52010DC0265

Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Analisi delle ipotesi di intervento per una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra superiore al 20% e valutazione del rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio {SEC(2010) 650} /* COM/2010/0265 def. */


[pic] | COMMISSIONE EUROPEA |

Bruxelles, 26.5.2010

COM(2010) 265 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Analisi delle ipotesi di intervento per una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra superiore al 20% e valutazione del rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio

{SEC(2010) 650}

INTRODUZIONE

Quando nel 2008 l'Unione europea ha deciso di abbattere le emissioni di gas ad effetto serra, ha manifestato il proprio impegno ad affrontare la minaccia posta dai cambiamenti climatici e ad assumere un ruolo guida a livello mondiale indicando in che modo intervenire. La concordata riduzione del 20% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990 da realizzarsi entro il 2020, accompagnata dall'obiettivo volto ad ottenere il 20% di energie rinnovabili, ha rappresentato un passo fondamentale per lo sviluppo sostenibile dell'UE e un segnale chiaro al resto del mondo, indicante come l'UE fosse pronta ad agire in tal senso. L'UE raggiungerà l'obiettivo fissato dal protocollo di Kyoto e ha già dato ampiamente prova del proprio impegno in campo climatico.

Ma è chiaro da sempre che l'intervento della sola Unione europea non sarà sufficiente a contrastare il cambiamento climatico e che neppure una riduzione del 20% delle sue emissioni porrà fine al problema. L'azione dell'Unione da sola non basta a raggiungere l'obiettivo volto a contenere l'aumento della temperatura mondiale entro 2°C rispetto all'era preindustriale. Tutti i paesi dovranno impegnarsi maggiormente, quelli industrializzati anche con tagli dell'80-95% entro il 2050. L'obiettivo di riduzione del 20% entro il 2020 che si è data l'UE non è che un primo passo in questa direzione.

Ecco perché, accanto all'impegno unilaterale di ridurre del 20% le proprie emissioni, essa ha deciso di portare tale riduzione al 30% come contributo ad uno sforzo concreto da compiersi a livello mondiale[1]. Questa è tuttora la politica dell'UE.

Dall'adozione di questa linea strategica, la situazione è mutata rapidamente. Abbiamo assistito ad una crisi economica di portata senza precedenti, che, sebbene abbia inciso profondamente sulle imprese e sulle comunità dell'Europa intera e abbia sottoposto le finanze pubbliche a un’enorme pressione, ha anche confermato che l'Europa dispone di immani opportunità per costruire una società efficiente sotto il profilo delle risorse.

Vi è stato inoltre il vertice di Copenaghen. Malgrado la delusione per la mancata conclusione di un pieno accordo internazionale vincolante per combattere il cambiamento climatico, il risultato positivo del vertice è che i paesi attualmente responsabili di circa l'80% delle emissioni hanno preso impegni di riduzione, seppure in misura insufficiente a raggiungere l'obiettivo di contenimento di 2°C. È di fondamentale importanza che l'accordo di Copenaghen sia integrato negli attuali negoziati della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Ma è più che mai indispensabile continuare ad agire.

La presente comunicazione non intende proporre di passare ora ad un obiettivo di riduzione del 30%, in quanto è evidente che non vi sono ancora le condizioni necessarie. Per alimentare con dati concreti il dibattito sulle implicazioni dei vari gradi di ambizione delle strategie in campo, questa comunicazione presenta i risultati dell'analisi delle ripercussioni che, ora come ora, si intravvedono per gli obiettivi del 20% e del 30%. Verte anche sulla rilocalizzazione delle emissioni, rispettando in tal modo quanto previsto della direttiva sul sistema di scambio di quote di emissioni (la direttiva ETS)[2], a norma della quale occorre presentare entro giugno 2010 un'analisi che tenga conto dell'esito della conferenza di Copenaghen. La comunicazione è accompagnata da un'analisi tecnica più dettagliata, contenuta nei documenti di lavoro dei servizi della Commissione.

L'ATTUALE OBIETTIVO DEL 20%

Per valutare quel che potrebbe comportare in futuro una riduzione del 30% delle emissioni occorre analizzare cosa comporta attualmente la riduzione del 20%. Non sorprende constatare che la crisi economica ha avuto una forte incidenza sulle ipotesi prospettate quando è stato fissato l'obiettivo del 20%, incidenza che si è manifestata in vari modi.

La crisi economica e la sfida costituita dall'obiettivo di riduzione del 20%

Tra il 2005 e il 2008 l'UE ha ridotto le proprie emissioni dal 7% al 10% rispetto ai livelli del 1990[3]. Cosicché, al sopraggiungere della crisi, l'intenso intervento sul fronte del clima e i prezzi elevati dell'energia avevano già accelerato il ritmo di riduzione delle emissioni nell'UE.

La crisi ha indotto immediatamente un'ulteriore riduzione. Nel 2009 le emissioni verificate nel sistema di scambio delle quote di emissioni (sistema ETS) sono state inferiori dell'11,6% a quelle del 2008. Il prezzo del carbonio è conseguentemente diminuito, con il CO2 che all'inizio del 2009 è sceso da 25 EUR a 8 EUR a tonnellata[4]. Ma il crollo dei prezzi del carbonio ha dimostrato come l'impatto del sistema ETS sulle imprese e sui consumatori dipenda anche dall'evoluzione della congiuntura economica.

Grazie a questa riduzione straordinaria di emissioni nel 2009 l'UE ha emesso circa il 14% in meno di gas serra rispetto al 1990. È tuttavia evidente che, con la ripresa dell'attività produttiva nelle industrie ad alta intensità energetica, come le acciaierie, questa percentuale di riduzione non può essere semplicemente estrapolata e ritenuta valida per il futuro.

