riferimento al principio della libera scelta, data l'assenza di una vera e propria uguaglianza delle parti, specie nei cosiddetti «contratti di adesione»; alla presunzione generale di cui all'articolo 4, paragrafo 2, nella misura in cui essa indichi l'applicazione della legge dell'operatore professionale; all'interpretazione rigida dell'articolo 7, qualora quest'ultimo non consideri le norme relative alla protezione dei consumatori come «leggi di polizia».

(26)  Legge del 27 giugno 2000, Bundesgesetzblatt, a 2000, parte I, n. 28 del 29 giugno 2000.

(27)  Cfr. domande 14 e 15 del Libro verde.

(28)  Va osservato che prossimamente il Comitato si pronuncerà sulla comunicazione della Commissione sull'applicazione della direttiva 96/71/CE - COM(2003) 458 def. del 25 luglio 2003.

(29)  Cfr. domande 15 e 16 del Libro verde.

(30)  In questo caso, optando per la legge di un paese terzo per un contratto di multiproprietà, le norme di recepimento previste dalla legge del luogo in cui è situato l'immobile non si applicherebbero, seppur non necessariamente in virtù dell'articolo 7; anche in tale ipotesi il consumatore non deve essere residente in uno Stato membro. Nel caso in cui il consumatore risieda in uno Stato membro, il limite minimo di protezione della lex domicilii risulterebbe ancora applicabile, se l'articolo 5 coprisse i contratti stipulati con i consumatori e concernenti gli immobili.

Seguendo tale approccio, occorrerebbe precisare che cosa si intende per connessione diretta nelle diverse direttive concernenti le norme di protezione, le quali stabiliscono generalmente che gli Stati devono assicurare l'applicazione sul loro territorio delle norme di recepimento, a condizione che il contratto presenti una connessione diretta con uno Stato membro, e posto che l'applicazione di determinate norme imperative di altri ordinamenti sia ancora possibile in virtù dell'articolo 7 (si fa osservare inoltre che, anche conformemente al diritto derivato, la cosiddetta connessione diretta in grado di dar luogo all'applicazione delle norme di protezione derivanti dal recepimento è un elemento che spetta al giudice determinare in funzione del modo in cui sono state recepite le direttive. In altre parole, bisogna sapere se i legislatori nazionali hanno o no precisato questo concetto al fine di implementare le norme di applicazione necessaria e immediata in sede di trasposizione).

(31)  Da un lato, bisogna riconoscere che il disposto dell'articolo 7, paragrafo 1, pur consentendo di invocare norme imperative di recepimento del diritto comunitario (nella misura in cui soddisfino i requisiti stabiliti), non ha come base o come punto cruciale il desiderio di dare importanza alle politiche legislative straniere (siano esse di Stati membri o di paesi terzi) o la volontà di analizzare il modo in cui gli ordinamenti terzi (diversi dalla lex fori o dalla lex causae) danno corpo, a livello normativo, a talune concezioni di organizzazione economica e sociale dello Stato. La ragione di una norma del genere va cercata tra gli obiettivi normativi del DIP; è su quest'ultimo che si basa la considerazione o l'applicazione di dette norme, che non verrebbero invocate in caso di normale funzionamento delle norme di conflitto. Questa disposizione dunque si propone di uniformare la valutazione di una determinata situazione giuridica plurilocalizzata, tenendo presente al tempo stesso le legittime aspettative delle parti, dato che le disposizioni applicabili appartengono ad un ordinamento che presenta una connessione diretta con il caso. L'obiettivo è di evitare che il tribunale adotti una decisione diversa da quella che verrebbe pronunciata altrove, prevenendo anche il forum shopping (ed eventualmente evitando che in sede di riconoscimento o di esecuzione, la decisione raggiunta si scontri con la riserva di ordine pubblico in un paese terzo, in quanto sono coinvolte norme atte a rientrare nell'ambito dell'ordine pubblico internazionale di detto Stato. Da questo punto di vista, potrebbe essere lecito ammettere che le norme che desteranno le maggiori preoccupazioni nel giudice saranno proprio quelle che perseguono interessi pubblici, anche se si continua a difendere una definizione non sostanziale delle norme di cui all'articolo 7).

Dall'altro canto, l'interferenza di dette norme potrà non solo rappresentare un ostacolo alla certezza del diritto ma anche, e a ragion veduta, creare difficoltà di applicazione che potrebbero sorgere in casi concreti, soprattutto se confrontate a norme che emanano da altri ordinamenti.

(32)  Cfr. domanda 17 del Libro verde.

(33)  È possibile dare tre interpretazioni del testo attuale. Il riferimento può, in primo luogo, essere inteso solo ad una persona fisica, precludendo così l'applicazione alle persone giuridiche. In secondo luogo, la norma può essere applicata per analogia alle persone giuridiche. Infine, tenendo presente la prudenza richiesta da qualsiasi strumento internazionale - basato sulla volontà delle parti e sulle politiche statali - in sede di applicazione per analogia delle sue norme, al fine di non pregiudicare l'impegno accettato a livello internazionale e il grado di unificazione auspicato, considerando le divergenze sorte a proposito della «teoria dell'interesse nazionale», e tenendo conto del fatto che la CR non ha voluto trattare né la questione della capacità, né quelle relative alle persone giuridiche, si potrebbe concludere che la CR ha voluto esaminare il tema della capacità solo in questa esigua misura e che a questo si è limitato l'accordo di unificazione degli stati contraenti. Pertanto, tutto ciò che riguarda la capacità e che va al di là del disposto dell'articolo 11 resta di competenza degli Stati contraenti. Ciascuno Stato decide dunque se estendere o meno tale disposizione alle persone giuridiche dato che in proposito non è stata raggiunta l'unificazione.

(34)  Cfr. domande 18 e 19 del Libro verde.

(35)  Cfr. M. GIULIANO, P. LAGARDE, op. cit., pag. 32.

(36)  Cfr. domanda 20 del Libro verde.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni — Adeguamento delle politiche a sostegno dell'e-business in un contesto in evoluzione: insegnamenti da trarre dall'iniziativa GoDigital e sfide da affrontare

(COM(2003) 148 def.)

(2004/C 108/02)

La Commissione europea, in data 27 marzo 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 dicembre 2003, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli, 3 contrari e un'astensione.

1.   Introduzione e sintesi

1.1

Il Comitato esprime sostegno per la comunicazione della Commissione europea in esame e, al tempo stesso, richiama l'attenzione su alcuni settori di intervento che meritano maggiore rilievo.

1.2

Ritiene che la Commissione abbia approntato un ottimo documento, nel quale sottolinea l'esigenza che Stati membri e regioni passino da politiche di sostegno all'e-business limitate alla promozione dell'e-commerce a politiche atte a consentire alle piccole e medie imprese (PMI) di sfruttare appieno le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per reingegnerizzare, automatizzare e snellire i processi aziendali.

1.3

Il Comitato accoglie con favore l'estrema concretezza dell'approccio proposto nella comunicazione per dar vita a questa azione di sostegno, che comprende un quadro per le politiche a favore dell'e-business specificamente rivolte alle PMI, nonché la proposta di costruire una rete europea di sostegno all'e-business destinata alle PMI, al fine di consentire una collaborazione mirata tra decisori politici nazionali e regionali in tutta l'Unione.

1.4

Si compiace del fatto che la comunicazione sottolinei la necessità che i decisori politici, sulla base del principio SMART (attività Specifiche, Misurabili, Attuabili, Realistiche e Temporalmente definite), fissino obiettivi non solo qualitativi ma anche quantitativi. Poter misurare i progressi ottenuti confrontandoli a traguardi realistici e adeguati è un presupposto chiave per una gestione efficace delle iniziative e per la valutazione del loro impatto effettivo.

1.5

Il Comitato ritiene nondimeno che, in molte zone dell'Unione europea, vi sia ancora molta strada da fare per creare un contesto favorevole all'e-business e che il quadro prospettato dalla Commissione per le politiche di sostegno specificamente rivolte alle PMI debba rispecchiare questa fondamentale necessità. Invita la Commissione a coordinare gli sforzi dei governi nazionali volti a realizzare politiche aperte e trasparenti in materia di appalti pubblici, in modo da garantire la partecipazione delle PMI in condizioni di parità.

1.6

Ritiene che si potrebbe aggiungere un quarto ambito principale di intervento, ovvero una quarta sfida, per migliorare il contesto per l'e-business, ad esempio assicurando il tipo di accesso a Internet considerato commercialmente indispensabile, attraverso programmi di sensibilizzazione mirati e di lungo periodo per diffondere tra le PMI un clima di sicurezza e di fiducia nei processi di e-business e mediante raccomandazioni e iniziative tecnologiche per contenere le ripercussioni nocive dello spam sull'e-business.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato ritiene che la Commissione abbia presentato un ottimo documento, nel quale sottolinea l'esigenza che Stati membri e regioni passino da politiche di sostegno all'e-business limitate alla promozione dell'e-commerce a politiche in grado di consentire alle piccole e medie imprese (PMI) di sfruttare pienamente le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per reingegnerizzare, automatizzare e snellire i processi aziendali.

2.2

Allo stesso tempo le proposte avanzate dalla Commissione andrebbero a vantaggio dei consumatori. La compresenza di un mercato equo e affidabile, di una concorrenza leale e di un uso corretto delle TIC accrescerebbe la fiducia nell'e-commerce, così necessaria per lo sviluppo di questo mercato.

2.3

È incontestabile che le PMI, che in Europa rappresentano oltre il 99 % del numero totale di aziende, abbiano un ruolo cruciale nello stimolare l'innovazione, la crescita e l'occupazione e che un uso efficiente delle TIC consenta di accrescere la produttività e migliorare la competitività. L'approccio realistico raccomandato dalla Commissione, pertanto, rappresenta un forte stimolo a sostenere attivamente la strategia di Lisbona, che punta a fare dell'Unione, entro la fine del decennio, l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. L'approccio della comunicazione, estremamente concreto, comprende un «quadro per le politiche a sostegno dell'e-business specifiche per le PMI» e la proposta di costruire una rete europea di sostegno all'e-business destinata alle PMI, per consentire una collaborazione mirata tra i decisori politici nazionali e regionali che, in tutta l'Unione, sono competenti in materia.

2.4

Lo sviluppo di un'economia dinamica e basata sulla conoscenza imporrà cambiamenti significativi al contesto imprenditoriale delle PMI: per avere successo in questa nuova economia serviranno processi aziendali, rapporti tra imprese, tecnologie, conoscenze e competenze di nuovo tipo rispetto a ciò cui sono abituate le PMI e queste ultime dovranno perciò accettare una trasformazione sostanziale.

2.4.1

Per sopravvivere e prosperare, le PMI e in particolare le microimprese (meno di dieci dipendenti), hanno bisogno di uno strumento di sostegno integrato e ben organizzato a livello locale, nazionale ed europeo e nel loro settore di specializzazione, che consenta loro di assistersi a vicenda nel corso della trasformazione e di acquisire le conoscenze necessarie per raggiungere il successo.

2.5

Se i decisori politici non aiuteranno concretamente le PMI nella transizione verso l'economia della conoscenza, ciò si ripercuoterà negativamente sull'attività economica, sui livelli occupazionali e sull'intera società europea.

2.5.1

Il Comitato accoglie con favore l'estrema concretezza dell'approccio proposto nella comunicazione per dar vita a questa azione di sostegno, in quanto comprende un «quadro per le politiche a sostegno dell'e-business specifiche per le PMI» e la proposta di costruire una rete europea di sostegno all'e-business destinata alle PMI per consentire una collaborazione mirata tra i decisori politici nazionali e regionali che, in tutta l'Unione, sono competenti in materia.

2.6

Invitando gli Stati membri a definire, per le proprie politiche, obiettivi differenziati per settore e per regione ed esortandoli a fissare idonei traguardi quantitativi e qualitativi, la Commissione conduce un'attiva campagna in favore di attività «SMART» (Specifiche, Misurabili, Attuabili, Realistiche e Temporalmente definite) che accelerino sensibilmente l'adozione efficiente delle TIC e dei processi di e-business da parte delle PMI di tutta l'Unione.

2.6.1

A sostegno della sua iniziativa, la Commissione mette a disposizione un forum in cui discutere, appoggiare e coordinare l'evoluzione delle politiche del settore in tutta la UE (la Rete europea di sostegno all'e-business) e propone un quadro di riferimento per le politiche e gli obiettivi.

2.6.2

Oltre a identificare gran parte dei problemi cruciali per le politiche in esame, la Commissione riconosce giustamente la necessità che gran parte delle iniziative a sostegno dell'e-business nelle PMI passino attraverso intermediari e moltiplicatori affidabili. Questa campagna a favore delle PMI merita il pieno sostegno del Comitato.

2.7

Il Comitato si compiace che la comunicazione sottolinei la necessità che i decisori politici, sulla base del principio SMART, fissino obiettivi non solo qualitativi ma anche quantitativi. Poter misurare i progressi ottenuti confrontandoli a traguardi realistici e adeguati è un presupposto chiave per una gestione efficace delle iniziative e per la valutazione del loro impatto effettivo.

2.8

Le PMI hanno fatto i primi passi verso l'adozione delle pratiche di e-business con l'adozione dei computer e la diffusione quasi universale dell'accesso a Internet. Tuttavia, al di sopra di questo livello minimo di TIC, emerge il divario digitale: sotto l'aspetto del grado di assimilazione della tecnologia digitale vi sono nette differenze tra le PMI, a seconda delle dimensioni (specie nel caso delle microimprese, che hanno fino a dieci dipendenti) e anche della regione e del settore di appartenenza. In particolare, le PMI che hanno adottato le TIC per tempo hanno già fatto progressi notevoli nel settore dell'e-business, mentre quelle che hanno iniziato più tardi hanno un grande bisogno di assistenza per recuperare il tempo perduto.

2.8.1

Di qui la necessità di iniziative specifiche che vengano incontro alle particolari esigenze delle PMI di determinate regioni e determinati settori, specialmente laddove le TIC sono state adottate con ritardo. Se il divario digitale non sarà colmato, il vantaggio competitivo accumulato dalle grandi imprese e dalle imprese che hanno meglio assimilato le TIC nei confronti delle PMI aumenterà, con il rischio immediato di una estromissione delle PMI dal mercato e di problemi economici e sociali dagli effetti devastanti. Il Comitato constata con soddisfazione che la Commissione ha preso atto di queste differenze e che ha raccomandato di prestare particolare attenzione al superamento del divario digitale.

2.9

In tema di e-business e di diffusione delle TIC, le questioni legate alla fiducia e alla sicurezza rivestono un particolare interesse per le PMI, soprattutto per le microimprese. Tra le altre osservazioni generali, il Comitato tiene a sottolineare la necessità che i decisori politici ne tengano conto nella formulazione delle politiche.

2.10

Secondo la Commissione, il ruolo delle autorità pubbliche nella promozione delle pratiche di e-business consiste principalmente nel garantire alle imprese un contesto favorevole alla loro adozione, riducendo gli ostacoli per l'accesso ai mercati nonché i costi e i rischi legati agli investimenti nelle TIC e rendendo così più agevole l'ingresso in nuovi mercati internazionali.

2.10.1

Questo contesto favorevole dovrebbe comprendere un quadro giuridico e normativo stabile, una piena liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni, con conseguente riduzione dei costi e migliore disponibilità e qualità dei servizi, e un'ampia diffusione dei servizi amministrativi in linea (e-government). Il Comitato invita la Commissione a proseguire i suoi sforzi volti a definire un quadro normativo accettabile a livello mondiale che impedisca la creazione di barriere nazionali e che garantisca, com'è necessario, transazioni elettroniche sicurizzate.

2.10.2

Più avanti nella comunicazione, la Commissione afferma che molti passi verso la creazione di un contesto del genere sono già stati compiuti, a livello sia europeo che nazionale. Mentre questi elementi orizzontali delle politiche sono trattati nell'ambito dell'iniziativa eEurope e di altre iniziative, scopo della comunicazione in esame è raccomandare politiche specificamente rivolte alle PMI e mirate a promuovere l'adozione da parte loro delle TIC e dei processi di e-business.

2.10.3

Il Comitato ritiene però che, in molte zone dell'Unione europea, vi sia ancora molta strada da fare per creare un contesto favorevole all'e-business e che il quadro prospettato dalla Commissione per le politiche di sostegno specificamente rivolte alle PMI debba rispecchiare questa fondamentale necessità. Il Comitato invita la Commissione a coordinare gli sforzi dei governi nazionali volti a realizzare politiche aperte e trasparenti in materia di appalti pubblici, in modo da garantire la partecipazione delle PMI in condizioni di parità.

2.11

Il quadro proposto dalla Commissione comprende una «sfida generale» consistente nello stimolare e sostenere le PMI nell'adozione dell'e-business. Seguono poi tre ambiti principali di intervento, denominati «sfide», ognuno dei quali si articola in più politiche specifiche. Il Comitato condivide il quadro di lavoro e gli orientamenti delineati dalla Commissione, e ne seguirà con particolare interesse la realizzazione.

2.11.1

Pur essendo consapevole che l'elaborazione del quadro generale e delle politiche specifiche è compito della Commissione e dei decisori politici, il Comitato approva interamente l'elenco particolareggiato di attività fornito nella comunicazione ed è favorevolmente colpito dall'elenco di possibili obiettivi proposto. Nel presente parere segnala però ulteriori settori di intervento che, a suo giudizio, meriterebbero di essere inclusi nel quadro generale.

2.12

Come accennato nel punto 2.10.3, si potrebbe aggiungere un quarto ambito principale di intervento, ovvero una quarta sfida: «Migliorare il contesto per l'e-business». Il Comitato potrebbe anche criticare il fatto che siano stati combinati in un'unica politica specifica la sensibilizzazione dei manager e il miglioramento delle competenze per l'e-business: forse si avrebbe maggiore chiarezza separando queste due sfide. La sezione che segue riporta i commenti del Comitato sulle questioni esposte e su altri aspetti delle politiche raccomandate che ritiene particolarmente degni di nota. Le osservazioni formulate dal Comitato sono in linea con i precedenti pareri in materia (1).

3.   Questioni inerenti alle politiche specifiche

3.1   Il contesto dell'e-business

3.1.1

Va fatta pressione sugli Stati membri affinché rendano disponibile per un'ampia fetta di PMI, soprattutto sul piano regionale, il tipo di accesso a Internet considerato commercialmente indispensabile (che si tratti di banda larga always-on o semplicemente di alta velocità a canone fisso) e affinché il costo dell'accesso sia allineato alle norme concorrenziali all'interno della UE.

3.1.2

Tutti gli strumenti tecnologici e normativi necessari a sicurizzare il contesto dell'e-business sono già disponibili. Sono però necessari programmi di sensibilizzazione mirati e di lungo periodo per diffondere tra le PMI un clima di sicurezza e di fiducia nei processi di e-business.

3.1.3

La pratica dello spam, ovvero l'invio di e-mail commerciali non richieste, può comportare gravi intralci e costi notevoli per i destinatari, in particolare per le PMI dotate di magre risorse e impegnate a operare via Internet, e, tra l'altro, compromette la fiducia dei destinatari nella sicurezza dei processi. Sono quindi necessarie, a livello europeo, raccomandazioni e iniziative tecnologiche per contenere le ripercussioni dannose di questa pratica, insidiosa per la diffusione dell'e-business.

3.1.4

Ferma restando la necessità di incoraggiare la partecipazione ai mercati elettronici, le politiche europee, nazionali e regionali devono prestare attenzione ai problemi specifici inerenti alle aste inverse (al ribasso). Ricorrendo a un'asta inversa come procedimento di acquisto, una grande impresa può esercitare un'indebita pressione sulle PMI perché riducano drasticamente il loro margine di profitto e, in casi estremi, arrivare a comprometterne la sopravvivenza. Un'esperienza infelice di partecipazione a un'asta inversa può influenzare negativamente l'atteggiamento di una PMI nei confronti dell'e-business. La Commissione dovrebbe verificare che in tutta la UE siano introdotti appositi codici di buona condotta.

3.1.5

Poiché sono sempre più numerose le PMI che entrano a far parte dell'economia digitale, si pongono i problemi della registrazione e della proprietà dei nomi di dominio. Il Comitato esorta la Commissione a verificare che siano attuate politiche volte a prevenire lo squatting informatico, ossia l'accumulo di nomi di dominio inattivi da parte di società e di privati, un fenomeno che impedisce a società affermate di entrare in possesso di un nome corrispondente alla propria denominazione sociale registrata.

3.1.6

Le pubbliche amministrazioni dovrebbero essere incoraggiate a dare la massima diffusione ai servizi di e-government e a realizzare procedure d'appalto elettronico che tengano conto del fatto che alcune PMI dispongono di competenze limitate.

3.1.6.1

Queste operazioni, di tipo «G2B» (dall'amministrazione all'impresa) oppure «B2G» (dall'impresa all'amministrazione), incoraggiano le PMI a fare un ricorso più ampio alle TIC e all'e-business. Ne dimostrano inoltre l'efficacia e l'utilità, consentendo alle PMI di prendere dimestichezza con la tecnologia e i suoi benefici.

3.1.6.2

Tuttavia, in alcuni paesi, gli acquisti di beni e servizi effettuati dalla pubblica amministrazione rappresentano oltre il 50 % del totale. L'introduzione di sistemi di appalto elettronico da parte del settore pubblico, perciò, condizionerà fortemente il passaggio all'e-business da parte delle PMI e la capacità di ognuna di esse di partecipare in condizioni di parità al mercato del consumo di prodotti e servizi da parte del settore pubblico. È quindi cruciale che le modalità d'introduzione dei sistemi di appalto elettronico siano sensibili alle esigenze specifiche delle PMI. Se le pubbliche amministrazioni non svolgeranno un apposito lavoro in questo senso, molte PMI ne subiranno le conseguenze.

3.1.7

Per favorire una maggiore partecipazione delle PMI alle procedure d'appalto elettronico, ci si dovrebbe impegnare per semplificarle e per ridurre i costi del rispetto delle normative europee sugli appalti.

3.1.8

Si potrebbe prendere in considerazione la creazione di portali commerciali, su scala nazionale o regionale (sul modello di Singapore), che rendano facile ed efficiente la partecipazione delle PMI a questo nuovo mercato e che massimizzino i benefici economici generali derivanti da un'ampia diffusione dei processi di e-commerce.

3.2   Sensibilizzare i manager

3.2.1

Il fatto che un'impresa scelga di adottare nuove tecnologie in misura significativa e di modificare i propri processi aziendali dipende, in ultima analisi, dai suoi manager e dirigenti, soprattutto nel caso delle PMI. Gran parte dei dirigenti di questo tipo di imprese, tuttavia, hanno una comprensione molto limitata delle nuove tecnologie e dei loro potenziali benefici ed è proprio questo uno dei principali ostacoli all'adozione delle TIC e dell'e-business.

3.2.1.1

Il Comitato appoggia quindi la proposta della Commissione di lanciare iniziative volte a migliorare il trasferimento di conoscenze alle PMI mediante reti di sostegno e workshop.

3.2.1.2

È inoltre perfettamente d'accordo con la Commissione in merito alla necessità di elaborare case studies con esempi che possano dimostrare alle PMI quanto sia agevole e vantaggioso introdurre processi di e-business. Per essere considerati pertinenti dalle PMI destinatarie, i casi studiati dovrebbero essere abbastanza specifici e localizzati. Sarebbe utile includere negli studi anche un'analisi dei benefici finanziari. In definitiva, saranno i vantaggi finanziari derivanti sul lungo periodo dall'uso di TIC per realizzare processi di e-business a convincere la maggior parte dei manager a reingegnerizzare il proprio sistema aziendale.

3.2.2

Oltre che di corsi di formazione sulle TIC e sull'e-business, un'esigenza a lungo termine, i manager delle PMI hanno anche bisogno di consigli e indicazioni sulle possibilità già accessibili a loro. Fornitori ideali di questo tipo di consulenza sono consiglieri informati facenti parte della stessa rete di sostegno, soprattutto esponenti di organizzazioni rappresentative del mondo imprenditoriale e industriale. Si dovrebbe fare particolare attenzione a garantire che il numero e la preparazione di questi consiglieri siano tali da consentire loro di assolvere al proprio compito. Inoltre, le iniziative di formazione e di consulenza devono essere adatte ai manager delle PMI, per fornire loro il livello di comprensione di cui hanno bisogno.

3.2.3

Andrebbe presa in esame la possibilità di concedere incentivi fiscali, legati ad attività specifiche e misurabili, che facilitino l'adozione di iniziative di e-business da parte dei manager. Gli sgravi di imposta potrebbero rappresentare un aiuto nella fase costitutiva dell'azienda e nella copertura delle spese operative fisse, fornendo così alle PMI ulteriori argomenti finanziari per un uso più diffuso delle TIC.

3.2.3.1

Il Comitato concorda sulla necessità di prestare particolare attenzione a realizzare, sul territorio dell'Unione, un'armonizzazione degli incentivi improntata all'equità, in modo da mantenere condizioni di concorrenza leale. È inoltre fondamentale che gli incentivi fiscali siano rigorosamente monitorati, in modo da impedire che vengano usati per scopi diversi da quello previsto.

3.2.4

La sostanziale trasformazione che consentirà alle PMI di prosperare nella nuova economia che sta rapidamente emergendo presupporrà da parte loro un apprendimento accelerato e permanente. Nell'esaminare qualsiasi intervento volto a incoraggiare l'apprendimento da parte delle PMI – in materia di sensibilizzazione dei manager, capacità tecnologiche e opzioni strategiche – andrebbe tenuta presente la necessità di promuovere reti sociali e un dialogo costante tra di loro.

3.3   Le competenze in materia di e-business

3.3.1

L'esame dell'aspetto delle competenze in materia di TIC e di e-business rivela la posizione di notevole svantaggio delle PMI:

raramente dispongono di professionisti in questi ambiti: gran parte delle competenze disponibili sul mercato sono confluite verso le grandi imprese, in grado di premiare la loro rarità con retribuzioni più elevate,

anche le economie di scala giocano a sfavore delle PMI, nelle quali il personale informatico rappresenta necessariamente una quota del numero totale di dipendenti molto più elevata che nelle grandi imprese,

infine, il fatto che molte PMI abbiano sede in zone isolate ostacola il trasferimento delle conoscenze relative alle nuove tecnologie e capacità.

3.3.1.1

Insomma, per le PMI la difficoltà e l'elevato costo del reperimento di competenze in materia sono tra i principali ostacoli a un'adozione più ampia delle TIC e dell'e-business.

3.3.1.2

Le iniziative di cui sopra per il trasferimento delle conoscenze saranno utili a convincere i manager ad accettare la necessità di alcune delle decisioni strategiche da prendere. Nel caso di progetti di e-business di una certa dimensione, però, vi sarà sempre bisogno della consulenza e del sostegno di specialisti in sede di implementazione, di manutenzione periodica e di gestione.

3.3.1.3

Le PMI potranno reperire queste competenze in parte grazie alla loro rete di sostegno e in parte tramite incentivi fiscali e contributi a fondo perduto che consentano loro di assumere esperti e formare personale, anche se qualsiasi incentivo fiscale andrebbe rigorosamente monitorato per impedire che sia usato per scopi diversi da quello previsto. Si potrebbero incoraggiare anche la messa in rete e lo scambio di nozioni specialistiche da parte dei centri di competenza del settore.

3.3.2

Dato il sempre maggiore fabbisogno di consulenti in materia di TIC, sarebbe auspicabile un regime di controlli sulle qualifiche dei consulenti in attività, al fine di tutelare le PMI da operatori incompetenti e senza scrupoli. Sarebbero utili sia una procedura di certificazione della qualità, sia un codice di condotta destinato ai consulenti in materia di TIC e di e-business chiamati a collaborare con una PMI sulla base di uno schema approvato. Gli aiuti proposti (per es. le agevolazioni fiscali) potrebbero essere subordinati alla condizione che le PMI ricorrano a consulenti qualificati.

3.3.3

I decisori politici devono convincersi che in questo campo è necessaria una formazione più diffusa ed estesa, che metta le forze lavoro in condizione di soddisfare le esigenze di un'economia del XXI secolo, basata sulla conoscenza e fortemente dipendente dalle TIC e dai processi di e-business. I programmi esistenti dovranno essere estesi, per raggiungere un maggior numero di interessati, e potenziati, per conseguire il grado richiesto di ampiezza e approfondimento formativi. È un tipo di formazione che deve iniziare nella scuola e proseguire con iniziative di apprendimento permanente supportate da adeguate reti sociali. Il Comitato condivide il grande favore con cui la Commissione vede la possibilità che il personale delle PMI ricorra a tecniche e applicazioni di apprendimento elettronico per integrare le modalità tradizionali di apprendimento.

3.3.4

I decisori politici dovranno anche tener conto del fatto che l'adozione di pratiche di e-business presenta una dimensione sociale. L'intero corpo sociale dovrà essere coinvolto e stimolato, in modo da sostenere questo processo e rendersi conto dei vantaggi che può arrecare a tutti.

3.4   La disponibilità di soluzioni di e-business

3.4.1

Le PMI devono poter accedere a soluzioni di e-business adeguate ad un prezzo accessibile. Anche se le PMI rappresentano oltre il 99 % del numero totale di imprese, la maggior parte delle applicazioni di questo tipo, per es. i sistemi per la gestione dei rapporti con i clienti, è calibrata sulle esigenze delle grandi imprese. Le PMI hanno bisogno di soluzioni economiche, che possano essere implementate in modo rapido e agevole e che siano calibrate sui loro bisogni specifici: soluzioni di questo tipo sono ancora rare.

3.4.1.1

Per agevolare lo sviluppo di opzioni affidabili e adeguate attraverso le TIC attualmente disponibili sul mercato e soluzioni di e-business adatte alle PMI e in grado di soddisfarne appieno le esigenze (1) sono necessarie iniziative apposite. Il Comitato giudica positivamente la proposta formulata nella comunicazione secondo cui le PMI potrebbero consorziarsi con grandi ditte nel settore delle TIC per concepire soluzioni idonee a soddisfare le proprie esigenze effettive, ma attende i risultati concreti di questa proposta, che sarà il tempo a giudicare (2). Inoltre, il Comitato si compiace dell'importanza attribuita alla partecipazione delle PMI al sesto programma quadro di RST e del fatto che detto programma finanzi lo sviluppo di software open source e di soluzioni di e-business interoperative che siano utili e tecnicamente complete in misura tale da rappresentare delle alternative valide e serie (3) per le PMI.

3.4.1.2

L'evoluzione registrata finora dal sesto programma quadro di RST, nonostante tutti gli annunci e la pianificazione esistente, non mostra alcun coinvolgimento diretto delle PMI nei singoli programmi, in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, queste non dispongono delle strutture, del know-how e delle conoscenze tecnologiche appropriate, né di personale adeguatamente formato per partecipare in modo credibile e trarne benefici concreti.

3.4.2

Semplificare il processo europeo di brevettazione renderebbe più facile commercializzare nuove applicazioni e tecnologie destinate alle PMI. Le procedure attuali, gravose e onerose, ostacolano infatti l'innovazione realizzata su scala ridotta e a basso costo.

3.4.3

Il Comitato giudica stimolante l'idea della Commissione di promuovere l'interoperabilità dell'e-business attraverso banchi di prova nazionali e la ritiene degna di promozione. Per le PMI sarebbe estremamente proficuo se quest'idea si concretizzasse come prefigurato. Il Comitato si chiede però se il settore privato sia sufficientemente motivato per implementare il piano proposto sull'ampia scala prospettata dalla Commissione.

3.4.4

In tema di partecipazione delle PMI allo sviluppo di applicazioni TIC, i decisori politici farebbero bene a considerare l'ipotesi di riservare alle PMI una determinata percentuale della spesa pubblica nel settore, in modo da stimolarne la capacità d'innovazione e l'imprenditorialità.

3.5   I mercati elettronici e le reti di e-business

3.5.1

Per le PMI di alcuni settori di attività i mercati elettronici assumono un'importanza sempre maggiore, ma anche in questi settori esistono molte PMI che non sono correttamente informate sul funzionamento dei mercati elettronici da impresa a impresa («B2B») né dispongono di infrastrutture TIC che consentano loro di sfruttare questa possibilità. Sono necessarie iniziative per formare il personale delle PMI interessate ed aiutarlo a superare gli ostacoli tecnici, economici e giuridici che ne impediscono l'accesso a questi mercati. Il Comitato invita altresì i proprietari e gli amministratori delle PMI a prendere coscienza delle circostanze particolarmente complesse che si vengono creando a livello mondiale con l'abolizione delle barriere commerciali e il ricorso alle nuove tecnologie, nonché a proseguire con coraggio la necessaria opera di modernizzazione delle loro imprese per poter far fronte alle nuove condizioni particolarmente difficili poste dalla concorrenza internazionale.

3.5.2

Il Comitato invita la Commissione a vagliare la fattibilità di un procedimento di certificazione della qualità dei mercati elettronici che consenta di identificare i siti che applicano le migliori prassi operative.

3.5.3

Il Comitato invita gli Stati membri a considerare con particolare attenzione le esigenze specifiche delle PMI nell'implementare il proprio sistema di appalti pubblici elettronici; invita inoltre la Commissione a proseguire le proprie iniziative a favore di un reale coordinamento a livello europeo.

3.5.4

Poiché le reti collaborative di e-business offrono alle PMI molti vantaggi potenziali, il Comitato sostiene pienamente le iniziative volte a promuoverne lo sviluppo. Oltre a combinare i punti di forza di diverse PMI, consentendo loro di partecipare ad appalti più complessi o consistenti di quelli cui potrebbero accedere singolarmente (un vantaggio commerciale diretto), tali reti facilitano il trasferimento di tecnologie e possono contribuire a colmare il divario di conoscenze e competenze già segnalato. Consentono inoltre alle imprese aderenti di collaborare allo sviluppo di applicazioni di e-business in grado di soddisfare le loro esigenze specifiche. Andrebbero pertanto prese in esame politiche, anche di sostegno finanziario, che promuovano la diffusione di reti del genere.

3.5.5

Le PMI temono che entrare in contatto con un mercato elettronico o con una rete collaborativa possa sollevare problemi di tutela della proprietà privata e intellettuale. Qualsiasi garanzia o assicurazione che la Commissione e i decisori politici siano in grado di fornire loro in questo senso ne faciliterebbe una maggiore partecipazione.

3.6   Valutazione delle iniziative europee volte a favorire la transizione delle PMI verso l'era digitale

3.6.1

Il Comitato invita la Commissione a riesaminare le tre linee d'azione definite nella comunicazione dal titolo «Aiutare le PMI a convertirsi ai sistemi digitali», a valutare i progressi compiuti a livello nazionale ed europeo nell'attuazione delle relative azioni e a trarre le necessarie conclusioni riguardo alle cause dell'eventuale ritardo.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  eEurope 2002 – una società dell'informazione per tutti, GU C 123 del 25.4.2001.

Innovazione, GU C 260 del 17.9.2001.

Criminalità informatica, GU C 311 del 7.11.2001.

Piano d'azione eLearning, GU C 36 dell'8.2.2002.

Go digital, GU C 80 del 3.4.2002.

Modinis, GU C 61 del 14.3.2003.

Programma eLearning, GU C 133 del 6.6.2003.

eEurope, relazione finale, GU C 220 del 16.9.2003.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (Versione rifusa)

(COM(2003) 418 def. - 2003/0153 (COD))

(2004/C 108/03)

Il Consiglio, in data 28 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore LEVAUX in data. 16 dicembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato all'unanimità il 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, il seguente parere.

1.   Introduzione

1.1   Obiettivo della proposta

1.1.1

La proposta di direttiva in esame costituisce la versione rifusa della direttiva 70/156/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi.

1.1.2

Questa direttiva è il principale strumento giuridico per realizzare il mercato unico nel settore automobilistico. Anche i trattori agricoli saranno inclusi in tale processo grazie all'adozione di una nuova direttiva che modifica la direttiva quadro 74/150/CEE del 4 marzo 1974, in merito alla quale il Comitato aveva formulato un parere il 16 aprile 1969 (1).

1.1.3

La Commissione ritiene che sia ormai giunto il momento di estendere i principi finora sviluppati per altre categorie di veicoli anche ai veicoli commerciali.

1.1.4

Dopo la prima fase, in cui si erano consolidati gli allegati tecnici della direttiva 70/156/CEE in un documento unico, l'attuale proposta (versione rifusa) costituisce la seconda fase del processo di riformulazione delle disposizioni legislative di detta direttiva. Grazie a tale processo, sarà possibile disporre a partire dal 2007 di una procedura di omologazione estesa a tutte le categorie di veicoli commerciali, considerato che l'omologazione comunitaria è diventata obbligatoria per le autovetture dal 1o gennaio 1998 e per i motocicli e i ciclomotori dal 17 giugno 1999.

1.1.5

La Commissione ritiene che con l'adozione di questa proposta di direttiva, che abrogherà la direttiva 70/156/CEE, oggetto di 18 modifiche, si avrà a disposizione un testo meglio strutturato, molto più confacente alle esigenze dei costruttori, degli Stati membri e dei paesi candidati.

1.2   Partecipazione delle parti all'elaborazione del progetto di direttiva

1.2.1

Quanto agli Stati membri, la Commissione precisa che essi sono stati informati attraverso il gruppo consultivo e il gruppo di lavoro sui veicoli a motore (Motor Vehicle Working Group: MVWG). Inoltre la Commissione ha tenuto conto dell'attività del gruppo OTA (Operationality of Type-Approval) e, in gran parte, anche dei lavori del gruppo TAAM (Types-Approval Authorities Meeting). La maggior parte degli esperti dei governi sono favorevoli alla proposta pur esprimendo delle riserve per quanto riguarda l'omologazione obbligatoria o facoltativa dei veicoli commerciali.

1.2.2

La Commissione sottolinea che l'impatto della proposta di direttiva è molto ampio. Nella tabella che figura al punto 5.2 della relazione introduttiva (allegato 1), essa raffronta le produzioni annuali di USA, Giappone ed Europa dei 15 per le autovetture private + gli autocarri leggeri + i veicoli commerciali pesanti. Da tale tabella risulta che la produzione ristagna per quanto riguarda l'Europa dei 15, anche se non si può non deplorare il fatto che la Commissione non ha aggiunto, a titolo di previsione, anche una colonna relativa ai dodici paesi candidati, nei quali gli industriali occidentali effettuano grossi investimenti aventi per effetto l'aumento della produzione nazionale. (2) Contemporaneamente, la Commissione osserva che il numero di veicoli commerciali nell'Europa dei 15 aumenterà da 24 829 000 nel 2000 a 32 867 000 nel 2014. Il Comitato si rende conto che la proposta interesserà diversi milioni di veicoli ma auspica che la Commissione precisi i suoi dati in cifre e li renda più chiari, dato che l'Europa dei 15 diventerà l'Europa dei 27 prima del 2014 e che i dodici nuovi membri hanno un tasso di progressione molto elevato.

1.2.3

Quanto all'industria automobilistica, la Commissione osserva che questa ha partecipato all'elaborazione della proposta fin dalle prime fasi e ha dato un importante contributo alla definizione del concetto di procedura di omologazione in più fasi. Precisa inoltre che, in generale, l'industria è favorevole alla proposta, purché sia concesso un lasso di tempo sufficiente a consentire a tutti i costruttori, compresi i carrozzieri, di soddisfare le prescrizioni relative all'omologazione.

1.3   Sintesi della proposta di direttiva

1.3.1

Per quanto riguarda i concetti che coesistono nella proposta va notato quanto segue:

la direttiva si basa su di un principio di armonizzazione totale: vale a dire che le procedure di omologazione comunitaria divengono obbligatorie e sostituiscono le procedure nazionali,

le procedure permetteranno di omologare un veicolo completo mediante combinazione di distinte omologazioni rilasciate per i sistemi, i componenti e le entità tecniche che lo costituiscono, anche quando le omologazioni parziali sono avvenute in Stati membri diversi,

un nuovo metodo di omologazione - noto come omologazione in più fasi - è stato introdotto per conformarsi alle modalità di fabbricazione dei veicoli commerciali. Per questa categoria di veicoli, per lo più il costruttore del veicolo di base procede all'omologazione dell'insieme composto dal telaio, dalla cabina e dal motore, mentre il secondo costruttore monta la carrozzeria o il cassone in funzione del carico trasportato. Il veicolo così completato viene infine presentato per l'omologazione finale,

verranno d'ora in poi incluse nel sistema comunitario armonizzato anche le autovetture fabbricate in piccole serie,

è prevista la possibilità di omologazioni individuali di veicoli particolari.

1.3.2

La proposta di direttiva costituisce un insieme coerente che semplificherà sensibilmente le operazioni di omologazione per i costruttori:

sarà sufficiente che un solo Stato membro omologhi il veicolo perché tutti i veicoli di questo tipo possano essere immatricolati in tutta la Comunità sulla sola base del loro certificato di conformità,

sono previste clausole di salvaguardia per consentire agli Stati membri di respingere - in fase di omologazione oppure di immatricolazione - veicoli che, pur conformi alle direttive applicabili, possono dimostrarsi pericolosi per la sicurezza stradale. Questo principio è esteso anche ai pericoli ambientali. Il Comitato fa osservare che redigendo in tal modo questo paragrafo (punto 6.1, «Generalità» della relazione introduttiva) la Commissione lascia supporre che alcune delle direttive attualmente in vigore potrebbero essere pericolose per la sicurezza stradale o l'ambiente. Dato che di fatto non è così, il Comitato suggerisce quindi che al suddetto punto, la Commissione aggiunga dopo «respingere» la precisazione: in «casi eccezionali».

2.   Osservazioni generali

2.1

In un recente parere riguardante la proposta di direttiva relativa alla protezione dei pedoni e che modifica la direttiva 70/156/CEE (Parere CESE 919/2003) (3), il Comitato ha formulato una serie di suggerimenti alcuni dei quali dovrebbero essere ripresi nel presente parere.

2.2

Il Comitato approva e sostiene l'iniziativa della Commissione di procedere alla rifusione di una direttiva modificata 18 volte e di armonizzare le norme applicabili, giungendo così ad una semplificazione delle procedure e favorendo allo stesso tempo lo sviluppo del mercato unico.

2.3

Dall'altro lato va rilevato che tale rifusione della direttiva 70/156/CEE persegue anche un obiettivo più globale, secondo il Comitato non sufficientemente sviluppato, che riguarda il miglioramento della sicurezza stradale e della protezione dell'ambiente.

2.4

Il Comitato ricorda quindi, come ha fatto in precedenza, che l'applicazione dell'omologazione comunitaria obbligatoria ha come principale obiettivo quello di «rafforzare la sicurezza d'uso dei veicoli e di proteggere gli occupanti degli stessi in caso di collisione, rispettando contemporaneamente l'ambiente». Questo obiettivo deve inquadrarsi in un approccio globale e andare oltre la semplice applicazione di misure volte a ridurre al minimo le conseguenze di una collisione accidentale o il guasto di un componente, di un sistema o di un elemento costitutivo del veicolo.

2.5

Nel parere già citato relativo alla protezione dei pedoni il Comitato sottolineava tre aspetti della protezione, che dovrebbero figurare anche nella Relazione introduttiva della nuova versione rifusa della direttiva:

la responsabilità dei soggetti coinvolti: dato che molto spesso gli incidenti sono dovuti all'imprudenza di pedoni, ciclisti e conducenti di autoveicoli, si deve incoraggiare un comportamento responsabile da parte di tutti gli utenti della strada,

l'educazione e informazione dei cittadini: l'industria automobilistica e gli altri soggetti devono contribuire all'educazione e all'informazione dei cittadini sin dalle scuole primarie o attraverso regolari campagne di comunicazione volte a incoraggiare un comportamento corretto in tutti gli utenti,

le infrastrutture: dei rivestimenti bituminosi con manto drenante e la segnaletica con i relativi sistemi di indicazione dovrebbero essere oggetto di una ricerca congiunta dell'industria automobilistica e dell'industria stradale europea.

2.6

Il Comitato chiede quindi alla Commissione, anche se si tratta di una direttiva tecnica, di modificare e completare la relazione introduttiva alla proposta di direttiva ispirandosi alle suddette proposte per meglio sviluppare «il contenuto di una politica globale in materia di prevenzione degli incidenti per gli utenti delle strade e delle vie cittadine».

3.   Osservazioni particolari

3.1

Il Comitato, dinanzi all'impatto della proposta di direttiva e alle sue conseguenze per l'industria automobilistica in Europa, condivide la richiesta dei professionisti di disporre di termini sufficientemente lunghi per la sua applicazione; comprende tale richiesta e la trova giustificata, in particolare per quanto riguarda i carrozzieri. Pur non disponendo delle informazioni e degli elementi di valutazione necessari, il Comitato considera ragionevole il calendario previsto per l'applicazione della direttiva, che a seconda dei tipi di veicoli va dal 1o gennaio 2007 al 1o gennaio 2012 (art. 40 e allegato XVI).

3.2

Il Comitato non comprende invece le riserve di certi esperti dei governi e desidererebbe conoscere gli argomenti di chi ritiene che «l'applicazione obbligatoria comporterebbe scarsi vantaggi sotto il profilo della sicurezza stradale o dell'ambiente, mentre farebbe aumentare i costi di produzione». Il Comitato non condivide questa posizione; al contrario, è convinto che la proposta avrà effetti positivi per la sicurezza e l'ambiente purché le sue proposte di mettere a punto una politica globale siano accolte in tempi accettabili.

3.3

Quanto ai costi per i costruttori, questi sono senz'altro rilevanti ma si possono considerare accettabili se ripartiti su 10 o 20 anni. Il Comitato auspica pertanto che venga effettuata una valutazione in contraddittorio, con tutte le parti interessate, del costo della direttiva e che si proceda ad una verifica della possibilità per l'industria automobilistica di sopportarne l'onere in questi ampi termini. Il Comitato ritiene che sia preferibile allungare le scadenze in funzione delle possibilità di applicazione di una direttiva da parte dell'industria, piuttosto che fissare date che non possono essere rispettate con delle ripercussioni sull'occupazione, i costi, o addirittura la sopravvivenza stessa delle imprese, indotto compreso. Nel momento dell'allargamento e delle difficoltà economiche che incontra l'Europa, questa verifica preliminare si ispira all'applicazione dei principi di precauzione e pertinenza.

3.4

Per quanto riguarda i veicoli di fine serie di cui all'articolo 26, paragrafo 3, il termine di risposta degli Stati dovrebbe essere portato da 3 a 1 mese per ridurre il costo degli stock.

3.5

Nel suo parere sui Trattori agricoli (4) che si occupa dell'omologazione dei trattori agricoli e relative attrezzature, il Comitato aveva richiamato l'attenzione della Commissione sullo sviluppo del mercato dei veicoli a motore chiamati «quadricicli a motore» (QUAD). Dato che essi non figurano né nella direttiva attualmente all'esame né in quella citata sui trattori agricoli il Comitato sottolinea l'urgenza di armonizzare nell'UE l'omologazione di questo tipo di veicoli.

4.   Conclusioni

4.1

Il Comitato apprezza la semplificazione e la trasparenza che derivano dalla rifusione della direttiva 70/156/CEE.

4.2

Il Comitato suggerisce alla Commissione, anche se si tratta di una direttiva tecnica, di sottolineare nella relazione introduttiva, al punto 3 «Cronistoria», che l'obiettivo principale è quello di rafforzare la «sicurezza» nell'uso dei veicoli non solo per proteggere gli occupanti, ma anche per evitare delle collisioni con gli altri utilizzatori della strada, i pedoni, i ciclisti e altri veicoli.

Bruxelles, 28 gennaio 2004

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU C 48 del 16.4.1969.

(2)  In seguito alle osservazioni del Comitato, la Commissione ha fornito i dati che mancavano nella proposta di direttiva.

(3)  GU C 234 del 30.9.2003.

(4)  GU C 221 del 17.9.2002.


30.4.2004   

IT

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C 108/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai provvedimenti da prendere contro l'emissione di inquinanti gassosi e di articolato prodotti dai motori ad accensione spontanea destinati alla propulsione di veicoli e contro l'emissione di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione comandata alimentati con gas naturale o con gas di petrolio liquefatto destinati alla propulsione di veicoli

(COM(2003) 522 def. - 2003/0205 (COD))

(2004/C 108/04)

Il Consiglio, in data 22 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore RANOCCHIARI in data 16 dicembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 113 voti favorevoli e 1 contrario, il seguente parere:

1.   Introduzione

1.1

Con la proposta di direttiva COM(2003) 522 la Commissione europea intende consolidare in un unico testo la direttiva 88/77/CEE sulle emissioni allo scarico prodotte dai motori per veicoli commerciali e tutti i successivi emendamenti già approvati dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

1.2

Come richiesto dagli articoli 4 e 7 della direttiva 1999/96/CE, la Commissione propone, inoltre, tre nuovi provvedimenti che riguardano rispettivamente l'introduzione di sistemi diagnostici di bordo (OBD) (1), le misure di conferma della durata dei sistemi di controllo delle emissioni e le misure di verifica della conformità in servizio di tali sistemi.

1.3

La proposta della Commissione relativa a questi tre nuovi provvedimenti è strutturata in modo diverso rispetto alle direttive esistenti riguardanti l'omologazione dei veicoli a motore. Essa rispecchia la volontà di rendere più efficiente il processo decisionale e di semplificare la legislazione proposta, in modo da consentire al Parlamento europeo ed al Consiglio di concentrarsi maggiormente sul contenuto e sugli indirizzi politici, lasciando alla Commissione il compito di adottare le prescrizioni necessarie per l'attuazione dei medesimi.

1.4

La Commissione ha adottato un'impostazione per «livelli separati»che prevede due percorsi distinti ma paralleli per l'elaborazione e l'adozione delle norme legislative. In base a questa impostazione:

1.4.1

le disposizioni fondamentali sono stabilite dal PE e dal Consiglio in una direttiva adottata a norma dell'articolo 251 del Trattato secondo la procedura di codecisione, che stabilisce i principi fondamentali dei nuovi provvedimenti (proposta soggetta alla procedura di codecisione);

1.4.2

le prescrizioni tecniche relative all'attuazione delle disposizioni fondamentali sono stabilite in una direttiva adottata dalla Commissione europea assistita dal comitato di regolamentazione per l'adattamento al progresso tecnico (proposta soggetta alla procedura di comitato).

1.5

Il documento COM(2003) 522 corrisponde alla proposta di direttiva soggetta alla procedura di codecisione (cfr. 1.4.1 sopra) mentre la proposta di direttiva soggetta alla procedura di comitato (cfr. 1.4.2 sopra) non è ancora disponibile.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Nel redigere la proposta in esame, la Commissione ha chiaramente evidenziato e distinto i contenuti relativi all'introduzione dei nuovi provvedimenti dai contenuti relativi al consolidamento del testo della direttiva, corrispondenti ad emendamenti già approvati dal PE e dal Consiglio.

