52004DC0412

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo , al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Studio sulle connessioni tra migrazione legale e illegale /* COM/2004/0412 def. */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI - Studio sulle connessioni tra migrazione legale e illegale

Introduzione

La presente comunicazione illustra i risultati di uno studio richiesto dal Consiglio europeo sulle connessioni tra migrazione legale e illegale. Per la prima volta a livello comunitario, esso valuta se le vie legali per l'ammissione dei migranti riducano gli incentivi alla migrazione illegale e, più specificatamente, in quale misura la politica in materia di migrazione legale produca un impatto, in primo luogo, sui flussi di migranti legali e, secondariamente, sulla cooperazione con i paesi terzi nella lotta contro la migrazione illegale.

Il mandato in tal senso deriva dalle conclusioni del Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003, in cui era stata sottolineata l'esigenza per l'UE di "ricercare mezzi legali per l'ingresso di cittadini di paesi terzi nell'Unione, in considerazione delle capacità ricettive degli Stati membri, nell'ambito di una cooperazione rafforzata con i paesi di origine". In questo contesto, durante il Consiglio informale GAI del settembre 2003, la Presidenza italiana ha invitato "i partner a condurre uno studio per definire un sistema di quote per la migrazione legale in Europa da proporre ai paesi di origine e transito interessati dai principali flussi migratori legali in cambio della loro cooperazione in vista di raggiungere un accordo in materia di riammissione (...)". Successivamente, nell'ottobre 2003, il Consiglio europeo ha ampliato gli obiettivi dello studio e, nelle conclusioni, ha precisato che "riconoscendo che ogni Stato membro è responsabile del numero di immigrati legali ammessi nel suo territorio, conformemente alla sua legislazione e secondo la sua situazione specifica, ivi compresi i mercati del lavoro, il Consiglio europeo prende atto dell'avvio, da parte della Commissione, di uno studio sul rapporto tra immigrazione legale e clandestina e invita tutti gli Stati membri, gli Stati aderenti e gli Stati candidati a cooperare pienamente a tal fine con la Commissione".

I tempi brevi concessi per il completamento dello studio non hanno permesso di affidarlo a istituti di ricerca esterni. Pertanto, la Commissione ha deciso di limitarlo a un esercizio di raccolta dati in collaborazione con gli esperti degli Stati membri. Lo studio è stato basato in via prioritaria sulla ricerca esistente nel settore e, quindi, completato con le informazioni fornite dagli esperti in occasione di due riunioni organizzate dalla Commissione e con le risposte a un suo questionario. I rappresentanti degli Stati membri vecchi e nuovi nel Comitato della Commissione sull'immigrazione e l'asilo hanno monitorato regolarmente i progressi dei lavori.

La prima parte della comunicazione è incentrata sulla gestione dei canali esistenti per l'immigrazione legale a scopo di lavoro, tra cui l'uso di accordi bilaterali, e - conformemente all'intenzione iniziale della Presidenza italiana - il possibile ricorso a quote o massimali in tale contesto. Questo aspetto è stato illustrato identificando esempi di politica interessanti nello studio di casi. La seconda parte riguarda il rapporto tra flussi migratori legali e clandestini, con particolare attenzione per gli accordi di cooperazione con i paesi terzi. Infine, la comunicazione contiene alcune conclusioni e raccomandazioni. Occorre sottolineare che, a livello comunitario e nazionale, generalmente non esistono dati statistici affidabili sugli argomenti trattati.

PARTE I - ATTUALI SOLUZIONI PER LA GESTIONE DELLA MIGRAZIONE LEGALE

1.1 Normativa sull'ammissione di migranti per ragioni economiche

L'ammissione di cittadini extracomunitari a fini occupazionali è regolata dalla normativa degli Stati membri; la politica di ammissione varia dunque da paese a paese in quanto è stata elaborata in risposta a tendenze migratorie diverse nel corso degli ultimi decenni. Nel dopoguerra la migrazione è stata ampiamente incoraggiata per soddisfare esigenze di manodopera in settori chiave. Tuttavia, dopo il declino economico degli anni settanta e l'aumento dei flussi migratori clandestini negli anni ottanta e novanta, si è registrato un inasprimento dei controlli per l'ammissione nell'intento di proteggere il mercato interno del lavoro e, in alcuni Stati membri, la pratica di assumere cittadini stranieri è stata sospesa.

Le politiche e le procedure attuali mirano a fornire percorsi di ingresso per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro e, contemporaneamente, tutelare gli interessi della manodopera interna. I cittadini extracomunitari che desiderano lavorare nell'UE devono dimostrare di soddisfare alcuni criteri, tra cui quello di aver ricevuto una proposta di lavoro, disporre di risorse finanziarie sufficienti per il proprio mantenimento e un'assicurazione malattie adeguata. In alcuni casi, i datori di lavoro degli Stati membri sono tenuti a chiedere permessi di lavoro per i cittadini extracomunitari e devono poter dimostrare che questi lavoratori hanno qualifiche non reperibili nel mercato del lavoro interno. Alcuni Stati membri ammettono anche i lavoratori autonomi, sebbene ancora una volta i candidati debbano soddisfare criteri severi, come ad esempio dimostrare che possiedono mezzi sufficienti per il proprio sostentamento e che intendono esercitare un'attività vantaggiosa per lo Stato membro interessato. Inizialmente la maggior parte dei migranti per motivi economici è ammessa con un permesso di soggiorno provvisorio, di durata compresa tra uno e cinque anni. Questi permessi sono rinnovabili purché il candidato continui a soddisfare i criteri necessari, in particolare il fatto che abbia ancora un posto di lavoro e le sue qualifiche siano ancora richieste.

A partire dalla metà degli anni novanta, in molti Stati membri sono emersi nuove vie di ammissione economica allo scopo di soddisfare le esigenze di manodopera e, in alcuni paesi, soprattutto laddove occorre supplire alla carenza di qualifiche in settori come quello sanitario, sono state adottate procedure accelerate o preferenziali. Normalmente il fatto di attirare lavoratori altamente qualificati è considerato un mezzo importante per sostenere la crescita economica ed evitare colli di bottiglia nelle economie nazionali. L'esperienza insegna che, attraverso questi percorsi specifici, non è sempre facile attirare persone qualificate in numero pari a quello richiesto. Le ragioni di questa situazione sono diverse, tuttavia occorre notare che esiste una certa competizione tra gli Stati membri quando tentano di attirare categorie specifiche di cittadini extracomunitari nella propria forza lavoro.

La richiesta non riguarda solo i lavoratori altamente qualificati. Molti Stati membri, soprattutto nell'Europa meridionale dove il fenomeno dell'immigrazione è più recente, hanno avvertito l'esigenza di lavoratori poco qualificati. Molti hanno scelto di regolamentare l'ammissione di lavoratori poco qualificati inaugurando percorsi di ammissione specifici oppure elaborando accordi bilaterali sulla manodopera.

Studio dei casi: il sistema tedesco della carta verde

Nell'agosto 2000, la Germania ha inaugurato il meccanismo della Carta verde con l'obiettivo specifico di assumere specialisti nel settore IT (tecnologie dell'informazione) per supplire alla carenza nazionale prevista. In seguito a un sondaggio condotto tra i datori di lavoro e proiezioni sull'occupazione, il programma ha permesso di assumere fino a 20.000 specialisti in IT tra il 2000 e il 2005. Il sistema prevede che i candidati possano rimanere al massimo cinque anni, durante i quali hanno diritto a portare con sé i propri familiari. Tuttavia, una volta nel paese, non possono chiedere il permesso di soggiorno permanente. Le candidature possono essere presentate direttamente a una società tedesca o tramite una "job fair" online, ovverosia un sito che promuove l'incontro tra richiesta e offerta di lavoro . Finora sono stati rilasciati circa la metà dei 20.000 permessi disponibili.

