52005DC0313




[pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

Bruxelles, 21.9.2005

COM(2005) 313 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO

Reclutamento per attività terroristiche – Affrontare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta

1. INTRODUZIONE

Con “radicalizzazione violenta” si intende il fenomeno che vede persone abbracciare opinioni, vedute e idee che potrebbero portare ad atti terroristici quali definiti all’articolo 1 della decisione quadro sulla lotta contro il terrorismo[1]. I recenti attacchi terroristici di Londra del luglio 2005, e di Madrid del marzo 2004, hanno rafforzato il carattere prioritario della lotta contro la radicalizzazione violenta, come parte di un approccio globale degli aspetti preventivi della lotta contro il terrorismo.

La lotta contro il terrorismo, in tutte le sue forme e indipendentemente dagli obiettivi o “ideali” che afferma di perseguire, è anche una lotta ideologica, poiché il terrorismo può minare gli stessi principi fondatori dell’Unione europea. L’Europa ha conosciuto, nel corso della sua storia, diversi tipi di terrorismo. La minaccia principale deriva oggi da un terrorismo alimentato da un’interpretazione impropria dell’Islam. Tuttavia, molte delle cause e delle soluzioni esaminate nella presente comunicazione si applicano a tutte le forme di radicalizzazione violenta, che essa sia di tipo nazionalista, anarchico, separatista, di estrema sinistra o di estrema destra.

L’Unione europea rifiuta la violenza e l’odio e non tollererà mai il razzismo o la xenofobia, in nessuna forma e nei confronti di nessuna religione e di nessun gruppo etnico[2]. Come dichiarato nella Carta dei diritti fondamentali[3], l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, e si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. È importante mantenere un equilibrio fondamentale fra i vari diritti fondamentali in questo ambito, in particolare fra, da un lato, il diritto alla vita, e, dall’altro, la libertà di espressione e la privacy. L’Europa deve continuare a promuovere i diritti dell’uomo e lo stato di diritto e a respingere ogni forma di relativismo quando sono in gioco i diritti fondamentali. Il terrorismo costituisce una delle più gravi violazioni delle libertà fondamentali, e ogni argomento che cerchi di giustificare certe pratiche violente come un’espressione di diversità deve essere respinto incondizionatamente.

Negli ultimi anni questa problematica è sempre più al centro dell’attenzione. È senza dubbio una questione molto complessa a cui non è facile dare risposte e che richiede un approccio prudente, moderato e ponderato. Nella presente comunicazione la Commissione rende conto delle sue attuali iniziative in quest’ambito e propone diversi modi in cui lavori in campi di sua competenza potrebbero essere più efficacemente canalizzati per affrontare la questione. L’allegato della comunicazione si limita a presentare una prima analisi dei possibili fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta e al reclutamento ai fini di attività terroristiche. Una ricerca e un’analisi più approfondite del fenomeno sono sicuramente necessarie.

Come specificamente richiesto dal programma dell’Aia[4], il presente documento costituisce un contributo iniziale della Commissione all’elaborazione di una strategia europea a lungo termine (la cui presentazione da parte del Consiglio è prevista per la fine del 2005) per affrontare i fattori che contribuiscono alla radicalizzazione e al reclutamento per attività terroristiche. Le azioni e raccomandazioni presentate in questo documento sono una combinazione di misure “miti” (ad es. scambi interculturali fra i giovani) e “dure” (ad es. divieto di trasmissioni satellitari che incitano al terrorismo), e devono essere considerate come complementari e di supporto agli sforzi nazionali attualmente compiuti. La Commissione ritiene comunque che l’UE, col suo ventaglio di politiche in vari settori che potrebbero essere utilizzate per combattere la radicalizzazione violenta, è nella giusta posizione per raccogliere e divulgare a livello europeo l’utile esperienza accumulata dagli Stati membri nella lotta contro questo problema.

Il presente documento non riguarda le iniziative già esistenti in materia di diritto penale basate sul titolo VI del trattato sull’Unione europea, come la già adottata decisione quadro sul terrorismo, o la proposta, in corso di esame, di decisione quadro sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia. Tale proposta, che la Commissione sollecita il Consiglio ad adottare, è diretta ad assicurare che comportamenti intenzionali legati al razzismo o ad atti xenofobi, compresi l’istigazione alla violenza o all’odio, gli insulti in pubblico, l’apologia di razzismo e xenofobia e la partecipazione a gruppi razzisti o xenofobi, siano perseguibili quali reati penali negli Stati membri[5].

2. RAFFORZAMENTO DELLE POLITICHE COMUNITARIE PER AFFRONTARE LA RADICALIZZAZIONE VIOLENTA

La Commissione ritiene che l’elaborazione e l’attuazione di una strategia europea contro la radicalizzazione violenta richiederanno necessariamente degli sforzi prolungati, e le misure proposte, sia a breve che a lungo termine, nella presente comunicazione non pretendono di essere esaustive. In futuro potrebbero essere proposti altri provvedimenti, in particolare alla luce delle migliori conoscenze acquisite in materia.

