CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 12 settembre 2017 ( 1 )

Causa C‑291/16

Schweppes SA

contro

Red Paralela SL,

Red Paralela BCN SL, già Carbòniques Montaner SL,

con l’intervento di

Orangina Schweppes Holding BV,

Schweppes International Ltd,

Exclusivas Ramírez SL

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de lo Mercantil n. 8 de Barcelona (tribunale di commercio n. 8 di Barcellona, Spagna)]

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Marchi – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 7, paragrafo 1 – Esaurimento del diritto conferito dal marchio – Marchi paralleli – Cessione dei marchi per una parte del territorio dello Spazio economico europeo (SEE)»

1.

Più di 20 anni dopo la sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), vengono nuovamente sottoposte alla Corte questioni pregiudiziali concernenti l’esaurimento del diritto conferito dal marchio nel contesto della frammentazione volontaria di diritti paralleli aventi la medesima origine e sorti in vari Stati dello Spazio economico europeo (SEE). In tale contesto, la Corte è chiamata a riflettere, ancora una volta, sull’equilibrio tra la tutela del diritto di marchio e la libera circolazione delle merci.

2.

La domanda di pronuncia pregiudiziale oggetto della presente causa verte, in particolare, sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( 2 ), nonché dell’articolo 36 TFUE.

3.

Detta domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone la Schweppes SA, società spagnola, alla Red Paralela SL e alla Red Paralela BCN SL, già Carbòniques Montaner SL (in prosieguo, congiuntamente: le «società Red Paralela») relativamente all’importazione in Spagna, da parte di queste ultime, di bottiglie di acqua tonica contrassegnate dal marchio SCHWEPPES provenienti dal Regno Unito.

Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

4.

L’origine del marchio SCHWEPPES risale al 1783, anno in cui Jacob Schweppe inventò il primo procedimento industriale di carbonatazione dell’acqua, che dà origine alla bevanda nota all’epoca con la denominazione di «Schweppes’s Soda Water», e fondò a Ginevra (Svizzera) la società J. Schweppe & Co. Nel corso degli anni, il marchio SCHWEPPES ha acquisito fama mondiale sul mercato delle acque toniche.

5.

In Europa, il segno «Schweppes» è registrato come una serie di marchi nazionali, denominativi e figurativi, identici o praticamente identici, in tutti gli Stati membri del SEE.

6.

La Cadbury Schweppes è stata titolare unica per anni di tali diversi marchi registrati. Nel 1999 essa ha ceduto al gruppo The Coca‑Cola Company (in prosieguo: la «Coca‑Cola») i diritti relativi ai marchi SCHWEPPES in 13 Stati membri del SEE, mantenendo la titolarità di tali diritti negli altri 18 Stati ( 3 ). Nel 2009 la Cadbury Schweppes, divenuta Orangina Schweppes Group (in prosieguo: il «gruppo Orangina Schweppes»), è stata acquisita dal gruppo giapponese Suntory.

7.

I marchi SCHWEPPES registrati in Spagna sono detenuti dalla Schweppes International Ltd., controllata inglese della Orangina Schweppes Holding BV, società capogruppo del gruppo Orangina. La Schweppes, controllata spagnola della Orangina Schweppes Holding, è titolare di una licenza esclusiva per lo sfruttamento di tali marchi in Spagna.

8.

Il 29 maggio 2014 la Schweppes ha proposto un’azione per contraffazione nei confronti delle società Red Paralela a motivo dell’importazione e della commercializzazione in Spagna di bottiglie di acqua tonica recanti il marchio SCHWEPPES provenienti dal Regno Unito. Secondo la Schweppes, tali atti sarebbero illeciti, in quanto dette bottiglie di acqua tonica sono state prodotte e immesse in commercio non da lei stessa o con il suo consenso, bensì dalla Coca‑Cola, la quale non avrebbe alcun rapporto con il gruppo Orangina Schweppes. In tale contesto, la Schweppes sostiene che, tenuto conto dell’identità dei segni e dei prodotti in questione, il consumatore non è in grado di distinguere l’origine commerciale di tali bottiglie.

9.

Le società Red Paralela si sono opposte a tale azione per contraffazione invocando l’esaurimento del diritto di marchio che risulterebbe, per quanto riguarda i prodotti contrassegnati dal marchio SCHWEPPES e provenienti da Stati membri dell’Unione europea nei quali la Coca‑Cola è titolare di tale marchio, da un consenso tacito. Le società Red Paralela affermano, inoltre, che sussistono incontestabilmente collegamenti giuridici ed economici tra la Coca‑Cola e la Schweppes International nello sfruttamento comune del segno «Schweppes» come marchio universale ( 4 ).

10.

Secondo gli accertamenti effettuati dal giudice del rinvio, i fatti pertinenti ai fini della presente causa sono i seguenti:

la Schweppes International ha favorito, pur essendo titolare dei marchi paralleli solo in una parte degli Stati membri del SEE, un’immagine globale del marchio SCHWEPPES;

la Coca‑Cola, titolare dei marchi paralleli registrati negli altri Stati membri del SEE, ha contribuito al mantenimento di tale immagine di marchio globale;

detta immagine globale ingenera confusione nel pubblico spagnolo di riferimento riguardo all’origine commerciale dei prodotti recanti il marchio SCHWEPPES;

la Schweppes International è responsabile del sito web europeo specificamente dedicato al marchio SCHWEPPES (www.schweppes.eu), che contiene non solo informazioni generali sui prodotti di tale marca, ma anche collegamenti verso vari siti locali e in particolare verso il sito del Regno Unito gestito dalla Coca‑Cola;

la Schweppes International, che non detiene alcun diritto sul marchio SCHWEPPES nel Regno Unito (in cui il marchio è detenuto dalla Coca‑Cola), rivendica sul suo sito web l’origine britannica del marchio;

la Schweppes International e la Schweppes utilizzano l’immagine dei prodotti del Regno Unito nella loro pubblicità;

nel Regno Unito, la Schweppes International promuove e pubblicizza presso la clientela, sulle reti sociali, i prodotti contrassegnati dal marchio SCHWEPPES;

la presentazione dei prodotti recanti il marchio SCHWEPPES commercializzati dalla Schweppes International è molto simile – e in alcuni Stati membri, quali il Regno di Danimarca e il Regno dei Paesi Bassi, perfino identica – a quella dei prodotti recanti il medesimo marchio d’origine del Regno Unito;

la Schweppes International, che ha sede nel Regno Unito, e la Coca‑Cola coesistono pacificamente nel territorio del Regno Unito;

in seguito alla cessione, nel 1999, di una parte dei marchi paralleli alla Coca‑Cola, le due titolari dei marchi SCHWEPPES nel SEE hanno chiesto parallelamente, nei rispettivi territori, la registrazione di nuovi marchi SCHWEPPES identici o simili per i medesimi prodotti (quale, segnatamente, il marchio SCHWEPPES ZERO);

sebbene la Schweppes International sia la titolare dei marchi paralleli nei Paesi Bassi, lo sfruttamento del marchio in tale paese (vale a dire l’elaborazione, l’imbottigliamento e l’immissione in commercio del prodotto) viene effettuato dalla Coca‑Cola in qualità di licenziataria;

la Schweppes International non si oppone alla vendita online di prodotti recanti marchi di origine del Regno Unito in vari Stati membri del SEE, nei quali essa è titolare dei diritti sul marchio SCHWEPPES, come in Germania e in Francia. Prodotti contrassegnati da tale marchio sono peraltro venduti in tutto il territorio del SEE tramite portali web, senza distinzione d’origine;

la Coca‑Cola non si è opposta, sulla base dei suoi diritti di marchio, alla domanda di registrazione, da parte della Schweppes International, di un modello dell’Unione contenente l’elemento denominativo «Schweppes».

11.

In tale contesto, lo Juzgado de lo Mercantil n. 8 de Barcelona (tribunale di commercio n. 8 di Barcellona, Spagna) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se sia compatibile con l’articolo 36 TFUE, con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436 il fatto che il titolare di un marchio in uno o più Stati membri impedisca l’importazione parallela o la commercializzazione di prodotti recanti un marchio identico o praticamente identico, di proprietà di un terzo, provenienti da un altro Stato membro, nel caso in cui detto titolare abbia rafforzato un’immagine di marchio globale associato allo Stato membro di origine dei prodotti che intende vietare.

2)

Se sia compatibile con l’articolo 36 TFUE, con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436 la vendita di un prodotto, recante un marchio notorio, all’interno dell’Unione nel caso in cui i titolari del marchio registrato mantengano un’immagine globale di marchio nell’intero SEE tale da ingenerare confusione nel consumatore medio riguardo all’origine commerciale del prodotto.

3)

Se sia compatibile con l’articolo 36 TFUE, con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436 il fatto che il titolare di marchi nazionali identici o simili in vari Stati membri si opponga all’importazione in uno Stato membro, in cui è titolare del marchio, di prodotti designati con un marchio identico o simile al suo e provenienti da uno Stato membro in cui non è titolare, quando almeno in un altro Stato membro in cui è titolare del marchio abbia acconsentito, espressamente o tacitamente, all’importazione dei medesimi prodotti.

4)

Se sia compatibile con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, con l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436 e con l’articolo 36 TFUE il fatto che il titolare A di un marchio X di uno Stato membro si opponga all’importazione di prodotti designati da detto marchio, nel caso in cui tali prodotti provengano da un altro Stato membro in cui è stato registrato un marchio identico a X (Y) da parte di un altro titolare B che lo commercializza e:

i due titolari A e B intrattengano intensi rapporti commerciali ed economici, sebbene non di stretta dipendenza per lo sfruttamento congiunto del marchio X;

i due titolari A e B perseguano una strategia di marchio coordinata rafforzando deliberatamente di fronte al pubblico un’apparenza o immagine di marchio unico e globale; o

i due titolari A e B intrattengano intensi rapporti commerciali ed economici, sebbene non di stretta dipendenza per lo sfruttamento congiunto del marchio X, e perseguano inoltre una strategia di marchio coordinata rafforzando deliberatamente di fronte al pubblico un’apparenza o immagine di marchio unico e globale».

