La politica estera e di sicurezza comune

INTRODUZIONE

La Conferenza intergovernativa, che ha portato alla firma del progetto di trattato di Amsterdam, si prefiggeva tra gli obiettivi principali una riforma della politica estera e di sicurezza comune (PESC) che ne migliorasse il funzionamento ed offrisse all'Unione i mezzi più adeguati per operare sulla scena internazionale.

La riforma si è rivelata particolarmente urgente in seguito al crollo dell'ex-Iugoslavia e alla tragica situazione che si è venuta a determinare nella regione, ha dimostrato che l'Unione deve essere in grado di agire e di prevenire, anziché semplicemente di reagire. La crisi iugoslava ha inoltre messo in luce le debolezze di una politica non coordinata degli Stati membri.

Il trattato di Amsterdam cerca di superare le contraddizioni esistenti tra gli obiettivi comuni della PESC, che sono particolarmente ambiziosi, e i mezzi di cui l'Unione europea dispone per conseguirli, che hanno dimostrato di non poter soddisfare le attese e di non essere all'altezza della posta in gioco.

CRONISTORIA

Durante le varie tappe della costruzione europea, i concetti di unione politica, di politica estera comune o di difesa comune sono stati regolarmente posti all'ordine del giorno da una serie di progetti politici.

Il piano Pléven (dal nome dell'allora presidente del Consiglio francese) del 1950 prevedeva la creazione di un esercito europeo integrato sotto un comando comune. Il piano, oggetto di negoziati tra gli Stati membri della Comunità europea del carbone e dell'acciaio dal 1950 al 1952, portò alla firma del trattato che istituiva la Comunità europea di difesa (CED). Il corollario della CED fu un progetto politico volto a creare una struttura federale o confederale, presentato nel 1953. La "Comunità politica europea" prevedeva la creazione di un'Assemblea parlamentare bicamerale, un Consiglio esecutivo europeo, un Consiglio dei ministri e una Corte di giustizia. La Comunità politica avrebbe avuto ampie competenze e avrebbe dovuto assorbire, a termine, la CECA e la CED. Il tentativo purtroppo fallì poiché il progetto fu respinto dall'Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954.

Agli inizi degli anni 60, si svolsero difficili negoziati sulla base dei due piani Fouchet, successivamente presentati dalla Francia, che prevedevano una più stretta cooperazione politica, un'Unione di Stati e politiche estere e di difesa comuni. Un comitato incaricato di presentare proposte concrete, giunse a compromessi difficili ma ambiziosi quali l'istituzione di un segretariato indipendente o la prospettiva del voto a maggioranza qualificata in determinati settori. Purtroppo, in mancanza di un accordo sulle proposte del comitato Fouchet, nel 1962 i negoziati tra gli Stati membri si arenarono.

In seguito alla richiesta dei capi di Stato e di governo di esaminare la possibilità di avanzare sul piano politico, nel 1970 fu presentato al Vertice di Lussemburgo il cosiddetto "rapporto Davignon". Fu l'inizio della cooperazione politica europea (CPE), varata in maniera informale nel 1970 e successivamente istituzionalizzata dall'Atto unico europeo (AUE) nel 1987. La CPE prevedeva essenzialmente la consultazione tra gli Stati membri sulle questioni di politica estera.

Tre anni dopo, al Vertice di Copenaghen, fu presentata una relazione sul funzionamento della CPE, in seguito alla quale vennero intensificate le riunioni dei ministri degli Affari esteri e del Comitato politico (composto dai Direttori degli Affari politici dei ministeri nazionali degli Affari esteri). Parallelamente, fu creato un gruppo di "corrispondenti europei", incaricati di seguire da vicino l'evoluzione della CPE in ciascuno Stato membro. La cooperazione politica beneficiò inoltre dell'accesso a una nuova rete telex che collegava gli Stati membri, il COREU.

L'istituzione del Consiglio europeo nel 1974 contribuì a un migliore coordinamento della CPE grazie al ruolo svolto dai capi di Stato e di governo nella definizione dell'indirizzo politico generale della politica comunitaria. Da quel momento, il ruolo della Presidenza, unitamente all'interesse dell'opinione pubblica per i lavori della CPE, cominciarono a rafforzarsi reciprocamente attraverso le prese di posizione ufficiali della Comunità.

