61991C0234

Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 28 settembre 1993. - COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE CONTRO REGNO DI DANIMARCA. - ART. 33 DELLA SESTA DIRETTIVA IVA - IMPOSTA SULLA CIFRA D'AFFARI - LEGGE SUL CONTRIBUTO PER IL MERCATO DEL LAVORO. - CAUSA C-234/91.

raccolta della giurisprudenza 1993 pagina I-06273


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. Con il presente ricorso la Commissione contesta la conformità rispetto all' art. 33 della sesta direttiva del Consiglio, 77/388/CEE (in prosieguo: la "sesta direttiva"),(1) di un' imposta danese, il contributo di sostegno al mercato del lavoro (in prosieguo: il "contributo"), istituito con legge 18 dicembre 1987, n. 840 (in prosieguo: la "legge n. 840"). Rilevo sin d' ora che la Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla legittimità di tale normativa nella sentenza pregiudiziale C-200/90 (2).

2. Rinviando per ulteriori elementi alla relazione di udienza, nonché alla sentenza C-200/90, richiamo anzitutto gli aspetti essenziali della disciplina dell' imposta controversa. Il contributo in discorso, quale regolato dalla legge n. 840 e successive modifiche, grava in principio su qualunque attività commerciale consistente nella fornitura di beni o nella prestazioni di servizi (v. art. 1 della legge n. 840). Salvo poche eccezioni, esso riguarda sia attività soggette ad IVA sia attività esentate dall' IVA (v. art. 2 della legge n. 840).

3. In relazione alla base imponibile del contributo, possono distinguersi due ipotesi: a) contributo sul valore aggiunto; b) contributo sulla massa salariale.

a) Il contributo sul valore aggiunto concerne sia le attività soggette ad IVA sia talune attività esenti da IVA. Per quanto riguarda le prime, la base imponibile del contributo è identica a quella utilizzata per la riscossione dell' IVA; esso viene dunque percepito sulla differenza fra il valore delle vendite ed il valore degli acquisti, quali risultano contabilizzati ai fini della riscossione dell' IVA (v. art. 7 della legge n. 840). Per quanto riguarda le seconde, la base imponibile è egualmente rappresentata dal valore delle vendite detratto il valore degli acquisti (v. art. 8, par. 1, n. 1, della legge n. 840); in questo caso, naturalmente, non ci si potrà basare sulla contabilità IVA, dal momento che si tratta di attività non soggette a questa imposta; il criterio di fondo, tuttavia, resta lo stesso, dato che il contributo grava sul solo valore aggiunto delle attività assoggettate.

b) Il contributo sulla massa salariale riguarda talune attività non soggette ad IVA, specificamente enumerate dalla legge, e per le quali il criterio del valore aggiunto non risulta applicabile (v. art. 8, par. 1, n. 2, della legge n. 840). Si tratta principalmente di attività del settore finanziario. In relazione a tali attività, il contributo viene riscosso sull' ammontare della massa salariale dell' impresa, maggiorata di un coefficiente forfettario del 90%.

4. Il presente ricorso, come precisato dalla Commissione, anche in udienza, è diretto nei confronti sia del contributo sul valore aggiunto sia del contributo sulla massa salariale. Esaminiamo distintamente questi due capi del ricorso.

Il contributo sul valore aggiunto

5. In proposito, il governo danese sostiene che il ricorso è privo di oggetto, e dunque irricevibile, dal momento che il contributo è stato abrogato con la legge n. 891 del 21 dicembre 1991 e che l' incompatibilità del contributo stesso rispetto all' art. 33 della sesta direttiva è già stata dichiarata dalla Corte con la sentenza pregiudiziale C-200/90.

6. Al riguardo può rilevarsi che, secondo una costante giurisprudenza, l' oggetto di un ricorso introdotto ai sensi dell' art. 169 del Trattato è definito dal parere motivato della Commissione e che, anche qualora l' infrazione contestata sia stata eliminata posteriormente al termine impartito dal parere motivato, permane un interesse alla prosecuzione dell' azione (3). Nella specie è pacifico che la legislazione fiscale litigiosa è stata modificata dal legislatore danese solo successivamente alla presentazione del ricorso e che, pertanto, alla scadenza del termine prescritto nel parere motivato, la normativa in questione era ancora in vigore. Sotto questo profilo, pertanto, il ricorso non può ritenersi privo di oggetto.

7. Quanto alla circostanza che la Corte, nella procedura pregiudiziale C-200/90, ha già esaminato se l' art. 33 della sesta direttiva osti all' applicazione del contributo danese riscosso sul valore aggiunto, va rilevato che detta circostanza non ha alcuna influenza sulla ricevibilità del presente ricorso.

