CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 22 marzo 2018 ( 1 )

Causa C‑108/17

UAB Enteco Baltic

contro

Muitinės departamentas prie Lietuvos Respublikos finansų ministerijos,

con l’intervento di

Vilniaus teritorinė muitinė

[domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Vilniaus apygardos administracinis teismas (tribunale amministrativo regionale di Vilnius, Lituania)]

«Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE – Articolo 138, paragrafo 1, articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2 della direttiva 2006/112 – Esenzione dall’IVA all’importazione seguita da una cessione intracomunitaria esente – Beni spediti o trasportati a partire da un paese terzo in uno Stato membro diverso dallo Stato membro d’arrivo – Comunicazione, da parte dell’importatore, del numero di registrazione IVA dell’acquirente nello Stato membro di destinazione – Requisito formale o sostanziale del diritto all’esenzione all’importazione – Documenti sufficienti a dimostrare la spedizione dei beni verso un altro Stato membro – Nozione e modalità del trasferimento all’acquirente del potere di disporre delle merci – Buona fede dell’importatore – Conoscenza da parte del soggetto passivo della partecipazione dell’acquirente a un’evasione fiscale – Accettazione da parte dell’autorità competente delle dichiarazioni dell’importatore – Certezza del diritto – Eventuale obbligo dell’autorità competente di aiutare il soggetto passivo a raccogliere le informazioni necessarie per dimostrare il rispetto delle condizioni di esenzione»

I. Introduzione

1.

Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale il Vilniaus apygardos administracinis teismas (tribunale amministrativo regionale di Vilnius, Lituania) interroga la Corte, in sostanza, sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 1, dell’articolo 138, paragrafo 1, nonché dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto ( 2 ), come modificata dalla direttiva 2009/69/CE del Consiglio, del 25 giugno 2009, in relazione all’evasione fiscale connessa all’importazione ( 3 ) (in prosieguo: la «direttiva IVA»), nonché sul principio della tutela della certezza del diritto.

2.

Le sette questioni pregiudiziali presentate dal giudice del rinvio sono sollevate nell’ambito dell’importazione in Lituania, da parte della UAB Enteco Baltic, di combustibili provenienti dalla Bielorussia e destinati a essere oggetto di una cessione intracomunitaria in altri Stati membri.

3.

La questione più complicata sollevata nella presente causa è se l’obbligo a carico di un importatore, come l’Enteco Baltic, di comunicare alle autorità competenti dello Stato membro di importazione il numero di identificazione IVA del suo acquirente, attribuito nello Stato membro di destinazione delle merci, costituisca un requisito meramente formale o se sia invece un requisito sostanziale del diritto all’esenzione dall’IVA all’importazione, a decorrere dalla data di entrata in vigore della direttiva 2009/69, che ha introdotto tale obbligo nel testo stesso della direttiva 2006/112.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

4.

Conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA, «[c]ostituisce “cessione di beni” il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario».

5.

L’articolo 20 di tale direttiva definisce l’«acquisto intracomunitario» come «l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene».

6.

Ai sensi dell’articolo 131 della suddetta direttiva:

«Le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 si applicano, salvo le altre disposizioni [del diritto dell’Unione] e alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso».

7.

L’articolo 138, paragrafo 1, della medesima direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nell[’Unione], dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».

8.

L’articolo 143 della direttiva 2006/112 è stato modificato dalla direttiva 2009/69, il cui articolo 2, paragrafo 1, comma 1, fissa il termine per il recepimento al 1o gennaio 2011. I considerando da 3 a 5 della direttiva 2009/69 così recitano:

«(3)

L’importazione di beni è esente dall’[IVA] se ad essa fa seguito una cessione o un trasferimento di tali beni a un soggetto passivo in un altro Stato membro. Le condizioni alle quali è concessa la suddetta esenzione sono fissate dagli Stati membri. L’esperienza tuttavia dimostra che le divergenze nell’applicazione di questa disposizione sono sfruttate dagli operatori per evitare il pagamento dell’IVA sui beni importati in tali circostanze.

(4)

Per prevenire detto sfruttamento è necessario specificare, per determinate operazioni, una serie di condizioni minime a livello comunitario per l’applicazione di tale esenzione.

(5)

Poiché, per le dette ragioni, l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire affrontare il problema dell’evasione dell’IVA, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato [CE]. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».

9.

In conformità all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA:

«1.   Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti:

(…)

d)

le importazioni di beni spediti o trasportati a partire da un territorio terzo o da un paese terzo in uno Stato membro diverso da quello d’arrivo della spedizione o del trasporto, se la cessione dei beni, effettuata dall’importatore designato o riconosciuto come debitore dell’imposta in virtù dell’articolo 201, è esente conformemente all’articolo 138;

(…)

2.   L’esenzione prevista al paragrafo 1, lettera d), si applica nei casi in cui le importazioni di beni siano seguite da cessioni di beni esenti a norma dell’articolo 138, paragrafo 1, e paragrafo 2, lettera c), solo se al momento dell’importazione l’importatore ha fornito alle autorità competenti dello Stato membro di importazione almeno le seguenti informazioni:

a)

il numero di identificazione IVA che gli è stato attribuito nello Stato membro di importazione o il numero di identificazione IVA attribuito al suo rappresentante fiscale debitore dell’imposta nello Stato membro di importazione;

b)

il numero di identificazione IVA dell’acquirente cui i beni sono ceduti a norma dell’articolo 138, paragrafo 1, attribuitogli in un altro Stato membro o il numero di identificazione IVA che gli è stato attribuito nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto quando i beni sono soggetti a un trasferimento a norma dell’articolo 138, paragrafo 2, lettera c);

c)

la prova che i beni importati sono destinati ad essere spediti o trasportati a partire dallo Stato membro di importazione verso un altro Stato membro.

Gli Stati membri possono tuttavia prevedere che la prova di cui alla lettera c) sia comunicata alle autorità competenti solo su richiesta».

10.

L’articolo 157, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA prevede che «[g]li Stati membri possono esentare (…) le importazioni di beni destinati ad essere vincolati ad un regime di deposito diverso da quello doganale».

11.

L’articolo 167 della suddetta direttiva prevede che il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile.

B.   Diritto lituano

12.

L’articolo 35 della Lietuvos Respublikos pridėtinės vertės mokesčio įstatymas (legge lituana sull’imposta sul valore aggiunto, in prosieguo: la «legge sull’IVA») prevede quanto segue:

«1.   I beni importati saranno esenti dall’IVA all’importazione se è noto al momento dell’importazione che detti beni sono destinati all’esportazione e saranno trasportati in un altro Stato membro e la cessione di beni da parte dell’importatore dalla Lituania ad un altro Stato membro, ai sensi del capo VI della presente legge, sarà soggetta a IVA ad aliquota zero.

2.   Il disposto del presente articolo si applica se l’importatore è registrato come soggetto passivo IVA in Lituania e se i beni sono trasportati in un altro Stato membro entro il termine massimo di un mese a decorrere dal fatto generatore dell’imposta, di cui all’articolo 14, paragrafo 12 o 13, della presente legge. Un termine più lungo per il trasporto dei beni può essere fissato per motivi oggettivi.

3.   Le modalità di applicazione del presente articolo sono stabilite dal servizio doganale nazionale [(in prosieguo: il “SDN”)] con l’autorità tributaria centrale».

13.

Conformemente all’articolo 49, paragrafo 1, della legge sull’IVA:

«L’IVA ad aliquota zero si applica ai beni forniti a un soggetto registrato ai fini IVA in un altro Stato membro esportati dal territorio nazionale in un altro Stato membro [senza considerare il soggetto che trasporta i beni, indipendentemente dal fatto che si tratti del fornitore, dell’acquirente o di qualsiasi terzo di cui essi si avvalgano]».

14.

L’articolo 56 della legge sull’IVA, relativo alla «[p]rova da presentare ai fini dell’applicazione dell’IVA ad aliquota zero», prevede segnatamente quanto segue:

«1.   (…) Un soggetto passivo dell’IVA che ha applicato l’IVA ad aliquota zero ai sensi dell’articolo 49 della presente legge deve fornire elementi comprovanti il trasporto dei beni fuori dal territorio nazionale e, qualora l’IVA ad aliquota zero sia applicata al momento della cessione dei beni a un soggetto registrato ai fini IVA in un altro Stato membro, elementi di prova che il soggetto al quale sono stati esportati i beni è soggetto passivo dell’IVA in un altro Stato membro (…).

(…)

4.   Fatte salve le altre disposizioni del presente articolo, l’autorità tributaria ha il diritto, ai sensi delle modalità previste dalla Mokesčių administravimo įstatymas [legge sull’amministrazione tributaria], di richiedere la presentazione di elementi di prova ulteriori che consentano di valutare il fondamento dell’applicazione dell’IVA ad aliquota zero. Qualora il soggetto passivo non sia in grado di dimostrare che l’IVA ad aliquota zero è stata correttamente applicata alla cessione di beni, all’acquisto di beni in un altro Stato membro o alla prestazione di servizi, tale cessione di beni, tale acquisto di beni in un altro Stato membro o tale prestazione di servizi sono tassate all’aliquota IVA normale, o a un’aliquota IVA ridotta se essa è prevista per i beni o servizi in parola.

(…)

5.   Fatte salve le altre disposizioni del presente articolo, l’autorità tributaria ha il diritto di raccogliere, di propria iniziativa o mediante le autorità di contrasto autorizzate, prove aggiuntive che consentano di valutare se sia giustificata l’applicazione dell’IVA ad aliquota zero. Se la prova ottenuta dimostra che alla cessione di beni, all’acquisto di beni in un altro Stato membro o alla prestazione di servizi è stata applicata un’IVA ad aliquota zero senza motivi validi, la cessione di beni, l’acquisto di beni in un altro Stato membro o la prestazione di servizi saranno tassate all’aliquota IVA normale, o a un’aliquota IVA ridotta se essa è prevista per detti beni o servizi».