Risulta comunque che i costi assoluti legati al perseguimento dell'obiettivo di riduzione del 20% sono diminuiti. Nell'analisi presentata nel 2008 a sostegno del pacchetto su clima ed energia, che si fondava su ipotesi di crescita economica costante, tali costi si stimavano non inferiori a 70 miliardi di euro all'anno fino al 2020[5]. Oggi l'analisi tiene conto anche della recessione[6]. Al momento il prezzo da pagare per lo stesso obiettivo si situa intorno ai 48 miliardi di euro (0,32% del PIL nel 2020), il che corrisponde ad una riduzione di circa 22 miliardi di euro, ovvero il 30% in meno rispetto all'importo previsto due anni fa. Malgrado ciò, questo ridimensionamento dei costi assoluti avviene nel corso di una crisi che ha in ampia misura privato le imprese della capacità di reperire gli investimenti necessari per modernizzarsi a breve termine, lasciandole nell'incertezza riguardo a quanto impiegheranno a riprendersi. L'attuale minor costo del pacchetto clima ed energia è imputabile alla concomitanza di svariati fattori. Innanzitutto il rallentamento della crescita economica ha di fatto reso meno arduo raggiungere l'obiettivo di riduzione del 20%. In secondo luogo, l'aumento del prezzo del petrolio[7] si è dimostrato un incentivo a migliorare l'efficienza energetica, provocando di fatto una flessione della domanda di energia. Da ultimo, il prezzo del carbonio resterà probabilmente basso perché le quote non utilizzate durante la recessione saranno riportate a periodi successivi.

La flessibilità del sistema ETS fa sì che le ripercussioni della crisi si faranno sentire per parecchi anni. Grazie alla grande quantità di quote inutilizzate a causa della crisi, le imprese potranno riportare al periodo 2013-2020, terza fase del sistema ETS, tra il 5% e l'8% delle quote ad esse assegnate nel periodo 2008-2012. Inoltre, la realizzazione degli obiettivi per le energie rinnovabili e l'applicazione delle misure volte all'efficienza energetica contribuiranno a ridurre ulteriormente le emissioni, con il conseguente attestarsi del prezzo del carbonio ben al sotto delle proiezioni fatte nel 2008[8].

Per i settori che condividono l’onere di ridurre le emissioni[9], non contemplati nel sistema ETS, emerge un quadro analogo, con diversi livelli di riduzione a seconda dei settori. Se si consegue l'obiettivo stabilito per le energie rinnovabili e con le misure già in corso per l'efficienza energetica, occorreranno incentivi adeguati per raggiungere l'obiettivo globale che si è data l'UE in questi settori, ossia ridurre del 10% le emissioni rispetto ai livelli del 2005.

Nel contempo, la crisi ha inciso pesantemente sull'economia dell'UE. Le imprese attualmente devono fare i conti, da un lato, con il calo della domanda e, dall'altro, con la difficoltà di reperire fonti di finanziamento. Con la diminuzione del prezzo del carbonio, le entrate degli Stati provenienti dalle aste rischiano di essere dimezzate, il che può generare ulteriore pressione sulle finanze pubbliche e assottigliare un'altra fonte potenziale di fondi pubblici per interventi a favore del clima. Per raggiungere l'obiettivo concordato del 20% di energie rinnovabili non si può prescindere dal trovare gli investimenti necessari per settori come l'elettricità, il riscaldamento e i trasporti.

La rivoluzione tecnologica verde

È convinzione ormai diffusa che lo sviluppo di tecnologie verdi ed efficienti in termini energetici sia un forte traino per la crescita. Mentre nel mondo intero, durante la crisi, i paesi cercavano di dare impulso alle loro economie mediante pacchetti di stimolo, si è venuto delineando un chiaro modello di investimenti nelle infrastrutture al servizio dei modi di trasporto meno inquinanti, come i trasporti pubblici, i sistemi intelligenti di gestione del traffico (ITS), la produzione di energia a bassa emissione di carbonio, le reti elettriche intelligenti e il settore ricerca e sviluppo nell'ambito dei trasporti e delle energie pulite. In tutto il mondo si scorgono segnali di transizione verso un'economia a bassa emissione di carbonio, anche favorita dal fatto che i paesi vedono nell'alternativa verde grandi possibilità di creazione di posti di lavoro.

Nell'UE, il programma Europa 2020 si fonda sulla convinzione che la base industriale europea deve darsi un nuovo orientamento verso un futuro più sostenibile e cogliere le opportunità offerte dagli investimenti che l'Europa ha precocemente realizzato nelle tecnologie verdi. Ma questa potenziale capacità di svolgere un ruolo guida non può essere data per scontata.

È indubbio che la concorrenza a livello mondiale è accesa. Il settore automobilistico europeo è impegnato in prima linea per ridurre le emissioni di CO2 nelle nuove automobili. Il 17% di tutte le nuove auto vendute nel 2008 nell’UE emetteva meno di 120 g/km di CO2 e per alcuni Stati membri la quota di mercato rappresentata da tali veicoli era già superiore al 25%, tendenza accentuatasi nel 2009 grazie ai programmi di rinnovo del parco auto. Ma analoghi progressi si riscontrano anche presso altri fabbricanti nel mondo, che stanno passando direttamente alla produzione di veicoli ibridi ed elettrici.

Per quanto concerne l’energia, le rinnovabili costituivano nel 2009 il 61% della nuova capacità di produzione di energia elettrica nell’UE. Ma l’Europa vede minacciato il proprio ruolo di guida in questo campo. Da quanto riporta l'indagine del 2010 Renewable Energy Attractiveness Index , gli Stati Uniti[10] e la Cina sono i paesi che offrono le migliori opportunità di investimento nelle energie rinnovabili. Gli Stati Uniti puntano a raddoppiare la propria produzione di energia rinnovabile entro il 2012, mentre nel 2009 la Cina era in testa a tutti i paesi per l’installazione di parchi eolici. Tra i primi dieci fabbricanti mondiali di turbine eoliche figurano ormai imprese cinesi e indiane e la maggior parte dei pannelli fotovoltaici provengono oggi dalla Cina e da Taiwan. E ciò avviene in un momento in cui, nel giro di pochi anni, il minor costo delle materie prime insieme ad una maggiore efficienza e produttività hanno fatto dimezzare il prezzo dei pannelli fotovoltaici. Si tratta di settori che stanno acquisendo rapidamente una dimensione internazionale.

Un’altra ragione che giustifica il cambiamento è la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Il consumo di energia, dopo il temporaneo calo del 2009, continua ad aumentare. L’Agenzia internazionale dell’energia ha pronosticato che, entro il 2015, il settore petrolifero potrebbe avere difficoltà a soddisfare la domanda crescente, con conseguenti aumenti del prezzo del greggio e il rischio di soffocare la ripresa economica. L’energia di produzione nazionale, come quella rinnovabile, è altamente vantaggiosa in quanto limita la dipendenza dalle importazioni.