Studio dei casi: programma inglese per migranti altamente qualificati

Alla fine del gennaio 2002, la Gran Bretagna ha avviato un Programma per migranti altamente qualificati finalizzato a creare un singolo percorso di ingresso per persone altamente qualificate che abbiano le competenze e l'esperienza necessaria al paese per competere nell'economia globale. I candidati non devono necessariamente aver ottenuto un contratto di lavoro e sono invece ammessi per un periodo iniziale di un anno, durante il quale possono cercare lavoro o esercitare come lavoratori autonomi. Possono rimanere in Gran Bretagna purché siano economicamente attivi e, in seguito, chiedere un permesso di soggiorno permanente. L'ammissione è basata su un sistema a punti e criteri in materia di immigrazione. I punti sono assegnati in cinque settori principali: i titoli di studio, l'esperienza lavorativa, la remunerazione precedente, i risultati raggiunti nella professione prescelta dal candidato e le qualifiche e i risultati del partner del candidato. Il programma ha registrato una percentuale di adesione relativamente elevata.

Tuttavia, occorre notare che non tutti i cittadini extracomunitari ammessi nel mercato del lavoro vi fanno ingresso attraverso le procedure di selezione descritte sopra. Solo in due Stati membri l'ammissione di migranti per fini di occupazione rappresenta la principale categoria di ammissione di cittadini extracomunitari. In tutti gli altri, la maggior parte delle ammissioni riguarda richieste di ricongiungimento familiare o persone bisognose di protezione umanitaria. In diversi Stati membri, i migranti ammessi per motivi di ricongiungimento familiare sono oltre la metà del numero complessivo di persone ammesse. L'immigrazione a scopo di lavoro potrebbe rappresentare meno del 15% del numero di persone ammesse che possono effettivamente accedere al mercato del lavoro.

1.2 Regolamentazione del numero di migranti per motivi economici e previsione delle future necessità

L'afflusso di cittadini extracomunitari ammessi negli Stati membri a scopo di lavoro è in costante aumento dalla metà degli anni novanta, soprattutto in Danimarca, Gran Bretagna e Svezia, dove la percentuale di crescita ha toccato il 20% riflettendo una forte crescita economica e carenze nei settori con personale qualificato. Non sono disponibili dati sul numero totale di migranti ammessi nell'UE a scopo di lavoro. Sebbene negli ultimi anni i dati statistici dell'Unione sui flussi migratori siano migliorati, misurare i flussi legali è ancora problematico per via delle differenze tra gli Stati membri in termini di fonti e definizioni, metodi di raccolta dati e prassi legislative.

Gli Stati membri adoperano metodi diversi per decidere quanti migranti per motivi economici ammettere ogni anno. Normalmente questo numero è basato su una valutazione nazionale e/o regionale delle esigenze del mercato del lavoro. Alcuni Stati membri adottano un sistema di quote, ma il loro impiego varia da paese a paese. Alcuni definiscono un totale generico per il numero di lavoratori extracomunitari ammessi ogni anno, mentre altri fissano quote più specifiche per ciascun settore di lavoro o addirittura per i vari tipi di lavoratori, ad esempio quelli stagionali. Altri ancora stabiliscono le quote su base annuale dopo aver esaminato le esigenze del mercato del lavoro e consultato organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro.

Nella maggior parte degli Stati membri occorre effettuare una valutazione globale del mercato del lavoro prima di ammettere lavoratori extracomunitari. Questo principio è denominato "preferenza comunitaria" ed è stato espressamente riconosciuto quale principio guida per la selezione dei lavoratori extracomunitari dalla "risoluzione del Consiglio del 20 giugno 1994 sulle limitazioni all'ammissione di cittadini extracomunitari nel territorio degli Stati membri per fini di occupazione" [1]. La modalità di attuazione del principio varia in funzione dello Stato membro.

[1] GU C 274 del 19.9.1996, pag. 3.

Nel complesso le proiezioni di occupazione evidenziano carenza di manodopera nell'UE dovuta all'invecchiamento della forza lavoro e alla sua contrazione dopo il 2010. Inoltre, la ricerca indica che verosimilmente i flussi migratori non diminuiranno in un futuro prevedibile. Diversi studi hanno esaminato la questione se l'immigrazione costituisca o meno una soluzione per il declino demografico previsto. La comunicazione della Commissione su immigrazione, integrazione e occupazione [2] ammetteva che nei prossimi anni l'immigrazione sarà sempre più necessaria per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro UE. Tuttavia, allo stesso tempo è generalmente riconosciuto che l'immigrazione non è la soluzione all'invecchiamento demografico e che un tasso di immigrazione netto più elevato non esonererà i responsabili politici dall'attuare modifiche strutturali e di altro tipo per gestire l'impatto dell'invecchiamento demografico.

[2] Commissione europea - Comunicazione della Commissione su immigrazione, integrazione e occupazione COM(2003) 336.

Molti studi hanno evidenziato la difficoltà di conciliare l'immigrazione con le esigenze del mercato del lavoro. Da un lato, le previsioni del mercato del lavoro non sono certamente infallibili né forniscono sempre indicazioni precise sulle future tendenze e, dall'altro, gli attuali flussi migratori complessivamente non corrispondono alla richiesta predominante nel mercato del lavoro di lavoratori altamente qualificati o con competenze specifiche. Mentre in molti Stati membri è confermata la tendenza degli immigrati a lavorare in settori poco qualificati, questa situazione non riflette necessariamente le loro competenze poiché alcuni di essi sono eccessivamente qualificati per il lavoro che svolgono. [3] Le esperienze passate in materia di immigrazione hanno dimostrato che è estremamente difficile monitorare la durata del soggiorno e la mobilità geografica e occupazionale dei migranti. Le previsioni sull'occupazione devono inoltre prendere in considerazione altre categorie di migranti per i quali la selettività non è necessariamente applicabile (ammissione per motivi di protezione internazionale e ricongiungimento familiare). Infine, lo studio rivela che esiste chiaramente l'esigenza di politiche di integrazione più efficaci per sfruttare il pieno potenziale dei migranti.

[3] Commissione europea - Comunicazione della Commissione su immigrazione, integrazione e occupazione COM(2003) 336.

1.3 Accordi bilaterali sulla manodopera

I nuovi e i vecchi Stati membri hanno concluso diversi accordi bilaterali sulla manodopera per l'ammissione di cittadini extracomunitari. Questi accordi sono finalizzati principalmente a soddisfare le esigenze di manodopera nel paese ricevente; tuttavia, esistono diversi motivi secondari per stipulare tali accordi riassumibili nelle seguenti categorie: apertura di nuovi canali per la migrazione, miglioramento dei rapporti con i paesi terzi, agevolazione di legami storici e scambi culturali, soluzioni migliori per gestire i flussi migratori e combattere la migrazione clandestina. Spesso questi fattori sono presenti in modo combinato.

