DOCUMENTO DI LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE che accompagna il documento VALUTAZIONE D’IMPATTO DEI COSTI E DEI BENEFICI DERIVANTI DA UN MIGLIOR EQUILIBRIO DI GENERE NEI CONSIGLI DELLE SOCIETÀ QUOTATE IN BORSA Sintesi /* SWD/2012/0349 final */
DOCUMENTO DI
LAVORO DEI SERVIZI DELLA COMMISSIONE che accompagna il documento VALUTAZIONE D’IMPATTO DEI COSTI E DEI
BENEFICI DERIVANTI DA UN MIGLIOR EQUILIBRIO DI GENERE NEI CONSIGLI DELLE
SOCIETÀ QUOTATE IN BORSA Sintesi 1. Definizione del problema I consigli delle società dell’UE sono
caratterizzati da persistenti e palesi disparità di genere, come dimostra il
fatto che solo il 13,7% dei posti in tali consigli sono attualmente occupati da
donne. Solo il 15% degli amministratori senza incarichi esecutivi nelle società
dell’UE sono donne. È dimostrato che, benché le donne non solo
posseggano i requisiti necessari – sia sotto il profilo dell’istruzione[1] che dal punto di vista professionale[2] - per
entrare a far parte dei massimi organi decisionali in campo economico, ma
abbiano anche il desiderio[3] e la volontà[4] di farlo, nel raggiungere le posizioni di alta dirigenza si scontrano
fin dall’inizio con uno svantaggio sistematico rispetto agli uomini. Quando
cercano di realizzare pienamente le loro potenzialità professionali, le donne
si trovano davanti a barriere radicate nel comportamento e nella cultura
aziendale delle società. Le attuali pratiche di assunzione degli amministratori
sono caratterizzate da una forte opacità che non fa che aumentare queste barriere,
pregiudicando così il funzionamento ottimale del mercato del lavoro per le alte
posizioni dirigenziali in tutta l’UE. Il fatto che le donne siano
sotto-rappresentate nei consigli delle società quotate dell’UE costituisce un’occasione
mancata di pieno utilizzo del capitale umano dell’Unione, poiché si rinuncia a
quelle esternalità positive associate ad una rafforzata partecipazione
femminile in tali consigli, e che sono avvertite dall’economia nel suo insieme.
In primo luogo, la disparità di genere nei consigli
delle società quotate dell’UE costituisce uno spreco di opportunità a livello
della stessa impresa. Numerosi indicatori di governo societario evidenziano i
vantaggi derivanti da una maggiore diversificazione di genere nei consigli. Vi
sono molte prove a dimostrazione del fatto che le società con una maggiore
diversificazione di genere nei consigli sono più redditizie, e che le
differenze – se la rappresentanza delle donne nei consigli raggiunge un livello
sufficientemente alto da influenzare i modelli comportamentali nella presa di
decisioni – sono statisticamente notevoli. In secondo luogo, il fatto che le donne siano
sotto-rappresentate ha ripercussioni negative sull’economia in generale.