15.

Il punto 4 delle «Norme sull’esenzione dall’IVA all’importazione dei beni importati e forniti in un altro Stato membro dell’Unione europea» (in prosieguo: le «Norme»), approvate con decisione n. 1B‑439/VA‑71 del direttore generale del SDN e del direttore del Valstybinė mokesčių inspekcija prie Lietuvos Respublikos finansų ministerijos (Ispettorato tributario nazionale presso il Ministero delle Finanze, Lituania) (in prosieguo: l’«Ispettorato»), del 29 aprile 2004, è formulato come segue:

«4.

I beni importati nel territorio nazionale sono esenti da IVA se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

4.1)

è noto al momento dell’importazione che i beni sono destinati all’esportazione e saranno trasportati in un altro Stato membro;

4.2)

l’importatore dei beni è registrato ai fini IVA nel territorio nazionale al momento dell’adozione della dichiarazione doganale di importazione ai fini del controllo doganale;

4.3)

la cessione di beni importati dalla Lituania in un altro Stato membro ai sensi delle disposizioni del titolo VI della legge sull’IVA è esentata applicando l’IVA ad aliquota zero;

4.4)

l’importatore fornisce al soggetto passivo dell’altro Stato membro gli stessi prodotti che ha importato nel territorio nazionale;

4.5)

i beni sono trasportati nell’altro Stato membro entro il termine massimo di un mese a decorrere dal fatto generatore dell’imposta di cui all’articolo 14, paragrafo 12 o 13, della legge sull’IVA o entro il termine differito per il trasporto in un altro Stato membro previsto dalle disposizioni dell’articolo 5 delle Norme».

16.

Ai sensi del punto 7 delle Norme:

«7.

A fini del controllo doganale, unitamente alla dichiarazione d’importazione doganale, oltre agli altri documenti, viene fornito quanto segue:

7.1) un attestato di registrazione ai fini IVA dell’importatore e una copia dello stesso (attestato di registrazione IVA che viene restituito in seguito a verifica della sua copia);

7.2) i documenti comprovanti che i beni importati nel territorio del paese sono destinati ad essere trasportati e saranno trasportati in un altro Stato membro (segnatamente, documenti di trasporto o contratto)».

17.

Le Norme sono state integrate dal punto 71 con decisione n. 1B‑773/VA‑119, del 28 dicembre 2010, del direttore del SDN e del direttore dell’Ispettorato, entrata in vigore il 1o gennaio 2011. Tale punto 71 prevede quanto segue:

«L’importatore informa tempestivamente per iscritto l’ufficio doganale regionale in caso di cambiamenti nel luogo di deposito dei beni o del loro acquirente (il soggetto passivo dell’altro Stato membro e/o lo Stato membro nel quale i beni sono ceduti, indicati nei documenti presentati ai fini del controllo doganale), presentando nuovi elementi che illustrino i motivi dei cambiamenti e allegando copie dei documenti giustificativi».

18.

Il punto 27.49.1.7 delle «Istruzioni per la compilazione del documento amministrativo unico», approvate con decisione n. 1B‑289, del 13 aprile 2004, del direttore del SDN, impone all’importatore di indicare il codice alfabetico dello Stato membro dell’Unione in cui i beni sono esportati, in vigore al momento dell’adozione della dichiarazione d’importazione, nonché il numero di identificazione IVA personale del destinatario dei beni, attribuito dalle autorità competenti dello Stato membro dell’Unione, qualora beni provenienti da paesi terzi, che sono esenti dall’IVA ai sensi dell’articolo 35 della legge sull’IVA, siano lasciati in libera circolazione e importati nel mercato nazionale.

III. Fatti della controversia principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

19.

L’Enteco Baltic è una società con sede in Lituania. Essa opera nell’ambito del commercio all’ingrosso di combustibili.

20.

Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2012 l’Enteco Baltic ha importato in Lituania combustibili provenienti dalla Bielorussia. Tali combustibili erano sottoposti al cosiddetto «regime doganale 42» ( 4 ), che consente la loro immissione in libera pratica senza l’imposizione di IVA all’importazione. Nelle dichiarazioni d’importazione tale società ha indicato il numero di identificazione IVA di un acquirente situato in un altro Stato membro, al quale essa prevedeva di cedere i prodotti. Essa ha depositato questi ultimi in depositi di prodotti soggetti ad accisa di proprietà di altre imprese lituane.

21.

L’Enteco Baltic ha venduto tali combustibili a società con sede in Polonia, in Slovacchia e in Ungheria in forza di contratti scritti e di singoli ordini. Tali contratti prevedevano la consegna «franco fabbrica» (ex‑works) ( 5 ). L’Enteco Baltic doveva quindi unicamente trasferire i combustibili agli acquirenti in Lituania e questi ultimi erano responsabili per il successivo trasporto nello Stato membro di destinazione.

22.

Gli acquirenti inoltravano ordini specifici all’Enteco Baltic per posta elettronica, indicando, in particolare, i dati dei rappresentanti che avrebbero ritirato i prodotti ordinati e i dati dei depositi fiscali destinatari ( 6 ) di tali prodotti. Le fatture IVA emesse dall’Enteco Baltic erano di norma inviate agli acquirenti per posta elettronica.

23.

Ai fini del trasporto dei prodotti, venivano predisposti documenti elettronici di trasporto dei prodotti soggetti ad accisa nonché lettere di vettura CMR ( 7 ). Queste ultime venivano compilate dal personale responsabile del deposito fiscale di spedizione e specificavano, in particolare, il luogo di spedizione dei prodotti (ossia il deposito fiscale di spedizione), il loro acquirente e il luogo di ricevimento (ossia il deposito fiscale di destinazione).

24.

Dopo la consegna dei prodotti nei depositi fiscali destinatari ( 8 ), l’Enteco Baltic riceveva una conferma e‑ROR ( 9 ) della consegna e della chiusura del documento elettronico di trasporto. Di norma, essa riceveva altresì le lettere di vettura CMR recanti conferma del ricevimento dei prodotti da parte dei depositi fiscali destinatari.

25.

In alcuni casi l’Enteco Baltic vendeva prodotti a soggetti passivi diversi da quelli i cui numeri di identificazione erano menzionati nelle dichiarazioni d’importazione. I dati di detti soggetti passivi di altri Stati membri, compreso il loro numero di identificazione IVA, venivano sempre forniti all’Ispettorato nelle relazioni mensili sulla cessione dei prodotti in altri Stati membri.

26.

Nel 2012 il Vilniaus teritorinė muitinė (ufficio doganale regionale di Vilnius, Lituania) (in prosieguo: l’«UDV») ha effettuato un esame parziale delle dichiarazioni di importazione relative al periodo compreso tra il 1o aprile 2010 e il 31 maggio 2012 e ha riscontrato irregolarità nei numeri di identificazione IVA. Esso le ha corrette.

27.

Nel 2013 l’Ispettorato ha ricevuto dalle autorità tributarie polacca, slovacca e ungherese informazioni relative a possibili frodi nell’applicazione del regime doganale 42. In particolare, tali autorità hanno affermato che non potevano confermare il ricevimento dei combustibili di cui trattasi da parte degli acquirenti e che questi ultimi non avevano dichiarato l’IVA nel periodo in questione.

28.

Alla luce di tali informazioni, l’Ispettorato ha effettuato una verifica fiscale nel 2013. Esso ha accertato che l’Enteco Baltic aveva fornito prove sufficienti dell’uscita dei prodotti dal paese e dell’effettivo trasferimento agli acquirenti del diritto di disporne come proprietario. Secondo l’Ispettorato non era stato dimostrato che, al momento delle operazioni di cui trattasi, l’Enteco Baltic avesse agito in maniera negligente o imprudente.

29.

L’UDV ha effettuato una seconda verifica durante il 2014 e il 2015, il cui oggetto e periodo corrispondevano parzialmente a quelli della verifica effettuata dall’Ispettorato nel 2013. Al termine di tale seconda verifica l’UDV ha riscontrato che l’Enteco Baltic non aveva ceduto i combustibili ai soggetti passivi indicati nelle dichiarazioni d’importazione o non aveva dimostrato che i combustibili erano stati trasportati e che il potere di disporne come proprietario era stato trasferito alle persone indicate nelle fatture IVA.

30.

L’Enteco Baltic si è rivolta a una società polacca che fornisce servizi di informazione economica per ottenere informazioni aggiuntive con riferimento ai trasporti in questione e ha chiesto all’UDV di rivolgersi ai depositi fiscali polacchi per ottenere i dati che la suddetta società di informazione non poteva ottenere. A tale domanda non è stato dato seguito.

31.

Il 25 novembre 2015 l’UDV ha emesso un rapporto sull’ispezione, nel quale ha constatato che l’Enteco Baltic aveva indebitamente esentato le importazioni di combustibili provenienti dalla Bielorussia. Esso le ha ordinato di versare l’importo di EUR 3220822 a titolo di IVA, oltre a sanzioni e interessi moratori.

32.

Il SDN ha confermato tali provvedimenti con decisione del 16 marzo 2016. In tale decisione il SDN ha precisato che l’esenzione all’importazione può essere applicata soltanto se il diritto di disporre dei prodotti sia trasferito direttamente a un altro soggetto passivo dell’IVA in un altro Stato membro. Nel caso di specie, tale esenzione non poteva essere concessa all’Enteco Baltic dal momento che il combustibile era stato consegnato a depositi fiscali polacchi, il cui numero di identificazione IVA non era indicato nelle fatture IVA.

33.

L’Enteco Baltic ha presentato ricorso avverso tale decisione dinanzi al Mokestinių ginčų komisija prie Lietuvos Respublikos Vyriausybės (commissione per il contenzioso tributario presso il governo, Lituania) (in prosieguo: la «CCT»). Con decisione del 1o giugno 2016 quest’ultima ha rinviato il ricorso dinanzi al SDN.

34.