2.2

La Commissione propone di introdurre i nuovi provvedimenti relativi ai sistemi OBD alle misure di conferma della durata dei sistemi di controllo delle emissioni e alle misure di verifica della conformità in servizio di tali sistemi a date che corrispondono alle date previste per l'entrata in vigore degli standard Euro 4 e Euro 5.

2.3

Sistemi diagnostici di bordo (OBD): la Commissione ne propone l'introduzione in due fasi successive, con le seguenti date di entrata in vigore:

i.

prima fase - ottobre 2005 per le nuove omologazioni e ottobre 2006 per tutte le omologazioni;

ii.

seconda fase - ottobre 2008 per le nuove omologazioni e ottobre 2009 per tutte le omologazioni.

2.3.1

Durante la prima fase, si richiede che il sistema OBD sappia riconoscere l'insorgere di guasti nel sistema di controllo motore, ove tali guasti siano causa di un aumento delle emissioni superiore a soglie predefinite. Il sistema deve inoltre essere in grado di riconoscere «guasti funzionali rilevanti» di eventuali sistemi di post-trattamento dei gas di scarico come filtri del particolato e/o catalizzatori.

2.3.2

Durante la seconda fase, si richiede che il sistema OBD sappia riconoscere non solo l'insorgere di guasti nel sistema di controllo motore ma anche gli eventuali deterioramenti dell'efficienza dei sistemi di post-trattamento dei gas di scarico che potrebbero causare un aumento delle emissioni allo scarico in eccesso rispetto a soglie predeterminate.

2.4   Misure di conferma della durata dei sistemi di controllo delle emissioni

2.4.1

La Commissione propone le seguenti definizioni per la «vita utile» dei veicoli (2) su cui i motori coperti dalla direttiva verranno installati:

i.

veicoli N 1,

100 000 km o 5 anni;

ii.

veicoli N 2 ed M 2,

200 000 km o 6 anni;

iii.

veicoli N 3 ed M 3

500 000 km o 7 anni.

2.4.2

A partire dall'ottobre 2005, nel richiedere l'omologazione di un nuovo motore, il costruttore dovrà dimostrare il rispetto dei limiti di emissione per un periodo corrispondente all'intera vita utile del tipo di veicolo su cui intende installarlo.

2.4.3

A partire dall'ottobre 2006, tutti i motori installati su veicoli nuovi dovranno essere conformi a questa prescrizione.

2.5

Verifica della conformità in servizio: le definizioni sopra indicate per la «vita utile» dei veicoli commerciali varranno anche per la verifica della conformità dei motori in servizio.

3.   Osservazioni generali

3.1

L'ampliamento dell'UE impone di disporre, ai fini di una maggior chiarezza e trasparenza, di versioni consolidate delle principali direttive. L'adozione della versione consolidata della direttiva 88/77/CE è quindi un atto dovuto ed il Comitato si complimenta con la Commissione per lo sforzo fatto per adempiervi.

3.2

Il Comitato concorda con il fatto che i contenuti relativi al consolidamento della direttiva non richiedono un dibattito specifico dal momento che coincidono con scelte già approvate dal Comitato stesso (3), dal PE e dal Consiglio.

3.3

La proposta di seguire un'impostazione per «livelli separati» comporta due percorsi distinti ma paralleli per l'elaborazione e l'adozione delle norme tecniche e legislative.

3.3.1

Separare le disposizioni fondamentali, sulla cui base vengono definiti i provvedimenti proposti, dai dettagli tecnici necessari per la loro implementazione può contribuire in maniera determinante allo snellimento e alla riduzione dei tempi del processo legislativo.

3.3.2

Il Comitato è quindi d'accordo con l'impostazione adottata dalla Commissione nel proporre i nuovi provvedimenti relativi all'introduzione dei sistemi OBD e delle misure relative alla durata dei sistemi di controllo delle emissioni e alla conformità in servizio.

3.3.3

I dettagli tecnici per la loro implementazione potranno così essere discussi e definiti dagli esperti che gli Stati metteranno a disposizione della Commissione tramite il comitato di adattamento al progresso tecnico.

3.3.4

Il Comitato invita la Commissione a prendere atto anche dei contributi che l'industria e gli altri soggetti interessati vorranno portare alla definizione di tali dettagli tecnici.

3.4

Il Comitato deve purtroppo sottolineare che le proposte della Commissione relative ai sistemi OBD, alla durata e alla conformità in servizio, vengono presentate con un notevole ritardo rispetto alle tempistiche definite dagli articoli 4 e 7 della direttiva 1999/96/CE citati al punto 1.2.

3.5

Il Comitato ritiene inoltre di dover evidenziare che le date di entrata in vigore dei nuovi provvedimenti proposti sono particolarmente e pericolosamente vicine.

3.5.1

Eventuali ritardi nell'adozione delle due direttive parallele, vale a dire la direttiva soggetta alla procedura di codecisione e la corrispondente direttiva soggetta alla procedura di comitato, metterebbero l'industria nell'impossibilità di ottenere per tempo l'omologazione dei motori la cui introduzione sul mercato è stata programmata nel 2005.

4.   Considerazioni particolari

4.1

L'introduzione di sistemi OBD sui motori dei veicoli commerciali europei avverrà con notevole anticipo rispetto agli altri mercati, compresi quelli americani e giapponesi. Mancherà quindi quell'esperienza che era invece disponibile nella fase precedente, quando i sistemi OBD furono introdotti sulle autovetture.

4.2

Per essere pronti nel 2005, i costruttori di motori europei hanno dovuto iniziare i programmi di ingegnerizzazione e messa a punto dei sistemi OBD anni fa, sulla base delle proposte da loro avanzate e delle discussioni tenutesi nell'ambito del MVEG (4), in cui sono presenti insieme alla Commissione anche esperti degli Stati membri.

4.2.1

Da tempo si è raggiunto il punto di non ritorno in cui le strategie di base dei sistemi non possono più essere modificate e si è oramai passati alla definizione delle calibrazioni dei sistemi.

4.2.2

I ritardi con cui le due direttive parallele saranno conosciute nella loro versione definitiva sono pertanto estremamente critici. L'introduzione di modifiche non previste impedirebbe il rispetto delle date di entrata in vigore del provvedimento.

4.3

La necessità di dimostrare l'efficienza dei sistemi di controllo delle emissioni impone prove che richiedono tempi di preavviso sufficienti. Ancora una volta i ritardi con cui saranno conosciute queste due direttive parallele nella loro versione finale potrebbero creare criticità non trascurabili.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato accoglie con estremo favore il nuovo approccio per «livelli separati» che la Commissione intende sperimentare con la proposta di direttiva in esame. Separare i principi fondamentali e gli obiettivi politici della normativa dai dettagli tecnici necessari per la sua implementazione significa semplificare e ridurre i tempi del processo legislativo.

5.2

Il Comitato ritiene che la proposta della Commissione debba essere adottata con la massima urgenza dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

5.3

Il Comitato auspica quindi che il Consiglio e il Parlamento europeo facciano ogni sforzo possibile per raggiungere una posizione comune, in tempi tali che la proposta di direttiva possa essere adottata prima del prossimo aprile. Ulteriori ritardi metterebbero in serio dubbio la possibilità di rispettare le date previste per l'entrata in vigore dei nuovi provvedimenti relativi alla durata e ai sistemi OBD.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  On Board Diagnostic.

(2)  M = veicoli per trasporto di persone: M 1 (8 posti + 1); M 2 (>8 + 1 e peso totale < t 5); M 3 (>8+1 e peso totale > t 5); N = veicoli per trasporto merci: N 1 (peso totale <= t 3,5); N 2 (peso totale > t 3,5 < = t 12); N 3 (peso totale > t 12).

(3)  GU C 41 del 18.2.1991; GU C 155 del 21.6.1995; GU C 407 del 28.12.1998.

(4)  Motor Vehicle Emissions Group.


30.4.2004   

IT

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C 108/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofi – mobilità sostenibile – finanziamento

(2004/C 108/05)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofi - mobilità sostenibile - finanziamento.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo dei relatori ALLEWELDT, LEVAUX e RIBBE in data 24 novembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere il 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 107 voti favorevoli, 2 contrari e 3 astensioni.

Premessa

Con lettera dell'8 aprile 2003 di S.E. l'Ambasciatore Umberto VATTANI, rappresentante permanente dell'Italia presso l'Unione europea, il Consiglio dell'Unione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema Revisione dell'elenco dei progetti RTE fino al 2004.

Nel corso della sessione plenaria del luglio 2003 il ministro italiano per le Politiche comunitarie BUTTIGLIONE, a nome della presidenza del Consiglio dell'UE, si è soffermato sui particolari di tale richiesta, spiegando che una delle priorità della presidenza italiana è dare un nuovo impulso alla politica europea in materia di infrastrutture di trasporto. Ha inoltre auspicato che le reti transeuropee di trasporto non si limitino a consentire il trasporto di merci, ma rafforzino altresì i legami tra le società che attraversano.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione (TEN) si è riunita il 4 settembre 2003 a Roma su invito del Consiglio nazionale italiano dell'economia e del lavoro (CNEL). In tale occasione la sezione specializzata del Comitato economico e sociale europeo, alla presenza del ministro BUTTIGLIONE, ha adottato il proprio parere esplorativo nonché una risoluzione congiunta con la commissione V - Grandi opere e reti infrastrutturali del CNEL, in cui si sottolinea che:

lo sviluppo delle reti transeuropee di trasporto dovrebbe diventare un elemento essenziale per la coesione economica e sociale della nuova Europa, e che

bisogna garantire uno sviluppo coerente e sostenibile della mobilità europea, onde permettere una crescita armoniosa del tessuto economico e sociale del continente.

Al medesimo tempo il ministro BUTTIGLIONE, a nome della presidenza italiana, ha espresso il desiderio di coinvolgere maggiormente il Comitato economico e sociale europeo nella politica europea in questo settore. Per tale motivo ha incaricato la sezione specializzata TEN di predisporre un parere di iniziativa sul tema «Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofi - mobilità sostenibile - finanziamento». Data la complessità dell'argomento, si è deciso di nominare tre relatori (1), ciascuno dei quali tratterà uno dei tre aspetti, tenendo conto dei lavori in corso in merito all'iniziativa per la crescita e di quelli del gruppo van Miert. La riflessione del Comitato sull'argomento è in costante evoluzione e il presente parere ne costituisce la posizione attuale: esso verrà presentato prima della fine del mandato della presidenza italiana, nel quadro dell'ultima riunione in programma all'inizio di dicembre.

Alexander Graf von SCHWERIN

Presidente della sezione specializzata

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione

1.   Pianificazione e politica di vicinato: collegare le reti transeuropee ai corridoi paneuropei di Helsinki

1.1

La presidenza italiana ha indicato tra i suoi obiettivi prioritari quello di dare un nuovo impulso alla politica europea in materia di infrastrutture di trasporto. Per quanto la Germania e la Francia abbiano di recente sottolineato che un'«iniziativa per la crescita in Europa» non dovrebbe concentrarsi unicamente su tale aspetto, ma includere altresì le reti energetiche, le telecomunicazioni, la ricerca e lo sviluppo, la scelta di porre l'accento sulle infrastrutture di trasporto appare quanto mai legittima. Infatti, se si traccia un bilancio della realizzazione delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T) negli ultimi 10 anni, i risultati non possono che essere giudicati molto deludenti. In ottobre la Commissione europea ha però reagito presentando una comunicazione che tiene in debito conto questo approccio più ampio e tenta di tradurlo in una strategia a favore dell'occupazione (2).

1.2

Se si considerano non solo l'imminenza dell'ampliamento dell'UE e i futuri mutamenti nella posizione geostrategica dell'Europa, ma anche i pronostici sullo sviluppo dei trasporti in generale e dei singoli modi di trasporto, la crescente sensibilità per l'impatto ambientale e infine le scarse prospettive di crescita per l'UE e i relativi effetti per l'occupazione, appare lecito chiedersi se saremo in grado di rispondere alle sfide esistenti in assenza di un chiaro segnale a favore di un'iniziativa europea comune per lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto. A questo riguardo, è certo che non ci si può limitare a riproporre le ricette del passato, ma che bisognerà avere il coraggio di mettere a punto nuovi strumenti.

1.3

Il 4 settembre 2003, nel corso di un incontro avvenuto a Roma, la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione del Comitato economico e sociale europeo (CESE) e la V Commissione Grandi opere e reti infrastrutturali del Consiglio nazionale italiano dell'economia e del lavoro (CNEL) hanno adottato una risoluzione congiunta (3). Da ambo le parti si è sottolineato che la costruzione di corridoi paneuropei di trasporto nell'Europa meridionale ed orientale deve ritenersi condizione necessaria per lo sviluppo dei trasporti in tutta la regione mediterranea, la quale, come sottolineato dalla «Carta di Napoli», acquisirà un nuovo ruolo economico, sociale e strategico in seguito al processo di ampliamento dell'Unione europea. L'attuale rete dei trasporti va integrata con la realizzazione di opportuni collegamenti, come il cosiddetto «corridoio adriatico» tra i corridoi V e VIII. Del pari, sarà importante accertarsi che si terrà conto in maniera equilibrata delle esigenze di tutte le regioni, comprese le aree depresse dell'attuale UE a 15 e dell'Europa settentrionale. Infine, si è osservato che lo sviluppo di questa rete paneuropea richiederà un maggiore sostegno sul piano non solo tecnico e organizzativo, ma anche finanziario.

1.4

A dieci anni dall'avvio delle prime fondamentali misure legate alla creazione delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T), la Commissione europea ha incaricato un gruppo di esperti presieduto da Karel van Miert di tracciare un consuntivo (4). Si è dovuto così constatare non solo che la realizzazione dei progetti è in forte ritardo rispetto ai calendari fissati, ma anche che gli investimenti pubblici in materia di trasporto sono nel complesso calati, passando dall'1,8 % del PIL nel 1980 a meno dell'1 % del PIL negli anni '90. La Commissione, il 1o ottobre 2003, ha presentato una proposta volta ad adattare gli orientamenti per le reti transeuropee di trasporto alla situazione che verrà a crearsi con l'ampliamento dell'Unione (5): l'obiettivo è creare una rete coerente che unisca Stati membri vecchi e nuovi e accelerare la realizzazione dei progetti prioritari. Con le osservazioni che seguono, il Comitato intende fornire un ulteriore contributo a questa nuova concezione delle TEN-T.

1.5

Le vie di comunicazione transeuropee costituiscono un fattore chiave ai fini della coesione economica e sociale non solo nell'UE ampliata, ma anche al di là dei confini comunitari. I vecchi e nuovi Stati confinanti dell'UE devono profilarsi come partner di questo progetto che non investe solo l'intero continente europeo, ma va ben oltre le sue frontiere.

1.6

Durante le tre conferenze paneuropee sul trasporto svoltesi a Praga (1991), Creta (1994) e Helsinki (1997) (6), da un lato si sono poste le basi per mettere a punto una rete dei grandi assi di trasporto (corridoi) e, dall'altro, si sono concordati alcuni obiettivi della politica di trasporto improntati a principi di politica energetica, ambientale, sociale ed economica, al fine di creare i presupposti per una concorrenza leale ed equilibrata. È necessario mantenere anche in futuro questo principio di una cooperazione che supera i confini dell'UE in materia di politica dei trasporti, e la Commissione europea, nel quadro dei propri lavori, dovrebbe tenerne conto e promuovere tale approccio.

1.7

I progetti infrastrutturali di interesse europeo adempiono la propria funzione solo se soddisfano e fanno propri determinati interessi economici, politici e sociali. A tal fine, la cooperazione fra i ministri dei trasporti non appare sufficiente, giacché occorre una partecipazione delle associazioni economiche, dei vettori, dei sindacati, delle associazioni ambientaliste e di quelle dei consumatori a livello trasfrontaliero. Tutto ciò non si risolve certo con una semplice adesione all'UE. La realtà della realizzazione delle TEN mostra invece che l'impulso a creare vie di comunicazione «europee» può venire solo da una comprensione «europea» mostrata a livello della collettività e da un consenso che tenga conto delle realtà economiche e sociali. Il Comitato propone di applicare alle TEN-T l'approccio inerente ai corridoi.

1.8

Dalle considerazioni che precedono derivano alcune esigenze concrete legate a una revisione degli orientamenti in materia di TEN che comporti anche il proseguimento dei lavori svolti in materia di corridoi:

1.8.1

Gli assi e i corridoi delle reti di trasporto transeuropee devono servire a integrare il mercato interno e a rinsaldare i rapporti economici e sociali con gli Stati limitrofi. Essi devono anzitutto instaurare collegamenti ottimali fra le varie aree economiche e bisogna anzi accertarne l'efficacia a questo riguardo. Finora ciò è avvenuto (se mai è avvenuto) solo raramente e in modo poco comprensibile. Come riferimento, vengono citati all'evenienza singoli studi scientifici, ma raramente vengono riportati risultati e pareri controversi. È possibile farsi un quadro realistico della situazione solo se si considerano anche i pareri e le esperienze delle varie associazioni. La Commissione, finora, ha utilizzato tale strumento in misura di gran lunga insufficiente.

1.8.2

Bisogna garantire l'intermodalità dei corridoi TEN e, a tal fine, stabilire criteri di qualità facilmente applicabili. Ogni asse/corridoio di trasporto dovrà sviluppare e attuare tale aspetto in maniera individuale; si tratta pertanto di introdurre l'obbligo di definire strategie per l'intermodalità e di sviluppare piani di azione in materia.

1.8.3

Bisogna inoltre privilegiare l'utilizzo ecologico delle vie di navigazione interna (cfr. anche 2.3.8, infra). Ciò comporta anche la necessità di collegare i porti, promovendo in particolar modo il corridoio VII (7), Danubio (8), creando i raccordi con le ferrovie e prevedendo adeguate disposizioni sugli aspetti tecnici e sociali della navigazione fluviale transfrontaliera.

1.8.4

Il trasporto marittimo a corto raggio non è stato ancora sufficientemente potenziato né adeguatamente integrato nella pianificazione dei corridoi delle reti di trasporto transeuropee. La rivalutazione dei collegamenti marittimi nella nuova proposta della Commissione europea va pertanto accolta con vivo favore. Anche in questo caso, infatti, per tali servizi di trasporto e per la loro promozione occorre garantire il rispetto degli standard di sicurezza e di adeguate condizioni sociali. Inoltre, nel caso di rotte marittime molto frequentate (p. es., nel caso dell'accesso al Mar Baltico) e della navigazione in prossimità della costa, si deve tener conto anche dell'impatto ambientale.

1.8.5

Potenziare il traffico ferroviario soprattutto in una prospettiva di collaborazione transfrontaliera e di collegamento con i porti marittimi richiede la definizione di obiettivi ambiziosi ma raggiungibili, la cui attuazione va monitorata. La discussione sui nuovi sistemi di pedaggio stradale (9) deve portare all'individuazione di soluzioni alternative. I corridoi IV (10) e X (11) offrono già importanti spunti di collaborazione nell'ambito del trasporto ferroviario (12), che sono validi esempi da seguire.

1.8.6

Bisogna aumentare gli investimenti per mantenere e potenziare le infrastrutture di trasporto, accrescere l'impegno finanziario dell'Unione e impegnarsi a un maggior rispetto del calendario dei progetti «europei». Al tempo stesso, però, le risorse finanziarie sono limitate e si deve prestare attenzione a garantire uno sviluppo complessivamente equilibrato. Ciò significa che il potenziamento delle infrastrutture esistenti dovrebbe avere la precedenza rispetto ai nuove infrastrutture e che gli investimenti nei grandi assi di trasporto non devono andare eccessivamente a scapito dei trasporti regionali che coprono l'intero territorio. In generale andrebbe stabilito fino a che punto il collegamento delle reti regionali di trasporto situate lungo i corridoi TEN sia stato realizzato in modo ottimale.

1.8.7

Il successo delle TEN e dei corridoi dipenderà dalla capacità di dimostrare in modo tangibile ai cittadini di aver tenuto conto delle problematiche ambientali, della sicurezza e della tutela dei consumatori. Trasporti, sicurezza e sostenibilità sono inscindibili: accanto alle esigenze economiche occorre pertanto dare pari dignità anche alle istanze sociali, e non solo a quelle degli addetti dei trasporti. Occorre anche organizzare i trasporti su strada in modo rispettoso dell'ambiente e potenziare i trasporti pubblici di passeggeri. Come prospettato in origine, gli orientamenti in materia di TEN vanno integrati con criteri qualitativi come ad esempio la qualità dei servizi, la sicurezza, l'impatto ambientale dei trasporti, le condizioni di lavoro e le qualifiche del personale impiegato nel settore. A tal fine vanno creati adeguati meccanismi di controllo, quali ad esempio una relazione ambientale specifica sulle TEN e i corridoi di trasporto, o altri strumenti simili.

1.8.8

L'integrazione dei corridoi negli orientamenti in materia di reti transeuropee dovrebbe comprendere anche gli spunti positivi nati dalle forme di collaborazione in essi realizzate. Anche in futuro i corridoi manterranno la loro funzione di collegamento con gli Stati e i continenti limitrofi al di là del territorio comunitario. Dopo l'ampliamento non ci si dovrà limitare a ultimare i corridoi previsti, bensì si dovranno elaborare proposte di collaborazione serie e di ampio respiro geografico. Occorre valutare attentamente l'impatto delle decisioni adottate attualmente nell'UE in materia di TEN sulla cooperazione, divenuta ormai più intensa, a livello dei corridoi.

La nuova proposta della Commissione europea di designare appositi coordinatori europei per la promozione dei principali progetti TEN va accolta con favore. Così facendo la Commissione mette in pratica in modo soddisfacente l'esperienza maturata nel settore dei corridoi di trasporto. Anche l'intenzione di prevedere, in futuro, procedure di pianificazione e valutazioni dell'impatto ambientale su una base comune a livello transfrontaliero va nella giusta direzione. È imprescindibile monitorare tempestivamente i progressi compiuti e, per tale motivo, vanno accolte con favore anche le relazioni annuali proposte dalla Commissione. La funzione di monitoraggio prevista dalla dichiarazione di Helsinki del 1997 non è mai stata in definitiva realizzata, anche se esistono taluni documenti in materia, come la relazione della CEMT (Conferenza europea dei ministri dei trasporti), le relazioni periodiche sullo stato di avanzamento dei corridoi elaborate dai rispettivi comitati direttivi o ancora la relazione TINA del 1999. Il lavoro dei coordinatori dovrebbe servire anche a realizzare i summenzionati obiettivi politici e, in tal senso, la descrizione delle loro funzioni al nuovo articolo 17 bis – e soprattutto la promozione del dialogo con gli operatori, gli utilizzatori dei trasporti, le autorità regionali e locali e i rappresentanti della società civile per ottimizzare l'uso delle infrastrutture e conoscere meglio gli eventuali ostacoli (13) – è un buon presupposto. Il Comitato esorta la Commissione a sfruttare la propria esperienza e a dare il proprio sostegno attraverso la consultazione dei rappresentanti degli interessi socioeconomici, contribuendo alla trasparenza e organizzando audizioni e occasioni di confronto. Questo aspetto, che è stato ribadito anche nella primavera 2003 nello scambio di lettere tra la sezione specializzata TEN e la commissaria Loyola de Palacio, potrebbe ora essere attuato concretamente in tale contesto.

2.   Le infrastrutture di trasporto nell'ottica dello sviluppo sostenibile

2.1   Considerazioni preliminari

2.1.1

La mobilità è una conquista irrinunciabile del nostro mondo moderno. Il moltiplicarsi delle attività da svolgere nel tempo libero, il piacere di viaggiare, ma anche un mondo del lavoro che richiede una flessibilità sempre crescente attribuiscono alla mobilità un posto di primo piano nella nostra società. Per molti, però, mobilità è anche sinonimo di una libertà che deve essere per quanto possibile senza limiti, in senso sia proprio che figurato.

2.1.2

La mobilità è inoltre un presupposto fondamentale per il buon funzionamento di segmenti determinanti della nostra economia. Gli investimenti in nuove vie di comunicazione, come pure la manutenzione e l'ammodernamento delle vie già esistenti, contribuiscono a rafforzare la congiuntura e a creare nuovi posti di lavoro.

2.1.3

Vivere nella mobilità non significa però dover necessariamente percorrere lunghi tragitti. Elevati volumi di trasporto non implicano affatto elevata mobilità nel senso positivo del termine; anzi, l'eccessivo moltiplicarsi delle prestazioni di trasporto sembra essere giunto a un limite, tanto che, in effetti, gli ingorghi nelle nostre strade trasformano la mobilità in paralisi. Per risolvere questo problema spesso si chiede di potenziare ulteriormente le infrastrutture di trasporto, di rendere i trasporti più rapidi e scorrevoli, e quindi più efficienti ed economici. Nel contempo però si vogliono valorizzare le regioni in ritardo di sviluppo e offrire prospettive economiche anche alle aree periferiche.

2.1.4

Anche al Comitato non è sfuggito il moltiplicarsi delle voci di critica e, in effetti, i trasporti comportano certamente anche una serie di inconvenienti, in quanto pregiudizievoli per l'uomo e la natura:

incidenti, danni alla salute causati dall'inquinamento acustico e atmosferico, scempio del paesaggio e consumo delle risorse naturali generano i cosiddetti «costi esterni», che nell'Unione europea (più Norvegia e Svizzera) ammontano a circa 530 miliardi di euro all'anno, pari a circa l'8 % del prodotto interno lordo complessivo,

frammentazione di paesaggi, distruzione di biotopi, interruzione di corridoi di passaggio della fauna selvatica,

in Europa la gente subisce le conseguenze dell'aumento del traffico e delle sue ricadute ambientali. Da un'indagine della Commissione europea emerge che tre delle sette principali forme di danno ambientale sono riconducibili in prima battuta al traffico: rumore, distruzione del paesaggio e inquinamento atmosferico; nell'inchiesta il traffico automobilistico compare di conseguenza al primo posto fra i fattori negativi.

2.1.5

Sempre più di frequente i detrattori della politica di trasporto condotta finora si chiedono quando la valorizzazione di un territorio mediante la costruzione di strade e altre infrastrutture di trasporto possa considerarsi ottimale o ultimata. Con scetticismo si valuta inoltre il vacillare dell'economia e l'aumento dei tassi di disoccupazione anche in regioni dotate di valide infrastrutture per i trasporti: di conseguenza, molti critici contestano sempre più il nesso causale fra infrastrutture di trasporto e progresso economico spesso addotto a loro giustificazione.

2.1.6

Per il Comitato è chiaro che, nel valutare i progetti di sviluppo delle infrastrutture europee di trasporto, si deve distinguere nettamente tra fase d'investimento propriamente detta (cioè le misure di costruzione vere e proprie) e successivi effetti derivanti dalla gestione e dell'utilizzo delle infrastrutture, i quali non comprendono solo le ripercussioni ambientali e sociali ma anche le conseguenze per le infrastrutture di trasporto già esistenti a livello nazionale o regionale. Il Trattato di Maastricht precisa che il compito delle reti transeuropee è rafforzare la coesione economica e sociale nell'Unione europea. In effetti, un crescente numero di studi empirici mostra che lo sviluppo delle RTE determina un migliore collegamento fra i centri economici dell'Europa, contribuendo così al rafforzamento della competitività globale del continente; tuttavia, contrariamente agli obiettivi del Trattato, la priorità accordata ai collegamenti tra i centri fa sì che aumentino le attuali differenze in termini di accessibilità e di potenziale economico tra le regioni centrali e quelle periferiche d'Europa.

2.2   Infrastrutture di trasporto e sviluppo sostenibile

2.2.1

Nel proprio sito Internet, la Commissione europea descrive in modo molto preciso questo evidente problema: L'apertura delle frontiere e il prezzo abbordabile dei trasporti hanno permesso agli Europei un grado di mobilità personale senza precedenti. Le merci sono inoltrate rapidamente e con efficienza dalla fabbrica al consumatore, spesso in paesi diversi. L'Unione europea ha contribuito a questa evoluzione aprendo i mercati nazionali alla concorrenza e sopprimendo gli ostacoli fisici e tecnici alla libertà di movimento. Oggigiorno però l'andamento dei trasporti e i tassi di crescita non sono più sostenibili (14).

2.2.2

Di conseguenza, la strategia sullo sviluppo sostenibile adottata dalla Commissione europea a Göteborg nel 2001 recita giustamente: La politica comune dei trasporti dovrebbe affrontare le questioni dell'aumento della congestione e dell'inquinamento, promuovendo il ricorso a modi di trasporto maggiormente compatibili con l'ambiente. Nella stessa occasione si è annunciato inoltre l'intento di dare priorità agli investimenti in infrastrutture per i trasporti pubblici e le ferrovie (...). In una serie di pareri (15), il Comitato ha accolto positivamente gli obiettivi della strategia di Göteborg.

2.2.3

I trasporti rivestono quindi una grande importanza, e non solo per l'attuale politica economica. Le decisioni adottate nel quadro dell'iniziativa di crescita non sono da valutare solo alla luce di prospettive a breve termine. In futuro, la politica dei trasporti dell'Unione europea dovrà diventare indubbiamente uno dei principali settori di intervento nel quadro della politica comunitaria in materia di sviluppo sostenibile e di mutamenti climatici. A tale riguardo, ricorda la Commissione, si impongono alcune modifiche: per esempio, il 28 % delle emissioni di gas a effetto serra responsabili di tali mutamenti è generato attualmente proprio dai trasporti, e il trasporto stradale è responsabile da solo dell'84 % del totale. Come afferma la Commissione, «in mancanza di interventi volti ad invertire la crescita tendenziale del traffico, le emissioni di CO2 legate ai trasporti dovrebbero aumentare del 50 % circa fra il 1990 e il 2010, per arrivare fino a 1,113 miliardi di tonnellate di emissioni, rispetto ai 739 milioni del 1990».

2.2.4

Alla radice dei problemi ecologici e sociali vi è l'elevata crescita del trasporto stradale e aereo, e il contestuale calo di utilizzo dei mezzi di trasporto ecologici (16). A questa evoluzione ha contribuito tra l'altro la politica delle infrastrutture di trasporto. Secondo Eurostat, la rete autostradale nell'Unione europea è cresciuta di oltre il 25 % tra il 1990 e il 1999, mentre, nello stesso periodo, la rete ferroviaria si è ridotta del 4 % (17).

2.2.5

Il Comitato sottolinea che, alla luce di quasi tutti i parametri ambientali (consumo di energia, utilizzo del suolo, emissioni, ecc.), la ferrovia risulta essere, ancor prima della navigazione, il modo di trasporto maggiormente ecocompatibile, mentre i risultati di gran lunga più avversi all'ambiente vengono registrati dalle automobili e dagli aerei, per quanto riguarda i trasporti di passeggeri, e dagli automezzi pesanti, per quanto concerne i trasporti merci. Indicazioni più precise a questo riguardo figurano nell'allegato al presente parere.

2.2.6

Nel corso dei dibattiti legati all'elaborazione del presente parere, si è affrontata anche la questione degli effetti della costruzione di diversi tipi di trasporto sull'occupazione. Per quanto non sempre i dati disponibili siano recenti, alcuni studi tedeschi mostrano che gli investimenti nelle ferrovie creano più occupazione di quanto non faccia la costruzione di strade. Il Comitato suggerisce che la Commissione realizzi studi specifici sulla questione, come già fatto a proposito dei «costi esterni», al fine di conferire una base oggettiva alla discussione.

2.2.7

I grandi progetti annunciati hanno scatenato in molti casi le proteste dei cittadini e in parte non hanno potuto essere realizzati o non hanno potuto esserlo entro i termini previsti. Il Comitato ritiene che occorra fare tesoro di queste esperienze, specie nella prospettiva dell'iniziativa di crescita, dell'ampliamento a est e dell'aumento del traffico che ne deriverà. Le dichiarazioni della Commissione citate al punto 2.2.1 devono finalmente tradursi in effetti, onde evitare che le ripercussioni negative sull'uomo e l'ambiente già esperite nell'Unione si ripropongano anche nei paesi dell'adesione. L'UE potrebbe apportare un contributo determinante per mantenere in tali paesi la percentuale ancora elevata di modi di trasporto ecocompatibili, per quanto tale percentuale stia anch'essa registrando una rapida flessione.

2.2.8

La politica europea nel settore delle infrastrutture di trasporto non deve puntare solo a «ridurre le emissioni di CO2 del 50 % entro il 2030», ma fornire contributi positivi in tutti gli ambiti della sostenibilità (economia, ambiente, sociale), al fine di conseguire una mobilità sostenibile.

2.2.9

Per «mobilità sostenibile», il Comitato intende una mobilità che:

a lungo termine non consumi più energia di quanta se ne possa produrre per rigenerazione,

rispetti appieno la capacità di funzionamento e di rigenerazione delle risorse naturali (vale a dire, che non alteri l'equilibrio naturale producendo emissioni o sottraendo risorse durante i processi di produzione, utilizzazione e gestione dei residui di veicoli e infrastrutture),

non pregiudichi la qualità della vita delle generazioni attuali e future, e

che sia accessibile a tutti.

2.2.10

Il Comitato associa i seguenti obiettivi di sostenibilità a una nuova politica dei trasporti del futuro.

2.2.11

Nel settore dell'economia, gli investimenti devono contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro, al miglioramento del valore aggiunto netto regionale, allo sviluppo di un sistema di trasporto efficace sul piano macroeconomico e alla sostenibilità finanziaria.

2.2.12

Nel settore del sociale, gli investimenti devono anche contribuire alla tutela della salute fisica, compresa l'effettiva riduzione dell'inquinamento acustico. Le condizioni di lavoro degli occupati nel settore dei trasporti vanno migliorate e gli investimenti devono rispettare il principio della giustizia sociale (Parola d'ordine: «Mobilità per tutti»). Le città devono essere modulate in base alle necessità degli uomini, non dei trasporti, e bisogna tenere conto delle esigenze di mobilità di tutti gli abitanti delle zone rurali (cioè, non solo di quanti si spostano in automobile).

2.2.13

Nel settore dell'ambiente, le decisioni in materia di investimento rispondono già agli obiettivi dell'UE in materia di protezione climatica. Occorre ridurre lo scempio del suolo e attribuire maggiore attenzione ad aspetti come la protezione della natura, dei paesaggi culturali e degli spazi di riposo. La diminuzione delle sostanze inquinanti e del consumo delle risorse è ormai parte integrante della politica in materia di infrastrutture.

2.3   Osservazioni specifiche

2.3.1

Il Comitato sa bene che, conformemente al principio di sussidiarietà, la politica dei trasporti rientra in gran parte negli ambiti di responsabilità e di finanziamento degli Stati membri. Eppure, ogni anno il bilancio comunitario destina importi miliardari allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto tramite i fondi strutturali (compreso il Fondo di coesione). L'utilizzo di tali risorse deve quindi essere improntato ai principi di sostenibilità.

2.3.2

La politica dei trasporti deve diventare parte integrante di una politica di sviluppo del territorio i cui obiettivi siano ridurre al minimo la creazione di nuovo traffico e gestire il traffico esistente con modi di trasporto quanto più possibile ecocompatibili.

2.3.3

Ciò significa inoltre che occorre prestare particolare attenzione ai potenziali effetti diretti e indiretti dello sviluppo delle infrastrutture europee di trasporto (TEN/TINA) sulle infrastrutture nazionali e regionali. Il Comitato mette in guardia contro il rischio che la concentrazione degli investimenti sui progetti TEN e TINA induca a trascurare le infrastrutture regionali e nazionali, data la situazione di bilancio degli Stati membri e dei paesi candidati. Esso ha già segnalato in precedenti pareri che paesi come la Polonia o l'Ungheria destinano attualmente meno dell'1 % del loro PIL alla manutenzione delle loro infrastrutture di trasporto o alla costruzione di nuove infrastrutture; eppure, la realizzazione dei progetti TINA entro il 2015 - come previsto - esige investimenti annuali a decorrenza di circa l'1,5 % del PIL solo per i corridoi. Il Comitato invita quindi la Commissione, gli Stati membri e i paesi candidati a non trascurare i problemi che potrebbero derivarne al livello di economia regionale.

2.3.4

Il Comitato esprime compiacimento per il fatto che i progetti TEN-V prevedano finanziamenti anche per la creazione di collegamenti con le infrastrutture di trasporto locali. Dubita però che il progetto relativo alla linea Transrapid, destinata a collegare l'aeroporto di Monaco con il centro della città, costituisca una scelta adeguata a questo riguardo.

2.3.5

Il Comitato si attende pertanto che in futuro l'UE persegua una strategia molto più oculata in materia di utilizzo delle risorse finanziarie, in base alla quale si cofinanzino per lo più progetti improntati ai seguenti principi:

il principio della riduzione del traffico. Analogamente a quanto verificatosi per il consumo energetico, occorre scindere lo sviluppo economico dalla crescita del trasporto, con l'obiettivo di contenere le spese per il traffico mantenendo nel contempo immutata la mobilità. Ciò significa che una politica coerente in materia di trasporti, di assetto territoriale e di economia dovrebbe invertire la tendenza al continuo aumento delle distanze negli spostamenti di persone e di merci. Ciò può avvenire attraverso una «politica dei brevi percorsi», ad esempio fra i luoghi di residenza, di lavoro e di acquisti, rendendo più attraente l'ambiente in cui si risiede e si vive, evitando gli spostamenti inutili attraverso l'Europa, rafforzando i circuiti economici regionali (18), ecc. L'internalizzazione dei costi esterni – spesso propugnata dall'UE – si rivelerà essenziale per la realizzazione di tale principio (v. infra),

il principio del trasferimento modale. Questo principio mira a ridurre il predominio del traffico individuale motorizzato e del trasporto di merci su strada, il che potrà avvenire solo creando alternative valide di mobilità. Perno della proposta è la stretta connessione tra la ferrovia e tutti gli altri fornitori di servizi di mobilità ecocompatibili: trasporti pubblici, stazioni di biciclette, centrali di mobilità, car-sharing, taxi, fornitori di servizi logistici, ecc. Nelle regioni in cui, a causa della densità di popolazione, il trasporto ferroviario non sia praticabile, lo sviluppo di un comodo servizio di trasporto con autobus rappresenta un compito essenziale. La necessaria espansione dei mezzi di trasporto rispettosi dell'ambiente richiederà investimenti mirati di modernizzazione delle infrastrutture e dei veicoli e nuove tecniche di comunicazione e di informazione, offrendo così eccezionali opportunità per le piccole e medie imprese innovatrici,

la campagna per una nuova cultura della mobilità. Nessuna misura avrà effetto a meno che il nuovo approccio alla mobilità non trovi un ampio consenso da parte dei cittadini. È quindi necessario che la nuova cultura della mobilità venga pubblicizzata in tutta l'Unione europea, e che a tal fine si attribuisca un carattere esemplare ai progetti infrastrutturali cofinanziati dall'UE.

2.3.6

Pertanto, alla luce di questi principi di una politica delle infrastrutture di trasporto sostenibile, ecologica e anche finanziabile a lungo termine, converrebbe rivedere (cfr. punto 1.8, supra) gli orientamenti per le reti transeuropee (TEN e TINA) e migliorarli in una fase successiva.

2.3.7

A questo riguardo, il Comitato valuta positivamente il fatto che i collegamenti ferroviari occupano un posto di spicco nella selezione dei nuovi progetti prioritari RTE. Anche in questo caso, però (come per tutti i nuovi progetti di costruzione), vige il principio secondo cui bisogna optare per alternative adeguate che risultino particolarmente benaccette da parte della popolazione, il che consente anche di evitare un blocco degli investimenti.

2.3.8

Un esempio della situazione conflittuale che può derivare da norme di ripristino che non tengano conto delle realtà nazionali nel quadro della revisione del RTE è rappresentata dai lavori di riassetto del Danubio tra Straubing e Vilshofen. Occorre evitare che il compromesso raggiunto a livello nazionale tra governo federale e ambientalisti per migliorare le condizioni di navigazione pur nel rispetto dell'ambiente, compromesso che garantisce altresì l'osservanza della direttiva europea FFH, venga bloccato a causa dell'obbligo di garantire un ancoraggio di 2,50 m lungo tutto l'anno.

2.3.9

Non possiamo più permetterci di esporre vari modi di trasporto a una concorrenza talora rovinosa a causa degli investimenti paralleli. Ciò significa che l'utilizzazione delle risorse finanziarie, la quale è limitata per ragioni sia economiche che ambientali, dovrà essere orientata e ottimizzata in funzione dei principi di sostenibilità propugnati dal Comitato (cfr. punti 2.2.9-2.2.13, infra). In futuro serviranno infatti approcci globali integrati dei trasporti che facciano capo a una politica sostenibile in materia di assetto del territorio e di edilizia urbana. Procedere a una pianificazione globale integrata dei trasporti significa non solo pianificare i progetti infrastrutturali, ma anche studiare anzitutto sistemi alternativi di assetto territoriale su ampia scala e in un secondo momento modelli di sviluppo dei trasporti. Di conseguenza, bisognerà altresì prevedere tecniche innovative di informazione e di comunicazione.

2.3.10

Ciò implica anche la necessità di stabilire, dopo approfondite valutazioni d'impatto e considerazioni, un rapporto equilibrato tra i modi di trasporto. Per quanto riguarda in particolare i trasporti a lunga distanza, occorrerà nella misura del possibile cogliere appieno i vantaggi offerti dalla ferrovia e dalla navigazione.

2.3.11

Il Comitato desidera sottolineare che una tale politica dei trasporti nuova e sostenibile richiederà un cospicuo programma di investimenti e potrà pertanto contribuire in modo particolare al rilancio economico. Tuttavia, ciò richiederà anche una ridistribuzione degli investimenti, con la riduzione del numero dei progetti di costruzione di grande portata e l'incremento dei progetti di riassetto adeguati e dei rinnovamenti (ad esempio, per aumentare l'attrattività del trasporto ferroviario).

2.3.12

Per quanto concerne le RTE, ciò significa che le risorse finanziarie disponibili vanno concentrate in prevalenza sul risanamento, sull'ammodernamento e sulla manutenzione della rete ferroviaria e stradale e dei segmenti ecocompatibili della rete navigabile interna. Il Comitato parte dal principio che occorrerà anche esaminare i progetti TEN e TINA esistenti per verificarne la conformità alle norme e alle esigenze evocate nel presente parere. Infatti, va da sé che tutti i nuovi progetti di costruzione devono rispondere anch'essi agli obiettivi di sostenibilità dell'UE.

2.3.13

I modi di trasporto ecocompatibili (il trasporto ferroviario e alcune vie navigabili) dispongono di serbatoi di capacità considerevoli, che - soprattutto nel caso delle ferrovie - potrebbero essere sfruttati a breve termine adottando le opportune misure tecniche e organizzative. La «ferrovia del futuro» deve riconquistare terreno e fornire interessanti servizi di mobilità. Questa dovrebbe essere una priorità degli investimenti comunitari.

2.3.14

Nuovi approcci si impongono anche riguardo agli investimenti per creare vie navigabili destinate a innestarsi nel corso naturale di fiumi e foci, tanto più che le inondazioni degli ultimi anni hanno mostrato la necessità di agire con la massima prudenza. Se si prevede di sviluppare la navigazione interna come modo ecologico di trasporto, bisogna far valere il principio secondo cui spetta alle navi adattarsi ai corsi d'acqua e non ai corsi d'acqua adattarsi alle navi di grandi dimensioni.

2.3.15

La pianificazione di ogni nuovo progetto dovrà tenere conto del fatto che il desiderio di mobilità delle persone può contrastare con quello di specie animali selvagge (migratorie). Raramente si considera che gli animali hanno altrettanto bisogno di «autostrade» e di «aree di riposo» quanto gli automobilisti, in tutti gli ambiti della sostenibilità (economia, ambiente, sociale). A questo proposito, si osservi per esempio che il progetto della cosiddetta Via Baltica andrà a tagliare importanti corridoi migratori di lupi e linci, vanificando così la possibilità unica di un reinsediamento naturale di queste specie in Europa occidentale. In altri termini, le valutazioni dell'impatto ambientale delle pianificazioni di dettaglio devono essere molto più circostanziate di quanto avvenga al momento e integrate con i relativi costi aggiuntivi, ad esempio quelli destinati alla costruzione di «ponti verdi».

2.3.16

In futuro, i fondi comunitari andrebbero destinati solo a progetti per i quali l'UE possa dimostrare che contribuiscono alla creazione di un sistema di mobilità sostenibile. Un tale sistema richiede condizioni quadro adeguate, su cui il Comitato si è espresso in diversi pareri e che comprendono fra l'altro:

l'esattezza dei costi nei trasporti: una delle priorità di intervento di una politica dei trasporti duratura consiste nella creazione di incentivi economici per gli utenti dei trasporti. L'adozione del concetto di esattezza dei costi, ovvero l'internalizzazione dei costi esterni per 530 miliardi di euro all'anno nell'Unione europea, è una condizione essenziale per la diminuzione dei trasporti, il trasferimento del traffico verso modi di trasporto non inquinanti, come pure lo sviluppo di una tecnologia dei veicoli ottimizzata e la sua introduzione sul mercato. Ai fini di un utilizzo e di uno sfruttamento ottimale delle infrastrutture di trasporto esistenti e di un'imputazione progressiva e precisa dei costi esterni, potrebbero risultare adeguati strumenti come l'introduzione generalizzata e legata alle prestazioni di un compenso sul traffico degli automezzi pesanti, il graduale ravvicinamento e innalzamento dell'accisa sugli oli minerali, il riorientamento e una forte differenziazione della tassa sui veicoli a motore in funzione del loro livello d'emissione - tenendo conto anche del criterio dell'inquinamento acustico - e l'adattamento delle tasse del trasporto per vie navigabili e aereo a quelle del trasporto ferroviario e stradale. Per il Comitato non bisognerebbe sempre e solo discutere dell'internalizzazione dei costi esterni, bensì concentrarsi sulla sua realizzazione pratica. La Commissione dovrebbe elaborare quanto prima proposte concrete al riguardo, da dibattere con gli Stati membri e con la società civile,

una concorrenza equa: occorrerà inoltre evitare le derive ecologiche e sociali attraverso l'imposizione del rispetto, l'applicazione ed eventualmente l'inasprimento di una serie di obblighi e divieti, ad esempio in merito agli orari di lavoro e ai tempi di riposo degli autisti di automezzi pesanti, alle limitazioni di velocità e alle disposizioni in materia di sicurezza e di inquinamento acustico. Come condizione preliminare per la liberalizzazione dei mercati dei trasporti si renderà anche necessario armonizzare le condizioni di concorrenza a un elevato livello ecologico e sociale, specie per quanto riguarda il trasporto merci e i trasporti pubblici di passeggeri.

3.   Il finanziamento

3.1   Introduzione

3.1.1

La libera circolazione delle persone e delle merci nello spazio europeo, che è la condizione primaria per favorire gli scambi, può essere assicurata solo se si dispone di mezzi di trasporto adeguati, efficienti e affidabili.

3.1.2

Se in un primo tempo lo sviluppo delle reti ha riguardato soprattutto le attrezzature stradali, in seguito una politica di maggiore oculatezza nell'uso delle risorse energetiche, unita a un maggior rispetto dell'ambiente, hanno imposto la ricerca di modi di trasporto alternativi. Oggigiorno si registra il chiaro intento di trasferire il prevedibile aumento del trasporto merci su strada nei prossimi decenni su altri modi di trasporto (ferroviario, per vie navigabili interne e marittime, ecc.). D'altro canto, è necessario incoraggiare lo sviluppo dei trasporti collettivi di passeggeri per autobus o pullman.

3.1.3

Inoltre, l'imminente ampliamento dello spazio comunitario, con il passaggio da 15 a 25 Stati membri nel 2004 e in un secondo momento a 27, impone di realizzare l'interconnessione tra le reti e lo sviluppo di queste ultime nei paesi che aderiranno all'UE.

3.1.4

Gli obiettivi, le prospettive e i vincoli sono ben noti a tutti: nel corso degli ultimi vent'anni essi si sono tradotti in progetti ambiziosi su scala europea presentati dalla Commissione in forma di piani generali e di libri bianchi. Ad essi hanno fatto seguito alcune realizzazioni concrete che costituiscono il primo passo verso lo sviluppo di una rete europea di trasporto efficiente.

3.1.5

In base a quanto precede si può affermare che l'iniziativa avviata con questi piani generali corredati di obiettivi evocati nei libri bianchi sia soddisfacente. I termini fissati appaiono ragionevoli: a seconda i casi, si tratta del 2010, del 2020 o di date ancora posteriori, giacché essi tengono conto di volta in volta delle nuove restrizioni e dei mutamenti in atto. Invero, pragmatismo, adattabilità ed elasticità sono condizioni necessarie per la riuscita, a patto che gli obiettivi vengano raggiunti entro i termini previsti. Purtroppo, però, ciò non avviene, in quanto le scadenze vengono molto spesso procrastinate.

3.2   La mancata realizzazione delle ambizioni e degli impegni in materia di infrastrutture di trasporto: quali le cause?

3.2.1

Se le decisioni globali sono prese al livello dei piani generali europei, il principio di sussidiarietà lascia le realizzazioni in loco all'iniziativa di ciascuno Stato, come pure la quasi totalità dei finanziamenti (salvo per le infrastrutture che beneficiano dei fondi strutturali o del Fondo di coesione).

3.2.2

Oltre a ciò, le ambizioni a lungo termine di ciascun governo europeo sono condizionate dagli impegni elettorali assunti. Tali impegni, a loro volta, sono legati alla breve durata di un mandato (dai 4 ai 7 anni, a seconda dei casi) e a disponibilità di bilancio che purtroppo vengono ridefinite di anno in anno.

3.2.3

In queste condizioni, la realizzazione di reti di trasporto europee strutturanti e continue resta un'operazione per lo più incontrollabile, nonostante le buone intenzioni delle autorità decisionali e gli incoraggiamenti finanziari dell'UE.

3.3   Come correggere questa situazione?

3.3.1

Per migliorare la situazione occorre anzitutto esaminare le condizioni che sottendono alla realizzazione delle infrastrutture di trasporto in termini di finanziamento.

3.3.2

Quando uno Stato realizza sul proprio territorio le infrastrutture delle reti europee, riceve dall'UE un contributo finanziario molto esiguo, pari al 10 % del costo totale degli investimenti per le sovvenzioni attribuite sulla linea Trasporti del bilancio UE. Questo contributo, in forma di fondi provenienti direttamente dal bilancio dell'UE, si rivela però insufficiente a consentire un avvio rapido e irreversibile dei lavori. Solo i progetti che beneficiano dei fondi strutturali o del Fondo di coesione ricevono una percentuale maggiore di finanziamenti (30-50 %).

3.3.3

L'idea di accrescere il contributo dell'UE ai progetti riguardanti le reti di trasporto europee, per portarlo dal 30 al 50 % in forma di sovvenzioni o magari di prestiti a lunghissimo termine, presuppone che l'UE disponga di risorse sufficienti a tal fine. Tuttavia, il bilancio dell'UE non può aumentare in modo sfrenato o incontrollato, poiché:

l'allargamento determinerà una crescita esponenziale dei bisogni, e

le risorse destinate a questi progetti dovranno essere a lunga scadenza e avere quindi carattere permanente.