I settori principali che richiedono un’attenzione immediata sono i mezzi radiotelevisivi, Internet, l’istruzione e la partecipazione dei giovani, l’occupazione, le questioni relative all’esclusione sociale e all’integrazione, l’uguaglianza di opportunità, la non discriminazione e il dialogo interculturale. Inoltre, per ampliare le conoscenze in quest’ambito, la Commissione sosterrà un’analisi più ampia della radicalizzazione violenta che servirà come base per una migliore elaborazione di politiche in futuro. Infine, per fronteggiare il problema, un aspetto fondamentale per una futura strategia europea è costituito dalle relazioni esterne.

2.1. Mezzi radiotelevisivi

In linea con la decisione di finanziamento per il suo primo progetto pilota relativo alla lotta contro il terrorismo (“decisione di finanziamento”), recentemente adottata[6], la Commissione intende organizzare in un prossimo futuro una conferenza sul ruolo dei media in relazione alla radicalizzazione violenta e al terrorismo.

La legislazione europea vieta già, nelle trasmissioni, ogni incitamento all’odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità[7]. Questo divieto interessa anche i programmi di paesi terzi (diffusi per lo più via satellite), se utilizzano una frequenza, una capacità via satellite o un up-link di competenza di uno Stato membro[8]. Gli Stati membri sono responsabili dell’attuazione di queste disposizioni, e i recenti casi di divieto di trasmettere in Europa canali come Al-Manar o Sahar-1[9] mostrano che l’effettiva applicazione di queste norme funziona in maniera soddisfacente.

Su invito della Commissione, i Presidenti delle autorità nazionali di regolamentazione nel settore della diffusione radiotelevisiva si sono riuniti per la prima volta nel marzo 2005 per dare un impulso paneuropeo alla lotta contro l’incitamento all’odio nelle trasmissioni. Hanno stabilito misure concrete per rafforzare la loro cooperazione, che la Commissione sosterrà, e hanno convenuto un sistema di scambio immediato di informazioni, in particolare attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro e di un forum ristretto su Internet.

2.2. Internet

Conformemente alla decisione quadro europea sulla lotta contro il terrorismo, l’incitamento a commettere atti terroristici costituisce reato. L’uso di Internet come mezzo di incitazione alla radicalizzazione violenta o come tramite per il reclutamento di terroristi è estremamente preoccupante tenuto conto dell’efficacia e della portata mondiale, in tempo reale, di questo strumento.

L’obiettivo di sradicare ogni propaganda terroristica da Internet è debitamente preso in considerazione nella direttiva sul commercio elettronico[10]. L’articolo 3, paragrafi da 4 a 6, riguarda la possibilità di prendere provvedimenti adeguati contro la radicalizzazione violenta e il reclutamento terroristico via Internet. Tale disposizione prevede delle deroghe caso per caso alla clausola del mercato interno, di cui gli Stati membri possono avvalersi per adottare misure, come sanzioni o provvedimenti inibitori, che limitino la fornitura di un particolare servizio on-line proveniente da un altro Stato membro quando è necessario proteggere determinati interessi di ordine pubblico, come la prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, compresa la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro violazioni della dignità umana della persona. Possono quindi essere adottate misure contro servizi forniti illegalmente nel quadro del terrorismo[11]. In virtù dell’articolo 15, paragrafo 2 della direttiva, gli Stati membri possono stabilire l’obbligo, per i prestatori di servizi della società dell’informazione, di informare immediatamente la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi.

Ogni Stato membro ha inoltre l’obbligo di garantire un controllo effettivo degli operatori stabiliti sul suo territorio e di adottare le misure necessarie, conformemente al diritto comunitario, per prevenire le attività criminali. L’uso di Internet in relazione alla radicalizzazione violenta sarà anche discusso nel quadro della riunione del gruppo di esperti in commercio elettronico prevista nel novembre 2005.

Gli Stati membri possono anche chiedere a un fornitore di accesso e di (semplice) trasmissione[12], così come a un fornitore di servizi per quanto riguarda la memorizzazione temporanea ( caching )[13] e l’ hosting [14], di porre fine a una violazione o di impedirla[15]. In particolare, gli organi giurisdizionali e le autorità amministrative nazionali possono ordinare la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima. Inoltre, le forze di polizia o alcuni organi di certi Stati membri hanno compilato delle liste nere basate su criteri precisi stabiliti per legge che definiscono quali siano i contenuti illegali, per aiutare i fornitori di servizi Internet (ISP) a individuare siti con tali contenuti (ad es. pornografia infantile o razzismo); tali liste sono attualmente utilizzate dagli ISP su base volontaria. Questo tipo di autoregolamentazione è un esempio che potrebbe essere trasposto nel campo della prevenzione della radicalizzazione violenta, e che i vari Stati membri potrebbero condividere con altri.

La Commissione incoraggia gli Stati membri a utilizzare il più efficacemente possibile il margine offerto dalle disposizioni della direttiva per combattere il problema della radicalizzazione violenta in Europa. Data l’importanza di mantenere il delicato equilibrio con i principi relativi al mercato interno, lo scambio di buone prassi e di competenze in quest’ambito è fondamentale. La Commissione è pronta a raccogliere tali pratiche degli Stati membri e ad esaminare la necessità di adottare un documento orientativo.