L’Enteco Baltic e il SDN hanno adito entrambi il giudice del rinvio chiedendo, segnatamente, l’annullamento della decisione della CCT.

35.

Dinanzi a tale giudice l’Enteco Baltic e il SDN hanno discusso riguardo alle conseguenze derivanti dalla cessione di combustibili a soggetti passivi di altri Stati membri che non erano identificati nelle dichiarazioni d’importazione. Il suddetto giudice osserva che, negli estratti mensili delle cessioni dei prodotti in altri Stati membri, l’Enteco Baltic aveva fornito all’Ispettorato tutti i dati relativi agli acquirenti, compreso il numero di identificazione IVA, senza occultare l’identità degli acquirenti effettivi.

36.

Inoltre, il giudice del rinvio si interroga sul valore probatorio delle lettere di vettura CMR, dei documenti amministrativi in formato elettronico e‑AD (in prosieguo: il «documento e‑AD» ( 10 )) e delle lettere e‑ROR.

37.

Il giudice del rinvio intende inoltre ottenere delucidazioni sulla definizione esatta di cessione di beni, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA, nel caso in cui il diritto di disporre dei beni come proprietario non sia stato trasferito direttamente all’acquirente, bensì a trasportatori o a depositi fiscali polacchi. Il giudice del rinvio osserva che, dinanzi ad esso, l’Enteco Baltic invoca la giurisprudenza relativa al diritto alla detrazione dell’IVA.

38.

Inoltre, il giudice del rinvio si chiede se, come ritenuto dalla CCT, la buona fede del fornitore costituisca o possa costituire una condizione aggiuntiva per l’esenzione dall’IVA all’importazione.

39.

Infine, tale giudice intende ottenere precisazioni sulla valutazione della rilevanza degli elementi di prova ai fini dell’applicazione della direttiva IVA.

40.

In tale contesto il Vilniaus apygardos administracinis teismas (tribunale amministrativo regionale di Vilnius) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un’autorità tributaria di uno Stato membro rifiuti di applicare l’esenzione prevista all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di detta direttiva solo perché al momento dell’importazione i beni dovevano essere ceduti a un soggetto passivo dell’IVA il cui numero di identificazione IVA era indicato nella dichiarazione d’importazione, ma successivamente, in seguito a un cambiamento delle circostanze, i beni sono stati consegnati a un altro soggetto passivo (soggetto passivo dell’IVA), e all’autorità pubblica sono state fornite tutte le informazioni sull’identità dell’acquirente effettivo.

2)

Se, in circostanze come quelle del caso di specie, l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che documenti il cui contenuto non sia stato confutato (lettere di vettura e‑AD e conferme e‑ROR), i quali confermano il trasporto dei beni da un deposito fiscale nel territorio di uno Stato membro a un deposito fiscale nel territorio di un altro Stato membro, possono essere considerati come una prova sufficiente del trasporto dei beni in un altro Stato membro.

3)

Se l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che esso osta a che l’autorità tributaria di uno Stato membro rifiuti di applicare l’esenzione prevista da detta disposizione qualora il diritto di disposizione non sia stato trasferito all’acquirente dei beni direttamente, ma per il tramite delle persone da esso indicate (imprese di trasporto/depositi fiscali).

4)

Se sia in contrasto con i principi della neutralità dell’IVA e della tutela del legittimo affidamento una prassi amministrativa secondo la quale la nozione di trasferimento del diritto di disposizione e i requisiti della prova di tale trasferimento sono interpretati in maniera diversa, a seconda che si applichi l’articolo 167 o l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA.

5)

Se la portata del principio di buona fede in relazione all’imposizione dell’IVA comprenda anche il diritto all’esenzione dall’IVA all’importazione (ai sensi dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA) in casi come quello di cui al procedimento principale, ossia quando l’ufficio doganale nega il diritto del soggetto passivo all’esenzione dall’IVA all’importazione per il motivo che le condizioni per una cessione successiva dei beni all’interno dell’Unione europea (articolo 138 della direttiva IVA) non sono state soddisfatte.

6)

Se l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi amministrativa degli Stati membri secondo la quale la presunzione che (i) il diritto di disposizione non era stato trasferito a una determinata controparte contrattuale e (ii) il soggetto passivo conosceva o avrebbe potuto conoscere una possibile frode all’IVA commessa dalla sua controparte contrattuale è basata sul fatto che l’impresa comunicava con le sue controparti contrattuali mediante mezzi di comunicazione elettronici e che l’indagine condotta dall’autorità tributaria ha accertato che le controparti contrattuali non operavano agli indirizzi indicati e non dichiaravano l’IVA sulle operazioni effettuate con il soggetto passivo.

7)

Se l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che, sebbene l’obbligo di comprovare il diritto all’esenzione fiscale gravi sul soggetto passivo, ciò non significa che l’autorità pubblica competente che decide sulla questione del trasferimento del diritto di disposizione non sia soggetta all’obbligo di raccogliere informazioni accessibili solo alle autorità pubbliche».

41.

L’Enteco Baltic, il governo lituano e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte su tali questioni. All’udienza del 25 gennaio 2018 i predetti interessati hanno altresì presentato le loro osservazioni orali dinanzi alla Corte.

IV. Analisi

42.

L’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA stabilisce, in sostanza, l’esenzione dell’importazione di beni spediti a partire da un paese terzo in uno Stato membro, laddove tale importazione sia seguita da una cessione intracomunitaria effettuata dall’importatore ed esente conformemente all’articolo 138 di tale direttiva.

43.

Nel procedimento principale, dai chiarimenti forniti dal giudice del rinvio si evince che l’Enteco Baltic ha inizialmente beneficiato dell’esenzione prevista dall’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA in quanto importatore in Lituania di combustibili provenienti dalla Bielorussia, destinati a essere ceduti ad acquirenti in Polonia, in Slovacchia e in Ungheria, dal momento che tale cessione intracomunitaria era esente dall’IVA. Il periodo in questione nel procedimento principale riguarda importazioni di combustibili che sono state effettuate dal 1o aprile 2010 al 31 maggio 2012.

44.

A seguito di varie verifiche presso l’Enteco Baltic, sulle cui conseguenze mi soffermerò successivamente, l’autorità doganale lituana ha ritenuto che tale società fosse, in definitiva, debitrice dell’IVA. In sostanza, come risulta dalla decisione di rinvio, viene contestato all’Enteco Baltic di avere indicato, al momento dell’importazione, un numero di identificazione IVA che non corrisponde, in definitiva, a quello degli acquirenti effettivi e/o di non avere dimostrato che i combustibili importati erano destinati a essere ceduti in un altro Stato membro.

45.

Dall’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA risulta, invero, che l’esenzione prevista all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva si applica, nel caso in cui un’importazione sia seguita da una cessione intracomunitaria, solo se al momento dell’importazione l’importatore ha fornito alle autorità competenti dello Stato membro di importazione, segnatamente, da un lato, il numero di identificazione IVA attribuito in un altro Stato membro all’acquirente al quale i beni sono ceduti a norma dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA, e, dall’altro, la prova che i beni importati sono destinati ad essere trasportati o spediti a partire dallo Stato membro di importazione in un altro Stato membro.

46.

Per quanto concerne la formulazione dell’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA, il procedimento principale potrebbe, a prima vista, essere agevolmente definito. Infatti, come suggerito dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, sarebbe possibile ammettere che le condizioni poste da tale articolo non debbano essere considerate requisiti meramente formali, bensì requisiti sostanziali del diritto all’esenzione dall’IVA all’importazione. Ne conseguirebbe che il mancato rispetto di una di tali condizioni comporterebbe la mancata concessione di tale esenzione o, come accade nel procedimento principale nei confronti dell’Enteco Baltic, porterebbe a esigere il recupero dell’IVA presso l’importatore.

47.

Tuttavia, l’approccio suggerito dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte trascura, a mio avviso, non solo circostanze alquanto peculiari del procedimento principale, ma anche, e fondamentalmente, difficoltà connesse all’articolazione dei requisiti di cui all’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA e delle condizioni per l’esenzione di una cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale direttiva, in particolare per quanto riguarda l’obbligo a carico dell’importatore, al momento dell’importazione, di comunicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente al quale i beni sono ceduti. Del resto, la stessa Commissione ha fortemente stemperato, se non contraddetto, la propria posizione all’udienza dinanzi alla Corte ( 11 ).

48.

Le sette questioni sollevate dal giudice del rinvio riguardano la natura, la portata e il rispetto dei due summenzionati requisiti di cui all’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA, tenuto conto delle circostanze di fatto del procedimento principale, in particolare quelle relative alla prova del trasporto e del trasferimento di proprietà dei combustibili, nonché del comportamento delle autorità tributaria e doganale lituane.

49.

Nel considerare tali circostanze di fatto, esaminerò quindi, in primo luogo, la prima questione pregiudiziale che riguarda la comunicazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente dell’importatore, prevista dall’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), della direttiva IVA (titolo A infra). In secondo luogo verranno esaminate le altre sei questioni sollevate dal giudice del rinvio, che si riferiscono all’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA, vale a dire alla prova che i beni importati sono destinati a essere ceduti in un altro Stato membro diverso dallo Stato membro d’importazione (titolo B infra).

C.   Sul requisito della comunicazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente dell’importatore, previsto dall’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), della direttiva IVA (prima questione pregiudiziale)

50.

Come già evidenziato, l’esenzione dell’importazione prevista all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA dipende dall’esistenza, a valle, di una cessione intracomunitaria a sua volta esente, ai sensi dell’articolo 138 di tale direttiva.

51.

In forza dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA, gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio, ma all’interno dell’Unione, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.

52.

Secondo una giurisprudenza costante, l’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo quando sono soddisfatte tre condizioni, vale a dire quando, in primo luogo, il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, in secondo luogo, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in terzo luogo, in seguito a tale spedizione o trasporto il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione ( 12 ).

53.

