61990J0006

SENTENZA DELLA CORTE DEL 19 NOVEMBRE 1991. - ANDREA FRANCOVICH E DANILA BONIFACI E ALTRI CONTRO REPUBBLICA ITALIANA. - DOMANDE DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: PRETURA DI VICENZA E PRETURA DI BASSANO DEL GRAPPA - ITALIA. - MANCATO RECEPIMENTO DI UNA DIRETTIVA - RESPONSABILITA DELLO STATO MEMBRO. - CAUSE RIUNITE C-6/90 E C-9/90.

raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-05357
edizione speciale svedese pagina I-00435
edizione speciale finlandese pagina I-00467


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


++++

1. Atti delle istituzioni - Direttive - Efficacia diretta - Presupposti - Molteplicità di mezzi utilizzabili per conseguire il risultato prescritto - Ininfluenza

(Trattato CEE, art. 189, terzo comma)

2. Politica sociale - Ravvicinamento delle legislazioni - Tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro - Direttiva 80/987/CEE - Artt. da 1 a 5 - Effetti nei rapporti fra lo Stato membro ed i singoli

(Direttiva del Consiglio 80/987/CEE, artt. 1-5)

3. Diritto comunitario - Diritti attribuiti ai singoli - Violazione da parte di uno Stato membro - Obbligo di risarcire il danno causato ai singoli

(Trattato CEE, art. 5)

4. Diritto comunitario - Diritti attribuiti ai singoli - Violazione, da parte di uno Stato membro, dell' obbligo di dare attuazione ad una direttiva - Obbligo di risarcire il danno causato ai singoli - Presupposti - Modalità del risarcimento - Applicazione del diritto nazionale - Limiti

(Trattato CEE, art. 189, terzo comma)

Massima


1. La facoltà, attribuita allo Stato membro destinatario di una direttiva, di scegliere tra una molteplicità di mezzi possibili al fine di conseguire il risultato prescritto dalla medesima non esclude che i singoli possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti il cui contenuto può essere determinato con precisione sufficiente sulla base delle sole disposizioni della direttiva.

2. Anche se le disposizioni della direttiva 80/987/CEE, relativa alla tutela dei lavoratori salariati in caso di insolvenza del datore di lavoro, sono sufficientemente precise ed incondizionate per quanto riguarda la determinazione dei beneficiari della garanzia ed il contenuto della garanzia stessa, gli interessati non possono, in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati da uno Stato membro entro i termini, far valere tali disposizioni dinanzi ai giudici nazionali, giacché, da un lato, le suddette norme non precisano l' identità di chi è tenuto alla garanzia e, dall' altro, lo Stato non può essere considerato debitore per il solo fatto di non aver adottato entro i termini i provvedimenti di attuazione.

3. La piena efficacia delle norme comunitarie sarebbe messa a repentaglio e la tutela dei diritti da esse riconosciuti sarebbe infirmata se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro. La possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è particolarmente indispensabile qualora la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di un' azione da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario.

Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato.

L' obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell' art. 5 del Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l' esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario e, quindi, ad eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario.

4. Se la responsabilità dello Stato per il risarcimento dei danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è imposta dal diritto comunitario, i presupposti per l' insorgere di un diritto a risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all' origine del danno provocato.

Qualora uno Stato membro violi l' obbligo, ad esso incombente in forza dell' art. 189, terzo comma, del Trattato, di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risultato prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto comunitario esige che sia riconosciuto un diritto a risarcimento ove ricorrano le tre seguenti condizioni: 1) il risultato prescritto dalla direttiva deve implicare l' attribuzione di diritti a favore dei singoli; 2) il contenuto di tali diritti deve potersi individuare sulla base delle disposizioni della direttiva; 3) deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell' obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

In mancanza di una disciplina comunitaria, è nell' ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato. Tuttavia, le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile ottenere il risarcimento.