È possibile operare una distinzione geografica tra gli Stati membri in funzione dell'approccio agli accordi bilaterali. Nei paesi dell'Europa settentrionale, i primi accordi bilaterali risalgono al dopoguerra e furono adottati in risposta a carenze specifiche dei mercati del lavoro nazionali. Molti furono conclusi con paesi dell'Europa meridionale prima del loro ingresso nell'UE. Sebbene fossero orientati prevalentemente al mercato del lavoro, gli accordi avevano anche altre finalità, come ad esempio mantenere "rapporti speciali" con le ex-colonie. A partire dagli anni settanta, questi primi accordi bilaterali furono in gran parte abbandonati a causa della recessione economica. Gli accordi bilaterali conclusi in tempi più recenti tendenzialmente sono incentrati sull'ammissione di lavoratori stagionali che, in generale, arrivano per lavorare nell'agricoltura, l'edilizia, il turismo e la ristorazione, settori nei quali la richiesta di questo tipo di lavoratore è costante. I nuovi accordi bilaterali stagionali in parte sono stati realizzati per offrire canali legali a flussi di lavoratori stagionali un tempo clandestini, in particolare nel settore agricolo. Gli accordi bilaterali sono stati usati anche per promuovere rapporti migliori con i paesi vicini, soprattutto quelli candidati all'adesione durante gli anni novanta, contribuendo a migliorarne l'allineamento economico con l'UE. Inoltre, numerosi nuovi Stati membri hanno firmato accordi bilaterali con i vicini dell'est con livelli di successo variabili.

Negli ultimi anni, i paesi dell'Europa meridionale hanno intensificato la partecipazione ad accordi bilaterali per l'ammissione di lavoratori temporanei o stagionali. In parte, la situazione si è resa necessaria per soddisfare le esigenze di manodopera in alcuni settori di questi paesi. Tuttavia, alcuni accordi mirano a inaugurare nuovi percorsi legali per la migrazione dovuta a motivi economici dai principali paesi d'origine di migranti clandestini e rafforzare il quadro di cooperazione generale con i paesi terzi al fine di migliorare la lotta contro l'immigrazione clandestina.

Studio dei casi- Spagna

La Spagna ha concluso accordi bilaterali con sei paesi [4], molti dei quali rientravano tra i principali paesi d'origine di flussi migratori clandestini, nell'intento di rafforzare il quadro generale di cooperazione e prevenire l'immigrazione clandestina e lo sfruttamento dei lavoratori. Gli accordi hanno un formato standard e consentono l'assunzione di tirocinanti e lavoratori stagionali o permanenti, normalmente di età compresa tra 18 e 35 anni. Inoltre, prevedono capitolati sulle procedure di selezione, le condizioni di lavoro e i diritti sociali, il rimpatrio dei migranti e disposizioni sulla lotta contro l'immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani. Per i lavoratori stagionali sono previste disposizioni speciali che li obbligano a firmare una dichiarazione nella quale si impegnano a tornare nel paese d'origine al termine del contratto. Inoltre, devono presentarsi presso la sede del consolato spagnolo nel loro paese d'origine entro un mese dal rimpatrio. La maggior parte di questi accordi si è rivelata efficace nella pratica, soprattutto per i lavoratori stagionali. Il numero di lavoratori ammessi è fissato tramite quote definite per ciascun settore di lavoro anziché per nazionalità.

[4] Romania, Bulgaria, Ecuador, Colombia, Repubblica Dominicana, Marocco.

I diritti concessi ai lavoratori nell'ambito di questi accordi variano secondo l'obiettivo dell'accordo e i termini e le condizioni negoziate tra il paese d'accoglienza e il paese d'origine. Nella maggior parte dei casi, i lavoratori ammessi hanno diritto alle stesse condizioni di lavoro e la stessa retribuzione dei cittadini locali. Alcuni accordi contengono disposizioni che garantiscono il rimpatrio dei lavoratori al termine del soggiorno, ad esempio tramite il trasferimento di contributi previdenziali, e talvolta impongono ai datori di lavoro il versamento di un deposito per ciascun lavoratore ammesso, rimborsabile solo in caso di effettivo rimpatrio del lavoratore. I diritti al ricongiungimento familiare non sono previsti per i lavoratori stagionali, il che contribuisce ulteriormente a garantirne il rimpatrio. Partecipare ad accordi bilaterali è vantaggioso per molti cittadini extracomunitari, i quali spesso traggono il loro sostentamento dalla partecipazione regolare a questo genere di programmi. Si calcola che la maggior parte dei lavoratori spedisca almeno il 50% dei propri guadagni nel paese d'origine. Per i lavoratori gli accordi bilaterali sono un metodo interessante per sviluppare le loro competenze, sperimentare condizioni di lavoro migliori, guadagnare moneta forte e soggiornare in un altro paese.

La responsabilità per la gestione degli accordi bilaterali sembra essere condivisa tra i ministeri del lavoro e dell'immigrazione a livello locale, regionale e nazionale. Spesso si crea un partenariato tra diverse parti interessate, come ad esempio i sindacati, i datori di lavoro, gli uffici di collocamento e il governo centrale. In alcuni Stati membri, le amministrazioni regionali svolgono un ruolo sempre più attivo nell'assunzione di lavoratori stranieri. Poiché molti lavoratori ammessi ai sensi di accordi bilaterali sono assunti presso imprese di piccole e medie dimensioni, gli uffici di collocamento regionali si trovano in una posizione privilegiata per rispondere alle esigenze specifiche dell'economia locale. Nel caso di programmi consolidati, molti datori di lavoro e agenzie private sono attivamente coinvolti nell'assunzione dei lavoratori. Alcuni paesi d'accoglienza hanno istituito uffici nei paesi terzi per reclutare e addirittura fornire formazione ai lavoratori destinati all'ammissione. In taluni casi, le stesse società sono state coinvolte in questo processo e ora mandano il proprio personale nei paesi d'origine affinché recluti e formi i lavoratori in modo da facilitarne l'integrazione nell'azienda al loro arrivo nello Stato membro.

1.4 Uso delle quote per regolamentare le azioni bilaterali

Le quote sono state usate da diversi Stati membri nell'ambito di accordi bilaterali, sebbene il numero di lavoratori ammessi vari secondo l'obiettivo dell'azione e il paese d'origine. I governi definiscono le quote annualmente, previa consultazione con gli enti interessati tra cui l'industria, i datori di lavoro, i sindacati e gli uffici di collocamento, in modo da riflettere le esigenze del mercato del lavoro. Normalmente le quote sono definite per ciascun settore di occupazione, anche se alcuni paesi le specificano per ciascuna regione geografica e, in taluni casi, per paese d'origine dei candidati. Alcuni Stati membri fissano quote relativamente elevate per i lavoratori stagionali, in quanto si è rivelato estremamente difficile trovare lavoratori interni disposti a svolgere le attività richieste o a spostarsi entro i confini del paese nella zona in cui sono necessari.

Studio dei casi - Italia

L'Italia ha un sistema di quote ben sviluppato in vigore dal 1998. Secondo la normativa introdotta all'epoca, il governo pubblica un decreto annuale in cui sono indicate le quote suddivise per regione e settore occupazionale. Le quote sono fissate in base all'accordo tra diversi enti, tra cui il ministero del lavoro, gli uffici locali e regionali, i sindacati e i datori di lavoro. Il totale delle quote è calcolato secondo i tassi di occupazione locali. Il decreto comprende le cosiddette "quote privilegiate" che fissano il numero massimo di lavoratori extracomunitari provenienti da paesi specifici [5]. Per certi versi queste quote non sembrano rientrare nei calcoli del mercato del lavoro, ma sono invece fissate su livelli sufficientemente bassi (fino a un massimo di 3000 lavoratori all'anno per paese) da garantire che saranno facilmente assorbite nel mercato del lavoro. Le quote sono offerte ai paesi terzi in cambio della loro collaborazione in materia di riammissione e riduzione dei flussi migratori clandestini e, come si è verificato in passato, possono essere ridotte se viene ritenuto che il paese terzo non collabora pienamente. Nel 2001, la quota del Marocco è stata ridotta per questo motivo.