12.

Hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte la Schweppes, le società Red Paralela, la Schweppes International, la Orangina Schweppes Holding, i governi ellenico e dei Paesi Bassi nonché la Commissione.

13.

La Schweppes, le società Red Paralela, la Schweppes International, la Orangina Schweppes Holding e la Commissione hanno svolto osservazioni orali all’udienza del 31 maggio 2017.

Analisi

Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

14.

La Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding chiedono, in via principale, che la Corte voglia dichiarare irricevibile il rinvio pregiudiziale.

15.

Esse sostengono, in primo luogo, che la descrizione del contesto fattuale fornita dal giudice del rinvio è non solo viziata da errori manifesti ( 5 ), ma altresì incompleta, giacché la posizione della Schweppes e della Schweppes International sarebbe stata deliberatamente e arbitrariamente omessa, in violazione dei loro diritti della difesa ( 6 ).

16.

A tale proposito, ricordo che, secondo costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice nazionale è l’unico competente ad esaminare e valutare i fatti del procedimento principale ( 7 ). In tale contesto, la Corte è unicamente legittimata a pronunciarsi sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione riguardo alla situazione di fatto e di diritto descritta dal giudice del rinvio, al fine di fornire a quest’ultimo gli elementi utili alla soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente ( 8 ). Di conseguenza, occorre rispondere alle questioni pregiudiziali poste dallo Juzgado de lo Mercantil n. 8 de Barcelona (tribunale di commercio n. 8 di Barcellona) sulla base degli elementi di fatto indicati da detto giudice nella sua decisione di rinvio.

17.

In secondo luogo, la Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding asseriscono che le questioni pregiudiziali poste sarebbero astratte e si fonderebbero su affermazioni generali e ipotetiche. Pertanto, la Corte si troverebbe nell’impossibilità di valutarne la necessità e la pertinenza.

18.

Secondo una giurisprudenza costante, il procedimento istituito dall’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione fra la Corte ed i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere ( 9 ). Nell’ambito di tale cooperazione, è il giudice nazionale adito colui che si trova nella situazione più idonea per valutare, tenuto conto delle peculiarità della causa, la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere posto in grado di emettere la sentenza, nonché la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte ( 10 ). Ciò non toglie che spetta alla Corte esaminare, ove necessario, le condizioni in cui viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza e, in particolare, verificare se l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione presenti una relazione con l’effettività e l’oggetto della controversia nel procedimento principale, di modo che la Corte non sia indotta ad esprimere pareri su questioni generali o ipotetiche ( 11 ).

19.

Nel caso di specie, non risulta né dal rinvio pregiudiziale né dai documenti prodotti dalla Schweppes che le questioni pregiudiziali poste siano manifestamente prive di nesso con l’effettività e/o l’oggetto della controversia. Tale nesso, peraltro, non potrebbe essere escluso sulla base della sola contestazione, ad opera di una delle parti in lite, della fondatezza delle constatazioni di ordine fattuale effettuate dal giudice del rinvio.

20.

Infine, la Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding deducono che, dal momento che la giurisprudenza della Corte in tema di esaurimento del diritto conferito dal marchio è consolidata e costante, l’interpretazione delle disposizioni di diritto dell’Unione richiesta dal giudice del rinvio costituisce un «acte clair». Pertanto, il rinvio alla Corte non sarebbe necessario e andrebbe dichiarato irricevibile.

21.

A tale proposito, rilevo che la Corte ha già avuto occasione di precisare che la circostanza che la soluzione di una questione pregiudiziale possa essere chiaramente dedotta dalla giurisprudenza o non dia adito ad alcun ragionevole dubbio, ai sensi della sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335) – supponendo che tale ipotesi ricorra effettivamente nella presente causa ‐, non vieta in alcun modo a un giudice nazionale di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale ( 12 ) e non ha per effetto di rendere la Corte incompetente a statuire su una siffatta questione ( 13 ). Peraltro, la giurisprudenza sancita con la sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335), lascia unicamente al giudice nazionale il compito di valutare se la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio e, di conseguenza, di decidere di astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione che è stata sollevata dinanzi ad esso ( 14 ), risolvendola sotto la propria responsabilità ( 15 ).

22.

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare ricevibile il rinvio pregiudiziale.

Nel merito

23.

Con le sue quattro questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’articolo 36 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 ( 16 ) ostino, in circostanze come quelle descritte nella decisione di rinvio, a che il licenziatario del titolare di un marchio nazionale invochi il diritto esclusivo di cui quest’ultimo gode in virtù della normativa dello Stato membro nel quale detto marchio è registrato per opporsi all’importazione e/o alla commercializzazione in tale Stato di prodotti contrassegnati da un marchio identico e provenienti da un altro Stato membro, in cui detto marchio, che in precedenza era di proprietà del gruppo al quale appartengono sia il titolare del marchio nello Stato di importazione sia il suo licenziatario, è detenuto da un terzo che ne ha acquisito i diritti mediante cessione.

24.

Tali questioni saranno analizzate congiuntamente. A tal fine, ricorderò anzitutto i principi stabiliti dalla giurisprudenza in materia di esaurimento del diritto conferito dal marchio, anche nel caso della frammentazione di diritti paralleli in più Stati del SEE aventi all’origine il medesimo titolare. Analizzerò poi il modo in cui tali principi potrebbero essere applicati in circostanze come quelle della controversia principale. Infine, sulla base di tale analisi, proporrò una risposta alle questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio.

L’esaurimento del diritto conferito dal marchio

25.

Le normative degli Stati membri riconoscono, in linea di principio, al titolare di un marchio il diritto di opporsi all’importazione e alla commercializzazione da parte di terzi di prodotti recanti tale marchio ( 17 ). Quando detti prodotti provengono da un altro Stato membro, l’esercizio del menzionato diritto dà luogo a una restrizione della libera circolazione delle merci. Essendo giustificata da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale, siffatta restrizione ricade nell’ambito di applicazione della prima frase dell’articolo 36 TFUE ed è quindi autorizzata, salvo che costituisca un «mezzo di discriminazione arbitraria» o una «restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri» ai sensi della seconda frase del medesimo articolo.

26.

Introdotto nel diritto dell’Unione per via giurisprudenziale e codificato all’articolo 7, paragrafo 1, della prima direttiva 89/104 ( 18 ), successivamente all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e, infine, all’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436 ( 19 ), il principio dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio delimita la portata dei diritti di esclusiva riconosciuti dagli Stati membri, al fine di evitare che tali diritti vengano esercitati in modo da compartimentare il mercato interno isolando i mercati nazionali.

27.

In nome dell’equilibrio tra territorialità del marchio e libera circolazione delle merci, tale principio postula che, quando un prodotto legittimamente contrassegnato dal marchio sia stato immesso sul mercato dell’Unione (e, più ampiamente, nel SEE) con il consenso del titolare o da lui stesso, quest’ultimo non può opporsi, facendo valere il proprio di diritto di esclusiva, all’ulteriore circolazione di tale prodotto.

28.

La prima formulazione di questo principio risale alla sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115) ( 20 ). In detta sentenza, la Corte ha ricordato anzitutto che, se pure il Trattato non influisce sull’esistenza dei diritti attribuiti dalle leggi di uno Stato membro in fatto di proprietà industriale e commerciale, è comunque possibile che i divieti sanciti dal Trattato influiscano sull’esercizio di tali diritti ( 21 ). La Corte ha poi precisato che, «in quanto norma eccezionale rispetto ad uno dei principi fondamentali del mercato [interno], l’[articolo] 36 [TFUE] ammette (…) deroghe alla libera circolazione delle merci solo nella misura in cui tali deroghe appaiano indispensabili per la tutela dei diritti che costituiscono oggetto specifico della proprietà industriale e commerciale» ( 22 ). Ha quindi chiarito che, in materia di marchi, oggetto specifico della proprietà commerciale è «il fatto che venga garantito al titolare il diritto esclusivo di servirsi del marchio per la prima immissione di un prodotto sul mercato, tutelandolo, in tal modo, contro eventuali concorrenti che intendessero sfruttare la posizione dell’impresa e la reputazione del marchio, mediante utilizzazione abusiva di questo» ( 23 ). Alla luce di tale oggetto, la Corte ha concluso che l’ostacolo risultante dal diritto, riconosciuto al titolare del marchio dalla normativa di uno Stato membro in materia di proprietà industriale e commerciale, di opporsi all’importazione del prodotto contrassegnato dal marchio «non può ammettersi, qualora il prodotto sia stato regolarmente venduto, sul mercato dello Stato membro dal quale esso viene importato, dallo stesso titolare del marchio o con il suo consenso, di guisa che non si possa parlare di abuso o di contraffazione di marchio» ( 24 ). In caso contrario, secondo la Corte, il titolare del marchio «avrebbe la possibilità d’isolare i mercati nazionali e di mettere così in atto una restrizione degli scambi fra gli Stati membri, senza che tale restrizione sia necessaria a garantirgli, in sostanza, il diritto esclusivo derivante dalla titolarità del marchio» ( 25 ). In altri termini, il commercio sarebbe, in tal caso, «ingiustificatamente ostacolato» ( 26 ).

29.