Contribuisce al divario occupazionale fra i generi in termini di rappresentanza
di uomini e donne ai vari livelli di responsabilità nelle imprese, ad esempio
in posizioni manageriali al di sotto dei consigli d’amministrazione, ma anche
in termini di partecipazione generale al mercato del lavoro di uomini e donne. Alimenta
la disparità retributiva: nell’UE le donne guadagnano tuttora, in media, il 16%
circa in meno degli uomini, un differenziale che è ancora più elevato nelle
società quotate. Infine, bassi tassi di partecipazione femminile alla forza
lavoro e stipendi inferiori per le donne significano un rendimento inferiore
dell’istruzione sia per gli individui che per la collettività, con le relative
conseguenze per il prodotto interno lordo (PIL) dell’UE. Dare alle donne la possibilità di assumere
posizioni di leadership, sfruttando così appieno il capitale umano, è
fondamentale per affrontare le sfide demografiche dell’UE, per competere con
successo in un’economia globalizzata e per garantire un vantaggio comparativo
nei confronti dei paesi terzi. È inoltre necessario per riavviare la crescita
economica, come indicato nella Strategia Europa 2020. Questo punto di vista è
stato anche sottoscritto nel corso della pubblica consultazione, da cui emerge
un consenso, fra i gruppi di parti interessate, sul fatto che consentire alle
donne di assumere posizioni di leadership sia importante tanto per il
rendimento della società che per la crescita economica. Benché riconoscano
questa necessità e i vantaggi economici derivanti da una maggiore
diversificazione di genere nella forza lavoro, i mercati non riescono a
migliorare la situazione. Questo fallimento di mercato può essere spiegato col
fatto che gruppi di formazione molto omogenea tendono a mantenere la loro
composizione, manifestano una grossa reticenza a lavorare con persone di
background o sesso diverso e preferiscono associarsi con altri individui del
loro stesso gruppo. L’attuale carenza di presenze femminili nei
consigli genera un circolo vizioso che perpetua la sotto-rappresentanza delle
donne nei processi decisionali. L’attuale composizione dei consigli influisce
sull’atteggiamento di un’impresa verso l’uguaglianza di genere e incide
negativamente sulla disponibilità a nominare nei consigli un maggior numero di
donne. La mancanza di donne in tali sedi implica poi una mancanza di guide,
mentori e modelli che possano agevolare la progressione di carriera di altre
donne, cioè la preparazione di quelle con alte potenzialità manageriali per l’ingresso
nei consigli. Nonostante due raccomandazioni del Consiglio (1984
e 1996), varie iniziative legislative e non legislative a livello nazionale e
numerosi tentativi di auto-regolamentazione, la rappresentanza femminile nei
consigli delle società quotate è aumentata di poco più del 5% nel 2003,
arrivando al 13,7% nel 2012. Si prevede un avanzamento pressappoco analogo che
la porterà al 20,4% nel 2020. Le parti interessate sono concordi nel ritenere
che sia necessaria un’azione per realizzare progressi più rapidi. L’assenza di
regolamentazione o la differenza nelle normative a livello nazionale
costituiscono a loro volta un ostacolo al mercato interno, poiché le società
europee quotate rispondono a requisiti divergenti in materia di governo
societario. Queste differenze possono causare complicazioni pratiche per le
società quotate che operano a livello transfrontaliero così come per i
candidati ai posti nei consigli. L’attuale opacità nelle procedure di selezione
e nei criteri di qualificazione per l’assegnazione dei posti nei consigli nella
maggior parte degli Stati costituisce una grossa barriera all’introduzione di
una maggiore diversità fra i membri dei consigli, e incide negativamente sulle
carriere dei candidati a tali posti e sulla loro libertà di circolazione, così
come sulle decisioni degli investitori. 2. Sussidiarietà e proporzionalità La parità di
genere è uno degli obiettivi fondanti dell’UE, come indicano i trattati
(articolo 3, paragrafo 3, del TUE) e la Carta dei diritti fondamentali
(articolo 23). Ai sensi dell’articolo 8 del TFUE l’Unione, in tutte le sue
politiche, mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità,
tra donne e uomini. Il diritto dell’UE di intervenire in questioni relative
alla parità di genere nell’occupazione e nell’impiego discende dall’articolo 157,
paragrafo 3, del TFUE. Le crescenti discrepanze che si constatano
attualmente fra gli Stati membri quanto alla rappresentanza femminile nei
consigli delle società quotate si spiegano col fatto che, nonostante gli Stati
membri possano adottare misure per contrastare la scarsa presenza femminile nel