[5] Albania, Tunisia, Marocco, Egitto, Nigeria, Moldavia, Sri Lanka, Bangladesh, Pakistan.

Numerosi Stati membri sono critici rispetto alla potenziale inflessibilità insita nell'offerta di quote di lavoratori come incentivo per migliorare la cooperazione dei paesi terzi nella lotta contro l'immigrazione illegale. Il timore è che gli accordi bilaterali basati su quote possano limitare la capacità degli Stati di soddisfare le esigenze del mercato del lavoro. Sebbene la riduzione delle quote appaia accettabile come sanzione per la mancata cooperazione di un paese terzo, ridurre le quote negli stessi termini per motivi politici e/o legati al mercato del lavoro potrebbe rivelarsi difficile. Un altro fattore che occorre considerare è il potenziale effetto discriminatorio delle quote preferenziali sui paesi esclusi da accordi di questo tipo. Anche se queste azioni mirano a facilitare la cooperazione con alcuni paesi terzi, quelli a cui non è offerto un trattamento simile potrebbero rinvenirvi un motivo per ostacolare la cooperazione con l'UE. È quindi ragionevole affermare che, nel breve termine, le quote preferenziali possono facilitare la cooperazione con i paesi terzi specifici, mentre rischiano di ostacolare quella con gli altri paesi terzi nel lungo termine.

1.5 Misure di regolarizzazione

Il fatto che molti cittadini extracomunitari risiedano e lavorino illegalmente in Europa e che alcuni Stati membri promuovano programmi intesi a "regolarizzarli" dimostra i limiti delle misure in vigore per gestire i canali di immigrazione legale esistenti. Sebbene non rientri negli obiettivi standard della politica di immigrazione, la regolarizzazione è diventata un elemento caratteristico degli Stati membri, come dimostrano le oltre 26 operazioni intraprese in tal senso dagli anni settanta. L'uso e le motivazioni che stanno dietro la regolarizzazione negli Stati membri sono variabili; in alcuni essa non è mai utilizzata, mentre in altri è un fenomeno più ricorrente. La frequenza delle operazioni di regolarizzazione ha evidenziato una netta tendenza all'aumento a partire dalla metà degli anni novanta. In generale, i nuovi Stati membri sono diventati oggetto di immigrazione in tempi relativamente recenti e dunque non hanno promosso regolarizzazioni, salvo decisioni caso per caso. È utile distinguere tra regolarizzazioni temporanee, che prevedono la concessione di un permesso di soggiorno con durata limitata alle persone regolarizzate, rinnovabile solo se sono soddisfatte determinate condizioni, e regolarizzazioni definitive con le quali i migranti ottengono lo status di residenza permanente. Nella maggior parte dei casi, gli Stati membri tendono a concedere permessi temporanei rinnovabili; ciò significa che i titolari possono rientrare nuovamente in uno status illegale qualora, in un secondo momento, non soddisfino più le condizioni del permesso. In questo modo è possibile che alcuni migranti siano regolarizzati una seconda volta ai sensi di successivi programmi di regolarizzazione.

Studio dei casi - Belgio

Il Belgio ha attuato due programmi di regolarizzazione su larga scala: uno nel 1974 e l'altro nel 1999. La regolarizzazione del 1999 doveva essere una misura "una tantum" destinata a mettere fine all'emarginazione di quanti, pur essendo clandestini, erano tuttavia integrati nella vita sociale ed economica del Belgio. L'altra motivazione principale era rafforzare la coesione sociale e combattere le reti criminali che sfruttano i migranti illegali. In pratica, l'operazione ha permesso al governo di regolarizzare coloro che non potevano essere rimpatriati a causa delle condizioni di salute, che risiedevano illegalmente in Belgio da lungo tempo ed erano ben integrati e anche coloro che attendevano la risposta a una domanda di asilo da oltre tre anni. I candidati hanno avuto a disposizione un periodo di tre settimane per presentare le domande, durante il quale il Belgio ha ripristinato i controlli di frontiera per prevenire l'afflusso di migranti illegali dagli Stati membri vicini.

Sono state presentate oltre 37.146 domande di regolarizzazione, per un totale di oltre 50.000 persone, l'80% delle quali è stato riconosciuto. La valutazioni preliminari del programma di regolarizzazione indicavano un aumento dei flussi migratori illegali successivamente all'adozione della misura; di fatto, si ritiene che l'operazione abbia inviato un segnale sbagliato ai potenziali migranti illegali, convincendoli che, alla fine, il loro soggiorno sarà tollerato. Tra le conseguenze della regolarizzazione è stato notato anche il successivo aumento di domande di ricongiungimento familiare, passate da 2122 nel 1999 a 4500 nel 2003.

La maggior parte degli Stati membri riconosce che, per motivi pratici, può nascere l'esigenza di regolarizzare persone che non soddisfano i normali criteri per la concessione del permesso di soggiorno. Tramite le operazioni di regolarizzazione, i governi cercano di portare questi migranti nella società anziché lasciarli ai margini, dove sono esposti allo sfruttamento. Alcuni paesi rifiutano di effettuare regolarizzazioni tranne in circostanze eccezionali, nelle quali decidono caso per caso. Preferiscono invece promuovere le cosiddette regolarizzazioni a scopo umanitario o di protezione, con le quali viene concesso il diritto di soggiorno a specifiche categorie di persone che altrimenti non sarebbero ammesse a beneficiare della protezione internazionale, ma che tuttavia non possono essere rimpatriate nel paese d'origine. Questo genere di regolarizzazione è spesso correlato alla politica in materia di asilo. Alcuni Stati membri hanno realizzato programmi di regolarizzazione mirati del tipo descritto destinati a gruppi di richiedenti asilo provenienti da paesi di cui hanno accolto flussi significativi, ma che sono rimasti nel loro territorio per un lungo periodo, come ad esempio quelli fuggiti dal conflitto nell'ex Repubblica di Jugoslavia.

Altri sono disposti a promuovere regolarizzazioni basate sulla logica del fatto compiuto. Alcuni hanno realizzato singole misure "una tantum", mentre altri hanno avuto bisogno di ricorrere a queste misure con maggior frequenza. I programmi basati sulla logica del fatto compiuto comportano la regolarizzazione di migranti illegali, solitamente quelli che già lavorano illegalmente. Il bisogno di organizzare questo tipo di regolarizzazione in molti Stati membri rivela l'esistenza di un'economia dinamica nascosta ed è basato in parte su motivazioni economiche. Alcune di queste regolarizzazioni avvenute in uno Stato membro sono state promosse dai datori di lavoro, in considerazione del fatto che taluni settori, in particolare i servizi domestici, dipendevano da manodopera illegale che è preferibile portare all'interno dell'economia ufficiale. Lo sviluppo di questo settore suggerisce nuove aperture nel mercato del lavoro legate all'invecchiamento demografico e la nuova richiesta di servizi di assistenza per gli anziani. Le regolarizzazioni su vasta scala hanno implicazioni per diversi settori della società, poiché i governi devono assicurarsi che le misure abbiano il sostegno degli attori principali, tra cui i datori di lavoro e i sindacati, e contemporaneamente introdurne altre contro la migrazione illegale per non perdere il sostegno del pubblico.