Queste tre condizioni costituiscono dunque i requisiti sostanziali che devono essere soddisfatti affinché il fornitore ottenga l’esenzione di una cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA.

54.

Come già statuito dalla Corte, tali condizioni sono esaustivamente elencate nell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA ( 13 ). Esse non includono quindi l’obbligo per il fornitore di comunicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente rilasciato a quest’ultimo nello Stato membro di destinazione.

55.

Infatti, malgrado l’importanza del ruolo rivestito dal numero di identificazione IVA dei soggetti passivi nel corretto funzionamento del sistema dell’IVA ( 14 ), la Corte ha dichiarato che il requisito, imposto dal diritto nazionale al fornitore, di comunicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente dei beni ceduti, costituisce un requisito formale, il cui inadempimento non può, indipendentemente dall’inosservanza delle condizioni sostanziali della cessione intracomunitaria, mettere in discussione, in linea di principio, il diritto del fornitore a ottenere l’esenzione dall’IVA per tale operazione ( 15 ).

56.

Nel formulare tale constatazione la Corte ha espresso due riserve che costituiscono le due ipotesi in cui l’inosservanza di un requisito formale può comportare la perdita del diritto all’esenzione dall’IVA.

57.

Si tratta, da un lato, della situazione nella quale il soggetto passivo ha partecipato a un’evasione fiscale che ha messo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA e nella quale, pertanto, tale soggetto passivo non ha agito in buona fede e non ha adottato tutte le misure che gli si potevano ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conducesse a partecipare a una siffatta evasione fiscale ( 16 ).

58.

Dall’altro, la violazione di un requisito formale può portare al diniego dell’esenzione dall’IVA se tale violazione ha l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali ( 17 ).

59.

Nel procedimento principale, sia dalle informazioni comunicate dal giudice del rinvio, sia dai chiarimenti forniti in udienza dal governo lituano emerge che l’autorità tributaria, ossia l’Ispettorato, incaricato di accertare, al momento della verifica effettuata nel 2013, il rispetto delle condizioni relative alla cessione intracomunitaria, ha considerato che l’Enteco Baltic aveva fornito sufficienti elementi di prova attestanti l’uscita dei prodotti dal territorio lituano e l’effettivo trasferimento agli acquirenti del diritto di disporne come proprietario, e che non era stato dimostrato che, nell’ambito delle operazioni in questione, l’Enteco Baltic avesse agito con negligenza o imprudenza.

60.

Alla luce di tali considerazioni relative al rispetto delle condizioni di cui all’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA, di cui occorre prendere atto, gli errori commessi dall’Enteco Baltic per quanto concerne la comunicazione del numero di identificazione dell’acquirente o degli acquirenti negli Stati membri di destinazione dei combustibili non hanno tuttavia impedito all’Ispettorato, secondo gli elementi forniti alla Corte, di accertare il rispetto dei requisiti sostanziali della cessione intracomunitaria.

61.

Si tratta, a questo punto, di valutare se le autorità di uno Stato membro possano cionondimeno subordinare il diritto all’esenzione dell’importazione di beni che sono stati ceduti, operazione che si colloca a monte della cessione intracomunitaria, alla condizione che l’importatore comunichi, al momento dell’importazione, il numero di identificazione IVA dell’acquirente, ossia del destinatario della cessione intracomunitaria.

62.

Come chiaramente emerso dalle informazioni fornite dal governo lituano, tale requisito imposto nei confronti dell’importatore esiste nel diritto nazionale dal 2004.

63.

Orbene, a mio avviso, fino alla modifica della direttiva 2006/112 operata dalla direttiva 2009/69, un requisito del genere, che non era affatto richiesto dall’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA, doveva essere qualificato come requisito formale, ai sensi della giurisprudenza citata al paragrafo 55 delle presenti conclusioni. Esso non poteva quindi, in quanto tale, costituire un motivo valido per negare l’esenzione dell’importazione dei beni successivamente ceduti in un altro Stato membro, indipendentemente dal mancato rispetto delle condizioni sostanziali di cui all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e all’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA.

64.

Tale requisito di tipo formale si è trasformato in condizione sostanziale del diritto all’esenzione dell’importazione dopo che la direttiva 2009/69 ‐ che ha introdotto l’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), nel testo della direttiva 2006/112 ‐ è entrata in vigore, vale a dire a decorrere dal 25 luglio 2009?

65.

Non credo sia così.

66.

Certamente, la formulazione dell’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA potrebbe far ritenere che le tre categorie di informazioni ivi elencate alle lettere da a) a c) costituiscano requisiti il cui rispetto condiziona il diritto all’esenzione dell’importazione, previsto all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva.

67.

Tuttavia, a costo di ripetermi, è indubbio che l’importazione dei beni, contemplata dall’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA, non è intesa al consumo nello Stato membro di importazione bensì in un altro Stato membro, la cui esenzione è interamente dipendente da una cessione intracomunitaria essa stessa esente, ai sensi dell’articolo 138 della direttiva IVA. L’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), della direttiva IVA, menziona anch’esso, più volte, l’articolo 138 di tale direttiva.

68.

Ne consegue, a mio avviso, che le condizioni sostanziali del diritto all’esenzione dell’importazione dipendono interamente da quelle previste dall’articolo 138 della direttiva IVA per quanto riguarda l’esenzione della cessione intracomunitaria a valle.

69.

Pertanto, senza apportare modifiche alle condizioni sostanziali della cessione intracomunitaria previste dall’articolo 138 della direttiva IVA, che non includono, in tale fase, come già evidenziato, la comunicazione da parte del fornitore del numero di identificazione IVA dell’acquirente nello Stato membro di destinazione, il legislatore dell’Unione non ha certamente inteso subordinare il diritto all’esenzione dell’importazione al rispetto di tale requisito.

70.

Se fosse vero il contrario, ai soggetti passivi importatori e ai fornitori di beni ceduti nell’Unione verrebbe negato il diritto all’esenzione dall’IVA all’importazione anche qualora essi soddisfino tutte le condizioni sostanziali per ottenere l’esenzione della cessione intracomunitaria, dalla quale dipende interamente l’esenzione dell’operazione di importazione a monte.

71.

Malgrado l’obiettivo legittimo della lotta all’evasione fiscale che ha condotto all’adozione della direttiva 2009/69, non ritengo che il legislatore dell’Unione avesse intenzione di porre i soggetti passivi dinanzi a siffatte difficoltà e incoerenze del sistema istituito. Tale situazione, in particolare per i soggetti passivi interessati, sarebbe inconciliabile con la corretta e semplice applicazione delle esenzioni, prevista dall’articolo 131 della direttiva IVA ( 18 ).

72.

Inoltre, all’udienza dinanzi alla Corte la Commissione ha specificato che la conoscenza del numero preciso di identificazione IVA dell’acquirente era meno importante della possibilità di individuare quest’ultimo in un modo o nell’altro. La stessa, pertanto, sembra avere riconosciuto, in maniera relativamente contraddittoria rispetto al contenuto delle sue osservazioni scritte, che la comunicazione, da parte dell’importatore, al momento dell’importazione, del numero di identificazione IVA dell’acquirente, prevista all’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), della direttiva IVA, rimane un requisito formale.

73.

L’inosservanza di un siffatto requisito non comporta quindi, a mio parere, la perdita del diritto all’esenzione dall’IVA, ma potrebbe tutt’al più essere sanzionata con l’irrogazione di un’ammenda, ai sensi delle disposizioni del diritto nazionale.

74.

Tali considerazioni sono suffragate, a mio avviso, da alcuni elementi del procedimento principale.

75.

A tale riguardo, occorre osservare che, al momento dell’importazione, l’Enteco Baltic non aveva omesso di comunicare alle autorità competenti il numero d’identificazione IVA dell’acquirente. Risulta invece, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, che, in ragione di un cambiamento delle circostanze, il numero inizialmente indicato non corrispondeva più (o non corrispondeva più unicamente) a quello dell’acquirente effettivo.

76.

Dal punto 71 delle Norme adottate dal direttore del SDN e dal direttore dell’Ispettorato risulta che l’importatore deve informare tempestivamente per iscritto l’UDV, in particolare nel caso in cui si verifichi un cambiamento relativo al soggetto passivo dell’altro Stato membro e/o dello Stato membro nel quale i prodotti sono ceduti, indicati nei documenti presentati ai fini del controllo doganale, presentando nuovi elementi che spieghino i motivi dei cambiamenti e allegando copie dei documenti giustificativi.

77.

Tale requisito, imposto all’importatore dalla normativa lituana, consistente nell’obbligare quest’ultimo a informare le autorità doganali dei cambiamenti relativi all’identità dell’acquirente al quale i beni sono destinati, costituisce a mio avviso un indizio del fatto che le autorità lituane ritengono che lacune o errori, al momento dell’importazione, relativi al numero di identificazione IVA dell’acquirente, non possano, in quanto tali, mettere successivamente in discussione il diritto all’esenzione dell’importazione. Infatti, non avrebbe alcun senso imporre all’importatore di comunicare un cambiamento relativo all’acquirente se, in ogni caso, tale cambiamento comportasse automaticamente il diniego del diritto all’esenzione dell’importazione. Il carattere automatico della perdita del diritto all’esenzione dell’importazione per via dei cambiamenti intervenuti nell’identificazione dell’acquirente ai fini dell’IVA nello Stato membro di destinazione dei beni ceduti incoraggerebbe così gli importatori a non comunicare mai alle autorità nazionali tali cambiamenti per timore di perdere il diritto all’esenzione dell’importazione.

78.

A quanto pare, è quindi in forza di tali norme o, per lo meno, in base a tale concezione della natura meramente formale della comunicazione del numero di identificazione IVA dell’acquirente, che, nell’ambito della prima verifica effettuata nel 2012 sulle importazioni di cui trattasi nel procedimento principale, secondo gli accertamenti effettuati dal giudice del rinvio, l’UDV ha corretto esso stesso gli errori relativi al difetto di concordanza di tali numeri, comunicati dall’Enteco Baltic nelle sue dichiarazioni di importazione. Secondo il giudice del rinvio, tale società avrebbe sempre comunicato all’Ispettorato i cambiamenti relativi all’identità degli acquirenti.