È dunque fondamentale che l’Europa promuova ulteriormente lo sviluppo di questi settori nel proprio territorio, ma poiché i pacchetti di stimolo vanno via via esaurendosi e sta per cominciare un’epoca di drastica restrizione della spesa pubblica, gli incentivi vengono anch’essi ridotti. È pur vero che esistono altri mezzi per dare impulso a questi settori, come l’obiettivo per l’energia rinnovabile, le norme in materia di efficienza energetica applicabili ai prodotti e ai veicoli e gli appalti pubblici verdi. Ma l’obiettivo del 20% è sempre stato visto quale elemento decisivo di impulso alla modernizzazione. Gli investimenti in soluzioni come la cattura e lo stoccaggio di carbonio dipendono fortemente dal segnale del prezzo del carbonio sul mercato: un prezzo basso costituisce un debole incentivo al cambiamento e all’innovazione.

Aumento dello scarto rispetto alla traiettoria dei 2°C dopo il 2020

Affinché la temperatura non aumenti più di 2°C, occorre che entro il 2050 i paesi industrializzati riducano le emissioni dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990[11]. Seppure una parte di tale riduzione potrebbe derivare dagli sforzi compiuti dall’UE al di fuori dei suoi confini, da una prima stima emerge che essa dovrebbe riuscire a ridurre di circa il 70% le emissioni sul suo territorio. La traiettoria di riduzione delle emissioni concordata nel 2008 dovrebbe far diminuire le emissioni all'interno dell'UE del 20% entro il 2020 e, se non sopraggiunge alcun cambiamento, del 25% entro il 2030. Ciò non le basta per raggiungere, a un costo ottimale, l’ambizioso livello che si è prefissata per il 2050. Se non si mette subito in moto, l’UE, come pure i suoi partner mondiali, dovrà rimettersi al passo dopo il 2020. L’Agenzia internazionale dell’energia, ad esempio, ha stimato che a livello mondiale per ogni anno di ritardo negli investimenti in fonti di energia a bassa emissione di carbonio la fattura si rincara di 300-400 milioni di euro[12]. Occorre quindi fissare un calendario a lungo termine per pianificare gli investimenti fino al 2050 secondo il miglior rapporto costi/efficacia.

Siccome l’obiettivo del 20% entro il 2020 non costituisce più quell'importante motore di cambiamento che si prevedeva nel 2008, vi è dunque il rischio che l’UE dopo il 2020 si ritrovi con un impegno più gravoso, anche dal punto di vista economico.

ANALISI DELL'OBIETTIVO DEL 30%

Il cambiamento congiunturale che ha così inciso sull'obiettivo del 20% impone che si esamini attentamente anche l'obiettivo del 30%. Le conseguenze economiche per l'UE di una riduzione del 30% delle emissioni devono essere chiare. Andare oltre l'obiettivo del 20% comporterà molto probabilmente un inasprimento delle politiche attuali o l'introduzione di nuove strategie. Si tratta di capire pertanto quali nuove politiche potrebbero essere introdotte, quali tra quelle in vigore potrebbero essere rese più rigorose e in che modo.

Di seguito si indicano alcune ipotesi di intervento che l'UE potrebbe tenere in considerazione qualora decidesse di adottare l'obiettivo di riduzione del 30%.

Ipotesi di intervento per raggiungere l'obiettivo del 30%

Soluzioni offerte dal sistema ETS

Principale strumento per spingere a ridurre le emissioni, il sistema ETS dovrebbe essere il punto di partenza per ogni ipotesi che punti oltre il 20%.

- Ricalibrare il sistema ETS "accantonando" una parte delle quote destinate ad essere messe all'asta - Qualora si optasse per innalzare l'obiettivo di riduzione delle emissioni, il sistema ETS potrebbe in particolare contribuire riducendo gradualmente le quote messe all'asta. Abbassando il tetto delle quote si otterrebbero migliori risultati in termini ambientali e si rafforzerebbe l'effetto incentivante del mercato del carbonio. Potrebbe essere sufficiente ridurre i diritti di vendita all'asta di circa il 15% nell'intero periodo 2013-2020, ossia l'equivalente di circa 1,4 miliardi di quote. Le proiezioni indicano che l'introito delle aste potrebbe aumentare di circa un terzo, in quanto l'aumento del prezzo del carbonio dovrebbe essere superiore alla riduzione delle quote messe all'asta. Il modo in cui gli Stati membri utilizzeranno le nuove entrate generate dalle aste sarà importante per i futuri investimenti in soluzioni a bassa emissione di carbonio.

- Ricompensare chi per primo investe in tecnologia ad alte prestazioni - Il sistema di parametri di riferimento offre la possibilità di individuare coloro che si mostrano rapidi nel migliorare le prestazioni dei propri impianti, e di ricompensarli assegnando loro quote gratuite supplementari non attribuite. È questo un modo che consentirebbe di liberare risorse supplementari per le imprese disposte ad innovarsi.

Soluzioni tecnologiche

La regolamentazione può contribuire a far raggiungere obiettivi più ambiziosi in campo climatico, in particolare incoraggiando l'efficienza nell'uso dell'energia e delle risorse. Ciò può tradursi in norme per i prodotti, come le misure disposte nell'ambito della direttiva sulla progettazione ecocompatibile[13], i limiti imposti alle emissioni di CO2 dei veicoli[14] e l'attuazione dell'agenda digitale[15]. Le reti intelligenti possono contribuire a modificare il comportamento dei consumatori, aumentare l'efficienza energetica e permettere una maggiore penetrazione dell'energia rinnovabile. I contatori intelligenti, ad esempio, si stima che vengano ammortizzati in meno di 4 anni, grazie ad un aumento della produttività dovuto ad una maggiore consapevolezza dei consumatori e ai segnali dati dal prezzo dell'energia sul mercato.

Imposte sulle emissioni di CO 2

L'introduzione di imposte sulle emissioni di CO2 nei settori non interessati dal sistema ETS costituisce uno strumento semplice, basato sul mercato, che mira ad incentivare l'abbattimento delle emissioni a livello nazionale o europeo. Calibrare il regime fiscale per i carburanti o i prodotti in modo che tenga conto della componente di CO2 è una delle vie già intraprese da alcuni Stati membri, ad esempio per sfruttare l'ampio potenziale di riduzione insito nel settore del riscaldamento, per ridurre l’intensità di carbonio del parco auto e rendere più efficienti i trasporti. Dall'analisi emerge che questa soluzione potrebbe ampiamente contribuire al conseguimento di obiettivi più ambiziosi e, a seconda del grado di rigore e del campo d'applicazione, essere fonte di ingenti introiti per gli Stati membri, che potrebbero utilizzarli per investimenti a bassa emissione di carbonio generatori di posti di lavoro "verdi" a livello locale, nonché per favorire gli appalti pubblici "più verdi", come prevede la direttiva relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada[16].