Lo studio ha valutato l'efficacia del programmi di regolarizzazione tanto per i migranti interessati che per lo Stato. In primo luogo, tali programmi permettono una migliore gestione della popolazione, offrendo ai governi un'idea più chiara delle persone presenti nei rispettivi territori. Inoltre, contribuiscono a combattere il lavoro illegale e aumentare le entrate dello stato attraverso la tassazione e i pagamenti previdenziali inserendo i lavoratori illegali nel mercato del lavoro regolare, purché le persone interessate riescano a mantenere o ottenere un'occupazione regolare. Tuttavia, occorre osservare che l'efficacia delle regolarizzazioni è stata messa in dubbio per quanto riguarda la riduzione del mercato del lavoro irregolare. D'altra parte, alcuni ritengono che le regolarizzazioni in una certa misura costituiscano una forma di incoraggiamento per la migrazione illegale. L'esperienza degli Stati membri in cui sono stati realizzati programmi di regolarizzazione su vasta scala sembra indicare che queste misure tendono a perpetuarsi poiché spesso, solo pochi anni dopo, sono necessarie altre azioni su vasta scala. Uno studio sui programmi di regolarizzazione in otto Stati membri ha rivelato che mediamente vengono attuati ogni 6,5 anni, confermando la persistenza dell'immigrazione ed il periodico riformarsi di determinate riserve di migranti irregolari.

PARTE 2 - RELAZIONE TRA FLUSSI MIGRATORI LEGALI E ILLEGALI E RAPPORTI CON I PAESI TERZI

Esistono numerose forme di migrazione illegale. Alcuni migranti penetrano illegalmente nel territorio di uno Stato membro via terra, aria o mare. Altri si servono di documenti falsi o falsificati, mentre altri ancora cercano di entrare in modo autonomo o affidandosi a reti criminali organizzate, attive soprattutto nelle due forme di immigrazione illegale più odiose, e cioè le reti di trafficanti che agiscono per motivi non umanitari e per sfruttare i cittadini stranieri nella tratta di esseri umani. Una percentuale significativa di residenti illegali entra legalmente con visto valido o in un regime senza visti, ma rimane oltre il periodo autorizzato o per motivi diversi da quelli dichiarati senza l'autorizzazione delle autorità. Alcuni, tra cui i richiedenti asilo respinti, passano a uno status illegale se non abbandonano immediatamente il paese dopo che la loro domanda di asilo è stata esaminata.

I problemi relativi all'identificazione del numero e delle caratteristiche dei migranti nonché dei flussi registrati, sia legali che illegali, sono ben documentati. I migranti illegali non si identificano presso le autorità, dunque, per definizione, è difficile ottenere un quadro esatto della dimensione dell'immigrazione illegale negli Stati membri dell'Unione europea. Le stime sui flussi migratori possono essere desunte soltanto dagli indicatori esistenti correlati al fenomeno, ad esempio il numero delle domande d'ingresso rifiutate e di allontanamenti, di fermi di migranti clandestini effettuati alla frontiera o nel territorio del paese, di domande di asilo o altra forma di protezione internazionale respinte o ancora di richieste di regolarizzazione del soggiorno in base alla legislazione nazionale. A queste cifre occorre aggiungere il numero considerevole di quanti non fanno domanda per ottenere alcuna forma di protezione internazionale perché sono entrati illegalmente o rimangono oltre il periodo autorizzato. Sulla base di questi indicatori, l'afflusso annuale nell'UE di migranti clandestini dovrebbe superare la soglia delle sei cifre. Dati più precisi non possono essere ritenuti affidabili. Inoltre, queste stime non permettono di capire meglio la complessità dell'immigrazione illegale e possono dare luogo a interpretazioni errate. Ciononostante, la dimensione della migrazione illegale è ritenuta significativa e la riduzione dei flussi migratori illegali è una priorità politica a livello nazionale e comunitario. Al fine di promuovere soluzioni politiche efficaci per combattere il fenomeno è dunque importante capire chi siano i migranti illegali e perché vengano nell'UE.

Le ricerche sul profilo dei migranti illegali sono piuttosto scarse. Tuttavia, le prove esistenti suggeriscono che la percentuale più elevata di persone in condizioni di soggiorno irregolare è rappresentata da uomini di età compresa tra 20 e 30 anni, giovani, mobili e disposti a correre rischi. Tra i migranti illegali è stato inoltre osservato un aumento del numero di giovani donne e una percentuale molto inferiore di anziani appartenenti ad entrambi i sessi. Alcune informazioni in possesso degli Stati membri indicano che, generalmente, i migranti illegali sono poco qualificati e dunque solitamente non corrispondono alle esigenze del mercato del lavoro dichiarato. Tuttavia, altre ricerche suggeriscono che un numero sempre maggiore di migranti illegali sono più istruiti e scelgono di migrare alla ricerca di una vita migliore. Solitamente la decisione di venire nell'UE è motivata da fattori diversi; le considerazioni economiche non sono assolutamente l'unico elemento preso in considerazione. La decisione di migrare è basata sulla valutazione individuale di alcuni elementi negativi, tra cui la disoccupazione o livelli di retribuzione costantemente bassi, disastri naturali o devastazioni ecologiche, e di alcuni elementi positivi, come ad esempio un settore informale e occupazione con stipendi più elevati, la stabilità politica, il rispetto del principio della legalità e la protezione effettiva dei diritti umani o condizioni di lavoro diverse. I migranti illegali prendono la loro decisione al riguardo nonostante la presenza di numerosi altri fattori che hanno un effetto deterrente, tra cui i costi elevati dei servizi di agevolazione alla migrazione e il rischio di intercettazione e azioni legali da parte delle autorità di frontiera.

Una volta nell'UE, molti migranti illegali trovano lavoro nell'economia sommersa, dimostrando l'esistenza di un chiaro legame tra i migranti illegali e il mercato del lavoro non regolarizzato. Si calcola che nell'UE l'economia sommersa rappresenti il 7-16% del PIL comunitario [6], anche se non è formata interamente da migranti illegali. I migranti illegali traggono il loro sostentamento lavorando prevalentemente in settori che non richiedono grandi competenze, quali l'edilizia, l'agricoltura, la ristorazione o i servizi di pulizia e i lavori domestici. Spesso vengono ingaggiati per i cosiddetti lavori "3 D", ovverosia sporchi, pericolosi e faticosi (dall'inglese "dirty, dangerous and demanding"), che sono disdegnati dalla forza lavoro interna. La tendenza a usare migranti illegali nell'economia sommersa con esigenza di lavoratori poco qualificati non è dovuta solamente al fatto che non hanno lo status appropriato, le qualifiche o le competenze linguistiche richieste per altri lavori. I migranti illegali qualificati possono infatti incontrare difficoltà a trovare lavoro nel settore per il quale sono stati formati, da un lato, perché non hanno permessi di lavoro appropriati e, dall'altro, perché nell'UE le loro qualifiche non sono riconosciute. Negli Stati membri, queste persone lavorano illegalmente in settori per i quali sono richieste scarse qualifiche perché non hanno una documentazione adeguata e spesso lo stipendio è superiore a quello del lavoro qualificato che avevano nel paese d'origine.

[6] Risoluzione del Consiglio sulla trasformazione del lavoro non dichiarato in occupazione regolare, ottobre 2003.

2.1 Impatto degli accordi bilaterali relativi alla manodopera sui flussi migratori illegali

Innanzitutto occorre distinguere tra le azioni bilaterali che ammettono lavoratori stagionali e quelle che ammettono lavoratori temporanei o permanenti. In un primo momento, la maggior parte delle azioni che ammettevano la seconda categoria di lavoratori erano sostanzialmente finalizzate a soddisfare le esigenze del mercato del lavoro. Alcuni Stati membri ritengono che tali azioni abbiano avuto l'effetto di aumentare la pressione migratoria, in quanto molte delle persone ammesse sono diventate residenti permanenti e successivamente hanno presentato domanda di ricongiungimento familiare.