79.

Ritengo pertanto che la comunicazione da parte dell’importatore, al momento dell’importazione, di un numero d’identificazione IVA dell’acquirente che, a causa di un cambiamento di circostanze, risulta non più corrispondente, in tutto o in parte, a quello dell’acquirente effettivo, possa comportare il diniego del diritto all’esenzione dell’importazione solo nelle due fattispecie, menzionate ai paragrafi da 56 a 58 delle presenti conclusioni, riconosciute dalla Corte con riferimento all’inosservanza di un requisito formale nell’ambito dell’esenzione della cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA.

80.

In tali circostanze, ritengo che occorra rispondere alla prima questione pregiudiziale sollevata dal giudice del rinvio come segue:

L’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che, alla luce delle circostanze del procedimento principale, esso non autorizza le autorità competenti di uno Stato membro a negare l’esenzione di cui all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva sulla base del mero fatto che, al momento dell’importazione, si prevedeva di fornire prodotti a un soggetto passivo in un altro Stato membro, circostanza che spiega che il numero d’identificazione IVA di tale soggetto passivo sia indicato nella dichiarazione di importazione, mentre i prodotti, a seguito di un successivo cambiamento di circostanze, sono stati ceduti a un altro soggetto passivo (anch’esso debitore dell’IVA) e alle autorità del primo Stato membro sono state comunicate tutte le informazioni concernenti l’identità dell’acquirente effettivo.

D.   Sul requisito della presentazione della prova che i beni importati sono destinati ad essere spediti o trasportati a partire dallo Stato membro di importazione verso un altro Stato membro, previsto all’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA (questioni pregiudiziali dalla seconda alla settima)

81.

Le questioni pregiudiziali dalla seconda alla settima sollevate dal giudice del rinvio vertono sostanzialmente sull’interpretazione dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA e sul rispetto del requisito, precisato dall’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA, ai sensi del quale deve essere fornita, al momento dell’importazione, «la prova che i beni importati sono destinati ad essere spediti o trasportati a partire dallo Stato membro di importazione verso un altro Stato membro», in relazione, segnatamente, all’interpretazione dell’articolo 138, paragrafo 1, e dell’articolo 14, paragrafo 1, della medesima direttiva, nonché del principio della certezza del diritto.

82.

Prima di esaminare tali questioni, occorre osservare che la prova richiesta all’importatore, ai sensi dell’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA, si riferisce alla finalità dell’importazione nell’Unione, vale a dire che tale operazione sia destinata ad essere seguita da una cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale direttiva.

83.

L’importatore deve quindi dimostrare, al momento dell’importazione, che esso intende soddisfare le condizioni sostanziali del diritto all’esenzione della cessione intracomunitaria, come stabilite dall’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA.

84.

Come già sottolineato al paragrafo 52 delle presenti conclusioni, tale articolo impone tre condizioni affinché sia riconosciuto il diritto all’esenzione dall’IVA in occasione di una cessione intracomunitaria. Ribadisco che si tratta di dimostrare, in primo luogo, che il diritto di disporre di tale bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente, in secondo luogo, che il suddetto bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in terzo luogo, che a seguito di tale spedizione o di tale trasporto lo stesso bene abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione.

85.

Tali condizioni si confondono, in sostanza, con il rispetto di quella imposta all’importatore nell’ambito dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA, fatto salvo che, in quest’ultimo caso, l’importatore deve dimostrare «al momento dell’importazione» che i beni importati nell’Unione sono «destinati» a essere oggetto di una cessione intracomunitaria.

86.

Pertanto, come ha perfettamente compreso il giudice del rinvio, nell’ambito dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA, l’importatore deve fornire la prova, al momento dell’importazione, da un lato, che il diritto di disporre dei beni importati come proprietario è destinato a essere trasferito all’acquirente e, dall’altro, che questi stessi beni sono destinati a essere spediti o trasportati in un altro Stato membro, vale a dire che essi sono altresì destinati a lasciare fisicamente il territorio dello Stato membro di importazione.

87.

Mentre le questioni dalla terza alla settima sollevate dal giudice del rinvio riguardano il diritto, destinato a essere trasferito all’acquirente, di disporre dei beni importati come proprietario, tenuto conto delle circostanze del procedimento principale, in particolare del comportamento dell’Enteco Baltic e di quello delle autorità lituane, la seconda questione verte invece sugli elementi di prova che consentono di dimostrare che, al momento dell’importazione, i beni importati sono destinati a essere spediti o trasportati in un altro Stato membro. Esaminerò uno per volta questi due punti.

1. Sul diritto, destinato a essere trasferito all’acquirente, di disporre dei beni importati come proprietario (questioni dalla terza alla settima)

88.

Con la sua terza questione il giudice del rinvio si domanda se il diritto, destinato a essere trasferito all’acquirente, di disporre dei beni come proprietario possa essere constatato anche quando tale diritto non fosse destinato a essere trasferito direttamente all’acquirente, bensì a persone da quest’ultimo designate, ossia imprese di trasporto o depositi fiscali.

89.

Tale questione rinvia, a mio avviso, al contenuto della nozione autonoma e uniforme ( 19 ) di «cessione di beni», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA, il quale precisa, per l’appunto, che costituisce «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario.

90.

Ai sensi della giurisprudenza della Corte, tale nozione non si riferisce al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì comprende qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario ( 20 ).

91.

Ne risulta che un’operazione può essere qualificata come «cessione di beni», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA, quando con tale operazione un soggetto passivo procede al trasferimento di un bene materiale che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario, senza che rilevi al riguardo la forma nella quale sia stato acquisito un diritto di proprietà su detto bene ( 21 ).

92.

L’uniformità della nozione e della definizione di «cessione di beni» nella direttiva IVA comporta, per fugare ogni dubbio del giudice del rinvio alla luce della formulazione della sua quarta questione, che il trasferimento all’acquirente del diritto di disporre dei beni materiali come proprietario si applica altresì nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA, che disciplina l’esenzione dell’importazione nell’Unione di beni seguita da una cessione intracomunitaria esente ( 22 ). Il trasferimento all’acquirente del diritto di disporre di un bene materiale come proprietario costituisce, invero, una condizione relativa a qualsiasi cessione di beni ( 23 ).

93.

Come dichiarato dalla Corte, la nozione di «cessione di beni» ha un carattere obiettivo che si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, senza che occorra accertare la volontà del soggetto passivo ( 24 ). Tale affermazione si applica, a mio parere, anche nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2 della direttiva IVA, ossia occorre verificare, alla luce degli elementi di prova oggettivi, che al momento dell’importazione i beni importati fossero «destinati» a essere oggetto di una cessione intracomunitaria successiva, senza che sia necessario accertare l’intenzione esatta dell’importatore in quel momento.

94.

Inoltre, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 267 TFUE, spetta al giudice nazionale valutare, caso per caso, sulla base dei fatti della controversia di cui è investito, se si sia concretizzato il trasferimento del potere di disporre dei beni in questione come proprietario ( 25 ).

95.

A tale riguardo, non posso fare a meno di interrogarmi sulla formulazione della terza questione sollevata dal giudice del rinvio. Quest’ultimo afferma infatti che il diritto di disporre dei combustibili non sarebbe stato trasferito direttamente agli acquirenti indicati nelle dichiarazioni dell’Enteco Baltic, bensì a imprese di trasporto e a depositi fiscali.

96.

Se fosse effettivamente così, questi ultimi operatori dovrebbero quindi essere considerati gli effettivi acquirenti dei combustibili importati dall’Enteco Baltic, come suggerisce la Commissione. Orbene, se tali imprese di trasporto e depositi fiscali si trovano nel territorio lituano, l’esenzione dell’importazione dall’IVA non può, a mio parere, essere concessa all’Enteco Baltic, poiché tale operazione non sarebbe stata seguita da una cessione intracomunitaria, ma unicamente da una cessione interna.

97.

Per contro, se né le imprese di trasporto né i depositi fiscali, indipendentemente dal fatto che essi abbiano sede in Lituania o in uno degli altri tre Stati membri menzionati dal giudice del rinvio, hanno ottenuto il potere di disporre dei combustibili come proprietari, vale a dire se essi hanno semplicemente svolto la funzione, rispettivamente, di intermediari del trasporto e del deposito, non agendo in proprio nome, affinché l’acquirente indicato nelle dichiarazioni dell’Enteco Baltic al momento dell’importazione dei combustibili potesse disporne, l’esenzione dell’importazione a vantaggio dell’Enteco Baltic dovrebbe, a mio avviso, potersi ammettere, purché siano rispettate le altre condizioni sostanziali del diritto all’esenzione dall’IVA.

98.

Spetta pertanto al giudice del rinvio, alla luce di tutte le circostanze del procedimento principale, verificare quale di queste due ipotesi sia corretta.

99.

Aggiungo tuttavia che, tra le circostanze che devono essere prese in considerazione dal giudice del rinvio nel procedimento principale, figura in particolare il comportamento dell’Enteco Baltic e quello delle autorità lituane, entrambi menzionati nelle questioni pregiudiziali dalla quinta alla settima sollevate dal giudice del rinvio.

100.

Con riferimento al comportamento dell’Enteco Baltic, occorre ricordare che non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a un’evasione tributaria ( 26 ). Qualora il soggetto passivo di cui trattasi sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e non abbia adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare l’evasione medesima, il beneficio dell’esenzione dovrebbe essergli negato ( 27 ).

101.

Spetta al giudice del rinvio verificare, sulla base di una valutazione globale di tutti gli elementi e le circostanze di fatto relativi al procedimento principale, se l’Enteco Baltic abbia agito in buona fede e abbia adottato tutte le misure che le si potevano ragionevolmente richiedere per garantire che l’operazione realizzata non la conducesse a partecipare a un’evasione fiscale ( 28 ).