Parti


Nei procedimenti riuniti C-6/90 e C-9/90,

aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, dalla Pretura circondariale di Vicenza (nel procedimento C-6/90) e dalla Pretura circondariale di Bassano del Grappa (nel procedimento C-9/90) nelle cause dinanzi ad esse pendenti tra

Andrea Francovich

e

Repubblica italiana

e tra

Danila Bonifaci e altri

e

Repubblica italiana,

domande vertenti sull' interpretazione dell' art. 189, terzo comma, del Trattato CEE e della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283, pag. 23),

LA CORTE,

composta dai signori O. Due, presidente, Sir Gordon Slynn, R. Joliet, F.A Schockweiler, F. Grévisse, P.J. Kapteyn, presidenti di sezione, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, G.C. Rodríguez Iglesias, M. Díez de Velasco e M. Zuleeg, giudici,

avvocato generale: J. Mischo

cancelliere: D. Louterman, amministratore principale

considerate le osservazioni scritte presentate:

- per Andrea Francovich e Danila Bonifaci e a., dagli avvocati Claudio Mondin, Aldo Campesan e Alberto dal Ferro, del foro di Vicenza,

- per il governo italiano, dall' avvocato dello Stato Oscar Fiumara, in qualità di agente,

- per il governo olandese dal sig. B.R. Bot, segretario generale presso il ministero degli Affari esteri, in qualità di agente,

- per il governo del Regno Unito, dal sig. J.E. Collins, del Treasury Solicitor' s Department, in qualità di agente, assistito dal sig. Richard Plender, QC,

- per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. Giuliano Marenco e dalla sig.ra Karen Banks, membri del suo servizio giuridico, in qualità di agenti,

vista la relazione d' udienza,

sentite le osservazioni orali del sig. Andrea Francovich e della sig.ra Danila Bonifaci, del governo italiano, del governo britannico, del governo tedesco, rappresentato dall' avvocato Jochim Sedemund, del foro di Colonia, in qualità di agente, e della Commissione, all' udienza del 27 febbraio 1991,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1. Con ordinanze 9 luglio e 30 dicembre 1989, pervenute alla Corte rispettivamente l' 8 e il 15 gennaio 1990, la Pretura di Vicenza (nella causa C-6/90) e la Pretura di Bassano del Grappa (nella causa C-9/90) hanno proposto, in forza dell' art. 177 del Trattato CEE, questioni pregiudiziali sull' interpretazione dell' art. 189, terzo comma, del Trattato CEE nonché della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283, pag. 23).

2. Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di controversie tra Andrea Francovich e Danila Bonifaci e a. (in prosieguo: i "ricorrenti") e la Repubblica italiana.

3. La direttiva 80/987 è diretta a garantire ai lavoratori dipendenti un minimo comunitario di tutela in caso di insolvenza del datore di lavoro, fatte salve le norme più favorevoli esistenti negli Stati membri. A tal fine, essa stabilisce in particolare garanzie specifiche per il pagamento di loro crediti non pagati relativi alla retribuzione.

4. A norma dell' art. 11, gli Stati membri erano tenuti a emanare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro un termine scaduto il 23 ottobre 1983. Poiché la Repubblica italiana non ha ottemperato a tale obbligo, la Corte ha accertato il suo inadempimento con sentenza 2 febbraio 1989, Commissione/Italia (causa 22/87, Racc. pag. 143).

5. Il sig. Francovich, parte nella causa principale nel procedimento C-6/90, aveva lavorato per l' impresa "CDN Elettronica Snc" a Vicenza e aveva ricevuto a tale titolo solo acconti sporadici sulla propria retribuzione. Egli ha quindi proposto ricorso dinanzi al Pretore di Vicenza, che ha condannato l' impresa convenuta al pagamento di una somma di circa 6 milioni di LIT. Nel corso del processo di esecuzione, l' ufficiale giudiziario del Tribunale di Vicenza ha dovuto redigere un verbale di pignoramento infruttuoso. Il sig. Francovich ha allora fatto valere il diritto di ottenere dallo Stato italiano le garanzie previste dalla direttiva 80/987 o, in via subordinata, un indennizzo.

6. Nella causa C-9/90, la sig.ra Danila Bonifaci e altre trentatré lavoratrici dipendenti hanno proposto un ricorso dinanzi al Pretore di Bassano del Grappa, riferendo di aver lavorato in qualità di lavoratrici dipendenti per la ditta "Gaia Confezioni Srl", dichiarata fallita il 5 aprile 1985. Al momento della cessazione dei rispettivi rapporti di lavoro, le ricorrenti erano creditrici di una somma di oltre 253 milioni di LIT, che era stata ammessa al passivo dell' impresa dichiarata fallita. Oltre cinque anni dopo il fallimento, nulla era stato loro corrisposto e il curatore del fallimento aveva fatto loro sapere che una ripartizione, anche parziale, in loro favore era assolutamente improbabile. Di conseguenza, le ricorrenti hanno adito il suddetto giudice chiedendo che la Repubblica italiana, alla luce dell' obbligo ad essa incombente di applicare la direttiva 80/987 dal 23 ottobre 1983, fosse condannata a corrispondere loro gli importi ad esse spettanti a titolo di retribuzioni arretrate, quanto meno per le ultime tre mensilità o, in mancanza, a versare loro un indennizzo.