processo decisionale in ambito economico, molti di essi non mostrano alcuna
volontà o incontrano resistenza a prendere iniziative in merito. Pertanto, le
disparità nell’Unione possono essere ridotte solo attraverso un approccio
comune, e il potenziale di parità di genere, competitività e crescita può
essere realizzato meglio attraverso un’azione coordinata a livello UE piuttosto
che con iniziative nazionali di portata, ambizione ed efficacia diverse. Solo
una misura a livello dell’UE può contribuire a garantire un uso ottimale dell’esistente
serbatoio di talenti femminili. Un’iniziativa a livello UE in quest’ambito
rispetterebbe quindi pienamente il principio di sussidiarietà. Un’azione a livello dell’Unione è giustificata
solo se è indispensabile a correggere la costante sotto-rappresentanza delle
donne. La misura legislativa sarà quindi temporanea, a rafforzamento del
rispetto del principio di sussidiarietà. L’azione proposta è conforme al principio
di proporzionalità, poiché si limiterebbe alla fissazione di obiettivi e
principi comuni. In uno spirito di armonizzazione minima, gli Stati membri
avrebbero sufficiente libertà di decidere come realizzare al meglio questi
obiettivi comuni tenendo conto delle circostanze nazionali. Nessuna misura vincolante
dell’UE interferirebbe con la possibilità, per le imprese, di nominare, per i
consigli, i membri più qualificati. La misura rispetterebbe pienamente i
requisiti della giurisprudenza pertinente in materia di azione positiva della
Corte di giustizia dell’Unione europea, la cui specifica finalità è garantire
il rispetto del principio di proporzionalità. 3. Obiettivi Gli obiettivi
generali sono la promozione della parità di genere nei processi decisionali
in ambito economico e il pieno utilizzo dell’esistente serbatoio di talenti per
una rappresentanza più equa fra uomini e donne nei consigli delle società, per
contribuire così agli obiettivi di Europa 2020. In linea con le componenti
sottese della questione, possono essere definiti due obiettivi specifici:
i) ridurre gli ostacoli che impediscono alle donne di accedere ai posti nei
consigli delle società, e ii) migliorare il governo societario e i risultati
delle imprese. L’obiettivo operativo sarebbe, di conseguenza, l’introduzione di
una soglia comune, da raggiungere entro il 2020, per la rappresentanza di
ciascun sesso nei consigli delle società quotate. 4. Opzioni Avendo individuato la necessità di un’armonizzazione
minima delle misure di miglioramento della diversità di genere nei consigli
delle società, l’esame delle opzioni ha tenuto conto dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità, così come la conformità con la Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (in appresso: la “Carta”) e con le
altre politiche della Commissione. Ciò si riflette nell’ambito e nel lasso di
tempo limitati cui sarebbe soggetta ogni eventuale iniziativa, che si
applicherebbe quindi solo alle società quotate, con la considerevole eccezione
delle PMI. Le società quotate hanno enorme visibilità e rivestono un’importanza
economica cruciale. La rappresentanza femminile nei loro consigli, inoltre, è
una delle più basse se confrontata con le altre categorie analizzate. Come ipotesi di lavoro, la soglia delle
opzioni prescelte è stata fissata al 40%, percentuale che si colloca fra la
“massa critica” minima, ritenuta necessaria per sortire un effetto sostenibile
sulle attività dei consigli (il 30%) e la piena parità di genere (50%). Il
termine fissato al 2020 consentirebbe di mettere in atto uno sforzo armonizzato
per aumentare il numero delle donne nei consigli in tutta l’Unione europea
tenendo debitamente conto dei diversi punti di partenza dei vari Stati membri. 4.1. Opzione 1: Status quo Questa opzione non comporterebbe nessuna nuova
azione a livello UE; sarebbe una semplice continuazione della situazione
attuale. 4.2. Opzione 2: Opzione
giuridicamente non vincolante Questa opzione
assumerebbe la forma di una raccomandazione non vincolante, indirizzata agli
Stati membri, affinché adottino le misure necessarie per raggiungere una
rappresentanza almeno del 40% per ogni genere nei consigli entro il 2020, sia
per quanto riguarda gli amministratori con incarichi esecutivi che gli
amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate nell’UE. 4.3. Opzione 3: Opzione minima
giuridicamente vincolante – Obiettivo fissato solo per gli amministratori senza
incarichi esecutivi Questa opzione legislativa vincolante
introdurrebbe un obiettivo quantificato da raggiungere entro il 2020, ossia
almeno il 40% di rappresentanza di ciascun sesso nei consigli, applicabile solo
gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate nell’UE.