2.3. Istruzione, partecipazione dei giovani e cittadinanza europea attiva

Estremamente utili possono essere programmi mirati, destinati ai giovani negli anni più formativi e in un’età in cui sono più vulnerabili ad essere influenzati da idee radicali violente. La promozione della diversità culturale e della tolleranza può contribuire a contrastare il dilagare di atteggiamenti radicali violenti.

Uno degli obiettivi del programma “Gioventù” è quello di “favorire la comprensione della diversità culturale europea e i valori fondamentali comuni, sostenendo in tal modo il rispetto dei diritti umani e la lotta contro il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia.” La Commissione europea assicura che tali temi siano regolarmente presi in considerazione negli inviti a presentare progetti innovativi. Il programma “Gioventù” contribuisce pertanto a evitare che comportamenti violenti attecchiscano nei giovani.

Nell’ambito del programma “Cultura” vengono inoltre finanziate attività legate alla promozione del dialogo interculturale e al rafforzamento della diversità culturale in Europa, incoraggiando la comprensione fra persone di paesi diversi. La promozione del dialogo interculturale sarà uno degli assi del proposto nuovo programma “Cultura 2007”[16].

Al tempo stesso la Commissione sta realizzando molti progetti nell’ambito del programma “Socrates” che riguardano lo sviluppo dei concetti di cittadinanza europea e di comprensione interculturale, per far sì che persone provenienti da ambienti diversi possano condividere un’identità europea comune che rispetti e promuova comunque la diversità culturale. Queste attività sono precisate più in dettaglio nelle azioni di insegnamento scolastico e istruzione per adulti del programma (“Comenius” e “Grundtvig”). Uno degli obiettivi di questi programmi, quello della promozione della “sensibilizzazione interculturale”, contribuisce in vari modi ad affrontare il problema della radicalizzazione violenta di gruppi sociali emarginati e “difficili da raggiungere”.

La Commissione ha poi presentato recentemente una proposta d’adozione del nuovo programma “Cittadini per l’Europa”, diretto a promuovere la cittadinanza europea attiva[17]: uno dei suoi obiettivi è rafforzare la reciproca comprensione fra i cittadini europei, rispettando e promuovendo la diversità culturale e contribuendo al dialogo interculturale. Se viene adottato, l’Unione fornirà sostegno finanziario per l’organizzazione di eventi, la creazione di reti e la promozione dello scambio di buone prassi, in particolare per promuovere i valori fondamentali dell’Europa e i suoi principali risultati raggiunti, contribuendo così in modo indiretto alla serie di misure “miti” contro la radicalizzazione violenta. La Commissione ha inoltre avviato un dialogo, a livello di società civile, fra l’UE e i paesi candidati, per rafforzare la comprensione reciproca e avvicinare cittadini e culture diverse.

2.4. Promozione dell’integrazione, del dialogo interculturale e del dialogo con le religioni

2.4.1. Integrazione

Nella maggior parte dei casi i cittadini di paesi terzi si integrano bene negli Stati membri dell’UE. Il fallimento di questa integrazione, tuttavia, può costituire terreno fertile per l’emergere della radicalizzazione violenta. Come spiega l’allegato, un sentimento di estraniazione rispetto sia al proprio paese di origine che al paese ospitante può facilitare la ricerca di un senso di identità e appartenenza altrove, come ad esempio in una forte ideologia estremista.

Le politiche d’integrazione – che sono politiche autonome con propri obiettivi specifici – possono avere effetti complementari positivi sulla prevenzione della radicalizzazione violenta. La Commissione si è impegnata nel quadro del programma dell’Aia a prendere misure per promuovere negli Stati membri politiche di integrazione più efficaci per i cittadini dei paesi terzi, sulla scorta dell’attuazione dei principi comuni di base in materia di integrazione adottati dal Consiglio GAI nel novembre 2004. La Commissione ha presentato le sue proposte in una comunicazione adottata nel settembre 2005[18]. Nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013 la Commissione ha anche proposto un Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi, destinato a finanziare misure specifiche in quest’ambito.

Si rende necessario, in materia di integrazione, un approccio globale che comprenda non solo l’accesso di tutti i gruppi al mercato del lavoro, ma anche misure che affrontino le differenze sociali, culturali, religiose, linguistiche e nazionali. Un altro aspetto chiave dell’integrazione è il diritto alla non discriminazione, ulteriormente sviluppato nelle relative direttive europee[19]. Se il 20% degli stanziamenti del Fondo sociale europeo è già assegnato per migliorare la parità di condizioni in campo occupazionale per le categorie svantaggiate, potrebbero rivelarsi utili anche altre politiche come quelle di recupero e di accessibilità delle aree e dei quartieri svantaggiati, il miglioramento dell’edilizia sociale, l’incoraggiamento dell’accesso all’istruzione e la protezione contro l’esclusione sociale. Sono inoltre fattori chiave per prevenire il reclutamento in seno ai gruppi radicali una qualità di vita soddisfacente e la partecipazione dell’individuo nella società a livello personale (vedi allegato).