Gli Stati membri che hanno sottoscritto accordi bilaterali, motivati in parte dalla speranza di limitare i flussi migratori, offrono valutazioni diversificate sull'impatto delle azioni. La maggior parte non vede un legame diretto fra l'introduzione di azioni bilaterali e la riduzione dei flussi migratori. Molti sono giunti alla conclusione che è difficile identificare l'impatto degli accordi bilaterali sui flussi migratori illegali, poiché spesso sono in gioco numerosi altri fattori che contribuiscono a limitare l'immigrazione illegale. In diversi Stati membri l'introduzione di azioni bilaterali risale a tempi relativamente recenti ed è pertanto troppo presto per stabilire se queste misure hanno prodotto un impatto duraturo in termini di riduzione dei flussi illegali. Alcuni hanno riscontrato che la firma di accordi bilaterali da sola non è stata sufficiente a ridurre la migrazione illegale e che, invece, ha contribuito a rafforzare la cooperazione con i paesi terzi riguardo alle problematiche generiche in materia di migrazione.

Solo uno Stato membro ritiene che l'introduzione di azioni bilaterali nel settore del lavoro abbia avuto un impatto diretto sulla riduzione dei flussi migratori illegali. Tuttavia, in questo caso l'impatto non può essere attribuito esclusivamente alle azioni bilaterali in questione, poiché sono state offerte come incentivo alla sottoscrizione di accordi di riammissione e rientravano in un pacchetto di misure atte a facilitare la cooperazione con i paesi terzi, che comprendeva tra l'altro assistenza finanziaria, cooperazione della polizia, formazione e sviluppo di capacità. Inoltre, nel periodo a cui risale la diminuzione dei flussi illegali, la percezione generale era quella di un calo globale della migrazione illegale nell'UE.

Occorre riconoscere che in certa misura la migrazione illegale continuerà ad esistere indipendentemente dai canali legali a disposizione, poiché esisteranno sempre fattori positivi o negativi sui quali non possono influire. Alcuni migranti che desiderano raggiungere l'UE non avranno diritto a partecipare a tali azioni o le azioni non avranno una portata sufficiente per ammettere tutti coloro che desiderano partecipare. Inoltre, come spiegato sopra, le ragioni che spingono i migranti a venire nell'UE sono complesse e non soltanto basate su motivazioni economiche. Alcuni migranti che finiscono per soggiornare illegalmente negli Stati membri hanno abbandonato il paese d'origine a causa di conflitti o instabilità, ma singolarmente non soddisfano i criteri per beneficiare di protezione umanitaria.

In sintesi, l'impatto degli accordi bilaterali nel settore della manodopera sui flussi migratori illegali dipende in parte dalla motivazione alla base dell'azione. Considerati i diversi fattori coinvolti, è impossibile isolare in modo conclusivo l'impatto delle azioni, anche quando esse miravano principalmente a limitare i flussi migratori illegali.

2.2 Impatto della politica in materia di visti sui flussi migratori illegali.

Se si escludono gli accordi bilaterali sulla manodopera, la maggior parte degli Stati membri e dei nuovi Stati membri ha un'esperienza limitata nell'uso di altre misure in materia di migrazione legale finalizzate a ridurre i flussi migratori illegali. I cambiamenti della politica in materia di visti sono una delle soluzioni tradizionali adottate per regolamentare i flussi migratori. Da quando è entrato in vigore il trattato di Amsterdam nel 1999, la Comunità ha competenza sulla politica in materia di visti degli Stati membri (ad eccezione di Gran Bretagna e Irlanda), compresa la definizione degli elenchi dei paesi terzi i cui cittadini sono soggetti all'obbligo del visto e di quelli i cui cittadini ne sono esenti [7]. La decisione in merito è presa dopo aver ponderato, "caso per caso, i vari criteri attinenti in particolare all'immigrazione clandestina, all'ordine pubblico e alla sicurezza, alle relazioni esterne dell'Unione europea con i paesi terzi, pur tenendo conto anche delle implicazioni di coerenza regionale e di reciprocità".

[7] Regolamento del Consiglio (CE) n.° 539/2001.

La modifica degli elenchi è decisa a maggioranza qualificata dal Consiglio su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo. Da quando esistono gli elenchi, solo pochi paesi sono stati trasferiti dall'elenco di quelli soggetti all'obbligo del visto all'elenco di quelli che ne sono esenti e viceversa. Nel 2000 la Commissione ha proposto di spostare Bulgaria e Romania dal primo al secondo elenco, a testimonianza delle relazioni più strette tra questi paesi e l'UE e nell'ottica della libera circolazione dei cittadini. Nel marzo 2001, il Consiglio ha accolto la proposta dopo aver valutato due rapporti dettagliati sulle misure adottate per la lotta contro i flussi migratori illegali, per i controlli di frontiera e per la politica in materia di visti. Le restrizioni in materia di visto sono state abolite nel gennaio 2002.

Nel marzo 2003, il Consiglio ha deciso [8] di spostare l'Ecuador dall'elenco dei paesi terzi i cui cittadini non devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne a quello dei paesi terzi i cui cittadini sono soggetti a tale obbligo. La decisione è stata basata principalmente su considerazioni relative ai rischi provati dell'immigrazione illegale, sostenute da cifre e statistiche fornite da alcuni Stati membri. L'impatto della decisione non è ancora stato valutato a causa del breve periodo di attuazione. La valutazione sarà essenziale e potrebbe confermare se esiste un legame diretto tra l'imposizione di restrizioni in materia di visto e il rallentamento della migrazione illegale. Appare invece alquanto difficile dimostrare che esiste un legame tra l'abolizione delle restrizioni in materia di visto e il successivo aumento della migrazione illegale. Le esperienze in materia sono diverse e sembrano indicare l'esistenza di numerosi altri fattori che intervengono in favore o contro un aumento dei flussi.

[8] Regolamento del Consiglio (CE) n.° 453/2003 del 6.3.2003, GU L 69 del 13.3.2003.

Per quanto riguarda la politica in materia di visto dei paesi terzi, un esempio interessante è il cambiamento dei regimi di visto attuato in Bosnia-Erzegovina, un importante paese di transito per la migrazione illegale nell'UE. L'introduzione da parte delle autorità di regimi di visto per i cittadini iraniani e turchi ha portato a una significativa diminuzione del numero di migranti che da questi paesi raggiungevano illegalmente l'UE attraverso la Bosnia-Erzegovina.

2.3 Impatto della cooperazione con i paesi terzi sui flussi migratori illegali

Il Consiglio europeo di Tampere e diversi Consigli europei successivi hanno sottolineato l'esigenza di un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci le questioni connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei paesi e delle regioni di origine e transito. Il partenariato con i paesi terzi era considerato un elemento fondamentale per il successo di queste politiche. Dopo Tampere, la Commissione si è particolarmente adoperata per integrare la politica in materia di migrazione nei programmi e nelle politiche esterne dell'UE. La comunicazione sull'integrazione delle questioni connesse all'emigrazione nelle relazioni con i paesi terzi [9] sottolineava il potenziale di maggiori sinergie tra le politiche in materia di migrazione e sviluppo. I Consigli europei di Siviglia e Salonicco hanno esaminato in particolare gli sforzi che dovrebbero compiere i paesi terzi per combattere la migrazione illegale. Il Consiglio Affari generali dell'8 dicembre 2003 ha istituito un meccanismo di monitoraggio e valutazione. La Commissione è stata invitata a presentare una relazione annuale sulla cooperazione con i paesi terzi, la prima delle quali è attesa per la fine del 2004. La relazione conterrà un quadro degli sforzi intrapresi dai paesi terzi nella lotta contro la migrazione illegale e dell'assistenza tecnica e finanziaria fornita dall'UE e dagli Stati membri.