Essa non riguarderebbe le PMI e sarebbe di natura temporanea, come le due
opzioni seguenti. 4.4. Opzione 4: Opzione intermedia
giuridicamente vincolante – Obiettivo fissato per gli amministratori senza
incarichi esecutivi più obiettivo flessibile per gli amministratori con
incarichi esecutivi Oltre all’opzione legislativa di una soglia
quantificata del 40% per gli amministratori senza incarichi esecutivi, questa
opzione introdurrebbe l’obbligo di stabilire un obiettivo flessibile per gli
amministratori con incarichi esecutivi, che sarebbe fissato dalle stesse
società quotate alla luce delle loro specifiche circostanze. 4.5. Opzione 5: Opzione massima
giuridicamente vincolante – Obiettivi fissati sia per gli amministratori con
incarichi esecutivi che per gli amministratori non esecutivi Secondo questa opzione, la soglia quantificata
del 40% di rappresentanza di ogni sesso da raggiungere entro il 2020 ai fini di
una diversificazione di genere nei consigli varrebbe sia per gli amministratori
con incarichi esecutivi che per gli amministratori senza incarichi esecutivi
delle società quotate nell’UE. 5. valutazione d’impatto 5.1. Valutazione dell’opzione 1 In assenza di una
qualunque azione futura sono ipotizzabili solo lenti passi avanti verso il
raggiungimento sia degli obiettivi generali che degli obiettivi specifici,
poiché si prevede che la partecipazione delle donne ai consigli
raggiunga solo il 20,84% da qui al 2020. Di conseguenza questa opzione avrebbe
un impatto trascurabile sui diritti sociali e fondamentali – o meglio, per i diritti fondamentali non avrebbe
addirittura alcun impatto per quanto riguarda il livello dell’Unione, dato che
la Carta non sarebbe applicabile, ai sensi del suo articolo 51, paragrafo 1, a
misure prese dagli Stati membri che non attuino il diritto dell’Unione. L’impatto sul divario occupazionale fra i generi
sarebbe molto limitato poiché la possibilità di occupare un posto in un
consiglio continuerebbe ad essere più di quattro volte superiore per gli uomini
rispetto alle donne, e la possibilità di occupare posti dirigenziali sarebbe
per gli uomini superiore più del doppio. La disparità retributiva, ossia
la differenza fra gli stipendi percepiti dalle donne e dagli uomini nelle
società quotate, sarebbe del 23,72%, mentre il rendimento medio dell’istruzione
sarebbe del 18,2% per gli individui e del 22,11% per la collettività. Quanto ai
risultati, per le società quotate dell’UE-27 si prevede una
remunerazione sul capitale proprio (“ROE”) del 10,78%. Visto che lo status quo non comporterebbe nessun
cambiamento a livello di investimenti o di oneri amministrativi,
i costi corrispondenti sono stimati a zero. 5.2. Valutazione dell’opzione 2 Visto il suo carattere non vincolante, questa
azione avrebbe probabilmente come unico risultato l’incoraggiamento di un’azione
non vincolante solo negli Stati membri in cui la questione in oggetto è
attualmente fonte di dibattito. Alla luce della passata esperienza, c’è da
aspettarsi che una raccomandazione abbia effetti limitati. Si prevede che la partecipazione
delle donne nei consigli delle società quotate raggiunga il 23,57% da qui al 2020, un leggero aumento di percentuale del 2,73%
rispetto all’opzione 1. L’opzione 2 avrebbe inoltre un impatto limitato
sui diritti sociali e sui diritti fondamentali, poiché i vantaggi associati
alla parità di genere sarebbero raggiunti solo in misura estremamente
contenuta. Qualora la raccomandazione venisse attuata e raggiungesse l’obiettivo
dell’aumento di proporzione delle donne nei consigli, riducendo così il divario
fra i generi, contribuirebbe positivamente alla promozione della parità di
genere e dei diritti sanciti all’articolo 15 (“Libertà professionale e diritto
di lavorare”) e all’articolo 23 (“Parità tra uomini e donne”) della Carta.