In seguito all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica e alla rivoluzione islamica in Iran, gli Stati membri si resero conto della crescente impotenza della Comunità europea sulla scena internazionale. Determinati a potenziare la CPE, nel 1981 essi adottarono pertanto il rapporto di Londra che obbligava gli Stati membri a procedere a consultazioni e a coinvolgervi la Commissione europea per qualsiasi questione di politica estera che riguardasse tutti gli Stati membri. Lo stesso desiderio di affermare la posizione della Comunità a livello mondiale fu all'origine, nel 1982, dell'iniziativa Genscher-Colombo relativa all'Atto unico europeo, dalla quale scaturì, nel 1983, la dichiarazione solenne di Stoccarda sull'Unione europea.

Il rapporto del comitato Dooge, elaborato nel 1985 in vista della conferenza intergovernativa che portò all'Atto unico europeo, conteneva una serie di proposte relative alla politica estera, segnatamente una maggiore concertazione nelle questioni di sicurezza e la cooperazione nel settore degli armamenti. Esso raccomandava inoltre la creazione di un segretariato permanente. Per quanto più limitate rispetto alle proposte del comitato Dooge, le disposizioni introdotte nel trattato CE dall'Atto unico permisero comunque di istituzionalizzare la CPE, il gruppo dei corrispondenti europei e un segretariato posto sotto l'autorità diretta della Presidenza. Quanto agli obiettivi della CPE, essi furono estesi a tutte le questioni di politica estera di interesse generale.

La Conferenza intergovernativa sull'unione politica ha portato all'introduzione di un titolo specifico riguardante una politica estera e di sicurezza comune (PESC) nel trattato sull'Unione europea, entrato in vigore nel 1993. La PESC ha quindi sostituito la CPE e nell'edificio dell'Unione, accanto al pilastro comunitario è ora presente anche un pilastro intergovernativo che rispecchia la volontà dell'Unione di affermare la propria identità sulla scena internazionale.

IL TITOLO V DEL TRATTATO SULL'UNIONE EUROPEA

La politica estera e di sicurezza comune (PESC) è disciplinata dalle disposizioni contenute nel titolo V del trattato sull'Unione europea. La PESC viene citata anche nell'articolo 2 (ex articolo B) delle disposizioni comuni, che sancisce che uno degli obiettivi dell'Unione consiste nell'"affermare la sua identità sulla scena internazionale, segnatamente mediante l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre a una difesa comune (...)".

L'instaurazione della PESC ha soddisfatto il desiderio di fornire all'Unione mezzi più adeguati per far fronte alle numerose difficoltà incontrate a livello internazionale, offrendole nuovi mezzi d'azione che vanno ad aggiungersi alle attività tradizionali della Comunità nel settore delle relazioni esterne (in particolare la politica commerciale e la cooperazione allo sviluppo).

Il titolo V costituisce un pilastro distinto dell'Unione europea, poiché le procedure di funzionamento, di tipo intergovernativo, si distinguono da quelle adottate nei settori comunitari tradizionali, quali ad esempio il mercato interno o la politica commerciale. Questa differenza è evidente soprattutto con riferimento al processo decisionale, che nella PESC richiede il consenso degli Stati membri (mentre nei settori comunitari tradizionali è richiesta la votazione a maggioranza) ma anche nel ruolo più modesto che vi svolgono la Commissione, il Parlamento europeo e la Corte di giustizia. Il ruolo secondario cui tali istituzioni sono relegate nell'ambito della PESC contrasta nettamente con le competenze attribuite loro a livello comunitario.

Per favorire un funzionamento armonioso ed evitare contraddizioni tra i due tipi di azioni (comunitaria e intergovernativa), l'articolo 3 (ex articolo C) sancisce che: "L'Unione assicura (...) la coerenza globale della sua azione esterna nell'ambito delle politiche in materia di relazioni esterne, di sicurezza, di economia e di sviluppo. Il Consiglio e la Commissione hanno la responsabilità di garantire tale coerenza. Essi provvedono, nell'ambito delle rispettive competenze, ad attuare dette politiche".