2.4.2. Dialogo fra Stato e religioni

Raramente il dialogo è spontaneo, in particolare quando sono in gioco valori e principi importanti. È pertanto necessario imparare come scambiare al meglio punti di vista ed opinioni, e creare un metodo di comunicazione per eliminare le barriere e sviluppare la comprensione delle diversità culturali basate sulle convinzioni religiose (in particolare in caso di concezioni radicali, estremiste e fondamentaliste). Si tratta di un interesse generale, e anche di una condizione necessaria per avviare un dialogo interculturale e interreligioso su solide basi.

L’Unione europea rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri (Dichiarazione n. 11 allegata al trattato di Amsterdam). Le relazioni fra Stato e Chiese e associazioni religiose non rientrano nelle competenze dell’Unione. Al tempo stesso, esiste una tradizione di dialogo fra la Commissione e le religioni, le Chiese e le comunità di convinzioni. Da alcuni anni la Commissione ha creato un’ampia rete di contatti con un vasto numero di interlocutori confessionali e non confessionali. Organizza regolarmente conferenze, seminari e altri tipi di incontri per rafforzare la reciproca comprensione e per promuovere i valori europei. Nel 2003 si è tenuta una conferenza dei Ministri dell’Interno dell’UE sul tema “Il dialogo interreligioso: fattore di coesione sociale in Europa e strumento di pace nell’area mediterranea”[20], il cui scopo era quello di discutere l’istituzione di un “ Forum europeo per il dialogo interreligioso e per il dialogo tra i governi e le religioni” . La Commissione ha poi, ad esempio, organizzato nel febbraio 2004 una conferenza sull’antisemitismo, in occasione della quale l’Unione europea ha confermato l’impegno a combattere e a controllare tale fenomeno.

La Commissione si baserà su alcune di queste iniziative per discutere più approfonditamente quelle che possono essere legate alla prevenzione della radicalizzazione violenta.

2.4.3. Anno europeo del dialogo interculturale

La Commissione lancerà una proposta per dichiarare il 2008 Anno europeo del dialogo interculturale. L’obiettivo è quello di sensibilizzare i cittadini a questioni legate al dialogo interculturale e di utilizzare meglio i programmi UE per promuovere i valori positivi risultanti da un tale dialogo. Le tematiche sollevate nella presente comunicazione potrebbero essere oggetto di particolare attenzione nel quadro degli eventi che l’Unione sosterrà in quell’anno.

2.5. Autorità di contrasto e servizi di sicurezza

Dovrebbero essere presi in considerazione sistemi nell’ambito dei quali la polizia e le autorità di contrasto si impegnino maggiormente con i giovani a livello locale. Gli Stati membri che promuovono l’assunzione di persone di ambienti diversi dovrebbero incoraggiare anche gli altri Stati membri a fare lo stesso condividendo le migliori prassi, compresi gli Stati membri che non fanno una distinzione ufficiale fra minoranze etniche. Potrebbe essere un modo per rafforzare la comprensione reciproca e il rispetto reciproco in tutti gli Stati membri.

Un maggiore lavoro preventivo nel campo della lotta contro il terrorismo dovrebbe essere incoraggiato in tutti gli Stati membri, insieme a un’ulteriore cooperazione fra i livelli operativi, di intelligence e politici. La Commissione esorta gli Stati membri che hanno già ottenuto risultati validi a condividere con gli altri, attraverso le strutture dell’UE, la propria esperienza e le prassi migliori. Gli Stati membri sono tenuti a cooperare con organismi come Europol, ma è fortemente incoraggiata anche la collaborazione con il Joint Situation Centre (SitCen). Per quanto riguarda le iniziative politiche, la Commissione raccoglierà e valuterà le prassi migliori degli Stati membri e le consoliderà in orientamenti periodici destinati a tutti gli Stati membri.

2.6. Reti di esperti

In linea con la decisione di finanziamento recentemente adottata la Commissione stanzierà fondi per istituire una rete di esperti per lo scambio di idee di ricerca e di azione, che presenterà un primo contributo sullo stato delle conoscenze in materia di radicalizzazione violenta all’inizio del 2006.

La Commissione lancerà inoltre una gara d’appalto per studi in questo campo, che comprenderanno i “fattori di motivazione e di rinuncia rispetto alla radicalizzazione violenta” e i “fattori socioeconomici che contribuiscono alla radicalizzazione violenta”. È possibile che il progetto pilota continui nel 2006. Sia le reti di esperti che gli studi faranno fra l’altro il punto dei lavori di ricerca completati o in corso nell’ambito del programma quadro di ricerca comunitario e di altri programmi di ricerca. Un tale bilancio delle conoscenze pertinenti dovrà anche essere portato avanti nell’ambito del programma “Sicurezza e tutela delle libertà” nel quadro delle future prospettive finanziarie e nuove ricerche in questo campo dovranno essere previste dal Settimo programma quadro di ricerca.