Le politiche dell’UE come propulsore della riduzione delle emissioni

L’UE potrebbe continuare ad incoraggiare gli Stati membri, le regioni e le città ad intensificare gli investimenti a bassa emissione di CO2 destinando una fetta più consistente dei fondi di coesione ad investimenti nelle tecnologie pulite. Si accelererebbe in tal modo la tendenza già in atto che vuole per i fondi di coesione un utilizzo più efficace, volto a dare slancio all’energia rinnovabile, all’efficienza energetica e ai trasporti pubblici. Si verrebbe peraltro a creare un’alternativa all’impiego delle unità di quantità assegnate ( Assigned Amount Units - AAU ) eccedenti quali fonte di finanziamento, pratica che mina l’integrità ambientale del mercato del carbonio.

Esistono svariati ostacoli commerciali e regolamentari che impediscono di sfruttare molte possibilità di risparmio energetico. Migliorando il quadro strategico in materia di efficienza energetica si contribuirebbe ad andare oltre l’obiettivo di riduzione del 20%.

Le attività legate alla destinazione d'uso del terreno, ai cambiamenti di tale destinazione e alla silvicoltura (attività LULUCF) non erano incluse nel pacchetto su clima e energia del 2008, pur essendo potenzialmente in grado di concorrere alla riduzione delle emissioni. Peraltro la conservazione e il ripristino dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio sono attività necessarie per evitare un ulteriore aumento delle emissioni. Attualmente è difficile fare previsioni a breve termine sulle attività LULUCF e sul loro contributo agli obiettivi dell’UE, a causa dell’incertezza dei calcoli[17] e della volatilità che le caratterizza[18]. Pur tuttavia, con l'avanzare dei lavori per fissare norme efficaci che disciplinino queste attività, esse potrebbero nel tempo concorrere in misura crescente allo sforzo di riduzione mediante il miglioramento dei metodi di coltivazione e della gestione forestale. La politica agricola comune potrebbe incentivare gli agricoltori e i silvicoltori a privilegiare pratiche più sostenibili e a contribuire maggiormente a ridurre le emissioni.

I crediti internazionali utilizzati come leva

L’UE è stata la prima a riconoscere che l’impegno dispiegato al di là di suoi confini poteva stimolare l'intervento del settore privato. Il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) ha dato vita a migliaia di progetti in tutto il mondo, determinando spesso una riduzione delle emissioni a costi molto vantaggiosi. Ma è giunto il momento che tali interventi siano messi in atto dalle stesse economie emergenti, anche perché un flusso così abbondante e prolungato di riduzioni a basso costo nel sistema UE-ETS costituisce un freno all’innovazione nell’UE.

Una maniera di potenziare l’effetto leva dell’azione dell’UE sarebbe di sostituire una parte della domanda di crediti CDM con nuovi crediti settoriali[19]. Si tratta di una misura che servirebbe a dirigere le risorse finanziarie del mercato del carbonio verso interventi con maggiori potenzialità di riduzione delle emissioni (ad esempio, nel settore della produzione di energia elettrica nelle economie più avanzate tra quelle in vie di sviluppo) e potrebbe essere associata ad appositi regimi come moltiplicatore[20] per i crediti CDM tradizionali (ad esempio, nei progetti relativi al gas industriale). In tal modo si potrebbero ottenere ulteriori importanti riduzioni delle emissioni nei paesi in via di sviluppo, che contribuirebbero così allo sforzo globale dell’UE, continuando nel contempo ad offrire ai paesi meno sviluppati maggiori possibilità di continuare a beneficiare del meccanismo di sviluppo pulito.

Per quanto concerne le emissioni del trasporto marittimo, l’UE continuerà a perseguire un accordo internazionale in sede di IMO e di UNFCCC. Come convenuto nell’ambito del pacchetto clima ed energia, in caso non si riuscisse a concludere tale accordo entro il 31 dicembre 2011, l’UE studierà nuove misure di propria iniziativa.

Copenaghen ha segnato un importante passo avanti nella definizione di severe norme internazionali per accelerare la lotta contro la perdita di foreste tropicali. Occorre intensificare la collaborazione tra i paesi in via di sviluppo che possiedono foreste tropicali, gli Stati membri dell’UE e la Commissione. L’UE potrebbe in parte raggiungere obiettivi più esigenti ricorrendo a crediti internazionali di riduzione delle emissioni che soddisfano le opportune norme di integrità ambientale.

La sfida posta dall’obiettivo di riduzione del 30%

Il fatto che ridurre le emissioni del 20% paia ora un obiettivo più facilmente raggiungibile rispetto a quanto si ipotizzava nel 2008 ha un’evidente ricaduta sulla sfida posta dal misurarsi con una riduzione del 30%. In termini assoluti, i 70 miliardi di euro, che nei primi mesi del 2008 si calcolava fosse il prezzo da pagare nel 2020, sarebbero oggi sufficienti, pur in una congiuntura economica più difficile, a portare l’UE ben oltre metà del cammino che deve percorrere per abbattere le proprie emissioni del 30% invece che del 20%.

Il costo aggiuntivo totale che l’UE dovrebbe sostenere per passare dall’attuale obiettivo del 20% ad un obiettivo del 30% ammonterebbe nel 2020 a circa 33 miliardi di euro, pari allo 0,2% del PIL. Le stime indicano che per abbattere le emissioni del 30% il prezzo del carbonio nel sistema UE-ETS dovrebbe aggirarsi intorno a 30 EUR per tonnellata di CO2, un livello di prezzo analogo a quello ritenuto necessario nel 2008 per raggiungere l’obiettivo del 20%. Le emissioni nazionali diminuirebbero del 25% rispetto al 1990 e la parte rimanente sarebbe coperta dalle quote accantonate e dai crediti internazionali[21].