L’applicazione del principio dell’esaurimento presuppone che ricorrano due condizioni: da un lato, l’immissione in commercio nel SEE dei prodotti contrassegnati dal marchio e, dall’altro, il consenso del titolare del marchio a tale immissione in commercio, qualora non sia stata effettuata direttamente da lui. In ragione delle limitazioni che il menzionato principio comporta per il diritto esclusivo del titolare del marchio, si rileva una tendenza della Corte ad interpretare restrittivamente le nozioni dalle quali dipende la sua applicazione.

30.

Così, per quanto riguarda la prima delle due condizioni sopra citate, la Corte, pronunciandosi sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della prima direttiva 89/104, ha dichiarato che sussiste «immissione in commercio», ai sensi di detta disposizione, quando i prodotti contrassegnati dal marchio sono effettivamente venduti, poiché è solo tale atto di vendita che consente al titolare di «realizzare il valore economico del suo marchio» e a terzi di acquisire «il diritto di disporre dei prodotti contrassegnati dal marchio» ( 27 ).

31.

Per quanto attiene alla seconda condizione, che riguarda l’imputabilità dell’immissione in commercio dei prodotti contrassegnati dal marchio al titolare dello stesso, la Corte ha precisato, sempre interpretando l’articolo 7, paragrafo 1, della prima direttiva 89/104, che il consenso a tale immissione in commercio «costituisce l’elemento determinante» per l’esaurimento del diritto esclusivo conferito dal marchio ( 28 ) e deve, pertanto, essere manifestato «in modo che esprima con certezza la volontà del titolare di rinunciare a tale diritto» ( 29 ).

32.

Una siffatta volontà risulta normalmente da una manifestazione espressa di detto consenso ( 30 ). Tuttavia, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 23), le esigenze collegate alla tutela della libera circolazione delle merci l’hanno indotta a ritenere che una tale regola «sia passibile di adattamenti».

33.

Così, da una parte, la Corte ha dichiarato che l’esaurimento del diritto esclusivo conferito dal marchio può verificarsi, in particolare, quando l’immissione in commercio dei prodotti venga effettuata da un operatore collegato economicamente al titolare del marchio, quale, segnatamente, un licenziatario ( 31 ). Tornerò su tale ipotesi più avanti nelle presenti conclusioni.

34.

Dall’altra, risulta parimenti dalla giurisprudenza della Corte che, anche qualora la prima immissione in commercio dei prodotti in questione nel SEE sia stata effettuata da un soggetto che non ha alcun legame economico con il titolare del marchio e senza il consenso esplicito di quest’ultimo, la volontà di rinunciare al diritto esclusivo conferito dal marchio può risultare dal consenso tacito di detto titolare, il quale consenso può essere dedotto sulla base dei criteri determinati al punto 46 della citata sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617) ( 32 ).

35.

In tale sentenza, che riguardava un caso di prima immissione in commercio di prodotti contrassegnati da un marchio al di fuori del SEE, ma la cui portata generale è stata riconosciuta nella sentenza del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punti 26 e segg.), la Corte ha precisato che il consenso a un’immissione in commercio nel SEE può anche risultare in modo tacito da elementi e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori a tale immissione in commercio le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano parimenti, con certezza, una rinuncia del titolare al proprio diritto ( 33 ).

36.

Ai punti da 53 a 58 della medesima sentenza, la Corte ha aggiunto che un siffatto consenso tacito deve basarsi su elementi atti a dimostrare positivamente la rinuncia del suddetto titolare del marchio a far valere il suo diritto esclusivo e che, in particolare, non può essere dedotto dal mero silenzio di tale titolare ( 34 ). Al riguardo, la Corte ha precisato che un consenso tacito non può, in particolare, risultare da una mancata comunicazione, da parte del titolare del marchio, a tutti gli acquirenti successivi dei prodotti immessi in commercio al di fuori del SEE, della sua opposizione a una commercializzazione all’interno del SEE, da una mancata indicazione, sui prodotti, di un divieto di messa in commercio all’interno del SEE o dalla circostanza che il titolare del marchio abbia ceduto la proprietà dei prodotti contrassegnati con il marchio senza imporre restrizioni contrattuali e che, in base alla legge applicabile al contratto, il diritto di proprietà ceduto comprenda, in mancanza di siffatte restrizioni, un diritto illimitato di rivendita o, quanto meno, un diritto di vendere successivamente i prodotti all’interno del SEE ( 35 ).

37.

Per quanto attiene all’oggetto del consenso, la Corte ha precisato che esso riguarda unicamente la «commercializzazione ulteriore» dei prodotti contrassegnati dal marchio, con la conseguenza che il principio dell’esaurimento opera solo per esemplari determinati del prodotto in questione e il titolare può sempre vietare l’uso del marchio per gli esemplari che non sono stati oggetto di una prima immissione in commercio con il suo consenso ( 36 ).

38.

Infine, si deve ricordare che la Corte ha dichiarato a più riprese che le disposizioni delle direttive dell’Unione in materia di marchi che sanciscono il principio dell’esaurimento devono essere interpretate alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci ( 37 ).

L’esaurimento del diritto conferito dal marchio in caso di frazionamento di diritti esclusivi paralleli aventi un’origine comune

39.

Alla Corte è stata sottoposta in tre occasioni la questione se il titolare di un marchio registrato in più Stati membri, appartenente in origine alla medesima persona e che è stato successivamente oggetto di un frazionamento, volontario o imposto da provvedimenti delle pubbliche autorità, possa opporsi all’importazione nel territorio in cui il suo diritto è tutelato contro prodotti contrassegnati dal medesimo marchio, immessi in circolazione in uno Stato membro nel quale detto marchio è detenuto da un terzo.

40.

Nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72) – pronunciata prima della sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115), che, come già rilevato, ha sancito il principio dell’esaurimento in materia di marchi – i diritti sul marchio HAG in Belgio e in Lussemburgo erano stati ceduti nel 1935 dal loro titolare, la HAG AG, società tedesca, alla sua controllata belga Café Hag SA. Dopo la seconda guerra mondiale, le azioni della Café Hag, poste sotto sequestro dalle autorità belghe in quanto beni del nemico, erano state vendute a terzi. Nel 1971, la Café Hag aveva ceduto i suoi diritti sul marchio HAG in Belgio e in Lussemburgo alla società Van Zuylen Frères, la quale non produceva essa stessa i prodotti contrassegnati dal marchio, ma si riforniva presso la Café Hag. Allorché la HAG aveva iniziato a fornire a venditori al dettaglio lussemburghesi prodotti recanti il suo marchio tedesco HAG, la Van Zuylen Frères aveva proposto un’azione per contraffazione dinanzi al tribunale circoscrizionale di Lussemburgo, il quale aveva sottoposto alla Corte due questioni pregiudiziali vertenti sull’applicazione ai fatti del procedimento principale dell’interpretazione delle norme del Trattato relative alle intese e alla libera circolazione delle merci.

41.

Dopo avere constatato che, a seguito dell’esproprio della Café Hag, non sussisteva alcun rapporto giuridico, finanziario, tecnico od economico tra le due titolari dei marchi risultanti dal frazionamento del marchio HAG, la Corte ha escluso l’applicazione ai fatti del procedimento principale dell’articolo 85 CEE (articolo 101 TFUE). Per quanto riguarda l’interpretazione delle norme relative alla libera circolazione delle merci, la Corte ha anzitutto ricordato, da una parte, che il diritto di marchio tutela il legittimo titolare di un marchio contro eventuali contraffazioni da parte di terzi sprovvisti di qualsiasi titolo giuridico al riguardo e, dall’altra, che l’esercizio di tale diritto può contribuire all’isolamento dei mercati e compromettere in tal modo la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri. La Corte ha poi statuito che il carattere esclusivo del diritto di marchio non può essere fatto valere dal titolare di un marchio al fine di impedire la distribuzione, in uno Stato membro, di merci legalmente prodotte sotto un marchio identico, avente la stessa origine ( 38 ), in un altro Stato membro (cosiddetta teoria dell’«identità di origine») ( 39 ). Nel sancire tale soluzione, la Corte ha precisato, al punto 14 della sentenza del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72), che, «se è vero che in un (…) mercato [unico] sono utili le indicazioni circa l’origine di un prodotto di marca, è pur vero che la relativa informazione del consumatore può essere garantita con altri mezzi, che non compromettano la libera circolazione delle merci».

42.

La posizione assunta dalla Corte nella sentenza del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72) – anticipata, sotto il profilo delle regole di concorrenza, dalla sentenza del 18 febbraio 1971, Sirena (40/70, EU:C:1971:18, punto 11), e confermata dalla sentenza del 22 giugno 1976, Terrapin (Overseas) (119/75, EU:C:1976:94, punto 6) ( 40 ) ‐, è stata smentita nella sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359). Il contesto fattuale era identico, con l’unica differenza che, questa volta, era la HAG a tentare di opporsi all’importazione in Germania, da parte della società succeduta alla Van Zuylen Frères, di prodotti contrassegnati dal marchio HAG provenienti dal Belgio. La Corte ha tuttavia ritenuto «necessario riconsiderare l’interpretazione accolta in tale sentenza alla luce della giurisprudenza consolidatasi progressivamente nell’ambito dei rapporti tra la proprietà industriale e commerciale e le norme generali del Trattato, segnatamente nell’ambito della libera circolazione delle merci» ( 41 ).

43.