7. In questo contesto i giudici nazionali hanno sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, identiche nelle due cause:

"1) In forza del sistema di diritto comunitario vigente, può il privato che sia stato leso dalla mancata attuazione da parte dello Stato della direttiva 80/987 - mancata attuazione accertata con sentenza di condanna della Corte di giustizia - pretendere l' adempimento da parte dello Stato stesso delle disposizioni in essa contenute che siano sufficientemente precise e incondizionate invocando direttamente, nei confronti dello Stato membro inadempiente, la normativa comunitaria per ottenere le garanzie che lo Stato stesso doveva assicurare, e comunque rivendicare il risarcimento dei danni subiti relativamente alle disposizioni che non godono di tale prerogativa?

2) Il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 del Consiglio dev' essere interpretato nel senso che, nel caso in cui lo Stato non si sia avvalso della facoltà di introdurre i limiti di cui all' art. 4, lo Stato stesso è tenuto al pagamento dei diritti dei lavoratori subordinati nella misura stabilita dall' art. 3?

3) Nel caso di risposta negativa alla domanda 2, stabilisca la Corte qual è la garanzia minima che lo Stato deve assicurare ai sensi della direttiva 80/987 al lavoratore avente diritto in modo che la quota di retribuzione a quest' ultimo dovuta possa considerarsi attuazione della direttiva stessa."

8. Per una più ampia illustrazione degli antefatti delle cause principali, dello svolgimento del procedimento nonché delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.

9. La prima questione sollevata dal giudice nazionale pone due problemi che occorre esaminare separatamente. Essa riguarda, in primo luogo, l' efficacia diretta delle norme della direttiva che definiscono i diritti dei lavoratori e, in secondo luogo, l' esistenza e la portata della responsabilità dello Stato per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario.

Sull' efficacia diretta delle disposizioni della direttiva che definiscono i diritti dei lavoratori

10. La prima parte della prima questione formulata dal giudice nazionale è diretta a stabilire se le disposizioni della direttiva che definiscono i diritti dei lavoratori debbano essere interpretate nel senso che gli interessati possono far valere tali diritti nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini.

11. Secondo una giurisprudenza costante, lo Stato membro che non ha adottato entro i termini i provvedimenti di attuazione imposti da una direttiva non può opporre ai singoli l' inadempimento, da parte sua, degli obblighi derivanti dalla direttiva stessa. Perciò, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti d' attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto siano atte a definire diritti che i singoli possono fare valere nei confronti dello Stato (sentenza 19 gennaio 1982, Becker, punti 24 e 25 della motivazione, causa 8/81, Racc. pag. 53).

12. Occorre quindi chiedersi se le disposizioni della direttiva 80/987 che definiscono i diritti dei lavoratori siano incondizionate e sufficientemente precise. Tale esame deve riguardare tre aspetti, e cioè la determinazione dei beneficiari della garanzia stabilita da detta disposizione, il contenuto di tale garanzia e, infine, l' identità del soggetto tenuto alla garanzia. Al riguardo si pone in particolare la questione se lo Stato possa essere considerato tenuto alla garanzia per non aver adottato, entro il termine prescritto, i necessari provvedimenti di attuazione.

13. Per quanto riguarda, innanzitutto, la determinazione dei beneficiari della garanzia, va rilevato che, in base all' art. 1, n. 1, la direttiva si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti di datori di lavoro che si trovino in stato di insolvenza ai sensi dell' art. 2, n. 1, ossia della disposizione che precisa le ipotesi in cui un datore di lavoro dev' essere considerato in stato di insolvenza. L' art. 2, n. 2, rinvia al diritto nazionale per la determinazione delle nozioni di "lavoratore subordinato" e di "datore di lavoro". Infine l' art. 1, n. 2, dispone che gli Stati membri possono, in via eccezionale e a determinate condizioni, escludere dall' ambito di applicazione della direttiva talune categorie di lavoratori elencati nell' allegato della direttiva.