Ridurre le emissioni del 30% attualmente costerebbe nel complesso, includendo anche il costo per l’abbattimento del 20%, 81 miliardi di euro, ossia 0,54% del PIL[22].

Tenendo presente che all’inizio del 2008 si riteneva che nel 2020 il costo del pacchetto su clima ed energia sarebbe ammontato a 70 miliardi di euro, equivalente cioè allo 0,45% del PIL, il passaggio ad un obiettivo di riduzione del 30% rappresenta un incremento di 11 miliardi di euro rispetto al costo assoluto che secondo i calcoli del 2008 il pacchetto avrebbe avuto nel 2020.

Ma se il costo è nettamente diminuito, sono diminuiti anche la redditività delle imprese, il potere d’acquisto dei consumatori e l’accesso al credito, riducendosi così la capacità dell’economia dell’UE di investire in tecnologie a bassa emissione: un lascito della crisi che può essere controbilanciato solo dalla ripresa economica e da politiche proattive che diano priorità alla crescita in questi settori.

Su chi graverebbe l'impegno supplementare?

Per quanto concerne i settori, l'analisi indica nel settore dell'elettricità quello che offre le maggiori possibilità di riduzione delle emissioni, che si potrebbe ottenere coniugando un miglioramento dell'efficienza sul fronte della domanda con una riduzione degli investimenti ad alta intensità di carbonio sul fronte dell'offerta. Molti impianti di produzione di energia elettrica stanno diventando obsoleti e occorrerà sostituirli nei prossimi dieci anni, il che costituisce un'ottima possibilità di riduzione delle emissioni se si scelgono soluzioni a bassa intensità di carbonio. Quanto ai settori industriali interessati dal sistema ETS, alcuni di essi, ad esempio le raffinerie, offrono notevoli possibilità di riduzione delle emissioni con un buon rapporto costi/efficacia. Nei settori che condividono l’onere di ridurre le emissioni, le famiglie e i servizi hanno un ruolo importante, soprattutto per il CO2 prodotto dagli impianti di riscaldamento. In agricoltura, l'esperienza di alcuni Stati membri insegna che si potrebbe ridurre ulteriormente le emissioni di metano e protossido di azoto nell'agricoltura intensiva, valutando però attentamente i costi.

Quanto alla ripartizione geografica, le possibilità di riduzione delle emissioni che si prospettano adottando un obiettivo del 30% invece che del 20% sono in proporzione maggiori negli Stati membri più poveri. Occorrerebbe mobilitare fondi pubblici e privati per abbattere più emissioni senza mettere a repentaglio la crescita economica. La politica di coesione dell'UE è un valido strumento in tal senso.

Dall'analisi emerge anche che, in termini relativi, il passaggio da un obiettivo di riduzione del 20% a un obiettivo del 30% sostanzialmente non muta la ripartizione dell'impegno, sotto il profilo del rapporto costi/efficacia, tra i settori interessati dal sistema ETS e quelli non interessati. Qualora si adotti l'obiettivo del 30%, nel 2020 il tetto ETS sarebbe fissato a 34% invece che all'attuale 21% rispetto ai livelli del 2005, mentre l'obiettivo globale per i settori non interessati dal sistema ETS sarebbe di 16%, contro l'attuale 10% rispetto alle emissioni del 2005.

L'analisi che figura nell'allegato documento di lavoro dei servizi della Commissione è stata effettuata a livello dell'UE. Se si optasse per un obiettivo del 30% occorrerebbe stabilire una combinazione specifica di soluzioni per ripartire le riduzioni supplementari. Un'analisi dettagliata delle ripercussioni a livello di Stati membri e dei settori economici può fondarsi solo su soluzioni specifiche.

Altre implicazioni dell'obiettivo del 30%

L'adozione dell'obiettivo del 30% non può essere considerata isolatamente, in quanto il suo conseguimento avrà una serie di conseguenze.

Innanzitutto potrebbero essere ripristinati gli incentivi all'innovazione, venuti meno nel momento in cui è divenuto più facile raggiungere l'obiettivo del 20%. Si tratta di un elemento particolarmente importante perché le tecnologie a bassa emissione di carbonio tendono ad impiegare più manodopera rispetto ai settori tradizionali e a rafforzare la sicurezza energetica. Se si riuscisse a raggiungere l'obiettivo del 30% si ridurrebbero le importazioni di petrolio e di gas per circa 40 miliardi di euro nel 2020, nell'ipotesi di un prezzo del petrolio pari a 88 USD al barile nel 2020. Si potrebbero così orientare gli investimenti nella promozione di posti di lavoro "verdi" nel campo delle tecnologie a bassa emissione di carbonio nell'UE, ad esempio costituendo un parco immobiliare più efficiente sotto il profilo energetico. L'analisi macroeconomica indica che in generale gli effetti sull'occupazione sarebbero di lieve entità, pur con differenze settoriali, ma il quadro cambierebbe se gli introiti delle aste e le imposte sul carbonio fossero utilizzate in modo oculato. Vi sarebbe inoltre l'esigenza di riqualificare i lavoratori e dotarli di nuove competenze, pertanto i sistemi di istruzione e formazione dovrebbero adattarsi alla nuova situazione, come spiega la strategia "Europa 2020", iniziativa faro dell'UE.

Mercati mondiali delle tecnologie a bassa intensità di carbonio e benefici complementari per la qualità dell'aria

Intervenendo precocemente l'Europa si assicura notevoli vantaggi a lungo termine sul piano della competitività, mantenendo una posizione solida in un mercato mondiale in rapida crescita come quello delle tecnologie a bassa intensità di carbonio.

Da ultimo si avrebbero benefici anche in termini di qualità dell'aria. Se l'obiettivo di riduzione del 30% viene raggiunto, serviranno meno dispositivi di lotta all'inquinamento per ridurre altre sostanze inquinanti come le polveri sottili, l'anidride solforosa e i metalli pesanti, in modo che i costi per conseguire gli obiettivi della strategia tematica sull'inquinamento atmosferico saranno ridotti di circa 3 miliardi di euro nel 2020. Una migliore qualità dell'aria apporterà altri benefici sul piano sanitario, stimati tra 3,5 e 8 miliardi di euro nel 2020[23]. Questi benefici complementari non sono presi in considerazione nella stima dei costi legati alla realizzazione dell'obiettivo del 30%.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI RILOCALIZZAZIONE DELLE EMISSIONI DI CARBONIO

Un aspetto importante della politica dell'UE sul clima è la necessità di evitare la cosiddetta "fuga di carbonio". Esiste infatti il rischio che, in assenza di un adeguato impegno a livello mondiale, le misure prese a livello nazionale determinino uno spostamento delle quote di mercato a vantaggio di impianti meno efficienti in altri paesi, provocando in tal modo un aumento delle emissioni su scala planetaria. È evidente che i vantaggi e gli svantaggi sul piano della concorrenza non dipendono solo dal costo del carbonio, ma più è alto il numero di paesi che s'impegnano a realizzare riduzioni comparabili, minore è il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Il pacchetto su clima ed energia, oltre a riconoscere che il rischio di rilocalizzazione va sorvegliato, ha stabilito opportune misure per prevenirlo.