102.

A tale riguardo, la circostanza, menzionata dal giudice del rinvio nella sua sesta questione pregiudiziale, secondo la quale l’Enteco Baltic avrebbe comunicato con i suoi clienti attraverso mezzi di comunicazione elettronici, in particolare per lo scambio di documenti contrattuali, non può certamente costituire la prova della mancanza di buona fede o della negligenza dell’importatore per quanto riguarda le misure che si possono ragionevolmente attendere da tale operatore per evitare che esso partecipi a un’evasione fiscale.

103.

Certamente, non escludo che l’importatore che, al momento dell’importazione dei beni interessati, ometta di comunicare alle autorità nazionali competenti le informazioni elencate all’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA, possa indurre tali autorità a presumere, alla luce dell’obiettivo per il quale tale disposizione è stata introdotta nella suddetta direttiva, che tale importatore sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’evasione fiscale.

104.

Tuttavia, ritengo che una siffatta presunzione debba poter essere confutata dall’importatore mediante tutti i mezzi di prova ammessi dal diritto nazionale.

105.

Ciò premesso, in considerazione delle informazioni fornite dal giudice del rinvio, il procedimento principale non è caratterizzato, in particolare, dalla mancata comunicazione, da parte dell’Enteco Baltic, delle informazioni elencate all’articolo 143, paragrafo 2, della direttiva IVA, bensì da una valutazione diversa, da parte delle autorità doganale e tributaria, degli elementi comunicati da tale operatore, in un contesto in cui quest’ultimo sembra avere collaborato in buona fede con le suddette autorità.

106.

Invero ‐ e tale osservazione mi porta a esaminare la questione del comportamento delle autorità nazionali ‐ gli elementi di fatto comunicati dal giudice del rinvio e la formulazione della quinta questione che quest’ultimo ha sollevato indicano fortemente che l’UDV, in occasione della verifica effettuata nel 2014 e nel 2015, ha invalidato il risultato della verifica effettuata nel 2013 dall’Ispettorato con riferimento al rispetto delle condizioni relative all’esistenza di una cessione intracomunitaria esente, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA.

107.

La spiegazione fornita dal governo lituano all’udienza dinanzi alla Corte, secondo la quale queste due autorità effettuano verifiche i cui ambiti di applicazione sono distinti – l’autorità doganale verifica il rispetto delle condizioni di cui all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA, mentre l’autorità tributaria controlla il rispetto di quelle di cui all’articolo 138 di tale direttiva – non mi convince. Infatti, come già affermato, l’esenzione dell’importazione concessa ai sensi dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA dipende interamente dal rispetto delle condizioni per l’esenzione della cessione intracomunitaria che segue tale importazione, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, della suddetta direttiva. Le verifiche delle autorità nazionali si sovrappongono, quindi, almeno in parte. Peraltro, il giudice del rinvio indica chiaramente, nella sua quinta questione, il fatto che l’autorità doganale (l’UDV e/o il SDN), per negare il diritto all’esenzione dall’IVA all’importazione, si sia basata sul mancato soddisfacimento delle condizioni per il mantenimento (dell’esenzione) della cessione dei beni all’interno dell’Unione, vale a dire quelle imposte all’articolo 138 della direttiva IVA e che sono state oggetto della verifica dell’Ispettorato nel 2013.

108.

In tali circostanze è a mio avviso necessario ricordare le considerazioni formulate dalla Corte riguardo al comportamento delle autorità nazionali nell’ambito dell’applicazione dell’esenzione delle cessioni intracomunitarie, nelle sentenze del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C‑409/04, EU:C:2007:548, punto 50) e del 14 giugno 2017, Santogal M‑Comércio e Reparação de Automóveis (C‑26/16, EU:C:2017:453, punto 75). In tali sentenze la Corte ha infatti dichiarato che il principio di certezza del diritto osta a che uno Stato membro, che abbia accettato in un primo momento i documenti presentati dal fornitore/venditore quali prove giustificative del diritto all’esenzione, possa poi obbligare tale fornitore/venditore ad assolvere l’IVA relativa a tale cessione a causa di una frode commessa dall’acquirente di cui il suddetto fornitore/venditore non aveva e non poteva aver conoscenza.

109.

Il giudice del rinvio dovrà quindi verificare attentamente se nel procedimento principale si sia presentata una situazione di questo tipo.

110.

Aggiungo, ad ogni buon fine, che uno Stato membro ‐ per negare il diritto all’esenzione dall’IVA a un soggetto passivo che agisce in buona fede e nei cui confronti non sussiste alcun indizio probatorio che riveli che egli sapeva o poteva sapere di partecipare a un’evasione ‐ non può far valere lacune che pregiudichino il coordinamento e la cooperazione dell’azione delle sue autorità nazionali. A tale riguardo, è senz’altro significativo constatare che le due relazioni della Corte dei conti dell’Unione europea, emesse rispettivamente nel 2011 e nel 2015 a seguito di verifiche effettuate in numerosi Stati membri ( 29 ), relazioni alle quali la Commissione ha rinviato nelle sue osservazioni scritte, mettono segnatamente in evidenza che «i controlli doganali e fiscali non funzionano in modo efficace» e che «la gestione dell’esenzione IVA da parte di due diverse autorità (doganali e fiscali) ostacola [tale] efficacia, in quanto non esiste una comunicazione senza soluzione di continuità tra di esse per quel che riguarda le importazioni effettuate a titolo [del] regime [doganale 42]» ( 30 ). Alla luce degli elementi e delle circostanze evidenziati dal giudice del rinvio, il procedimento principale, a mio avviso, sembra illustrare i rischi o persino le disfunzioni che interessano il flusso della comunicazione tra autorità doganale e fiscale all’interno di un medesimo Stato membro, rilevati nelle relazioni della Corte dei conti.

111.

Per contro – per quanto riguarda la settima questione sollevata dal giudice del rinvio relativa all’eventuale obbligo delle autorità lituane di raccogliere informazioni presso imprese di altri Stati membri al fine di dimostrare il trasferimento del potere di disporre dei beni ceduti dall’Enteco Baltic – conformemente alla giurisprudenza, si deve ricordare che spetta all’operatore che si avvale di un’esenzione dall’IVA dimostrare che siano soddisfatte le condizioni sostanziali per tale esenzione ( 31 ). La richiamata giurisprudenza si applica, a mio parere, per analogia, all’importatore di cui all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA.

112.

Per quanto riguarda il ruolo delle autorità nazionali, la Corte ha già considerato, in sostanza, che gli atti adottati a livello dell’Unione che abbiano istituito un sistema di scambio di informazioni tra le amministrazioni tributarie degli Stati membri ( 32 ) non sono stati adottati per sostituirsi all’obbligo, incombente al soggetto passivo, di provare il carattere intracomunitario delle operazioni effettuate qualora tale soggetto passivo non sia in grado di fornire esso stesso le prove necessarie a tal fine ( 33 ).

113.

Tali atti non attribuiscono quindi diritti specifici al soggetto passivo ( 34 ) che, in particolare, lo autorizzino a esigere che un’autorità competente ricorra al meccanismo di scambio di informazioni istituito da tali atti.

114.

A maggior ragione, ritengo che il diritto dell’Unione in materia di scambio di informazioni e di cooperazione amministrativa tra gli Stati membri nell’ambito dell’IVA non imponga alle amministrazioni nazionali di raccogliere, su richiesta di un soggetto passivo, informazioni presso imprese di altri Stati membri, qualora tale soggetto passivo non possa esso stesso fornire le prove necessarie per dimostrare che il potere di disporre come proprietario dei beni importati e ceduti è stato trasferito all’acquirente e, in generale, per dimostrare che le importazioni o le cessioni effettuate da tale soggetto passivo sono esenti dall’IVA.

115.

Suggerisco pertanto di rispondere alle questioni pregiudiziali dalla terza alla settima come segue:

l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che non autorizza le autorità competenti di uno Stato membro a negare l’esenzione dall’IVA all’importazione quando il potere di disporre, come proprietario, dei beni importati e ceduti non è stato direttamente trasferito all’acquirente, purché tale potere sia stato effettivamente trasferito a tale soggetto passivo e non ad altre persone, circostanza che deve essere accertata dal giudice del rinvio;

il principio della certezza del diritto deve essere interpretato nel senso che osta a che l’autorità doganale di uno Stato membro neghi il diritto di esenzione dall’IVA all’importazione di un soggetto passivo che agisce in buona fede e ove non sia stato dimostrato che quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’evasione fiscale, per il motivo che una delle condizioni sostanziali dell’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria che segue l’importazione non è più soddisfatta, nonostante tale condizione sia stata già ritenuta soddisfatta dall’autorità competente dello stesso Stato membro in seguito a un controllo delle prove e dei documenti forniti dal soggetto passivo. Spetta al giudice del rinvio verificare se i fatti del procedimento principale consentano di accertare che tutte le suddette circostanze e condizioni siano soddisfatte, fermo restando che il semplice fatto che il soggetto passivo abbia utilizzato mezzi elettronici per comunicare con le sue controparti contrattuali non può costituire un’ipotesi di negligenza o malafede del suddetto soggetto passivo.

l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che spetta al soggetto passivo che si avvale dell’esenzione dall’IVA all’importazione dimostrare che le condizioni sostanziali di tale esenzione sono soddisfatte, senza che tale soggetto passivo possa esigere dalle autorità competenti dello Stato membro di importazione, quando esaminano la questione del trasferimento, a favore dell’acquirente, del diritto di disporre, come proprietario, dei beni ceduti, che esse raccolgano, presso altri soggetti passivi, informazioni alle quali possono accedere solo le autorità pubbliche.

2. Sugli elementi di prova idonei a dimostrare che, al momento dell’importazione, i beni importati sono destinati a essere spediti o trasportati in un altro Stato membro (seconda questione)

116.