14. Queste disposizioni sono sufficientemente precise e incondizionate per consentire al giudice nazionale di stabilire se un soggetto possa essere o no considerato beneficiario della direttiva. Infatti, il giudice deve solo verificare, in primo luogo, se l' interessato abbia lo status di lavoratore subordinato in forza del diritto nazionale e se non sia escluso, a norma dell' art. 1, n. 2, e del suo allegato I, dall' ambito di applicazione della direttiva (v., per quanto riguarda le condizioni richieste per una siffatta esclusione, le sentenze 2 febbraio 1989, Commissione/Italia, punti 18-23 della motivazione, causa 22/87, cit., e 8 novembre 1990, Commissione/Grecia, punti 11-26 della motivazione, causa C-53/88, Racc. pag. I-3917); in secondo luogo, se ci si trovi in una delle ipotesi di insolvenza di cui all' art. 2 della direttiva.

15. Per quanto riguarda poi il contenuto della garanzia, l' art. 3 della direttiva dispone che dev' essere garantito il pagamento dei crediti non pagati risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione per il periodo situato prima di una data stabilita dallo Stato membro che, al riguardo, può scegliere fra tre possibilità e cioè: a) la data in cui è insorta l' insolvenza del datore di lavoro; b) quella del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato interessato, comunicato a causa dell' insolvenza del datore di lavoro; c) quella in cui è insorta l' insolvenza del datore di lavoro o quella della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro del lavoratore subordinato interessato, avvenuta a causa dell' insolvenza del datore di lavoro.

16. In relazione a tale scelta, lo Stato membro ha la facoltà, in forza dell' art. 4, nn. 1 e 2, di limitare l' obbligo di pagamento a periodi di tre mesi o di otto settimane, a seconda dei casi, calcolati secondo modalità precisate nel suddetto articolo. Infine, il n. 3 dello stesso articolo dispone che gli Stati membri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento per evitare il versamento di somme eccedenti il fine sociale della direttiva. Qualora si avvalgano di tale facoltà, gli Stati membri debbono comunicare alla Commissione i metodi con cui fissano il massimale. D' altro canto l' art. 10 precisa che la direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di adottare le misure necessarie ad evitare abusi ed in particolare di rifiutare o di ridurre l' obbligo di pagamento in taluni casi.

17. L' art. 3 della direttiva lascia così una scelta allo Stato membro per determinare la data a partire dalla quale la garanzia del pagamento dei diritti dev' essere fornita. Tuttavia, come risulta già implicitamente dalla giurisprudenza della Corte (sentenza 4 dicembre 1986, FNV, causa 71/85, Racc. pag. 3855; sentenza 24 marzo 1987, McDermott e Cotter, punto 15 della motivazione, causa 286/85, Racc. pag. 1453), la facoltà attribuita allo Stato di scegliere tra una molteplicità di mezzi possibili al fine di conseguire il risultato prescritto da una direttiva non esclude che i singoli possano far valere dinanzi ai giudici i diritti il cui contenuto può essere determinato con una precisione sufficiente sulla base delle sole disposizioni della direttiva.

18. Nella fattispecie, il risultato che la direttiva di cui trattasi prescrive è la garanzia del pagamento ai lavoratori dei crediti non pagati in caso di insolvenza del datore di lavoro. Il fatto che gli artt. 3 e 4, nn. 1 e 2, concedano agli Stati membri una certa discrezionalità per quanto concerne i metodi di fissazione di questa garanzia e la limitazione del suo importo non pregiudica il carattere preciso e incondizionato del risultato prescritto.

19. Infatti, come hanno messo in rilievo la Commissione e i ricorrenti, è possibile determinare la garanzia minima prevista dalla direttiva fondandosi sulla data la cui scelta comporta l' onere meno gravoso per l' organismo di garanzia. Tale data è quella in cui è insorta l' insolvenza del datore di lavoro, poiché le altre due date, cioè quella del preavviso di licenziamento del lavoratore e quella della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro, sono, in base alle condizioni poste dall' art. 3, necessariamente posteriori all' insorgere dell' insolvenza e delimitano quindi un periodo più lungo, durante il quale il pagamento dei diritti dev' essere garantito.

20. Per quanto riguarda la facoltà, di cui all' art. 4, n. 2, di limitare tale garanzia, occorre rilevare che una siffatta facoltà non esclude che si possa determinare la garanzia minima. Infatti, dalla formulazione di tale articolo risulta che gli Stati membri hanno la facoltà di limitare le garanzie accordate ai lavoratori a taluni periodi anteriori alla data di cui all' art. 3. Questi periodi sono stabiliti in relazione a ciascuna delle tre date contemplate all' art. 3, onde è possibile, in ogni caso, determinare fino a che punto lo Stato membro avrebbe potuto ridurre la garanzia prevista dalla direttiva a seconda della data che avrebbe scelto se avesse attuato la direttiva.