3.3.4

Alla luce di questi criteri, il Comitato ha esaminato alcune delle soluzioni attualmente previste in materia di finanziamento, su cui presenterà qui di seguito le sue varie proposte.

3.4   Le modalità di finanziamento dei progetti delle reti europee di trasporto

3.4.1   Prestiti mediante obbligazioni europee (proposta della Commissione del 1993)

3.4.1.1

Nel libro bianco «La politica europea dei trasporti fino al 2010» (19), la Commissione affronta con chiarezza la questione dei finanziamenti. Nel capitolo intitolato «Il problema dei finanziamenti» ricorda che già nel 1993 aveva suonato il «campanello d'allarme», suggerendo di ricorrere a un prestito mediante obbligazioni emesse dall'Unione. All'epoca l'idea non venne presa in considerazione dal Consiglio; da allora, la Commissione ha invitato a innalzare il tasso di partecipazione comunitaria dal 10 al 30 %, affinché diventi più allettante per gli Stati e funga da stimolo agli investimenti. Questo massimale può applicarsi solo ad alcuni progetti prioritari e transfrontalieri, ma a tutt'oggi il Consiglio non ha ancora approvato l'elenco dei progetti TEN-T ammissibili a beneficiare di questo tasso più allettante.

3.4.1.2

Nelle attuali condizioni, per i progetti TEN o TEN-T in cui la quota di traffico transeuropeo supera quella nazionale, il tasso di partecipazione comunitaria sul progetto considerato dovrebbe essere non solo molto elevata per sortire un effetto di incoraggiamento, ma soprattutto equa (cfr., per esempio, il tunnel del Brennero in Austria o il collegamento ferroviario ad alta capacità Lione-Torino in Francia e Italia). Il Comitato ritiene che l'innalzamento del tasso di sovvenzione dal 10 al 30 % per questo tipo di progetti rappresenti una misura iniqua per i paesi interessati, un incoraggiamento insufficiente e un provvedimento tale da eliminare solo in parte gli ostacoli messi in rilievo dai paesi interessati.

3.4.2   I partenariati pubblico-privato, incluse le concessioni

3.4.2.1

Nel medesimo Libro bianco, la Commissione propone di sviluppare i partenariati pubblico-privato per favorire la realizzazione dei progetti. Nel parere in merito alla «Revisione dell'elenco dei progetti RTE (Reti transeuropee) in vista del 2004» (20), il Comitato si è così espresso al riguardo:

Per quanto riguarda il partenariato pubblico-privato (PPP), il Comitato condivide l'analisi della Commissione circa i limiti di un finanziamento interamente privato delle infrastrutture di grandi dimensioni. Il finanziamento misto non può tuttavia costituire l'unica soluzione, in quanto gli investitori privati chiedono, a buon diritto, delle garanzie e una redditività sicura per i loro investimenti, cosa che si traduce in un aumento dei costi. Inoltre, occorre tenere conto di altre considerazioni:

qualsiasi progetto prioritario RTE-T che coinvolga diversi paesi europei andrebbe realizzato attraverso la costituzione di una «società europea», in modo da garantire la trasparenza indispensabile ai piani di finanziamento del progetto in questione,

vale la pena di costituire un PPP soltanto in presenza di un equilibrio tra i finanziamenti del settore pubblico e quelli del settore privato: è infatti difficile immaginare un PPP nel quale il settore privato risulti ampiamente minoritario ma non è nemmeno realistico pensare che i finanziamenti necessari a realizzare la maggioranza dei progetti possano integralmente provenire dai privati,

occorre stabilire alcuni limiti, al fine di evitare le eventuali conseguenze impreviste derivanti dalla progressiva cessione della sovranità, che spetta tradizionalmente agli Stati o all'ente pubblico competente in materia di gestione del territorio e di infrastrutture collettive importanti.

Il Comitato ritiene che, pur rappresentando indubbiamente un'alternativa interessante per alcuni casi specifici, il PPP non potrà mai costituire una panacea in materia di finanziamento delle infrastrutture di trasporto.

3.4.2.2

Taluni Stati, per evitare di finanziare infrastrutture autostradali sul proprio bilancio hanno fatto ricorso a un'operazione finanziaria in base alla quale lo Stato interessato versa a un concessionario privato l'importo dei pedaggi «virtuali» che i veicoli dovrebbero pagare per servirsi dell'autostrada. Tale forma innovativa di finanziamento consente di trasferire sul privato i prestiti necessari. Se è vero che in questo modo i costi risultano leggermente superiori, è anche vero che la realizzazione diventa più rapida.

3.4.3   I cofinanziamenti e il loro coordinamento

3.4.3.1

Il 23 aprile 2003 la Commissione ha presentato inoltre la comunicazione «Sviluppare la rete transeuropea di trasporto: finanziamenti innovativi, interoperabilità del telepedaggio». Nel parere già menzionato, il Comitato condivide l'impostazione della Commissione sottolineando che un migliore coordinamento dei finanziamenti pubblici consentirà di ottimizzare l'utilizzazione delle risorse e di evitare ritardi, ma non creerà nuove entrate.

3.4.3.2

L'auspicabile creazione di un'agenzia europea di infrastrutture dei trasporti sarebbe tale da migliorare, per ciascun progetto, il coordinamento, l'ottimizzazione e la flessibilità dei finanziamenti pubblici regionali, nazionali e comunitari, pur badando al rispetto dei criteri di mobilità sostenibile. Ciò, di conseguenza, dovrebbe consentire una migliore utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili per i trasporti a medio-lungo termine.

3.4.4   L'interoperabilità dei pedaggi

3.4.4.1

Riguardo all'interoperabilità del telepedaggio, il Comitato si interroga sugli obiettivi di carattere tecnico esposti dalla Commissione nel quadro della ricerca di modalità di finanziamento innovative per lo sviluppo delle reti transeuropee di trasporti. I sistemi di telepedaggio attuali e futuri costituiscono un servizio proposto agli utenti per facilitare il pagamento dei pedaggi e dare scorrevolezza al traffico, ma che non comporta per le RTE-T nessuna nuova entrata, né tanto meno nuove modalità di finanziamento. Si tratta unicamente di un migliore strumento di riscossione dei pedaggi.

3.4.4.2

D'altro canto, al di là dei pedaggi versati al concessionario di un'opera e inclusi nel contratto di concessione, l'introduzione in talune autostrade attualmente gratuite (ad esempio, in Germania) di un telepedaggio per tonnellata/km trasportata, destinato unicamente agli autocarri, darà effettivamente origine a nuove entrate. Tuttavia, dato che la Commissione non ha preso posizione sulla destinazione di tali nuove entrate, è probabile che - nel rispetto del principio di sussidiarietà e dei criteri di disavanzo di bilancio stabiliti a Maastricht - ciascuno Stato o ciascuna regione (proprietari dell'opera in cui viene riscosso il pedaggio) decida di utilizzare gli introiti per migliorare le proprie reti (ad esempio, per l'ampliamento delle corsie esistenti o per la manutenzione). Di conseguenza, non si può dire che si tratti di una forma di finanziamento tale da incoraggiare la realizzazione di nuovi collegamenti ferroviari programmati nelle RTE-T.

3.4.5   La creazione di un «Fondo grandi opere» alimentato dalle eccedenze di bilancio dell'UE

3.4.5.1

Il Comitato ha preso atto della proposta del Commissario europeo per la politica regionale e la riforma delle istituzioni Michel Barnier, secondo cui «il bilancio dell'UE – spesso eccedentario – rappresenta l'1 % del PIL comunitario. Ciò potrebbe procurare un certo margine di manovra alle economie europee, ad esempio attraverso un »Fondo per le grandi opere« con stanziamenti iscritti in riserva nei periodi favorevoli e utilizzati per gli investimenti prioritari nei periodi meno favorevoli». Il Commissario chiede poi una maggiore flessibilità nell'utilizzo dei fondi, specie quelli strutturali, affinché possano essere eventualmente riorientati.

3.4.5.2

Quanto al finanziamento di tale fondo, il Comitato è ovviamente favorevole alla proposta del Commissario di destinare sistematicamente parte delle eccedenze del bilancio comunitario a un «Fondo per le grandi opere». Ritiene però che, per quanto le eccedenze possano essere un utile complemento per affrontare meglio le sfide legate alla realizzazione delle reti di trasporto europee, la maggior parte dei finanziamenti per tali reti debba provenire da risorse fisse non vincolate alla mancata attuazione del bilancio comunitario in determinati anni.

3.4.5.3

Il Comitato sottolinea che la linea «Trasporti» del bilancio europeo, la quale raggiunge solo 700 milioni di EUR all'anno, sia quanto mai insufficiente per conseguire gli obiettivi fissati e ribaditi dai numerosi vertici europei, e che quindi debba essere notevolmente incrementata.

3.4.5.4

Si compiace infine che il principio della creazione di un fondo apposito alimentato da entrate inizialmente non iscritte a bilancio sia stato proposto dal commissario responsabile della riforma delle istituzioni: ciò dimostra la fattibilità di un progetto che dipende quindi unicamente dalla volontà politica degli Stati membri.

3.4.6   La creazione di un fondo europeo riservato alle infrastrutture di trasporto

3.4.6.1

Il Comitato ha segnalato recentemente che la realizzazione delle infrastrutture europee di trasporto costituisce una sfida capitale per l'Unione europea. Oggi esso considera che sia in questione il futuro stesso dell'UE e che, storicamente, sia giunto il momento di prendere decisioni tali da garantire mezzi di scambio efficienti alle generazioni future. I mezzi utilizzati finora, in particolare per il finanziamento delle infrastrutture, risultano - a seconda dei progetti - inefficaci, insufficienti e fonte di ritardi che ben presto diverranno irrecuperabili di fronte alla concorrenza internazionale. È dunque indispensabile realizzare un dispositivo di finanziamento davvero innovativo e resistente alle fluttuazioni politiche ed economiche nazionali.

3.4.6.2

Il Comitato ricorda di aver proposto in tre occasioni nel 2003la creazione di un fondo riservato alle infrastrutture di trasporto, indicandone le seguenti caratteristiche principali:

fondo europeo destinato all'attuazione dei progetti prioritari RTE-T,

prelievo fisso di 1 centesimo per litro di carburante (benzina, gasolio, GPL) consumato nell'Europa a 25 per tutti i trasporti stradali di merci e di persone (collettivi o privati),

riscossione del prelievo a cura degli Stati e suo versamento integrale ogni anno nell'apposito fondo previsto nel bilancio dell'Unione europea, per un totale di circa 3 miliardi di euro per i 300 milioni di tonnellate di carburante consumato,

gestione del fondo affidata alla Banca europea per gli investimenti, affinché per i progetti prioritari RTE-T proposti dalla Commissione e approvati dal Parlamento e dal Consiglio si possano prevedere:

prestiti a lunghissimo termine (da 30 a 50 anni),

tassi agevolati per i prestiti contratti per la realizzazione di detti progetti,

costituzione di garanzie finanziarie per il PPP,

su delega dell'Unione europea, concessione di sovvenzioni pari al 10-50 % del costo dei lavori a seconda della natura del progetto (ostacoli naturali, carattere transeuropeo, ecc.).

3.4.6.3

Questo fondo europeo per le infrastrutture di trasporto dovrebbe essere dunque costituito grazie a un prelievo pari a 1 centesimo per litro su tutti i carburanti consumati sulle strade dell'UE da parte di tutti i veicoli privati, pubblici o professionali che trasportino merci o passeggeri.

3.4.6.4

I vantaggi palesi di un tale prelievo sono:

la durata ventennale della fonte di finanziamenti,

il fatto che, in tal modo, si riuscirebbe a coprire il fabbisogno annuo per i finanziamenti alle RTE-T, stimato a 3-4 miliardi di EUR dal gruppo di esperti van Miert,

la semplicità del metodo: tutti gli Stati membri, infatti, dispongono di un sistema di riscossione dei prelievi sui carburanti.

Tuttavia, contro tale prelievo è possibile formulare importanti obiezioni di principio. Il Comitato approfondirà quindi l'esame di questo modo di finanziamento dei progetti RTE-T e auspica che, nel frattempo, la Commissione avvii su questo punto uno studio concreto e incisivo.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Alleweldt (Pianificazione e politica di vicinato),

Ribbe (Mobilità sostenibile) e

Levaux (Finanziamento).

(2)  COM(2003) 579 def. Un'iniziativa europea per promuovere la crescita attraverso gli investimenti nella ricerca e nelle reti transeuropee. Relazione interinale al Consiglio europeo.

(3)  Relazione del gruppo di alto livello Rete transeuropea di trasporto presieduto da Karel Van Miert, Commissione europea, 20 giugno 2003.

(4)  COM(2003) 564 def. del 1o ottobre 2003.

(5)  Cfr. parere CESE, GU C 407 del 28.12.1998, pag. 100.

(6)  Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Bulgaria, Moldavia, Ucraina e Romania.

(7)  GU C 32 del 5/2/2004.

(8)  Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia e Turchia.

(9)  Austria, Croazia, FYROM, Slovenia, Ungheria, Serbia e Bulgaria.

(10)  COM(2003) 564 def., articolo 17 bis, paragrafo 4, lettera c), pag. 20.

(11)  Fonte: http://europa.eu.int/pol/trans/index_it.htm.

(12)  Tra gli altri, v. GU C 48 del 21.2.2002, pag. 112.

(13)  Il Comitato ha spesso accennato ai trasporti regionali con autobus come uno dei pilastri di una politica sostenibile dei trasporti. Dato però che il presente parere verte principalmente sulle infrastrutture europee di trasporto, esso non affronta in modo specifico l'aspetto della promozione dei trasporti con autobus. Il Comitato non ritiene infatti che si possa prevedere l'attuazione da parte dell'UE di una politica specifica in materia di infrastrutture di trasporto con autobus.

(14)  Comunicato stampa Eurostat n. 43/2002 del 9 aprile 2002.

(15)  La promozione di circuiti economici regionali, con la relativa riduzione delle attività di trasporto, appare importante in tale contesto. Si consideri, a titolo di esempio, la creazione di grandi mattatoi centrali (spesso grazie a finanziamenti comunitari) ha dato un enorme slancio alle operazioni di trasporto (tra cui il controverso trasporto di animali), ma nel contempo ha eliminato dei posti di lavoro su base regionale. Qualora tutti questi costi esterni fossero incorporati nella contabilità gestionale relativa ai mattatoi, la loro «redditività» apparirebbe sotto una luce del tutto diversa.

(16)  COM(2001) 370 def. – Parere CESE in GU C 241 del 7.10.2002, pag. 168.

(17)  GU C 10 - 14/1/2004.

(18)  COM(2003) 132 def. del 23 aprile 2003.

(19)  GU C 32 5/2/2004.

(20)  GU C 85 dell'8.4.2003, pag. 133 (Parere sul ravvicinamento delle accise sulla benzina e il gasolio); GU C 220 del 16.9.2003, pag. 26 (Parere sulla sicurezza nella gallerie della rete stradale transeuropea); CESE 1174/2003 del 25 settembre 2003 (Parere sulla revisione dei progetti RTE in vista del 2004).


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema promuovere le energie rinnovabili: modalità d'azione e strumenti di finanziamento

(2004/C 108/06)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Promuovere le energie rinnovabili: modalità d'azione e strumenti di finanziamento.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 gennaio 2004, sulla base del progetto predisposto della relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 113 voti favorevoli e 2 contrari.

1.   Scopo e contesto

1.1

L'Europa, come il resto del mondo industrializzato, è fortemente dipendente dai combustibili fossili. La dipendenza dagli idrocarburi, dal carbone e, in misura sempre maggiore, dal gas naturale è quasi totale nel settore dei trasporti, mentre è elevata e in continuo aumento nel settore della produzione energetica, dove il livello di dipendenza dell'Unione europea sfiora il 50 % e salirà prevedibilmente al 70 % entro il 2020. Anche le finanze pubbliche sono legate a doppio filo ai combustibili fossili, specie mediante le tasse elevate imposte sui carburanti per il trasporto.

1.1.1

La forte dipendenza dai combustibili fossili comporta una serie di problemi. Il previsto esaurimento delle riserve di combustibili fossili aggraverà probabilmente a lungo termine la situazione degli approvvigionamenti. Anche se tale aspetto non mette ancora in crisi la capacità autoregolativa dei mercati funzionanti, i combustibili fossili sono tuttavia costantemente al centro dei dibattiti di politica internazionale. La maggior parte delle riserve di idrocarburi e di gas si trova in regioni politicamente instabili o in luoghi in cui non vigono le normali regole di mercato e di concorrenza. La sfida più urgente, tuttavia, resta attualmente il cambiamento climatico, dato che la combustione di fonti energetiche fossili crea l'emissione di anidride carbonica.

1.2

Uno degli elementi centrali della politica energetica dell'UE consiste nell'aumentare l'impiego delle fonti energetiche rinnovabili (FER). Il Libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico in Europa individua nelle fonti energetiche rinnovabili una delle pietre angolari di una strategia energetica europea improntata allo sviluppo sostenibile.

1.3

Le strategie presentate nel Libro verde perseguono due obiettivi principali:

il rafforzamento della sicurezza dell'approvvigionamento tramite una diversificazione delle fonti d'energia grazie al ricorso a fonti non importate, e

la lotta contro il cambiamento climatico attraverso la sostituzione dei combustibili fossili con fonti che non producono emissioni di gas a effetto serra.

Esiste anche un terzo obiettivo in materia di politica energetica, ovvero garantire la competitività dell'Europa, nello spirito della strategia di Lisbona.

1.4

Le principali proposte sulle energie rinnovabili avanzate dalla Commissione sono il Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili del 1997, la direttiva sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili («elettricità-FER») adottata nel 2001, e la direttiva sui biocarburanti del 2003.

1.4.1

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato pareri su ciascuna di queste proposte e ha inoltre elaborato, nel 2000, un parere di iniziativa sulle energie rinnovabili di origine agricola. In tutti questi pareri il Comitato ha sostenuto fermamente l'obiettivo di aumentare l'uso delle fonti energetiche rinnovabili e ha appoggiato in gran parte le misure politiche proposte, pur formulando dettagliate osservazioni in merito. Nel parere sulla direttiva «elettricità-FER», il Comitato ha espresso il timore che lasciando agli Stati membri la facoltà di scegliere liberamente le misure di sostegno e il livello degli aiuti, si possano creare distorsioni della concorrenza nel mercato interno.

1.5

Le misure di sostegno delle fonti energetiche rinnovabili sono necessarie, dato che molte di esse e delle tecnologie di cui si avvalgono non sono sempre competitive rispetto alla produzione energetica tradizionale, ma possono potenzialmente diventarlo. Tali misure possono anche essere viste come una compensazione concessa alle energie rinnovabili per gli aiuti pubblici di cui hanno beneficiato nel corso degli anni le fonti di energia e i metodi di produzione classici e per i costi esterni causati, ma non sopportati, dalla produzione e dall'uso delle fonti energetiche tradizionali. Numerosi studi sostengono queste argomentazioni, ma non tutti, perlomeno non pienamente.

1.6

Scopo del presente parere di iniziativa è contribuire mediante fatti, analisi e raccomandazioni all'acceso dibattito tuttora in corso sulle energie rinnovabili, proprio quando la Commissione sta per procedere alla revisione della direttiva «elettricità-FER». Negli Stati membri è già stato fatto molto, anche se il termine per l'attuazione della direttiva non è ancora scaduto.

2.   Obiettivi e regolamenti comunitari attuali

2.1

A livello europeo sono stati fissati degli obiettivi per incrementare l'uso delle fonti energetiche rinnovabili. La direttiva sull'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili fornisce una definizione delle FER. Per FER si intendono le fonti rinnovabili d'energia non fossili: l'energia eolica, l'energia solare, la geotermica, il moto ondoso, le maree, il fotovoltaico, la biomassa, il gas di discarica (landfill gas), il gas prodotto dagli impianti di depurazione delle acque di scarico e il biogas. La direttiva definisce inoltre la biomassa come la frazione biodegradabile dei prodotti, dei rifiuti e degli scarti che provengono dall'agricoltura (comprese le sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, come pure la frazione biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.

2.2

Il Libro bianco per una strategia e un piano d'azione della Comunità – «Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili» mira a raddoppiare il contributo delle energie rinnovabili all'approvvigionamento energetico totale dell'UE. Ciò significa aumentare il ricorso alle energie rinnovabili ad un livello pari al 12 % del consumo finale di energia in Europa entro il 2010.

2.3

Per lanciare l'attuazione della strategia esposta nel Libro bianco, ha preso avvio nel 1999 una «campagna per il decollo» destinata a continuare fino al 2003. Per alcune fonti energetiche, sono stati inoltre fissati obiettivi indicativi per il periodo 1999-2003.

2.4

La direttiva sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili («elettricità – FER») fissa l'obiettivo globale di portare la quota di elettricità proveniente da fonti rinnovabili al 22 % del consumo totale di elettricità nell'UE entro il 2010. La direttiva stabilisce obiettivi indicativi per gli Stati membri in materia di quote di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili.

2.5

Scopo della direttiva sui biocarburanti è aumentare il consumo di biocarburanti al 2 % del consumo di diesel e benzina nel 2005 e al 5,75 % nel 2010. Parallelamente a questa direttiva è stata adottata una direttiva sulle detrazioni fiscali per l'uso di biocarburanti che fornisce uno strumento chiave per la promozione dei biocarburanti negli Stati membri.

2.6

La direttiva «elettricità-FER» non stabilisce alcuna norma chiara sulle misure di sostegno all'elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Prevede tuttavia che la Commissione elabori nel 2005 una relazione sull'attuazione della direttiva e sui risultati conseguiti e, se necessario, decida un metodo comune di sostegno da applicare in tutta l'Unione.

2.7

Nel frattempo, la Commissione, nel 2001, ha stabilito degli orientamenti comunitari relativi agli aiuti di Stato nel campo della protezione ambientale, che valgono in linea di principio per gli aiuti di Stato a favore delle FER. L'idea principale è che le fonti di energia rinnovabili possono ricevere aiuti di Stato. Sono consentiti quattro diversi tipi di aiuti che devono tutti essere notificati alla Commissione. Gli aiuti possono coprire solo una determinata percentuale dei costi, che tuttavia in talune circostanze è significativa, e non possono comportare un'eccessiva compensazione. I programmi di aiuti devono essere limitati nel tempo e la loro intensità deve essere decrescente.

2.8

In occasione del Vertice mondiale per lo sviluppo sostenibile del 2002, si è deciso di incrementare l'uso delle fonti energetiche rinnovabili a livello mondiale, ma non sono stati fissati degli obiettivi. L'UE, da parte sua, si è impegnata a formare una coalizione di Stati animati da concezioni affini che intendano collaborare per il conseguimento di un obiettivo globale in materia di contributo delle fonti energetiche rinnovabili in linea con l'obiettivo dell'UE. La Commissione sta elaborando una comunicazione in merito.

3.   Politiche e misure in materia

3.1

La promozione dell'efficienza energetica rappresenta un altro pilastro della politica energetica e persegue gli stessi obiettivi della promozione delle energie rinnovabili, ovvero la sicurezza dell'approvvigionamento e la lotta contro il cambiamento climatico. Una tecnologia chiave in tale ambito è costituita dalla produzione combinata di calore e di elettricità, chiamata cogenerazione, in merito alla quale verrà adottata prossimamente una direttiva. Altre misure a favore dell'efficienza energetica sono gli standard di efficienza per gli elettrodomestici, l'etichettatura, una proposta di direttiva sulla progettazione delle apparecchiature elettriche e un'altra sulla gestione della domanda (DSM - demand-side management).

3.1.1

Anche gli Stati membri hanno introdotto delle misure di promozione dell'efficienza energetica. In alcuni casi, sono stati sottoscritti accordi volontari che hanno dato buoni risultati. Nel complesso si stima che il potenziale esistente in questo settore sia ancora notevole.

3.1.2

Generalmente le misure volte a migliorare l'efficienza energetica e quelle intese a promuovere le energie rinnovabili non si sovrappongono nè interferiscono fra loro. Nel caso della cogenerazione esiste tuttavia una sovrapposizione, dato che una delle fonti della cogenerazione è la biomassa, ma ciò non dovrebbe porre problemi né sul mercato né in relazione agli obblighi derivanti dalle diverse direttive.

3.2

Il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione, come concepito nella direttiva recentemente adottata, copre le fonti energetiche che producono emissioni di CO2. Il campo di applicazione di questa direttiva non comprende direttamente le energie rinnovabili né altre fonti che non producono emissioni di CO2, come il nucleare; in altri termini, il sistema non concede crediti per la riduzione delle emissioni di CO2 ottenute investendo nella produzione di energia priva di emissioni. Il sistema di riduzione e di scambio rappresenta tuttavia uno strumento molto efficace e favorirà indirettamente le energie rinnovabili, dato che farà aumentare i prezzi dell'energia e i costi di utilizzo dei combustibili fossili, rendendo così più competitive le fonti energetiche prive di emissioni.

3.2.1

La direttiva sullo scambio delle quote di emissione e la direttiva «elettricità-FER» presentano alcune sovrapposizioni e, in talune parti, anche alcune incoerenze. La direttiva sullo scambio delle quote di emissione può essere vista come direttiva che copre l'aspetto «cambiamento climatico» della promozione delle fonti energetiche rinnovabili. Occorre di conseguenza chiedersi se l'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 debba essere lasciato al solo sistema di scambio delle quote di emissioni e se vadano eventualmente ripensate le misure relative alle FER in modo da orientarle al solo obiettivo della sicurezza dell'approvvigionamento. Parecchi studi concordano nel prevedere che il sistema di scambio delle quote di emissioni farà aumentare notevolmente il prezzo di mercato dell'elettricità (le stime vanno dal 20 % a oltre il 100 %). È economicamente e politicamente ragionevole gravare su tale costo introducendo altri sistemi di sostegno diretto per le FER che farebbero lievitare ulteriormente la bolletta dell'elettricità degli utenti?

3.3

La politica agricola dell'UE influenza in gran parte la fornitura di biomassa a scopi energetici. La riforma della politica agricola comune (PAC) introduce delle modifiche in tale ambito. Le colture energetiche possono ora essere coltivate su terreni agricoli normali e ricevere un aiuto pari a 45 EUR/ha.

3.4

Il programma «Energia intelligente per l'Europa», programma di sostegno comunitario per le azioni non tecnologiche nel settore dell'efficienza energetica e delle fonti energetiche rinnovabili, è stato adottato nel giugno 2003. Copre il periodo 2003-2006 e sostiene i progetti intesi a rimuovere le barriere del mercato all'efficienza energetica e alle fonti rinnovabili. Il programma è strutturato in quattro aree di intervento: ALTENER, dedicato alle fonti nuove e rinnovabili di energia, SAVE, per l'efficienza energetica, STEER per gli aspetti energetici dei trasporti e COOPENER per la cooperazione con i paesi in via di sviluppo.

3.5

Le politiche di R&S sono essenziali sia per sviluppare nuove soluzioni in materia di energie rinnovabili che per perfezionare maggiormente le tecnologie già presenti sul mercato o in procinto di entrarvi. Alcune forme di energie rinnovabili che rientrano nella definizione formulata nella direttiva «elettricità-FER» sono in realtà ancora in una fase iniziale di sviluppo e, per sfruttare appieno il loro potenziale, saranno necessari notevoli sforzi di R&S.

3.5.1

La tecnologia dell'idrogeno suscita molta attenzione e aspettative. Per alcune applicazioni, sembra prossima all'ingresso sul mercato. Utilizzato come carburante per il trasporto e nelle celle a combustibile, il potenziale enorme dell'idrogeno risiede nel fatto che non provoca emissioni di gas a effetto serra, offre un mezzo per immagazzinare l'elettricità e costituisce un'alternativa al petrolio. L'idrogeno si ottiene a partire dal gas naturale (fonte di energia primaria fossile), dall'acqua (con consumo energetico mediante elettricità) e dalla biomassa. Queste fonti, o una di esse, devono essere disponibili a sufficienza. Dato che le riserve conosciute di gas naturale sono limitate, sarebbe preferibile utilizzarle come combustibile per i trasporti. Il nucleare e, in futuro, si spera il fotovoltaico sono le tecniche più idonee a fornire l'elettricità necessaria per produrre l'idrogeno partendo dall'acqua. Per ridurre i costi, devono essere ulteriormente sviluppate anche le tecniche di produzione, comprese le tecnologie destinate a garantire la sicurezza nel maneggiare questo combustibile altamente esplosivo.

4.   Promozione delle energie rinnovabili negli Stati membri

4.1

Il recepimento delle direttive per la promozione delle fonti energetiche rinnovabili e della direttiva sui biocarburanti è ancora in corso negli Stati membri. È troppo presto per poter affermare se tutti gli Stati membri potranno rispettare le scadenze, ma è probabile che non tutti ci riusciranno. Ogni Stato ha già comunicato i propri obiettivi nazionali.

4.2

La maggior parte degli Stati membri, nel frattempo, ha introdotto regimi nazionali di sostegno per le fonti energetiche rinnovabili. Alcuni hanno intensificato programmi già in vigore prima delle dichiarazioni politiche a livello dell'UE. I regimi di sostegno, nonché i livelli di compensazione previsti, variano considerevolmente da uno Stato membro all'altro.

4.2.1

Si possono identificare cinque forme principali di sostegno:

1)

tariffe fisse garantite e obblighi di riacquisto;

2)

certificati verdi, generalmente abbinati a obblighi di ripresa;

3)

sistemi di aste competitive

4)

agevolazioni o esenzioni fiscali

5)

aiuti diretti agli investimenti

4.2.2

Il sistema delle tariffe fisse garantite è praticato in particolare in Austria, in Francia, in Germania e in Grecia. I certificati verdi vengono utilizzati in Belgio, in Danimarca, nei Paesi Bassi, in Svezia e nel Regno Unito, e si prevede di introdurli in Italia. Il sostegno è integrato nel sistema della carbon tax in Finlandia, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito.

4.2.3

Un esempio di regime che combina la tariffa fissa garantita e l'obbligo di riacquisto è quello previsto dalla legge tedesca sulle energie rinnovabili. Il sistema garantisce una tariffa fissa ai produttori di energia elettrica a partire da fonti rinnovabili per un periodo di 20 anni. Esistono diversi gruppi tariffari per le diverse tecnologie, e diversi livelli di efficienza all'interno di ogni gruppo tariffario, in genere superiori a 80 euro/MWh. Le tariffe sono generalmente garantite per qualche anno e poi decrescono gradualmente nel tempo. I costi si ripercuotono su tutti i consumatori nella stessa percentuale. La legge tedesca è stata oggetto di una valutazione per verificare la sua compatibilità con le norme del Trattato che disciplinano gli aiuti di Stato e si è giunti alla conclusione che essa non costituisce aiuto di Stato dato che non impiega risorse pubbliche.

4.2.4

Un esempio di regime integrato nel sistema fiscale è rappresentato dal sistema olandese di tassazione dell'energia. L'elettricità che non è generata a partire da fonti energetiche rinnovabili è tassata per sostenere la produzione di elettricità «verde». Gli utenti industriali di elettricità sono in gran parte esentati da questa tassa, in virtù di uno strumento alternativo creato per il settore industriale, ovvero l'obbligo di soddisfare elevati obiettivi di efficienza energetica a livello mondiale.

4.2.5

Il sistema britannico denominato «Renewables Obligation» costituisce un esempio di sistema basato su certificati e obblighi. Viene imposto ai fornitori l'obbligo di fornire energie da fonti rinnovabili (3 % nel 2002 e 10,4 % nel 2010). I relativi costi, tra cui il costo di eventuali ammende (circa 45euro/MWh), sono a carico dei consumatori.

4.3

In generale, i regimi rivestono un carattere puramente nazionale e di norma le importazioni ne sono escluse. Detto ciò, può capitare che in alcuni casi gli operatori possano beneficiare di un doppio sostegno. Un esempio è costituito dall'energia eolica prodotta in Germania ed esportata verso i Paesi Bassi che può beneficiare allo stesso tempo di una tariffa fissa garantita in Germania e di un sostegno nei Paesi Bassi.

4.4

Si prevede che sarà l'energia eolica ad apportare il contributo più significativo agli obiettivi generali e i programmi di sostegno ne tengono quindi conto. La remunerazione per l'energia eolica è attualmente superiore a 100 euro/MWh in Italia ed in Belgio, e maggiorata di 50 euro/MWh in Francia, in Austria, in Portogallo, in Germania e nel Regno Unito. In alcuni Stati membri, i livelli di remunerazione si abbasseranno dopo un periodo compreso fra i 5 e i 15 anni.

5.   Allargamento

5.1

Soltanto in tre dei dieci Stati di prossima adesione la quota delle FER sulla produzione nazionale di elettricità nel 1997 è superiore alla media comunitaria dello stesso anno (12,9 %). Si tratta di:

Lettonia: 42,4 %

Slovacchia: 17,9 %

Slovenia: 29,9 %.

Tutti e tre i paesi ricorrono prevalentemente all'energia idroelettrica grazie alla buona disponibilità di questa fonte energetica. Nei sette restanti paesi, il contributo delle FER alla produzione di elettricità è piuttosto basso, in media pari circa al 2 %.

5.2

Gli obiettivi nazionali dei nuovi Stati membri prevedono un aumento della produzione di elettricità a partire dalle FER, produzione che nel 2010 sarà due volte più elevata che nel 1997. Questo tasso d'aumento è praticamente identico all'obiettivo fissato per gli Stati membri attuali. Uno dei problemi sarà costituito dal fatto che il potenziale di questi dieci paesi in termini d'energia eolica è molto limitato. Fino ad oggi, l'uso dell'energia eolica non promette di essere un modo efficiente di generare elettricità. È per questo che l'uso della biomassa sembra assumere una crescente importanza nella maggior parte dei nuovi Stati membri.

5.3

Per quanto riguarda la fornitura di riscaldamento, i nuovi Stati membri sono in gran parte coperti da ampie reti di riscaldamento urbano, che hanno tuttavia sofferto per una mancanza di manutenzione. Il potenziale di utilizzo della biomassa e della cogenerazione per il riscaldamento urbano può essere notevole, ma non si conosce la situazione nel dettaglio.

5.4

Le potenzialità esistenti nei nuovi Stati membri in materia di aumento dell'efficienza energetica appaiono elevate e sensibilmente superiori a quelle dell'UE. Tali potenzialità vanno promosse parallelamente all'uso delle FER. In particolare si dovrebbero avviare delle campagne di informazione per illustrare ai cittadini come effettuare risparmi energetici a livello domestico.

5.5

Un vantaggio potrebbe derivare dal fatto che i paesi di prossima adesione hanno iniziato più tardi ad utilizzare le FER e possono pertanto beneficiare delle esperienze, positive o negative, maturate dagli attuali Stati membri nell'uso delle FER. Per consentire uno scambio di esperienze fra gli Stati membri attuali e futuri, appare utile che i risultati positivi e negativi ottenuti nell'impiego delle FER vengano attentamente monitorati ogni anno. Ciò permetterebbe di migliorare ulteriormente gli sviluppi di successo e di ridurre al tempo stesso gli errori. I costi di produzione potrebbero essere ottimizzati.

5.6

È molto importante aiutare i nuovi Stati membri in quest'impresa, dato che la loro esperienza nell'uso delle FER è piuttosto limitata, a giudicare dai dati statistici che indicano che la produzione di elettricità-FER proviene principalmente dall'energia idroelettrica.

5.7

Un altro aspetto da considerare in questo contesto è quello dei costi legati alla produzione di elettricità-FER. In tutti i nuovi Stati membri, le fonti di finanziamento sono scarse. Di conseguenza, qualsiasi nuova tecnologia che richiede notevoli capitali e una manodopera ridotta rappresenta un pesante onere e riduce le possibilità che questi paesi raggiungano i livelli degli Stati membri attuali entro un certo numero di anni. I costi elevati del consumo di energia potrebbero tradursi in una riduzione dei tassi di crescita e in un indebolimento della competitività.

5.8

È pertanto vitale sviluppare prezzi competitivi per la produzione di elettricità-FER soprattutto per questo gruppo di paesi, dato che naturalmente essi saranno presto costretti ad assumere gli stessi obblighi e obiettivi degli Stati membri attuali.

6.   Potenzialità e ostacoli non tariffari per le FER

6.1

Le fonti energetiche rinnovabili celano potenzialità enormi, ma nella maggior parte dei casi ancora limitate, anche a prescindere dai costi. Le potenzialità variano in funzione della fonte, ma soprattutto del tempo. Anche le FER con un notevole potenziale a breve e a medio termine, ovvero l'energia eolica, l'idroelettrica e la biomassa, presentano chiari limiti. Altre FER, come il fotovoltaico e le maree, si trovano ancora in una fase iniziale di sviluppo e mostreranno il loro potenziale solo fra 20-30 anni, se non più tardi. Queste fonti richiedono ancora notevoli sforzi in termini di R&S. Ciò presuppone approcci e soluzioni molto diverse da quelle destinate ad aiutare le tecnologie quasi completamente sviluppate ad essere più efficaci e a compiere gli ultimi passi verso la piena competitività.

6.2

L'uso dell'energia eolica è limitato a causa della necessità di disporre di un sistema di back-up e della relativa capacità di rete. Le politiche agricole e forestali promuovono la produzione di biomassa. Il ricorso alla biomassa per la produzione energetica è tuttavia influenzato da altri usi con un maggiore valore aggiunto. Il fatto che tali usi vengano preferiti dal mercato potrebbe penalizzare dal punto di vista competitivo la produzione di biomassa. Aumentare la produzione di energia idroelettrica è difficile in Europa per motivi di protezione della natura; incontrano resistenza perfino i progetti orientati al futuro che riguardano i piccoli impianti.

6.3

Un altro serio e crescente ostacolo al maggiore utilizzo delle energie rinnovabili è la resistenza dell'opinione pubblica, dovuta ad un'insufficiente riconoscimento dell'importanza di aumentare il ricorso alle FER e a una disinformazione sulle qualità delle tecnologie. Per sopperire a tali mancanze, sarebbe necessario organizzare campagne di informazione e di istruzione e inserire la tematica delle FER – comprese le loro caratteristiche e la loro importanza - nei programmi scolastici. Le decisioni sulla localizzazione di un impianto deve naturalmente sempre tener conto del grado di accettazione locale. Lo sviluppo tecnologico può fornire delle buone soluzioni, come nel caso della generazione di energia eolica off-shore invece che on-shore.

6.3.1

Le tecnologie utilizzate per le FER attraggono notevoli investimenti e stimolano l'imprenditorialità. Ciò va incoraggiato e promosso, così come andrebbero incentivate le possibilità di coinvolgimento e di investimento a livello locale. Nonostante i regimi di sostegno, talvolta piuttosto generosi, non vanno ignorati i rischi che tali investimenti comportano.

6.4

Le procedure lunghe e laboriose per ottenere i permessi necessari rendono gli investimenti nelle FER spesso troppo rischiosi e costosi. Le autorità dovrebbero stabilire e rispettare una scadenza. Ma il ricorso alla corte per le decisioni assunte dalle autorità può prolungare il processo per l'ottenimento di un permesso in modo imprevedibile, perfino per anni.

6.5

In numerosi casi, l'aumento dell'impiego delle energie rinnovabili presuppone lo sviluppo di infrastrutture, il che può richiedere tempo. L'incremento dell'uso delle energie rinnovabili comporta anche esigenze supplementari e talvolta problemi in materia di reti, in particolare se non si tengono in debito conto i parametri legati alla localizzazione. Pertanto, l'aumento dell'uso delle FER sarà forse più lento rispetto agli obiettivi fissati e i costi potranno essere più elevati.

6.6

In pratica, le energie rinnovabili vengono promosse allo scopo di sostituire i combustibili fossili, che emettono gas a effetto serra e, in larga misura, vengono importati dall'UE. Tenuto conto dei tassi di efficienza per l'uso dell'energia primaria, la produzione diretta di elettricità a partire da fonti energetiche rinnovabili, quali l'energia eolica, presenta il migliore effetto di sostituzione. La sostituzione dei combustibili fossili primari con combustibili rinnovabili è meno efficace. La produzione combinata di calore e di elettricità a partire dalla biomassa aumenta considerevolmente tale effetto di sostituzione. La Commissione ha tenuto conto del principio di sostituzione nella sua pianificazione generale, ma spesso non lo ha fatto nell'elaborare misure di promozione e nel calcolare i risultati.

6.7

Le fonti energetiche rinnovabili creano notevoli aspettative. Considerati i suddetti limiti e i tempi lunghi richiesti in numerosi casi, è ovvio che le fonti rinnovabili non risolveranno tutti i problemi energetici europei. Possono contribuire in modo significativo a coprire l'aumento della domanda. A breve e medio termine, le FER non possono sostituirsi al carbone o al nucleare, e men che meno a entrambi, neppure nell'ipotesi del più positivo degli scenari realistici. A lungo termine, vanno sviluppati scenari e visioni che ispirino e indirizzino fin dall'inizio la R&S e altre azioni.

7.   Valutazione dei metodi di promozione e dei loro risultati

7.1

L'efficacia degli strumenti destinati a incrementare l'uso delle energie rinnovabili dipende molto da come sono stati concepiti nel dettaglio. Sembra tuttavia che i regimi che prevedono una tariffa fissa garantita siano particolarmente efficaci. Occorre tuttavia tenere conto anche del rapporto costo-efficacia, degli effetti negativi sui mercati e di altre implicazioni dei sistemi.

7.2

La maggioranza dei regimi di sostegno non aprono la strada ad una concorrenza né tra le diverse forme di energie rinnovabili né tra fonti rinnovabili e fonti tradizionali. Di norma, i programmi di promozione mancano anche di elementi che incentivino lo sviluppo della tecnologia e dell'efficienza. Spesso non esiste neppure un meccanismo che impedisca una compensazione eccessiva.

7.3

Le strutture dei mercati del riscaldamento, dell'elettricità e dei carburanti per il trasporto sono fondamentalmente diverse. Il mercato del riscaldamento è prettamente locale, con l'estensione di reti di riscaldamento urbane. I mercati dei carburanti per il trasporto sono concorrenziali, anche se talvolta distorti dall'esistenza di diversi livelli di tassazione all'interno dell'UE. Il mercato dell'elettricità inizia ad aprirsi, ma continuano a sussistere ostacoli al commercio transfrontaliero. La ripartizione dei costi delle infrastrutture e la garanzia dell'accesso a terzi sono questioni fondamentali in tale contesto.

7.3.1

Si dovrebbe fare in modo che nessuna misura intesa a promuovere la produzione di elettricità e di carburanti per il trasporto a partire da fonti energetiche rinnovabili provochi distorsioni di concorrenza sul mercato interno. Un obiettivo fondamentale dovrebbe consistere nel garantire, a differenza di quanto avviene attualmente, un level playing field, ovvero condizioni uniformi di concorrenza in tutta l'UE.

7.3.2

Per quanto riguarda l'elettricità, nel pianificare le misure di promozione, si dovrebbe tener conto dell'uso ottimale, a livello europeo, delle condizioni naturali e climatiche e della capacità di rete esistente. Altrimenti, le soluzioni non saranno affatto efficienti sotto il profilo dei costi, perché comporteranno costi di investimenti e di utilizzo nettamente più elevati per ottenere gli stessi risultati. Si pensi ad esempio alla localizzazione degli impianti per la produzione di energia eolica: dovrebbe essere ottimizzata in relazione alle condizioni di vento vantaggiose e, d'altro canto, alla capacità della rete e al suo utilizzo. Oggi ciò non avviene, dato che i fattori determinanti sono gli obiettivi nazionali.

7.4

La direttiva FER-elettricità fissa criteri relativi ai regimi di sostegno nazionali: devono essere compatibili con il mercato interno, tener conto delle diverse caratteristiche delle FER, essere razionali e semplici e comprendere regimi di transizione atti a mantenere la fiducia degli investitori. Nel parere sulla direttiva «FER-elettricità», il Comitato ha proposto di prendere in considerazione ulteriori principi, fra cui un costo abbordabile per gli utenti e per le finanze pubbliche, livelli di compensazione decrescenti, il divieto di offrire un sostegno continuo nel lungo periodo, la piena trasparenza, e, per quanto possibile, la tendenza a lasciare al mercato la decisione finale e ai produttori i normali rischi di mercato.

7.4.1

Questi principi sono ancora pienamente validi. Purtroppo, sembra che molti degli attuali regimi nazionali di sostegno non siano in linea con tali principi e ne differiscano in vari punti. Il sistema che prevede una tariffa fissa garantita e un obbligo di riacquisto sembra essere in contrasto con parecchi di tali principi.

7.5

Sono già stati effettuati alcuni studi sulle prestazioni dei regimi di sostegno e sono state formulate delle previsioni sugli incrementi di produzione e di uso delle energie rinnovabili che ne derivano. Alcuni studi tengono conto del fatto che per lo più gli strumenti comunitari non sono ancora in vigore. Altri integrano gli effetti delle politiche e degli strumenti da adottare in un prossimo futuro. I risultati differiscono sensibilmente, ma sembra che la maggioranza degli Stati membri, come del resto l'UE nel suo complesso, avranno notevoli difficoltà a raggiungere entro il 2010 gli obiettivi di aumento delle FER assegnati loro.

7.6

In alcuni casi si è registrato tuttavia un incremento sostanziale dell'uso delle FER. L'esempio più significativo è costituito dall'aumento del ricorso all'energia eolica in Danimarca, in Germania e in Spagna. Ciò prova che è possibile aumentare la penetrazione delle FER, anche nelle regioni meno favorite dalle circostanze naturali in termini di vento, come l'interno della Germania. Se ogni Stato membro seguisse l'esempio dei paesi che ottengono i migliori risultati, l'obiettivo globale dell'UE verrebbe raggiunto.

7.7

Non è dunque impossibile conseguire l'obiettivo comunitario, ma occorre vedere se i politici e gli elettori sono disposti a fornire le risorse necessarie. I costi devono essere tollerabili per i consumatori e non si deve mettere a repentaglio la competitività globale delle industrie europee.

7.8

Molti Stati membri, in particolare i tre citati sopra, hanno scelto di applicare livelli di remunerazione molto elevati per le energie rinnovabili. Valutare l'accettabilità dei costi sostenuti per raggiungere gli obiettivi in materia di FER è una decisione politica. Si ha tuttavia l'impressione che il livello dei costi in molti casi sia molto elevato, se si comparano i livelli di remunerazione - che arrivano a oltre 100 euro/MWh - con il prezzo attuale di mercato dell'elettricità (esclusi il trasporto e le tasse), che è in media pari a 25-30 euros/MWh.

7.9

Finché la quantità di fonti energetiche rinnovabili che beneficiano di aiuti rimarrà relativamente esigua, sarà tale anche il totale dei costi. Ma quando tale quantità crescerà, conformemente agli obiettivi, l'onere del costo inizierà a gravare sulle tasche degli utenti. Ciò potrebbe provocare reazioni da parte dell'elettorato, come in Danimarca, o incidere sulla competitività dei grandi utenti di energia nel settore industriale, il che è in contrasto con gli obiettivi della strategia di Lisbona e con altri obiettivi economici.

8.   Conclusioni e raccomandazioni

8.1

Attualmente sembra che né la maggior parte degli Stati membri né l'UE nel suo complesso raggiungeranno gli obiettivi di incremento delle fonti energetiche rinnovabili entro il 2010. I risultati conseguiti in alcuni Stati membri indicano che non sarebbe impossibile raggiungere l'obiettivo dell'UE. Non si sa tuttavia se sarà possibile mobilitare pienamente la volontà politica e le risorse necessarie.

8.2

Vista l'assenza di orientamenti europei per i regimi di sostegno alle FER, gli Stati membri hanno applicato regimi nazionali molto diversi per approccio, concezione e intensità. Molti degli attuali sistemi andrebbero rivisti criticamente, specie per quanto riguarda il rapporto costo-efficacia.

8.3

La situazione attuale crea ostacoli sul mercato interno, poiché i programmi sono esclusivamente nazionali e non riguardano le importazioni. Per l'elettricità, la Corte di giustizia ritiene che non sia così, dato che il mercato interno dell'elettricità non sarà completamente liberalizzato prima del 2007. Tuttavia gli scambi commerciali transfrontalieri di elettricità avvengono già quotidianamente e sono in crescita nell'UE.

8.4

Mancano anche condizioni uniformi di concorrenza fra gli attori del mercato nelle varie parti dell'Unione e ciò è dovuto a diverse ragioni: ad esempio la sentenza della Corte europea di giustizia (1), secondo cui il sistema tedesco delle tariffe fisse garantite non costituisce un aiuto di Stato in quanto non utilizza fondi pubblici. Sotto il profilo dell'economia nazionale, non fa molta differenza se l'aiuto viene finanziato direttamente dal consumatore o indirettamente dal contribuente mediante le casse dello Stato.

8.5

Per quanto riguarda le diverse forme di sostegno, nessuna di esse soddisfa pienamente i requisiti di efficacia, di assenza di distorsione del mercato e di promozione della concorrenza e dell'innovazione. Nel caso delle tariffe fisse garantite, i prezzi sono fissati dalle autorità e gli importi dal mercato. Per i certificati verdi, è l'inverso. I regimi basati sulle tariffe fisse garantite possono tenere conto dell'efficienza, se adeguatamente utilizzati. I certificati rischiano di non offrire una sicurezza sufficiente per gli investimenti e prezzi stabili.

8.6

Il costo legato ai regimi di promozione delle FER è, in alcuni casi, già molto elevato. Questa situazione inizia a suscitare delle preccupazioni e può tradursi in un'avversione politica per gli obiettivi e le politiche di valorizzazione delle energie rinnovabili.

8.7

In base alla direttiva «elettricità FER», la Commissione dovrebbe, nel 2005, riesaminare gli sviluppi intervenuti nell'uso dell'elettricità prodotta a partire dalle FER ed eventualmente proporre un regime di sostegno unico. Per un'armonizzazione completa si dovrà attendere il 2012. È probabile che numerosi Stati membri saranno molto restii a modificare un sistema che applicano da parecchi anni.

8.8

L'introduzione di un regime di sostegno unico per l'elettricità-FER non è considerata da molti Stati membri necessaria in questa fase. Non vi è consenso neppure sulla scelta migliore da operare in tale ambito. Il Comitato è dell'avviso che a suo tempo occorrerà sviluppare e introdurre un sistema comune e che fin d'ora si dovrebbero contrastare le tendenze verso un'ulteriore frammentazione dei sistemi nazionali. Fin dalla sua concezione un sistema comune dovrebbe promuovere in particolare l'innovazione e la competitività.

8.9

La Commissione è responsabile dell'esecuzione delle politiche che propone. Anche se l'attuazione delle politiche comunitarie in materia di energie rinnovabili è ancora agli inizi, la Commissione dovrebbe tuttavia prestare una particolare attenzione ai problemi evocati sopra, prima che peggiorino ulteriormente.