Nella misura in cui un’azione intrapresa dagli Stati membri a seguito di una
raccomandazione deve essere considerata una misura d’attuazione del diritto
dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, gli Stati
membri dovrebbero garantire che le ripercussioni negative sui diritti di cui
all’articolo 16 (“Libertà d’impresa”) e all’articolo 17 (“Diritto di
proprietà”) della Carta siano ridotti al minimo. Questa opzione avrebbe moderate ripercussioni
positive sull’economia generale in termini di riduzione del divario
occupazionale fra i generi e della disparità retributiva, e di aumento del
rendimento medio dell’istruzione. Dato l’esiguo aumento nel numero di donne ai
posti di amministratore esecutivo e non esecutivo, si prevede che gli aspetti
complessivi del governo societario sarebbero toccati solo in misura
moderata. In base a una stima conservativa, si prevede che i risultati delle
società in termini di ROE aumenterebbero dello 0,67% rispetto allo scenario
di base, portando le società quotate a benefici netti supplementari dell’ordine
di 4 miliardi di euro. I costi di investimento aumenterebbero solo
per gli Stati membri che seguono la raccomandazione e, in caso di misure
nazionali non vincolanti, solo per le società che si attengono a tali misure.
Su tale base, i costi di investimento totali annui nell’UE sono stimati
a 3,7 milioni di euro per il periodo 2017 – 2020 e a 651 800 euro per il
periodo 2021 – 2030. Gli oneri amministrativi medi annui derivanti dall’obbligo,
per tutte le società interessate, di riferire in merito alla composizione di
genere dei loro consigli ammonterebbe a 115 000 euro.
Partendo dal presupposto che tutti gli Stati membri che adottino misure ne
monitorerebbero anche i progressi, la media totale annua per i costi di monitoraggio
nell’UE è stimata a 93 000 euro. 5.3. Valutazione dell’opzione 3 Partendo
dal presupposto di un totale rispetto della soglia fissata, questa opzione porterebbe
a un aumento della partecipazione delle donne nei consigli del 32,58% da qui al 2020, un tangibile incremento di 11,74 punti
percentuale rispetto all’opzione 1. Poiché la presenza di amministratrici non
esecutive raggiungerebbe il 40%, questa opzione avrebbe un impatto
considerevole sui diritti sociali e fondamentali. Di conseguenza, i
vantaggi collaterali derivanti dalla parità di genere, che sarebbero percepiti
al livello adeguato, sarebbero molto maggiori. L’opzione 3 avrebbe un chiaro
impatto positivo sulla parità di genere e sui diritti sanciti all’articolo 15 e all’articolo 23 della
Carta. Pur rappresentando al tempo stesso una restrizione dei diritti di cui
all’articolo 16 e all’articolo 17 della Carta (poiché limiterebbe la facoltà di
decidere da chi un’impresa è gestita e controllata), l’opzione in oggetto
comporta pur sempre una salvaguardia, poiché lascia un margine sufficientemente
ampio di scelta ai fini della selezione dei candidati più qualificati ai consigli,
e interviene solo sulla composizione di genere complessiva del consiglio.
Poiché l’opzione 3, infine, riguarda solo i membri non esecutivi, la
limitazione sarebbe minore, poiché toccherebbe funzioni che non comportano
mansioni di gestione quotidiana. Se le società non riescono a trovare una
candidata al consiglio che sia ugualmente qualificata rispetto ai candidati
uomini, non sono tenute a raggiungere la soglia prefissata. Questa
opzione avrebbe ripercussioni positive sull’economia generale in
termini di riduzione del divario occupazionale fra i generi e della disparità
retributiva, e di aumento del rendimento medio dell’istruzione. Avrebbe un
impatto positivo significativo sul governo societario, con considerevoli
effetti sulle dinamiche dei consigli. I risultati delle società, infine,
migliorerebbero visibilmente grazie all’aumento del numero di donne membri dei
consigli: questa opzione comporta difatti benefici netti molto più alti
rispetto all’opzione 2, e porta, sulla base di una stima conservativa, a un
incremento del reddito netto delle società quotate di circa 15,7 miliardi di
euro. Rispetto allo scenario di base si prevede un aumento del ROE medio del 2,61%. Sfruttando al massimo il serbatoio disponibile
di talenti, questa opzione richiederebbe 16,6 milioni di euro in costi di
investimento totali annui per il periodo 2017 – 2020, e 3 milioni di euro per il periodo 2021 – 2030.