Nel quadro del sistema di vie giurisdizionali istituito dal Trattato, il rinvio pregiudiziale contemplato dall' art. 177 si configura come del tutto autonomo e distinto, nelle finalità e negli effetti, rispetto alla procedura d' infrazione di cui all' art. 169: l' esistenza di rimedi giurisdizionali di diritto interno, nel cui ambito è dato promuovere il rinvio pregiudiziale previsto dall' art. 177, non può pertanto pregiudicare in alcun modo la facoltà della Commissione di proporre il ricorso per inadempimento contemplato dall' art. 169 (4). Fermo restando quindi il potere della Commissione di desistere in qualsiasi momento da una procedura d' infrazione, si deve ritenere che il semplice fatto che una normativa nazionale sia già stata esaminata dalla Corte nell' ambito di una procedura ex art. 177 non è tale da rendere di per sé privo di oggetto, e dunque improcedibile, il ricorso ex art. 169 avviato dalla Commissione nei riguardi della stessa normativa.

8. D' altra parte, va anche rilevato che l' obiezione del governo danese, secondo cui la sentenza emessa dalla Corte nella procedura pregiudiziale C-200/90 renderebbe inutile la prosecuzione della presente procedura d' infrazione, mette capo ad una valutazione di mera opportunità del mantenimento del ricorso ex art. 169, che spetta esclusivamente alla Commissione svolgere e che è sottratta al sindacato della Corte. Secondo una costante giurisprudenza, infatti, nel sistema istituito dall' art. 169 del Trattato, la Commissione dispone di un potere discrezionale per proporre e coltivare una procedura di infrazione e non spetta alla Corte apprezzare l' opportunità dell' esercizio di un tale potere (5).

9. Quanto al merito, si rilevi che il governo danese riconosce la fondatezza della censura addebitatagli. Riconosce cioè che il contributo riscosso sul valore aggiunto di imprese soggette o meno ad IVA, istituito con la legge n. 840, costituisce un' imposta sulla cifra d' affari ai sensi dell' art. 33 della sesta direttiva ed è dunque vietato dal diritto comunitario. E' per questa ragione, del resto, che il legislatore danese ha deciso di abrogare la normativa controversa adottando, ancorché tardivamente, la legge 21 dicembre 1991, n. 891. Inoltre, va sottolineato che la Corte, nella sentenza C-200/90, ha chiaramente stabilito che il contributo sul valore aggiunto ha la natura di un' imposta sulla cifra d' affari, incompatibile con l' art. 33 della sesta direttiva.

10. Ritengo di conseguenza che il primo capo del ricorso sia ricevibile e fondato.

Il contributo sulla massa salariale

11. Quanto al secondo capo del ricorso, inerente al contributo sulla massa salariale (maggiorata del 90%), il governo danese fa valere che la Commissione non ha formulato alcuna censura a questo specifico riguardo nella fase precontenziosa della procedura. Anzi, sottolinea il governo resistente, contestazioni aventi ad oggetto il contributo sulla massa salariale non figurano, a ben vedere, neanche nell' atto introduttivo; è soltanto nella memoria di replica che la Commissione avrebbe, per la prima volta, posto in causa la conformità del contributo sulla massa salariale rispetto all' art. 33 della sesta direttiva. La censura mossa in relazione a tale aspetto della legislazione danese litigiosa dovrebbe pertanto ritenersi irricevibile.

12. Dirò subito che considero pienamente fondata l' obiezione formulata dal governo danese riguardo alla ricevibilità di questo capo del ricorso; e ciò per i seguenti motivi.

Ricordo anzitutto che, secondo una ben nota giurisprudenza, un ricorso introdotto ex art. 169 è irricevibile nella misura in cui concerne addebiti che non hanno formato oggetto della procedura precontenziosa, così come, del resto, è irricevibile un addebito sollevato dinanzi alla Corte senza essere stato ritualmente formulato nell' atto introduttivo del giudizio (6).

Ricordo altresì che in una recente sentenza è stata puntualmente richiamata la necessità che, nell' ambito di una procedura di infrazione, sia gli addebiti mossi nei riguardi di uno Stato membro sia le argomentazioni che li sorreggono siano formulati in termini sufficientemente chiari e precisi, sì da consentire allo Stato membro convenuto di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa ed alla Corte di apprezzare in modo completo ed approfondito la fondatezza degli addebiti stessi. In conformità a tale giurisprudenza, la Commissione è tenuta ad indicare gli specifici addebiti su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi, nonché, sia pur sinteticamente, gli elementi di diritto e di fatto su cui tali addebiti sono fondati (7).