Dopo avere ricordato il principio dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio, elaborato nella sua giurisprudenza, la Corte ha anzitutto evidenziato che, affinché il marchio possa svolgere la funzione che gli viene attribuita nel sistema di concorrenza non falsata che il Trattato ha inteso istituire, esso deve «garantire che tutti i prodotti che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati sotto il controllo di un’unica impresa cui possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità». La Corte ha poi precisato che l’oggetto specifico del diritto di marchio – per la cui tutela sono ammesse deroghe al principio fondamentale della libera circolazione delle merci – consiste segnatamente nel garantire al titolare il diritto di utilizzare il marchio per la prima messa in commercio del prodotto e che, al fine di stabilire l’esatta estensione di questo diritto esclusivo, occorre tener conto della funzione essenziale del marchio, consistente nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza possibile confusione questo prodotto da quelli aventi diversa origine.

44.

La funzione di indicazione d’origine del marchio diviene, nella sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), l’elemento centrale in base al quale valutare l’estensione del diritto conferito dal marchio nonché i suoi limiti, mentre, nella sentenza del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72), la Corte aveva attribuito scarsa rilevanza a tale funzione nell’economia del suo ragionamento (v. paragrafo 41 delle presenti conclusioni). Tale cambiamento di prospettiva ha indotto la Corte a tenere conto della «mancanza assoluta di assenso» da parte della HAG per lo smercio, in un altro Stato membro, con un marchio identico, di prodotti simili fabbricati e posti in commercio «da un’impresa senza alcun vincolo di subordinazione giuridica od economica» con essa in quanto fatto «determinante» per valutare il suo diritto di opporsi all’importazione di tali prodotti in Germania ( 42 ). Infatti, se tale diritto non fosse riconosciuto al titolare del marchio, i consumatori non sarebbero più in grado di riconoscere con certezza l’origine dei prodotti contrassegnati dal marchio. Il titolare del marchio rischierebbe di vedersi «attribuita la cattiva qualità di un prodotto di cui egli non è per nulla responsabile» ( 43 ). Secondo la Corte, il fatto che i due marchi in questione siano inizialmente appartenuti al medesimo titolare non è pertinente, dato che, «a decorrere dall’esproprio e nonostante la loro origine comune, i marchi hanno svolto, ciascuno in modo indipendente, nell’ambito territoriale rispettivo, la funzione di garantire che i prodotti contrassegnati provenissero da un’unica fonte» ( 44 ).

45.

La Corte ha definitivamente abbandonato la teoria dell’identità d’origine nella sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261).

46.

Il contesto fattuale del procedimento principale che ha dato luogo a tale sentenza si distingueva da quello dei procedimenti principali alla base delle sentenze del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72), e del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), essenzialmente per la circostanza che il frazionamento del marchio in questione non risultava da un atto della pubblica autorità, bensì da una cessione volontaria, intervenuta nell’ambito di una procedura concorsuale. La cessione aveva riguardato solo un ramo di attività della controllata francese del gruppo American Standard, la quale deteneva, per il tramite delle sue controllate tedesca e francese, il marchio IDEAL-STANDARD in Germania e in Francia. La controllata tedesca dell’American Standard si opponeva alla distribuzione in Germania di prodotti contrassegnati dal medesimo marchio di cui essa era titolare in tale Stato membro e importati in Francia, dove erano fabbricati dalla società cessionaria della controllata francese del gruppo. Tale distribuzione veniva effettuata da una controllata, con sede in Germania, della società cessionaria. Diversamente da quanto accadeva nei procedimenti principali che hanno dato luogo alle sentenze del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72), e del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), i prodotti in questione non erano identici, ma solo simili a quelli fabbricati dal titolare del marchio in Germania.

47.

Nella motivazione della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), la Corte ha, anzitutto, sottolineato che i titoli nazionali in materia di marchi sono non solo territoriali ma altresì indipendenti gli uni dagli altri e che tale indipendenza implica che il diritto su un marchio possa essere ceduto per un paese senza essere simultaneamente ceduto dal suo titolare per altri paesi ( 45 ). Ha poi ricordato l’oggetto del diritto di marchio nonché i limiti imposti dal principio dell’esaurimento all’esercizio di tale diritto.

48.

In tale contesto, la Corte ha precisato, al punto 34 di detta sentenza, che tale principio «si applica quando il titolare del marchio nello Stato di importazione e il titolare del marchio nello Stato di esportazione sono identici ovvero quando, pur essendo persone distinte, sono collegati economicamente» ( 46 ), e ha individuato varie situazioni nelle quali detto principio trova applicazione, vale a dire, oltre all’ipotesi in cui i prodotti contrassegnati dal marchio siano distribuiti dalla medesima impresa, il caso in cui tale distribuzione venga effettuata da un licenziatario, da una società capogruppo o da una sua controllata ovvero ancora da un concessionario esclusivo. Secondo la Corte, tutti questi casi hanno in comune il fatto che i prodotti contrassegnati dal marchio sono fabbricati sotto il controllo di una stessa entità, di modo che la libera circolazione di tali prodotti non rimette in discussione la funzione del marchio. A questo proposito, la Corte ha inoltre precisato che l’elemento determinante è «costituito dalla possibilità di un controllo della qualità dei prodotti e non dall’esercizio effettivo del controllo» ( 47 ).

49.

Per quanto concerne l’applicazione di tali principi al caso della cessione del marchio limitatamente a uno o più Stati membri, la Corte ha precisato che questa situazione dev’essere nettamente distinta dal caso in cui i prodotti importati provengono da un licenziatario o da una controllata cui è stata trasferita la titolarità del diritto di marchio nello Stato di esportazione. Infatti, come rilevato dalla Corte, «[d]i per sé, cioè in mancanza di qualsivoglia collegamento economico, il contratto di cessione non conferisce (…) al cedente i mezzi per controllare la qualità dei prodotti distribuiti e contrassegnati dal cessionario» ( 48 ), né autorizza a ritenere che il cedente abbia implicitamente acconsentito alla distribuzione di tali prodotti nei territori in cui egli detiene ancora il suo diritto di marchio ( 49 ).

50.

Sulla base di tali considerazioni, e dopo avere respinto gli argomenti contrari dedotti dalla Commissione e dalla società importatrice, la Corte ha esteso «[l]a soluzione dell’isolamento dei mercati» ( 50 ) sancita nella sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), al caso del frazionamento volontario del marchio.

Applicazione dei suddetti principi alle circostanze del procedimento principale

51.

È alla luce dei principi sopra esposti che occorre rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio e valutare se, nelle circostanze del procedimento principale, la Schweppes possa legittimamente opporsi a che un terzo importi in Spagna, dove essa è titolare dei marchi SCHWEPPES, prodotti designati da tali marchi e immessi in commercio nel Regno Unito dalla Coca‑Cola.

52.

Anzitutto, si deve ammettere che, dopo una prima analisi, le circostanze del procedimento principale sembrano prestarsi a un’applicazione pura e semplice della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), come sostenuto dalla Schweppes, dalla Schweppes International e dalla Orangina Schweppes Holding.

53.

Infatti, come nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), nella fattispecie sussiste una frammentazione volontaria di diritti paralleli in più Stati membri. Inoltre, è pacifico che tra la Schweppes International e la Coca‑Cola non intercorre nessuno dei rapporti presi in considerazione dalla Corte al punto 34 di detta sentenza. La Coca‑Cola non è né un licenziatario né un concessionario esclusivo della Schweppes International nel Regno Unito e tra queste due società non esiste alcun rapporto di gruppo.

54.

Le società Red Paralela e la Commissione, nonché i governi ellenico e dei Paesi Bassi, riprendendo le considerazioni del giudice del rinvio, chiedono tuttavia alla Corte di spingere oltre l’analisi e riconoscere che il diritto della Schweppes (in quanto licenziataria della Schweppes International, titolare dei marchi in questione) di opporsi all’importazione in Spagna dei prodotti di cui trattasi potrebbe essersi esaurito, tenuto conto delle particolari circostanze del procedimento principale.

55.

Sebbene la loro posizione coincida sostanzialmente quanto al risultato, gli argomenti sui quali si basano tali interessati sono parzialmente diversi. Mentre il governo ellenico e la Commissione suggeriscono alla Corte di precisare i contorni della sua giurisprudenza legata alla sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), alla luce delle circostanze del procedimento principale, le società Red Paralela e il governo dei Paesi Bassi ritengono, in sostanza, che, opponendosi, in siffatte circostanze, all’importazione parallela di prodotti recanti il marchio SCHWEPPES non fabbricati e immessi in commercio da loro, la Schweppes e la Schweppes International commettano un abuso del diritto.

56.

Prima di esaminare questi diversi punti di vista, occorre esaminare brevemente un argomento addotto, in via preliminare, dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte e che rimane sullo sfondo delle considerazioni dedicate da quest’ultima, nonché, in particolare, dalle società Red Paralela, alle questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio. Secondo tale argomento – che era stato utilizzato contro l’abbandono della teoria dell’identità di origine nelle ipotesi di scissione o frammentazione volontaria del marchio ‐ la cessione di diritti paralleli su una parte soltanto dei marchi nazionali detenuti dal cedente comporta necessariamente la messa in discussione della funzione distintiva di tali marchi che il cedente accetta senza riserve e di cui deve sopportare le conseguenze ( 51 ).

57.

A questo proposito, occorre ricordare che tale argomento è stato fermamente respinto dalla Corte nella sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), in cui essa ha espressamente escluso che l’accettazione da parte del cedente dell’indebolimento della funzione distintiva del marchio risultante dal frazionamento del diritto originario su di esso possa comportare una rinuncia al suo diritto esclusivo di opporsi all’importazione nel suo territorio dei prodotti immessi in commercio dal cessionario in un altro Stato del SEE ( 52 ).

58.