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio interroga la Corte sul valore probatorio di taluni documenti, quali i documenti e‑AD e le lettere e‑ROR, che confermano il trasporto dei combustibili dal deposito fiscale situato nello Stato membro di importazione (nel caso di specie, la Lituania) verso un deposito fiscale situato nello Stato membro di destinazione (con ogni probabilità, nel procedimento principale, la Polonia).

117.

Né l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA, né l’articolo 138 di quest’ultima stabiliscono quali prove debbano essere fornite dai soggetti passivi per beneficiare dell’esenzione dall’IVA. Ne consegue che, ai sensi dell’articolo 131 della direttiva IVA, tale questione rientra nella competenza degli Stati membri, nel rispetto dei principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, quali i principi della certezza del diritto e di proporzionalità ( 35 ).

118.

Per quanto riguarda, in primo luogo, l’interpretazione dell’articolo 143 della direttiva IVA, come rilevato dal giudice del rinvio e come sostenuto dalla Commissione, le lettere e‑ROR sono documenti elettronici, specifici dei prodotti soggetti ad accisa, che sono predisposti successivamente alla spedizione e/o al trasporto delle merci, a conferma dell’effettuazione di tali operazioni.

119.

Orbene, affinché sia soddisfatto il requisito di cui all’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA, è necessario che l’importatore fornisca la prova, «al momento dell’importazione», che i beni importati sono destinati ad essere spediti o trasportati in un altro Stato membro.

120.

Le lettere e‑ROR non possono quindi, a mio parere, costituire elementi di prova sufficienti, idonei a dimostrare che, al momento dell’importazione, i beni importati erano destinati a essere oggetto di una cessione intracomunitaria.

121.

Invece, come sostenuto anche dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, sono idonei a dimostrare oggettivamente l’intenzione, al momento dell’importazione, di spedire o di trasportare i beni importati verso un altro Stato membro, i documenti commerciali, quali le lettere di vettura CMR, predisposti prima della suddetta spedizione o del suddetto trasporto verso lo Stato membro di destinazione.

122.

Per quanto concerne i documenti e‑AD, disciplinati dalle disposizioni della direttiva 2008/118 e del regolamento n. 684/2009, essi devono accompagnare la circolazione di prodotti in sospensione dall’accisa. Pertanto, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 e dell’articolo 3 del regolamento n. 684/2009, la bozza di documento amministrativo elettronico dev’essere presentata dallo speditore alle autorità competenti dello Stato membro di spedizione non prima di 7 giorni antecedenti la data indicata su tale documento come data di spedizione dei prodotti in questione. Tale formalità consente alle suddette autorità di verificare la validità dei dati riportati nel documento, che includono in particolare, ai sensi della tabella 1 del regolamento n. 684/2009, le informazioni relative alla merce spedita, all’operatore del luogo di spedizione, nonché all’operatore del luogo di destinazione della circolazione dei prodotti. È quindi assolutamente possibile che, al momento dell’importazione di una merce proveniente da un paese terzo, l’importatore o un soggetto che agisce in suo nome trasmetta la bozza di documento e‑AD alle autorità competenti dello Stato membro da cui verrà trasportata la merce in sospensione dall’accisa, ai fini della loro convalida.

123.

Nel procedimento principale, dalle informazioni comunicate alla Corte non emergono né le circostanze in cui i diversi documenti e‑AD abbiano potuto essere trasmessi alle autorità competenti lituane, né il contenuto di tali documenti (o bozze di documenti), né il loro trattamento da parte delle autorità nazionali.

124.

Cionondimeno, a mio avviso, è possibile affermare che il documento e‑AD può costituire un elemento idoneo a dimostrare che, al momento dell’importazione, il bene importato fosse destinato a essere spedito verso un altro Stato membro, ai sensi dell’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA.

125.

Spetta al giudice del rinvio verificare se, al momento dell’importazione, le autorità nazionali disponessero delle bozze di documenti e‑AD e se queste ultime fossero sufficientemente complete, controllando al contempo il trattamento riservato a tali documenti dalle medesime autorità.

126.

In secondo luogo, per quanto riguarda la spedizione o il trasporto effettivi del bene oggetto di una cessione intracomunitaria, condizione che, come già evidenziato, deve essere soddisfatta a norma dell’articolo 138 della direttiva IVA, da cui dipende interamente l’esenzione dell’importazione prevista all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della suddetta direttiva, ritengo che le lettere e‑ROR, emesse da un deposito fiscale situato nello Stato membro di destinazione, possano costituire prove dell’effettivo spostamento fisico dei beni ceduti oltre i confini dello Stato membro di cessione. Per quanto concerne il documento e‑AD, l’articolo 24 della direttiva 2008/118 prevede che, al momento del ricevimento dei prodotti, il destinatario presenti, non oltre cinque giorni lavorativi dopo la conclusione della circolazione, una nota di ricevimento alle autorità competenti dello Stato membro di destinazione, le quali effettuano una verifica dei dati così comunicati, possono convalidarli e in seguito inviarli alle autorità competenti dello Stato membro di spedizione. Ai sensi dell’articolo 7 e della tabella 6 del regolamento n. 684/2009, la nota di ricevimento deve segnatamente includere il codice amministrativo del documento e‑AD. Tutte le suddette informazioni sono quindi idonee a dimostrare che i beni di cui trattasi hanno lasciato il territorio dello Stato membro di spedizione.

127.

A tale riguardo, né la formulazione dell’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva IVA, né la giurisprudenza che interpreta tale disposizione richiedono che i documenti trasmessi dal fornitore dimostrino una spedizione o un trasporto a destinazione dell’acquirente ( 36 ). È sufficiente, come peraltro confermato dalla formulazione dell’articolo 143 della direttiva IVA, che il bene importato abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione verso lo Stato membro di destinazione.

128.

Spetta al giudice del rinvio verificare se, da un lato, al momento dell’importazione, l’Enteco Baltic abbia fornito documenti giustificativi sufficienti a dimostrazione che i combustibili importati erano destinati ad essere oggetto di una cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 143, paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA e, dall’altro, se tale società abbia sufficientemente dimostrato, ai sensi dell’articolo 138 della richiamata direttiva, che i suddetti combustibili hanno lasciato fisicamente il territorio lituano, tenuto, come ho già rilevato, del comportamento di tale società e di quello delle autorità nazionali competenti.

129.

Suggerisco dunque di rispondere alla seconda questione pregiudiziale come segue:

L’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, lettera c), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che documenti quali il documento amministrativo elettronico (documento denominato «e‑AD») e la lettera di vettura redatta sulla base della Convenzione, firmata a Ginevra il 19 maggio 1956, concernente il contratto di trasporto internazionale di merci su strada (lettera di vettura denominata «CMR»), possono essere considerati elementi idonei a dimostrare che, al momento dell’importazione, i beni importati sono destinati a essere spediti o trasportati in un altro Stato membro. L’articolo 138 della direttiva IVA, al quale rinvia l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che le note di ricevimento dei documenti e‑AD e le lettere di conferma denominate «e‑ROR» possono essere considerate elementi che consentono di dimostrare che i beni importati, che sono stati oggetto della cessione intracomunitaria, hanno lasciato il territorio dello Stato membro di importazione e di fornitura e sono stati spediti verso lo Stato membro di destinazione.

V. Conclusione

130.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Vilniaus apygardos administracinis teismas (tribunale amministrativo regionale di Vilnius, Lituania) come segue:

1)

L’articolo 143, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2009/69/CE del Consiglio, del 25 giugno 2009, in relazione all’evasione fiscale connessa all’importazione, deve essere interpretato nel senso che, alla luce delle circostanze del procedimento principale, esso non autorizza le autorità competenti di uno Stato membro a negare l’esenzione prevista all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva sulla base del mero fatto che, al momento dell’importazione, si prevedeva di fornire prodotti a un soggetto passivo in un altro Stato membro, circostanza che spiega che il numero d’identificazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) di tale soggetto passivo sia indicato nella dichiarazione di importazione, mentre i prodotti, a seguito di un successivo cambiamento di circostanze, sono stati ceduti a un altro soggetto passivo (anch’esso debitore dell’IVA) e alle autorità del primo Stato membro sono state comunicate tutte le informazioni concernenti l’identità dell’acquirente effettivo.

2)

L’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2009/69, deve essere interpretato nel senso che documenti quali il documento amministrativo elettronico (documento denominato «e‑AD») e la lettera di vettura redatta sulla base della Convenzione, firmata a Ginevra il 19 maggio 1956, concernente il contratto di trasporto internazionale di merci su strada (lettera di vettura denominata «CMR»), possono essere considerati elementi idonei a dimostrare che, al momento dell’importazione, i beni importati sono destinati a essere spediti o trasportati in un altro Stato membro. L’articolo 138 della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2009/69, articolo al quale rinvia l’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva, come modificata, deve essere interpretato nel senso che le note di ricevimento dei documenti e‑AD e le lettere di conferma denominate «e‑ROR» possono essere considerate elementi che consentono di dimostrare che i beni importati, che sono stati oggetto della cessione intracomunitaria, hanno lasciato il territorio dello Stato membro di importazione e di fornitura e sono stati spediti verso lo Stato membro di destinazione.

3)

L’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2009/69, deve essere interpretato nel senso che non autorizza le autorità competenti di uno Stato membro a negare l’esenzione dall’IVA all’importazione quando il potere di disporre come proprietario dei beni importati e ceduti non è stato direttamente trasferito all’acquirente, purché tale potere sia stato effettivamente trasferito a tale soggetto passivo e non ad altre persone, circostanza che deve essere accertata dal giudice del rinvio.