Il fatto che il prezzo del carbonio sia più basso rispetto a quanto inizialmente previsto influisce sul dibattito in tema di rilocalizzazione del carbonio. Inoltre, a causa del calo di emissioni, è probabile che alcuni settori ad alta intensità energetica già interessati dal sistema ETS prima del 2013 si ritrovino alla fine del secondo periodo di tale sistema, nel 2012, con un cospicuo numero di quote assegnate gratuitamente rimaste inutilizzate, che possono essere riportate nella terza fase (2013-2020). Ciò li renderebbe relativamente più competitivi sulla scena internazionale rispetto alle previsioni del 2008.

La legislazione relativa al sistema ETS prevede che entro giugno 2010 sia presentata una relazione per esaminare il problema della rilocalizzazione del carbonio in esito ai negoziati internazionali. Dal momento che i negoziati UNFCCC sono ancora in corso, è difficile produrre una valutazione definitiva. È chiaro, tuttavia, che l'attuazione dell'accordo di Copenaghen rappresenterebbe un passo nella giusta direzione. Tutti i paesi industrializzati e i maggiori paesi in via di sviluppo - ossia i principali concorrenti per le industrie dell'UE a forte intensità energetica - per la prima volta hanno ufficialmente deciso di adottare provvedimenti per ridurre le emissioni.

Si stima che le ripercussioni dell'obiettivo del 20% dell'UE, laddove le altre parti in gioco perseguano i loro più deboli obiettivi, saranno inferiori all'1% e i settori più colpiti saranno quelli dei prodotti chimici organici, inorganici e dei fertilizzanti, con perdite di produzione di 0,5%, 0,6% e 0,7% rispettivamente. Solo il settore "altri prodotti chimici" subirà perdite più pesanti, pari al 2,4%. Va detto che, rispetto all'ipotesi di un'attuazione unilaterale dell'UE dell'obiettivo del 20%, alcuni settori ad alta intensità energetica dell'UE si troverebbero in una posizione leggermente migliore, mentre per altri non cambierebbe nulla. Date le incertezze che accompagnano l'attuazione effettiva dell'accordo di Copenaghen, la Commissione ritiene che le misure già concordate a sostegno delle industrie ad alta intensità energetica - quote gratuite e accesso ai crediti internazionali - continuino ad essere giustificate.

Passaggio all'obiettivo di riduzione del 30%

Dall'analisi macroeconomica si ricava che l'eventuale scelta dell'UE di ridurre le proprie emissioni del 30%, mentre le altre parti si attengono ai loro obiettivi più modesti rispetto al vigente pacchetto su clima ed energia, avrebbe un impatto incrementale limitato sulla produzione delle industrie dell'UE ad alta intensità energetica, finché vigono le misure speciali concepite per questo tipo di industrie. Si stima che il passaggio all'obiettivo del 30% comporterebbe perdite supplementari di produzione di circa l'1%, rispetto all'obiettivo del 20%, per i metalli ferrosi e non ferrosi, i prodotti chimici e altre industrie ad alta intensità energetica. I settori dei prodotti chimici organici e inorganici, i fertilizzanti e "altri prodotti chimici" incrementerebbero le loro perdite rispettivamente di 0,9%, 1,1%, 1,2 and 3,5%. Maggiore è il rispetto degli impegni più onerosi da parte dei grandi partner commerciali, minore è il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

Quanto osservato finora sui modelli di emissione delle industrie ad alta intensità energetica non consente di trarre conclusioni, in particolare non permette di stabilire in che misura la politica dell'UE in materia di clima abbia inciso sul trasferimento dell'attività economica al di fuori dell'Europa. Si osserva, da un lato, che le emissioni dei settori ad alta intensità energetica sono notevolmente diminuite negli ultimi anni e le quote gratuite rimaste inutilizzate sono state monetizzate. Dall'altro canto, gli investimenti in tecnologia a bassa emissione di carbonio effettuati nei settori ad alta intensità energetica ne hanno rafforzato la produttività globale.

La perdita di competitività non è il solo effetto che può provocare la rilocalizzazione del carbonio. In alcuni Stati membri situati alla periferia dell'UE e caratterizzati da facili collegamenti con paesi terzi, la rilocalizzazione può influire sulla sicurezza energetica; è il caso, ad esempio, dei paesi baltici, i cui mercati dell'elettricità si trovano in una situazione particolare. È questa una delle ragioni per cui il sistema ETS prevede già per questi paesi una deroga facoltativa e parziale alla messa all'asta della totalità delle quote. Gli investimenti nella rete di trasmissione possono ridurre i rischi che minano la sicurezza dell'approvvigionamento elettrico. La Commissione sorveglierà attentamente l'evoluzione della situazione e prenderà, se necessario, altre misure per potenziare la sicurezza energetica e garantire pari condizioni di concorrenza nei mercati dell'elettricità.

Ipotesi di intervento per evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio

Il problema principale per la fuga di carbonio è la diversa competitività dell'UE e dei paesi terzi. Esistono sostanzialmente tre modi di far fronte a questo problema, una volta riconosciuto come tale: sostenere di più le industrie ad alta intensità energetica continuando ad assegnare loro quote gratuite; aumentare i costi delle importazioni, per compensare il vantaggio di cui godono i paesi che non applicano politiche di riduzione delle emissioni; oppure adottare misure che avvicinino il resto del modo ai livelli di impegno dell'UE.

Data l'incertezza che circonda gli impegni presi a Copenaghen, il passaggio all'obiettivo di riduzione di 30% potrebbe essere accompagnato da ulteriori passi in questo senso. Si creerebbero così ulteriori incentivi per i paesi ad assumere un impegno più deciso nell'ambito di un accordo internazionale.