Infatti, come sottolineato dalla Corte al punto 48 della sentenza citata, la funzione del marchio va valutata rispetto ad un territorio. Pertanto, il fatto che, in seguito a una cessione territorialmente limitata, la funzione di indicazione di origine del marchio possa risultare indebolita per una parte dei consumatori dei prodotti contrassegnati, vale a dire quelli che si spostano all’interno del SEE tra due Stati in cui detti prodotti sono fabbricati e immessi in commercio da imprese diverse, non fa venir meno l’interesse di ciascun titolare del marchio a livello nazionale di mantenere l’esclusiva nel proprio territorio al fine di preservare la funzione distintiva del suo marchio nei confronti dei consumatori stabiliti in tale territorio.

59.

Peraltro, dalla giurisprudenza sopra citata risulta che l’esaurimento del diritto conferito dal marchio interviene solo nella fase dell’immissione in commercio dei prodotti da esso contrassegnati ( 53 ). Pertanto, se pure è vero che, mediante una cessione territorialmente limitata, il titolare di diritti paralleli su un marchio rinuncia volontariamente ad essere l’unico a smerciare prodotti recanti detto marchio nel SEE, non si può attribuire a siffatta rinuncia alcun effetto di esaurimento, dato che, nel momento in cui è stato dato l’assenso alla cessione, non era ancora intervenuto alcun atto di commercializzazione di prodotti designati dal marchio ceduto.

60.

Chiarito tale aspetto, rilevo che quanto meno una parte degli argomenti svolti dalle società Red Paralela nelle loro osservazioni dinanzi alla Corte non è del tutto estranea alla logica sottesa all’argomento evocato al paragrafo 56 delle presenti conclusioni.

61.

A parere delle società Red Paralela, dal momento che la Schweppes e la Schweppes International hanno tenuto un comportamento volto a favorire, con la complicità dell’atteggiamento permissivo se non collaborativo della Coca‑Cola, un’immagine globale e unitaria del marchio SCHWEPPES anche dopo la sua frammentazione, esse avrebbero snaturato la funzione di indicazione di origine del marchio da loro sfruttato in Spagna e avrebbero, pertanto, perso il diritto di opporsi alle importazioni parallele in detto Stato membro di prodotti legittimamente contrassegnati da un marchio identico e immessi in commercio dalla Coca‑Cola in un altro Stato del SEE. Le società Red Paralela sottolineano in particolare il fatto che la Schweppes e la Schweppes International hanno attivamente tentato, nella loro politica di gruppo, nelle loro decisioni commerciali, nei loro rapporti con la clientela e nei loro messaggi pubblicitari, di collegare l’origine del loro marchio al Regno Unito, vale a dire lo Stato membro da cui proviene la maggior parte dei prodotti immessi in commercio in Spagna dalle società Red Paralela.

62.

Sebbene sia interessante, l’argomento delle società Red Paralela non mi convince.

63.

Da una parte, come ho già osservato supra, l’indebolimento della funzione di indicazione di origine del marchio, quanto meno per una parte dei consumatori interessati, è una conseguenza inevitabile della cessione territorialmente limitata di diritti paralleli su uno stesso marchio. Tale indebolimento può risultare particolarmente accentuato quando, come accade nel procedimento principale, il marchio oggetto di scissione o frammentazione è stato detenuto per molti anni dal medesimo titolare e ha acquisito una grande notorietà in quanto marchio unitario. Orbene, come ho già avuto occasione di sottolineare, da tale effetto, scontato ma ineludibile, della cessione non si può far derivare alcuna restrizione all’esercizio in futuro, da parte del cedente, dei diritti sui marchi paralleli che non sono stati oggetto di cessione ( 54 ). Peraltro, non si può nemmeno imporre al cedente di tenere un comportamento volto a contrastare attivamente un simile effetto.

64.

Dall’altra, la notorietà di un marchio nonché la sua immagine e la sua forza evocativa, che costituiscono altrettanti fattori del suo valore, possono dipendere in una certa misura dalla storia di tale marchio e quindi dalla sua origine. In questi casi, il titolare di un marchio che forma oggetto di più registrazioni nazionali, il quale ceda solo una parte dei suoi diritti paralleli sul medesimo, mantiene un interesse a continuare a riferirsi alla storia e all’origine del marchio unitario, ove ciò gli consenta di preservare il valore del segno o dei segni di cui conserva la titolarità. Pertanto, non gli si può addebitare di continuare, dopo la cessione, ad evocare, nella presentazione dei suoi prodotti, nei suoi messaggi pubblicitari o nei suoi rapporti con i consumatori, l’origine geografica dei marchi di cui rimane titolare, anche quando, come nel caso del marchio in discussione nel procedimento principale, tale origine sia legata a uno Stato in cui i diritti sul marchio sono attualmente detenuti dal cessionario. Inoltre, e per gli stessi motivi, non gli si può addebitare di fare riferimento ad elementi della storia del marchio unitario allorché effettua nuove registrazioni, come accade nel procedimento principale per quanto riguarda la firma dell’inventore delle acque toniche del marchio SCHWEPPES.

65.

I comportamenti sopra descritti, anche ammesso che siano tali da indebolire la funzione distintiva del marchio sfruttato in Spagna dalla Schweppes nei confronti dei consumatori spagnoli, si inscrivono in una strategia volta a preservare il capitale‑marchio di tali società e non ne emerge la volontà di ingenerare confusione in detti consumatori circa l’origine commerciale (che peraltro non va confusa con l’origine geografica) dei prodotti in discussione nel procedimento principale. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalle società Red Paralela, il fatto che dette società agiscano per contraffazione al fine di opporsi all’importazione nel territorio in cui il loro marchio è protetto contro prodotti contrassegnati da un marchio identico non può costituire un abuso dei diritti conferiti dal suddetto marchio ( 55 ).

66.

Occorre ancora osservare che, supponendo che si possa ritenere che i prodotti immessi in commercio rispettivamente dalla Schweppes in Spagna e dalla Coca‑Cola nel Regno Unito provengano da fonti realmente indipendenti, questione sulla quale si tornerà più avanti, la liberalizzazione delle importazioni parallele a favore della quale si sono espresse le società Red Paralela non farebbe che aggravare il rischio per il consumatore spagnolo di essere indotto in errore circa l’origine commerciale di tali prodotti. Orbene, non credo che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 avalli un simile effetto.

67.

Rimane da esaminare l’argomento delle società Red Paralela secondo cui la Schweppes International eserciterebbe i suoi diritti di marchio in modo da operare una discriminazione arbitraria tra i diversi Stati membri, in quanto consentirebbe l’importazione parallela di prodotti immessi in commercio dalla Coca‑Cola nel Regno Unito in taluni territori nei quali è titolare del marchio SCHWEPPES e non in altri, come la Spagna.

68.

A tale proposito, è sufficiente rilevare che il solo fatto che il titolare di un marchio tolleri l’importazione, nello Stato in cui il suo marchio è tutelato, di prodotti contrassegnati da un marchio identico provenienti da un altro Stato membro, nel quale essi sono stati immessi sul mercato da terzi senza il suo consenso, non permette di ritenere che detto titolare abbia tacitamente rinunciato ad opporsi all’importazione di prodotti aventi la stessa origine in un altro Stato membro in cui egli detiene diritti paralleli. Infatti, da un lato, come già rilevato al paragrafo 36 delle presenti conclusioni, il silenzio o un atteggiamento passivo del titolare del marchio non è sufficiente, in linea di principio, per presumere che egli abbia acconsentito all’immissione sul mercato di prodotti recanti un marchio identico o tale da generare confusione. Ciò vale a maggior ragione quando siffatto atteggiamento venga invocato, come fanno le società Red Paralela, per sostenere una liberalizzazione generalizzata delle importazioni parallele da un determinato territorio. Dall’altro, come parimenti esposto supra, al paragrafo 37 delle presenti conclusioni, i diritti conferiti dal marchio si esauriscono, per effetto del consenso tacito o esplicito del titolare, solo per i prodotti per i quali tale consenso è stato espresso. Infine, rilevo incidentalmente che la rinuncia della Schweppes ad esercitare i propri diritti al fine di opporsi alle importazioni parallele dal Regno Unito in alcuni dei territori nei quali i suoi marchi sono registrati non sembra, alla luce delle informazioni fornite dal giudice del rinvio, essere sistematica ed è limitata al solo canale di distribuzione tramite Internet.

69.

Dopo avere esaminato gli argomenti svolti dalle società Red Paralela, occorre ora analizzare la tesi della Commissione.

70.

Secondo quest’ultima, l’esaurimento del diritto conferito dal marchio potrebbe intervenire non solo nelle situazioni elencate al punto 34 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), ma anche quando la fabbricazione e la commercializzazione di prodotti contrassegnati da marchi identici paralleli sono soggette a una politica e ad una strategia commerciali uniche condotte dai titolari di tali marchi.

71.

Questa tesi merita, a mio avviso, l’attenzione della Corte.

72.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Schweppes, dalla Schweppes International e dalla Orangina Schweppes Holding, tale tesi è coerente con la giurisprudenza connessa alla sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261).

73.

Sebbene nessun elemento del testo della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261) indichi espressamente che l’esaurimento del diritto conferito dal marchio possa intervenire in ipotesi diverse da quelle elencate al punto 34 di detta sentenza, il ragionamento seguito dalla Corte consente di considerare facilmente tale elenco come meramente indicativo.

74.

Infatti, come correttamente evidenziato dalla Commissione, il criterio sul quale si basa detta sentenza per rendere applicabile il principio dell’esaurimento quando non ricorra identità tra la persona che detiene i diritti sul marchio nello Stato di importazione e la persona che ha immesso in commercio i prodotti contrassegnati dal marchio nello Stato di esportazione rinvia all’esistenza, tra queste due persone, di «collegamenti economici».

75.