[9] COM(2002) 703 del 3.12.2002.

La cooperazione dei paesi terzi è fondamentale per ridurre i flussi migratori illegali e, in questo contesto, è importante valutare l'impatto delle diverse misure e incentivi usati. L'esperienza degli Stati membri e dei nuovi Stati membri nello sviluppo della cooperazione con i paesi terzi per il controllo del flussi migratori illegali attraverso mezzi informali appare limitata. Per alcuni si è rivelato più efficace concludere accordi relativi alle guardie di frontiera o alla collaborazione della polizia, nei quali rientrava un elemento sulla riammissione, anziché accordi formali di riammissione. Questi accordi hanno permesso agli Stati membri di sviluppare meccanismi utili per lo scambio di informazioni e le attività di formazione in comune che non hanno richiesto l'uso di incentivi. L'assistenza tecnica spesso prevista dagli accordi si è dimostrata molto utile nella pratica. Altri Stati membri hanno avviato forme di cooperazione informale con i paesi di transito per contrastare particolari flussi provenienti da paesi terzi senza definire accordi di riammissione formali. In questo modo, la cooperazione ad hoc può produrre risultati vantaggiosi in risposta a flussi specifici provenienti da paesi che altrimenti sarebbero restii a concludere accordi di riammissione formali. Gli Stati membri e i nuovi Stati membri hanno inoltre firmato accordi di riammissione formali e informali con paesi terzi per facilitare il processo di rimpatrio. Nel contesto di formali negoziati di riammissione nazionale, gli Stati membri non sono disposti a offrire incentivi ai paesi terzi per la firma degli accordi, poiché per tali paesi vige l'obbligo internazionale di riammettere i loro cittadini. Tuttavia, alcuni lo fanno quando gli accordi prevedono la riammissione di cittadini propri e di paesi terzi, poiché viene riconosciuto che firmare accordi di riammissione generalmente è più vantaggioso per gli Stati membri che i paesi terzi. I diversi tipi di incentivi offerti comprendono l'assistenza e il supporto tecnico nel controllo dei flussi migratori, la formazione per il controllo delle frontiere e la cooperazione della polizia e la fornitura di tecnologie e attrezzature che contribuiscano alla capacità dei paesi terzi di gestire i flussi migratori. Normalmente gli incentivi non sono indicati nel testo degli accordi di riammissione per garantire che non ne condizionino l'attuazione. Uno Stato membro ha offerto quote di lavoratori ai paesi terzi nell'ambito di accordi bilaterali. L'impatto di questa politica è stato analizzato nella sezione 1.4.

Visto lo stato attuale dei negoziati, potrebbe essere necessario un approccio diverso agli incentivi per la conclusione di accordi di riammissione comunitari. Durante i negoziati, i paesi terzi chiedono, tra l'altro, una migliore integrazione dei loro cittadini negli Stati membri, l'abolizione delle restrizioni in materia di visto, l'agevolazione di particolari categorie di persone per l'ottenimento del visto e quote di lavoratori permanenti o stagionali. Gli incentivi offerti finora per la conclusione di accordi comunitari comprendono l'agevolazione per l'ottenimento del visto, la cooperazione a livello di applicazione delle leggi e l'assistenza tecnica e finanziaria. I vantaggi di tali incentivi saranno esaminati in maniera più dettagliata nella prossima relazione della Commissione sulle priorità per lo sviluppo riuscito di una politica comune in materia di riammissione. Tuttavia, appare chiaro che in futuro occorrerà una gamma flessibile di incentivi per concludere gli accordi.

I paesi vicini all'UE si trovano ad affrontare sempre più spesso problemi legati alla migrazione. La presenza di una popolazione straniera in crescita può determinare tensioni sociali e i paesi di accoglienza si vedono costretti a incrementare gli sforzi per gestire la migrazione. La trasformazione dei paesi vicini o di transito in paesi di destinazione è oggetto di discussioni tra l'UE e i paesi terzi interessati. L'UE fornisce e intende continuare a fornire assistenza tecnica e finanziaria ai sensi degli strumenti comunitari rilevanti (Tacis, Meda, Eneas) per sostenere gli sforzi di questi paesi verso una migliore gestione della migrazione, compresa una politica efficace e preventiva nella lotta contro la migrazione illegale. Inoltre, nel nuovo strumento di prossimità, che la Commissione sta definendo per promuovere la cooperazione transfrontaliera, la gestione della migrazione figura tra i settori di cooperazione prioritari. Alcuni paesi vicini stanno elaborando piani d'azione mirati specificatamente alla migrazione illegale, di cui l'UE è disposta a sostenere l'attuazione.

PARTE 3 - PROSPETTIVE FUTURE

3.1 Rafforzamento delle consultazioni e dello scambio di informazioni a livello di UE

Lo studio ha evidenziato la chiara mancanza di dati affidabili e raffrontabili a livello UE. Sono già state adottate misure per migliorare la raccolta e l'analisi di dati statistici comunitari. Inoltre, la Commissione si è impegnata a preparare una relazione statistica annuale sulla migrazione, che comprende anche un'analisi statistica delle principali tendenze migratorie negli Stati membri. Nel giugno 2004 sarà presentata una proposta di regolamento sulla raccolta di dati comunitari in materia di migrazione, cittadinanza e asilo basata sul piano d'azione relativo ai dati statistici comunitari nel campo dell'immigrazione [10], a cui seguirà una serie di misure di attuazione.

[10] Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo concernente un piano di azione per la raccolta e l'analisi di dati statistici comunitari nel campo dell'immigrazione. COM(2003) 179.

I risultati dello studio evidenziano l'esigenza di ricorrere con maggiore frequenza e in modo più mirato a procedure di consultazione e scambio di informazioni in relazione a settori specifici che hanno un impatto significativo su numerosi Stati membri o sull'UE in generale. Nella comunicazione del novembre 2000 su una politica comunitaria in materia di immigrazione [11], la Commissione ha proposto di soddisfare tale esigenza ed ha fornito ulteriori dettagli in merito in due comunicazioni del 2001 [12]. Il Consiglio europeo di Laeken del 2001 ha chiaramente auspicato un migliore scambio di informazioni nel settore dell'immigrazione e dell'asilo. In risposta a questa richiesta, nel 2002 la Commissione ha formato un gruppo di esperti, denominato "Comitato sull'immigrazione e l'asilo", a cui ha affidato una procedura di comunicazione e consultazione per diffondere le migliori prassi e promuovere una maggiore convergenza delle politiche in materia di asilo e immigrazione. Il comitato ora si riunisce regolarmente.

[11] COM(2000) 757 def. del 22.11.2000.

[12] COM(2001) 387 def. e COM(2001) 710 def.