21. Quanto all' art. 4, n. 3, secondo il quale gli Stati membri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento al fine di evitare il versamento di somme eccedenti il fine sociale della direttiva, e quanto all' art. 10, in cui si precisa che la direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di adottare misure necessarie per evitare abusi, va rilevato che uno Stato membro che non abbia adempiuto il proprio obbligo di attuare una direttiva non può neutralizzare i diritti che la direttiva fa sorgere a beneficio dei singoli basandosi sulla facoltà di limitare l' importo della garanzia che esso avrebbe potuto esercitare ove avesse preso le misure necessarie all' attuazione della direttiva (v., a proposito di una facoltà analoga relativa alla prevenzione di abusi nell' ambito fiscale, la sentenza 19 gennaio 1982, Becker, punto 34 della motivazione, causa 8/81, Racc. pag. 53).

22. Va quindi constatato che le disposizioni controverse sono incondizionate e sufficientemente precise per quanto riguarda il contenuto della garanzia.

23. Per quanto riguarda infine l' identità di chi è tenuto alla garanzia, l' art. 5 della direttiva stabilisce che:

"Gli Stati fissano le modalità di organizzazione, di finanziamento e di funzionamento degli organismi di garanzia nel rispetto, in particolare, dei seguenti principi:

a) il patrimonio degli organismi deve essere indipendente dal capitale di esercizio dei datori di lavoro e essere costituito in modo da non poter essere sequestrato in un procedimento in caso di insolvenza;

b) i datori di lavoro devono contribuire al finanziamento, a meno che quest' ultimo non sia integralmente assicurato dai pubblici poteri;

c) l' obbligo di pagamento, a carico degli organismi esiste indipendentemente dall' adempimento degli obblighi di contribuire al finanziamento".

24. E' stato sostenuto che, poiché la direttiva prevede la possibilità di finanziamento integrale degli organismi di garanzia da parte dei pubblici poteri, è inammissibile che uno Stato membro possa neutralizzare gli effetti della direttiva sostenendo che avrebbe potuto porre a carico di altri soggetti, in parte o in toto, l' onere finanziario gravante su di esso.

25. Tale ragionamento non può essere condiviso. Dalla formulazione della direttiva risulta che lo Stato membro è tenuto a predisporre tutto un sistema istituzionale di garanzia appropriato. In forza dell' art. 5, lo Stato membro dispone di un' ampia discrezionalità quanto all' organizzazione, al funzionamento e al finanziamento degli organismi di garanzia. Occorre mettere in rilievo che il fatto, invocato dalla Commissione, che la direttiva preveda come una possibilità, fra le altre, che un sistema del genere sia finanziato integralmente dai pubblici poteri non può significare che si possa identificare lo Stato come debitore dei crediti non pagati. L' obbligo di pagamento è a carico degli organismi di garanzia e solo esercitando il suo potere di organizzare il sistema di garanzia lo Stato può disporre il finanziamento integrale degli organismi di garanzia da parte dei pubblici poteri. In questa ipotesi lo Stato si accolla un obbligo che in linea di principio non gli incombe.

26. Ne consegue che, anche se le disposizioni controverse della direttiva sono sufficientemente precise e incondizionate per quanto riguarda la determinazione dei beneficiari della garanzia e il contenuto della garanzia stessa, questi elementi non sono sufficienti perché i singoli possano far valere tali disposizioni dinanzi ai giudici nazionali. Infatti, da un lato, queste disposizioni non precisano l' identità di chi è tenuto alla garanzia e, dall' altro, lo Stato non può essere considerato debitore per il solo fatto di non aver adottato entro i termini i provvedimenti di attuazione.

27. Si deve pertanto risolvere la prima parte della prima questione dichiarando che le disposizioni della direttiva 80/987 che definiscono i diritti dei lavoratori devono essere interpretate nel senso che gli interessati non possono far valere tali diritti nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini.

Sulla responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario

28. Con la seconda parte della prima questione il giudice nazionale mira a stabilire se uno Stato membro sia tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987.

29. Il giudice nazionale pone così il problema dell' esistenza e della portata di una responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi che ad esso incombono in forza del diritto comunitario.

30. Questo problema dev' essere esaminato alla luce del sistema generale del Trattato e dei suoi principi fondamentali.

a) Sul principio della responsabilità dello Stato

31. Va innanzitutto ricordato che il Trattato CEE ha istituito un ordinamento giuridico proprio, integrato negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che si impone ai loro giudici, i cui soggetti sono non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini e che, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, il diritto comunitario è altresì volto a creare diritti che entrano a far parte del loro patrimonio giuridico; questi diritti sorgono non solo nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche in relazione agli obblighi che il Trattato impone ai singoli, agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie (v. sentenze 5 febbraio 1963, Van Gend & Loos, causa 26/62, Racc. pag. 3, e 15 luglio 1964, Costa, causa 6/64, pag. 1127).