8.10

Il Comitato raccomanda che la DG TREN della Commissione

intensifichi gli sforzi intesi ad agevolare lo scambio di buone pratiche fra gli Stati membri, le regioni e altri attori per la promozione delle FER, riservando una particolare attenzione ai nuovi Stati membri,

inviti gli Stati membri a monitorare ogni anno l'evoluzione dei loro mercati delle FER allo scopo di raccogliere dati statistici e informazioni sulle esperienze acquisite e pubblichi una relazione sintetica annuale in materia,

effettui una valutazione approfondita dell'interazione, della coerenza e degli effetti pratici delle diverse politiche dell'UE che incidono sull'utilizzo delle fonti rinnovabili e delle tecnologie per evitare un eccesso di regolamentazione. In particolare andrebbero studiate approfonditamente le possibili ripercussioni della direttiva concernente il sistema di scambio delle quote di emissioni in modo da agire di conseguenza prima della sua attuazione,

avvii senza indugio uno studio approfondito sulla situazione attuale e sui possibili sviluppi in materia di promozione dell'uso delle FER, che affronti in particolare l'innovazione, le questioni di mercato e il rapporto costo-efficacia delle misure di sostegno, nonché l'impatto di queste ultime sui costi a carico dei consumatori e sulla competitività globale delle industrie dell'Unione europea.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  CGCE, Sentenza del 13.3.2001, causa C-379/98.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1406/2002 che istituisce un'Agenzia europea per la sicurezza marittima

(COM(2003) 440 def. - 2003/0159 (COD))

(2004/C 108/07)

Il Consiglio, in data 8 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore CHAGAS in data 8 gennaio 2004.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 28 gennaio 2003, nel corso della 405a sessione plenaria, con 107 voti favorevoli e 2 astensioni, il seguente parere.

1.   La proposta della Commissione

1.1

L'Agenzia europea per la sicurezza marittima (AESM) creata dopo l'incidente della petroliera Erika avvenuto alla fine del 1999, è stata istituita con il Regolamento (CE) n. 1409/2002 (1) allo scopo di garantire un livello elevato, omogeneo ed efficace di sicurezza marittima e di prevenire l'inquinamento causato dalle navi all'interno della Comunità. L'Agenzia ha il compito di fornire agli Stati membri l'assistenza tecnica e scientifica necessaria per garantire una corretta applicazione della legislazione comunitaria nel settore della sicurezza marittima e della prevenzione dell'inquinamento causato dalle navi.

1.2

L'Agenzia svolge anche altre funzioni, quali la raccolta di informazioni e l'utilizzazione di banche dati sulla sicurezza marittima, la valutazione e il controllo delle società di classificazione, nonché l'organizzazione di missioni di ispezione negli Stati membri per verificare le condizioni di controllo delle navi da parte dello Stato di approdo.

1.3

In particolare, la Commissione propone di:

conferire all'Agenzia le competenze giuridiche e i mezzi adeguati per combattere l'inquinamento accidentale o illecito causato dalle navi. La proposta prevede anche la possibilità di noleggiare navi specializzate e attrezzature adeguate per la lotta contro l'inquinamento marittimo,

ampliare gli obiettivi dell'Agenzia per farvi rientrare la protezione dei trasporti marittimi, considerato il pericolo sempre maggiore di attentati terroristici contro le navi e gli impianti portuali e tenuto conto della necessità di garantire una corretta applicazione delle misure di sicurezza previste nella comunicazione della Commissione relativa al miglioramento della sicurezza dei trasporti marittimi (2),

definire con maggiore precisione il ruolo dell'Agenzia per quanto riguarda il riconoscimento delle qualifiche dei marittimi dei paesi terzi, conformemente alla normativa comunitaria sui livelli minimi di formazione della gente di mare.

2.   Osservazioni generali

2.1

L'insieme delle funzioni attribuite all'Agenzia europea per la sicurezza marittima rende il ruolo di quest'ultima estremamente importante ai fini di un'applicazione efficace ed uniforme delle disposizioni comunitarie e internazionali in materia di sicurezza marittima e prevenzione dell'inquinamento accidentale e illecito da parte delle navi.

2.2

Per tale motivo, e a seguito dell'incidente occorso alla petroliera Prestige alla fine del 2002, nel dicembre dello stesso anno la Commissione ha deciso di accelerare la creazione dell'Agenzia senza aspettare la decisione del Consiglio sulla sua futura sede. La decisione è stata infine presa nel Vertice europeo del dicembre 2003.

2.3

È stato possibile portare avanti l'intera procedura burocratica di assunzione del personale (tuttora in corso) e di nomina del Consiglio di amministrazione e rendere operativi in maniera progressiva tutti i servizi che formano parte dell'Agenzia.

2.4

Per quanto concerne le modifiche proposte al regolamento sull'AESM, il Comitato approva il documento della Commissione con la riserva delle osservazioni che seguono.

2.5

È noto che non tutti gli Stati membri applicano allo stesso modo e nello stesso tempo la legislazione comunitaria, in particolare quella concernente la sicurezza dei trasporti marittimi. Il Comitato tuttavia riconosce gli sforzi intrapresi dalla Commissione per garantire una sempre maggiore armonizzazione delle procedure e delle modalità di applicazione, accrescere la sicurezza delle persone e delle merci e potenziare la protezione dell'ambiente. In tale contesto, il Comitato approva le modifiche volte a rafforzare o a precisare il ruolo conferito all'AESM in materia di assistenza alla Commissione nei seguenti settori: aggiornamento e sviluppo della legislazione comunitaria nonché verifica della sua applicazione; organizzazione di azioni di formazione; raccolta e utilizzazione di banche dati contenenti informazioni relative alla sicurezza marittima, alla protezione dei trasporti marittimi, alla prevenzione e alla lotta contro l'inquinamento; cooperazione con paesi terzi in questo campo; rafforzamento della qualità del controllo da parte dello Stato di approdo; valutazione e riconoscimento della certificazione; controllo dell'applicazione della legislazione da parte dei paesi terzi.

2.6

È tuttavia importante ricordare le osservazioni formulate dal CESE nel parere in merito alla creazione dell'AESM (3). Il Comitato aveva in particolare sottolineato la necessità di evitare una sovrapposizione tra le competenze dell'Agenzia (che non dispone di capacità legislativa o normativa) e quelle del Comitato per la sicurezza marittima (organo di regolazione).

2.7

Il Comitato sollecita quindi gli Stati membri ad accelerare la procedura di designazione dei luoghi di rifugio, a rivedere ed aggiornare i piani nazionali esistenti (ivi compresa la regolare realizzazione degli esercizi pratici), e ad acquisire le attrezzature necessarie per reagire in modo adeguato agli incidenti di grandi dimensioni.

2.8

Il Comitato conviene inoltre sul fatto che all'Agenzia venga assegnato un ruolo complementare a quello degli Stati membri in sede di assistenza tecnica e scientifica per la lotta contro l'inquinamento accidentale o deliberato da parte delle navi. Gli Stati membri continueranno tuttavia ad essere i soli responsabili dell'elaborazione dei piani d'intervento antinquinamento e della messa a disposizione di mezzi appropriati a tale scopo. Il CESE si rammarica però del fatto che, pur disponendo di dette competenze, non tutti gli Stati membri risultano debitamente preparati per fronteggiare emergenze quali quelle delle petroliere Erika o Prestige.

2.9

L'AESM dovrà cooperare con gli Stati membri nell'elaborazione di piani di prevenzione e di lotta contro l'inquinamento marittimo che siano coerenti e coordinati tra di loro. L'Agenzia dovrà inoltre gestire i mezzi tecnici disponibili (navi specializzate e attrezzature di altro tipo). Per tale motivo, è opportuno che essa svolga un ruolo attivo in situazioni di emergenza, senza che ciò implichi una minore responsabilità degli Stati membri. È in questo senso che viene interpretato l'inserimento all'articolo 2 di un nuova lettera c) iii).

2.10

In caso di noleggio di navi destinate ad espletare questi compiti, il Comitato considera doveroso assicurare che gli armatori rispettino la normativa comunitaria e internazionale in materia, in particolare per quanto concerne le condizioni di sicurezza delle imbarcazioni e le condizioni di vita e di lavoro degli equipaggi (inclusa la certificazione).

2.10.1

Sarebbe utile chiarire le previste modalità di gestione operativa delle navi e le attrezzature offerte per l'assistenza alla lotta contro l'inquinamento. Il CESE ritiene che dovrebbero essere le autorità nazionali responsabili a gestire i mezzi disponibili durante l'intervento.

2.11

Considerato che diversi paesi che aderiranno all'Unione europea a partire dal maggio 2004 sono Stati costieri e che, in conformità delle relazioni di accompagnamento sui preparativi in vista dell'adesione pubblicate nel novembre 2003, tutti registrano gravi carenze in termini di capacità amministrativa e tecnica, il CESE raccomanda di prevedere appositi piani speciali di sostegno all'equipaggiamento di questi paesi. Ciò consentirebbe di evitare l'esistenza di zone non coperte da un piano o prive dei mezzi necessari per l'assistenza in caso di incidente. Andrebbero inoltre considerate altre forme di cooperazione in materia con paesi terzi limitrofi degli Stati membri.

2.12

Per quanto riguarda l'inclusione della sicurezza dei trasporti marittimi tra le competenze dell'Agenzia, il Comitato riconosce che anche in questo ambito è necessario assicurare l'efficacia dei piani nazionali che gli Stati membri saranno chiamati ad elaborare, settore in cui l'AESM può fornire assistenza alla Commissione. Il Comitato desidera però sottolineare che a volte questi piani nazionali presentano aspetti militari che necessariamente ne limitano l'accesso, anche alla stessa AESM. Al fine di evitare il blocco da parte di alcuni Stati membri, è opportuno trovare soluzioni flessibili che rispondano alle eventuali riserve di detti paesi ed assicurino al tempo stesso l'efficacia dei piani nazionali, a livello individuale come globale.

2.13

È soprattutto importante garantire che le norme relative al potenziamento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali vengano recepite ed applicate in modo armonizzato e coerente, pena il mancato conseguimento degli obiettivi che esse stesse si prefiggono.

2.14

Il CESE ricorda che, nella riunione di dicembre, il Consiglio dei ministri dei trasporti ha già ottenuto un accordo di principio su questa proposta senza tener conto del parere del CESE o della relazione del Parlamento europeo, entrambi in fase di elaborazione. Trattandosi di una situazione che si ripete regolarmente, il Comitato chiede che le consultazioni che gli vengono trasmesse prevedano termini adeguati perché la procedura di adozione dei pareri possa aver luogo in tempo utile.

2.15

Il Comitato ritiene inoltre necessario approfondire la discussione emergente relativa alla creazione di una Guardia costiera comunitaria. Si tratta di un argomento delicato, in quanto comporta questioni di sovranità e autorità marittima, ma a parere del Comitato la Guardia costiera comunitaria potrebbe espletare funzioni complementari a quelle dell'AESM in materia di prevenzione e controllo.

3.   Conclusioni

3.1

Il CESE appoggia la proposta della Commissione e sottolinea il ruolo importante che l'AESM può svolgere ai fini del potenziamento della sicurezza marittima degli Stati membri. Richiama l'attenzione sulla necessità di assicurare una netta separazione tra le competenze dell'AESM e quelle del Comitato di sicurezza marittima.

3.2

Nella lotta all'inquinamento l'AESM non dovrà sostituire gli Stati membri, bensì svolgere un ruolo complementare.

3.3

Il CESE deplora che nonostante i pacchetti Erika I e II, diversi Stati membri non siano ancora debitamente attrezzati in termini di apparecchiature e di risorse umane necessarie per far fronte a gravi incidenti; reputa dunque necessario dare la massima priorità a questo equipaggiamento.

3.3.1

D'altro canto, la designazione dei luoghi di rifugio da parte degli Stati membri registra ancora dei ritardi. Si sollecita quindi un'accelerazione della procedura al fine di realizzare rapidamente una rete coerente che copra tutte le acque comunitarie.

3.4

Particolare attenzione va prestata al sostegno ai futuri Stati membri in vista del loro equipaggiamento in apparecchiature e risorse umane atte a prevenire e combattere l'inquinamento.

3.5

Il CESE raccomanda di approfondire la discussione sulla creazione di una Guardia costiera comunitaria che possa integrare il ruolo dell'AESM in materia di prevenzione e controllo.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 208 del 5.8.2002, pag. 1.

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa al miglioramento della sicurezza dei trasporti marittimi (COM(2003) 229 def.).

(3)  GU C 221 del 7.8.2001, pag. 54.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla disciplina dell'utilizzazione degli aerei di cui all'allegato 16 della convenzione sull'aviazione civile internazionale, volume 1, parte II, capo 3, seconda edizione (1988)

(COM(2003) 524 def - 2003/0207 (COD))

(2004/C 108/08)

Il Consiglio, in data 22 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere, in data 8 gennaio 2004, sulla base del rapporto introduttivo del relatore GREEN.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 46 voti favorevoli e 1 voto contrario, il seguente parere.

1.   Antefatto

1.1

Il 1o aprile 1987 la Commissione ha deciso di dare istruzione ai propri servizi affinché questi procedessero alla codificazione di tutti gli atti legislativi dopo un massimo di dieci modifiche, o, se possibile, dopo tempi ancora più brevi, per garantire che le regole comunitarie fossero chiare e di agevole comprensione.

1.2

Dal momento che in sede di codificazione nessuna modifica sostanziale può essere apportata agli atti che ne fanno oggetto, il 20 dicembre 1994 il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno convenuto, con un accordo interistituzionale, di ricorrere a un metodo di lavoro accelerato che consentisse la rapida adozione degli atti codificati.

2.   Proposta della Commissione

2.1

L'obiettivo della proposta in esame è quello di avviare la codificazione della direttiva 92/14/CEE del Consiglio, che disciplina l'utilizzazione degli aerei in base alle disposizioni stabilite a livello internazionale. La nuova direttiva sostituisce i vari atti legislativi da essa incorporati. La proposta non altera il contenuto degli atti legislativi che fanno oggetto di codifica, e si limita ad apportare le modifiche formali necessarie per la codifica stessa.

2.2

La direttiva comprende norme sulle emissioni sonore degli aerei subsonici civili a reazione.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

In linea di massima il Comitato economico e sociale europeo condivide la proposta della Commissione, che mira a rendere chiara e trasparente la legislazione comunitaria.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

IT

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C 108/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'utilizzazione di veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada (versione codificata)

(COM(2003) 559 def. – 2003/0221 (COD))

(2004/C 108/09)

Il Consiglio, in data 3 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 gennaio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

Nel contesto dell'Europa dei cittadini è importante che la normativa comunitaria sia formulata in maniera semplice e chiara. Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno pertanto sottolineato la necessità di codificare gli atti legislativi ripetutamente modificati e hanno stabilito, con un accordo interistituzionale, di ricorrere a un metodo di lavoro accelerato. In sede di codificazione nessuna modifica di carattere sostanziale può essere apportata agli atti che ne fanno oggetto.

Dato che la proposta in esame risponde appieno a tale finalità, il Comitato non ha alcuna obiezione in proposito.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

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C 108/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile

(COM(2003) 566 def. - 2003/0222 (COD))

(2004/C 108/10)

Il Consiglio, in data 8 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 gennaio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.

Il Comitato economico e sociale europeo approva la proposta in esame poiché giudica appropriato che negli aeroporti utilizzati solo da piccoli aeroplani, o adibiti esclusivamente a voli dell'aviazione generale o nei quali il numero di voli è molto limitato, sia autorizzata l'applicazione di misure diverse da quelle prescritte dal regolamento di base, a condizione, però, che sia garantito un livello di protezione equivalente. Infatti in tali aeroporti sarebbe irragionevole imporre gli elevati investimenti necessari per le prescritte installazioni di sicurezza. La proposta in esame corregge inoltre alcuni lievi errori che non intaccano la sostanza del regolamento.

2.

Il Comitato desidera inoltre far presente l'importanza del nuovo paragrafo 3, lettera a), dell'articolo 4 previsto all'articolo 1, paragrafo 3, ultimo capoverso della proposta di regolamento in esame, il quale prevede che «Tutti i voli in partenza da un'area delimitata di un aeroporto devono indicare tale circostanza all'aeroporto di destinazione prima dell'arrivo dell'aeromobile». Si tratta di un'informazione essenziale per assicurare misure adeguate di sicurezza all'accoglienza di passeggeri e bagagli su voli provenienti da aree aeroportuali «delimitate» degli aeroporti di origine che proseguono con coincidenze su altri voli o accedono al terminal di un aeroporto privo di delimitazione fisica tra i passeggeri in arrivo e quelli in partenza. Il soggetto che utilizza il velivolo è il più idoneo a fornire tale informazione.

3.

Infine, il Comitato fa presente che le misure nazionali di sicurezza (di cui all'articolo 4, paragrafo 3, del Regolamento 2320/2002) devono essere applicate ad aree «delimitate» anziché a singoli voli dell'aviazione generale o a piccoli aeromobili (di peso massimo al decollo inferiore a 10 t o con un numero di posti inferiore a 20) che arrivino in un aeroporto privo di «aree delimitate».

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

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C 108/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle spedizioni di rifiuti

(COM(2003) 379 def. - 2003/0139 (COD))

(2004/C 108/11)

Il Consiglio, in data 1o settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere, sulla base del rapporto introduttivo del relatore BUFFETAUT, in data 18 dicembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, all'unanimità, il seguente parere.

1.   Introduzione

La proposta di regolamento della Commissione persegue i seguenti obiettivi:

a)

integrare nella normativa comunitaria: la decisione C(2001)107 modificata del Consiglio dell'Organizzazione per il commercio e lo sviluppo economico (OCSE) del 14 giugno 2001, la convenzione di Basilea modificata;

b)

far fronte alle difficoltà riscontrate nell'applicazione, amministrazione e controllo dell'osservanza del regolamento (CEE) n. 259/93 e conseguire al contempo una maggiore certezza giuridica;

c)

perseguire l'armonizzazione delle regole che disciplinano a livello internazionale le spedizioni transfrontaliere di rifiuti;

d)

riorganizzare e semplificare la struttura degli articoli del regolamento del 1993 a beneficio della loro chiarezza e coerenza.

2.   Riepilogo dei principali elementi del regolamento proposto

La proposta prevede che le spedizioni di rifiuti siano soggette a una serie di procedure e di regimi di controllo, determinati dal tipo di rifiuti spediti e dal tipo di trattamento che subiranno nel luogo di destinazione. Il regime di controllo prevede pertanto livelli differenti a seconda del rischio insito nei rifiuti e del tipo di trattamento a cui saranno sottoposti (recupero o smaltimento).

2.1   Procedura di notifica e di autorizzazione scritte preventive

La proposta prevede che le spedizioni di tutti i rifiuti destinati allo smaltimento e le spedizioni di rifiuti pericolosi e semi-pericolosi destinati, invece, al recupero siano soggette all'obbligo di notifica e di autorizzazione scritte preventive.

In pratica, il produttore o il raccoglitore di rifiuti - ovverosia il notificatore - che intendano effettuare una spedizione di rifiuti pericolosi o semi-pericolosi (cfr. lista all'allegato IV) a fini di recupero o smaltimento, o una spedizione di rifiuti non pericolosi (allegato III) a fini di smaltimento, sarebbero tenuti a trasmettere preventivamente una notifica scritta all'autorità competente di spedizione.

Al momento di avviare tale procedura, il notificatore dovrebbe altresì aver sottoscritto un contratto con il destinatario per il recupero o lo smaltimento dei rifiuti in questione.

La notifica andrebbe inviata all'autorità competente di spedizione, che ne trasmetterebbe copia all'autorità competente di destinazione. Questa, quando ritenesse la notifica ricevuta «correttamente compilata e completa», ne darebbe conferma per iscritto al notificatore.

2.2   Obblighi d'informazione preventiva

La proposta prevede che le spedizioni di rifiuti non pericolosi (allegato III) destinati al recupero non siano soggette alla procedura di notifica scritta preventiva, ma la persona che organizza la spedizione e il destinatario dovrebbero comunque sottoscrivere un contratto per il recupero dei rifiuti spediti.

2.3   Principali modifiche proposte al campo di applicazione e alle definizioni (titolo I) del regolamento vigente

a)

Il campo di applicazione proposto presenta contorni più netti;

b)

i termini «notificatore», «destinatario», «spedizione» e «destinazione» non sono armonizzati con la terminologia della convenzione di Basilea e della decisione OCSE del 2001;

c)

sono inserite numerose definizioni nuove;

d)

è proposto di modificare la definizione di «autorità competente» per adeguarla all'analoga definizione della convenzione di Basilea;

e)

è aggiunta la definizione di «gestione ecologicamente corretta»;

f)

la definizione di «notificatore» è perfezionata.

2.4   Principali modifiche e chiarimenti proposti alle disposizioni relative alle spedizioni all'interno della Comunità (titolo II)

Il titolo II rappresenta la parte vitale del regolamento in quanto contiene le disposizioni principali.

a)

Le liste di rifiuti sono portate da tre a due e al tempo stesso è proposto di ridurre a due le procedure.

Si propone di riunire i rifiuti semi-pericolosi (allegato III) e i rifiuti pericolosi (allegato IV) in una unica lista, che diventerebbe l'allegato IV. La lista dei rifiuti non pericolosi passerebbe allora da allegato II ad allegato III.

In concreto ciò significa che:

le spedizioni di rifiuti non pericolosi destinati al recupero dovrebbero essere accompagnate da una serie di informazioni,

le spedizioni di tutti i rifiuti destinati allo smaltimento e di rifiuti pericolosi e semi-pericolosi, nonché di rifiuti destinati al recupero che non figurano in alcuna lista, sarebbero soggette all'obbligo di notifica e di autorizzazione scritte preventive;

b)

è altresì previsto che le autorità competenti rilascino ciascuna la propria autorizzazione a titolo individuale entro un termine di 30 giorni; nel dispositivo sono poi aggiunte alcune salvaguardie procedurali per il notificatore;

c)

per gli impianti in cui si effettuino operazioni di recupero o smaltimento intermedie varrebbero gli stessi obblighi previsti per quelli destinati, invece, alle operazioni finali (cfr. sotto);

d)

si propone di estendere e chiarire l'elenco delle informazioni e della documentazione che devono accompagnare le spedizioni di rifiuti non pericolosi;

e)

in linea con la decisione OCSE del 2001, le spedizioni di rifiuti esplicitamente destinati ad analisi di laboratorio non sarebbero soggette alla procedura di notifica e di autorizzazione scritte preventive;

f)

si propone che i rifiuti contenenti sostanze quali gli inquinanti organici persistenti (POP - persistent organic pollutants) siano soggetti alle stesse disposizioni che disciplinano le spedizioni di rifiuti da smaltire;

g)

si propone anche di introdurre una norma procedurale che risolva le eventuali divergenze tra le autorità competenti in merito alla classificazione di un rifiuto;

h)

si propone altresì di chiarire che la garanzia finanziaria, o assicurazione equivalente, sottoscritta dal notificatore deve essere vincolante sul piano giuridico al momento della notifica;

i)

si propone infine che l'obbligo di ripresa dei rifiuti, nei casi in cui una spedizione non possa essere portata a termine nei modi previsti o sia considerata illecita, comprenda anche le spedizioni di rifiuti non pericolosi destinati al riciclaggio.

2.5   Disposizioni relative alle spedizioni all'interno degli Stati membri (titolo III)

Non è proposta alcuna modifica.

2.6   Principali modifiche e chiarimenti proposti alle disposizioni relative alle esportazioni e alle importazioni comunitarie (titoli IV, V e VI)

a)

Tali modifiche e integrazioni sono fondamentalmente una conseguenza dell'attuazione delle norme procedurali della convenzione di Basilea, che differiscono da quelle applicabili alle spedizioni intracomunitarie;

b)

dalla valutazione complessiva effettuata dalla Commissione risulta che la proposta non imporrebbe carichi economici aggiuntivi alle aziende, mentre potrebbe comportare ulteriori oneri per taluni Stati membri;

c)

la proposta dovrebbe essere in grado di promuovere un'applicazione più uniforme del regolamento, riducendo al contempo le distorsioni della concorrenza nel mercato interno.

3.   Osservazioni generali

3.1

A giudizio del Comitato, la Commissione propone un testo in grado di migliorare la «tracciabilità» delle spedizioni di rifiuti. La proposta deve contribuire a eliminare talune pratiche e a garantire, in modo generalizzato, il rigore necessario ad adottare pratiche finalizzate a una maggiore protezione dell'ambiente e a una migliore visione dello sviluppo sostenibile.

3.2

Il regolamento proposto accrescerebbe la trasparenza e la tracciabilità del lavoro svolto dagli operatori nonché il loro senso di responsabilità, grazie in particolare a meccanismi quali la dichiarazione, la garanzia finanziaria e l'obbligo di ripresa dei rifiuti nel caso in cui una spedizione non possa essere completata come da contratto. Servirebbe anche a responsabilizzare maggiormente le autorità competenti, le quali sarebbero tenute ad autorizzare preventivamente per iscritto le spedizioni (classificazione dell'operazione, autorizzazione di esercizio per l'impianto di trattamento, conformità, ecc.), colmando così una lacuna fortemente sentita. Le autorità sarebbero altresì tenute a rispettare i termini in modo da non rallentare la procedura.

3.3

La razionalizzazione del testo dovrebbe agevolarne l'applicazione contribuendo così a ridurre le distorsioni della concorrenza nell'Unione europea. Va segnalato che la commissione per l'ambiente e l'assemblea plenaria del Parlamento hanno entrambe esaminato il testo proposto (1). È deplorevole che il Comitato non sia stato consultato con maggior anticipo, in quanto, con il suo parere, avrebbe potuto contribuire al dibattito parlamentare, che ha apportato alcune migliorie al testo della Commissione.

3.4

Il Comitato rileva tuttavia che l'approccio adottato sembra fondarsi su una procedura destinata a spedizioni semplici, con un'unica operazione di carico, quando invece, nell'ambito di una procedura generale di notifica, si effettuano in realtà spedizioni multiple. Le spedizioni semplici rappresentano solo casi isolati, sia per gli oneri e i costi amministrativi che esse comportano, sia per i volumi di carico trasportati - talmente elevati da richiedere più di una operazione di carico.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

La proposta di regolamento in esame adotta come base giuridica gli articoli 175 e 133 del Trattato CE. Trattandosi di protezione ambientale, il riferimento all'articolo 175 va naturalmente mantenuto. Il ricorso all'articolo 133, invece, è probabilmente prematuro. Sono talmente tante, infatti, le disparità ancora da colmare perché si possa già pensare a un autentico mercato europeo dei rifiuti.

Le definizioni scarsamente omogenee, la mancanza di chiarezza e di precisione che spesso conducono a interpretazioni contrastanti sul territorio dell'Unione, con conseguente ricorso – fin troppo di frequente – alla Corte di giustizia sono tutti elementi che rendono ancora remota l'idea di un mercato dei rifiuti su scala europea.

La Commissione deve naturalmente adoperarsi per rendere possibile l'apertura di questo mercato, ma prima restano da colmare numerose lacune:

definizione di riciclaggio, recupero e smaltimento,

definizione e inquadramento delle operazioni cosiddette intermedie,

omogeneità dei regimi fiscali e degli aiuti,

chiarezza nel finanziamento degli impianti,

omogeneità dei sistemi di permessi vigenti nelle aree geografiche che interessano gli operatori e libertà per i produttori di concludere contratti su tutto il territorio europeo,

classificazione omogenea delle operazioni, insieme alle garanzie che le spedizioni non siano associate a una riqualificazione dei rifiuti e che nel paese importatore e in quello di origine si applichino le medesime restrizioni.

4.2   Articolo 1, paragrafo 6

Il Comitato esprime perplessità riguardo all'esenzione delle spedizioni di rifiuti che rientrano nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 1774/2002 dall'osservanza delle regole procedurali contenute nella proposta di regolamento. Trattandosi di spedizioni di rifiuti, esse dovrebbero essere disciplinate dall'apposita regolamentazione, non fosse altro che per uniformare le procedure.

4.3   Articolo 2, Definizioni

Le proposte del Parlamento hanno il merito di chiarire e precisare il testo.

4.4   Articolo 3, paragrafo 4, e articolo 20

Al Comitato sembra poco realistico imporre alle aziende che vogliano inviare dei campioni a un laboratorio di analisi di informare «le autorità competenti interessate in merito alla spedizione tre giorni lavorativi prima che questa abbia inizio». Un simile dispositivo appare impossibile da mettere in pratica e da controllare, tanto più che, nella maggioranza dei casi, i campioni vengono portati al laboratorio in automobile e ripresi in giornata.

Una dichiarazione, da trasmettere il giorno stesso o prima del trasporto o del ritiro, potrebbe risolvere il problema della tracciabilità, dal momento che i campioni viaggerebbero accompagnati da una sua copia.

4.5   Articolo 3

Il Parlamento ha proposto di vietare l'esportazione di rifiuti destinati a operazioni che non siano «definitive».

Dal momento che, allo stato attuale del diritto, non esiste una definizione di operazioni «intermedie» né viene disciplinato il loro funzionamento, l'esportazione di rifiuti destinati ad operazioni non definitive andrebbe in effetti vietata, come proposto dal Parlamento.

Come permettere infatti la miscela dei rifiuti senza affrontare i problemi di diluizione e, pertanto, di possibile declassamento dei rifiuti stessi?

4.6   Articolo 4

Non è logico che una persona «che effettua (…) altre operazioni che modificano la natura (…) dei rifiuti» diventi il notificatore di una spedizione che proviene da uno Stato membro.

Cosa si intende per «modificare»? Finché tali «operazioni», non equiparabili a trattamenti, non saranno inquadrate, non sembra opportuno «autorizzarle» in un testo che è inteso per l'appunto a garantire che le spedizioni di rifiuti siano effettuate solo se garantiscono la maggiore protezione ambientale e le migliori operazioni di recupero possibili.

4.7   Articolo 5

Andrebbe precisato che i documenti di notifica e di movimento possono anche essere presentati su supporto elettronico, in un formato standardizzato elaborato a cura delle autorità competenti o di un'agenzia ambientale.

La proposta del Parlamento, invece, che tenderebbe a esonerare gli operatori pubblici, al pari di quelli privati, da alcuni obblighi, non va accolta, in nome – evidentemente - delle regole di concorrenza.

4.8   Articolo 6, paragrafo 4, articolo 7, paragrafo 3, e articolo 7, paragrafo 6

Per le ragioni già espresse, le operazioni non definitive non dovrebbero figurare nella proposta in esame.

4.9   Articoli 8 e 9

Il Comitato esprime soddisfazione per le garanzie di rispetto dei termini che la proposta offre agli operatori del settore. Per una loro efficacia ancor maggiore, sarebbe altresì opportuno consentire al notificatore di richiedere il risarcimento dei danni, con relativi interessi, in caso di ritardo ingiustificato nell'invio della conferma da parte dell'autorità competente di destinazione.

4.10   Articolo 10

Dal momento che l'obiettivo dell'articolo è quello di accelerare la procedura, sarebbe opportuno incoraggiare, nella fattispecie, il ricorso alla posta elettronica.

4.11   Articolo 11

Nell'articolo in esame si potrebbe proporre che gli impianti di trattamento che importano rifiuti informino le autorità di spedizione in merito alla sorte effettiva dei rifiuti da loro trattati; inoltre, si potrebbe richiedere alle autorità di spedizione e di destinazione di collaborare, ciascuna per proprio conto, a verificare che le operazioni siano andate a buon fine.

4.12   Articolo 16

Per la prima volta nella normativa europea il concetto di trasparenza viene applicato alle operazioni intermedie e l'operatore risulta così responsabilizzato. Pur essendo, questo, un elemento positivo, si ribadisce quanto già detto in precedenza e cioè che il concetto di attività intermedia viene inserito nel dispositivo senza essere preceduto da un testo di inquadramento; per tale ragione sembrerebbe preferibile, date le circostanze, limitare la spedizione alle sole operazioni finali.

4.13   Articolo 21

È necessario vietare eventuali miscele durante la spedizione.

4.14   Articolo 31

L'articolo in esame consente di porre a carico del notificatore le spese amministrative per l'espletamento della procedura di notifica e di sorveglianza; il problema, però, è che il carattere «opportuno e proporzionato» di tali spese può variare sensibilmente da uno Stato all'altro, con possibili distorsioni della concorrenza.

4.15   Articolo 62

Si tratta di un articolo dalla formulazione molto astratta e generale. Il Comitato si chiede quale tipo di misure complementari relative all'applicazione, all'attuazione, all'amministrazione e all'osservanza del regolamento potrebbe adottare la Commissione.

5.   Conclusione

Il Comitato ribadisce che il regolamento proposto dalla Commissione migliora la tracciabilità delle spedizioni di rifiuti e offre agli operatori del settore maggiori garanzie di rispetto dei termini da parte delle autorità competenti. Ciò contribuisce a una migliore tutela ambientale e a una maggiore attenzione per le esigenze dello sviluppo sostenibile - obiettivi, questi, che devono costituire le priorità fondamentali del testo. Inoltre, per essere più efficaci, alcune disposizioni contenute nella proposta vanno precisate e semplificate.

Ai fini di un'autentica apertura del mercato, per alcuni concetti (come riciclaggio, recupero, smaltimento e operazione intermedia) va proposta una definizione chiara e in grado di essere accolta da tutti gli Stati membri.

Inoltre, sarebbe particolarmente utile uno scambio d'informazioni sulle pratiche migliori adottate negli Stati membri. Fatte le debite osservazioni, il Comitato ritiene che la modifica del regolamento in esame contribuirà a migliorare la legislazione europea in materia.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. relazione PE T5-0505/2003.


30.4.2004   

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C 108/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni gas fluorurati ad effetto serra

(COM(2003) 492 def. - 2003/0189 (COD))

(2004/C 108/12)

Il Consiglio, in data 9 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 dicembre 2003 sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere

1.   Introduzione

1.1

La terra è circondata da gas; alcuni di tali gas assorbono e riflettono calore, causando un innalzamento delle temperature al suolo: si tratta dell'effetto serra. L'attività umana ha provocato un aumento delle concentrazioni di gas che provocano l'effetto serra, tra cui il biossido di carbonio, il metano, il vapore acqueo, il protossido di azoto, l'ozono e alcune sostanze prodotte artificialmente, tra cui i gas fluorurati.

1.2

Se non si riuscirà a contenere o ad invertire le tendenze in atto, come pure il riscaldamento globale che ne deriva, si produrrà un cambiamento climatico permanente e potenzialmente dannoso. Il compito di trovare un equilibrio tra questa situazione e le esigenze degli esseri umani di ogni livello di sviluppo e di ogni parte del mondo costituisce la più grande sfida per l'umanità in questo momento.

1.3

La risposta internazionale è stata definita nella Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, adottata nel 1992, e nel Protocollo di Kyoto, del 1997. Il cambiamento climatico è una priorità del Sesto programma di azione per l'ambiente 2001-2010 dell'UE.

1.4

Nel giugno 2000 l'UE ha definito il Programma europeo sul mutamento climatico (ECCP), un processo di consultazione tra varie parti in causa, volto a stabilire come l'UE possa raggiungere nella maniera migliore i suoi obiettivi nell'ambito del Protocollo di Kyoto. La prima relazione ECCP, nel giugno 2001, individuava 42 soluzioni efficaci sotto il profilo dei costi e in grado di ridurre le emissioni di gas serra di una quantità compresa tra 664 e 765 milioni di tonnellate equivalenti di biossido di carbonio (t CO2 eq.); fra esse figuravano azioni volte a limitare l'utilizzazione e le emissioni di taluni gas fluorurati.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La proposta mira a limitare le emissioni di idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC) ed esafluoruro di zolfo (SF6), ampiamente utilizzati come refrigeranti, solventi per la pulizia e agenti rigonfianti, nonché in applicazioni sanitarie o speciali, compresa la fabbricazione di prodotti antincendio, di semiconduttori e di commutatori di tensione e nella produzione di magnesio.

2.2

Queste sostanze hanno un forte effetto serra e sono menzionate nel Protocollo di Kyoto; si prevede che le azioni proposte ridurranno di qui al 2010 le loro emissioni nella misura di 23 milioni di t CO2 eq., portandole a 75 milioni di t CO2 eq., con la possibilità di riduzioni ulteriori quando le misure raggiungeranno la piena efficacia.

2.3

La proposta è basata sull'articolo 95 del Trattato; le misure intese ad armonizzare i requisiti relativi al monitoraggio, al contenimento e all'utilizzazione aiuteranno gli Stati membri a far fronte ai propri obblighi nel quadro del Protocollo di Kyoto, fornendo al tempo stesso una protezione essenziale per il mercato interno.

2.4

L'articolo 3 disciplina il monitoraggio e il contenimento delle perdite di impianti fissi di refrigerazione e di condizionamento d'aria, pompe di calore e sistemi di protezione antincendio. L'articolo 4 riguarda il recupero dei gas, a scopo di riciclaggio, rigenerazione o distruzione, in occasione della manutenzione o della rottamazione degli impianti. L'articolo 6 impone ai produttori, agli importatori e agli esportatori di tenere un registro della produzione, dell'importazione e dell'uso dei gas in questione, nonché di comunicare alla Commissione i relativi dati. Gli articoli 7 e 8 vietano l'immissione in commercio e il successivo uso di determinati gas fluorurati in specifiche applicazioni.

2.5

Gli articoli 9 e 10 riguardano specificamente l'uso di gas fluorurati negli impianti mobili di condizionamento installati sulle autovetture e i veicoli commerciali leggeri. Per dare ai costruttori il tempo di introdurre i necessari cambiamenti in modo efficace rispetto ai costi viene proposto un sistema di contingenti trasferibili. Al di fuori dei casi previsti dall'articolo 10 è vietato sulle autovetture nuove immesse sul mercato dopo il 1o gennaio 2009 l'uso di gas fluorurati aventi un potenziale di riscaldamento globale (GWP, su un periodo di 100 anni, dove il potenziale del CO2 è 1) superiore a 150.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato riconosce la necessità e l'urgenza di ridurre le emissioni globali di gas ad effetto serra; appoggia decisamente la Commissione nel suo impegno per una piena ratifica del Protocollo di Kyoto. Accoglie pertanto con favore la proposta in esame, relativa al controllo e all'utilizzazione di taluni gas fluorurati. Le azioni proposte sono state definite in collaborazione con le parti in causa al fine di fornire agli Stati membri misure efficaci rispetto ai costi per raggiungere i loro obiettivi di riduzione delle emissioni. Il CESE auspica che tali misure saranno anche, per i paesi esterni all'UE, un modello da seguire.

3.2

Le attività menzionate nella proposta, refrigerazione, condizionamento d'aria, applicazioni mediche e speciali, sono considerate sempre più come essenziali per la vita umana, in quanto senza di esse la fornitura giornaliera di cibo fresco sarebbe impossibile e lo svolgimento di attività sicure e produttive in casa, al lavoro o in viaggio diventerebbe più difficile.

3.3

Tuttavia le attività intese a mitigare gli effetti del calore possono anche contribuire al riscaldamento globale, in modo sia diretto - a causa di perdite di refrigerante - che indiretto, in ragione dell'energia che bisogna utilizzare per far funzionare il sistema di raffreddamento. Gli effetti indiretti sono in genere maggiori di quelli diretti: nel caso di un frigorifero domestico le emissioni dipendono per il 96 % dall'utilizzazione di energia, l'utilizzazione di un impianto mobile di condizionamento accresce fino al 20 % il consumo di carburante e le emissioni di un'autovettura.

3.4

La scelta dei refrigeranti è in generale limitata all'ammoniaca, al biossido di carbonio, all'acqua, agli idrocarburi o ai fluorocarburi (HFC). Ognuno di essi presenta specifici vantaggi e svantaggi; non si prevede che vengano individuate a breve termine nuove molecole per questo tipo di utilizzazione. I clorofluorocarburi (CFC), che sono stati introdotti negli anni '30 come alternativa sicura e a buon mercato a prodotti come l'ammoniaca, il biossido di zolfo e gli idrocarburi, vengono gradualmente abbandonati, nel quadro del Protocollo di Montreal, a causa del loro elevato potenziale di riduzione dello strato di ozono; essi sono inoltre caratterizzati da potenziali di riscaldamento globale elevati.

3.5

Nel campo della refrigerazione domestica sono stati superati i problemi di infiammabilità del sostituto preferito, l'isobutano, grazie alla modesta carica iniziale (30-60 g), alle perdite ridotte e all'uso di sistemi elettrici antiesplosione.

3.6

I sistemi per uso commerciale utilizzano ammoniaca quando sono situati in zone isolate o quando è disponibile personale addestrato a lavorare in situazioni potenzialmente pericolose, oppure impiegano miscele di idrofluorocarburi, ad esempio nei supermercati, dove la sicurezza è fondamentale data la presenza del pubblico. Sono essenziali in questi casi una migliore progettazione, il monitoraggio e il contenimento.

3.7

La domanda crescente di impianti di condizionamento sulle autovetture dipende dal calo dei costi e dalla crescente consapevolezza degli effetti dei cambiamenti climatici locali. Tuttavia la carica iniziale di refrigerante (750 g), in genere HFC 134a, a bassa infiammabilità ma con un potenziale di riscaldamento globale pari a 1300, è molto maggiore che in un refrigeratore domestico. Il consumo durante l'intero ciclo di vita (1.200-2.400 g) è molto più elevato e gli effetti indiretti sono ancora superiori.

3.8

In queste condizioni la riprogettazione e un migliore contenimento sono indispensabili per permettere l'uso sicuro dell'HFC 152a, che è moderatamente infiammabile ma ha un potenziale di riscaldamento globale di solo 140, del butano, che è estremamente infiammabile ma ha un potenziale di riscaldamento globale di solo 3, o del biossido di carbonio, che non è infiammabile ma richiede una pressione più elevata, può causare un aumento dei consumi di carburante e comporta il rischio di asfissia degli occupanti l'autovettura in caso di incidente. Tutto questo ha importanti conseguenze sulla progettazione del motore e della carrozzeria, sulla manutenzione e sullo scarico o riciclaggio alla fine del ciclo di vita.

3.9

Il Comitato ritiene che si debba agire più tempestivamente, in modo da poter integrare gli impianti di condizionamento mobili nel processo di omologazione di tutti i nuovi modelli immessi sul mercato europeo. A tal fine è essenziale che la Commissione elabori delle norme comunitarie sulla misurazione delle perdite e delle emissioni totali, come pure sul loro impatto sull'inquinamento atmosferico e sul cambiamento climatico, a condizionatore acceso e spento.

3.10

Il Comitato concorda con la Commissione nel ritenere che, ai fini della salvaguardia dell'ambiente globale, la base giuridica della proposta dovrebbe essere l'articolo 95 del Trattato, nell'ottica di fornire orientamento e protezione al mercato interno nei settori maggiormente interessati. Per ottenere il massimo effetto è necessario consolidare delle tendenze sostenibili a lungo termine nelle preferenze dei consumatori e nelle relative innovazioni produttive in questi settori industriali che si riforniscono sul mercato globale. L'Unione europea deve mantenere il proprio ruolo guida, proseguendo la consultazione delle parti in causa, incentivando azioni positive e promuovendo un quadro nel quale tali azioni possano essere intraprese in modo tempestivo ed efficace rispetto ai costi.

3.11

I governi nazionali hanno un ruolo importante da svolgere, attraverso lo scambio di buone prassi, come ad esempio i sistemi di monitoraggio in uso in Svezia, che consentono di ridurre dal 30-40 % al 5-8 % le perdite degli impianti commerciali e di quelli siti presso rivendite al dettaglio, o il sistema STEK, nei Paesi Bassi, per impianti di refrigerazione senza perdite, oppure predisponendo dei regimi volti a informare i consumatori e a premiare le loro scelte in merito a questioni che riguardano l'ambiente globale. Il sistema dei marchi energetici, che sta già avendo effetti considerevoli sugli impianti domestici, dovrebbe essere esteso al più presto agli impianti commerciali e a quelli mobili.

3.12

Nel momento in cui dei paesi, già soggetti ai Protocolli di Montreal e di Kyoto, ma contraddistinti da fasi e da livelli di sviluppo interno differenti, entrano a far parte dell'UE, il Comitato invita la Commissione a continuare a lavorare per realizzare riduzioni sostenibili e realistiche delle emissioni di gas ad effetto serra, proteggendo il mercato interno allargato e creando condizioni eque di competizione per i produttori e gli importatori. Il Comitato riconosce che lo strumento giuridico appropriato della proposta in esame è il regolamento.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Nell'introduzione dovrebbero esserci delle considerazioni sulla sicurezza e la salute di tutti i soggetti coinvolti nell'intero ciclo di vita dei prodotti in questione.

4.2

Mancano inoltre alcune definizioni; occorrerebbe precisare meglio la distinzione tra «operatore» e «proprietario» degli impianti fissi. La Commissione dovrebbe lavorare insieme con le parti in causa per garantire che il documento copra pienamente le situazioni che si verificano nella realtà.

4.3

Le raccomandazioni relative al contenimento sono deboli e non definiscono requisiti adeguati per l'azione e il monitoraggio mirato degli impianti inaffidabili o caratterizzati da perdite. Bisognerebbe seguire con maggiore attenzione i sistemi svedese e olandese. Dal momento che vengono aumentati gli incentivi alla riduzione delle perdite già in fase di progettazione, si dovrebbe consentire una minore frequenza del monitoraggio dei nuovi impianti ad alta efficienza energetica e che abbiano dimostrato di avere percentuali ridotte di perdite, indipendentemente dal tipo di refrigerante che viene impiegato. Gli utenti dovrebbero considerare la riduzione delle perdite sia come un fattore di riduzione dei costi che come un contributo alle prestazioni ambientali. Per provocare gli auspicati cambiamenti delle attuali prassi si può ricorrere ad accordi volontari, regimi di etichettatura e di premi, informazioni diffuse attraverso i mezzi di informazione di settore e riconoscimento da parte dei consumatori dei progressi realizzati.

4.4

L'articolo 5 prevede delle misure di formazione destinate al personale addetto al contenimento e al recupero, ma non all'installazione, alla manutenzione e all'ispezione, tuttavia ciò sarà indispensabile se si vuole che i cambiamenti abbiano i risultati sperati.

4.5

Il Comitato accoglie con favore la procedura di comunicazione delle informazioni definita all'articolo 6. Le relazioni nazionali basate sulle norme dell'UE relative all'aria sono di qualità variabile: senza una banca dati coerente ed efficiente sarà difficile stabilire quali progressi siano stati compiuti e quali azioni ulteriori siano richieste.

4.6

Considerando l'esigenza di equilibrare i rischi e i benefici nella refrigerazione e nel condizionamento dell'aria, sarebbe preferibile assoggettare tali specifiche attività alla futura azione legislativa, compresa l'omologazione per gli impianti di condizionamento mobili, piuttosto che concentrarsi, come si fa, su una sola serie di refrigeranti.

4.7

Il sistema di contingenti per le emissioni degli impianti mobili di condizionamento è complesso e non appare del tutto necessario. Se gli orizzonti temporali sono realistici, sembrerebbe preferibile introdurre, per esempio a partire dal 2012, l'omologazione dei nuovi modelli, basata su tutti gli aspetti dell'efficienza energetica e della limitazione delle emissioni e applicata alla stessa stregua ai costruttori e agli importatori. Bisognerebbe inoltre stabilire un termine ultimo, ad esempio il 2020, entro il quale tutte le autovetture nuove, che si tratti di modelli nuovi o preesistenti, devono conformarsi pienamente alle nuove norme. Inoltre si dovrebbero promuovere dei regimi volti ad incrementare la sostituzione dei modelli preesistenti non conformi.

4.8

Il ruolo e le responsabilità dei consumatori sono particolarmente importanti: per le attività considerate come indispensabili, il consumatore dovrebbe essere al corrente delle scelte disponibili e delle conseguenze di ciascuna scelta. Nel caso vi siano costi speciali, relativi ad esempio alla manutenzione o alla rottamazione, occorre che vengano definiti e addebitati. I regimi di etichettatura hanno contribuito notevolmente ad accrescere l'efficienza energetica dei frigoriferi domestici; con l'aiuto della Commissione questi regimi potrebbero essere estesi al più presto ad altri aspetti della refrigerazione e del condizionamento d'aria.

4.9

Per le applicazioni opzionali e relativamente di poco conto, o per le quali sono disponibili alternative più sicure, il Comitato considera adeguato e valuta positivamente l'approccio definito negli articoli 7 e 8 e nell'Allegato II della proposta. In settori complessi ed essenziali, come quello della somministrazione di farmaci attraverso aerosol dosatori, si ritiene più opportuno ricorrere ad accordi volontari, a graduali avanzamenti e allo scambio di buone prassi.

4.10

Altre utilizzazioni dei gas fluorurati, come per esempio negli automezzi da trasporto pesanti e nei sistemi di refrigerazione mobili utilizzati nei trasporti su strada, rotaia e per via d'acqua, che non sono prese in considerazione nella proposta in esame, dovrebbero essere oggetto di proposte successive non appena siano disponibili i dati necessari.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne degli Stati membri e alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne temporanee tra gli Stati membri

(COM(2003) 502 def. - 2003/0193 (CNS) - 2003/0194 (CNS))

(2004/C 108/13)

Il Consiglio, in data 18 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha adottato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore SIMONS in data 6 gennaio 2004.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 52 voti favorevoli, 3 voti contrari e nessuna astensione, il seguente parere:

Introduzione

Le proposte della Commissione europea volte a istituire un regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne degli Stati membri dell'UE (1) e alle frontiere terrestri esterne temporanee tra gli Stati membri (2) sono intese, da un lato, a facilitare il passaggio delle frontiere per i residenti frontalieri in buona fede che hanno motivi legittimi per attraversare di frequente le frontiere terrestri esterne e, dall'altro, a prevenire l'immigrazione illegale e le potenziali minacce per la sicurezza costituite dalle attività criminali.

1.   Sintesi delle proposte della Commissione

1.1

In base alla proposta di regolamento 2003/0193, gli attuali e i nuovi Stati membri (questi ultimi a partire dal 1o maggio 2004) che hanno una frontiera terrestre in comune con un paese terzo limitrofo possono, se lo ritengono opportuno, concludere accordi bilaterali con tale paese, basati sul principio della reciprocità, per precisare ulteriormente il regime esistente in materia di traffico frontaliero locale.

1.2

In base alla proposta di regolamento 2003/0194, uno Stato membro attuale e uno o due nuovi Stati membri che hanno una frontiera in comune possono, se lo ritengono opportuno, concludere accordi volti a precisare ulteriormente i regimi esistenti.

1.2.1

Queste due proposte riguardano i regimi transitori che potranno essere posti in atto a partire dal 1 omaggio 2004, ma che cesseranno di essere in vigore non appena i nuovi Stati membri interessati procederanno all'applicazione integrale dell'acquis di Schengen e i controlli alle frontiere comuni saranno soppressi.