Sebbene la Corte non definisca la nozione di «collegamenti economici» e si limiti ad affermare che tali collegamenti sussistono nelle tre situazioni indicate al punto 34 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261) – vale a dire nel caso delle licenze o delle concessioni di marchi o ancora quando le due entità interessate facciano parte del medesimo gruppo ‐ la logica cui si ispira la motivazione di detta sentenza e la terminologia utilizzata dalla Corte forniscono indizi a tale riguardo.

76.

Detta sentenza segna, anzitutto, un’evoluzione terminologica rispetto alla giurisprudenza pregressa. Mentre, nelle sentenze che l’hanno preceduta, la Corte faceva risultare l’esaurimento del diritto di opporsi all’importazione di prodotti immessi sul mercato nel SEE ad opera di terzi dal fatto che questi ultimi erano «vincolat[i] giuridicamente od economicamente» al titolare del marchio ( 56 ), nella sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261) essa ha abbandonato tale formulazione e ha fatto riferimento più semplicemente a «collegamenti economici», nozione che consente di coprire una gamma potenzialmente più ampia di rapporti commerciali tra imprese ( 57 ).

77.

Siffatta evoluzione terminologica riflette, sul piano concettuale, il passaggio da un criterio formale, in base al quale si ritiene che il controllo sull’utilizzo del marchio, richiesto ai fini dell’esaurimento, possa essere esercitato solo nell’ambito di un rapporto di stretta dipendenza fra le entità interessate (esistenza di rapporti proprietari o di contratti che formalizzino un rapporto di autorità, che conferisce un potere di direzione o di gestione a una delle parti, cui l’altra deve sottomettersi), a un criterio più sostanziale, secondo cui ciò che rileva è non tanto la natura dei rapporti intercorrenti fra dette entità, quanto il fatto che, per effetto di detti rapporti, il marchio è soggetto a controllo unico ( 58 ).

78.

Orbene, un simile criterio può coprire non solo le ipotesi classiche descritte al punto 34 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), in cui l’uso del marchio è soggetto al controllo di un’unica persona (il licenziante o il fabbricante) o di un’entità costituente un’unità economica (il gruppo), ma altresì alle situazioni nelle quali tale utilizzo è soggetto, nello Stato di importazione e in quello di esportazione, al controllo congiunto di due persone distinte – ciascuna titolare di diritti riconosciuti a livello nazionale – le quali agiscono, ai fini dello sfruttamento del marchio, come un solo e medesimo centro di interesse.

79.

In tali situazioni, come nei casi evocati al punto 34 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), il marchio è soggetto a un controllo unico; la fabbricazione e la commercializzazione dei prodotti che ne sono contrassegnati possono essere attribuite a un unico centro decisionale. Siffatta unicità di controllo esclude che le normative nazionali possano essere fatte valere per limitare la circolazione di tali prodotti ( 59 ).

80.

Così, se due o più titolari di marchi paralleli si accordano per esercitare un controllo congiunto sull’uso dei loro segni, a prescindere dalla circostanza che questi abbiano o meno un’origine comune, ciascuno di essi rinuncia ad esercitare il suo diritto di opporsi all’importazione nel proprio territorio di prodotti contrassegnati dal marchio immessi in commercio nello Stato di esportazione da uno degli altri titolari partecipanti all’accordo e si deve presumere che tale immissione in commercio sia stata effettuata con il suo consenso.

81.

Tuttavia, affinché si produca tale effetto di esaurimento, occorre che l’accordo preveda la possibilità di determinare direttamente o indirettamente i prodotti recanti il marchio e di controllarne la qualità. Questo requisito, espresso chiaramente ai punti 37 e 38 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), nonché al punto 13 della sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), si collega alla funzione essenziale del marchio in quanto indicatore dell’origine commerciale dei prodotti (o dei servizi) che ne sono contrassegnati. A questo proposito, si deve sottolineare che, in un contesto di controllo unico sul marchio esercitato congiuntamente da due o più titolari di diritti paralleli, tale funzione deve essere intesa nel senso che l’origine che il marchio è destinato a garantire è legata non all’impresa responsabile della fabbricazione dei beni, bensì al centro da cui promanano le scelte strategiche relative all’offerta dei beni di cui trattasi.

82.

Fatta salva la precisazione di cui sopra, relativa all’oggetto del controllo, ritengo pertanto, concordemente con la Commissione, che non si possa escludere che i titolari di marchi paralleli, derivanti dalla frammentazione di un marchio unico a seguito della cessione territorialmente limitata dello stesso, possano essere considerati «collegati economicamente» ai fini dell’applicazione del principio dell’esaurimento qualora essi coordinino le loro politiche commerciali al fine di esercitare un controllo congiunto sull’uso dei rispettivi marchi ( 60 ).

83.

Non mi sembra che gli argomenti addotti nella presente causa per smentire questa tesi possano prevalere.

84.

In primo luogo, contrariamente a quanto è stato sostenuto, tale posizione non equivale a rimettere in discussione le sentenze del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), e del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261).

85.

Infatti, la soluzione adottata in tali sentenze era subordinata alla condizione che, dopo la cessione, nonostante la loro origine comune, ciascuno dei marchi svolgesse in modo indipendente la sua funzione di garantire che i prodotti da esso contrassegnati provenivano da un’unica fonte ( 61 ). Solo se ricorre siffatto presupposto può essere riconosciuto il diritto di opporsi alla libera circolazione dei prodotti recanti il marchio – diritto che il titolare del marchio unitario non detiene direttamente al momento della sua frammentazione ‐ in capo ai titolari dei marchi paralleli derivanti da tale frammentazione, con conseguente divieto di commercio parallelo di detti prodotti, autorizzato prima della cessione. Orbene, è evidente che detto presupposto non sia soddisfatto qualora il cedente e il cessionario (o i cessionari) si accordino per sfruttare i loro marchi congiuntamente e adottino una strategia commerciale volta a preservare e a mantenere l’immagine di marchio unitario dei loro segni sul mercato.

86.

L’applicazione del principio dell’esaurimento ad un caso del genere non solo è coerente con le sentenze del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359), e del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), ma è altresì funzionale allo scopo cui si è ispirata la Corte nelle sentenze citate, vale a dire la ricerca del giusto equilibrio tra gli obiettivi contrapposti della libera circolazione delle merci e della tutela dei diritti conferiti dal marchio. Come precisato dalla Corte al punto 39 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261), le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione delle merci ostano all’applicazione di leggi nazionali che consentano di avvalersi del diritto di marchio per impedire la libera circolazione di un prodotto contrassegnato da un marchio il cui uso è soggetto a controllo unico. Infatti, l’oggetto del diritto di marchio non consiste nel consentire ai titolari di isolare i mercati nazionali e di favorire in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo che possono esistere fra gli Stati membri ( 62 ).

87.

In secondo luogo, non si può obiettare che il rapporto esistente tra i titolari di marchi paralleli i quali si accordino ai fini della gestione in comune dei loro segni non sia assimilabile a quello intercorrente tra il licenziante e i licenziatari, il fabbricante e i concessionari o, ancora, le società facenti parte di uno stesso gruppo. Infatti, come già sottolineato nelle presenti conclusioni, ciò che determina l’esaurimento è l’unicità di controllo sul marchio risultante da tutti questi rapporti, e non i loro aspetti formali.

88.

È certamente vero che il titolare del marchio trae un vantaggio, diretto o indiretto, dalla prima immissione in commercio del prodotto contrassegnato dal marchio da parte del licenziatario, del concessionario o di una società dello stesso gruppo, il che invece non accade quando l’immissione in commercio venga effettuata dal titolare di un marchio parallelo. In mancanza di tale vantaggio si potrebbe negare che abbia effettivamente avuto luogo un’immissione in commercio idonea a determinare l’esaurimento del diritto del titolare del marchio. La giurisprudenza relativa alla nozione di «immissione in commercio», ricordata al paragrafo 30 delle presenti conclusioni, sembra offrire una base in tal senso.

89.

A questo proposito, rilevo che la percezione di una remunerazione in occasione della prima immissione in commercio del prodotto non costituisce, diversamente da quanto accade per altri oggetti della proprietà intellettuale o industriale, quale segnatamente il brevetto, l’oggetto specifico del diritto di marchio, dal momento che quest’ultimo rappresenta, come già rilevato, «il diritto di servirsi del marchio per la prima immissione di un prodotto sul mercato» ( 63 ). Ne consegue che, come rilevato dall’avvocato generale Jacobs al paragrafo 61 delle sue conclusioni nelle cause Bristol-Myers Squibb e a. (C‑427/93, C‑429/93, C‑436/93, C‑71/94 e C‑232/94, EU:C:1995:440), ciò che importa ai fini dell’applicazione del principio dell’esaurimento non è che il titolare ottenga un equo compenso dalla vendita, ma che egli presti il proprio consenso alla stessa. Pertanto, si deve ritenere che la giurisprudenza richiamata al paragrafo 30 delle presenti conclusioni sia diretta a precisare il momento a partire dal quale i prodotti designati dal marchio sono immessi in circolazione, e non a stabilire una conditio sine qua non dell’esaurimento ( 64 ).

90.

In terzo luogo, contrariamente a quanto sostenuto in particolare dalla Schweppes, la cessione territorialmente limitata del marchio in quanto regime autorizzato di trasferimento dei diritti sul marchio non potrebbe essere rimessa in discussione qualora la Corte dovesse adottare, come suggerisco, la posizione difesa dalla Commissione. Infatti, alle parti di tale cessione è consentito stabilire un divieto reciproco di vendita nei loro rispettivi territori, come avviene nel caso del contratto di licenza esclusiva, purché siano rispettate le regole di concorrenza. I prodotti recanti il marchio possono quindi circolare da un territorio all’altro senza violare il contratto di cessione solo quando l’operazione di importazione venga effettuata da un terzo.

91.