32. Va altresì ricordato che, come risulta da una giurisprudenza costante, è compito dei giudici nazionali incaricati di applicare, nell' ambito delle loro competenze, le norme del diritto comunitario, garantire la piena efficacia di tali norme e tutelare i diritti da esse attribuiti ai singoli (v. in particolare sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal, punto 16 della motivazione, causa 106/77, Racc. pag. 629, e sentenza 19 giugno 1990, Factortame, punto 19 della motivazione, cuasa C-213/89, Racc. pag. I-2433).

33. Va constatato che sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro.

34. La possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è particolarmente indispensabile qualora, come nella fattispecie, la piena efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di un' azione da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione, non possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario.

35. Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato.

36. L' obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo fondamento anche nell' art. 5 del Trattato, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l' esecuzione degli obblighi ad essi derivanti dal diritto comunitario. Orbene, tra questi obblighi si trova quello di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario (v., per quanto riguarda l' analogo disposto dell' art. 86 del Trattato CECA, la sentenza 16 dicembre 1960, Humblet, causa 6/60, Racc. pag. 1093).

37. Da tutto quanto precede risulta che il diritto comunitario impone il principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili.

b) Sulle condizioni della responsabilità dello Stato

38. Se la responsabilità dello Stato è così imposta dal diritto comunitario, le condizioni in cui essa fa sorgere un diritto a risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all' origine del danno provocato.

39. Qualora, come nel caso di specie, uno Stato membro violi l' obbligo, ad esso incombente in forza dell' art. 189, terzo comma, del Trattato, di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risultato prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto comunitario esige che sia riconosciuto un diritto a risarcimento ove ricorrano tre condizioni.

40. La prima di queste condizioni è che il risultato prescritto dalla direttiva implichi l' attribuzione di diritti a favore dei singoli. La seconda condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine, la terza condizione è l' esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell' obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

41. Tali condizioni sono sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario.

42. Con questa riserva, è nell' ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato. Infatti, in mancanza di una disciplina comunitaria, spetta all' ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare il giudice competente e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v. le seguenti sentenze: 22 gennaio 1976, Russo, causa 60/75, Racc. pag. 45; 16 dicembre 1976, Rewe, causa 33/76, Racc. pag. 1989; 7 luglio 1981, Rewe, causa 158/80, Racc. pag. 1805).

43. Occorre rilevare inoltre che le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (v. per quanto concerne la materia analoga del rimborso di imposte riscosse in violazione del diritto comunitario, in particolare la sentenza 9 novembre 1983, San Giorgio, causa 199/82, Racc. pag. 3595).

44. Nella fattispecie, la violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro a seguito della mancata attuazione entro i termini della direttiva 80/987 è stata accertata con una sentenza della Corte. Il risultato prescritto da tale direttiva comporta l' attribuzione ai lavoratori subordinati del diritto ad una garanzia per il pagamento di loro crediti non pagati relativi alla retribuzione. Come risulta dall' esame della prima parte della prima questione, il contenuto di tale diritto può essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva.

45. Stando così le cose, spetta al giudice nazionale garantire, nell' ambito delle norme di diritto interno relative alla responsabilità, il diritto dei lavoratori ad ottenere il risarcimento dei danni che siano stati loro provocati a seguito della mancata attuazione della direttiva.

46. La questione sollevata dal giudice nazionale va pertanto risolta nel senso che uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987.

Sulla seconda e sulla terza questione

47. Alla luce della soluzione data alla prima questione pregiudiziale non occorre pronunciarsi sulla seconda e sulla terza questione.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

48. Le spese sostenute dai governi italiano, britannico, olandese e tedesco, nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento ha il carattere di un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, a cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni ad essa sottoposte dalla Pretura di Vicenza (nella causa C-6/90) e dalla Pretura di Bassano del Grappa (nella causa C-9/90) rispettivamente con ordinanze 9 luglio e 30 dicembre 1989, dichiara:

1) Le disposizioni della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, che definiscono i diritti dei lavoratori devono essere interpretate nel senso che gli interessati non possono far valere tali diritti nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini.

2) Uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987/CEE.