1.3

La Commissione europea punta così, da un lato, a facilitare il passaggio delle frontiere per i residenti frontalieri in buona fede aventi legittimi motivi per attraversare di frequente le frontiere esterne dell'UE e, dall'altro, a prevenire l'immigrazione illegale e le potenziali minacce per la sicurezza costituite dalle attività criminali.

1.4

A tale scopo, la Commissione propone che i cittadini di paesi terzi legittimamente residenti da almeno 1 anno nella zona di frontiera di uno Stato membro possano attraversare di frequente le frontiere terrestri per motivi familiari, sociali, culturali, economici o di altro genere, eventualmente in punti e orari diversi da quelli autorizzati per il passaggio. La durata massima di un singolo soggiorno è di sette giorni consecutivi, a condizione che il totale delle successive visite non superi i tre mesi per semestre.

1.5

Per poter effettuare tali visite, gli interessati dovranno disporre dei necessari documenti di viaggio. I cittadini di paesi terzi non soggetti all'obbligo del visto potranno valicare la frontiera su presentazione della carta d'identità o di un lasciapassare specifico.

1.5.1

I cittadini di paesi terzi soggetti all'obbligo del visto dovranno essere in possesso del visto specifico L, valido al minimo un anno e al massimo cinque, che sarà rilasciato secondo un modello uniforme (modello standard).

1.6

Gli interessati, infine, avranno accesso solo alla zona che si estende per non più di 50 km dalla frontiera, fermo restando che all'interno di tale zona si potranno specificare ulteriormente i distretti accessibili al traffico frontaliero locale.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato, che pure sottoscrive gli obiettivi della proposta, non può fare a meno di chiedersi in che modo sarà accertato l'eventuale superamento della durata totale del soggiorno, tanto più che, anche per motivi pratici, sui documenti di viaggio non potranno o non dovranno essere apposti timbri d'ingresso e di uscita.

2.2

La Commissione europea parte evidentemente dal presupposto che il controllo eseguito ai fini della concessione del visto L abbia valore determinante per considerare gli interessati, dopo il rilascio del visto, come viaggiatori in buona fede. Dato però che la validità massima di tale visto può raggiungere i cinque anni, al momento dei passaggi di frontiera, specie ove ciò avvenga in punti e orari diversi da quelli autorizzati, potrà essere difficile accertare se gli interessati soddisfino ancora i requisiti per la concessione del visto o se, nel frattempo, non sia stata ad esempio diramata l'istruzione di rifiutare loro l'ingresso.

2.3

A ciò si aggiunga che la soluzione scelta dalla Commissione non è in ogni caso soddisfacente ai fini del controllo del soggiorno dei cittadini di paesi terzi non soggetti all'obbligo del visto, i quali possono eventualmente superare la frontiera su semplice presentazione della carta di identità.

2.4

Qualora poi gli interessati fossero scoperti al di fuori della zona di frontiera e addirittura sul territorio di un altro Stato membro, il loro soggiorno sarebbe da ritenersi irregolare ed essi andrebbero espulsi. Al riguardo appare opportuno precisare che, qualora con i paesi di provenienza non esista alcun accordo in materia di rimpatri e di riammissioni, le disposizioni applicabili saranno quelle di Schengen.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne degli Stati membri (2003/0193 (CNS))

3.1.1   Articolo 3 (Definizioni)

3.1.1.1

La definizione di «lavoratore transfrontaliero» di cui alla lettera (h) è ripresa da una proposta di direttiva del Consiglio, non ancora adottata, relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo.

3.1.1.2

Ciò fa sorgere l'interrogativo se le disposizioni del presente regolamento valgano in effetti per tale categoria di persone o se invece verranno sostituite da quelle della suddetta direttiva, una volta che sarà stata adottata e recepita nei vari ordinamenti nazionali.

3.1.2   Articolo 4 (Clausola di non discriminazione)

3.1.2.1

Dato che tutti gli Stati membri hanno sottoscritto la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, è evidente che applicheranno anche il disposto dell'articolo 4.

3.1.2.2

Quando si parla di riammissioni o di asilo, è senz'altro utile ricordare che i cittadini di paesi terzi non possono essere espulsi verso o attraverso uno Stato terzo e che possono ottenere lo status di rifugiati da parte degli Stati membri se nello Stato terzo in questione corrono un rischio reale di essere perseguitati per i motivi di cui all'articolo 4; tuttavia, in riferimento al traffico frontaliero locale, l'integrazione di tale clausola appare superflua.

3.1.3   Articolo 10 (Modello del visto)

3.1.3.1

Secondo questo articolo, il visto è rilasciato secondo un modello uniforme, al quale viene apposta la lettera L. Ciò comporta la necessità di impartire chiare istruzioni al riguardo alle autorità di controllo dell'area Schengen, tanto più che la lettera L è anche utilizzata per indicare il Lussemburgo nel caso dei visti limitati al territorio del Granducato.

3.1.4   Articolo 20 (Modifica dell'Istruzione consolare comune)

3.1.4.1

Dato che questa istruzione contiene le regole che le autorità consolari sono tenute a osservare per il rilascio dei visti, non sarà solo la Parte I, punto 2 (Classificazione e definizione dei visti), a dover essere modificata, ma anche la Parte V (Esame e deliberazione), punto 3, e la parte VI (Compilazione della vignetta visto): difficilmente, infatti, si potrà chiedere a tali autorità di consultare l'allegato all'istruzione prima di procedere al rilascio di un visto.

3.1.4.2

Risulta inoltre spontaneo chiedersi per quale motivo alla lettera (a), secondo comma, si parli della durata minima, ma non di quella massima.

3.1.4.3

Infine, le norme in materia di traffico frontaliero locale andranno notificate anche alle autorità di controllo alle frontiere. Ciò comporterà la necessità di procedere a un adeguamento del Manuale comune, anche se di ciò non si fa menzione nelle disposizioni finali.

3.1.5   Articolo 21 (Modifica della convenzione di attuazione dell'Accordo di Schengen)

3.1.5.1

Con questo articolo la Commissione europea abroga l'articolo 136, paragrafo 3, della suddetta convenzione.

3.1.5.2

Un regolamento, tuttavia, non può abrogare le disposizioni di tale convenzione, ma solo renderle inapplicabili.

3.2   Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne temporanee tra gli Stati membri (2003/0194 (CNS))

3.2.1

Considerato che questa proposta applica il regime del traffico frontaliero locale alle frontiere terrestre esterne degli Stati membri in base alla proposta 2003/0193, le osservazioni formulate nei punti che precedono valgono anche per le norme relative al traffico frontaliero locale alle frontiere terrestri esterne temporanee tra gli Stati membri.

4.   Conclusioni

4.1

Il Comitato accoglie con favore l'obiettivo delle due proposte in materia di traffico frontaliero locale, cioè facilitare il frequente passaggio delle frontiere per i residenti frontalieri in buona fede, tenendo conto nel contempo della necessità di prevenire l'immigrazione illegale e le potenziali minacce per la sicurezza costituite dalle attività criminali.

4.2

Fintanto che questo duplice obiettivo non potrà essere concretizzato in base alle pertinenti disposizioni del diritto comunitario (compreso l'acquis di Schengen), riguardo alla proposta di regolamento del Consiglio 2003/0193 si raccomanda quanto segue:

4.2.1

per poter controllare l'eventuale superamento della durata totale del soggiorno, il passaggio delle frontiere non andrebbe consentito in punti e orari diversi da quelli autorizzati (cfr. articolo 18);

4.2.2

per poter accertare regolarmente la buona fede degli interessati, i visti speciali dovrebbero avere la durata massima di un anno (cfr. articolo 12);

4.2.3

onde precisare che le disposizioni di cui all'articolo 23 dell'accordo di Schengen si applicano anche in caso di espulsione di cittadini di paesi terzi scoperti al di fuori di una zona di frontiera, e il cui soggiorno all'interno della zona Schengen è quindi irregolare, bisognerebbe inserire un rimando a tale disposizione nell'articolo 2 della proposta 2003/0193;

4.2.4

dato che lo status dei lavoratori transfrontalieri non è ancora regolamentato a livello comunitario e che le deliberazioni del Consiglio per l'adozione di una direttiva in materia sono ancora in corso, la definizione di cui all'articolo 3, lettera (h), andrebbe soppressa (così come l'articolo 15, riguardante questa categoria di persone) o quanto meno mantenuta con riserva in attesa dell'approvazione della suddetta direttiva;

4.2.5

dato che, al momento di applicare non solo il regolamento in questione, ma l'intero diritto comunitario e nazionale, gli Stati membri sono tenuti a osservare il principio di non discriminazione, il disposto dell'articolo 4 appare superfluo. Esso dà inoltre l'impressione che in materia di traffico frontaliero locale gli Stati membri non intendano rispettare sistematicamente tale principio. Il riferimento a questo diritto fondamentale potrebbe rientrare se del caso fra i considerando;

4.2.6

dato che la lettera L designa anche il Lussemburgo nel caso dei visti limitati al territorio del Granducato, e potrebbe quindi confondere i funzionari preposti al controllo, conviene assicurarsi che le lettere adoperate per il visto specifico di cui all'articolo 9 non coincidano con i codici relativi agli Stati membri dell'Unione;

4.2.7

le disposizioni finali devono precisare meglio le istruzioni da impartire alle autorità consolari e ai funzionari preposti ai controlli di frontiera, rispettivamente nell'attuale articolo 20 e in un nuovo articolo;

4.2.8

dato infine che non si può abrogare un articolo dell'accordo di Schengen attraverso un regolamento, il disposto dell'articolo 21 andrebbe soppresso o eventualmente riformulato.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM(2003) 502 def. - 2003/193 (CNS).

(2)  COM(2003) 502 def. - 2003/0194 (CNS).


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema le industrie culturali in Europa

(2004/C 108/14)

Mediante lettera del commissario Viviane Reding, la Commissione europea, in data 9 aprile 2003, ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, un parere sulle industrie culturali in Europa.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia dall'Ufficio di presidenza del Comitato il 15 aprile 2003, ha adottato il parere elaborato dal relatore RODRÍGUEZ GARCIA CARO in data 16 dicembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato con 72 voti favorevoli, 7 contrari e 5 astensioni, il seguente parere.

1.   Introduzione

1.1   Motivazione del parere

1.1.1

Mediante lettera datata 9 aprile 2003, il commissario Viviane Reding ha richiesto al Presidente del Comitato un parere esplorativo sul tema delle industrie culturali in Europa.

Il commissario ritiene che il CESE, data la sua posizione in seno alla società civile e in qualità di rappresentante degli interessi delle imprese e dei lavoratori, sia particolarmente adatto, tra l'altro, a:

fornire un'opinione specialistica in materia,

realizzare una sintesi degli interessi in gioco,

avanzare proposte, frutto dell'accordo tra le parti socioeconomiche.

In questo contesto, la Commissione prevede di proporre, all'inizio del 2004, nuovi strumenti comunitari nel settore culturale e in quello audiovisivo.

1.1.2

Le principali sfide cui, secondo la Commissione, devono far fronte le industrie appartenenti a tali settori, sono le seguenti:

la concorrenza extra-europea,

la pirateria legata alle nuove tecnologie,

l'equilibrio tra grandi operatori e imprese indipendenti (accesso al mercato e diversità culturale),

il trattamento fiscale differenziato,

la carenza di esperti e la mancanza di una formazione specifica in alcuni rami di questi settori.

1.1.3

La Commissione ritiene che questa situazione renda necessario l'avvio di un processo di riflessione sui seguenti aspetti:

le sfide che queste industrie devono raccogliere,

i problemi che devono affrontare,

l'apporto che l'Europa può fornire per contribuire ad affrontare tali problemi, soprattutto nel contesto dell'ampliamento.

1.1.4

Nel corso della sessione del 4 settembre 2003, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione dal titolo Industrie culturali, presentata dalla parlamentare europea Myrsini Zorba.

1.1.4.1

Questo documento, vasto ed esauriente, è il frutto della rigorosa metodologia applicata dal Parlamento per elaborare una risoluzione contenente proposte operative destinate alle istituzioni competenti in materia dell'Unione europea e degli Stati membri in merito alle eventuali misure da adottare.

1.1.4.2

Nel corso dell'audizione pubblica svoltasi il 22 aprile 2003, sono stati presentati i risultati di un questionario inviato a duecento associazioni professionali, federazioni di diversi settori, imprese ed esperti in materia, i quali hanno illustrato i principali problemi dell'industria culturale europea, vale a dire:

la mancanza di investimenti,

le difficoltà legate alla distribuzione,

la dimensione limitata del mercato,

la diversità linguistica,

la pirateria.

1.1.4.3

Secondo il documento presentato durante l'audizione, i professionisti del settore non sono soddisfatti delle politiche culturali nazionali ed europee.

1.2   Contenuto del parere esplorativo

1.2.1

Il presente parere illustra gli orientamenti che, nell'insieme, sono considerati pertinenti per lo sviluppo di un futuro intervento comunitario.

1.2.2

Il Comitato economico e sociale europeo dovrà fondamentalmente rispondere a due quesiti:

quali sono le sfide culturali e socioeconomiche che le industrie culturali devono affrontare in Europa?

quale contributo può apportare l'Europa per rispondere in maniera duratura a queste sfide?

2.   L'Europa e la cultura

2.1   La cultura

2.1.1

In generale, i dizionari danno una definizione di cultura, quando si riferiscono al concetto nella sua globalità, usando termini simili. Si potrebbe così affermare che la cultura è l'insieme di conoscenze, usi e gradi di sviluppo artistico e scientifico in una determinata epoca o all'interno di un certo gruppo sociale.

2.1.1.1

Gli europei condividono, con determinati gradi di affinità, conoscenze, usi, gradi di sviluppo e valori che confermano, nel pieno rispetto delle identità locali, l'esistenza di una cultura europea o di uno spazio culturale europeo.

2.1.1.2

Nello stesso tempo, ai fini del presente parere, la cultura può essere definita come il complesso di produzioni e prodotti culturali ed artistici relativi alla musica, al teatro, alla cinematografia, alla televisione, ai libri, ecc. In questo caso, la cultura rientra in terreni più prossimi alla dimensione economica ed entra a pieno titolo nell'ambito dell'industria, l'industria culturale.

2.1.2

La cultura non è un'entità astratta, è qualcosa che ha origine nell'esistenza stessa di coloro che la producono. Non esisterebbe cultura se non vi fossero creatori, artisti, interpreti, ecc. in grado, con la loro ispirazione, di mettere a disposizione dei cittadini opere che fanno parte del retaggio culturale dell'umanità, di un'umanità che le ammira e le apprezza in tutta la loro dimensione.

2.1.3

Si può così affermare che le creazioni e le opere culturali non avrebbero ragione di esistere se i cittadini non avessero la possibilità di accedervi. L'accesso alla cultura aumenta le possibilità dell'essere umano; tuttavia non dobbiamo dimenticare che facendone un uso perverso, essa può diventare un fattore di controllo del potere. Rafforzare la cultura e favorire e promuovere il libero accesso dei cittadini alla stessa può essere un elemento di contrapposizione a qualsiasi modello di egemonia che intende imporsi utilizzando la cultura come vettore.

2.2   La politica culturale e lo spazio culturale europeo

2.2.1

Fino all'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, l'Unione europea non disponeva della base giuridica necessaria per attuare una politica culturale. Con l'adozione di una solida base giuridica e con l'avvio di programmi specifici in quest'ambito della politica comunitaria, il ruolo dell'Unione europea nel contesto internazionale non è più unicamente legato alla sua configurazione geografica e alla sua posizione politica, economica e sociale, ma si comincia invece a dare risalto agli aspetti più importanti di ordine culturale condivisi dall'Europa comunitaria.

2.2.2

In tal senso, anche il Comitato considera che la cultura costituisca un elemento essenziale e unificante nella vita quotidiana dei cittadini d'Europa (1), nonché per la loro identità.

2.2.3

Sebbene non esista una politica comune per i diversi settori culturali, e a prescindere dalle limitazioni dell'articolo 151 del Trattato CE, sarebbe necessario che gli Stati membri e le istituzioni comunitarie contribuissero a fornire una visione comune per il futuro tale da permettere all'insieme dell'Unione un intervento più incisivo nell'ambito culturale.

2.2.3.1

A tal fine, il Comitato crede che una politica culturale a livello europeo debba favorire l'accesso dei cittadini alla conoscenza dell'identità culturale che li unisce e alla conoscenza della diversità culturale delle differenti regioni d'Europa affinché vi sia maggior comprensione tra le varie componenti di questa diversità.

2.2.4

Nella risoluzione del 5 settembre 2001, il Parlamento europeo considerava opportuno, per l'avvenire dell'Unione, rafforzare la dimensione culturale sia a livello politico che a livello finanziario, favorendo la cooperazione tra gli Stati membri, per consentire la creazione di uno spazio culturale europeo.

2.2.4.1

La creazione di questo spazio culturale europeo comporta una duplice ricchezza: la ricchezza culturale in sé e la ricchezza economica che produce mediante le industrie culturali. Queste permettono ai cittadini dell'Unione di accedere alla cultura e nello stesso tempo dovrebbero essere la base della diffusione ed esportazione della nostra cultura al di là delle frontiere comunitarie.

2.2.5

Il Comitato non intende fare del presente parere un dibattito sulla politica culturale dell'Unione europea; crede tuttavia che si tratti di un tema di enorme importanza che dovrebbe essere trattato in profondità.

3.   I programmi comunitari a sostegno della cultura e delle industrie culturali

3.1   Base giuridica

3.1.1

Fino all'adozione del Trattato di Maastricht, l'Unione europea non disponeva di un quadro giuridico che le consentisse di attuare una politica culturale comunitaria. Il Trattato di Roma non conteneva alcun articolo né paragrafo specifico in tal senso, solo il preambolo accennava alla cultura come fattore di integrazione dei popoli e di promozione dello sviluppo socioeconomico.

3.1.1.1

L'articolo 151 del Trattato CE costituisce una base per promuovere, sostenere e completare le azioni degli Stati membri, nel rispetto della diversità nazionale e regionale ed enfatizzando in modo particolare il patrimonio culturale comune dei cittadini dell'Unione. Le azioni di armonizzazione sono espressamente escluse dal campo di applicazione di questo articolo.

3.1.2

Una delle missioni affidate all'Unione europea è quella di garantire le condizioni necessarie alla competitività dell'industria comunitaria. L'articolo 157 del Trattato CE stipula che l'azione della Comunità è intesa, tra l'altro, ad accelerare l'adattamento dell'industria alle trasformazioni strutturali e a promuovere un ambiente favorevole all'iniziativa e alla cooperazione tra imprese.

3.1.2.1

L'Unione europea deve contribuire a creare un contesto propizio allo sviluppo delle industrie culturali affinché queste possano beneficiare dei frutti della ricerca, dei progressi tecnologici, di un migliore accesso ai finanziamenti e dei vantaggi della cooperazione in uno spazio europeo della cultura.

3.2   Programmi specifici nel campo della cultura

3.2.1

Tra il 1996 e il 1997 l'Unione europea, avvalendosi della base giuridica appropriata, ossia l'articolo 151 del Trattato, ha lanciato tre programmi specifici nel campo della cultura: Caleidoscopio (2), destinato a incentivare la creazione artistica e a promuovere la conoscenza e la diffusione della cultura dei popoli europei in campo artistico; Arianna (3), finalizzato allo sviluppo della cooperazione tra gli Stati membri nel settore del libro e della lettura e a promuovere una conoscenza più diffusa della letteratura e della storia dei popoli europei mediante la traduzione, e infine, Raffaello (4), che ha lo scopo di promuovere la cooperazione tra gli Stati membri in materia di beni culturali di dimensione europea.

3.2.2

Nel febbraio del 2000 è stato approvato il Primo programma quadro comunitario a favore della cultura (5) il quale semplifica gli interventi comunitari concentrandoli in un unico strumento di finanziamento e di gestione della cooperazione culturale. Tale cooperazione tra gli attori del mondo della cultura contribuisce alla realizzazione di uno spazio culturale europeo, allo sviluppo della creazione artistica e letteraria, alla conoscenza della storia e della cultura europee, alla diffusione internazionale della cultura, alla rivalorizzazione del patrimonio d'importanza europea e al dialogo interculturale.

3.2.2.1

Cultura 2000 si prefigge la creazione di uno spazio culturale comune caratterizzato dalla diversità culturale e dal patrimonio culturale che l'Europa condivide. La partecipazione al programma è aperta ai paesi dello Spazio economico europeo e ai paesi candidati all'adesione. Il programma sostiene i progetti artistici e culturali caratterizzati da una dimensione europea a livello di ideazione, organizzazione e realizzazione. La maggior parte dei progetti prevede anche una dimensione multimediale per permettere la creazione di pagine web e forum di discussione.

3.2.2.2

È gia previsto il prolungamento del programma Cultura 2000, adottato per il periodo 2000-2004, mediante una nuova proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 508/2000/CE (6). Tale proposta prevede la continuazione del programma fino al 2006 alle stesse condizioni.

3.3   Programmi comunitari nel campo della cultura

3.3.1

Il programma MEDIA, che in francese è la sigla di Misure per il sostegno allo sviluppo dell'industria audiovisiva, è finalizzato a ovviare alle insufficienze delle industrie europee audiovisive e multimediali, dovute a una scarsa circolazione di opere europee tra i diversi paesi, e a diminuire il deficit cronico di investimenti in sviluppo di progetti, formazione permanente, distribuzione e promozione delle opere. Tali debolezze appaiono ancora più significative se si fa il confronto con le opere di provenienza nordamericana.

3.3.1.1

Il programma MEDIA fornisce quindi un sostegno alla cultura mediante azioni a favore delle industrie audiovisive che producono questo tipo di opere culturali ed è articolato nei programmi MEDIA Formazione (7) e MEDIA Plus (8), subentranti ai programmi MEDIA I e MEDIA II, i quali sono in concreto destinati, rispettivamente, alla formazione dei professionisti dell'industria europea dei programmi audiovisivi e allo sviluppo, distribuzione e promozione di opere audiovisive.

3.3.1.2

La Commissione ha condotto una consultazione pubblica per proporre, in base all'esito della stessa e ai risultati della valutazione dei programmi in corso, una nuova generazione di programmi a favore dell'industria audiovisiva europea.

3.3.2

Inoltre, alcuni programmi e interventi dell'Unione europea, che non sono legati direttamente al sostegno alla cultura, contengono orientamenti e sostengono progetti che ricoprono aspetti molto diversi della cultura in generale e del patrimonio culturale in particolare.

3.3.2.1

A questo titolo, si possono citare tra i programmi più importanti e gli ambiti rispettivi in cui essi intervengono:

a)

il Quinto programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico, che comprende alcuni programmi per lo sviluppo di azioni a favore della conservazione del patrimonio culturale, e in particolare il programma europeo di ricerca Tecnologie della società dell'informazione;

b)

numerosi progetti finanziati dai programmi comunitari per l'istruzione e la formazione Socrates e Leonardo che sono incentrati sull'apprendimento e la conoscenza delle arti e sulla creazione di associazioni tra istituzioni culturali ed educative, al fine di consentire agli europei di conoscere ed apprezzare le opere d'arte e di seguire formazioni per le professioni connesse con la cultura nei suoi molteplici aspetti;

c)

il Fondo sociale europeo, che include, nella parte riguardante la formazione dei giovani, la formazione artistica, come ad esempio il restauro e la conservazione del patrimonio fotografico in Italia. Degna di nota, nell'ambito del FSE, è anche l'iniziativa comunitaria EQUAL;

d)

il programma Gioventù che finanzia annualmente incontri per i giovani dai 15 ai 25 anni. Alcuni di questi incontri sono imperniati su attività artistiche;

e)

il programma eContent, che fa parte del Piano d'azione eEurope, concerne lo sviluppo di tecnologie di traduzione automatica che contribuiscono a mantenere la diversità linguistica delle opere letterarie europee oltre a sostenere la produzione di contenuti digitali europei;

f)

la politica regionale dell'Unione europea che contribuisce anch'essa al finanziamento di spazi di creazione e diffusione artistica, come scuole di musica, sale da concerto, studi di registrazione, ecc.;

g)

all'interno del programma di cooperazione con i paesi mediterranei MEDA, Euromed Heritage, un programma di sostegno allo sviluppo del patrimonio culturale euromediterraneo, che prevede a sua volta Eumedis, iniziativa destinata a sviluppare i servizi digitali nei paesi mediterranei, tra cui i servizi di accesso multimediale al patrimonio culturale e al turismo;

h)

il programma URB-AL che sostiene la cooperazione tra città dell'Unione europea e dell'America latina sulle problematiche urbane, inclusa la conservazione del patrimonio urbano, mentre ASIA-URB è il programma equivalente per l'Asia. La conservazione e valorizzazione del patrimonio sono oggetto di cooperazione anche con i paesi dell'Africa, dei Carabi e del Pacifico nel quadro dell'Accordo di Cotonou;

i)

il Fondo europeo di sviluppo regionale che finanzia progetti di restauro del patrimonio programmati nel quadro dei progetti di sviluppo regionale. Le iniziative comunitarie URBAN per le aree urbane in crisi e Interreg per la cooperazione tra le regioni dell'Unione europea in diversi ambiti, tra cui lo sviluppo urbano, sostengono progetti con queste caratteristiche;

j)

il Fondo europeo di orientamento e garanzia agricola che sostiene azioni di sviluppo delle zone rurali. Si segnala inoltre l'iniziativa Leader che contribuisce anche al rinnovamento e alla valorizzazione culturale di edifici, giacimenti, arredamenti e materiale in tale ambito;

k)

all'interno del programma comunitario di azione per l'ambiente, il programma LIFE III, che contribuisce alla politica ambientale dell'Unione, favorendo la valorizzazione e gestione turistica di ambienti naturali e culturali.

3.3.3

Secondo il Comitato, questa serie di programmi appena citati riflette il crescente interesse delle istituzioni comunitarie nel favorire e sostenere la cultura, al tempo stesso evidenziando però una dispersione di sforzi e azioni, che separatamente stanno conseguendo indubitabili progressi, ma che in forma coordinata potrebbero sommare le energie, dare migliori risultati e raggiungere una maggiore efficienza nel conseguimento degli obiettivi in materia di cultura.

3.3.3.1

Alcuni di questi programmi dipendono da una sola direzione generale, soprattutto quelli legati in maniera più diretta alla cultura e alle industrie culturali del settore audiovisivo, però esistono altre iniziative in seno a programmi che fanno capo ad ambiti diversi; ciò dovrebbe indurre a riflettere sull'opportunità di un maggiore coordinamento tra tutti i programmi in questione.

4.   Industrie culturali

4.1   Cosa si intende per industrie culturali?

4.1.1

Non è intenzione del Comitato dare una definizione chiusa e riduttiva delle industrie culturali; dato che lo scopo della definizione è quello di determinare i settori che rientrano nell'ambito delle industrie culturali e creative.

4.1.1.1

Di fatto, l'inclusione o meno nel concetto di industrie culturali degli uni o degli altri settori di attività, dipende dalle fonti consultate. Questo campo può comprendere attività talmente diverse come le arti sceniche, comprendenti tutte le manifestazioni di interpretazione teatrale, musicale e di danza ecc.; le arti plastiche, in tutte le loro manifestazioni, pittura, scultura, ecc.; l'artigianato culturale; l'edizione di libri; l'edizione di musica, i mezzi audiovisivi e il cinema; i mezzi di comunicazione di massa; il patrimonio culturale, soprattutto quello architettonico; le attività di conservazione e restauro delle opere e del patrimonio culturale; infine il turismo, quando è finalizzato ad avvicinare i cittadini a un determinato patrimonio culturale, sia esso urbano o rurale, senza tralasciare i musei, le biblioteche e gli altri spazi culturali.

4.1.2

Secondo l'Unesco, la creatività, che è una parte importante dell'identità culturale degli esseri umani, si esprime in modi diversi. Riprodotte e moltiplicate mediante procedimenti industriali e diffuse mondialmente, le opere della creatività umana diventano prodotti delle industrie culturali come ad esempio i libri, i dischi, la produzione cinematografica e videografica e, più recentemente, i prodotti elettronici multimediali (9).

4.1.2.1

Effettivamente, questa definizione dell'Unesco si avvicina con grande esattezza al concetto di industria culturale, che dovremmo estendere anche a quei settori relativi alle opere culturali non riproducibili su larga scala ma che attraggono l'interesse, la contemplazione diretta o indiretta delle stesse e che inducono i cittadini a spostarsi per poterne godere. In questo modo sorgono industrie che non riproducono opere, ma che, attraverso il turismo culturale, permettono a milioni di cittadini di avvicinarsi al patrimonio culturale non riproducibile.

4.1.2.2

Per questo motivo, e per rendere efficiente una politica europea in ambito culturale e, di conseguenza, di sostegno alle industrie culturali, il Comitato appoggia la richiesta di un chiarimento a livello concettuale contenuta nella risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 4 settembre 2003, e apporta il proprio contributo a tale definizione mediante i criteri illustrati al punto 4.1.2. e 4.1.2.1 del presente documento.

4.2   In che modo possono essere raggruppate le industrie culturali?

4.2.1

A fini puramente didattici e ferma restando la possibilità di altre forme di classificazione, le industrie culturali possono essere raggruppate nel modo seguente:

manifestazioni culturali che includono tutte le rappresentazioni artistiche cui assistiamo dal vivo, come gli spettacoli teatrali, musicali, di danza e di altro tipo,

opere d'arte e opere culturali, comprendenti il patrimonio artistico, quello architettonico, quello decorativo, e tutti gli importanti aspetti di conservazione e restauro che ne garantiscono la persistenza nel tempo,

istituti culturali, come musei, gallerie e biblioteche,

industria culturale di prodotti editoriali che include l'edizione di libri, l'edizione fonografica, la fotografia, nonché la cinematografia e la riproduzione video e DVD,

industria culturale di comunicazione che include la radio, la televisione e i mezzi di comunicazione in generale,

il settore multimediale che comprende i nuovi supporti digitali e l'informazione culturale on-line mediante l'accesso a banda larga a Internet.

4.2.2

Con tali parametri, l'importanza economica dei prodotti culturali e delle industrie che ne sono alla base è incontestabile. La sempre maggiore importanza economica dei prodotti culturali trasforma le industrie culturali in una rilevante fonte di attività economica e di progressiva creazione di posti di lavoro. È per questa ragione che, secondo il Comitato, le industrie culturali dell'Unione europea contribuiscono in maniera importante al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona sotto l'aspetto occupazionale.

4.2.2.1

In una società che attribuisce sempre maggior valore al tempo libero e alle attività connesse, le industrie culturali favoriscono la conoscenza, l'intrattenimento e l'occupazione, per cui i poteri pubblici statali e comunitari dovrebbero logicamente sostenerle, favorendone l'espansione e lo sviluppo, soprattutto sotto l'aspetto dell'innovazione tecnologica.

4.2.2.2

La cultura peculiare che producono e di cui fruiscono le popolazioni indigene e le popolazioni minoritarie esige misure speciali.

5.   Il Comitato economico e sociale europeo, la cultura e le industrie culturali

5.1

Il Comitato economico e sociale europeo, in virtù del ruolo privilegiato di portavoce della società civile organizzata e delle parti socioeconomiche, può e deve fornire un parere che rifletta non solo le preoccupazioni e aspirazioni di tali parti, ma che rappresenti anche la visione degli utenti di queste industrie culturali, presentando in tal modo una prospettiva che arricchisca e completi il dibattito in corso.

5.2

Nel corso degli anni, il Comitato si è pronunciato in molteplici occasioni sia in merito alla cultura in generale che alle industrie culturali in particolare. A tale proposito, ha espresso la propria opinione sulle industrie del settore audiovisivo nei diversi pareri elaborati in occasione dell'adozione delle diverse fasi del programma MEDIA.

5.3

In tali pareri il Comitato ha espresso chiaramente la propria posizione sia riguardo all'individuazione dei problemi e delle sfide che si pongono alle industrie del settore audiovisivo, che riguardo alla ricerca di possibili soluzioni che potrebbero essere individuate per potenziare, favorire e aiutare tali industrie, nella prospettiva di promuovere l'accesso e la diffusione della cultura europea in generale e la cultura dei diversi paesi e regioni in particolare.

5.4

A mo' di promemoria e al tempo stesso per riaffermare le posizioni espresse a suo tempo, vengono citati qui di seguito i corrispondenti pareri del Comitato, che di fatto sono attualmente ancora pienamente validi.

5.4.1

Parere del Comitato economico e sociale in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo (10).

5.4.2

Parere in merito alla proposta di decisione del Consiglio che modifica la Decisione n. 90/685/CEE concernente l'applicazione di un programma d'azione volto a promuovere lo sviluppo dell'industria audiovisiva europea (MEDIA) (1991-1995) (11).

5.4.3

Parere in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa ad un programma di formazione per gli operatori dell'industria europea dei programmi audiovisivi e alla proposta di decisione del Consiglio relativa ad un programma di incentivazione dello sviluppo e della distribuzione delle opere audiovisive europee (12).

5.4.3.1

Nel paragrafo 3 delle osservazioni generali di quest'ultimo parere, il Comitato analizzava le carenze del settore, illustrate dalla Commissione nella proposta di decisione, e procedeva a una serie di riflessioni che, vista la loro perdurante attualità, continua a sostenere incondizionatamente.

5.4.3.2

Oggigiorno vengono di nuovo individuate e riproposte le stesse difficoltà espresse anni orsono, su cui il Comitato si era già pronunciato. Si ritiene che, soprattutto nel settore audiovisivo, le misure adottate, le azioni intraprese e i progetti sostenuti non abbiano ancora permesso di risolvere i problemi strutturali evidenti da anni. Secondo il Comitato, questo è un aspetto che, indipendentemente da tutto il resto, evidenzia il fatto che l'azione delle istituzioni dell'Unione europea non è stata efficace.

5.4.4

Parere in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'attuazione di un programma di formazione per gli operatori dell'industria europea dei programmi audiovisivi (MEDIA - Formazione) (2001-2005) e alla Proposta di decisione del Consiglio relativa all'attuazione di un programma di sostegno allo sviluppo, alla distribuzione e alla promozione delle opere audiovisive europee (MEDIA Plus) (13).

5.4.4.1

Se facendo riferimento al precedente parere si è menzionato il fatto che i problemi irrisolti che gravavano e continuano a gravare sul settore audiovisivo rimangono quelli già individuati in passato, nei paragrafi 1.3 e 1.4 di questo parere sul programma MEDIA tali problemi venivano riproposti ancora una volta in termini simili, con l'aggiunta di altre sfide individuate nel frattempo.

5.4.4.2

Nel paragrafo 3.1. delle osservazioni del parere sul programma MEDIA il Comitato dichiarava di appoggiare la proposta di decisione, trattandosi di misure complementari intese a favorire la diffusione del patrimonio culturale comune, pur sottolineando che «trattandosi della promozione della nostra identità culturale, nella proposta si dovrebbe mettere in evidenza tale circostanza».

5.4.4.3

Per ultimo si sottolinea l'osservazione contenuta nel paragrafo 3.3 di tale parere. È talmente pertinente che non si può parlare dei problemi delle industrie culturali e delle possibili soluzioni, senza far propria tale osservazione di cui il Comitato ribadisce la validità nel presente parere esplorativo.

5.4.4.4

Il Comitato si rammarica del fatto che la proposta non abbia tenuto conto del fatto che l'importanza dell'industria audiovisiva europea non si fonda solo sulla sua dimensione imprenditoriale, ma anche sul suo essere veicolo di promozione della nostra cultura e dei nostri valori democratici. In pratica il Comitato richiede il riconoscimento della dimensione culturale dell'industria audiovisiva.

5.4.5

Il 24 settembre 2003 il Comitato, riunito in sessione plenaria, ha adottato un nuovo parere in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 163/2001/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 gennaio 2001 relativa alla realizzazione di un programma di formazione per professionisti nell'industria del programma audiovisivo europeo e alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 821/2000/CE del 20 dicembre 2000, del Consiglio relativa alla realizzazione di un programma per incoraggiare lo sviluppo, la distribuzione e la promozione dei lavori audiovisivi europei (14).

5.4.5.1

Nei paragrafi 2.1 e 2.2 di tale parere il Comitato afferma che sarebbe stato più opportuno che la Commissione avesse creato le condizioni e adottato le misure necessarie per anticipare la discussione e la presentazione dei nuovi programmi pluriennali, piuttosto che limitarsi a prolungare i programmi attuali. Per cui il CESE auspica, ancora una volta, che si tenga conto delle proposte e dei suggerimenti formulati oltre che nel presente parere, anche nei pareri appena citati.

5.5   Il Comitato economico e sociale europeo e il programma Cultura 2000

5.5.1

Il Comitato si rammarica di non aver potuto contribuire con le proprie osservazioni al programma in questione, a causa della limitazione imposta dall'articolo 151, paragrafo 5, del Trattato CE. Tale articolo non prevede che il Comitato venga consultato al momento di decidere misure per la promozione della cultura, sebbene in virtù del disposto dell'articolo 157, debba essere consultato in materia di misure di appoggio all'industria culturale in generale e alle industrie culturali in particolare.

5.5.2

Poiché il Comitato rappresenta la società civile organizzata, non è comprensibile che manchi il suo parere nel quadro di un dibattito sulla politica culturale dell'Unione, dato che il Comitato considera che la cultura faccia parte del modello sociale europeo.

5.5.3

Nell'aprile del 2003 la Commissione ha pubblicato un documento di consultazione pubblica intitolato Progettare il futuro programma di cooperazione culturale dell'Unione europea dopo il 2006 (15). Tale documento si prefigge di aprire il dibattito sugli interventi da realizzare in futuro, alla scadenza del programma Cultura 2000.

5.5.4

Allo scopo di far conoscere la propria opinione in merito a questo programma, che in maniera diretta o indiretta interesserà gli attori della cultura, dai creatori sino ai produttori o editori, e che avrà delle ripercussioni sulle industrie culturali, il Comitato dovrebbe elaborare un parere di iniziativa per rendere nota la propria posizione.

6.   Sfide culturali e socioeconomiche che le industrie culturali devono affrontare in Europa

6.1   Necessità di definire le industrie culturali e di individuare i settori di attività che ne fanno parte

6.1.1

Nel presente documento il Comitato sottolinea una serie di problemi e sfide cui l'industria culturale europea deve far fronte. Questi problemi sono stati individuati grazie a numerosi studi e analisi realizzati nel corso degli anni.

6.1.2

Come affermato in precedenza, nel concetto di industrie culturali rientrano tipi molto diversi di attività produttive legate alla cultura. Ogni settore di attività nel campo delle industrie culturali presenta una problematica e degli interessi ben definiti, il che rende difficile semplificare i problemi e trovare soluzioni valide per il complesso di tali industrie.

6.1.3

Pertanto è necessario stabilire quali sono le attività che rientrano nell'ambito delle cosiddette industrie culturali, in modo da individuare i problemi specifici che colpiscono ogni settore di attività e le possibili soluzioni concrete adatte ad ognuno di essi.

6.1.4

Nel paragrafo 4 del presente parere, il Comitato dà la propria definizione di industrie culturali e dei settori che ne fanno parte. Trattandosi di settori molto diversi tra loro e con una problematica di conseguenza differenziata, il Comitato ritiene che la sua debba essere una visione generale che offra una prospettiva orizzontale sulle grandi sfide che le industrie culturali devono affrontare nel complesso o che interessano più di un settore di quelli individuati nel presente parere.

6.2   Sfide derivanti dalla diversità linguistica

6.2.1

In tutti gli studi realizzati, la diversità linguistica dell'Europa appare come una forza e al tempo stesso come una debolezza. Una forza in quanto rappresenta una molteplicità di forme di espressione, ognuna delle quali apporta il lato più positivo della cultura da cui proviene; una debolezza poiché, intesa non in senso culturale ma in senso industriale, rappresenta un fattore di maggiorazione dei costi di produzione e di minore agilità della distribuzione. In un'Europa multilingue è normale che esista tale debolezza, tuttavia il Comitato ritiene che i poteri pubblici dell'Unione, degli Stati e delle regioni d'Europa debbano contribuire al rafforzamento di questa diversità, sostenendo tutte le azioni e ricerche volte a risolvere tale debolezza.

6.3   Problemi specifici delle imprese del settore culturale

6.3.1

Trattandosi di un settore comprendente diversi tipi di industria, le imprese di produzione in questo campo incontrano problemi di ordine molto diverso. Andrebbe definito uno standard per poter effettuare un rilevamento statistico delle industrie culturali in modo uniforme in tutta Europa. Sulla base dei dati raccolti si potrebbe mettere a punto un piano di azione comune che tenga conto sia dei singoli settori che delle regioni e nel quale vengano definiti obiettivi, strategie e misure da adottare.

6.3.2

Mentre le imprese editoriali mostrano una marcata tendenza alla concentrazione, il settore audiovisivo continua ad essere eccessivamente frammentato, per cui non è in grado di far fronte al suo massimo concorrente, l'industria nordamericana. Sia in questo documento che nei dibattiti del gruppo di studio incaricato dell'elaborazione del presente parere, nonché nella risoluzione del Parlamento europeo elaborata dalla parlamentare europea Myrsini Zorba, risaltano alcuni elementi comuni che appaiono come sfide principali che l'industria culturale, soprattutto audiovisiva, deve affrontare. Tali elementi comuni sono essenzialmente:

a)

mancanza cronica di investimenti ed evidente incapacità di mobilitare risorse finanziarie, con conseguenti rischi per la sostenibilità commerciale delle imprese;

b)

scarsi investimenti nella pianificazione e realizzazione di progetti audiovisivi, il che fa diminuire la redditività delle opere e riduce la capacità di investire in futuro;

c)

insufficiente capitalizzazione delle imprese, che indebolisce la strategia industriale di sviluppo su scala internazionale;

d)

mancanza di un quadro regolamentare in aspetti come la fiscalità, specificamente in materia di imposta sul valore aggiunto, che risulta molto differenziata sia per quanto riguarda la sua applicazione ai diversi prodotti culturali sia in riferimento all'applicazione dell'imposta stessa nei diversi paesi europei;

e)

mancanza di un quadro regolamentare per eliminare gli ostacoli alla mobilità degli artisti e dei creatori, infatti esistono più ostacoli alla circolazione dei cittadini che a quella delle merci, se intendessimo come tali le opere culturali;

f)

problemi legati alla distribuzione, caratterizzata, rispetto a quella nordamericana, da debolezza e da una scarsa circolazione transnazionale delle opere, cui si unisce la difficoltà di stabilire cataloghi di opere o liste di produzioni disponibili per la distribuzione. Questi problemi interessano le imprese attive nel campo dei prodotti audiovisivi ed editoriali, sia scritti che fonografici;

g)

dimensioni di mercato ridotte, dovute essenzialmente alla frammentazione e compartimentazione dei mercati nazionali, nonché alla diversità linguistica, intesa solo da un punto di vista industriale, a causa dell'aumento dei costi di produzione e della difficoltà di distribuzione che comporta. La frammentazione dei mercati nazionali o regionali compromette la circolazione transnazionale dei prodotti culturali in Europa;

h)

scarsità di investimenti destinati alla promozione e alla pubblicità a livello europeo e internazionale;

i)

maggiore pirateria e uso illegale del marchio nel settore audiovisivo e fonografico, che può condurre le imprese a una situazione insostenibile. Il diritto alla proprietà intellettuale deve avere la precedenza sul diritto alla riproduzione di un'opera ad uso privato. La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo del Comitato economico e sociale europeo, ha elaborato un parere (16) in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure e alle procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

6.4   Sfide legate alla globalizzazione

6.4.1

Secondo il Comitato, uno dei principali problemi che devono affrontare le industrie culturali e, in particolare, l'industria audiovisiva e fonografica dell'Unione europea, dipende dalla globalizzazione dello scambio di prodotti culturali in corso. La posizione dell'industria nordamericana è logica, essendo enorme l'eccedente commerciale di prodotti audiovisivi degli Stati Uniti in relazione all'Unione europea.

6.4.2

Per competere con l'industria americana bisogna essere creativi e non restrittivi. È necessario rafforzare la cooperazione in Europa e favorire un clima propizio allo sviluppo dell'industria europea, promuovendone l'espansione in Europa e sostenendone l'esportazione al di là delle nostre frontiere.

6.5   Problemi che l'Unione europea deve affrontare

6.5.1

Il Comitato constata che non si può parlare di una strategia globale in materia in seno all'Unione europea. Per sostenere l'industria culturale europea occorre attuare una politica culturale a livello comunitario, rispettando chiaramente il principio di sussidiarietà, coordinando le politiche nazionali con un obiettivo culturale comune che permetta di sostenere una politica culturale europea competitiva.

6.5.1.1

Il Comitato crede che sia necessario realizzare questa politica a livello dell'Unione, stabilendo strategie chiare, rafforzando lo spazio culturale europeo e promuovendo la cultura europea al di là delle frontiere comunitarie.

6.5.2

La politica culturale è in effetti una politica trasversale che deve mettere in relazione più politiche comunitarie per creare una sinergia che sostenga in forma chiara e precisa gli sforzi compiuti. Esiste una dispersione notevole di sforzi e interventi, nei diversi programmi che abbiamo citato nel presente documento, che separatamente stanno conseguendo dei risultati indubitabili, ma che, se coordinati, potrebbero sommare le energie e offrire un risultato migliore. Il decentramento, legato alla natura della politica culturale che interessa tutti gli aspetti della vita umana, non deve in nessun caso compromettere l'efficienza necessaria per conseguire gli obiettivi fissati.

6.5.3

Le industrie culturali dell'Unione europea possono contribuire in maniera significativa al raggiungimento degli obiettivi di Lisbona in materia di occupazione.

6.5.3.1

Un problema che l'Unione europea deve affrontare è lo stanziamento delle risorse per gli interventi a sostegno della cultura e, di conseguenza, delle industrie culturali. È palese che i finanziamenti destinati ai diversi programmi direttamente legati alla cultura e alle industrie audiovisive, nonché gli stanziamenti per i progetti inclusi in altri programmi collegati con il settore culturale, sono così ridotti al punto da ostacolare il decollo del settore audiovisivo in particolare e dell'industria culturale in generale. Le istituzioni europee devono analizzare quali sono i settori produttivi con maggiori possibilità di espansione nei quali si prevede la creazione di posti di lavoro più numerosi e in tal senso sostenere chiaramente il settore culturale industriale che, attraverso le sue diverse forme di espressione, offre sempre maggiori prospettive di crescita.

7.   Il contributo che l'Europa può fornire per affrontare in maniera duratura queste sfide

Evitando di ribadire le posizioni già manifestate nel presente documento, particolarmente nei paragrafi 5 e 6, il Comitato avanza le riflessioni seguenti sul modo di affrontare alcuni dei problemi che interessano le industrie culturali.

7.1   Politica culturale per l'Unione europea

7.1.1

Il Comitato stima che una politica culturale a livello europeo debba favorire l'accesso dei cittadini dell'Unione alla conoscenza dell'identità culturale che li unisce, al recupero dei valori peculiari dell'Europa e alla conoscenza della diversità culturale delle diverse regioni europee, per imparare a vivere nella diversità.

7.1.2

In tal senso, il Comitato condivide l'opinione espressa nella risoluzione adottata il 4 settembre 2003 dal Parlamento europeo, secondo cui la cultura costituisce un elemento essenziale e unificante nella vita quotidiana e per l'identità dei cittadini europei.

7.1.3

Pertanto, l'esistenza di una politica culturale comune per l'Unione europea non deve essere interpretata come un'intromissione nelle competenze regionali e/o statali, ma come un elemento propulsivo della cultura stessa per promuovere ciò che unisce i cittadini.

7.2   Per uno spazio culturale europeo

7.2.1

Il Comitato condivide pienamente il contenuto della risoluzione del 5 settembre 2001 del Parlamento europeo che riteneva opportuno, per il futuro dell'Unione, rafforzare la dimensione culturale, sia a livello politico che finanziario, favorendo la cooperazione tra Stati membri, per consentire l'instaurazione di uno spazio culturale europeo.

7.2.2

L'instaurazione di questo spazio culturale europeo comporta una duplice creazione di ricchezza: quella culturale in sé, e quella economica e sociale generata dalle industrie culturali.

7.2.3

La cooperazione tra i diversi attori culturali contribuisce alla creazione dello spazio culturale europeo, allo sviluppo della creazione artistica e letteraria, alla conoscenza della storia e della cultura europee, alla diffusione nazionale e internazionale della cultura, alla valorizzazione del patrimonio di particolare rilevanza europea e al dialogo interculturale.

7.2.4

Il Comitato propone pertanto che vengano prese in considerazione le iniziative seguenti:

concessione di incentivi per promuovere la creazione artistica e istituzione di strumenti che consentano ai creatori di far arrivare le loro produzioni culturali ai cittadini,

sostegno agli scambi di spettacoli dal vivo e alla circolazione di questi ultimi al di là delle frontiere nazionali,

appoggio alla diffusione via Internet, televisione satellitare e televisione tematica delle produzioni audiovisive,

maggiore collegamento tra le industrie culturali e la RST per poter offrire prodotti e servizi innovativi ad alto valore aggiunto.

7.3   Definizione delle industrie culturali

7.3.1

Il Comitato considera che non si possa parlare di industrie culturali senza averne delimitato in precedenza il campo d'azione, facendo in modo che sia pur sempre il più esteso possibile, e senza applicare necessariamente criteri restrittivi alla concettualizzazione, che può basarsi su una lista non esaustiva.

7.3.2

La diversità dei settori che rientrano nel campo delle industrie culturali conduce a una problematica tanto varia quanto differenti sono i settori in questione. Allo scopo di determinare quali sono i problemi e le possibili soluzioni per l'insieme delle industrie e per ogni settore specifico, il Comitato ritiene necessario definire le industrie culturali e individuare i settori di attività creativa e produttiva che ne fanno parte.

7.3.2.1

In tal senso, il Comitato ha apportato il proprio contributo elaborando i criteri illustrati nel paragrafo 4 del presente parere.

7.3.3

In quest'ottica, le misure destinate al sostegno del settore culturale saranno realizzate con una strategia più integrante e globale, indipendentemente dalla capacità di coprire tutti gli aspetti, che deve presiedere ad una politica culturale.

7.4   Sostegno all'industria culturale

7.4.1

Nella prospettiva dell'applicazione dell'articolo 157, l'Unione europea ha l'obbligo nei confronti delle industrie culturali, come di qualsiasi altro settore industriale, di creare un contesto propizio allo sviluppo affinché queste possano beneficiare dei frutti della ricerca, dei progressi tecnologici, di un migliore accesso al finanziamento e dei vantaggi della cooperazione in uno spazio europeo della cultura.

7.4.1.1

Le industrie culturali generalmente non beneficiano di un modello di accesso ai finanziamenti adatto alle esigenze del settore. Le banche e gli organismi finanziari tendono a considerare le industrie creative come imprese ad alto rischio.