In quarto luogo, per quanto riguarda l’aspetto più delicato, dinanzi alla Corte è stata discussa la questione dell’individuazione della parte alla quale incombe l’onere di dimostrare l’esistenza di un coordinamento tra i titolari dei marchi paralleli tale da dare luogo a un’unicità di controllo nel senso di cui sopra.

92.

Da un lato, dal momento che una prova siffatta può risultare oggettivamente difficile da fornire da parte di un terzo, sembra ragionevole adattare, come suggerito dalla Commissione, la regola secondo cui, in linea di principio, spetta all’importatore parallelo dimostrare i fatti che giustificano l’esaurimento del diritto conferito dal marchio ( 65 ). Al riguardo, ricordo che l’inversione dell’onere della prova è, in particolare, ammessa dalla Corte quando l’applicazione di tale disciplina consentirebbe al titolare del marchio di isolare i mercati nazionali, favorendo la conservazione delle differenze di prezzo che possono esistere fra gli Stati membri ( 66 ).

93.

Dall’altro, come richiesto dalle società del gruppo Schweppes, occorre stabilire regole chiare in materia di prova, a pena di creare una situazione di incertezza a danno dei titolari di marchi nazionali paralleli.

94.

Orbene, se pure sarebbe eccessivo, in situazioni come quella di cui al procedimento principale, chiedere all’importatore parallelo di provare che il marchio è soggetto a controllo unico nello Stato di esportazione e in quello di importazione, spetta comunque a detto importatore fornire un complesso di indizi precisi e concordanti che consentano di dedurre l’esistenza di tale controllo. I fatti descritti dal giudice del rinvio e illustrati al paragrafo 10 delle presenti conclusioni sono circostanze idonee a costituire indizi del genere.

95.

In presenza di un complesso di indizi precisi e concordanti, incombe al titolare che intenda opporsi all’importazione dei prodotti designati dal marchio nel suo territorio dimostrare che non è intervenuto alcun accordo né alcun coordinamento con il titolare del marchio nello Stato di importazione al fine di assoggettare il marchio a controllo unico.

96.

Spetta al giudice nazionale valutare, alla luce di tutte le circostanze del caso di specie, e dopo avere chiesto, se del caso, che vengano prodotti il contratto di cessione e gli altri documenti pertinenti al fine di accertare i collegamenti esistenti tra i titolari dei marchi paralleli, se ricorrano, in relazione ai prodotti di cui trattasi, i presupposti dell’esaurimento del diritto del titolare del marchio nello Stato di importazione.

97.

A tale proposito, occorre rammentare che detti presupposti possono essere ritenuti soddisfatti solo se il controllo unico sul marchio conferisce alle entità che lo esercitano la possibilità di determinare direttamente o indirettamente i prodotti sui quali è apposto il marchio e di controllarne la qualità.

Risposte alle questioni pregiudiziali

98.

In base alla precedente analisi, a mio avviso occorre rispondere congiuntamente alle questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio nel senso che l’articolo 36 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 ostano a che il licenziatario del titolare di un marchio nazionale invochi il diritto esclusivo di cui quest’ultimo gode in forza della normativa dello Stato membro in cui detto marchio è registrato per opporsi all’importazione e/o alla commercializzazione in tale Stato di prodotti designati da un marchio identico provenienti da un altro Stato membro, in cui tale marchio, che in precedenza era di proprietà del gruppo al quale appartengono sia il titolare del marchio nello Stato di importazione sia il suo licenziatario, è detenuto da un terzo che ne ha acquisito i diritti mediante cessione, quando risulti, tenuto conto dei collegamenti economici esistenti tra il titolare del marchio nello Stato di importazione e il titolare del marchio nello Stato di esportazione, che detti marchi sono soggetti a controllo unico e che il titolare del marchio nello Stato di importazione può determinare direttamente o indirettamente i prodotti sui quali è apposto il marchio nello Stato di esportazione e controllarne la qualità.

Conclusione

99.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dallo Juzgado de lo Mercantil n. 8 de Barcelona (tribunale di commercio n. 8 di Barcellona, Spagna):

L’articolo 36 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ostano a che il licenziatario del titolare di un marchio nazionale invochi il diritto esclusivo di cui quest’ultimo gode in forza della normativa dello Stato membro in cui detto marchio è registrato per opporsi all’importazione e/o alla commercializzazione in tale Stato di prodotti designati da un marchio identico provenienti da un altro Stato membro, in cui tale marchio, che in precedenza era di proprietà del gruppo al quale appartengono sia il titolare del marchio nello Stato di importazione sia il suo licenziatario, è detenuto da un terzo che ne ha acquisito i diritti mediante cessione, quando risulti, tenuto conto dei collegamenti economici esistenti tra il titolare del marchio nello Stato di importazione e il titolare del marchio nello Stato di esportazione, che detti marchi sono soggetti a controllo unico e che il titolare del marchio nello Stato di importazione può determinare direttamente o indirettamente i prodotti sui quali è apposto il marchio nello Stato di esportazione e controllarne la qualità.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2008, L 299, pag. 25, e rettifica in GU 2009, L 11, pag. 86. La direttiva 2008/95 è stata abrogata con effetto dal 15 gennaio 2019 dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), entrata in vigore il 12 gennaio 2016, il cui articolo 15 corrisponde, in sostanza, all’articolo 7 della direttiva 2008/95.

( 3 ) Nelle sue osservazioni scritte, la Schweppes osserva che la cessione alla Coca‑Cola del marchio SCHWEPPES a livello mondiale, inizialmente prevista dalla Cadbury Schweppes, aveva incontrato l’opposizione della Commissione europea e che è a seguito di tale opposizione che si è proceduto alla frammentazione del marchio nel territorio del SEE.

( 4 ) Dinanzi al giudice del rinvio, le società Red Paralela hanno presentato una domanda riconvenzionale nei confronti della Schweppes, della Orangina Schweppes Holding e della Schweppes International, da un lato, per violazione dell’articolo 101 TFUE e, dall’altro, per concorrenza sleale. Esse hanno successivamente rinunciato al primo di questi due capi della loro domanda in quanto, a seguito di una loro denuncia presso la Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia (Commissione nazionale dei marchi e della concorrenza, Spagna), quest’ultima ha avviato una procedura di infrazione nei confronti della Schweppes per comportamenti potenzialmente anticoncorrenziali consistenti nella conclusione di accordi con i suoi distributori indipendenti in Spagna, tra cui la Exclusivas Ramírez SL, società avverso la quale era parimenti diretta la domanda riconvenzionale, al fine di limitare la distribuzione e la commercializzazione in Spagna di prodotti contrassegnati dal marchio SCHWEPPES che non erano stati fabbricati da tale società, e di limitare le importazioni parallele di tali prodotti (Expediente S/DC/0548/15 SCHWEPPES). Il 29 giugno 2017, a seguito dell’accettazione da parte della SCHWEPPES di un certo numero di impegni che modificano il contenuto di tali accordi, detto procedimento è stato chiuso senza constatazione di infrazione [la decisione di chiusura è pubblicata sul sito Internet della Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia (Commissione nazionale dei marchi e della concorrenza, Spagna) all’indirizzo https://www.cnmc.es/sites/default/files/1724145_1.pdf].

( 5 ) La Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding negano, in particolare, che esistano collegamenti economici e giuridici tra il gruppo Orangina Schweppes e la Coca‑Cola, segnatamente nel senso di una dipendenza economica e/o giuridica, che prodotti fabbricati dalla Coca‑Cola siano comparsi su una qualsiasi pagina web ospitata in uno dei domini appartenenti al gruppo Orangina Schweppes, che quest’ultimo si sia appropriato del territorio del Regno Unito per quanto riguarda il marchio SCHWEPPES, che esso utilizzi nella sua pubblicità istituzionale prodotti fabbricati dalla Coca‑Cola, che non difenda i suoi diritti di proprietà industriale sul mercato e consenta che i consumatori siano indotti in confusione e che conduca insieme alla Coca‑Cola una politica concordata di registrazione dei diritti di proprietà industriale.

( 6 ) A tale proposito, la Schweppes, la Schweppes International e la Orangina Schweppes Holding osservano che la decisione di rinvio è stata oggetto di una domanda di dichiarazione di nullità di atti giudiziari, proposta dalla Schweppes, che il giudice del rinvio ha dichiarato irricevibile, e potrebbe formare successivamente oggetto di un «recurso de amparo» (ricorso per violazione di diritti costituzionali) dinanzi al Tribunal Constitucional (Corte costituzionale, Spagna).

( 7 ) V., in particolare, sentenze del 25 ottobre 2012, Rintisch (C‑553/11, EU:C:2012:671, punto 15), e del 28 luglio 2016, Kratzer (C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 27).

( 8 ) V., in particolare, sentenze del 9 novembre 2006, Chateignier (C‑346/05, EU:C:2006:711, punto 22), e del 28 luglio 2016, Kratzer (C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 27).

( 9 ) In tal senso v., segnatamente, sentenze del 16 luglio 1992, Meilicke (C‑83/91, EU:C:1992:332, punto 22); del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 83), e del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 36).

( 10 ) In tal senso v., segnatamente, sentenze del 16 luglio 1992, Lourenço Dias (C‑343/90, EU:C:1992:327, punto 15); del 21 febbraio 2006, Ritter‑Coulais (C‑152/03, EU:C:2006:123, punto 14); del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 37), e del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punto 46).

( 11 ) In tal senso v., segnatamente, sentenze del 16 dicembre 1981, Foglia (244/80, EU:C:1981:302, punti 1821); del 30 settembre 2003, Inspire Art (C‑167/01, EU:C:2003:512, punto 45), nonché del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 38).

( 12 ) V., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punti 15 e segg.).