L’opzione 3, inoltre, genererebbe un onere amministrativo totale annuo di 124 000 euro per il dovere di informazione delle società, mentre
gli Stati membri dovrebbero sostenere costi annui pari a 100 000 euro per
il monitoraggio dei progressi compiuti. 5.4. Valutazione dell’opzione 4 L’impatto di questa opzione sugli amministratori senza
incarichi esecutivi sarebbe lo stesso dell’opzione 3. Per quanto concerne
la soglia flessibile per gli amministratori con incarichi esecutivi, si
presuppone che ogni società sostituisca un amministratore esecutivo maschio con
una donna (lasciando invariate le dimensioni medie dei
consigli). Questo rappresenterebbe un incremento significativo della partecipazione
delle donne, che toccherebbe il 34,11% da qui al 2020 negli organi
esecutivi, facendo quasi raddoppiare il numero di donne nei consigli e facendo
aumentare il numero complessivo di 13,27 punti percentuale rispetto all’opzione
1. Ciò è dovuto al fatto che, oltre alla soglia del 40% per gli
amministratori non esecutivi, la presenza femminile fra gli amministratori
esecutivi aumenterebbe a 14,44%.
Analogamente all’effetto previsto dell’opzione 3, l’opzione 4 avrebbe
anch’essa un impatto considerevole sui diritti sociali e fondamentali,
poiché i vantaggi derivanti dalla parità di genere sarebbero gli stessi.
Andando leggermente oltre l’opzione 3 per quanto riguarda la dimensione dei
diritti fondamentali, comunque, la disposizione minima prescrittiva, che
agirebbe come incentivo, per le imprese, ad aumentare la percentuale di
presenza femminile fra gli amministratori esecutivi, collocando così un maggior
numero di donne ai più elevati posti dirigenziali, potrebbe rendere addirittura
più sostanziale l’effetto positivo sui diritti di cui agli articoli 15 e 23
della Carta. L’opzione 4 non aumenterebbe l’impatto negativo sui diritti di cui
agli articoli 16 e 17, poiché ciascuna società sarebbe libera di stabilire il
proprio obiettivo e di determinare la portata della propria ambizione. Questa
opzione avrebbe significative ripercussioni positive sull’economia
generale in termini di riduzione del divario occupazionale fra i generi e
della disparità retributiva, e di aumento del rendimento medio dell’istruzione.
Gli indicatori del governo societario, con questa opzione,
registrerebbero risultati di gran lunga migliori, così come sarebbero
considerevolmente migliori i risultati delle società. Si calcola che
aumentino ulteriormente i benefici netti corrispondenti, generando un
reddito netto addizionale, per le società quotate, di circa 23,7 miliardi di
euro secondo una stima conservativa, poiché si prevede che il ROE medio aumenti
del 2,92% rispetto allo scenario di base. Nell’ambito
di questa opzione, i costi di investimento totali annui per il periodo 2017
– 2020 sono stimati a 18,3 milioni di euro e a 3,5 milioni
di euro per il periodo 2021 – 2030. Questi costi di
investimento non sono trascurabili, ma sono molto modesti dati i benefici di
cui sopra a livello di società, a prescindere dai benefici macro-economici. Gli oneri amministrativi delle società e i costi di
monitoraggio degli Stati membri sarebbero gli stessi dell’opzione 3,
rispettivamente di 124 000 euro e di 100 000 euro, dato che l’opzione
4 non impone alcuna condizione supplementare rispetto all’opzione 3. 5.5. Valutazione dell’opzione 5 Presupponendo il pieno rispetto degli obiettivi fissati,
questa opzione è sicuramente la più efficace in termini di aumento della partecipazione
delle donne nei consigli delle società. Si prevede che la percentuale
raggiunga un livello del 40% da qui al 2020 fra gli amministratori esecutivi e
non esecutivi (rispetto all’opzione 1, questo aumento di 19,16
punti percentuale nei consigli implicherebbe un aumento di 32,19 e 15,25 punti