7.4.1.2

Sarebbe necessario adottare un sistema di garanzia dei prestiti, in base al quale un organismo finanziario potrebbe assumersi totalmente o parzialmente il rischio collegato al finanziamento concesso a un'industria creativa se questa non fosse in grado di rimborsarlo.

7.4.1.3

A tal fine, si potrebbe valutare l'istituzione di un sostegno comunitario da parte della BEI, con il concorso della Commissione europea, da attuare mediante intermediari finanziari selezionati degli Stati membri.

7.4.1.4

In questo contesto va ricordata anche l'iniziativa della Commissione di istituire un programma d'azione comunitario per la promozione degli organismi attivi a livello europeo nel settore della cultura.

7.4.2

Le sfide derivanti dai problemi che si pongono alle imprese del settore culturale devono essere analizzate in profondità e affrontate con la sicurezza di risolverle, evitando che le anomalie strutturali si perpetuino, come avviene per il settore audiovisivo, in cui si individuano a distanza di tempo gli stessi problemi, senza che si riesca a darvi una soluzione definitiva.

7.4.3

La Commissione e gli Stati membri devono prendere le misure necessarie per garantire che i cittadini che operano nell'ambito delle industrie creative possano godere degli stessi diritti di mobilità dei loro prodotti e delle loro opere, nonché dei diritti di stabilimento, conformemente alle disposizioni del Trattato.

7.4.4

Dato che alcuni dei problemi cui devono far fronte gli operatori di questi settori derivano dalla carenza di conoscenze e capacità gestionali, o dalla difficoltà di accesso alle stesse, la Commissione e gli Stati membri dovrebbero fornire i mezzi necessari per permettere alle industrie creative di ricevere assistenza, informazioni e formazione, analogamente a quanto si fa per le PMI, ma con un'offerta adatta a questo tipo di industrie. A tale proposito, si dovrebbero estendere ad altri ambiti iniziative tipo Media Desk.

7.5   Educazione e sensibilizzazione alla cultura

7.5.1

Le industrie culturali necessitano innanzitutto di un pubblico, di spettatori, ascoltatori, consumatori. È quindi necessario che i cittadini, e soprattutto i giovani, siano sensibilizzati e sviluppino il gusto per le opere culturali. A questo scopo bisogna promuovere e intensificare gli interventi a favore dell'educazione e iniziazione alla cultura, specialmente nelle scuole. È infatti soprattutto in famiglia e a scuola che si può trasmettere un atteggiamento di apertura nei confronti dell'industria e del patrimonio culturale.

7.5.2

I poteri pubblici e la scuola hanno un importante ruolo da svolgere in questo campo. La televisione e la radio, mezzi di proprietà sia pubblica che privata presenti in ogni casa, devono costituire anche un incentivo alla cultura diffondendo programmi educativi culturali e di valorizzazione del patrimonio culturale.

7.5.3

A livello europeo andrebbe creata una piattaforma per stabilire misure di sensibilizzazione e collegare tra loro le iniziative nazionali.

7.6   Sostegno ai creatori e agli artisti

7.6.1

La Commissione e gli Stati membri devono attivarsi perché scompaiano effettivamente gli ostacoli e le difficoltà che possono ancora esistere per la libera circolazione degli artisti e dei creatori. È tanto necessario permettere la circolazione dei prodotti culturali quanto la circolazione dei loro creatori, autori e interpreti.

7.6.2

Per questo motivo e allo scopo di favorire la soluzione dei molteplici problemi che si pongono ai creatori e agli artisti, il Comitato condivide l'esigenza espressa nella risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 4 settembre 2003 di creare uno «Statuto dell'artista» che garantisca una protezione sociale agli artisti e ai creatori, ne favorisca la mobilità e nel quale venga chiaramente inclusa la legislazione relativa ai diritti di proprietà intellettuale.

7.6.3

Le piccole imprese e le microimprese attive nel settore culturale andrebbero sostenute anche nello sviluppo delle loro attività commerciali mediante la creazione di piattaforme di cooperazione e l'offerta di un perfezionamento professionale adeguato. Fornendo sostegno in occasione di mostre, fiere, presentazioni e missioni commerciali si possono aiutare tali imprese ad operare sui mercati internazionali.

7.7   Cultura e libertà

7.7.1

«La cultura rende liberi» è un'espressione il cui significato è conosciuto da chi vive in paesi con istituzioni democratiche consolidate.

7.7.2

Rafforzare la cultura e favorire e promuovere il libero accesso dei cittadini alla stessa è dunque fondamentale per garantire l'effettivo rispetto del diritto alla libertà d'espressione e d'informazione affermato dall'art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

7.7.3

Al di là della dimensione economica e sociale, l'importanza dell'industria culturale si fonda perciò anche sul suo potenziale di vettore per promuovere i valori democratici dell'Europa. Anche attraverso un costante aggiornamento del quadro legale, risulta quindi fondamentale assicurare la concorrenza e il pluralismo dell'industria culturale rispetto alla progressiva globalizzazione dei mercati, alla crescente convergenza dei media favorita dall'affermazione delle tecnologie digitali, alla concentrazione progressiva dei gruppi proprietari.

7.7.4

È per questo che il Comitato ritiene necessario manifestare ancora una volta il suo appoggio a tutte le iniziative e proposte europee volte a difendere il pluralismo dell'informazione e della cultura e ad assicurare il controllo di ogni concentrazione.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Risoluzione del Parlamento europeo sulle industrie culturali [P5 TA-PROV (2003)0382].

(2)  Decisione n. 719/1996/CE.

(3)  Decisione n. 2085/1997/CE.

(4)  Decisione n. 2228/1997/CE.

(5)  Decisione n. 508/2000/CE.

(6)  COM(2003) 0187.

(7)  Decisione n. 163/2001/CE.

(8)  Decisione n. 821/2000/CE.

(9)  http://www.unesco.org/culture/industries/html_sp/index_sp.shtml

(10)  GU C 329 del 17.11.1999.

(11)  GU C 148 del 30.5.1994.

(12)  GU C 256 del 2.10.1995.

(13)  GU C 168 del 16.6.2000.

(14)  GU C 10 del 14.1.2004.

(15)  http://europa.eu.int/comm/culture/eac/index.en.html

(16)  COM(2003) 46 def.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Le seguenti proposte di emendamento, che hanno ottenuto per lo meno un quarto dei voti espressi, sono state respinte nel corso del dibattito:

Inserire un nuovo punto 2.1.1.3:

Quando un fenomeno debba considerarsi culturale dipende dalla sensibilità di ciascuno e risulta quindi difficile dare una definizione dai contorni chiari e netti. La cultura comprende anche tutte le forme delle manifestazioni sportive e tutte le attività che le persone esplicano in tutta l'Europa nel quadro di diverse forme di associazione, come per esempio la musica e le danze folcloristiche e l'artigianato artistico.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 16, voti contrari: 37, astensioni: 17.

Aggiungere un nuovo punto 2.1.1.4

È inoltre nostro compito, in Europa, salvaguardare la cultura specifica delle popolazioni della Lapponia e di altre popolazioni indigene o minoritarie e in tale contesto un aspetto rilevante è costituito dalla lingua.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 21, voti contrari: 44, astensioni: 9.

Aggiungere un nuovo punto 2.1.2.1:

La cultura non va considerata soltanto dal punto di vista di chi la produce, ma anche nell'ottica di coloro che ne fruiscono. Esiste un grande squilibrio nelle possibilità di accesso alla cultura e questa è una questione essenziale in termini di politica culturale. Tutti i cittadini devono avere il diritto e la possibilità sia di produrre cultura che di fruirne.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 30, voti contrari: 36, astensioni: 4.

Aggiungere un nuovo punto 4.2.2.2:

In un'Europa sempre più multiculturale, diventa particolarmente importante essere vigilanti sul rispetto delle culture specifiche dei nuovi Stati membri.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 26, voti contrari: 31, astensioni: 8.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE, con riguardo alla possibilità di autorizzare gli Stati membri ad applicare un'aliquota IVA ridotta su taluni servizi ad alta intensità di lavoro

(COM(2003) 825 def. - 2003/0317 (CNS))

(2004/C 108/15)

Il Consiglio, in data 18 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di cui sopra.

Visto il carattere d'urgenza dei lavori, il Comitato ha deciso nel corso della 405a sessione plenaria del 28 e 29 gennaio 2004 (seduta del 28 gennaio) di designare MALOSSE in qualità di relatore generale, ed ha adottato il presente parere con 40 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Sintesi della proposta e motivazione

1.1

Nell'ambito della «Strategia di Vienna per l'Europa», il Consiglio europeo di Vienna dell'11 e 12 dicembre 1998 aveva raccomandato il principio di consentire agli Stati membri che lo desideravano di sperimentare gli effetti, in termini di nuovi posti di lavoro e di lotta contro l'economia sommersa, di uno sgravio dell'IVA mirato a servizi ad alta intensità di lavoro.

1.2

In applicazione di tale raccomandazione il Consiglio aveva adottato, il 22 ottobre 1999, una direttiva ad hoc (1999/85/CE): la possibilità da essa aperta è stata utilizzata da nove Stati membri, vale a dire Belgio, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Regno Unito. Poiché la validità di tale direttiva aveva termine il 31 dicembre 2003, il 23 luglio 2003 la Commissione ha presentato, in base ai rapporti di valutazione sull'impatto delle misure in essa previste, una nuova proposta di direttiva, volta alla semplificazione ed alla razionalizzazione delle aliquote IVA ridotte (1).

1.3

A causa delle numerose divergenze emerse al suo interno il Consiglio non ha però a tutt'oggi potuto adottare tale proposta. È opportuno in tale contesto ricordare che nel settore in questione vige il principio dell'unanimità.

1.4

Di conseguenza, visto il rischio di insicurezza giuridica per gli Stati membri che applicano le aliquote ridotte, la Commissione ha recentemente proposto, d'accordo con il Consiglio, di prorogare il termine di validità della direttiva del 1999, portandolo al 31 dicembre 2005. La proposta in esame si limita dunque a modificare il termine di validità per l'applicazione della direttiva del 1999, senza apportare alcuna altra modifica. Essa non tiene dunque conto né delle proposte di razionalizzazione e di semplificazione già elaborate dalla Commissione europea né delle richieste degli Stati membri volte a modificare i settori che possono beneficiare delle normativa, o ad ampliarne il numero.

2.   Il parere del Comitato economico e sociale europeo

2.1

Il CESE aveva già preso posizione [parere del 26 maggio 1999 (2)] a favore del principio di applicare aliquote IVA ridotte per i servizi ad alta intensità di lavoro. Tale posizione è poi stata ribadita nel parere, adottato nel corso della sessione plenaria del 30 ottobre 2003 (relatore Adrien BEDOSSA), sulla proposta della Commissione del 23 luglio 2003 volta alla semplificazione e razionalizzazione della direttiva del 1999.

2.2

In tale parere il CESE esprimeva un apprezzamento molto più marcato di quello della Commissione europea circa l'impatto delle misure in questione sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sulla lotta contro il lavoro nero.

2.3

Il CESE formulava inoltre tutta una serie di suggerimenti, volti in particolare ad estendere le riduzioni dell'aliquota a nuovi settori come i servizi di ristorazione, a mantenere tale riduzione per i servizi di parrucchiere ed i piccoli servizi di riparazione e ad aggiungere nella categoria 10 «gli edifici storici, religiosi e quelli appartenenti al patrimonio culturale e architettonico privato, professionale e industriale».

2.4

Il CESE appoggia dunque il principio di prorogare sino al 31 dicembre 2005 l'aliquota IVA ridotta, per evitare le gravi conseguenze che deriverebbero da un vuoto giuridico e dalla cessazione brutale di misure le cui ripercussioni favorevoli sono dimostrate.

2.5

Il CESE si rammarica, tuttavia, che il Consiglio non abbia potuto trovare un accordo sulla precedente proposta di direttiva della Commissione volta a semplificare e razionalizzare l'intero sistema: esso sottolinea in tale contesto che il principio dell'unanimità in materia fiscale rappresenta un ostacolo oggettivo.

2.6

Per evitare di ritrovarsi in tempi brevi in una situazione di vuoto giuridico, e vista la valutazione assai positiva dell'impatto delle misure in questione, il CESE esorta caldamente gli Stati membri a trovare rapidamente un accordo sulla citata proposta di direttiva per la revisione globale delle aliquote IVA ridotte (3) in vista della loro semplificazione e razionalizzazione ed invita il Consiglio ad adottarla senza indugi, integrandovi le attività ricordate al precedente punto 2.3.

2.7

Il CESE sottolinea infine la necessità di sensibilizzare adeguatamente gli Stati membri che entreranno nell'Unione il 1o maggio prossimo all'interesse che le aliquote ridotte possono presentare anche per loro. In molti di essi si registrano infatti gravi problemi di disoccupazione e di lavoro nero. Il CESE chiede inoltre alla Commissione europea di procedere ad una valutazione più approfondita delle ripercussioni delle riduzioni delle aliquote, da effettuare assieme agli Stati membri ed agli attori socioeconomici maggiormente in grado di valutare nel modo migliore tale tematica.

Bruxelles, 28 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda le aliquote ridotte dell'imposta sul valore aggiunto del 23 luglio 2003 (COM(2003) 397)

(2)  GU C 20 del 22.7.1999.

(3)  Cfr. nota 1.


30.4.2004   

IT

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C 108/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1673/2000 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del lino e della canapa destinati alla produzione di fibre

(COM(2003) 701 def. – 2003/0275 (CNS))

(2004/C 108/16)

Il Consiglio, in data 1o dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 9 dicembre 2003, ha deciso di affidare alla sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente l'incarico di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 28 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, di nominare Maria Luisa SANTIAGO relatrice generale e ha adottato con 31 voti favorevoli e 1 astensione il seguente parere:

1.   Introduzione

1.1

L'organizzazione comune dei mercati nel settore del lino e della canapa destinati alla produzione di fibre è stata modificata con l'adozione, in data 27 luglio 2000, del regolamento (CE) n. 1673/2000 del Consiglio, entrato in vigore il 1o luglio 2001.

1.2

L'articolo 15, paragrafo 1, di detto regolamento prevedeva che la Commissione presentasse, entro il 31 dicembre 2003, una relazione in merito alle tendenze della produzione di lino e canapa nei vari Stati membri, nonché all'impatto della riforma dell'organizzazione comune del mercato sugli sbocchi e sulla vitalità economica del settore. La relazione doveva anche trattare del tasso massimo di impurità e di canapuli o capecchi applicabile alle fibre corte di lino e alle fibre di canapa.

1.3

Benché le informazioni raccolte permettano di concludere che il regime ha avuto effetti chiaramente positivi sul settore, la Commissione ritiene che i dati attualmente disponibili non consentano di rispondere con precisione alle richieste in merito alle tendenze registrate dalla produzione negli Stati membri o all'adeguatezza del livello dei QNG (quantitativi nazionali garantiti).

1.4

Date le circostanze, la Commissione ha ritenuto opportuno non apportare modifiche all'attuale regime di aiuto prima di disporre di un'analisi più completa dell'evoluzione del settore, analisi che sarà compiuta nel quadro della relazione prevista per il 2005.

1.5

La Commissione propone pertanto di prorogare fino alla campagna di commercializzazione 2005/2006 la possibilità attualmente concessa agli Stati membri di derogare al limite del 7,5 % di impurità e di canapuli o capecchi e di erogare l'aiuto anche per le fibre corte di lino e le fibre di canapa contenenti una percentuale di impurità e di canapuli o capecchi inferiore, rispettivamente, al 15 % e al 25 %.

1.6

A giudizio della Commissione, la decisione di mantenere l'attuale sistema di aiuti e prorogare per due anni la suddetta possibilità di deroga dovrebbe contribuire a consolidare la tendenza positiva registrata nel settore.

1.7

La proposta in oggetto consentirà inoltre ai paesi di prossima adesione che producono fibre di lino e di canapa di adeguarsi in modo più appropriato agli importanti sviluppi in atto nel settore.

2.   Osservazioni

2.1

Il Comitato approva la proposta e rileva con soddisfazione come la Commissione abbia riconosciuto che il brusco passaggio al sistema di pagamento unico per azienda avrebbe frenato l'andamento positivo dal settore. Tale posizione concorda con quanto espresso dal CESE in precedenti pareri.

Bruxelles, 28 gennaio 2004

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


30.4.2004   

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C 108/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali)

(COM(2003) 356 def. - 2003/0134 (COD))

(2004/C 108/17)

Il Consiglio, in data 25 luglio 2003, ha deciso, in conformità con il disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico produzione consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato un parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore HERNANDEZ BATALLER, in data 16 dicembre 2003.

Il Comitato economico sociale europeo ha adottato, il 29 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 77 voti favorevoli, 8 contrari e 10 astensioni, il seguente parere.

1.   Introduzione

1.1

Nel Libro verde sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea (1), la Commissione ha segnalato l'opportunità di procedere ad una riforma della legislazione dell'Unione in materia di protezione dei consumatori, menzionando come possibile base della riforma una direttiva quadro che avrebbe dovuto prevedere un obbligo di carattere generale in relazione alle pratiche commerciali sleali.

1.2

Il Comitato si è pronunciato a tale proposito (2), appoggiando l'idea della direttiva quadro e concordando sul fatto che «un principio generale che preveda una norma giuridica è uno strumento flessibile, adatto a gestire il comportamento commerciale in un settore molto dinamico, in costante sviluppo e mutamento» (3).

1.3

Nella comunicazione che ha fatto seguito al Libro verde (4) sono state pubblicate informazioni sui risultati della consultazione ed è stato presentato un progetto di struttura della direttiva quadro volta ad armonizzare la relazione tra concorrenza sleale e protezione dei consumatori e la funzione dei codici di condotta.

1.4

Quasi simultaneamente, la Commissione ha approvato una comunicazione in merito alle promozioni commerciali nel mercato interno e la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione delle vendite nel mercato interno (5), sulle quali il Comitato si è pronunciato (6) raccomandando alla Commissione di rivedere la proposta, allo scopo di salvaguardare la coerenza delle diverse politiche comunitarie in particolare alla luce del dibattito pubblico avviato dal Libro verde sulla tutela dei consumatori.

2.   Contenuto della proposta di direttiva

2.1

La proposta definisce le condizioni che determinano se una pratica commerciale è sleale, ma non impone alcun obbligo positivo che i commercianti debbano osservare per dimostrare che le loro pratiche sono leali.

2.2

Essa contiene una clausola «mercato interno», che stabilisce che i professionisti (venditori o fornitori) devono rispettare soltanto i requisiti del paese di origine e impedisce che altri Stati membri impongano requisiti aggiuntivi ai professionisti che già ottemperano ai loro obblighi nel paese di origine (principio del mutuo riconoscimento).

2.3

Essa armonizza completamente i requisiti dell'Unione europea relativi alle pratiche commerciali sleali delle imprese nelle loro relazioni con i consumatori e offre a questi ultimi, secondo la Commissione, un livello sufficientemente elevato di protezione.

2.3.1

Questo avvicinamento di requisiti si riferisce alle pratiche commerciali sleali che pregiudicano gli interessi economici dei consumatori, ragion per cui esulano dal campo di applicazione della proposta di direttiva gli aspetti relativi alla salute e alla sicurezza dei prodotti, ad eccezione delle affermazioni ingannevoli riguardanti la salute che saranno valutate nel quadro delle disposizioni sulle pratiche commerciali ingannevoli.

2.3.2

La proposta di direttiva prevede che le sue disposizioni vengano applicate quando non esistano disposizioni specifiche nella legislazione settoriale che regolino le pratiche commerciali sleali. Qualora tali disposizioni specifiche esistano, esse avranno priorità sulla direttiva quadro.

2.4

Essa contiene un divieto generale, che sostituirà le clausole generali attuali e gli attuali principi divergenti degli Stati membri, e intende definire un quadro comune per tutta l'Unione Europea.

2.4.1

Il divieto generale riguarda le pratiche commerciali sleali e stabilisce tre condizioni per determinare se una pratica è sleale. Il ricorrente dovrà dimostrare che queste tre condizioni sono soddisfatte affinché una pratica possa essere considerata sleale:

la pratica deve essere contraria agli obblighi di diligenza professionale,

il consumatore di riferimento da considerare nella valutazione dell'impatto della pratica è il consumatore «medio»,

la pratica in questione deve falsare o essere idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori.

2.5

Nella proposta si definisce come consumatore di riferimento, invece del consumatore vulnerabile o atipico, il «consumatore medio» come è stato definito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. I parametri stabiliti dalla Corte di giustizia sono relativi al consumatore «informato e ragionevolmente attento ed accorto» sebbene questa definizione sia modulata in modo da garantire che, quando la pratica si rivolge a un gruppo specifico di consumatori, nel valutarne l'impatto si prendano in considerazione le caratteristiche del membro medio di questo gruppo.

2.6

Nella proposta si menzionano due tipi fondamentali di pratiche commerciali sleali: le pratiche «ingannevoli» e le pratiche «aggressive». Le disposizioni ad esse relative contengono gli stessi elementi contenuti nel «divieto generale», ma operano indipendentemente da quest'ultimo.

2.6.1

Ciò significa che una pratica che sia considerata ingannevole o aggressiva in base alle disposizioni corrispondenti è automaticamente sleale; se la pratica in questione non è ingannevole né aggressiva, sarà il divieto generale a determinare se si tratti di una pratica sleale.

2.6.2

Una pratica commerciale può indurre in errore attraverso azioni o omissioni e questa divisione si riflette nella struttura degli articoli.

2.6.3

Quanto alle pratiche commerciali di assistenza alla clientela (post vendita) leali o sleali, la proposta non contiene tali definizioni, ma, in cambio, applica gli stessi principi di lealtà alle pratiche commerciali precedenti e posteriori alla vendita.

2.6.4

Nella proposta si prende atto che i codici di condotta hanno un carattere essenzialmente volontario e si stabiliscono criteri per determinare quando si può ragionevolmente ritenere che il comportamento del commerciante, valutato in relazione al codice, influenzi la decisione del consumatore.

2.6.5

Essa descrive il carattere aggressivo di una pratica commerciale in tre modi diversi: come molestia, come coercizione e come condizionamento indebito.

2.7

Incorpora le disposizioni sulle relazioni delle imprese con i consumatori stabilite nella direttiva sulla pubblicità ingannevole e limita l'ambito di applicazione della direttiva in materia vigente alla pubblicità da impresa a impresa e alla pubblicità comparativa suscettibile di danneggiare un concorrente senza però che vi sia pregiudizio del consumatore.

2.8

In un allegato della direttiva figura una lista nera di pratiche commerciali. Si tratta di pratiche che saranno in ogni circostanza sleali e che quindi saranno proibite in tutti gli Stati membri. Si impone così un divieto «ex ante» di queste pratiche concrete.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato condivide l'obiettivo della Commissione di offrire un elevato grado di protezione dei consumatori e di rendere possibile il funzionamento del mercato interno. Va dato atto non solo dell'opportunità della presentazione di questa proposta, ma anche dello sforzo realizzato nel dibattito pubblico avviato dalla Commissione, oltre che dell'importanza della valutazione «ex ante» condotta prima della presentazione della proposta. Il Comitato spera che si proceda nello stesso modo in futuro al momento di presentare proposte riguardanti la tutela dei consumatori.

3.1.1

Il Comitato ha già dato un giudizio positivo sul nuovo approccio della Commissione che prevede una normativa generale integrata da una serie di codici. Il Comitato è d'accordo sul fatto che va evitata una regolamentazione eccessivamente particolareggiata, che è contraria sia gli interessi dei consumatori che a quelli delle imprese, e che va introdotto gradualmente il massimo livello possibile di armonizzazione nell'ambito legislativo di tutela dei consumatori ricorrendo agli strumenti più adeguati (7).

3.1.2

Il Comitato apprezza in modo particolare il fatto che in base alla proposta le direttive specifiche prevarranno sulla direttiva quadro in caso di divergenza.

3.1.3

Analogamente considera importante che la tutela relativa alle pratiche commerciali sleali comprenda le pratiche commerciali prima e dopo la vendita e/o la prestazione del servizio.

3.1.4

Il Comitato si è già pronunciato (8) a favore dell'istituzione di codici di condotta sottoscritti volontariamente dalle imprese, purché essi siano di qualità, si soffermino in modo particolare sulla definizione di buone prassi e vi sia un monitoraggio da parte dei poteri pubblici e delle organizzazioni (imprese, consumatori o altre) che li hanno sottoscritti. Per tale motivo si accoglie con favore il fatto che la proposta preveda la possibilità di applicare sanzioni legali in caso di inosservanza delle decisioni degli organi preposti all'applicazione e al controllo di tali codici di condotta.

3.1.5

Il Comitato raccomanda che nella proposta della Commissione si rafforzi la tutela dei consumatori nei riguardi delle nuove tecnologie, in speciale modo per quanto riguarda la loro utilizzazione da parte dei gruppi più vulnerabili (particolarmente i bambini), allo scopo di integrare il quadro giuridico che si è iniziato a costruire con l'approvazione della direttiva sul commercio elettronico. (9)

3.2

Fatte salve le osservazioni che precedono, la proposta di direttiva suscita, in linea di principio, una serie di interrogativi riguardanti vari aspetti.

3.3   Osservazioni specifiche

L'armonizzazione minima

3.3.1

Il Trattato CE impone alla Commissione un «obbligo di risultato» in ordine alla presentazione di proposte relative all'armonizzazione delle legislazioni, nel senso che esse devono basarsi su un «livello di protezione elevato» dei consumatori. Tuttavia la presente proposta mette maggiormente l'accento sull'introduzione «a livello comunitario (di) norme uniformi» e sul chiarimento di «alcuni concetti giuridici, nella misura in cui ciò sia necessario per il corretto funzionamento del mercato interno e per soddisfare il requisito della certezza del diritto» (Considerando 4 della proposta).

3.3.2

Il Comitato teme che la proposta comporti un abbassamento del livello di tutela dei consumatori negli Stati membri e considera che risulterà difficile giustificare agli occhi dei cittadini europei che l'Unione europea possa ridurre il livello di protezione esistente (10). È per questo che considera auspicabile l'inserimento nella proposta di una clausola «stand still» che garantisca che non si retrocederà rispetto ai livelli di protezione attuali.

3.3.3

Il Comitato si è già pronunciato a favore di un'armonizzazione massima, considerando che la tutela, in linea con quanto disposto dall'articolo 153, dovrebbe essere di livello elevato (11).

3.3.4

Se possibile occorre fare maggiori progressi in futuro nei lavori relativi all'armonizzazione del diritto contrattuale secondo le linee esposte nell'ultima comunicazione della Commissione (12).

3.4   Campo di applicazione

3.4.1

La proposta di direttiva crea un nuovo regime giuridico per la pubblicità ingannevole relativamente ai consumatori, senza sostituire il regime precedente che, con alcune modifiche sarebbe mantenuto per quanto riguarda le imprese. Questa proposta di direttiva di tutela dei consumatori non contempla la regolamentazione della pubblicità comparativa che continuerebbe a rientrare nel campo di applicazione della vigente direttiva 1984/450/CEE, modificata dalla direttiva 1997/55/CE sulla pubblicità ingannevole relativa alle imprese. Inoltre e contrariamente allo spirito stesso che la informa, la proposta permetterebbe agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni volte a garantire una più ampia protezione in materia di pubblicità ingannevole dei professionisti e dei concorrenti.

3.4.1.1

Il Comitato considera che la coesistenza di due regimi giuridici differenziati per disciplinare la stessa materia - la pubblicità ingannevole - a seconda del soggetto economico interessato - impresa o consumatore - possa complicare notevolmente il quadro normativo in vigore e che la sua applicazione possa introdurre incongruenze e differenze nel trattamento e nella regolamentazione; tutto ciò è in contrasto con il principio di semplificazione normativa e può dar origine a una mancanza di certezza giuridica.

3.4.1.2

Il Comitato ritiene che sarebbe più opportuno prevedere un'unica regolamentazione della pubblicità ingannevole, con l'abrogazione della direttiva vigente mediante la proposta in esame oppure con la sua modifica. L'obiettivo normativo dovrebbe incentrarsi sull'organizzazione del mercato interno e sul potenziamento della tutela dei consumatori attraverso una regolamentazione oggettiva che si occupi dei «fatti» - la pubblicità ingannevole - proteggendo allo stesso tempo tutti gli interessati, invece di creare due discipline che possono risultare divergenti nei contenuti e nei meccanismi di difesa a seconda dei loro ambiti di protezione soggettiva (domanda o offerta).

3.4.2

Partendo dalla premessa che la Commissione non abbia intenzione di ampliare sostanzialmente il campo di applicazione della direttiva nella direzione segnalata, quest'ultima dovrà prevedere, almeno all'inizio, la sua applicazione per analogia, con carattere obbligatorio, nei casi in cui una pratica commerciale, che può essere considerata come sleale nella relazione tra consumatore e impresa, formi parte di una relazione contrattuale tra imprese in una fase anteriore della catena di distribuzione.

3.4.3.

La disposizione in base alla quale lo Stato membro di stabilimento del professionista deve assicurare il rispetto delle norme applicabili, pone problemi pratici nel quadro delle attività transfrontaliere delle imprese. Il Comitato esorta la Commissione a fornire ulteriori indicazioni pertinenti per l'applicazione di tale disposizione.

3.5   Base giuridica

3.5.1

La proposta ha come base giuridica l'articolo 95 del TCE, che riguarda il riavvicinamento delle legislazioni aventi come obiettivo l'istituzione e il funzionamento del mercato interno. Tuttavia, l'articolo 153 del Trattato garantisce un elevato livello di tutela e contribuisce a proteggere gli interessi economici dei consumatori. Il Comitato vedrebbe con favore la scelta di questo ultimo articolo come base giuridica della proposta (13) o eventualmente la combinazione di questi due articoli come base giuridica congiunta.

3.6   Concetto di «consumatore medio»

3.6.1

Nella proposta la Commissione utilizza il concetto di «consumatore medio», così com'è stato interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, vale a dire come il «consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e accorto».

3.6.2

Il Comitato teme che l'utilizzazione di questo parametro interpretativo implichi la perdita del carattere protettivo della politica di tutela dei consumatori e che, a prescindere dell'attenzione speciale che la proposta presta ai gruppi più vulnerabili, possano rimanere senza protezione i consumatori meno informati e con un livello di istruzione più basso. Non va dimenticata la situazione di disuguaglianza materiale esistente tra le parti nelle relazioni tra consumatori e imprese.

3.6.3

Il profilo del consumatore medio accolto nella proposta di direttiva presuppone che questi abbia un comportamento «informato» al momento di prendere delle decisioni. In alcuni Stati membri i messaggi pubblicitari non devono, secondo la giurisprudenza dominante, avere dei contenuti negativi o pregiudizievoli sullo specifico prodotto o sulla specifica prestazione. Tuttavia, è solo in base a questa conoscenza che possono esistere decisioni di consumatori informati. Il Comitato giudica importante una soluzione univoca e applicabile.

3.7   Le pratiche commerciali sleali

3.7.1

Il Comitato si è già detto d'accordo sul fatto che un principio generale che preveda una disposizione giuridica costituisce uno strumento flessibile e adeguato per disciplinare le pratiche commerciali in un settore molto dinamico in continuo e costante mutamento (14).

3.7.2

La proposta contiene un approccio «negativo» al concetto di pratica commerciale e un allegato in cui figurano alcuni comportamenti illeciti; il Comitato tuttavia considera che si dovrebbe adottare un approccio «positivo» al concetto di pratica commerciale sleale, più in linea con le moderne normative in materia. Una clausola commerciale basata su tale approccio potrebbe adattarsi alle mutevoli circostanze del mercato e dei comportamenti concorrenziali e permetterebbe, in particolare, di controllare in base al criterio della slealtà i comportamenti inappropriati.

3.8   Chiarezza concettuale della proposta

3.8.1

Ogni norma giuridica deve offrire sicurezza e certezza giuridica. La proposta introduce concetti sconosciuti in molte legislazioni degli Stati membri per esempio quello di« diligenza professionale», che, secondo la Commissione, comprende quello di «buona fede» e, inoltre, quello di «competenza professionale». Il Comitato vorrebbe che la Commissione spiegasse nella relazione della proposta, in modo chiaro, il contenuto di tale concetto in modo che gli operatori giuridici, economici e sociali possano comprendere esattamente la portata della proposta.

3.9   Coerenza con il resto dell'ordinamento comunitario

3.9.1

Il Comitato teme che l'adozione della direttiva non farà aumentare la trasparenza nelle relazioni «consumatore-impresa» e che non si manterrà la debita coerenza rispetto al resto dell'ordinamento comunitario. In modo particolare, auspica che risultino infondati i timori di un eventuale collisione con quanto previsto nella proposta di regolamento relativa alle promozioni delle vendite nel mercato interno (15), e che i testi siano invece complementari tra loro. Il Comitato esorta la Commissione a fornire, prima dell'entrata in vigore della direttiva, maggiori indicazioni sulla sua relazione con le altre direttive vigenti nel settore nonché con altri ambiti giuridici (ad esempio il diritto contrattuale).

3.9.2

Si dovrebbe verificare la corrispondenza tra le versioni linguistiche di alcuni concetti, specie quelli relativi alle pratiche commerciali aggressive, dato che l'uso di termini come coercizione o minaccia non pare particolarmente indicato in un testo di diritto privato in quanto fa riferimento a termini che definiscono comportamenti tipificati come reati in molti ordinamenti giuridici degli Stati membri.

3.10   Soluzioni extragiudiziali

3.10.1

A complemento dei codici di condotta, la proposta potrebbe prevedere la possibilità di adottare misure di soluzione extragiudiziale dei conflitti in modo che i consumatori e le imprese possano dirimere davanti ad organi extragiudiziali le controversie sulle pratiche commerciali sleali in modo agile e rapido. Tutto questo senza intaccare il diritto fondamentale di ottenere la tutela giudiziaria effettiva dinanzi ai tribunali. Detti organi, in ogni caso, dovrebbero rispettare i principi di indipendenza, trasparenza, del contraddittorio, di efficacia, legalità, libertà e rappresentanza contemplati nella raccomandazione della Commissione 98/257/CE (16).

3.10.2

La proposta prevede misure di esecuzione che devono essere applicate dagli Stati membri per rendere effettiva la direttiva quadro. Si tratta per esempio dell'adozione di misure cautelari o della possibilità di esigere che il professionista fornisca prove delle dichiarazioni connesse ai prodotti e ai servizi. Il Comitato reputa che dovrebbero essere contemplate altre misure, che la proposta presenta come facoltative, in quanto rafforzerebbero l'applicazione della direttiva quadro, ad esempio la pubblicazione, secondo l'apprezzamento prudenziale del giudice, nei mezzi di comunicazione, delle decisioni giudiziarie che obblighino la cessazione delle pratiche commerciali sleali.

Bruxelles, 29 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM(2001) 531 def.

(2)  GU C 125 del 27.5.2002.

(3)  Cfr. nota 2

(4)  COM(2002) 289 def.

(5)  COM(2001) 546 def.

(6)  GU C 221 del 17.9.2002. COM(2001) 546 def.

(7)  GU C 95 del 23.4.2003.

(8)  Cfr. nota 7

(9)  Direttiva 2001/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»)

(10)  Cfr. nota 7

(11)  Cfr. nota 2

(12)  COM(2003) 68 def.

(13)  Cfr. nota 2

(14)  Cfr. nota 2

(15)  Cfr. nota 6

(16)  Raccomandazione della Commissione del 30 marzo 1998 riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo GU L 115 del 17.4.1998.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso del dibattito:

Punto 3.6.

Cancellare i punti 3.6.1. e 3.6.2.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:24, Voti contrari: 55, Astensioni: 3.

Punto 3.7.2.

Cancellare il punto.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:24, Voti contrari: 59, Astensioni: 4

Il testo seguente del parere della sezione specializzata è stato respinto e sostituito con un emendamento, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi:

3.3.1.

Il Trattato CE impone alla Commissione un «obbligo di risultato» in ordine alla presentazione di proposte relative all'armonizzazione delle legislazioni, nel senso che esse devono basarsi su un «livello di protezione elevato» dei consumatori. La presente proposta è improntata a un corretto equilibrio tra i due obiettivi fondamentali: migliorare il funzionamento del mercato interno e garantire un elevato livello di protezione dei consumatori.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 28, Voti contrari: 53, Astensioni: 5.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla cooperazione fra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori («regolamento in materia di cooperazione per la tutela dei consumatori»)

COM(2003) 443 def. - 2003/0162 (COD)

(2004/C 108/18)

Il Consiglio, in data 1o agosto 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore HERNÁNDEZ BATALLER, in data 16 dicembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato all'unanimità il 29 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 68 voti favorevoli e 4 astensioni il seguente parere.

1.   Introduzione

1.1

Il Libro verde sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea (1) ha evidenziato la necessità di definire un quadro giuridico per la cooperazione tra le autorità pubbliche incaricate di applicare la legislazione in materia di tutela dei consumatori.

1.2

Nella comunicazione «Seguito dato al Libro verde sulla tutela dei consumatori nell'UE» (2), la Commissione si è impegnata a proporre uno strumento giuridico di tal fatta.

1.3

Nella recente «Strategia per il mercato interno, priorità 2003-2006» (3), veniva ribadita la necessità di migliorare l'esecuzione della normativa relativa al mercato interno, per garantire la fiducia dei consumatori nel mercato interno, e tale proposta veniva considerata una priorità.

1.4

Ciascuno Stato membro ha definito un sistema di esecuzione della normativa adattato alle proprie leggi ed istituzioni. Tali sistemi sono stati creati per far fronte ad infrazioni confinate sul piano nazionale e non sono pertanto adeguati alle sfide poste dal mercato interno. Le amministrazioni nazionali non sono competenti per intervenire in merito ad infrazioni che esulano dalla loro giurisdizione.

1.5

Ne risulta che il sistema di esecuzione della legislazione del mercato interno non è adeguato a far fronte alle necessità di tale mercato, e che per il momento non è in grado di rispondere alle sfide che vengono poste dalle pratiche sleali degli operatori economici che cercano di profittare, nella fattispecie, delle opportunità offerte da Internet.

1.6

Per assicurare il buon funzionamento del mercato interno, eliminare le distorsioni alla concorrenza e garantire la tutela dei consumatori, la Commissione considera indispensabile applicare in modo coerente ed efficace le diverse legislazioni nazionali in materia di tutela dei consumatori.

2.   La proposta di regolamento

2.1

Gli obiettivi generali del regolamento consistono nel garantire un buon funzionamento del mercato interno e un'efficace tutela dei consumatori all'interno dello stesso.

2.1.1

Il regolamento proposto prevede due percorsi specifici allo scopo di conseguire entrambi gli obiettivi:

disporre la cooperazione fra le autorità di vigilanza per quanto riguarda i casi di infrazione intracomunitaria che destabilizzano il mercato interno. Ciò allo scopo di garantire che le autorità di vigilanza collaborino in modo efficiente ed efficace con le controparti degli altri Stati membri; e

contribuire a migliorare la qualità e la coerenza dell'esecuzione della normativa in materia di tutela dei consumatori e a controllare che gli interessi economici dei consumatori siano tutelati. Questo secondo obiettivo costituisce un riconoscimento della capacità dell' UE di contribuire a migliorare la qualità dell'esecuzione attraverso progetti comuni e lo scambio di buone prassi su un'ampia gamma di attività di informazione, istruzione e rappresentazione. Viene inoltre riconosciuto il contributo dell'UE al monitoraggio del funzionamento del mercato interno.

2.2

Questi obiettivi e queste impostazioni hanno determinato la scelta della base giuridica e del relativo strumento. La Commissione ha scelto come base giuridica l'articolo 95 del Trattato.

2.3

Il campo d'applicazione del regolamento, che si limita alle infrazioni intracomunitarie della legislazione UE che tutela gli interessi dei consumatori, sarà notevolmente ampliato con l'entrata in vigore della direttiva quadro che vieta le pratiche commerciali sleali.

2.4

Le autorità competenti, la cui designazione è demandata agli Stati membri, svolgono un ruolo centrale nell'ambito del regolamento proposto. Questo dispone inoltre l'istituzione, da parte di ciascuno Stato membro, di un ufficio di collegamento unico incaricato di garantire un adeguato coordinamento fra le autorità competenti designate dagli Stati membri.

2.4.1

Le autorità competenti sono definite come autorità pubbliche con responsabilità specifiche in materia di esecuzione della normativa relativa alla tutela dei consumatori. La proposta inoltre garantisce che possano essere designate in qualità di autorità competenti solo le autorità dotate di un minimo di poteri di indagine e di esecuzione.

2.4.2

L'attuale proposta non modifica o sminuisce in alcun senso il ruolo svolto dalle organizzazioni dei consumatori per quanto riguarda l'esecuzione della legislazione, soprattutto per le controversie transfrontaliere.

2.4.3

Il regolamento proposto istituisce una rete di autorità competenti e un contesto per l'assistenza reciproca che completa i dispositivi esistenti in ciascuno Stato membro o i meccanismi aventi competenza settoriale esistenti a livello comunitario. La rete proposta mira a fornire una soluzione al problema dell'applicazione della normativa per far fronte rapidamente ai casi più gravi di violazioni transfrontaliere, effettuate in particolare nel tentativo di sfruttare le libertà del mercato interno a danno dei consumatori.

La designazione delle autorità pubbliche competenti in materia è demandata agli Stati membri, per tener conto delle disposizioni costituzionali che reggono nei vari paesi l'applicazione della legislazione in materia di tutela dei consumatori. Negli Stati membri in cui attualmente non esistono, non sarà necessario istituire nuove autorità pubbliche competenti in materia. Le responsabilità limitate previste dal regolamento potrebbero infatti essere attribuite ad autorità pubbliche già esistenti.

2.5

L'efficacia della rete istituita con la proposta dipende dai diritti e dai doveri in materia di assistenza reciproca.

2.5.1

La base dell'assistenza reciproca è il libero scambio di informazioni, in condizioni di riservatezza, fra autorità competenti. La proposta definisce un sistema di scambi su richiesta e, a livello altrettanto importante, scambi spontanei.

2.5.2

Se l'informazione trasmessa conferma l'esistenza di una violazione intracomunitaria, ai sensi della proposta le autorità competenti intervengono per porre fine immediatamente alla violazione.

2.5.3

Il principio generale stabilisce che le autorità competenti possono intervenire contro i professionisti nell'ambito della giurisdizione di loro competenza, indipendentemente dal luogo in cui si trova il consumatore.

2.5.4

È prevista inoltre la possibilità di scambiare informazioni con le autorità competenti dei paesi terzi nell'ambito di accordi bilaterali.

2.6

Il ruolo della Comunità si limita a misure di sostegno che migliorano il livello generale di esecuzione della legislazione e la capacità dei consumatori di far valere i propri diritti, favorendo lo scambio delle migliori prassi e coordinando gli sforzi nazionali in modo da evitare doppioni e spreco di risorse.

2.7

La proposta prevede la raccolta di dati statistici sui reclami pervenuti alle autorità competenti e la creazione di banche dati elettroniche aggiornate destinate a venir consultate dalle autorità competenti, il coordinamento delle attività d'attuazione della legislazione e la cooperazione amministrativa.

2.8

Per l'attuazione in pratica del regolamento viene disposta l'istituzione di un comitato consultivo destinato ad assistere la Commissione nello svolgimento delle procedure. Tale comitato sarà composto, in particolare, da rappresentanti delle autorità competenti.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato condivide gli obiettivi della proposta della Commissione. In tal senso, in una serie di precedenti pareri il Comitato (4) ha esortato la Commissione a rispettare l'impegno di dare priorità all'applicazione concreta della legislazione esistente ed alla cooperazione tra gli organi incaricati di applicarla, come primo passo per migliorare gli attuali livelli di tutela del consumatore sul piano transfrontaliero. Per applicare la legislazione, la proposta non esclude comunque il ricorso ad azioni civili e non solo penali.

3.2

Nel testo viene indicata come base giuridica l'articolo 95; tale articolo tuttavia riguarda solamente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Date le finalità della proposta della Commissione, volta in particolare a creare un sistema efficace per tutelare gli interessi economici dei consumatori, il CESE si rammarica che il testo non si avvalga dell'articolo 153 e chiede alla Commissione di avviare una riflessione per garantire una miglior utilizzazione di tale articolo.

3.2.1

Il CESE concorda con la Commissione sia sulla necessità di creare, per lo meno, un'autorità competente in ciascuno Stato membro, sia sulla natura pubblica di tali autorità; solo queste infatti possono:

essere dotate dei poteri d'indagine necessari per impedire violazioni transfrontaliere,

fornire garanzie sufficienti per quanto riguarda il rispetto della confidenzialità e il buon esito delle indagini,

garantire la tutela di tutti i consumatori,

agevolare lo scambio delle informazioni e collaborare nel porre termine alle violazioni transfrontaliere.

3.2.2

Il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo più attivo e partecipare alle riunioni di coordinamento.

3.2.3

Dato che la proposta non prevede alcuna misura specifica per risolvere le eventuali controversie tra Stati membri al momento di fornire la prevista assistenza reciproca, la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo di mediatore che permetta di proporre le necessarie misure amministrative per incoraggiare tale assistenza. Ciò soprattutto in considerazione del fatto che la proposta verrà attuata nel nuovo contesto dell'ampliamento il quale, presumibilmente, acuirà i problemi di applicazione del disposto dell'articolo 10 TCE, dato che nella maggior parte dei casi ci si troverà confrontati a culture amministrative non sufficientemente familiarizzate con prassi di tal genere.

3.2.4

La proposta risulta poco chiara sotto il profilo delle condizioni relative alla rinuncia al rimborso di eventuali spese e perdite a seguito di misure giudicate «infondate» da un tribunale per quanto riguarda la sostanza di un'infrazione intracomunitaria. Si dovrebbe specificare che si tratta di decisioni giudiziarie definitive e pertanto non suscettibili di ricorso. Che succederà se lo Stato membro interpellato ritiene non sia il caso di procedere ad un ricorso e lo Stato membro richiedente risulta di opinione contraria? La proposta non sembra contemplare tale situazione che però, nel concreto, non avrà certo solo carattere ipotetico.

3.2.5

Per quanto riguarda l'assistenza reciproca, è prevista la possibilità di rifiuto laddove la richiesta comporti, per l'autorità interpellata, un onere amministrativo sproporzionato rispetto all'entità dell'infrazione intracomunitaria, in termini di pregiudizio potenziale del consumatore. Si lascia così spazio alla possibilità di commettere negli altri Stati membri una serie di infrazioni de minimis in materia di consumo senza incorrere in alcuna sanzione. Il CESE deplora che si possano verificare situazioni di tal genere, considerato che i reclami in materia di consumo, fatti salvi alcuni casi eccezionali, sono di solito di entità ridotta.

3.2.6

La proposta prevede la possibilità di non dare seguito ad una richiesta di assistenza reciproca qualora questa non sia sufficientemente motivata. La soluzione risulta eccessivamente formale; in tale contesto dovrebbe venir prevista la possibilità di riesaminare tale richiesta entro un lasso di tempo determinato, prima rifiutarla.

3.2.7

Non è neppure prevista la possibilità che uno Stato membro possa ricorrere qualora ritenga infondato il rifiuto di fornire assistenza reciproca da parte di un altro Stato membro.

3.3

Per quanto riguarda le banche dati che raccolgono le statistiche sui reclami dei consumatori, in un contesto di trasparenza, e senza pregiudicare la distruzione dei dati confidenziali, tali banche dati dovrebbero essere accessibili da parte del pubblico, e soprattutto da parte delle associazioni degli industriali e dei consumatori abilitate ad esercitare provvedimenti inibitori transfrontalieri (5). Andrebbe prevista una possibilità di accesso anche per le università ed i centri di ricerca.

3.4

Il CESE ritiene importante coordinare le attività d'esecuzione della normativa prevista. Considera inoltre che tra le condizioni per lo scambio di funzionari debba figurare la necessità di una formazione preliminare sull'ordinamento giuridico dello Stato membro di «destinazione», per evitare nella misura del possibile che vi siano problemi relativi alla responsabilità civile.

3.5

La proposta prevede la collaborazione tra Commissione e Stati membri per gli strumenti di cooperazione amministrativa senza tener conto del ruolo rilevante che possono svolgere le organizzazioni della società civile in tali aree, soprattutto per quanto riguarda le associazioni degli industriali e dei consumatori.

3.6

Il Comitato permanente previsto dalla proposta esaminerà e valuterà il funzionamento delle disposizioni in materia di cooperazione. Tuttavia non gli viene attribuita alcuna competenza in materia di assistenza.

3.7

La proposta prevede che ogni due anni, a decorrere dall'entrata in vigore del regolamento, gli Stati membri presentino alla Commissione una relazione sull'applicazione del regolamento. Il CESE si rammarica tuttavia che non vi sia alcun obbligo corrispondente, per la Commissione, di presentare periodicamente una relazione sull'esecuzione del regolamento a livello comunitario, in cui figurino i dati raccolti in tutti gli Stati membri. Tale relazione dovrebbe venir trasmessa al Parlamento europeo ed al CESE.

3.8

La definizione del campo d'applicazione del regolamento, attraverso il rinvio, all'articolo 3, lettera a), alla lista tassativa delle direttive di cui all'allegato I, non risulta corretta. L'enunciato della lettera a) dovrebbe avere carattere esemplificativo; esso dovrebbe leggersi piuttosto: «(…) si intendono segnatamente le direttive elencate all'allegato I».

Un'alternativa non altrettanto valida potrebbe consistere nell'inserire nell'allegato I almeno le seguenti direttive omesse:

indicazione dei prezzi (98/06/CEE),

etichettatura (79/112/CEE e 2000/B/CE),

sicurezza dei prodotti (92/59/CEE),

responsabilità del produttore (1999/34/CEE),

protezione dei dati (95/46/CEE e 2002/58/CE).

3.9

Non sembra giustificato il requisito secondo cui il pregiudizio ai consumatori deve aver luogo in almeno tre Stati membri perché vi sia un coordinamento degli interventi. Al secondo paragrafo dell'articolo 9, l'espressione «di più di due Stati membri» andrebbe sostituita con «di almeno due Stati membri» o «di due o più Stati membri».

3.10

Il rinvio all'articolo 19, paragrafo 2, fatto agli articoli 6, 7, 8, 8, 10, 14, 15, 16 e 17 dovrebbe portare alla concreta enunciazione della procedura da adottare invece di limitarsi ad un semplice riferimento agli articoli 3 e 7 della decisione 1999/468/CE che, oltre tutto, viene così trasformata in diritto interno degli Stati membri.

Le procedure istituite da questa decisione risultano inoltre eccessivamente burocratiche per essere applicate nel quadro del regolamento. Quest'ultimo dovrebbe prevedere meccanismi di esecuzione specifici e più rapidi.

Bruxelles, 29 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  COM(2001) 531 def.