Nei primi anni, tuttavia, l'azione comune degli Stati membri nell'ambito del titolo V non ha soddisfatto le attese degli Stati membri. Sulla base di un bilancio relativamente negativo, i negoziati della conferenza intergovernativa del 1996 si sono prefissi l'obiettivo di introdurre, nel nuovo trattato, le riforme istituzionali necessarie a rendere la PESC efficace.

LE INNOVAZIONI APPORTATE DAL TRATTATO DI AMSTERDAM

Anzitutto, il carattere operativo della PESC è stato rafforzato grazie a strumenti più coerenti e ad un processo decisionale più efficace. D'ora in poi si potrà cioè ricorrere alla votazione a maggioranza qualificata in caso di "astensione costruttiva" e sarà possibile rinviare una decisione al Consiglio europeo in caso di veto eccezionale di uno Stato membro. Dal canto suo, la Commissione è maggiormente coinvolta a livello di rappresentanza e di attuazione.

La strategia comune

Il trattato di Amsterdam inaugura un nuovo strumento di politica estera, che viene ad aggiungersi all'azione comune e alla posizione comune: la strategia comune.

Il Consiglio europeo, l'organo che definisce i principi e gli orientamenti generali della PESC, definisce consensualmente strategie comuni nei settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi in comune. Ogni strategia comune precisa i propri obiettivi, la propria durata e i mezzi che l'Unione e gli Stati membri devono mettere a sua disposizione.

L'attuazione delle strategie comuni, mediante azioni e posizioni comuni adottate a maggioranza qualificata, spetta al Consiglio, che può inoltre raccomandare strategie comuni al Consiglio europeo.

Il processo decisionale

Le decisioni relative alla PESC continuano ad essere prese sempre all'unanimità, che resta la regola di applicazione generale. Gli Stati membri possono tuttavia ricorrere all'"astensione costruttiva": in altri termini l'astensione di uno Stato membro non impedisce che una decisione venga adottata. Qualora, inoltre, motivi la propria astensione con una dichiarazione formale, lo Stato membro in questione non è obbligato ad applicare la decisione, ma accetta, in uno spirito di reciproca solidarietà, che questa impegni l'Unione. Esso si astiene pertanto da qualsiasi atto che possa contrastare l'azione dell'Unione basata su tale decisione. È opportuno tuttavia sottolineare che il meccanismo della dichiarazione formale a giustificazione dell'astensione non può essere applicato qualora gli Stati membri che decidono di farvi ricorso rappresentino più di un terzo dei voti del Consiglio secondo la ponderazione prevista dal trattato.

Il titolo V (modificato) del trattato sull'Unione europea prevede tuttavia il ricorso alla maggioranza qualificata in due casi:

Per quanto riguarda le decisioni adottate a maggioranza qualificata, gli Stati membri possono tuttavia valersi di una clausola di salvaguardia che consente loro di impedire che si proceda alla votazione per importanti motivi di politica nazionale. In una situazione di questo genere, dopo che uno Stato membro ha esposto le sue motivazioni, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, affinché i capi di Stato e di governo si pronuncino all'unanimità.

L'Alto rappresentante per la PESC

Il nuovo articolo 26(ex articolo J.16) del trattato sull'Unione europea prevede l'istituzione di una nuova funzione che dovrebbe contribuire a migliorare la visibilità e la coerenza della PESC.

Al Segretario generale del Consiglio è attribuita anche la funzione di Alto rappresentante per la PESC. Questa nuova figura è incaricata di assistere il Consiglio nelle questioni che rientrano nel settore della politica estera e di sicurezza comune contribuendo alla formulazione, all'elaborazione e all'attuazione delle decisioni. A richiesta della Presidenza, l'Alto rappresentante per la PESC agisce a nome del Consiglio conducendo un dialogo politico con terzi.