percentuale per gli amministratori esecutivi e non esecutivi). Questa opzione
avrebbe un impatto molto elevato sui diritti sociali e sui
diritti fondamentali, poiché i vantaggi derivanti dalla parità di genere assumerebbero
proporzioni considerevoli. Grazie all’opzione 5 si otterrebbe il cambiamento
più ampio e duraturo nella cultura aziendale e dirigenziale, e verrebbero di
conseguenza raggiunti i maggiori effetti positivi per la posizione delle donne
sul mercato del lavoro. Le restrizioni dei diritti di cui agli articoli 16 e 17
della Carta sarebbero invece più significative se le considerazioni relative
alla parità di genere dovessero limitare la scelta nelle nomine degli
amministratori esecutivi, responsabili della gestione quotidiana di una società
e delle più importanti operazioni commerciali. Questa limitazione non risulta
però sproporzionata, soprattutto data l’importanza del perseguito obiettivo
della parità di genere, riconosciuto sia nella Carta che nei trattati. Inoltre,
questa limitazione può essere mitigata: le società, infatti, non sarebbero
tenute ad attenersi all’obiettivo di genere qualora non trovassero candidati
del sesso sotto-rappresentato ugualmente qualificati rispetto ai candidati dell’altro
sesso – ad esempio in settori in cui la partecipazione femminile al mercato del
lavoro e alle posizioni manageriali è particolarmente bassa, e dove le funzioni
esecutive richiedono una specifica competenza ed esperienza nel settore. Nello
scegliere questa opzione, i responsabili politici dovrebbero prendere
scientemente in considerazione la portata delle restrizioni sui diritti
fondamentali degli azionisti. Questa opzione avrebbe ripercussioni
positive molto significative sull’economia generale in termini di
riduzione del divario occupazionale fra i generi e della disparità retributiva,
e di aumento del rendimento medio dell’istruzione. Le misure vincolanti per gli
amministratori sia esecutivi che non esecutivi avrebbero un impatto molto
positivo sul governo societario e i risultati delle società
potrebbero registrare un aumento del ROE medio del 3,95% rispetto allo scenario
di base. Ciò genererebbe un incremento del reddito netto delle società quotate
di circa 23,7 miliardi di euro secondo una stima conservativa. Con l’opzione 5, i costi d’investimento
totali annui nell’UE per il periodo 2017 ‑ 2020 ammonterebbero
a 26,5 milioni di euro, e poi passerebbero a 5 milioni di euro per il
periodo 2021 ‑ 2030. Questi costi di
investimento non sono trascurabili, ma sono piuttosto modesti rispetto ai
benefici a livello di società sopra presentati, a prescindere dai benefici
macro-economici. Gli oneri amministrativi delle
società e i costi di monitoraggio degli Stati membri sarebbero gli
stessi delle opzioni 3 e 4, rispettivamente di 124 000 euro e di 100 000 euro
all’anno. 6. Confronto delle opzioni Tutte le opzioni servono ad affrontare le
principali cause del problema e contribuirebbero a ridurre in varia misura, o a
interrompere, il circolo vizioso che impedisce alle donne di essere
rappresentate nei consigli delle società. Da un raffronto delle conseguenze
delle varie opzioni emerge che: i) le misure vincolanti sono più efficaci per
realizzare gli obiettivi prefissati rispetto alle misure non vincolanti; ii) le
misure che interessano gli amministratori sia esecutivi che non esecutivi sono
più efficaci delle misure che riguardano un solo gruppo; e iii) le misure
vincolanti producono più effetti benefici a livello sociale ed economico
rispetto alle misure non vincolanti. Al tempo stesso, le misure vincolanti
comporterebbero costi e oneri amministrativi comparativamente più elevati, che
rimangono comunque piuttosto modesti visti i benefici economici previsti.