( 13 ) Sentenza dell’11 settembre 2008, UGT‑Rioja e a. (da C‑428/06 a C‑434/06, EU:C:2008:488, punti 4243).

( 14 ) V. sentenze del 15 settembre 2005, Intermodal Transports (C‑495/03, EU:C:2005:552, punto 37), nonché del 9 settembre 2015, X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564, punto 58).

( 15 ) Sentenza del 9 settembre 2015, X e van Dijk (C‑72/14 e C‑197/14, EU:C:2015:564, punto 58).

( 16 ) L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436, parimenti menzionato nelle questioni pregiudiziali, non è applicabile ai fatti della controversia principale.

( 17 ) Si deve ricordare che le norme relative ai diritti conferiti dal marchio e ai diritti di cui godono i titolari di marchi nell’Unione sono state completamente armonizzate. A tale proposito, v., per quanto riguarda la prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), sentenza del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group (C‑127/09, EU:C:2010:313, punto 27 e giurisprudenza citata); v., altresì, sentenza del 16 luglio 1998, Silhouette International Schmied (C‑355/96, EU:C:1998:374, punti 2529).

( 18 ) V. nota 17 delle presenti conclusioni.

( 19 ) V. anche articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione europea] (GU 2009, L 78, pag. 1), nonché articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), che sostituisce il regolamento n. 207/2009 a decorrere dal 1o ottobre 2017.

( 20 ) Il medesimo principio era già stato sancito in materia di diritti connessi al diritto d’autore nella sentenza dell’8 giugno 1971, Deutsche Grammophon Gesellschaft (78/70, EU:C:1971:59, punto 12). In materia di brevetti, v. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (15/74, EU:C:1974:114, punti da 10 a 12).

( 21 ) V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115, punto 6).

( 22 ) V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115, punto 7).

( 23 ) V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115, punto 8).

( 24 ) V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115, punto 10).

( 25 ) V. sentenza del 31 ottobre 1974, Centrafarm e de Peijper (16/74, EU:C:1974:115, punto 11).

( 26 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nelle cause riunite Bristol-Myers Squibb e a. (C‑427/93, C‑429/93, C‑436/93, C‑71/94 e C‑232/94, EU:C:1995:440, paragrafi 6061).

( 27 ) V. sentenza del 30 novembre 2004, Peak Holding (C‑16/03, EU:C:2004:759, punti 4042). V., altresì, sentenza del 14 luglio 2011, Viking Gas (C‑46/10, EU:C:2011:485, punto 32).

( 28 ) L’atto della prima immissione in commercio del prodotto da parte del suo titolare (vendita o altro atto di cessione della proprietà) costituisce un siffatto consenso. In tal caso, l’esaurimento si verifica per il solo effetto dell’immissione in commercio e non è subordinato al consenso del titolare ad un’ulteriore commercializzazione dei prodotti; v. sentenza del 30 novembre 2004, Peak Holding (C‑16/03, EU:C:2004:759, punti 5253).

( 29 ) V. sentenze del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 42), nonché del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 22).

( 30 ) V. sentenze del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 46), nonché del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 42).

( 31 ) V., in tal senso, sentenze del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 34); del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 43), e del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 24).

( 32 ) V. sentenze del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 25), e del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group (C‑127/09, EU:C:2010:313, punto 37).

( 33 ) V. sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 46), come precisata dalla sentenza del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 35 e dispositivo).

( 34 ) V., altresì, sentenza del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a. (C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 19).

( 35 ) V. sentenze del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 60), nonché del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group (C‑127/09, EU:C:2010:313, punto 39). Inoltre, secondo la Corte, le norme nazionali relative all’opponibilità ai terzi di restrizioni relative alla vendita non possono essere invocate per attribuire al silenzio del titolare del marchio un effetto estintivo dei diritti da esso conferiti; v. sentenza del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punto 65).

( 36 ) V. sentenza del 1o luglio 1999, Sebago e Maison Dubois (C‑173/98, EU:C:1999:347, punti 1920).

( 37 ) V. sentenze dell’11 luglio 1996, Bristol‑Myers Squibb e a. (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 27), nonché del 20 marzo 1997, Phytheron International (C‑352/95, EU:C:1997:170, punto 18).

( 38 ) V. sentenza del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72, punti 4, 5 e da 10 a 12).

( 39 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa HAG GF (C‑10/89, non pubblicate, EU:C:1990:112, paragrafo 7).

( 40 ) In detta sentenza, la Corte ha dichiarato compatibile con le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci il fatto che un’impresa avente sede in uno Stato membro si opponga, in forza di un diritto al marchio tutelato dalle norme di tale Stato, all’importazione di merci di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, legittimamente recanti, secondo le norme di questo Stato, una denominazione idonea a creare confusione con il marchio della prima impresa, purché non esista, fra le imprese in questione, alcuna intesa restrittiva della concorrenza, né alcun vincolo di subordinazione, giuridico od economico, ed i loro rispettivi diritti siano sorti in modo reciprocamente indipendente.

( 41 ) V. sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 10).

( 42 ) V. sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 15).

( 43 ) V. sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 16).

( 44 ) V. sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 17).

( 45 ) V. sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 26).

( 46 ) Nello stesso senso, v., altresì, sentenza del 20 marzo 1997, Phytheron International (C‑352/95, EU:C:1997:170, punto 21).

( 47 ) V. sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punti 3738) (il corsivo è mio). In tal senso, v., altresì, sentenza del 23 aprile 2009, Copad (C‑59/08, EU:C:2009:260, punti da 44 a 46).

( 48 ) V. sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 41).

( 49 ) V. sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 43).

( 50 ) Tale è l’espressione utilizzata dalla Corte al punto 44 della sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261).

( 51 ) Basandosi essenzialmente su tale argomento, come ricorda la Commissione, l’avvocato generale Gulmann, nelle sue conclusioni nella causa IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:48, paragrafi 92101), aveva proposto alla Corte di far prevalere le norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci sull’interesse del cedente di conservare il suo diritto esclusivo di commercializzare i prodotti contrassegnati dal marchio nel suo stesso territorio. La Corte medesima, nella sentenza del 22 giugno 1976, Terrapin (Overseas) (119/75, EU:C:1976:94, punto 6), si era basata, tra l’altro, su tale argomento per giustificare e confermare, estendendola al caso del frazionamento volontario, la dottrina dell’origine comune sancita nella sentenza del 3 luglio 1974, Van Zuylen (192/73, EU:C:1974:72).

( 52 ) V. sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punti 4748).

( 53 ) V. paragrafo 30 delle presenti conclusioni.

( 54 ) V. paragrafi da 57 a 59 delle presenti conclusioni.

( 55 ) Per giurisprudenza costante, gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e i giudici nazionali possono, caso per caso, tener conto, basandosi su elementi obiettivi, del comportamento abusivo o fraudolento dell’interessato per negargli eventualmente la possibilità di fruire delle disposizioni di tale diritto (v., in particolare, sentenze del 9 marzo 1999, Centros, C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 25; del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68, e del 20 settembre 2007, Tum e Dari, C‑16/05, EU:C:2007:530, punto 64). A tale proposito, la Corte ha precisato che la prova di una prassi abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento – sentenze del 16 ottobre 2012, Ungheria/Slovacchia (C‑364/10, EU:C:2012:630, punto 58 e giurisprudenza ivi citata), e del 12 marzo 2014, O. e B., C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 58); v. altresì sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 54).

( 56 ) V., inter alia, sentenze del 9 luglio 1985, Pharmon (19/84, EU:C:1985:304, punto 22), e del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 12 e giurisprudenza ivi citata).

( 57 ) Rilevo che, a più riprese, la Corte ha fatto riferimento, nella sua giurisprudenza in materia di marchi, a nozioni analoghe, i cui contorni sembrano dover essere intesi in maniera elastica. V., in particolare, il riferimento a un «legame commerciale» o a un «rapporto speciale» nelle sentenze del 23 febbraio 1999, BMW (C‑63/97, EU:C:1999:82, punto 51), e del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland (C‑228/03, EU:C:2005:177, punto 42), a un «collegamento materiale nel commercio» nelle sentenze del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C‑206/01, EU:C:2002:651), e del 16 novembre 2004, Anheuser‑Busch (C‑245/02, EU:C:2004:717, punto 60), o, ancora, alla nozione di «impresa economicamente collegata» nella sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 60).

( 58 ) V., in particolare, sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 39).

( 59 ) V., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1994, IHT Internationale Heiztechnik e Danzinger (C‑9/93, EU:C:1994:261, punto 39).

( 60 ) Rilevo che una tesi analoga è stata avanzata nel 2006 dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (sezione civile), Regno Unito] nella causa Doncaster Pharmaceutical Group Ltd v. Bolton Pharmaceutical 100 Ltd. [2006] EWCA civ. 661. Essendo intervenuta una transazione tra le parti, la causa non ha dato luogo a un rinvio pregiudiziale.

( 61 ) V. sentenza del 17 ottobre 1990, HAG GF (C‑10/89, EU:C:1990:359, punto 18).

( 62 ) V., inter alia, sentenza dell’11 luglio 1996, MPA Pharma (C‑232/94, EU:C:1996:289, punto 19).

( 63 ) V. paragrafo 28 delle presenti conclusioni.

( 64 ) V., tuttavia, conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa L’Oréal e a. (C‑324/09, EU:C:2010:757, paragrafi 4773).

( 65 ) V. sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q (C 244/00, EU:C:2003:204, punti 3536).

( 66 ) V. sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q (C‑244/00, EU:C:2003:204, punto 39), che fa riferimento a situazioni nelle quali il titolare del marchio commercializza i suoi prodotti all’interno del SEE mediante un sistema di distribuzione esclusiva.