4)

Il principio della certezza del diritto deve essere interpretato nel senso che osta a che l’autorità doganale di uno Stato membro neghi il diritto di esenzione dall’IVA all’importazione di un soggetto passivo che agisce in buona fede e ove non sia stato dimostrato che quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a un’evasione fiscale, per il motivo che una delle condizioni sostanziali dell’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria che segue l’importazione non è più soddisfatta, nonostante tale condizione sia già stata ritenuta soddisfatta dall’autorità competente dello stesso Stato membro in seguito a un controllo delle prove e dei documenti forniti dal soggetto passivo. Spetta al giudice del rinvio verificare se i fatti del procedimento principale consentano di accertare che tutte le suddette circostanze e condizioni siano soddisfatte, fermo restando che il semplice fatto che il soggetto passivo abbia utilizzato mezzi elettronici per comunicare con le sue controparti contrattuali non può costituire un’ipotesi di negligenza o malafede del suddetto soggetto passivo.

5)

L’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2009/69, deve essere interpretato nel senso che spetta al soggetto passivo, che si avvale dell’esenzione dall’IVA all’importazione, dimostrare che le condizioni sostanziali di tale esenzione sono soddisfatte, senza che tale soggetto passivo possa esigere dalle autorità competenti dello Stato membro di importazione, quando esse esaminano la questione del trasferimento, a favore dell’acquirente, del diritto di disporre, come proprietario, dei beni ceduti, che esse raccolgano, presso altri soggetti passivi, informazioni alle quali possono accedere solo le autorità pubbliche.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2006, L 347, pag. 1.

( 3 ) GU 2009, L 175, pag. 12.

( 4 ) Tale regime è denominato «regime doganale 42» o «procedura doganale 42», in ragione del fatto che, per ottenere l’esenzione dall’IVA, l’importatore dei beni deve inserire, nella casella n. 37 del documento amministrativo unico, un codice che inizia con il numero 42. Tale regime consente di importare in esenzione dall’IVA beni che sono in seguito oggetto di una cessione comunitaria, con formalità semplificate e costi minori.

( 5 ) Nell’ambito di un siffatto contratto commerciale, il venditore si impegna unicamente a rendere disponibili le merci per l’esportazione, mentre l’acquirente si assume tutti i rischi connessi al loro trasporto.

( 6 ) La domanda di pronuncia pregiudiziale si riferisce unicamente a depositi situati in Polonia.

( 7 ) La lettera di vettura CMR [prevista sulla base della Convenzione, firmata a Ginevra il 19 maggio 1956, concernente il contratto di trasporto internazionale di merci su strada (CMR), Recueil des traités, 1961, vol. 399, pag. 189] è un documento di trasporto terrestre che deve essere redatto, prima dell’esecuzione di un trasporto internazionale di merci, da una delle parti del contratto di trasporto. La lettera di vettura CMR attesta, in particolare, la spedizione delle merci a partire dal momento in cui il trasportatore vi appone la sua firma.

( 8 ) V. la precedente nota 6.

( 9 ) È pacifico che l’e‑ROR è una conferma elettronica del ricevimento di prodotti soggetti ad accisa, elaborata dal destinatario.

( 10 ) Acronimo di «electronic‑Administrative Document». Il documento amministrativo elettronico è previsto dalla direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE (GU 2009, L 9, pag. 12) e deve conformarsi ai requisiti del regolamento (CE) n. 684/2009 della Commissione, del 24 luglio 2009, recante modalità di attuazione della direttiva 2008/118/CE del Consiglio per quanto riguarda le procedure informatizzate relative alla circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in sospensione dall’accisa (GU 2009, L 197, pag. 24). Tale documento consente di beneficiare del regime di sospensione dall’accisa.

( 11 ) V. paragrafo 72 delle presenti conclusioni.

( 12 ) V., segnatamente, in tal senso, sentenze del 27 settembre 2007, Teleos e a. (C‑409/04, EU:C:2007:548, punto 42); del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 31); del 9 ottobre 2014, Traum (C‑492/13, EU:C:2014:2267, punto 24), nonché del 26 luglio 2017, Toridas (C‑386/16, EU:C:2017:599, punto 30).

( 13 ) V. sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 59); del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punto 29) e del 26 luglio 2017, Toridas (C‑386/16, EU:C:2017:599, punto 47).

( 14 ) Ricordo, a tale riguardo, che l’articolo 214, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IVA invita gli Stati membri a prendere i provvedimenti necessari affinché i soggetti passivi siano identificati tramite un numero individuale, vale a dire il numero individuale d’identificazione IVA di cui all’articolo 215 di tale direttiva. Inoltre, numerose disposizioni di tale direttiva, oltre all’articolo 143, paragrafo 2, della stessa, menzionano tale numero, come nel caso dell’articolo 226, relativo al contenuto delle fatture o dell’articolo 365 riguardante la dichiarazione IVA. Nell’ambito delle operazioni intracomunitarie, la Corte ha altresì sottolineato che tale numero mira ad agevolare la determinazione dello Stato membro in cui avviene il consumo finale dei beni ceduti: v., segnatamente, sentenza del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

( 15 ) V., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punti da 59 a 63); del 27 settembre 2012, VSTR (C‑587/10, EU:C:2012:592, punti 5152); del 20 ottobre 2016, Plöckl (C‑24/15, EU:C:2016:791, punto 40), nonché del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punto 32).

( 16 ) V., in particolare, sentenza del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punti 3940 e la giurisprudenza ivi citata).

( 17 ) Sentenza del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).

( 18 ) V., segnatamente, in tal senso, sentenza del 3 settembre 2015, Fast Bunkering Klaipėda (C‑526/13, EU:C:2015:536, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).

( 19 ) V. sentenza del 3 giugno 2010, De Fruytier (C‑237/09, EU:C:2010:316, punto 22).

( 20 ) V., in particolare, sentenze del 21 novembre 2013, Dixons Retail (C‑494/12, EU:C:2013:758, punto 20) e del 3 settembre 2015, Fast Bunkering Klaipėda (C‑526/13, EU:C:2015:536, punto 51).

( 21 ) Sentenza del 18 luglio 2013, Evita‑K (C‑78/12, EU:C:2013:486, punto 35).

( 22 ) Il giudice del rinvio, nella sua quarta questione, sembra invero suggerire che le autorità lituane si baserebbero su un’interpretazione diversa della nozione di trasferimento del diritto di disposizione dei beni, a seconda che esse applichino le norme relative al diritto a detrazione dell’IVA (articolo 167 della direttiva IVA) o quelle concernenti l’esenzione all’importazione seguita da una cessione intracomunitaria [articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva IVA]. Come già affermato, una siffatta differenza interpretativa, che del resto non emerge chiaramente dalla motivazione della decisione di rinvio, non si giustifica in ogni caso in alcun modo, alla luce dell’autonomia e dell’uniformità della definizione di «cessione di beni», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva IVA.

( 23 ) Sentenza del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 32).

( 24 ) V., in tal senso, sentenza del 21 novembre 2013, Dixons Retail (C‑494/12, EU:C:2013:758, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata).

( 25 ) V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Evita‑K (C‑78/12, EU:C:2013:486, punto 34).

( 26 ) V., in particolare, sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 48).

( 27 ) V., in particolare, sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 54), e del 9 ottobre 2014, Traum (C‑492/13, EU:C:2014:2267, punto 42).

( 28 ) V., in particolare, per analogia, sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 53), e del 9 ottobre 2014, Traum (C‑492/13, EU:C:2014:2267, punto 41).

( 29 ) V., rispettivamente, Corte dei conti, relazione speciale n. 13, I controlli sul regime doganale 42 impediscono e individuano i casi di evasione in materia di IVA?, Lussemburgo, 2011, e relazione speciale n. 24, Lotta alle frodi nel campo dell’IVA intracomunitaria: sono necessari ulteriori interventi, Lussemburgo, 2015.

( 30 ) V. relazione speciale n. 13, punti 55 e 56. V., altresì, punti da 36 a 38 della suddetta relazione, nonché punti 78 e 79 della relazione speciale n. 24.

( 31 ) V., in particolare, sentenze del 27 settembre 2007, Twoh International (C‑184/05, EU:C:2007:550, punto 26) e del 7 dicembre 2010, R. (C‑285/09, EU:C:2010:742, punto 46).

( 32 ) Si tratta, rispettivamente, della direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU 1977, L 336, pag. 15) e del regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio, del 7 ottobre 2003, relativo alla cooperazione amministrativa in materia d’imposta sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) n. 218/92 (GU 2003, L 264, pag. 1). Questi due atti sono stati rispettivamente sostituiti dalla direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (GU 2011, L 64, pag. 1), il cui termine di recepimento scadeva il 1o gennaio 2013, e dal regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto (GU 2010, L 268, pag. 1), entrato in vigore il 1o gennaio 2012.

( 33 ) V., in tal senso, sentenze del 27 settembre 2007, Twoh International (C‑184/05, EU:C:2007:550, punto 34) e del 22 aprile 2010, X e fiscale eenheid Facet‑Facet Trading (C‑536/08 e C‑539/08, EU:C:2010:217, punto 37).

( 34 ) V., con riferimento alla direttiva 77/799, sentenze del 27 settembre 2007, Twoh International (C‑184/05, EU:C:2007:550, punto 31) e del 22 ottobre 2013, Sabou (C‑276/12, EU:C:2013:678, punto 36). V., altresì, in tal senso, con riferimento alla direttiva 2011/16, che persegue un obiettivo analogo a quello della direttiva 77/799 che essa ha sostituito, sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punti 46, 4758).

( 35 ) V., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 36); del 9 ottobre 2014, Traum (C‑492/13, EU:C:2014:2267, punto 27), nonché del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punto 33).

( 36 ) V., in particolare, in tal senso, sentenze del 6 settembre 2012, Mecsek‑Gabona (C‑273/11, EU:C:2012:547, punto 31); del 9 ottobre 2014, Traum (C‑492/13, EU:C:2014:2267, punto 24), nonché del 9 febbraio 2017, Euro Tyre (C‑21/16, EU:C:2017:106, punto 25).