Il modo più evidente di contribuire a uniformare le condizioni di concorrenza intervenendo all'interno dell'UE è mantenere l'attribuzione gratuita delle quote.

La legislazione in vigore consentirebbe anche di includere le importazioni nel sistema ETS . Sono state fatte proposte specifiche in questo senso, che sono sfociate nell'inclusione delle attività di trasporto aereo. In base a questo principio, si dovrebbero comprare quote sul mercato per coprire le emissioni di determinate merci importate. Proposte analoghe sono attualmente allo studio negli Stati Uniti e sarebbe naturalmente auspicabile che tali iniziative fossero prese insieme a partner di questo tipo.

Questa misura solleva questioni più vaste circa la politica commerciale dell'UE e il suo interesse verso un sistema di libero scambio: varie economie emergenti hanno già manifestato la propria preoccupazione a questo proposito e qualsiasi sistema dovrebbe tenere conto del diverso ritmo con cui i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo interverranno con misure di mitigazione. Occorre inoltre considerare l'aumento dei costi dei fattori produttivi importati, a carico dei fabbricanti dell'UE. Tale misura potrebbe peraltro essere aggirata, facendo sì che le importazioni dell'UE provengano dai produttori più "puliti" dei paesi terzi, che destinerebbero la produzione meno pulita al loro mercato interno.

L'inclusione delle importazioni nel sistema ETS dovrebbe essere vagliata molto attentamente, per garantirne la completa compatibilità con gli obblighi assunti nell'ambito dell'OMC. Per quanto difficile possa essere realizzare un sistema che cerchi di definire nel dettaglio il tenore di carbonio di ciascuna categoria di prodotti, tale grado di precisione s'impone, per cui, nella migliore delle ipotesi, si tratterebbe di un sistema applicabile solo a un numero ristretto di prodotti di base standardizzati, come l'acciaio o il cemento. In secondo luogo, per ogni categoria di prodotti occorrerebbe definire un tenore medio di carbonio per l'UE, con gli oneri amministrativi che ne deriverebbero e con la necessità di giungere ad un accordo su tale media, processo questo che si prefigurerebbe lungo e complicato. Da ultimo, sarebbe arduo verificare le prestazioni dei singoli impianti nei paesi terzi senza un sistema molto sofisticato di controllo e notifica a livello di impianti.

Vi sono vari modi in cui l'UE potrebbe intervenire per avvicinare ai propri livelli d'impegno le misure di riduzione delle emissioni adottate da altri paesi , riducendo il divario di competitività per le industrie ad alta intensità energetica. Ciò consentirebbe di risolvere il problema dei "free rider" o la concorrenza sleale dei paesi terzi.

L'UE potrebbe, ad esempio, prendere in considerazione la possibilità di applicare un approccio più mirato alla natura dei crediti internazionali e al loro riconoscimento nel sistema ETS. Potrebbe scegliere, ad esempio, di intensificare i propri sforzi per privilegiare gradualmente i crediti settoriali basati su soglie di credito rigorose (tranne che per i paesi meno sviluppati) e limitare l’uso dei crediti CDM generati nei settori ad alta intensità energetica (come l’acciaio, il cemento e l’alluminio) nei paesi terzi, ma non nei paesi meno sviluppati. Dovrebbe inoltre ricercare il modo di aumentare l’integrità ambientale dei crediti CDM provenienti da paesi che non partecipano in maniera adeguata agli sforzi internazionali in campo climatico; potrebbe rivelarsi promettente in tal senso l’applicazione di un moltiplicatore, per cui, ad esempio, per ogni tonnellata emessa nel sistema ETS si esigerebbe la cessione di due crediti CDM. Queste idee potrebbero concretizzarsi sotto forma di accordi bilaterali sui crediti settoriali, da concludersi tra l’UE e una serie di paesi terzi (l’UE, ad esempio, dovrebbe impegnarsi a sostenere un progetto pilota in previsione di un accordo con la Cina sui crediti settoriali per l’acciaio).

Altri approcci vedrebbero l’UE impegnarsi maggiormente per aiutare i partner a raggiungere il proprio livello d’azione in campo climatico e per ridurre gli eventuali divari di competitività: per i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti ciò si tradurrebbe nel trasferimento di tecnologie, mentre per i partner più industrializzati, il rapido sviluppo di un mercato internazionale del carbonio che coprirebbe, in primo luogo, i settori a maggiore intensità energetica in tutto il mondo, renderebbe inutile l’adozione di misure speciali.

5. CONCLUSIONE

Da quando, nel 2008, l’UE ha preso alcune decisioni storiche per contrastare il cambiamento climatico, la crisi economica ha in parte mutato radicalmente il panorama politico ed economico che fa da sfondo alla politica sul clima dell’UE. Essa, nonostante la pressione sull'economia sia intensa, mantiene saldo il proprio impegno ad intervenire per contrastare il cambiamento climatico. Arrestare l’aumento della temperatura mondiale continua ad essere una delle maggiori sfide dell’attuale generazione. La UE è stata la prima a indicare in che modo si possono prendere misure concrete ed efficaci per invertire la tendenza dell’aumento delle emissioni di gas serra senza nuocere alla crescita economica. Continuerà a svolgere un ruolo guida a livello mondiale con l’attuazione del pacchetto su clima ed energia.

L’attuazione delle politiche volte ad abbattere le emissioni di gas serra funge da elemento propulsore della modernizzazione dell’economia dell’UE, orientando gli investimenti e l’innovazione verso settori con enormi potenzialità di crescita e occupazione. Come previsto nella strategia Europa 2020, è uno dei temi principali di ogni strategia credibile per costruire una prosperità sostenibile negli anni a venire.

La presente comunicazione ha mostrato come la mutata situazione internazionale abbia inciso sugli obiettivi fissati nel 2008. Il calo dei costi assoluti per raggiungere l’obiettivo di riduzione del 20% se da un lato allevia le imprese gravate dal confronto con la difficile ripresa, dall’altro rischia di indebolire l’efficacia dell’obiettivo del 20% quale motore del cambiamento. E il tutto avviene in un’epoca di grande restrizione dei bilanci, sia degli Stati che delle imprese.