Inoltre, il grado di efficacia delle varie opzioni è direttamente legato a
quanto esse interferiscono con i diritti delle società e degli azionisti in
quanto proprietari. Rispetto a una misura non vincolante con un effetto
concreto, ma comunque limitato, un impatto più sostanziale in termini di
obiettivi perseguiti richiederebbe uno strumento vincolante, che fissi delle
soglie per la composizione dei consigli. Tenuto conto della legittimità degli
obiettivi perseguiti e delle garanzie previste, le conseguenze di tutte le
opzioni sui diritti fondamentali sono giustificabili e in linea col principio
di proporzionalità. Le opzioni che fissano soglie quantificate per gli
amministratori con incarichi esecutivi, ossia le persone direttamente
responsabili della gestione operativa quotidiana di una società, produrrebbero
comunque gli effetti più benefici, ma rappresenterebbero la maggiore
interferenza a livello di diritti. La scelta dell’opzione dipenderà da due
aspetti: dal fatto di poter giustificare, in base ai maggiori benefici
socio-economici, i costi più elevati delle misure vincolanti e il loro maggiore
grado di interferenza con i diritti fondamentali, oppure dal fatto di dover
preferire le misure non vincolanti perché comportano minori restrizioni all’esercizio
dei diritti fondamentali, anche se generano minori benefici socio-economici e
sono meno efficaci in termini di raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
Nello scegliere fra le varie opzioni saranno presi in attenta considerazione i
punti di vista delle parti interessate. Si prevedono oneri amministrativi minimi per
tutte le opzioni, dato che si applicherebbero solo alle società quotate, che
dovrebbero poter avvalersi dei meccanismi già esistenti per riferire agli Stati
membri e comunicare loro le informazioni necessarie sull’osservanza degli
obblighi ad esse incombenti. L’analisi preliminare delle opzioni ha portato a
scartare subito quelle che potevano fare pesare oneri amministrativi. 7. Modalità di monitoraggio e di
valutazione In caso di adozione di una misura vincolante a
livello UE (opzioni 3-5), gli Stati membri dovrebbero controllare se le società
quotate rispettano le soglie fissate, e riferire alla Commissione sullo stato
di attuazione a livello nazionale. La Commissione, a sua volta, controllerebbe
se lo strumento giuridicamente vincolante è stato correttamente recepito e
attuato a livello nazionale. La Commissione riferirebbe in seguito al
Parlamento europeo e al Consiglio, su base periodica, in merito ai progressi
compiuti. Una misura UE giuridicamente vincolante sarebbe presumibilmente
limitata nel tempo: sarebbe cioè abrogata dopo un certo numero di anni, se sono
stati compiuti sufficienti progressi e se è realistico prevedere che la
tendenza a una maggiore partecipazione delle donne ai processi decisionali in
campo economico possa continuare dopo la sua abolizione. [1] Quasi il 60% dei laureati nell’UE sono
donne. Cfr. Eurostat, Tertiary
students (ISCED 5-6) by field of education and sex [educ_enrl5], 2009. [2] Le donne rappresentano circa il 45%
delle persone aventi un impiego nell’UE. Cfr. Eurostat, Employment by sex, age groups and
nationality [lfsq_egan], terzo trimestre 2011. [3] Gli studi mostrano che l’ 83% delle
donne a livello medio di carriera hanno espresso un forte desiderio di ascesa
all’interno delle società. Cfr. http://www.mckinsey.com/Client_Service/Organization/Latest_thinking/Unlocking_the_full_potential. [4] Contrariamente
alla credenza comunemente espressa, secondo cui vi è una mancanza di donne
qualificate per occupare un posto in un consiglio d’amministrazione di una
società dell’UE, da una banca dati del 2012 compilata dalle scuole di
direzione aziendale europee emerge l’idoneità e la disponibilità di più di 7 000
donne a occupare posti nei consigli d’amministrazione delle società quotate.
Cfr. http://gallery.mailchimp.com/3ad8134be288a95831cc013aa/files/2012_5_Commissioner_Reding_Initiative.pdf.