2.7. Controllo e raccolta di dati

La Commissione ha consultato la rete di esperti indipendenti in materia di diritti fondamentali riguardo al legame fra la radicalizzazione violenta e i diritti fondamentali nel quadro del sistema giuridico degli Stati membri, e ha ricevuto, in risposta, uno studio in merito[21].

La Commissione utilizzerà le competenze dell’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (EUMC) in ambiti quali le esperienze degli immigrati[22], la violenza razzista[23] e l’islamofobia[24]. La Commissione chiederà anche all’EUMC degli studi sulle varie manifestazioni di odio contro valori costituzionali fondamentali dell’UE quali la libertà religiosa e la parità fra uomo e donna. Inoltre, la trasformazione dell’EUMC in Agenzia per i diritti fondamentali amplierà le possibilità di coprire settori più ampi (ad es. interazione della polizia con le diverse comunità).

2.8. Relazioni esterne

Il dialogo con i paesi terzi e i partner regionali e, se del caso, l’assistenza tecnica a queste aree devono essere parte integrante del nostro approccio per lottare contro la radicalizzazione violenta e il reclutamento dei terroristi. Nel quadro della sua politica estera l’UE svolge già, benché in modo indiretto, un ruolo attivo. La Comunità e gli Stati membri, insieme, sono i maggiori donatori di aiuto allo sviluppo nel mondo, cosa che – al di là del ruolo fondamentale per lo sviluppo stesso – contribuisce anche ad affrontare alcune delle cause profonde dell’emergere del terrorismo. L’aiuto allo sviluppo può aiutare a sgretolare la base su cui poggiano le reti e i movimenti terroristici, concentrandosi sulla riduzione delle ineguaglianze, sul sostegno alla democratizzazione e sul rispetto dei diritti dell’uomo, oltre che su azioni relative al buon governo, alla lotta contro la corruzione e alla riforma dei sistemi di sicurezza.

Devono inoltre essere prese misure per prevenire la fragilità degli Stati ad uno stadio precoce, prima che possa nascere un possibile “terreno fertile” per il terrorismo. La Comunità intensificherà la sua assistenza per sostenere gli sforzi dei paesi partner e delle organizzazioni regionali di consolidamento dei sistemi di allarme rapido, di rafforzamento delle capacità istituzionali/di governance e di promozione della tutela dei diritti dell’uomo, per consentire loro di adottare efficacemente un approccio preventivo. Migliorerà inoltre la sua capacità di riconoscimento dei primi segnali di fragilità di uno Stato, lavorando congiuntamente con altri donatori a migliori analisi, controlli e valutazioni degli Stati problematici, fragili e deboli[25]. Ciò fa parte integrante di un approccio globale di azione esterna relativamente alla sicurezza e allo sviluppo.

Nel quadro della politica europea di prossimità (PEV), i piani d’azione dell’UE con i paesi del Mediterraneo includono una serie di misure contro la radicalizzazione. I possibili fattori che contribuiscono a tale fenomeno sono stati esaminati in numerose occasioni, nel corso di scambi bilaterali e regionali. Questo dialogo può essere approfondito nell’ambito delle istituzioni create in virtù degli accordi di associazione coi paesi del bacino mediterraneo.

Più in generale, è necessario promuovere maggiormente la comprensione transculturale e interreligiosa fra l’Europa e i paesi terzi, in particolare quelli in cui l’Islam è la religione predominante. Poiché spesso anche l’Islam moderato è bersaglio dei terroristi, è importante offrire sostegno alle organizzazioni e ai regimi islamici moderati nella cooperazione su politiche antiterrorismo. Inoltre, sostenere i gruppi islamici moderati sia a livello interno che esterno può contribuire a limitare il sostegno all’estremismo e può pertanto ridurre l’ambito del reclutamento a fini terroristici.

La Commissione sta dando maggiore importanza alla necessità di lottare contro il razzismo e la xenofobia nella sua cooperazione con i paesi terzi nel campo dei diritti dell’uomo. Ciò si riflette nelle priorità di finanziamento stabilite nell’ambito dell’iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo[26], uno strumento tematico complementare al dialogo politico e alle strategie specifiche per paese convenute con i governi dei paesi partner. L’UE potrebbe adottare lo stesso approccio per quanto riguarda la promozione in altri Stati dei valori su cui essa basa, senza tuttavia imporre loro nessuno dei suoi modelli.

3. CONCLUSIONI

LA COMMISSIONE PRESENTA IN QUESTA SEDE IL SUO PRIMO CONTRIBUTO ALL ’elaborazione di una strategia UE nell’ambito in questione. Viene qui spiegato come diverse politiche dell’UE potrebbero essere canalizzate o utilizzate meglio per aiutare ad affrontare i possibili fattori che contribuiscono alla radicalizzazione violenta. Pur consapevole del fatto che si tratta di uno sforzo a lungo termine, e della necessità di perfezionare l’approccio con l’accumularsi delle conoscenze in materia, la Commissione è decisa a integrare e ad appoggiare le azioni degli Stati membri, delle loro regioni e comuni nel cercare di creare un ambiente sfavorevole alla radicalizzazione violenta.