E’ pertanto importante analizzare le conseguenze dirette di un eventuale passaggio ad un obiettivo di riduzione del 30%. Non è possibile prendere una decisione politica in tal senso senza tenere conto del contesto internazionale. Constatato che al momento non vi sono le condizioni per ridurre le emissioni del 30%, va detto tuttavia che una tale decisione deve essere presa con piena consapevolezza delle conseguenze economiche che potrebbe comportare per l’Unione europea. Sia il contesto internazionale, sia l’analisi economica indicano che il passaggio ad un obiettivo del 30% dovrebbe restare un’ipotesi realizzabile per l’UE: dobbiamo essere pronti ad agire quando si presentano le condizioni giuste per prendere questa decisione.

Nel frattempo occorre che raddoppiamo gli sforzi per collaborare con i nostri partner internazionali, incitandoli e incoraggiandoli affinché sia possibile conferire all'azione congiunta di tutti i paesi il livello di ambizione necessario ad assolvere l’impegno, da tutti condiviso, di contenere il cambiamento climatico.

La Commissione continuerà a sorvegliare la situazione, anche per quanto riguarda la competitività dell’industria europea in relazione ai suoi principali concorrenti internazionali, in particolare quelli che non hanno ancora messo in atto interventi convincenti per lottare contro il cambiamento climatico. La Commissione, inoltre, alla luce dell’evoluzione della situazione economica e sulla scorta dei negoziati internazionali, aggiornerà la propria analisi per apportare elementi di informazione nel dibattito in corso al Consiglio e al Parlamento europeo sul contenuto della presente comunicazione.

[1] Il Consiglio europeo di dicembre 2008 ha confermato "l'impegno dell'Unione europea di portare questa diminuzione al 30% nell'ambito di un accordo mondiale ambizioso e globale a Copenaghen sui cambiamenti climatici al di là del 2012, a condizione che gli altri paesi sviluppati s'impegnino a conseguire analoghe riduzioni di emissioni e che i paesi in via di sviluppo più avanzati sul piano economico diano un contributo adeguato alle rispettive responsabilità e capacità."

[2] Direttiva 2009/29/CE.

[3] Dati basati sugli inventari degli Stati membri, che non includono le attività legate alla destinazione d'uso del terreno, ai cambiamenti di tale destinazione e alla silvicoltura (attività LULUCF), ma includono il trasporto aereo.

[4] Da allora il prezzo del carbonio è risalito, attestandosi a 12-15 EUR.

[5] Queste cifre esprimono i costi aggiuntivi dell'energia e non una riduzione del PIL. Vi sono ricompresi gli investimenti supplementari necessari e il risparmio energetico. Non sono inclusi i benefici in termini di qualità dell'aria.

[6] Nell'analisi presentata nel 2008 si ipotizzava che nel periodo 2005-2020 il PIL dell'UE avrebbe subito una crescita media annua di 2,4%. Nell'analisi aggiornata qui presentata, tale crescita per lo stesso periodo è scesa a 1,7%. Per ulteriori informazioni, si veda la tabella 4 contenuta nella parte II del documento di lavoro dei servizi della Commissione (SEC(2010) 650) che accompagna la presente comunicazione.

[7] Il prezzo stimato del petrolio nello scenario di riferimento del 2007 era di 66 USD al barile per il 2020, mentre nel nuovo scenario è di 88 USD.

[8] Il prezzo del carbonio previsto dalla valutazione d'impatto si situava intorno a 32 EUR (prezzi del 2008) nel sistema ETS, in caso di completa attuazione del pacchetto (ivi comprese le misure relative alle energie rinnovabili e il ricorso ai crediti internazionali nei limiti massimi). In base alle nuove previsioni, il prezzo del carbonio dovrebbe essere di 16 EUR nel 2020 (tenendo conto delle misure relative alle energie rinnovabili per raggiungere l'obiettivo del 20%, senza ricorso ai crediti internazionali).

[9] La decisione sulla condivisione degli sforzi (decisione n. 406/2009/CE) investe tutte le emissioni dei settori cui non si applica il sistema ETS, quali i trasporti su strada, il riscaldamento, l'agricoltura (escluse le attività LULUCF) e i rifiuti.

[10] In particolare gli Stati con norme in materia di mix di energie rinnovabili ( Renewable Portfolio Standards - RPS )

[11] Se si vuole raggiungere l'obiettivo volto a contenere l'aumento della temperatura entro i 2°C, anche i paesi in via di sviluppo dovranno, tutti insieme e in particolare quelli più avanzati, ridurre notevolmente e in modo quantificabile entro il 2020 l'attuale crescita prevista delle loro emissioni, abbattendole del 15-30% rispetto al livello in cui si situerebbero in assenza di misure.

[12] Stima indicata dell'AIE in World Energy Outlook 2009 : 500 miliardi di USD.

[13] Direttiva 2005/32/CE.

[14] Regolamento (CE) n. 443/2009.

[15] COM(2010) 245.

[16] Direttiva 2009/33/CE.

[17] Incertezze dovute, ad esempio, alla mancanza di dati o al fatto che non siano state concordate tecniche di misurazione comuni del carbonio nelle foreste e nei terreni agricoli.

[18] Volatilità imputabile al forte impatto della variabilità delle condizioni meteorologiche (ad esempio, temporali che colpiscono il patrimonio forestale).

[19] L’articolo 11 bis , paragrafo 5, della direttiva ETS (direttiva 2009/29/CE) contiene la base giuridica per la stipula di accordi tra la Comunità e i paesi terzi inerenti l’attribuzione di crediti settoriali qualora i negoziati per un accordo internazionale sui cambiamenti climatici non siano conclusi entro il 31 dicembre 2009.

[20] Nel caso di un moltiplicatore di 2 per 1, ad esempio, per ogni tonnellata emessa in un impianto contemplato dal sistema ETS si dovrebbero cedere due tonnellate di crediti CDM. In tal modo ogni tonnellata di crediti CDM utilizzata per compensare una tonnellata emessa in Europa avrebbe come effetto la riduzione di un’altra tonnellata in un paese in via di sviluppo.

[21] Secondo le disposizioni della legislazione vigente.

[22] Le stime dei costi includono il raggiungimento dell'obiettivo del 20% per l'energia rinnovabile.

[23] Benefici che contribuiranno a realizzare gli obiettivi della strategia tematica sull'inquinamento atmosferico - COM(2005) 466.