Questa nuova funzione comporta una nuova organizzazione delle mansioni all'interno del Consiglio, dove la gestione amministrativa del Segretariato generale verrà infatti affidata al Vicesegretario generale. Essa non impedisce invece al Consiglio di nominare, ogniqualvolta lo reputi necessario, un rappresentante speciale al quale conferire un mandato per questioni politiche particolari, come è già avvenuto nel caso della ex Iugoslavia.

Sotto il profilo logistico, l'Alto rappresentante può avvalersi di una cellula di programmazione politica e tempestivo allarme, istituita presso il Segretario generale del Consiglio e posta sotto la sua responsabilità.

La cellula di programmazione politica e tempestivo allarme

La coerenza della politica estera e di sicurezza comune dipende dalla reazione degli Stati membri agli sviluppi internazionali. Le lezioni del passato dimostrano infatti che le reazioni non coordinate, finiscono con l'indebolire la posizione dell'Unione europea e degli Stati membri sulla scena internazionale. Un'analisi congiunta delle questioni internazionali e delle loro conseguenze e la diffusione delle informazioni a tutti gli attori dovrebbero consentire all'Unione di reagire efficacemente all'evoluzione mondiale.

In quest'ottica, una dichiarazione allegata al trattato di Amsterdam prevede l'istituzione, nell'ambito del Segretariato generale del Consiglio, di una cellula di programmazione politica e tempestivo allarme sotto la responsabilità dell'Alto rappresentante per la PESC. Tale cellula è composta da esperti del Segretariato generale del Consiglio, degli Stati membri, della Commissione e dell'Unione dell'Europa occidentale (UEO). La cellula ha in particolare i seguenti compiti:

Le missioni di Petersberg, la sicurezza e l'Unione dell'Europa occidentale

Le cosiddette missioni di Petersberg sono confluite nel titolo V del trattato sull'Unione europea. Si tratta di un notevole passo avanti in un momento in cui è diventata nettamente meno grave (rispetto ai tempi della guerra fredda) la minaccia di conflitti su larga scala, ma si assiste alla recrudescenza di conflitti locali che costituiscono un serio rischio per la sicurezza europea (ad esempio la guerra nell'ex Iugoslavia). In tale contesto, le missioni di Petersberg costituiscono certamente una risposta adeguata dell'Unione, poiché concretano la volontà comune degli Stati membri di garantire la sicurezza in Europa attraverso operazioni quali le missioni umanitarie o di pace.

Sotto il profilo della sicurezza, il nuovo articolo 17 del TUE (ex. articolo J.7) prospetta due nuovi sviluppi, peraltro non imminenti:

In termini concreti, il nuovo testo prevede che la PESC comprenda tutte le questioni relative alla sicurezza dell'Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che potrebbe condurre a una difesa comune qualora il Consiglio europeo decida in tal senso. Analogamente, per quanto riguarda il ravvicinamento di UE e UEO, si prevede che l'Unione promuova più stretti rapporti istituzionali tra le due organizzazioni in vista di un'eventuale integrazione dell'UEO nell'Unione, qualora il Consiglio europeo decida in tal senso.

Il finanziamento delle spese operative legate alla PESC

Il trattato sull'Unione europea prevedeva che le spese operative della PESC fossero a carico sia del bilancio comunitario, sia degli Stati membri, secondo un criterio di ripartizione da definire secondo i casi. Questa procedura ha suscitato numerose critiche, soprattutto da parte della Commissione, poiché ritenuta troppo complessa e poco efficace.

Il trattato di Amsterdam ha rimediato a questa situazione, ponendo le spese operative della PESC a carico del bilancio comunitario, tranne quando riguardino operazioni con implicazioni nel settore militare o della difesa e salvo che il Consiglio, deliberando all'unanimità, decida diversamente. In quest'ultimo caso è previsto che gli Stati membri che si siano astenuti con una dichiarazione formale non siano obbligati a contribuire al finanziamento dell'operazione.

Nel caso di spese a carico degli Stati membri, la ripartizione avviene secondo il criterio del prodotto nazionale lordo, a meno che il Consiglio, deliberando all'unanimità, non decida diversamente.