ANNEX

Introduction

Violent Radicalisation is defined under section 1, above. In order to understand its historical and psychological roots one needs to look at a wide range of movements, organisations and struggles, with political, religious, national and ethnic motivations, or combinations of these. Radicalisation has become a particular area of focus due to its link with combating terrorism. Europe has a long experience of fighting terrorism. Examples such as the ETA, the IRA and the Brigate Rosse come to mind. Terrorists under many guises and invoking different ideologies and motives have claimed victims in many Member States. The ideologies and propaganda have varied and included extremism of different types – whether from the extreme left or right, anarchist and religious or in many cases nationalist. All these groups have tried to terrorise democratic societies to concede political transformations by non-democratic means. While they sometimes invoked aspirations shared by wider parts of the population, the use of terrorism has always been rejected both by societies as a whole and by the very groups whose interests the groups purportedly sought to promote.

Terrorism is never legitimate. It therefore always attempts to justify itself by abusively referring to views, aspirations or beliefs which may, themselves, be legitimate and which it most often insidiously deforms. The Commission believes that there is no such thing as “Islamic terrorism”, nor “catholic” nor “red” terrorism. None of the religions or democratic political choices of European citizens tolerates, let alone justifies, terrorism. The fact that some individuals unscrupulously attempt to justify their crimes in the name of a religion or an ideology cannot be allowed in any way and to any extent whatsoever to cast a shadow upon such a religion or ideology. Stating this fact clearly is, in the Commission’s view, the first requirement for the Union in the fight against violent radicalisation.

In the recent past, terrorist groups, abusively claiming their legitimacy in the name of Islam, have been known to operate both within and outside Europe and often reasons for their acts are claimed to be related to political situations. Both military and civilians have been victims within Europe of terrorist attacks. Terrorist organisations are known to have had cells within Europe, long before the Madrid train attacks on 11 March 2004 or the London attacks of 7 July 2005. There are also alleged links between those who orchestrated the World Trade Centre and Pentagon attacks, and the Madrid attacks. To date, it appears that organisations are trans-national, logistically well organised and well-funded. Moreover, the range of nationalities involved in various stages of the sophisticated organisation of the attacks indicate how global such terrorist organisations have become and also indicates how those involved may be European citizens, whose motivations defy simplistic categorisation; not being socially-excluded, socio-economically disadvantaged, unemployed or living in deprived suburbs of large cities or inner-city housing estates, or from immigrant families.

It is important to remember that certain regional terrorist activities, such as attacks related to the Israel-Palestine conflict, are not necessarily linked to global networks. So-called “Islamic” terrorists should not be automatically discussed together, or be seen to be carrying out “joined-up” terrorist acts together for one cause. The common “religious” denominator, and the actual religion itself, are often not the basis upon which attacks have been carried out. Small-scale organisations and groups across Member States advocate radical beliefs or encourage young people to take social or political action against Islamophobia or perceived anti-Islamic politics. The same goes for radical beliefs (often voiced in verbally violent terms) against, for instance, immigration or globalisation. Not all the groups that express such beliefs carry out terrorist attacks. Those who do, however, often exist at local levels within Member States, as opposed to globally with sophisticated financing, sponsorship and planning. Terrorist organisations and networks rely on volunteers, logistical networks and funds from others who have raised money as they have similar views. They also have been known to deal in other areas of organised crime, in order to finance terrorism.[27]

There is also a potential distinction between trans-national groups having funds and logistics, on the one hand, and local or independent groups able to conduct small-scale operations, on the other. This distinction is the ideological and operational influence exerted by organised groups on locally-based groups. The success recorded by the organised ones and their diffusion through the global information society is an incitement to actions for smaller groups.

1 Factors contributing to radicalisation

The reasons for becoming involved in groups which use terrorism against others as a way of expressing their ideas often stem from a combination of perceived or real injustice or exclusion. Focusing on fighting under a common political, religious, national or ethnic banner enables people to find affiliations with groups, and with these groups, carrying out acts of violence can become part of partaking in a cause. Other reasons can be found in the misinterpretation of writings or ideologies, or gaps between what one reads or has been told and the reality of ones contemporary social context.

On a more individual psychological level, not feeling accepted in society, feeling discriminated against and the resulting unwillingness even to try to identify with the values of the society in which one is living, can also lead to feelings of alienation or low self-esteem – a gap which might also be filled by making contact with the powerful ideals and purpose-driven motivations of certain groups or movements. Often the desire to engage with a particular locus of identity that represents one’s opinions can be a powerful motivating force. The phenomenon is very much similar irrespective of the powerful ideal; be it neo-nazism, nationalist or separatist causes, social revolution or extreme interpretations of religions. It is clear that not all those who come into contact with radical groups will in turn become radical themselves. The number of people who actually try to commit terrorist acts of whatever nature or gravity is small. It is important to keep in mind that it is always possible for an individual to renounce violent radicalisation, and many do. A successful policy to combat violent radicalisation needs therefore to understand such processes, but never justify violence.