(2)  COM (2002) 289 def.

(3)  COM(2003) 238 def.

(4)  Parere sul «Libro verde sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea»GU C 125 del 27.5.2002 e parere in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «Strategia della politica dei consumatori 2002-2006», GU C 95 del 23.4.2003.

(5)  Articolo 3 della direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori. GU L 166 dell'11.6.1998.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla relazione della Commissione XXXII Relazione sulla politica di concorrenza 2002

(SEC(2003) 467 def.)

(2004/C 108/19)

La Commissione, in data 25 aprile 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha adottato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore METZLER, in data 16 dicembre 2003.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato con 60 voti favorevoli, 18 contrari e 3 astensioni il seguente parere.

1.   Introduzione - Quadro generale

1.1

Come è stato sottolineato dal commissario Monti nella prefazione alla XXXII relazione sulla politica di concorrenza 2002 (di seguito indicata come «la relazione»), nell'anno 2002 la politica della concorrenza della Commissione si è collocata tutta nel segno di una modernizzazione senza riserve. Nel campo della normativa antitrust sono state adottate nuove norme procedurali che sopprimono il monopolio della Commissione in materia di esenzione e decentrano l'applicazione delle norme antitrust Per aumentare l'efficacia dei controlli delle concentrazioni, specialmente in considerazione dell'allargamento dell'Unione, è stata presentata una proposta di modifica del regolamento sulle concentrazioni. Oltre a ciò è stata attuata una serie di misure volte a rafforzare i diritti procedurali delle parti nelle procedure di controllo delle concentrazioni. Nel settore degli aiuti di stato, la Commissione ha proseguito sulla strada dello snellimento delle procedure e di un aumento della trasparenza delle decisioni.

1.2

Uno degli scopi precipui della politica di concorrenza europea è quello di promuovere e tutelare gli interessi dei consumatori e dei lavoratori, cioè di garantire che i consumatori e i lavoratori beneficino della ricchezza generata dall'economia europea. Nell'introduzione della relazione viene esposta la duplice finalità generale della politica della concorrenza: da un lato evitare fallimenti del mercato derivanti da comportamenti anticoncorrenziali degli operatori e da alcune strutture dei mercati; dall'altro, promuovere un quadro generale di politica economica integrante i vari settori dell'economia e favorire una concorrenza effettiva.

1.3

La relazione offre inoltre un panorama esauriente sulle attività della Direzione generale Concorrenza nell'anno 2002, ne chiarisce la politica, descrive gli atti giuridici emanati e esamina numerosi casi specifici. Nell'anno 2002 il numero totale dei nuovi casi è stato di 1 019 (inferiore ai 1 036 del 2001). Dei nuovi casi, 321 riguardavano le intese restrittive e gli abusi di posizione dominante (2001:284), mentre il numero delle concentrazioni è diminuito a 277 (2001:335) e per gli aiuti di Stato il numero dei casi, pari a 421, è rimasto più o meno invariato (2001:417). Il numero di casi chiusi è aumentato di nuovo, nella comparazione anno su anno, a 1 283 casi (2001:1 204), di cui 363 relativi agli articoli 81, 82 e 86, 268 alle concentrazioni e 652 agli aiuti di Stato.

1.4

La relazione è divisa in sei capitoli in cui vengono trattati i temi delle intese restrittive, dei controlli delle concentrazioni, degli aiuti di Stato, dei servizi di interesse generale, della cooperazione internazionale e delle prospettive per il 2003. Si procederà di seguito a compendiare e commentare le linee essenziali dei primi cinque capitoli relativi all'anno 2002.

2.   I - Antitrust - Intese restrittive e abusi di posizione dominante: articoli 81 e 82 del Trattato CE. Monopoli nazionali e diritti esclusivi: articoli 31 e 86 del Trattato CE

2.1

Nel 2002, dopo essere stato in vigore per 50 anni, è scaduto il Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), con la conseguenza che i settori che precedentemente rientravano nell'ambito di applicazione di tale Trattato sono ora soggetti alle norme primarie del Trattato CE e alle norme secondarie da esso derivanti

2.2

Nel dicembre 2002 il Consiglio ha adottato il regolamento 1/2003 concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (1), destinato a sostituire il vecchio regolamento di applicazione di tali articoli in vigore dal 1962. Le nuove regole che modificano in modo sostanziale il vecchio sistema entreranno in vigore alla data dell'allargamento, il 1o maggio 2004.

2.2.1

Va a questo proposito messo in evidenza il passaggio da un sistema di notificazione e autorizzazione ad un sistema di eccezione legale per cui le imprese stesse devono verificare la conformità dei loro accordi con l'articolo 81 del Trattato CE. Gli accordi che rientrano nel campo di applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE, diversamente da quanto avviene nel sistema della notificazione e autorizzazione, sono immediatamente efficaci anche in assenza di un regolamento d'esenzione di categoria, a condizione che siano rispettati i presupposti dell'articolo 81, paragrafo 3 del Trattato CE. Si tratta di uno sviluppo positivo in quanto il sistema dell'eccezione legale determina una maggiore tutela della concorrenza, lasciando così alla Commissione la possibilità di concentrarsi in futuro sui casi che rivestono importanza ai fini della politica della concorrenza. Il sistema dell'eccezione legale, inoltre, libera le imprese da inutili oneri burocratici. L'incertezza giuridica, che tale cambiamento comporta comunque per le imprese, avrebbe potuto essere attenuata se il regolamento avesse dato alle imprese il diritto di chiedere un parere motivato della Commissione in casi particolari difficili, invece di rinviarle ad un parere informale che la Commissione non ha l'obbligo di dare. In ogni caso la Commissione dovrebbe essere disposta a dare un parere alle imprese su nuove questioni di fatto o di diritto, come pure nei casi che coinvolgono investimenti notevoli e modifiche strutturali di ampia portata o irreversibili (2)

2.2.2

In futuro le norme europee antitrust verranno applicate direttamente in modo decentrato dalle autorità nazionali garanti della concorrenza e dai tribunali nazionali e tali autorità garanti della concorrenza degli Stati membri coopereranno strettamente con la Commissione e tra di loro in una Rete europea della concorrenza. Il Comitato auspica tuttavia un più forte consolidamento del principio dello sportello unico allo scopo di escludere che le imprese siano oggetto di più procedimenti antitrust paralleli in vari Stati membri. Poiché il regolamento non contiene criteri dettagliati per l'assegnazione dei casi, si raccomanda che la Commissione crei la certezza giuridica necessaria alle imprese con l'aiuto di orientamenti pertinenti. (3)

2.2.3

D'ora in poi deve essere possibile applicare la normativa nazionale accanto alle norme comunitarie, purché l'applicazione della normativa nazionale sulla concorrenza, come indica la Commissione nella sua relazione, non produca un risultato diverso da quello che si sarebbe ottenuto applicando l'articolo 81 del Trattato CE. Ai fini della realizzazione di pari condizioni e di un contesto uniforme in Europa sarebbe stato auspicabile che la Commissione, contrariamente a quanto previsto all'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento 1/2003, avesse imposto un'applicazione uniforme delle norme comunitarie anche per i comportamenti unilaterali. Per esempio la normativa nazionale può portare a divieti non conformi al diritto comunitario e che potrebbero ostacolare l'attività economica in Europa.

2.2.4

È logico che la Commissione abbia ampliato i suoi poteri d'indagine onde continuare a garantire un'efficace attuazione delle regole di concorrenza comunitarie nel quadro del sistema dell'eccezione legale. Il regolamento però garantisce solo in parte i diritti di difesa delle imprese. Si dovrebbe garantire che nei procedimenti istituiti contro le imprese vengano osservati i principi generali dello stato di diritto, nella misura in cui non sono esplicitamente enunciati nel regolamento. Sarebbe auspicabile che questo fosse esplicitamente previsto dalla Commissione nelle comunicazioni annunciate. (4)

2.2.5

A parere del Comitato è inoltre importante che nel quadro dell'applicazione decentrata delle regole di concorrenza da parte delle autorità nazionali sia garantita la massima trasparenza. La Commissione dovrebbe insistere affinché almeno tutte le decisioni delle autorità nazionali che chiudono un procedimento vengano pubblicate.

2.3

Nel febbraio 2002 la Commissione ha adottato nuove disposizioni in materia di trattamento favorevole, che per le imprese interessate dovrebbero risultare di più facile valutazione. Il successo constatato dalla Commissione in tema di lotta alle intese restrittive - nei primi dieci mesi dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni sul trattamento favorevole sono state scoperte in Europa circa dieci intese restrittive – prova che le nuove disposizioni sono state ben formulate. In occasione della prossima revisione delle disposizioni sul trattamento favorevole, si invita a inserirvi gli orientamenti, ad esse strettamente correlate, per la procedura di determinazione delle ammende. Inoltre sarebbe auspicabile che la Commissione calcolasse l'importo dell'ammenda in base ai danni concreti causati dalla corrispondente infrazione alle regole della concorrenza e alle loro conseguenze.

2.4

Nel 2002 la Commissione ha assegnato alla politica antitrust e al trattamento di casi di intese restrittive una priorità ancora maggiore che nel 2001, avendo preso un totale di 9 decisioni e avendo imposto ammende per un importo totale di circa 1 miliardo di euro. Non è stata invece presa alcuna decisione in riferimento all'articolo 82 del Trattato CE.

2.5

La relazione si occupa in modo dettagliato dell'evoluzione della concorrenza in singoli comparti economici.

2.5.1

Nel settore energetico sono in preparazione la «direttiva di accelerazione» e il regolamento sugli scambi transfrontalieri di energia elettrica, che liberalizzeranno ulteriormente il mercato dell'energia e sono intesi a ravvivare la concorrenza sui mercati dell'energia, garantendo nel contempo la sicurezza dell'approvvigionamento (5). La Commissione non è però riuscita ad imporre una scadenza più ravvicinata del 2007 per la completa apertura del mercato per i clienti privati e quindi si è dovuto di nuovo rinviare la creazione del mercato comune dell'energia.

2.5.2

Nel settore delle poste il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato, su proposta della Commissione, la nuova direttiva postale (direttiva 2002/39/CE) (6), che prevede un'ulteriore apertura del mercato, con progressiva riduzione dell'area riservata entro il 2006.

2.5.3

Nel settore delle telecomunicazioni il Consiglio ha adottato un nuovo quadro normativo formato da cinque direttive per la regolamentazione ex ante delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica; si è proceduto in tal modo a una profonda revisione del quadro normativo per il settore delle telecomunicazioni, che viene ulteriormente aperto alla concorrenza (7). In tale contesto merita particolare attenzione la nuova definizione della nozione di «significativo potere di mercato» (SPM), all'articolo 14 della direttiva quadro 2002/21/CE che si basa sulla definizione di posizione dominante di cui all'articolo 82 del Trattato CE. Questa deregolamentazione avrà ripercussioni su tutti gli operatori presenti nel mercato.

2.5.4

Per quanto concerne il trasporto aereo, nel giugno 2002 è stato rinnovato il regolamento di esenzione per categoria n. 1617/93 e riguardo ai trasporti marittimi la Corte di giustizia ha pronunciato tre sentenze in merito al regolamento di esenzione per categoria 4056/86, che la Commissione dopo 15 anni di vigenza vorrebbe ora sottoporre a revisione con l'intento di semplificarlo. Per il settore ferroviario la Commissione ha presentato varie proposte legislative per l'integrazione delle reti ferroviarie nazionali in un unico spazio ferroviario europeo. Non si può che concordare con la Commissione sul fatto che a tutt'oggi non esiste una concorrenza effettiva nel mercato ferroviario.

2.5.5

Nel settore dei media la Commissione si è occupata della vendita centralizzata dei diritti televisivi delle manifestazioni calcistiche e si è pronunciata contro i diritti di esclusività perché questo rischia di rafforzare la concentrazione dei media e impedire la concorrenza tra le emittenti.

2.5.6

Nell'ottobre 2002 è entrato in vigore il nuovo regolamento di esenzione per categoria 1400/02 per la distribuzione di autoveicoli, che riguarda la vendita e la riparazione di autoveicoli e la vendita di pezzi di ricambio e introduce nuovi metodi di distribuzione come la vendita via Internet e l'attività multimarca (8). La Commissione spera, attraverso delle disposizioni più rigide, di ottenere un'intensificazione della concorrenza tra i distributori, di facilitare la vendita transfrontaliera di veicoli nuovi e di rafforzare la concorrenza sui prezzi. In base al nuovo regolamento la combinazione di accordi di distribuzione selettiva ed esclusiva, nonché la stipula della clausola del luogo di stabilimento non sono più possibili. Il conseguimento degli obiettivi che la Commissione si è prefissa dipenderà in ultima analisi dai futuri sviluppi del mercato, da constatare nel quadro di ulteriori procedure di sorveglianza del mercato. Se ne dovrebbero poi trarre le conseguenze.

2.5.7

In relazione al comparto dei servizi finanziari la Commissione ha pubblicato nel 2002 il progetto di un regolamento di esenzione per categoria nel settore assicurativo che con poche modifiche è stato approvato il 27 febbraio 2003. Il regolamento, invece di elencare una serie di disposizioni che sono esenti dalle norme antitrust, riporta soltanto quali disposizioni non possono essere contenute negli accordi esentati. L'esenzione delle attività di coassicurazione si ricollega inoltre alla forza nascente di questo mercato. Ciò corrisponde a un approccio economico che viene adesso seguito dalla Commissione anche in altri regolamenti di esenzione per categoria.

2.5.8

Per promuovere la società dell'informazione la Commissione ha proseguito nel suo impegno volto a creare le condizioni di un ambiente aperto e concorrenziale che favorisca lo sviluppo di Internet e del commercio elettronico. A tale proposito si è occupata in particolare dei mercati per garantire l'accesso a Internet e di denunce, basate sull'articolo 82, presentate nei confronti di registri di nomi di dominio di primo livello.

2.5.9

Nella relazione viene dato un spazio relativamente ampio all'esame del settore delle libere professioni.

2.5.9.1

Il Comitato accoglie favorevolmente l'impegno della Commissione a rendere tale settore più trasparente per i consumatori (9). La Commissione riferisce di aver affidato ad un istituto di ricerca un'analisi costi–benefici comparativa della regolamentazione delle libere professioni nei diversi Stati membri. Inoltre la Commissione ha avviato con le autorità nazionali garanti della concorrenza un confronto sulla regolamentazione delle libere professioni. La consultazione delle autorità nazionali garanti della concorrenza cui è demandata la fissazione delle norme vincolanti per le libere professioni, è un primo apprezzabile passo in questa direzione. Per garantire la trasparenza di tale procedura dovrebbero esservi coinvolti, come esperti, anche rappresentanti delle singole categorie professionali.

2.5.9.2

Il Comitato è favorevole all'applicazione in linea di principio delle regole della concorrenza. Dal momento che le libere professioni non svolgono solo funzioni economiche, ma assolvono anche un ruolo sociale e a questo titolo sono soggette a requisiti legali vincolanti, il Comitato pensa che le regole della concorrenza debbano rispettare il livello minimo di regolamentazione che è indispensabile per soddisfare tali requisiti (Deontologia). Questa posizione è stata confermata dalla Corte di giustizia nella sentenza, citata anche nella relazione, riguardante la causa Wouters. Il Comitato, inoltre, in una prospettiva di integrazione politica, vede sorgere il seguente problema, vale a dire il fatto che trascurare la deontologia delle libere professioni potrebbe indurre quegli Stati membri che applicano adesso il modello dell'autogestione a rifugiarsi nelle singole regolamentazioni nazionali conformi alla normativa antitrust. Ciò avrebbe l'effetto di rafforzare le regolamentazioni nazionali del settore delle libere professioni, cosa che risulterebbe svantaggiosa per i consumatori e per la collettività.

2.5.9.3

La Commissione non rimette in discussione l'esistenza dell'autogestione, pur intendendo verificare, nell'ottica dell'obiettivo sovraordinato della tutela dei consumatori, se sia giustificata l'esistenza delle regole professionali riguardanti le tabelle degli onorari, i rapporti di collaborazione integrata, la pubblicità, i servizi di rappresentanza legale e l'accesso alla professione. Il Comitato rammenta che nel settore delle libere professioni vigono molteplici disposizioni che possono anche servire a tutelare i consumatori.

3.   Sistema di controllo delle concentrazioni

3.1

Nel 2002 la Commissione non ha preso alcuna decisione di divieto nell'ambito della normativa sul controllo delle concentrazioni (erano state 5 nel 2001). 7 procedimenti hanno ricevuto il nullaosta già nella seconda fase (nel 2001 erano stati 20) e riguardo alle 275 decisioni finali, 252 operazioni sono state autorizzate nella prima fase e di queste ultime 111 lo sono state secondo la procedura semplificata.

3.2

Significative sono state le tre sentenze del Tribunale di primo grado, che ha ribaltato le decisioni di divieto nei casi Airtours/First Choice, Schneider/Legrand e Tetra Laval/Sidel. La sentenza Airtours fa luce sui necessari criteri di prova per dimostrare la creazione di una posizione dominante collettiva risultante da un coordinamento tacito da parte delle imprese. Nella sentenza Schneider sono stati rilevati errori della Commissione nell'analisi e nelle valutazioni dei dati economici nonché, una violazione dei diritti della difesa. Nella sentenza Tetra-Laval, contro la quale la Commissione ha fatto ricorso dinanzi alla Corte di giustizia tenuto conto della sua importanza fondamentale, per la prima volta un tribunale europeo si è occupato della valutazione di concentrazioni di tipo conglomerale, cioè di concentrazioni di imprese operanti su mercati distinti.

3.3

I casi di rinvio tra la Commissione e gli Stati membri sono complessivamente aumentati. In effetti vi sono stati 11 casi di rinvio dalla Commissione agli Stati membri (rispetto a 7 nel 2001) e per la prima volta sono stati effettuati due rinvii congiunti dagli Stati membri alla Commissione.

3.4

Va dato particolare risalto al progetto di riforma della Commissione nel campo dei controlli delle concentrazioni nel cui quadro la Commissione ha presentato nel dicembre2002 il progetto di regolamento sulle concentrazioni. (10) Quasi contemporaneamente, la Commissione ha pubblicato il progetto di comunicazione sulla valutazione delle concentrazioni orizzontali (11), nonché delle raccomandazioni sulle pratiche di buona condotta (best practices) e altre misure amministrative destinate a rafforzare la trasparenza e migliorare le procedure interne nel campo del controllo delle concentrazioni. Alla base vi è soprattutto la volontà di preparare la normativa sul controllo delle concentrazioni della Comunità, dopo dodici anni di prassi applicativa, alle sfide dei prossimi anni (allargamento a est dell'UE, concentrazioni a livello mondiale nel contesto della globalizzazione) e in generale quella di semplificare e accelerare la procedura di controllo delle concentrazioni.

3.4.1

La proposta di regolamento presenta alcuni miglioramenti che il Comitato giudica positivamente, ma in altri punti la proposta non è all'altezza delle attese. Le semplificazioni alla procedura d'indagine sono state effettivamente ben congegnate (12). Per esempio la soppressione del termine di una settimana (notificazione entro una settimana dopo la conclusione dell'accordo) permette un miglior controllo delle concentrazioni che devono essere notificate anche fuori dell'Europa. Ciò lascia anche la libertà di poter notificare una concentrazione non appena vi sia la ferma intenzione di concludere l'accordo. Il Comitato sostiene anche la decisione della Commissione di permettere immediatamente l'esecuzione delle concentrazioni che possono essere notificate secondo la procedura semplificata, senza aspettare la conclusione della procedura d'esame. Si tratta di una misura che risponde a una necessità pratica delle imprese. Un altro elemento essenziale della riforma consiste nella possibilità di prorogare in ambedue le fasi la procedura d'esame quando le circostanze lo giustifichino. In tale contesto si deve vigilare affinché il rigoroso regime dei termini non sia in nessun caso abbandonato e ciò per non compromettere la rapidità delle operazioni di concentrazione.

3.4.2

Va osservato con soddisfazione che la Commissione ha mantenuto per motivi di certezza giuridica il criterio tradizionale della posizione dominante e non vuole passare a quello della diminuzione sostanziale di concorrenza (13). Il Comitato esprime tuttavia timori riguardo all'ampia formulazione dell'articolo 2, paragrafo 2 della proposta di regolamento. Alla base della formulazione proposta per questo paragrafo vi è l'intenzione concreta di ovviare ad una lacuna del criterio della posizione dominante che si manifestava, a quanto pare, finora nel caso di operazioni di concentrazione nei mercati concentrati che non danno luogo ad una posizione dominante sul mercato. Così secondo l'articolo 2, paragrafo 2 «si considera che una o più imprese detengano una posizione dominante qualora abbiano, coordinandosi o meno, il potere economico di influire in modo sensibile e duraturo sui parametri della concorrenza, in particolare sui prezzi, sulla produzione, sulla qualità del prodotto, sulla distribuzione o sull'innovazione, o di precludere sensibilmente la concorrenza». A parere del Comitato il nuovo articolo 2, paragrafo 2 della proposta di regolamento colma effettivamente detta lacuna grazie alla sua ampia formulazione, ma abbassa nettamente la soglia d'intervento e crea nuove situazioni di incertezza giuridica che mettono in questione la sperimentata e affidabile prassi decisionale dei tribunali europei e della Commissione. Il Comitato invita pertanto la Commissione a occuparsi solo del caso particolare degli «effetti unilaterali», mantenendo tuttavia i concetti tradizionali per evitare che vi sia una diminuzione della certezza giuridica per le imprese europee. (14) Sarebbe pertanto opportuno che si continuasse ad applicare il criterio originale della posizione dominante.

3.4.3

Il Comitato apprezza anche l'intenzione della Commissione di esaminare in futuro attentamente i guadagni di efficienza fatti valere nel contesto della valutazione complessiva di una concentrazione. Solo così il sistema dei controlli delle concentrazioni può servire in maniera duratura gli interessi dei consumatori europei (15). Sarebbe inoltre auspicabile che, alla luce delle discussioni in corso negli ambienti specializzati, la Commissione prendesse espressamente posizione, chiarendo in quali casi i guadagni di efficienza derivanti dalle concentrazioni possono essere presi in considerazione eccezionalmente anche a carico delle imprese coinvolte. Se non si fa chiarezza su questo punto vi è da temere che le imprese neanche in futuro presenteranno l'argomento dei guadagni di efficienza, svuotando quindi di importanza la politica della Commissione (16).

3.4.4

Lo sforzo della Commissione volto ad applicare quasi in toto le competenze di indagine e intervento previste dal nuovo regolamento 1/2003 relativo alle intese e agli abusi di posizione dominante anche nel settore dei controlli sulle concentrazioni costituisce un problema. Perseguire le violazioni alle norme antitrust e l'esame delle operazioni di concentrazione di imprese sono due obiettivi distinti che richiedono l'impiego di mezzi diversi. Le violazioni delle norme antitrust danneggiano direttamente i terzi e i consumatori e vengono punite con sanzioni amministrative, in alcuni paesi addirittura con sanzioni penali, mentre nel campo del controllo delle concentrazioni non si tratta di convalidare un sospetto iniziale di comportamento irregolare e di applicare quindi i mezzi abituali dell'azione legale in quanto, al contrario, le concentrazioni di imprese costituiscono in generale processi perfettamente legali come dimostra la modesta quota di divieti. Il Comitato raccomanda pertanto alla Commissione di non procedere, nel settore dei controlli delle concentrazioni, ad alcuna modifica e di riconoscere esplicitamente nel testo del regolamento anche il divieto dell'autodenuncia accanto ad altri diritti della difesa, nonché il privilegio legale per gli avvocati esterni ed interni. Inoltre, il sistema vigente delle ammende e delle penalità dovrebbe essere mantenuto, in quanto vi dovrebbe essere un rapporto ragionevole tra l'entità dell'infrazione e le ammende inflitte.

3.4.5

Il Comitato si rammarica del fatto che non si sia riusciti a estendere la competenza della Commissione europea in modo da ridurre in futuro il numero delle notificazioni multiple (17). Al contrario, con l'allargamento dell'Unione europea in futuro queste potrebbero essere più frequenti, determinando cospicui oneri burocratici, alti costi e perdite di tempo per le imprese. È però certamente positivo il fatto che la Commissione in futuro deciderà nel quadro di una procedura preliminare su richiesta delle imprese e in tempi ristretti se un progetto di concentrazione abbia importanza europea e quindi rientri nelle competenze di esame della concentrazione attribuite alla Commissione. Poiché la decisione tuttavia, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri, è prevedibile che questa proposta non possa sostituire una chiara regola sulla ripartizione delle competenze.

3.4.6

Il Comitato sostiene espressamente le misure annunciate per migliorare i processi decisionali economici della DG Concorrenza attraverso la creazione del posto di economista capo con un proprio staff di collaboratori. È così che la Commissione affronta il problema dell'insufficiente analisi economica che è stata la causa principale delle tre sentenze di annullamento del Tribunale di primo grado summenzionate. Perché questa novità istituzionale abbia successo sarà di importanza decisiva che l'economista capo e i suoi collaboratori vengano coinvolti già nelle fasi iniziali e in modo duraturo nella valutazione dei singoli casi.

3.5

La Commissione partecipa attivamente a tutti e tre i sottogruppi del gruppo di lavoro della Rete internazionale delle autorità garanti della concorrenza (ICN) sul controllo delle concentrazioni costituito nel 2001. Il Comitato valuta in modo estremamente positivo l'impegno in materia della Commissione, in quanto facilitare la convergenza e ridurre gli oneri, a carico del settore sia pubblico che privato, originati dal controllo multigiurisdizionale delle concentrazioni e dalle notificazioni multiple da parte delle imprese sono obiettivi importanti delle imprese europee desiderose di inserirsi nella concorrenza mondiale. Il Comitato sostiene con forza la massima convergenza possibile dei diversi sistemi e lo sviluppo delle migliori pratiche.

4.   Aiuti di Stato

4.1

Nel campo delle norme sugli aiuti di Stato, la Commissione ha portato avanti nel 2002 la riforma sia sotto il profilo della procedura che della sostanza. Uno degli scopi principali del pacchetto di riforma è quello di eliminare inutili oneri procedurali nell'ambito dell'esame degli aiuti di Stato, facilitando in tal modo l'adozione di decisioni rapide nella maggior parte dei casi, nonché quello di destinare maggiori risorse alle questioni più controverse riguardanti tale settore. La Commissione prevede di poter portare a termine la riforma prima della data dell'allargamento, cioè del 1o maggio 2004. Il Comitato apprezza l'intenzione di accelerare la procedura tanto più che i procedimenti principali d'indagine nel passato sono spesso durati più di un anno, esponendo molte volte le imprese a una situazione di incertezza giuridica perdurante. A parere del Comitato, inoltre, le misure fin qui adottate non sono sufficienti per realizzare nella pratica tale intenzione; esso chiede quindi alla Commissione di rendere note al più presto le altre misure previste, in modo che possano veramente essere attuate per il 1o maggio 2004.

4.2

Quale base di discussione a livello degli Stati membri su come conseguire una riduzione del livello generale degli aiuti di Stato e riorientare gli aiuti verso obiettivi orizzontali, la Commissione ha messo a punto nel 2001 il repertorio degli aiuti di Stato e il quadro di valutazione degli aiuti di Stato e li ha ulteriormente sviluppati nel corso del 2002. Il Comitato apprezza l'impegno della Commissione per una maggiore trasparenza nel settore degli aiuti di Stato che appare particolarmente importante in relazione agli aiuti di Stato nei paesi di prossima adesione. Nella misura in cui è previsto che i regimi degli aiuti in vigore nei paesi candidati, previa verifica della Commissione, godano in quanto «aiuti esistenti» della protezione accordata all'esistente nella Comunità allargata, va garantito che gli ambienti interessati abbiano l'opportunità di esprimere in anticipo la loro posizione. Oltre a ciò, il Comitato invita a estendere il repertorio degli aiuti di Stato, che attualmente contiene tutte le decisioni adottate dopo il 1o gennaio 2000, anche al passato in modo graduale, al fine di rendere disponibile il patrimonio di esperienze della Commissione per i casi futuri.

4.3

Nel 2002 la Commissione ha elaborato una serie di quadri di riferimento e di orientamenti. Il costante lavoro di chiarificazione e precisazione delle regole fatto dalla Commissione è accolto favorevolmente dal Comitato. Particolare attenzione va prestata al regolamento di esenzione per categoria per gli aiuti a favore dell'occupazione (18) inteso a facilitare la creazione di posti di lavoro da parte degli Stati membri.

4.4

Nella misura in cui le disposizioni sugli aiuti si applicano agli aiuti regionali o ad altri aiuti in collegamento con i fondi strutturali, sarebbe utile che le future relazioni facessero riferimento alla prassi della Commissione in questo determinato settore.

5.   IV - Servizi d'interesse generale

5.1

Nella sua relazione al Consiglio europeo di Laeken, la Commissione aveva in particolare annunciato un quadro comunitario per gli aiuti di Stato concessi alle imprese incaricate della fornitura di servizi d'interesse economico generale. In seguito, però, la Corte di giustizia nella causa Ferring ha deciso, allontanandosi dalla giurisprudenza del Tribunale di primo grado, che le compensazioni per i servizi non costituiscono aiuti di Stato pubblici se le imprese interessate vengono compensate solo per la fornitura dei servizi. Fino alle fine del 2002 è rimasta l'incertezza se la Corte di giustizia avrebbe confermato o no tali modifiche della giurisprudenza. Nella sentenza del 24 luglio 2003 nella causa Altmark, la Corte di giustizia ha confermato l'esclusione dalla fattispecie degli aiuti di Stato riconosciuta nella causa Ferring, collegandola però a quattro condizioni di ampia portata. In primo luogo, l'impresa beneficiaria deve essere stata effettivamente incaricata dell'adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi sono stati definiti in modo chiaro. In secondo luogo, la compensazione deve poter essere calcolata sulla base di parametri previamente definiti in modo obiettivo e trasparente. In terzo luogo la compensazione dei costi può coprire solo i costi sostenuti per l'esecuzione degli obblighi, tenuto conto degli introiti relativi e di un utile ragionevole. In quarto luogo, qualora l'incarico non venga attribuito nell'ambito di una procedura di appalto pubblico, il livello della compensazione va determinato sulla base di un'analisi dei costi in cui incorrerebbe un'impresa media, gestita in modo efficiente per adempiere tali obblighi. Dato che le compensazioni che non soddisfano le condizioni poste dalla Corte di giustizia rientrano nella fattispecie degli aiuti di Stato, sussiste comunque la necessità dell'annunciato quadro legale comunitario chiarificatore Il Comitato prende atto della discussione avviata con gli esperti degli Stati membri sulla base del non-paper del 12 novembre 2002 e invita a concluderla rapidamente, tenendo debito conto della sentenza Altmark, così da creare quanto prima, grazie all'adozione delle necessarie chiarificazioni, una cornice di certezza giuridica per le imprese.

5.2

Il Comitato apprezza che la Commissione, con il Libro verde sui servizi d'interesse generale annunciato nella relazione e pubblicato il 21 maggio 2003, abbia cominciato come richiesto dal Consiglio europeo di Barcellona (2002), a esaminare se i principi che reggono i servizi di interesse generale debbano essere ulteriormente consolidati e precisati in un quadro comunitario generale (19).

6.   Cooperazione internazionale

6.1

Nel 2002 la Commissione ha proseguito le attività di preparazione e di negoziazione delle adesioni nel quadro dell'allargamento dell'UE e ha proceduto a verificare fino a che punto i paesi candidati avessero già delle disposizioni sulla concorrenza efficaci, constatando che solo nel campo dei controlli degli aiuti di Stato si registravano ancora insufficienze. Nel 2002 nel quadro di valutazione sugli aiuti di Stato la Commissione ha incluso per la prima volta i dati dei paesi candidati, che quindi sono adesso accessibili a tutti.

6.2

In riferimento alla cooperazione bilaterale, va rilevato che nell'ottobre 2002 la Commissione, insieme con le autorità americane responsabili dell'antitrust, ha pubblicato un codice di pratiche di buona condotta (best practices) in materia di cooperazione nel campo dei controlli delle concentrazioni. Il Comitato giudica particolarmente importante e positiva la stretta cooperazione delle autorità preposte al controllo delle concentrazioni delle due maggiori aree economiche del mondo, dato che in tal modo si potranno in futuro ridurre sia il rischio di decisioni divergenti che gli oneri amministrativi sostenuti dalle imprese interessate.

7.   Conclusioni

7.1

La relazione è ricca di informazioni e contiene una serie di nuove indicazioni per la normativa europea sulla concorrenza che risultano importanti tanto per i consumatori che per le imprese.

7.2

Queste sono in sintesi le conclusioni del Comitato:

si approva la riorganizzazione delle norme procedurali sulle intese restrittive e il passaggio concomitante al sistema dell'eccezione legale. Nondimeno, la Commissione dovrebbe apportare ulteriori miglioramenti alla riforma approfittando del pacchetto di modernizzazione e curare di più gli aspetti della certezza giuridica per le imprese e di una più forte affermazione del principio dello sportello unico, nonché garantire in modo più solido i diritti di difesa delle imprese (punti 2.2.1, 2.2.2, 2.2.4),

l'importo dell'ammenda dovrebbe essere calcolato sulla base dei danni concreti (punto 2.3.),

le regole concorrenziali dovrebbero consentire il grado di regolamentazione delle libere professioni necessario ad assicurare l'assolvimento dei loro compiti specifici e dei loro obblighi giuridici (punto. 2.5.9.2),

in relazione alla riforma del sistema di controllo delle concentrazioni, la Commissione dovrebbe considerare nella nuova formulazione del criterio della posizione dominante solo il caso speciale degli «effetti unilaterali» onde garantire un massimo di certezza giuridica alle imprese. La Commissione potrebbe potenziare ulteriormente l'incentivo a presentare l'argomento dei guadagni di efficienza e dovrebbe tener conto del fatto che il controllo delle concentrazioni e la procedura antitrust necessitano di mezzi diversi, sotto il profilo sia delle competenze di indagine che dell'ammontare delle sanzioni (punti 3.4.2, 3.4.3, 3.4.4),

la Commissione dovrebbe rendere note quanto prima le misure previste in materia di riforma delle norme sugli aiuti di stato e dare agli ambienti interessati l'opportunità di prendere posizione per quanto riguarda il futuro trattamento degli «aiuti esistenti» nei paesi candidati. Le future relazioni sulla concorrenza potrebbero inoltre illustrare la prassi della Commissione nel campo degli aiuti di Stato in relazione ai fondi strutturali (punti 4.1, 4.2, 4.4).

Bruxelles, 29 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. parere del CESE in merito al Libro bianco sulla modernizzazione delle norme per l'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato CE, GU C 51 del 23.2.2000, pag. 55 e parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio concernente l'applicazione alle imprese delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato recante modifica dei regolamenti (CEE) n. 1017/68, (CEE) n. 2988/74, (CEE) n. 4056/86 e (CEE) n. 3975/87 (Regolamento d'applicazione degli articoli 81 e 82 del Trattato), GU C 155 del 29.5.2001, pag. 73.

(2)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 155, pag. 73, punto 2.8.2.5.

(3)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 155, pag. 73, punto 2.10.1.

(4)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 155, pag. 73, punto 2.12.

(5)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 36 dell'8.2.2002, pag. 10.

(6)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 116 del 20.4.2001, pag. 99.

(7)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 123 del 25.4.2001, pagg. 50, 53, 55 e 56.

(8)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 221 del 17.9.2002, pag. 10.

(9)  Cfr. i lavori sulla direttiva sul mutuo riconoscimento dei diplomi.

(10)  Cfr. Parere del CESE sul progetto di regolamento CESE 1169/2003 del 24 settembre 2003.

(11)  Cfr. parere del CESE sul progetto di comunicazione, CESE 1170/2003 del 24 settembre 2003.

(12)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 1169/2003 del 24.9.2003, punto 3.10 e sul Libro verde sulla revisione del regolamento sul controllo delle concentrazioni, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 130, pt. 3.3.1.

(13)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento (CESE 1169/2003) del 24 settembre 2003, punto 3.10 e sul Libro verde sulla revisione del regolamento sul controllo delle concentrazioni, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 130, punto 3.12.13.

(14)  Cfr. parere del CESE sul progetto di comunicazione (CESE 1170/2003) del 24/25 settembre 2003, punto 3.1.4.

(15)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 130, punto 3.2.12.

(16)  Cfr. parere del CESE sul progetto di comunicazione (CESE 1170/2003) del 25 settembre 2003, punto 4.7.2.

(17)  Cfr. parere del CESE sul Libro verde, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 130, punto 3.1.2.

(18)  Cfr. parere del CESE sulla proposta di regolamento, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 143.

(19)  Cfr. parere del CESE sui servizi d'interesse generale, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 119.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne

(COM(2003) 687 def. - 2003/0273 (CNS))

(2004/C 108/20)

Il Consiglio, in data 8 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra

Il Comitato ha deciso di nominare PARIZA CASTAÑOS relatore generale per l'elaborazione del parere.

Il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il 29 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, con 75 voti favorevoli, 1 contrario e 3 astensioni, il seguente parere:

1.   Sintesi della proposta di regolamento

1.1

Il piano per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, approvato dal Consiglio il 13 giugno 2002, ha stabilito la creazione di un Organo comune di esperti in materia di frontiere esterne nell'ambito del Comitato strategico sull'immigrazione, le frontiere e l'asilo (CSIFA), come strumento per garantire una gestione integrata delle frontiere esterne.

1.2

Nelle conclusioni del 5 giugno 2003 relative ad una gestione efficace delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, il Consiglio ha chiesto il rafforzamento dell'Organo comune come Gruppo di lavoro del Consiglio, con esperti distaccati dagli Stati membri presso il Segretariato generale del Consiglio.

1.3

Il Consiglio europeo di Salonicco del 19 e 20 giugno 2003, ha approvato le summenzionate conclusioni del Consiglio del 5 giugno 2003 e ha invitato la Commissione ad esaminare la necessità di creare nuovi meccanismi istituzionali, compresa l'eventuale istituzione di una struttura operativa comunitaria, al fine di rafforzare la cooperazione operativa per la gestione delle frontiere esterne.

1.4

Nelle sue conclusioni, il Consiglio europeo del 16 e 17 ottobre 2003 ha accolto con soddisfazione l'intenzione della Commissione di presentare una proposta riguardante l'istituzione di un'Agenzia per la gestione delle frontiere esterne. La proposta di regolamento all'esame, che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, risponde precisamente all'invito rivolto dal Consiglio europeo. Essa tiene conto delle esperienze acquisite nel campo della cooperazione tra gli Stati membri nell'ambito dell'Organo comune, cui l'Agenzia subentrerà nei compiti di coordinamento della cooperazione operativa.

1.5

Grazie all'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'UE esistono già norme comuni in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne a livello comunitario. Tali norme vengono applicate, sul piano operativo, dalle autorità nazionali competenti degli Stati membri che formano parte dello spazio nel quale sono soppresse le frontiere interne. L'obiettivo della proposta di regolamento è quindi di ottimizzare l'attuazione della politica comunitaria in materia di gestione delle frontiere esterne, migliorando il coordinamento della cooperazione operativa tra gli Stati membri attraverso la creazione di un'Agenzia.

1.6

I compiti principali dell'Agenzia saranno i seguenti:

coordinare le operazioni e i progetti pilota condotti congiuntamente dagli Stati membri e da questi ultimi e la Comunità, al fine di migliorare il controllo e la sorveglianza alle frontiere esterne,

offrire una formazione di livello europeo agli istruttori del corpo nazionale delle guardie di confine e una formazione complementare agli agenti del corpo nazionale delle guardie di confine,

effettuare valutazioni dei rischi sia generali che mirate,

seguire da vicino le ricerche relative al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne, mettendo a disposizione della Commissione e degli Stati membri le necessarie conoscenze tecniche,

coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi che risiedono illegalmente negli Stati membri,

aiutare gli Stati membri che affrontano situazioni in cui è richiesta una maggiore assistenza tecnica e operativa nel quadro del controllo e della sorveglianza delle frontiere esterne dell'UE,

gestire le attrezzature tecniche degli Stati membri (compilazione degli elenchi comuni delle attrezzature e degli appalti di nuove attrezzature tecniche da mettere a disposizione degli Stati membri).

1.7

L'Agenzia coordinerà le proposte di operazioni congiunte e di progetti pilota presentate dagli Stati membri. Essa stessa potrà inoltre avviare iniziative in collaborazione con gli Stati membri. Per l'organizzazione delle operazioni congiunte, l'Agenzia potrà istituire reparti specializzati negli Stati membri.

1.8

Per quanto riguarda il coordinamento e l'organizzazione delle operazioni congiunte di rimpatrio, l'Agenzia fornisce agli Stati membri la necessaria assistenza tecnica, sviluppando a tal fine una rete di punti di contatto, aggiornando sistematicamente l'inventario delle risorse e delle strutture esistenti e a disposizione, oppure preparando raccomandazioni ed orientamenti specifici in materia.

1.9

L'Agenzia può aiutare gli Stati membri che si trovino ad affrontare situazioni che rendono necessaria una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne per le questioni relative al coordinamento.

1.10

L'Agenzia può cofinanziare le operazioni congiunte e i progetti pilota alle frontiere esterne con sovvenzioni dal proprio bilancio, conformemente al suo regolamento finanziario.

1.11

L'Agenzia è un organismo comunitario dotato di personalità giuridica. Essa è indipendente per quanto attiene alle questioni tecniche ed è rappresentata dal proprio direttore esecutivo, nominato dal consiglio di amministrazione.

1.12

Il consiglio di amministrazione è composto da dodici membri e da due rappresentanti della Commissione. Il Consiglio nomina i membri del consiglio d'amministrazione e i supplenti che li rappresenteranno in caso di assenza. La Commissione nomina i propri rappresentanti e i relativi supplenti. Il mandato è di quattro anni, rinnovabile per un secondo termine. Il consiglio di amministrazione prende le sue decisioni a maggioranza assoluta dei suoi membri. Per la nomina del direttore esecutivo, si richiede una maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto.

1.13

L'Agenzia eserciterà le proprie funzioni a partire dal 1o gennaio 2005, con un organico composto da 27 persone e una dotazione di bilancio di 15 milioni di euro per gli anni 2005 e 2006.

1.14

La base giuridica del regolamento che istituisce l'Agenzia è l'articolo 66 del Trattato CE che fa parte dell'acquis di Schengen. Il Regno Unito e l'Irlanda, che non hanno firmato l'Accordo di Schengen, non partecipano dunque all'adozione del regolamento e non sono vincolati dalle relative disposizioni, né soggetti alla sua applicazione. In virtù della propria posizione, la Danimarca deciderà entro un periodo di sei mesi se intende recepire il regolamento nella sua legislazione nazionale.

2.   Osservazioni generali

2.1

Spesso i controlli alle frontiere esterne risultano inefficaci. Le autorità degli Stati membri non sono in grado di assicurare che tutti i cittadini dei paesi terzi entrino nel territorio dello spazio Schengen rispettando le procedure previste dalla legislazione comunitaria e dalle normative nazionali.

2.2

In diversi pareri, il CESE ha chiesto al Consiglio di accelerare i lavori legislativi affinché l'UE disponga di una normativa e di una politica comune in materia di immigrazione e asilo. Il Consiglio tuttavia non tiene nella dovuta considerazione i pareri del Parlamento europeo e del Comitato e pertanto la legislazione adottata non è idonea a garantire che l'immigrazione nell'UE avvenga secondo criteri di legalità e trasparenza. In diversi di questi pareri (1), il CESE ha segnalato che una delle cause principali dell'immigrazione illegale è la mancanza di una politica comune per la gestione dei flussi migratori attraverso canali legali, flessibili e trasparenti. Nel parere in merito alla comunicazione su una politica comune in materia di immigrazione illegale (2), si afferma che il ritardo nell'adozione della legislazione comunitaria rende difficile la gestione dei flussi migratori attraverso canali legali.

2.3

Le persone che si trovano in una situazione di irregolarità sono esposte più di altre allo sfruttamento sul lavoro e all'emarginazione sociale in quanto, pur non essendo persone prive di diritti (3), risentono in modo particolare di tutti i problemi collegati alla loro situazione. Nel parere sul tema «Immigrazione, integrazione, occupazione» (4), il Comitato ha sostenuto che il lavoro sommerso e l'immigrazione clandestina sono chiaramente correlati, e che pertanto è necessario agire per regolarizzare la situazione degli immigrati e far emergere le attività lavorative in nero.

2.4

Il Comitato chiede che l'efficacia dei controlli alle frontiere non pregiudichi il rispetto del diritto di asilo. Molte delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale giungono alle nostre frontiere esterne attraverso canali clandestini. Le autorità devono garantire a queste persone la possibilità di presentare la loro richiesta di protezione, la quale dovrà essere analizzata conformemente alle convenzioni internazionali, alla legislazione comunitaria e alle normative nazionali. In attesa della conclusione delle procedure amministrative e giudiziarie relative alla richiesta di asilo, queste persone non possono essere allontanate e devono godere della necessaria protezione.

2.5

Molto spesso, le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani approfittano dell'inefficacia dei controlli alle frontiere esterne e non esitano a mettere in grave pericolo la vita delle persone per incrementare i loro guadagni illeciti. Nel parere riguardante il «Titolo di soggiorno di breve durata da rilasciare alle vittime dell'immigrazione illegale o della tratta di essere umani» (5), il Comitato ha affermato che le autorità devono proteggere le vittime, soprattutto quelle più vulnerabili (i minori, le vittime della tratta o dello sfruttamento sessuale), con la stessa determinazione con cui combattono le reti criminali che portano avanti la tratta e lo sfruttamento di esseri umani.

2.6

In precedenti pareri, il CESE ha sostenuto che per una buona gestione delle frontiere esterne sono necessarie un'intensa cooperazione tra le autorità di confine degli Stati membri e la collaborazione delle autorità dei paesi di origine e dei paesi di transito, attraverso i funzionari di collegamento.

2.7

Nel già citato parere sull'immigrazione illegale (6), il Comitato ha appoggiato la proposta della Commissione di creare una Guardia di frontiera europea, basata su norme comuni e con un programma di studi armonizzato. Il Comitato ha inoltre affermato che «È necessario, a medio termine, progredire nella creazione di un'Accademia europea della Guardia di frontiera». I controlli alle frontiere vanno eseguiti da personale specializzato nel trattare le persone e con estese conoscenze tecniche. Il CESE ha inoltre giudicato in maniera positiva la creazione di un osservatorio europeo delle migrazioni e lo sviluppo di un sistema di allarme rapido contro l'immigrazione illegale.

2.8

Con il presente parere, il CESE adotta una posizione favorevole nei confronti della creazione di un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, oggetto della proposta di regolamento. È vero che l'Agenzia e i suoi funzionari non avranno poteri esecutivi, né la possibilità di stabilire orientamenti politici e nemmeno la facoltà di presentare proposte legislative, ma grazie alla stessa Agenzia sarà possibile migliorare il coordinamento tra le autorità degli Stati membri e contribuire a rendere più efficaci i controlli alle frontiere esterne. L'articolo 41 del progetto di costituzione per l'Europa riconosce l'importanza della cooperazione operativa tra le autorità degli Stati membri.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Tra i compiti principali dell'Agenzia (articolo 2) vanno inclusi il miglioramento del trattamento riservato alle persone e il rispetto delle Convenzioni internazionali in materia di diritti umani. È particolarmente importante che i controlli alle frontiere siano efficaci ma al tempo stesso rispettosi del diritto di asilo. Tra i programmi di formazione (articolo 5) delle guardie di confine – settore in cui è prevista la collaborazione dell'Agenzia – devono essere compresi i programmi di formazione nel diritto umanitario.

3.2

Tra i compiti dell'Agenzia occorre annoverare anche il coordinamento con i servizi di salvataggio – soprattutto di quelli marittimi – al fine di fare opera di prevenzione e di assistere le persone in pericolo per avere fatto ricorso a canali di immigrazione illegale rischiosi. In alcune occasioni, azioni di polizia in mare hanno provocato il naufragio di piccole imbarcazioni e la perdita di vite umane che sarebbe stato possibile evitare. Il primo dovere delle guardie di confine è di accorrere in aiuto alle persone in difficoltà.

3.3

È previsto che l'Agenzia coordini oppure organizzi operazioni di rimpatrio (articolo 9) usufruendo a tal fine degli strumenti finanziari comunitari. Ricordiamo che nel parere in merito al «Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri» (7) il Comitato ha affermato quanto segue: «Se alla politica di rimpatrio obbligatorio non vengono affiancati provvedimenti di regolarizzazione, la percentuale della popolazione che si trova in situazione irregolare si manterrà ai livelli attuali, favorendo l'economia sommersa, lo sfruttamento della manodopera e l'esclusione sociale».

3.4

Il CESE è d'accordo con la Commissione quando questa sottolinea la necessità di privilegiare il rimpatrio volontario rispetto a quello obbligatorio, che deve essere considerato come una seconda scelta. Il Comitato giudica l'allontanamento forzato una misura estrema cui ricorrere unicamente in via eccezionale. Il Comitato appoggia l'articolo II – 19 del progetto di Costituzione per l'Europa (protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione, prevista dalla Carta dei diritti fondamentali) in cui si vietano le espulsioni collettive e si afferma che nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

3.5

Nel portare avanti le operazioni di rimpatrio, l'Agenzia deve assicurare il rispetto dei principi del diritto umanitario, in particolare del diritto d'asilo. L'Agenzia deve far sì che venga applicato il principio del «non allontanamento» delle persone che nel paese di origine o di transito potrebbero subire persecuzioni, trattamenti inumani o la cui vita potrebbe essere messa seriamente a repentaglio.

3.6

Nel parere sul riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento (8), il CESE ha inoltre invocato il divieto di rimpatriare le persone nei seguenti casi:

qualora il rimpatrio comporti la separazione familiare, da figli o ascendenti,

qualora il rimpatrio comporti un pregiudizio per i minori a carico,

qualora l'interessato sia affetto da grave malattia fisica o psichica,

qualora sussistano gravi rischi per la sicurezza, la vita e la libertà dell'interessato nel paese d'origine o in quello di transito.

3.7

Alle operazioni di rimpatrio potranno collaborare le organizzazioni internazionali (l'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, la Croce Rossa, ecc.).

3.8

L'articolo 17 del regolamento prevede che il consiglio di amministrazione elabori una relazione annuale e la trasmetta al Parlamento europeo, alla Commissione e al Comitato economico e sociale europeo. Il CESE approva il fatto di essere tenuto al corrente delle attività svolte dall'Agenzia e si riserva il diritto di elaborare pareri in merito e di invitare il Direttore alle riunioni pertinenti.

3.9

È opportuno che i membri del consiglio di amministrazione (articolo 18) dispongano delle necessarie conoscenze e di un'adeguata esperienza e agiscano in piena autonomia rispetto ai governi.