13. Nella specie, va rilevato che il contributo sulla massa salariale costituiva, almeno su un punto essenziale quale la base imponibile, un' imposta assolutamente diversa rispetto al contributo sul valore aggiunto. La Commissione quindi avrebbe dovuto contestarne specificamente la legittimità, così come ha fatto per il contributo sul valore aggiunto, precisando, sin dalla fase precontenziosa della procedura, gli elementi di fatto e di diritto a sostegno della sua conclusione.

14. La Commissione invece si è limitata a far riferimento al contributo sulla massa salariale nel quadro della descrizione generale del regime contemplato dalla legge n. 840 e, sia nella fase precontenziosa, sia nello stesso ricorso, essa non ha mosso alcuna specifica censura nei riguardi di tale contributo, tanto meno ha indicato i motivi che ne determinerebbero l' incompatibilità con l' art. 33 della sesta direttiva (motivi che, d' altronde, non sono stati precisati neanche nella memoria di replica). Come giustamente rilevato dal governo danese, le argomentazioni giuridiche sviluppate dalla Commissione concernono in realtà il solo contributo riscosso sul valore aggiunto: è solo di quest' ultimo ° e non del diverso contributo sulla massa salariale ° che la Commissione analizza la natura e la legittimità, pervenendo alla conclusione che si tratti di un' imposta sulla cifra d' affari vietata dall' art. 33 della sesta direttiva.

15. D' altra parte, dal dibattito svoltosi in udienza è emerso in modo inequivoco che né nelle conclusioni, né nella parte in diritto dell' atto introduttivo del giudizio e neppure negli atti della fase precontenziosa la Commissione ha in realtà mosso censure nei confronti del contributo sulla massa salariale.

16. Ritengo pertanto che il capo del ricorso inerente a tale contributo, formulato dalla Commissione nella sola memoria di replica (ed in termini peraltro vaghi e generici), debba ritenersi manifestamente irricevibile.

17. In via del tutto sussidiaria, preciso poi che, qualora la censura in esame fosse considerata ricevibile, essa dovrebbe comunque essere respinta perché non fondata. Come si è detto, infatti, la Commissione comunque non ha fornito, neanche in udienza, alcun elemento da cui risulti che il contributo sulla massa salariale (maggiorata del 90%), che presenta caratteri ben diversi dal contributo sul valore aggiunto, abbia natura di imposta sulla cifra d' affari ai sensi della sesta direttiva; ed anzi, gli elementi contenuti nel dossier sembrano piuttosto deporre in senso contrario, atteso che il contributo sulla massa salariale non si presenta né come un' imposta "a cascata", riscossa ad ogni stadio della catena di commercializzazione, né come un' imposta sul valore aggiunto.

18. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di pronunciarsi nei seguenti termini:

"Il Regno di Danimarca ha mancato agli obblighi che discendono dall' art. 33 della sesta direttiva, istituendo e mantenendo in vigore, ai sensi della legge n. 840 del 18 dicembre 1987, un contributo di sostegno al mercato del lavoro che, conformemente all' art. 7 ed all' art. 8, par. 1, n. 1, della legge medesima, è riscosso sul valore aggiunto prodotto dalle imprese che vi sono soggette.

Il ricorso è viceversa irricevibile nella parte in cui riguarda il contributo di sostegno al mercato del lavoro che, conformemente all' art. 8, par. 1, n. 2, della legge n. 840, è riscosso sulla massa salariale, maggiorata del 90%, di talune imprese, non soggette ad IVA, specificamente enumerate dalla legge medesima".

(*) Lingua originale: l' italiano.

(1) - Direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d' affari ° Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1).

(2) - Sentenza 31 marzo 1992, causa C-200/90, Dansk Denkavit e Poulsen Trading (Racc. pag. I-2217).

(3) - V., tra le altre, sentenza 21 giugno 1988, causa 283/86, Commissione/Belgio (Racc. pag. 3271), nonché sentenza 27 novembre 1990, causa C-200/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-4299), e sentenza 13 dicembre 1990, causa C-347/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-4747).

(4) - V. sentenza 17 febbraio 1970, causa 31/69, Commissione/Italia (Racc. pag. 25, punto 9 della motivazione), e sentenza 18 marzo 1986, causa 85/85, Commissione/Belgio (Racc. pag. 1149, punto 24 della motivazione).

(5) - Sentenza causa C-200/88, citata, e sentenza 27 novembre 1990, causa C-209/88, Commissione/Italia (Racc. pag. I-4313).

(6) - V. sentenza 14 luglio 1988, causa 298/86, Commissione/Belgio (Racc. pag. 4343, punti 8 e 10 della motivazione).

(7) - V. sentenza causa C-347/88, citata, punti 24, 28 e 29 della motivazione.