One needs to investigate the ease by which people come into contact with violent radical groups. Some come into contact with them when they go to university. Away from the familiar environment and support structures of friends and family they start to become aware of politics and pressure groups. Those looking for recruits often take advantage of this situation. Others find them and are influenced when they are surfing the internet, via entering chat rooms or reading inflammatory articles on websites, which encourage and motivate people into wanting to change situations of perceived injustice or inequality. Places of worship or political party/organisation cells can also be breeding grounds for terrorist recruitment, as in a similar way, they can become places where people become exposed to new ideas through sermons or lectures. Of those individuals who do become involved in groups or organisations, not all will then actually become ready to act on certain beliefs or opinions, or be influenced by what they hear and subsequently become involved in terrorist activities. It is the very small proportion of people who actually go from being radical to wanting to carry out terrorist acts that should be kept in mind during discussions on violent radicalisation. However, an awareness of the causes of the problem is important.

Those people who attempt to influence others into joining terrorist groups should also be investigated and fought with determination. The Commission is already working to find ways of preventing the financing of terrorism through charities and non-profit organisations.

The role of media is significant in this area in a number of ways. Firstly, some media – notably radio, satellite television and the internet - disseminate propaganda which contributes to violent radicalisation. Typically this conveys a reductionist and conspiratorial worldview where inequity and oppression are dominant and entire countries, religions or societies are depicted in a way which denies them human dignity and presents them as collectively guilty. Some form of self-regulation principle or possible code of conduct within the media might be beneficial.

Secondly, the media can play a role in facilitating recruitment into terrorist groups, by giving expression to terrorist views and organisations and facilitating the contact between radicalised individuals, e.g. via the internet.

Thirdly, the media have an influence in the way they inform the general public about terrorist acts. Terrorism exploits open societies and the media are the main vehicle through which it attempts to affect citizens and leaders alike. Journalists face the difficult responsibility of reconciling their duty to inform the public with the need not to facilitate the aims of terrorists. These concerns, which are not new, remain an issue of reflection within the profession. Moreover, if certain groups feel they are being targeted via the media, this might reinforce their desire to become hostile in return.

Investigating the means by which terrorist cells or networks develop today and maintain themselves - facilitated by global communications such as the internet and mobile phones - and what factors enable new recruits or volunteers to become involved are also areas for analysis investigated since the emergence of political terrorism in the 70’s and the development of modern technologies. Based on this previous work and on detailed studies made by security forces of the radicalisation process of every suspected terrorist placed in custody, research must now turn to the development of new tools – both operational and legal – for those involved in the fight against this process. Such new tools, e.g. the standard questionnaires developed by the G8 Practitioners group, should be used by law enforcement and security services to carry out a detailed study of the radicalisation process of every suspected terrorist placed in custody and to provide useful and comparable information to understand more precisely the factors intervening in the radicalisation process and terrorist recruitment.

Security services and police forces within the Member States have been studying the phenomenon of violent radicalisation concentrating on recruitment hotspots like prisons, religious centres and schools. We should therefore draw upon such expertise but at the same time not limit ourselves to it.

2 Root Causes of Radicalisation

Precisely identifying the root causes of violent radicalisation is a very hard task and experts are only starting to understand the phenomenon. Violent radicalisation can often be a combination of an individual’s negative feelings of exclusion, existing alongside positive mobilising feelings about becoming part of a group and taking action for change.

Social factors such as exclusion - perceived or real - are often partial reasons given for becoming prone to radical opinion or joining radical movements. It can be one’s own perceptions of injustice or discrimination about one’s situation that is seen to affect certain groups and that mobilises people into action.

Factors relating to exclusion, which can relate to being part of minority or immigrant groups – either individually or shared by the group with which one identifies or belongs to as a whole –can result in feelings of being discriminated against within the European societies in which people live. Similar feelings can also occur to those that feel their identity is threatened by immigration, globalisation or, in the case of separatists, insertion within wider, often undesired political societies.

Feelings of “belonging” and of identity are often fragmented and personal allegiances can cause confusion. For example, young people born to immigrant parents and brought up in Europe often have different expectations of the country in which they live from those of their parents. Many do not feel allegiance to their parents or grandparents’ countries of origin, religion or cultural background, and thus can only really be part of the country where they have grown up and live, but yet they may sometimes encounter discrimination within these societies, often due to their cultural, linguistic, religious, national and physical differences.

All young children of whatever background want to “fit in” with others. It is only later on, as older teenagers, that feelings of wanting to rebel become more likely. The resulting alienation from both parental roots and country of origin and the society in which they live, can lead to a desire to identify with a more motivating or powerful locus of identity. It is this crisis of identity that can be seen as being a strong motivating force for many to become involved in organisations with strong beliefs who wish to avenge certain people or society in general, through terrorist acts.