3.10

Il CESE approva che entro tre anni dalla data in cui l'Agenzia ha assunto le proprie funzioni (articolo 29) venga effettuata una valutazione esterna e indipendente del suo funzionamento. Su questa base, il consiglio di amministrazione formulerà alla Commissione raccomandazioni in merito alle necessarie modifiche per il miglior funzionamento dell'Agenzia stessa. Il CESE intende elaborare un parere sulle modifiche al regolamento che possano a un dato momento risultare opportune e invita il Parlamento europeo a fare altrettanto.

Bruxelles, 29 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. il parere in merito alla «Comunicazione su una politica comune in materia di immigrazione illegale» - GU C 149 del 21.6.2002 e il parere sul tema «Immigrazione, integrazione e occupazione», adottato dalla sessione plenaria l'11 dicembre 2003.

(2)  Cfr. il primo dei due pareri citati alla nota precedente.

(3)  Idem

(4)  Cfr. il secondo dei due pareri citati alla nota 1.

(5)  GU C 221 del 17.9.2002 .

(6)  Parere citato alla nota 1, cfr. il punto 3.6.4.

(7)  Cfr. il punto 2.4 del parere – GU C 61 del 14.3.2003.

(8)  GU C 220 del 16.9.2003.


30.4.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 108/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema la situazione occupazionale nel settore nell'UE e nei paesi candidati: prospettive di azione per il 2010

(2004/C 108/21)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 gennaio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sulla situazione occupazionale nel settore agricolo nell'UE e nei paesi candidati: prospettive di azione per il 2010.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 dicembre 2003, sulla base del progetto predisposto dal relatore WILMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, nel corso della 405a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 65 voti favorevoli, 2 voti contrari e nessuna astensione.

1.   Introduzione

1.1

L'agricoltura e lo sviluppo rurale sono tra i problemi più urgenti da risolvere nel quadro dell'allargamento ad est dell'UE. L'adeguamento dell'agricoltura dell'Europa centrale ai requisiti dell'UE avrà ripercussioni su quasi tutti gli aspetti della vita nelle zone rurali, con la conseguenza che, nei paesi candidati, queste ultime cambieranno profondamente.

1.2

L'allargamento dell'UE offre però anche la possibilità di risolvere i problemi economici e strutturali dell'agricoltura dell'Europa centrale tramite una politica agricola mirata.

1.3

L'aumento del numero di occupati nel settore agricolo – sia agricoltori che lavoratori dipendenti – in seguito all'ampliamento e il conseguente cambiamento strutturale porteranno ad una maggiore concorrenza tra gli agricoltori e sul mercato del lavoro nel settore agricolo. Questo può avere pesanti ripercussioni sul tessuto economico e sociale del settore agricolo europeo e sui sistemi di sicurezza sociale.

1.4

Nel quadro dell'elaborazione del presente parere il Comitato economico e sociale europeo ha organizzato un'audizione pubblica, in occasione della quale esperti provenienti da diversi paesi candidati hanno fornito informazioni sulla situazione nei loro rispettivi paesi. Sono stati affrontati in particolare i seguenti argomenti:

l'elevato tasso di disoccupazione in agricoltura,

l'elevato tasso di povertà nelle zone rurali e l'esodo da tali aree,

il numero delle persone che emigrano da est a ovest,

le carenze della sicurezza sociale in agricoltura e l'elevata età media degli occupati nel settore agricolo,

l'insufficiente grado di qualificazione degli occupati,

l'insufficiente capitalizzazione delle imprese,

la carenza di strutture nella società civile.

1.5

I contributi erano in contrasto con le relazioni ufficiali della Commissione. È risultato evidente che la popolazione locale, specie nelle zone rurali, considera la situazione molto peggiore di quanto risulti dai documenti della Commissione. Dai contributi emerge però anche l'ottimismo dei cittadini, che dall'adesione all'UE si aspettano un impulso positivo per lo sviluppo.

1.6

Un problema centrale dell'allargamento ad est dell'Unione europea è dato dall'enorme differenza di reddito tra gli attuali e i futuri Stati membri e dall'elevato tasso di occupazione nel settore agricolo nei paesi candidati. Con tutta probabilità le regioni rurali assisteranno a fusioni di aziende agricole e a notevoli trasformazioni strutturali che, se non si interviene, porteranno ad un aumento della disoccupazione nelle aree rurali dei paesi in via di adesione e ad un inasprimento della situazione del mercato del lavoro negli Stati membri attuali.

1.7

Probabilmente aumenteranno anche le differenze tra lo standard di vita nelle metropoli e quello nelle regioni rurali periferiche. Il tasso di disoccupazione in agricoltura è oggi più elevato che in altri settori. Nelle regioni rurali sono quasi inesistenti nuovi posti di lavoro extra-agricoli.

1.8

Ne consegue un ulteriore impoverimento delle zone rurali, e non solo in termini economici. Anche il capitale umano subirà dei cambiamenti. Le persone giovani e qualificate lasceranno queste aree per emigrare in regioni più prospere.

1.9

Nei prossimi anni andranno intensificati gli sforzi per combattere la disoccupazione. In tale contesto occorrerà soprattutto utilizzare in modo più efficace le potenzialità disponibili e adottare approcci politici che, partendo dai programmi e dalle possibilità esistenti, creino sinergie. Le parti sociali, insieme ad altri attori a livello regionale, possono contribuire allo sviluppo e alla realizzazione di nuove idee, grazie alle loro conoscenze ed esperienze in campo aziendale e sulle potenzialità esistenti. Il loro coinvolgimento in programmi più ampi e i loro contatti con amministrazioni di livello più elevato possono aiutarli a realizzare tale obiettivo.

2.   La situazione attuale

2.1   Un'agricoltura competitiva e sostenibile

2.1.1

L'Agenda 2000 ha segnato un cambiamento di rotta nella politica agricola comune. Molti sono scettici sulla strada intrapresa, ma è evidente che, nel contesto dell'ampliamento e a causa della pressione internazionale (negoziati OMC), occorre trovare nuove soluzioni di politica agricola che consentano sia agli attuali Stati membri che ai paesi in via di adesione di praticare un'agricoltura competitiva. In un'agricoltura multifunzionale, il modello della politica agricola è quello di uno sfruttamento sostenibile delle risorse (1).

2.1.2

Attualmente, però, nei paesi candidati sussiste ancora una notevole necessità di adeguare il sistema agricolo per poter soddisfare gli standard dell'UE. Soprattutto l'agricoltura, il pagamento regolare degli aiuti finanziari, gli standard di qualità e l'ambiente sono fonte di serie preoccupazioni (2).

2.2   Un'agricoltura sostenibile è praticabile solo nel quadro di una politica integrata di sviluppo rurale

2.2.1

Sono molti gli attori impegnati nelle zone rurali e numerose sono le possibilità di sostegno disponibili, alcune delle quali, come ad esempio i fondi strutturali, potrebbero essere utilizzate in modo migliore. Va denunciata la mancanza di approcci integrati per un efficace sfruttamento delle potenzialità esistenti.

2.2.2

L'importanza economica dell'agricoltura nelle zone rurali non si limita al settore agricolo in senso stretto. Ogni euro speso in agricoltura produce un valore aggiunto nei settori a monte e a valle, creando così posti di lavoro anche in tali campi. Da ogni posto di lavoro in agricoltura dipendono 4-5 posti di lavoro nei settori a monte e a valle.

2.3   Garantire il reddito degli agricoltori

2.3.1

«Nell'Unione europea dei Quindici i redditi agricoli pro capite hanno evidenziato un andamento piuttosto favorevole dall'inizio del processo di riforma, ma tale andamento favorevole nasconde la crescente importanza dei pagamenti diretti nei redditi degli agricoltori, come pure sensibili variazioni tra paesi, regioni e settori.

2.3.2

Poiché i redditi di mercato non bastano da soli a garantire un tenore di vita accettabile per molte famiglie rurali, i pagamenti diretti continuano ad avere un ruolo cruciale nel garantire un equo tenore di vita e la stabilità dei redditi alla popolazione rurale.» (3)

2.3.3

L'evoluzione positiva dei redditi agricoli non deve tuttavia far dimenticare che in altri settori l'andamento dei redditi è stato più favorevole e che i redditi agricoli non hanno seguito la tendenza generale.

2.4   L'occupazione nel settore agricolo

2.4.1

Con l'adesione dei paesi candidati diminuirà il tasso medio di occupazione e aumenterà quello di disoccupazione. L'agricoltura costituisce un problema particolare. Infatti, mentre nell'UE dei Quindici il tasso di occupazione nel settore agricolo è del 4,1 %, nei dieci paesi in via di adesione si eleva al 13,2 % (20,8 % se si considerano anche la Romania e la Bulgaria). In seguito all'ampliamento (UE-25) esso passerà al 5,5 % (EU-27: 7,6 %). (4)

2.4.2

Se non si interviene, il tasso di disoccupazione nelle zone rurali, oggi già elevato, continuerà ad aumentare.

2.4.3

«Il settore agricolo della maggior parte dei paesi candidati all'adesione andrebbe radicalmente ristrutturato nei prossimi anni (con o senza l'allargamento) il che comporterà pressioni strutturali sulle zone rurali di tali paesi.» (5)

2.4.4

Attualmente, nell'UE dei Quindici, sono ancora circa 5,5 milioni gli agricoltori indipendenti che svolgono la propria attività come imprenditori (nei 10 paesi candidati ce ne sono circa 4 milioni). Il numero dei piccoli agricoltori diminuisce costantemente. Soprattutto nei paesi candidati questo processo accelererà dopo l'allargamento. Nel settore agricolo comunitario ci sono circa 1 milione di aziende padronali (nei 10 paesi candidati circa 80.000).

2.4.5

Nell'UE dei Quindici sono circa 1 milione i lavoratori dipendenti fissi affiliati a un regime di previdenza sociale (nei 10 nuovi Stati membri sono circa 550.000). L'allargamento invertirà la proporzione tra i piccoli agricoltori e i lavoratori dipendenti (più lavoratori dipendenti e meno piccoli agricoltori).

2.4.6

Il Comitato si è occupato più volte della situazione della manodopera stagionale nel settore agricolo. Nonostante i numerosi inviti rivolti alla Commissione in tal senso, non esistono dati precisi sul numero, la provenienza, la retribuzione e le condizioni di vita sociale dei lavoratori stagionali in Europa. Si stima che attualmente nel settore agricolo in Europa ve ne siano circa 4,5 milioni, il che corrisponde ad almeno 100.000 equivalenti a tempo pieno. 420.000 di loro provengono da paesi terzi europei e 50.000 da paesi extraeuropei. Si presume che nei paesi candidati i lavoratori stagionali siano circa 250.000. Inoltre anche in tali paesi sono molti quelli in posizione irregolare, provenienti tra l'altro dalla Russia, dall'Ucraina e dalla Bielorussia.

2.4.7

Desta preoccupazione il numero crescente di immigrati illegali provenienti da paesi terzi, principalmente dalla Russia, dall'Ucraina e dalla Bielorussia. Si è stimato che ve ne siano 250.000 nella sola Repubblica ceca.

2.4.8

Nel quadro dell'audizione è emerso che nei paesi in via di adesione, proprio nel settore agricolo, vi è molta manodopera che non figura nelle statistiche dato che si tratta di collaboratori non retribuiti.

2.4.9

Negli ultimi anni tra il settore pubblico e quello privato si è creata una nuova sfera di attività, quella dell'impegno volontario dei cittadini per il benessere della collettività. Tale impegno ha già dato vita a numerose imprese con un numero crescente di dipendenti. Tradizionalmente queste organizzazioni ed imprese dell'«economia solidale» o del «terzo sistema» (6) sono presenti anche nelle zone rurali. Le associazioni che mirano alla salvaguardia delle tradizioni e della cultura locali, gli enti per la promozione di strutture turistiche e siti culturali, il lavoro giovanile ma anche le cooperative per la commercializzazione congiunta di prodotti agricoli assumono sempre maggiore rilevanza per la vita economica, sociale, culturale ed ecologica delle zone rurali. La Commissione ha già sottolineato ripetutamente l'importanza economica di questo settore (7).

2.4.10

La Commissione, nel quadro della strategia per l'occupazione, ricorda l'importanza della dimensione locale dell'occupazione (8). Le zone rurali continuano ad essere tra le regioni con il maggior tasso di disoccupazione e il più basso livello di prosperità. Ciò nonostante mancano strategie per l'attuazione delle iniziative locali per l'occupazione nelle zone rurali. Anche nei programmi d'azione nazionali e locali per l'occupazione le zone rurali e il settore agricolo non vengono considerati affatto, o solo in modo marginale.

2.5   I redditi agricoli

2.5.1

I redditi agricoli variano già sensibilmente da una regione all'altra degli attuali Stati membri, ma con l'allargamento le differenze a livello di redditi delle imprese e dei lavoratori aumenteranno ulteriormente.

2.5.2

«Assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola e contribuire alla stabilità dei redditi agricoli permangono obiettivi chiave della PAC». (9) Tuttavia è presumibile che proprio i redditi delle imprese più piccole subiranno delle perdite.

2.5.3

Il Comitato ha ripetutamente criticato e deplorato il fatto che i rapporti della Commissione non vertano anche sui lavoratori agricoli, sebbene anch'essi siano direttamente interessati da tutte le trasformazioni economiche e strutturali. Ad esempio, non è stato elaborato alcun rapporto sulle variazioni di reddito dei lavoratori agricoli e di quanti lavorano per le imprese di servizi agricoli né sulla loro situazione sociale.

2.5.4

A lungo termine il diverso grado di prosperità delle regioni europee può costituire una minaccia per gli accordi settoriali, e quindi per i contratti collettivi in generale. Meno le parti sociali hanno la possibilità di risolvere certe questioni nel quadro di una libera contrattazione, più è necessario un intervento regolatore da parte dello Stato, ad esempio sotto forma di regolamenti, decreti e regolamentazioni sui salari minimi, allo scopo di evitare un impoverimento generale.

2.5.5

Mentre in paesi dell'Europa nord-occidentale quali i Paesi Bassi e la Danimarca il livello dei salari è relativamente elevato, esso scende a nemmeno un quarto in paesi dell'Europa centro-orientale come la Slovenia e la Polonia. Nei paesi dell'Europa centrale situati direttamente lungo la «frontiera della prosperità» quali la Germania, l'Austria e l'Italia settentrionale, queste differenze provocheranno delle distorsioni della struttura salariale.

2.5.6

Gli accordi collettivi vengono conclusi a livelli diversi a seconda dei paesi. Mentre nei Paesi Bassi, ad esempio, i contratti sono stabiliti livello centrale, in Germania vi è un accordo quadro a livello federale, che viene poi attuato a livello regionale. In alcuni Stati gli accordi collettivi vengono conclusi solo a livello regionale o addirittura aziendale.

2.5.7

Varia anche l'influenza dello Stato sulle contrattazioni collettive. Mentre in Austria e in Germania, ad esempio, le parti interessate contrattano le proprie condizioni in modo autonomo, nel Regno Unito le contrattazioni possono essere influenzate dallo Stato.

2.5.8

In molti paesi la soglia minima di reddito è determinata da un salario minimo prestabilito. Minore è l'influsso dei sindacati e delle organizzazioni padronali sulla definizione dei contratti collettivi, maggiore è il bisogno di una regolamentazione legislativa.

2.5.9

Nei paesi in via di adesione è molto difficile concludere e attuare contratti collettivi. A livello regionale e nazionale tali accordi sono solo agli inizi.

2.5.10

Nel settore agricolo le parti sociali, con un accordo che ha carattere di raccomandazione, hanno ribadito fra l'altro l'importanza di una regolamentazione flessibile dell'orario di lavoro per l'occupazione nelle imprese delle zone rurali e hanno formulato una raccomandazione sull'orario di lavoro annuale previsto per legge.

2.5.11

La struttura salariale e il livello delle retribuzioni degli occupati nel settore agricolo dipendono da meccanismi nazionali che, con l'allargamento, andrebbero rivalutati e sviluppati sia negli attuali che nei futuri Stati membri.

2.6   Criteri sociali nel quadro di un'agricoltura sostenibile

2.6.1

Con l'agricoltura sostenibile si cerca di raggiungere un equilibrio tra le dimensioni sociale, economica ed ambientale. Il dibattito sulla dimensione sociale, sui suoi parametri ed indicatori è appena iniziato. Vi sono ancora molte incertezze su cosa sia effettivamente e su cosa potrebbe essere la sostenibilità sociale. Finora il dibattito viene portato avanti soprattutto nel mondo scientifico e dai vertici di alcune imprese, senza tener conto del principio fondamentale della partecipazione e senza coinvolgere gli attori interessati. C'è da chiedersi, quindi, se i risultati godranno del consenso necessario per la loro attuazione.

2.7   Sicurezza sociale

2.7.1

La sicurezza sociale in Europa ha una struttura complessa e l'integrazione europea non contribuisce certo a semplificarla. Ogni paese sviluppa i propri sistemi in base alla sua cultura e alle sue tradizioni: la sicurezza sociale è di competenza nazionale.

2.7.1.1

In molti Stati membri dell'UE si pone la questione del finanziamento a lungo termine dei sistemi di sicurezza sociale.

2.7.1.2

I paesi in via di adesione hanno riformato o stanno riformando i sistemi di sicurezza sociale. In una situazione caratterizzata da redditi modesti e da un'elevata disoccupazione, il passaggio da sistemi puramente statali a strutture indipendenti con sistemi di tipo contributivo porta ad assicurazioni sociali sottocapitalizzate. Di conseguenza, la tutela previdenziale di anzianità per gli agricoltori dipendenti e autonomi non è garantita in misura sufficiente.

2.7.2

Nei paesi in via di adesione il livello delle pensioni nel settore agricolo è molto basso, il che costringe molti pensionati a cercare un'attività per potersi garantire il sostentamento. Non si prevede un adeguamento all'evoluzione generale delle pensioni. Nel corso dell'audizione è stato ricordato che la situazione degli agricoltori che sono rimasti disoccupati negli anni della transizione è particolarmente problematica. Nel loro caso le difficoltà sociali saranno particolarmente gravi.

2.7.3

La previdenza sociale è disciplinata in modo diverso a seconda dei paesi. Spesso si basa su una combinazione di vari pilastri:

pensioni statali,

assicurazioni obbligatorie,

pensioni integrative negoziate nel quadro dei contratti collettivi e

regimi privati.

2.7.4

Dato che i redditi agricoli sono modesti, le possibilità di optare per regimi privati sono limitate, ragion per cui, per migliorare le prestazioni minime previste per legge, sono molto importanti soprattutto le pensioni integrative contrattuali; ne esistono in Germania, Francia e Paesi Bassi.

2.7.5

Anche i sistemi di sicurezza sociale devono tener conto della crescente mobilità transnazionale della manodopera. I lavoratori migranti e stagionali, ad esempio, in genere non vengono nemmeno contemplati dalle assicurazioni pensionistiche. In questo settore rimane quindi ancora molto da fare.

2.7.6

Il lavoro nelle campagne cambia anche dal punto di vista qualitativo e la qualità va considerata anche in termini di sostenibilità e deve soddisfare i criteri stabiliti in tal senso. Le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire il rinnovamento della manodopera.

2.7.7

Nei paesi candidati non si è ancora proceduto all'ammodernamento dei sistemi di salute e sicurezza sul lavoro. Nonostante tutti gli sforzi, gli incidenti che coinvolgono i bambini e i giovani che svolgono un'attività agricola continuano ad essere frequenti.

2.7.8

La debolezza dei sistemi di sicurezza sociale nei paesi dell'Europa centrale contribuisce in misura non trascurabile a determinare il ruolo preponderante dell'economia di sussistenza in tali paesi. In Polonia, ad esempio, su 4 milioni di persone che svolgono un'attività agricola circa 900.000 sono in età pensionabile.

2.7.9

Nel corso dell'audizione molti partecipanti hanno sottolineato l'elevata età media dei lavoratori agricoli e le conseguenze che ne derivano. A lungo termine tale struttura demografica porta ad una carenza di manodopera specializzata qualificata.

2.8   Formazione e perfezionamento professionale

2.8.1

Le strategie europee accordano un'importanza particolare ad una formazione adeguata. Vi è un nesso causale tra il numero dei posti di lavoro, la loro qualità e la formazione della manodopera. Per tale motivo è particolarmente importante promuovere la qualificazione professionale.

2.8.2

Per il rinnovamento della manodopera impiegata nel settore agricolo è necessaria una solida formazione di base dei giovani che intendono svolgere tale attività. La formazione dev'essere strutturata in modo da fornire non solo elevate competenze specialistiche, ma anche un ampio spettro di conoscenze che consentano alla manodopera di lavorare in altri settori o in altri paesi.

2.8.3

Le parti sociali, mediante un accordo sulla formazione professionale concluso nel quadro del dialogo sociale, hanno stabilito le misure da adottare per migliorare la formazione professionale, specificando come si possano creare diplomi professionali trasparenti per tener conto della crescente mobilità della manodopera (10).

2.8.4

Il tasso di partecipazione dei lavoratori agricoli a misure di qualificazione professionale è inferiore alla media di tutti gli altri lavoratori dell'UE. Nei paesi candidati vi è un'enorme necessità di adeguare le qualifiche alle nuove tecniche, alle moderne tecnologie e ai nuovi mercati, nonché alle competenze e ai contenuti economici e sociali.

2.8.5

Al giorno d'oggi per gestire un'azienda agricola non bastano le conoscenze specialistiche tramandate in campo agricolo. Con i continui cambiamenti tecnici, ecologici, economici e sociali si pretende sempre di più dai dirigenti aziendali. Soprattutto le regioni con imprese più grandi hanno bisogno di giovani imprenditori. Nei nuovi Länder tedeschi, ad esempio, presto mancheranno dirigenti in grado di portare avanti con successo le imprese. Probabilmente tra breve anche nei paesi in via di adesione si registrerà una tendenza analoga.

2.8.6

In quasi tutte le regioni rurali della Comunità europea, ma soprattutto nelle aree periferiche e scarsamente popolate, vi è il problema dell'esodo delle persone più giovani e più mobili. Restano soprattutto i più anziani, che spesso rischiano la solitudine e l'impoverimento intellettuale. Invecchiare in modo dignitoso significa anche poter partecipare alla società della formazione e dell'informazione. Le attività di formazione rivolte agli anziani devono

sfruttare le esperienze di decenni di attività agricola,

aiutare ad integrare le necessità degli anziani nella vita quotidiana,

incoraggiare gli anziani a partecipare alla vita sociale e

prevenire la solitudine e l'impoverimento intellettuale.

Nelle regioni rurali esiste già un forte impegno di volontariato in questo settore. Ciò che manca è il coordinamento delle attività e un'integrazione mirata della formazione degli anziani nei programmi europei, ad esempio nel quadro del FSE e di Leader.

2.9   Codecisione e partecipazione

2.9.1

Negli ultimi anni nell'Unione europea è andato sviluppandosi un modello sociale in grado di offrire possibilità di partecipazione al maggior numero possibile di attori. Le parti sociali svolgono un ruolo particolare in tale contesto e, mediante accordi conclusi nel quadro del dialogo sociale o a livello aziendale, contribuiscono ad un ulteriore sviluppo del modello sociale europeo. In tale concezione di base rientrano anche le questioni non direttamente legate al commercio («non-trade concerns»), che sono destinate ad acquistare un'ulteriore importanza anche nel quadro della protezione esterna dell'UE. È il caso ad esempio degli accordi tra imprese, sindacati e altre organizzazioni non governative sul rispetto di standard sociali e ambientali elevati nel quadro delle certificazioni. In agricoltura e in silvicoltura il programma Flower label e il marchio del Forest Stewardship Council (FSC) costituiscono un inizio promettente.

2.9.2

Con l'elaborazione di programmi europei si sono aperte nuove possibilità di partecipazione, ad esempio nel quadro del Fondo sociale europeo, dei comitati di sorveglianza dei fondi strutturali e dei gruppi di azione locale di Leader. Tuttavia va segnalato che in tali organi le parti sociali, e in particolare i lavoratori, sono sottorappresentate e vi è un eccessivo intervento delle autorità.

2.9.3

La codecisione aziendale è poco diffusa nelle aziende agricole a causa della loro struttura di piccole imprese. Solo in un numero molto limitato di imprese di dimensioni maggiori esistono organi di codecisione. Nei paesi in via di adesione, ove si sono sviluppate imprese più grandi, resta ancora molto da fare per creare tali organi.

2.9.4

Dato che in agricoltura la codecisione aziendale è limitata a poche imprese, quella interaziendale acquista un'importanza maggiore. In alcuni Stati membri (p. es. in Francia) esistono strutture paritetiche, quali camere o associazioni, che offrono possibilità di partecipazione nel settore della qualificazione professionale e dell'occupazione.

2.9.5

Oltre ai lavori svolti nel quadro della codecisione istituzionalizzata, le parti sociali partecipano sempre più ad un ulteriore sviluppo della società civile. In tale contesto i membri delle diverse organizzazioni danno prova di capacità di cooperazione e di comunicazione e contribuiscono a modificare strutture obsolete. Possono quindi nascere nuove idee, prodotti e mercati per le imprese e nuovi posti di lavoro.

3.   Scenario ipotizzato per il 2010

3.1.1

La storia dell'Unione europea insegna che gli scenari auspicati possono diventare realtà se vengono fissati degli obiettivi e se tutti sono disposti ad intraprendere un'azione comune. Anche il presente parere fa ricorso ad uno scenario corredato da prospettive di azione concrete.

3.2   Il Comitato vuole un'agricoltura competitiva e sostenibile caratterizzata da occupazione ed equilibrio sociale

3.2.1

Vi è un'agricoltura sostenibile praticata secondo criteri di sostenibilità. In questo contesto, per agricoltura sostenibile si intende un processo continuo mediante il quale, in un dialogo costante tra le parti interessate, viene conseguito l'obiettivo di un rapporto equilibrato tra gli aspetti economici, ambientali e sociali.

3.2.2

L'occupazione nel settore agricolo subisce ulteriori trasformazioni. Accanto alle imprese agricole con dipendenti fissi affiliati ad un regime di previdenza sociale, per soddisfare in modo flessibile le esigenze di produzione vi sono anche lavoratori stagionali e imprese di servizi agricoli.

3.2.3

Nel quadro del commercio mondiale si applicano condizioni di concorrenza eque, fra cui gli standard sociali e ambientali nei paesi in via di sviluppo.

3.3   Il Comitato chiede una politica integrata per le zone rurali che tenga conto delle ripercussioni sui settori a monte e a valle

3.3.1

La seconda conferenza europea sullo sviluppo rurale tenutasi a Salisburgo nel 2003 ha fornito un impulso decisivo alla ridefinizione della politica di sviluppo delle zone rurali. In tutta l'Unione europea non si è svalutata l'agricoltura e si è riusciti a garantire che essa riceva il necessario finanziamento da parte dell'UE, integrato dai bilanci nazionali. Il sistema, un tempo complicato e inflessibile, è stato semplificato, garantito ed esteso oltre il precedente quadro di sostegno agricolo.

3.4   Il Comitato chiede che venga introdotto un sistema di sostegno unico a livello europeo in grado di garantire il reddito degli agricoltori

3.4.1

Nel 2010 il processo di adeguamento dell'agricoltura nei nuovi Stati membri è ultimato ed esiste un unico sistema di sostegno. Il reddito degli agricoltori è garantito. Grazie ad un'agricoltura multifunzionale gli agricoltori accedono a nuove fonti di reddito. Le sovvenzioni erogate in base ai quantitativi prodotti vengono ridotte ulteriormente, a vantaggio di un sostegno ai redditi agricoli orientato alle prestazioni.

3.4.2

Le imprese si adeguano per tempo ai continui cambiamenti strutturali e, pertanto, svolgono sempre più anche attività che non rientrano nell'agricoltura tradizionale.

3.4.3

Tra i meccanismi di sostegno orientati alle prestazioni figurano tra l'altro le misure ambientali e la messa a disposizione di terre e strutture per il turismo.

3.4.4

I produttori agricoli che intendono cessare la propria attività e i lavoratori che abbandonano il settore agricolo hanno la possibilità di partecipare a misure occupazionali e di qualificazione professionale.

3.5   Il Comitato prevede un aumento dell'occupazione nel settore agricolo

3.5.1

La trasformazione giuridica delle imprese agricole e dei rapporti di proprietà dei terreni agricoli è stata ultimata e in agricoltura tutte le forme giuridiche hanno gli stessi diritti. Complessivamente l'occupazione degli imprenditori e dei lavoratori dipendenti nel settore agricolo (compreso il lavoro stagionale e le imprese di servizi agricoli) è in aumento. Vengono creati fondi regionali con la partecipazione delle parti sociali per promuovere l'occupazione e la qualificazione professionale.

3.5.2

I vari strumenti di sostegno vengono utilizzati in modo efficace. Nell'allocazione dei vari finanziamenti pubblici viene applicato il criterio del mantenimento a lungo termine dei posti di lavoro esistenti e della creazione di nuovi posti di lavoro.

3.5.3

Il lavoro stagionale viene calcolato in equivalenti a tempo pieno ed è monitorato nel quadro della valutazione dell'occupazione. I rapporti di lavoro illegali sono stati trasformati in contratti legali.

3.6   Il Comitato auspica che le parti sociali concludano accordi collettivi che garantiscono un reddito adeguato

3.6.1

Per i lavoratori vi sono i contratti collettivi; tali contratti vengono applicati ovunque e i salari minimi stabiliti dallo Stato sono un'eccezione. Le retribuzioni sono tali da garantire ai lavoratori un reddito adeguato. (11)

3.7   Il Comitato chiede la parità di trattamento per i lavoratori stagionali

3.7.1

Anche ai lavoratori stagionali e migranti si applicano i contratti collettivi. Tutti i lavoratori hanno a disposizione alloggi dignitosi e sono assicurati presso un ente previdenziale contro il rischio di povertà durante la vecchiaia.

3.7.2

È obbligatorio fornire ai lavoratori stagionali istruzioni nella loro lingua materna in merito alle disposizioni di sicurezza sul lavoro. Il Comitato è consapevole del fatto che ciò non è sempre facile ed esorta l'associazione europea degli enti previdenziali di categoria e gli istituti assicurativi contro gli infortuni ad affrontare questa problematica e a presentare proposte di soluzione.

3.7.3

L'occupazione illegale non esiste più.

3.7.4

Se le imprese hanno bisogno di manodopera supplementare si possono emanare disposizioni per i salariati provenienti da paesi extracomunitari.

3.8   Il Comitato auspica che vengano elaborati criteri ed indicatori sociali per la certificazione delle aziende agricole a titolo principale quale contributo ad un'agricoltura sostenibile

3.8.1

Un contributo essenziale allo sviluppo sostenibile dell'agricoltura è dato dall'introduzione della certificazione delle aziende agricole a titolo principale. Nel quadro dell'introduzione di un siffatto strumento in tutta l'UE vengono definiti criteri ed indicatori sociali.

3.9   Il Comitato prevede che nel settore agricolo verranno creati posti di lavoro attraenti grazie a sistemi di sicurezza sociale efficienti

3.9.1

I sistemi previdenziali nel settore agricolo proteggono i lavoratori dal declino sociale e dall'emarginazione.

3.9.2

La tutela previdenziale di anzianità per gli agricoltori e i lavoratori agricoli garantisce un sostentamento adeguato (12) nella vecchiaia. Uno schema di prepensionamento consente di affrontare in modo dignitoso la terza età.

3.9.3

Affinché i lavoratori agricoli possano raggiungere l'età pensionabile in buone condizioni di salute, l'ambiente di lavoro durante tutta la loro vita professionale dev'essere improntato ad uno sviluppo sostenibile della forza lavoro. Nel quadro di una strategia europea sono stati adottati strumenti e disposizioni efficaci. La strategia europea viene integrata da strategie nazionali per la protezione sul lavoro nel settore agricolo.

3.9.4

In Europa i sistemi nazionali di sicurezza sociale per gli agricoltori sono strutturati in modo trasparente e sono compatibili tra loro, consentendo così eventuali passaggi da un sistema all'altro.

3.10   Il Comitato si aspetta una strategia settoriale in materia di apprendimento permanente a sostegno dell'occupazione

3.10.1

Viene attuata una strategia settoriale in materia di apprendimento permanente fondata sui seguenti pilastri:

formazione professionale di base,

perfezionamento professionale in agricoltura per i lavoratori dipendenti,

promozione dello spirito imprenditoriale nel settore agricolo,

apprendimento in età avanzata.

3.10.2

L'attuazione della strategia e una rete di enti di formazione delle parti sociali nelle zone rurali hanno fatto aumentare la domanda di azioni di formazione in agricoltura.

3.10.3

Viene attuato l'accordo delle parti sociali sulla formazione professionale e le autorità competenti partecipano in modo adeguato alla sua applicazione.

3.10.4

Le misure attuate beneficiano di aiuti finanziari comunitari a titolo del FES, della PAC e di Leader, e di un cofinanziamento nazionale.

3.10.5

Grazie a concorsi transfrontalieri ed europei è possibile migliorare l'immagine delle professioni agricole e forestali. In tale ambito rientrano anche strumenti mirati per il sostegno di persone singole e borse di studio.

3.11   Il Comitato esige che gli attori della società civile vengano coinvolti nello sviluppo sostenibile delle zone rurali

3.11.1

Nel quadro di una «nuova partecipazione» in Europa gli attori della società civile, a livello nazionale e regionale, collaborano allo sviluppo sostenibile delle zone rurali. Un aspetto fondamentale di tale sviluppo è un'agricoltura orientata a criteri di sostenibilità.

3.11.2

Vengono elaborate linee guida per un'agricoltura sostenibile. Il settore agricolo deve risolvere i conflitti di obiettivi in modo responsabile, assieme agli attori della società civile, affinché lo sfruttamento delle risorse tenga conto anche delle esigenze economiche.

3.11.3

Un obiettivo dello sviluppo sostenibile consiste nell'impedire lo spopolamento delle zone rurali.

3.11.4

In tutti gli Stati membri esistono strumenti che consentono un dialogo sociale nel settore agricolo a livello nazionale e regionale.

3.11.5

La legislazione è tale da consentire un'efficace rappresentanza degli interessi dei lavoratori nelle imprese.

4.   Prospettive d'azione

4.1   Un'agricoltura competitiva e sostenibile

4.1.1

Nell'UE l'agricoltura è una delle principali attività di sfruttamento del territorio e, nel quadro dello sviluppo sostenibile dell'Europa, svolge un ruolo particolare. Questo giustifica una strategia settoriale a favore di un'agricoltura sostenibile a complemento della strategia europea per lo sviluppo sostenibile.

La Commissione definisce la strategia con gli attori della società civile delle zone rurali. La strategia costituisce tra l'altro la base per il dibattito sulla definizione del nuovo periodo di programmazione degli aiuti comunitari dopo il 2007.

La strategia per un'agricoltura sostenibile può essere efficace solo se gode di un ampio sostegno. Per tale motivo si esorta la Commissione ad elaborare un programma per diffondere la strategia, nonché a finanziare attività a tal fine, ad esempio seminari e pubblicazioni. Gli attori della società civile nelle zone rurali sono invitati a contribuire attivamente all'attuazione della strategia.

4.1.2

Anche nel quadro dei negoziati dell'OMC si deve tener conto del modello di un'agricoltura sostenibile. In tale contesto è indispensabile una produzione di alimenti sani a un prezzo equo e occorre concordare e rispettare requisiti minimi in campo sociale e ambientale.

4.2   Uno sviluppo rurale integrato

4.2.1

La Commissione deve insistere a tutti i livelli operativi, più di quanto non sia avvenuto finora, su un orientamento comune degli aiuti. Ciò presuppone la partecipazione di tutti gli attori, una formulazione chiara degli obiettivi e un impatto duraturo delle risorse impiegate.

4.3   Garantire i redditi agricoli

4.3.1

La progressiva armonizzazione della politica agricola dell'UE dei Quindici e dei nuovi Stati membri è destinata a garantire l'occupazione e il reddito dei lavoratori agricoli dipendenti e degli agricoltori autonomi. Un importante strumento in tale contesto è la modulazione. Occorre inoltre rafforzare ulteriormente il sostegno allo spazio rurale al fine di creare nuove fonti di reddito per le aziende agricole.

Gli aiuti erogati nel quadro della PAC dovrebbero essere diretti ai due obiettivi seguenti: da un lato sostenere le imprese con nuove idee imprenditoriali mediante finanziamenti transitori e, dall'altro, finanziare direttamente le prestazioni non commerciabili ma socialmente necessarie e volute (come ad esempio le misure di rinaturalizzazione di siti paesaggistici).

Il programma Leader va orientato maggiormente alla partecipazione delle parti sociali a livello locale, all'occupazione e ad uno sviluppo sostenibile.

Nel quadro di Leader andrebbe prevista la possibilità di sostenere misure a favore dell'occupazione e della qualificazione professionale degli agricoltori che vogliono o devono cessare la loro attività, onde evitare che si ritrovino disoccupati. Per i paesi in via di adesione si deve procedere ad analoghi adeguamenti dei programmi.

4.4   Aumento dell'occupazione nel settore agricolo

4.4.1

La dimensione locale dell'occupazione è particolarmente evidente nelle regioni rurali. Laddove l'insediamento di grandi imprese non agricole è pressoché inesistente, i lavoratori e le imprese locali devono preoccuparsi direttamente dei loro futuri posti di lavoro ed elaborare strategie comuni. Occorre sviluppare ulteriormente e coordinare meglio gli approcci adottati finora dalla Commissione nel quadro di Leader e dell'iniziativa europea a favore dell'occupazione. Gli attori locali, però, non vengono ancora coinvolti sufficientemente nella definizione dei vari processi a livello locale. I comuni e le regioni (NUTS 1 e NUTS 2) devono recuperare parecchio terreno sul piano della partecipazione. Per realizzare lo scenario prospettato è necessario avviare le seguenti misure:

nel quadro dei vari strumenti comunitari (PAC, Leader, occupazione locale) va prestata maggiore attenzione all'impatto sull'occupazione nelle zone rurali,

occorre definire ed attuare un programma per le parti sociali nelle zone rurali destinato a promuovere l'occupazione a livello locale nel quadro della strategia europea per l'occupazione,

la Commissione deve insistere affinché nei programmi d'azione nazionali e locali per l'occupazione si tenga conto della situazione occupazionale nelle regioni rurali e nel settore agricolo,

nel quadro dei programmi di sostegno comunitari va accordata un'importanza particolare allo sviluppo del «terzo sistema» per la stabilità delle condizioni economiche, sociali e culturali nelle zone rurali. In questo campo vi sono ancora molti settori (sostegno della società civile) in cui si apriranno nuove prospettive occupazionali. Vi è una grande necessità di interventi in tal senso soprattutto nei paesi in via di adesione, in quanto il «terzo sistema» e l'economia solidale non sono ancora ben sviluppati,

i programmi europei devono promuovere fondi locali per la formazione e l'occupazione con l'aiuto dei quali le parti sociali possono avviare iniziative in tali settori.

4.5   Le parti sociali concludono contratti collettivi

4.5.1

Con l'aiuto della PAC viene garantito il reddito delle aziende agricole. Anche i lavoratori agricoli devono poter beneficiare dell'andamento generale dei redditi, sulla base di contratti collettivi concordati dalle parti sociali. Regolamentazioni statali come quelle relative ai salari minimi devono essere un'eccezione: lo Stato deve intervenire solo in assenza di contrattazioni.

L'evoluzione salariale e dell'occupazione nel settore agricolo e la situazione dei lavoratori stagionali e migranti rivestono un particolare interesse nel quadro dell'unità economica e sociale dell'UE a 25. Per tale motivo va istituito un osservatorio per il monitoraggio dei contratti collettivi, dell'occupazione e del lavoro stagionale cui spetti il compito di analizzare l'impatto dell'allargamento sui redditi e sulla situazione socioeconomica dei lavoratori nonché sull'ulteriore sviluppo sociale nel settore agricolo. L'osservatorio si prefigge i seguenti obiettivi: osservare la situazione, fornire indicazioni alle parti sociali, alla Commissione, ai governi ecc., individuare approcci e scelte operative. Il Comitato esorta il comitato paritetico agricolo a svolgere la funzione di osservatorio.

Le relazioni della Commissione devono contenere anche indicazioni sul reddito dei lavoratori.

Nel quadro del dialogo sociale vanno promossi incontri di informazione sullo stato degli accordi collettivi tra le parti sociali negli Stati membri e nei paesi in via di adesione.

Nei paesi candidati il partenariato sociale non è ancora sviluppato in modo tale da consentire che tutti i settori siano coperti da contratti collettivi. In questo campo la Commissione deve continuare a fornire un sostegno (soprattutto finanziario).

4.6   Il lavoro stagionale

4.6.1

Per evitare distorsioni sui mercati del lavoro agricolo in Europa occorre disciplinare il lavoro stagionale anche dopo l'adesione dei paesi dell'Europa centrale all'UE.

Con il sostegno della Commissione le parti sociali, nel settore agricolo, dovranno concordare standard minimi per il trattamento e l'alloggio dei lavoratori stagionali.

Permane la necessità di introdurre una tessera per i lavoratori stagionali e migranti valida in tutta Europa (13). Tale tessera non va intesa come un passaporto; il suo compito sarà piuttosto quello di fornire ai lavoratori e ai datori di lavoro interessati informazioni utili, ad esempio sulle qualifiche professionali e sulla sicurezza sociale.

Se dopo l'ampliamento l'agricoltura avesse ancora bisogno di manodopera stagionale supplementare proveniente da paesi terzi, si dovrà elaborare una regolamentazione europea che garantisca un equilibrio tra gli interessi delle parti sociali e quelli degli Stati membri.

4.7   Introdurre criteri e indicatori sociali per la certificazione delle aziende agricole a titolo principale

4.7.1

La produzione agricola è un elemento fondamentale per lo sviluppo sostenibile delle zone rurali. Sempre più consumatori esigono la trasparenza dei processi agricoli e gli agricoltori sono sempre più ricettivi a tali richieste di una produzione trasparente. A tal fine esistono numerosi approcci. La messa a punto e l'introduzione di sistemi di certificazione con la partecipazione delle parti sociali sono indispensabili per un'agricoltura sostenibile in Europa.

Sistemi di certificazione, label e marchi di qualità sono un elemento essenziale dell'agricoltura sostenibile. Nel sistema di certificazione occorre pertanto integrare anche criteri e indicatori sociali.

Nel quadro dei meccanismi di condizionalità le aziende devono essere valutate in base al principio delle «buone pratiche agricole». Si possono ottenere delle buone pratiche agricole solo se tutte le parti che partecipano al processo di produzione sono adeguatamente preparate e qualificate per le future mansioni. Nella definizione delle «buone pratiche agricole» vanno previsti criteri in tal senso (14).

Il sistema di consulenza aziendale (farm advisory system) proposto dalla Commissione dovrebbe consentire un continuo miglioramento delle condizioni economiche, ambientali e sociali delle aziende. Nel quadro di tale sistema, oltre alla consulenza aziendale andrebbe organizzato anche un servizio di consulenza indipendente destinato ai lavoratori per prepararli al futuro (15).

Nel settore agricolo il dialogo sociale a livello europeo è soddisfacente. In questo contesto andrebbero immediatamente elaborati indicatori e criteri sociali a scopo orientativo per sviluppare approcci comuni per un'agricoltura sostenibile. Tali indicatori e criteri sociali, che vanno discussi con le ONG, le organizzazioni per la tutela dei consumatori ecc. per ottenere un ampio consenso, dovrebbero servire da orientamento per i processi attuati a livello regionale.

4.8   I sistemi di sicurezza sociale in un'agricoltura sostenibile

4.8.1

In molti paesi europei le imprese lamentano la mancanza di manodopera agricola specializzata. Una delle ragioni è da ricercarsi nella scarsa attrattività dei posti di lavoro in agricoltura rispetto ad altri settori, per es. per il livello di retribuzione inferiore e per il lavoro fisico spesso pesante richiesto. Un modo per rendere più interessante l'attività agricola agli occhi di chi aspira a tale professione è quello di migliorare i sistemi di sicurezza sociale.

Nel quadro della PAC vanno estese le norme sul prepensionamento per consentire ai lavoratori e agli imprenditori agricoli di andare in pensione in condizioni dignitose. Per i paesi candidati questo avviene nel quadro di appositi programmi. Tenuto conto soprattutto dell'invecchiamento demografico nel settore agricolo nei PECO, anche in tali paesi sono necessarie disposizioni in tal senso.

Va attuata la convenzione OIL (n. 184) sulla sicurezza e la salute in agricoltura. La Commissione si adopera affinché gli Stati membri elaborino ed attuino strategie nazionali per la sicurezza sul lavoro nel settore agricolo.

È necessaria un'iniziativa di ampia portata per informare i lavoratori migranti su come migliorare la propria protezione sociale. Il Comitato esorta la Commissione a coordinare e a sostenere, mediante un contributo finanziario, una campagna di informazione con la partecipazione degli enti previdenziali e delle parti sociali.

Anche in futuro gli Stati membri devono continuare ad assumersi la responsabilità per i sistemi di sicurezza sociale.

Dei servizi di assistenza alle imprese sostengono i piccoli imprenditori agricoli qualora il direttore dell'azienda non sia più disponibile.

4.9   Una strategia settoriale per l'apprendimento permanente nel settore agricolo

4.9.1

Per migliorare l'occupazione nel settore agricolo e nelle zone rurali vanno compiuti maggiori sforzi per innalzare il livello dell'istruzione. Oltre ad un miglioramento qualitativo dell'offerta occorre soprattutto stimolare la domanda di formazione. Tali sforzi devono iscriversi nel quadro di una strategia settoriale per l'apprendimento permanente, contribuendo così a realizzare un'economia basata sulla conoscenza, come previsto dalla strategia di Lisbona.

La Commissione, con la partecipazione delle parti sociali, elabora una strategia a quattro pilastri (formazione professionale di base, perfezionamento professionale, promozione dello spirito imprenditoriale, apprendimento in età avanzata) per l'apprendimento permanente nel settore agricolo. Tale strategia dev'essere cofinanziata mediante fondi europei a titolo, tra l'altro, del FSE e della PAC.

La strategia a favore dell'apprendimento permanente deve prevedere anche una consulenza in materia di formazione per gli agricoltori e i lavoratori agricoli. Il finanziamento può avvenire nel quadro della PAC e gli stanziamenti andrebbero erogati sotto forma di aiuti tecnici. Va prevista inoltre la partecipazione delle parti sociali ai servizi di consulenza.

La trasmissione delle conoscenze è affidata ad una rete europea di formazione professionale sostenuta dalla Commissione e formata da organismi delle parti sociali attivi nel settore della formazione e dell'occupazione.

Le risorse finanziarie provengono da fondi regionali.

4.10   Gli attori della società civile contribuiscono a definire lo sviluppo sostenibile nelle zone rurali

4.10.1

Il processo di sviluppo dei rapporti di lavoro tra le parti sociali nel settore agricolo varia notevolmente da uno Stato membro all'altro. L'UE dovrebbe promuovere lo sviluppo del dialogo sociale mediante misure adeguate.

La Commissione è invitata ad analizzare e valutare esempi di buone pratiche in materia di rapporti di lavoro e a diffonderne i risultati.

La Commissione dovrebbe fornire alle parti sociali dei paesi candidati le risorse finanziarie necessarie per poter continuare a promuovere approcci positivi e innovativi al partenariato sociale.

4.10.2

In quanto attori di primo piano, le parti sociali vanno prese in considerazione e coinvolte nella promozione della società civile nel quadro dello sviluppo sostenibile delle zone rurali. Vanno create nuove possibilità di coinvolgimento per accrescere ulteriormente la partecipazione della società civile.

Il dialogo settoriale in agricoltura a livello degli Stati membri e delle regioni consente di sfruttare gli effetti sinergici. Si esorta la Commissione a istituire organismi di dialogo nel quadro di programmi importanti. Tale dialogo settoriale deve vertere sui seguenti argomenti: concertazione per lo sviluppo di programmi e promozione di progetti nel quadro dei programmi operativi (Leader, FSE, FESR ecc.).

Il processo dell'Agenda locale per lo sviluppo sostenibile è poco radicato nelle regioni rurali. Un aspetto importante a tale proposito consiste nel motivare quante più persone possibile a partecipare. Gli approcci dal basso verso l'alto possono aver successo solo in un contesto in cui i cittadini stessi siano motivati a partecipare. Tali approcci sono a loro volta necessari per il successo della politica locale in materia di occupazione.

In tute le zone rurali vanno creati, a livello regionale, dei «laboratori per lo sviluppo rurale». In tale sede gli attori importanti (deputati, responsabili amministrativi, associazioni di agricoltori, sindacati, chiese, ecc.) affronteranno i problemi delle zone rurali.

Bruxelles, 29 gennaio 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Una politica per il consolidamento del modello agricolo europeo», GU C 368 del 20.12.1999, pagg. 76-86.

(2)  Relazione globale di monitoraggio della Commissione europea sul grado di preparazione all'adesione all'UE, 2003.

(3)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo «Revisione intermedia della politica agricola comune», COM(2002) 394 def., pag. 7.

(4)  Comunicazione della Commissione «Seconda relazione intermedia sulla coesione», COM(2003) 34 def., pag. 14.

(5)  Idem.

(6)  Il termine imprese e organizzazioni del «terzo sistema» o dell'«economia solidale» indica tutte le entità socioeconomiche che fondamentalmente hanno in comune i seguenti principi: la mancanza di scopo di lucro, l'indipendenza dal settore pubblico e privato, la ricerca di una forma di organizzazione più partecipativa e l'orientamento al servizio della collettività. Queste organizzazioni soddisfano bisogni e forniscono servizi pubblici non coperti dal mercato e, a tal fine, avviano un'attività e assumono personale. Si tratta generalmente di piccole e medie imprese a livello locale, la cui attività è improntata ad uno sviluppo regionale a lungo termine. (Cfr. nota n. 5.)

(7)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni «Agire a livello locale in materia di occupazione. Dare una dimensione locale alla strategia europea per l'occupazione», COM(2000) 196 def., pag. 12.

(8)  Idem.

(9)  Cfr. nota 2.

(10)  EFFATT, GEOPA: Accordo sull'istruzione e la formazione professionale.

(11)  Un reddito adeguato significa che i lavoratori percepiscono una retribuzione concordata in base alle loro prestazioni, con cui possono soddisfare le loro necessità economiche, sociali e culturali. L'andamento dei redditi agricoli deve seguire l'andamento generale dei redditi.

(12)  Cfr. per analogia la nota n. 11.

(13)  Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Definizione di un quadro normativo per l'impiego di lavoratori e lavoratrici agricoli migranti provenienti da paesi terzi» (parere di iniziativa), GU C 204 del 18.7.2000, pag. 92.

(14)  Cfr. il parere del CESE sulla revisione della PAC, CESE 591/2003, pag. 11.

(15)  Cfr. il parere del CESE sulla revisione della PAC, pag. 11.