Political beliefs, national, linguistic, religious identity and self expression, or combinations of the above, are often the motivating factors behind wanting to try to change the status quo. The sense of finding an identity and belonging can be stronger and more significant as a locus of difference, than simply inheriting an ethnic identity, or acquiring or being born into a citizenship especially for children who have had no personal or first-hand experience of their parents’ country of origin. For some young people from Muslim immigrant families, Islam becomes something different from the Islam of their parents, and as they find out more about it, it becomes a positive and more accessible means of expression for an individual. Many of society’s perceptions of immigrant Islam in Europe are cultural norms which have been taken from the countries of origin of immigrants, as opposed to the religion per se. For some Muslims, the quest for a “pure” Islam is important and they do so by engaging with organisations and groups from which they feel they might learn new things.

It might be that a small percentage of these organisations take advantage of this and become fora for influencing young people. It is this false attribution of certain values and practices to Islam that creates negative stereotypes in the media and society about the religion, particularly since the attacks of 11 September 2001 in the U.S. This can contribute to negative stereotypes, thus fuelling grounds for attacks on Muslims on the one hand and exacerbating feelings of discrimination within Muslim communities on the other.

The quest for a pure, simple ideology might also be felt by those that feel left out of social and economic change. Individuals, particularly young people from poorer, or excluded backgrounds, may feel a strong attraction for the “certainties” of extreme (or anti-globalisation) ideologies, although of course it is not only individuals in these categories who are found to have turned to violent radicalisation.

[1] Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo. L’articolo 1 stabilisce che ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici nove atti intenzionali espressamente enumerati, definiti come tali in base al diritto nazionale, che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione, di costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un’organizzazione internazionale.

[2] Articolo 13 del trattato sull’Unione europea; direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180 del 19.7.2000, pag. 22), e direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pag. 303).

[3] Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, 2000 – GU C 364 del 7.12.2000.

[4] “Programma dell’Aia: Rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea”, approvato dal Consiglio europeo nel novembre 2004.

[5] Proposta di decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia - COM(2001) 664; GU C 75 E del 26.3.2002.

[6] La decisione di finanziamento della Commissione relativa al progetto pilota “Lotta contro il terrorismo”, adottata il 15 settembre 2005, specifica il modo in cui la Commissione intende utilizzare i 7 milioni di euro stanziati per la politica di lotta contro il terrorismo.

[7] Articolo 22 bis della direttiva 97/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 1997, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (direttiva “Televisione senza frontiere”).

[8] Articolo 2, paragrafo 4, della direttiva “Televisione senza frontiere”.

[9] La ritrasmissione di Al Manar da parte di tutti gli Stati membri dell’UE con capacità satellitare – nella fattispecie la Francia (Eutelsat), i Paesi Bassi (NSS) e la Spagna (Hispasat) – è stata vietata.

[10] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“Direttiva sul commercio elettronico”) – GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1.

[11] Comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Banca centrale europea - L’applicazione ai servizi finanziari degli articoli da 3, paragrafo 4 a 3, paragrafo 6 della direttiva sul commercio elettronico – COM(2003) 259.

[12] Intermediari definiti all’articolo 12, paragrafo 1 della direttiva sul commercio elettronico ( mere conduit , “semplice trasporto”).

[13] Intermediari definiti all’articolo 13, paragrafo 1 della direttiva sul commercio elettronico.

[14] Intermediari definiti all’articolo 14, paragrafo 1 della direttiva sul commercio elettronico.

[15] Articolo 12, paragrafo 3, articolo 13, paragrafo 2 e articolo 14, paragrafo 3 della direttiva sul commercio elettronico.

[16] Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Cultura 2007 (2007-2013) - COM(2004) 469 del 14.7.2004.

[17] Proposta di Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, per il periodo 2007-2013, il programma “Cittadini per l’Europa” mirante a promuovere la cittadinanza europea attiva - COM(2005) 116 del 6.4.2005.

[18] Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Un’agenda comune per l’integrazione – Quadro per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nell’Unione europea - COM(2005) 389 dell’1.9.2005.

[19] Direttiva 2000/43/CE del Consiglio e direttiva 2000/78/CE del Consiglio (si veda la nota 2).

[20] Roma, 30-31 ottobre 2003.

[21] ‘The requirements of fundamental human rights in the framework of the measures of prevention of violent radicalisation and recruitment of potential terrorists’, parere n. 3-2005, 3 agosto 2005; http://www.europa.eu.int/comm/justice_home/cfr_cdf/index_fr.htm.

[22] L’EUMC sta attualmente preparando una relazione sulle “Esperienze di razzismo e discriminazione degli immigrati”.

[23] L’EUMC ha presentato nell’aprile 2005 una relazione sulla violenza razzista nei 15 Stati membri .

[24] L’EUMC sta attualmente preparando due relazioni in materia.

[25] Si veda anche COM(2005) 311, «Proposta di dichiarazione congiunta del Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione – La politica di sviluppo dell’Unione europea – ‘Il consenso europeo’».

[26] Documento di programmazione 2002-2004 per l’iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell’uomo, adottato dalla Commissione il 20 dicembre 2001.http://europa.eu.int/comm/external_relations/human_rights/doc/eidhr02_04.htm.

[27] Communication to the Council and the European Parliament on the prevention of and the Fight against Terrorist Financing (2004) 700 final.