Gli accordi descritti sono completati dalla rete europea sulle migrazioni finalizzata a promuovere una base sistematica per il monitoraggio e l'analisi del fenomeno multidimensionale della migrazione e dell'asilo esaminandone diversi aspetti, tra cui quello politico, giuridico, demografico, economico e sociale - e identificandone le cause di fondo. Le informazioni rese disponibili o elaborate intendono offrire alla Comunità e gli Stati membri un quadro complessivo della situazione relativa alla migrazione e l'asilo nel momento in cui definiscono politiche, adottano decisioni o stabiliscono di attuare un'azione nei rispettivi settori di competenza. Il progetto pilota iniziale è stato approvato dal Consiglio europeo di Salonicco nel giugno 2003. Dopo averlo valutato nel corso del 2004, la Commissione esaminerà la possibilità di istituire una struttura permanente con base giuridica appropriata, tenendo presente una iniziativa parallela in esame nel quadro del Consiglio d'Europa.

Inoltre, sono state adottate altre misure per migliorare lo scambio di informazioni in settori specifici, in particolare l'istituzione di una rete di punti di contatto nazionali in materia di integrazione. Il Consiglio europeo di Salonicco ha approvato questa iniziativa sottolineando l'importanza di sviluppare la cooperazione e lo scambio di informazioni all'interno della rete soprattutto in vista di rafforzare il coordinamento di politiche rilevanti a livello nazionale ed europeo. Subito dopo, i punti di contatto nazionali hanno concordato un intenso programma di lavoro sullo scambio di informazioni e migliori prassi in tre settori politici, e cioè l'inserimento dei nuovi immigrati, la formazione linguistica e la partecipazione degli immigrati alla vita civile, culturale e politica. Insieme hanno deciso di realizzare un manuale sull'integrazione destinato a tecnici e responsabili politici. Tali sviluppi saranno riportati nella prima relazione annuale della Commissione sull'immigrazione e l'integrazione in corso di preparazione.

Altre misure sono state adottate per rafforzare lo scambio di informazioni nel settore dell'immigrazione illegale. Le iniziative in tal senso sono incentrate sullo scambio di informazioni operative nel contesto del gruppo di lavoro ad hoc del Consiglio denominato CIRSFI. In particolare, è stato messo a punto un sistema di allarme rapido al fine di scambiare informazioni sull'immigrazione clandestina e le rotte seguite dai trafficanti di esseri umani. Questo sistema sarà aggiornato tramite la creazione "sul web di una rete di informazione e coordinamento sicura per i servizi di gestione dell'immigrazione" [13].

[13] COM(2003) 727 def. del 25.11.2003.

La Commissione intende rafforzare lo scambio di informazioni e le consultazioni conformemente alle priorità descritte sopra nel quadro del Comitato sull'immigrazione e l'asilo. In una fase successiva, alla luce dell'esperienza maturata con questa procedura, sarà valutata l'utilità di proporre una base giuridica concreta per formalizzarne il funzionamento e garantire coerenza e complementarità tra i diversi forum.

3.2 Sviluppo di nuove iniziative nel quadro della politica comune sull'immigrazione

3.2.1. Sulla migrazione legale

Tutti gli Stati membri possiedono canali per l'ammissione di migranti per motivi di lavoro, soprattutto per cittadini extracomunitari con competenze specifiche. La maggior parte degli Stati membri è afflitta dalla scarsità di lavoratori qualificati e sta elaborando azioni di reclutamento come quelle illustrate nello studio dei casi su Germania e Gran Bretagna. In un certo senso, questi Stati membri sono in competizione tra loro nel reclutamento di lavoratori competenti di paesi terzi. La Commissione ritiene che nell'UE il reclutamento di lavoratori extracomunitari e l'immigrazione per motivi economici probabilmente continueranno e anzi aumenteranno a causa degli effetti dell'invecchiamento e del declino demografico. D'altra parte, i paesi terzi chiedono ripetutamente nuovi canali per la migrazione legale. Tuttavia, la proposta di direttiva in materia [14], presentata nel 2001, non ha ricevuto il sostegno del Consiglio. Pertanto, è necessario affrontare alcune questioni fondamentali per capire se l'ammissione di migranti per motivi economici deve essere disciplinata a livello comunitario. Gli aspetti che occorre chiarire riguardano il livello di armonizzazione al quale mirare, il campo di applicazione della proposta e l'opportunità di conservare il principio della preferenza comunitaria per il mercato del lavoro interno. Secondo la Commissione, le risposte a queste domande devono essere basate su due principi fondamentali: da un lato, il progetto di Trattato costituzionale che conferma la competenza europea per quanto riguarda la politica sulla migrazione, ma delega agli Stati membri la definizione del numero di migranti ammessi e, dall'altro, la necessità di basare le misure adottate in questo settore su un unico criterio, ovverosia il valore aggiunto di un'adozione a livello comunitario della misura in questione.

[14] Ibidem.

Nel corso dell'anno, la Commissione intende avviare un processo di consultazione globale sull'argomento, che permetterà di rispondere a queste domande. Come primo passo, entro la fine dell'anno sarà presentato un libro verde con il riepilogo delle scelte fatte dalla Commissione nel progetto di direttiva e la rivalutazione delle difficoltà sollevate in Consiglio. Alla fine del 2004 sarà organizzata un'audizione pubblica per riunire tutte le parti interessate: istituzioni, organizzazioni economiche e ONG.

Lo studio ha mostrato che le misure di regolarizzazione su vasta scala adottate da alcuni Stati membri hanno permesso di gestire in un'unica soluzione la presenza di numeri significativi di migranti illegali nel loro territorio. Tuttavia, si esclude che questi programmi producano effetti a lungo termine limitando i livelli di migranti illegali; al contrario, possono rappresentare un ulteriore fattore di attrazione per i clandestini, come sembra suggerire lo studio dei casi sul Belgio. Le misure su vasta scala hanno inoltre implicazioni per altri Stati membri a causa della soppressione dei controlli alle frontiere interne. In ogni caso, è inaccettabile per gli Stati tollerare soggiorni illegali di lunga durata di un numero significativo di cittadini extracomunitari.

La Commissione potrebbe proporre la definizione di un approccio comune alla regolarizzazione basato sul principio secondo cui le misure di regolarizzazione su vasta scala devono essere evitate o limitate a situazioni eccezionali. Lo studio attribuisce importanza al parere secondo cui le regolarizzazioni non dovrebbero essere considerate un mezzo per gestire i flussi migratori, come di fatto sembra avvenire spesso, bensì una conseguenza negativa della politica sulla migrazione in altri settori. Cionondimeno, occorre analizzare ulteriormente le procedure di regolarizzazione in vista di identificare e confrontare le prassi. Considerate le potenziali conseguenze della regolarizzazione su altri Stati membri, qualora uno Stato membro decida di attuare un programma di regolarizzazione su vasta scala, gli altri dovrebbero esserne informati con largo anticipo. Gli Stati membri dovrebbero essere inoltre consultati sulla portata della misura prevista, sul numero di persone suscettibili di essere coinvolte, sui criteri da usare e sul possibile impatto sugli altri Stati membri. Sulla base di questo scambio di informazioni e trasparenza reciproca, potrebbero essere definiti alcuni criteri comuni. Lo scambio potrebbe avvenire nel quadro del Comitato sull'immigrazione e l'asilo.

Lo studio ha confermato che, paradossalmente, nel momento in cui, negli Stati membri, si prospettano carenze in alcuni settori del mercato del lavoro che rivelano l'esigenza di una nuova politica in materia di immigrazione, il tasso di disoccupazione dei cittadini extracomunitari già residenti negli Stati membri rimane significativamente elevato. Rafforzare l'integrazione dei cittadini extracomunitari che risiedono legalmente negli Stati membri è un obiettivo essenziale per la politica dell'UE in materia di immigrazione, nonché una delle richieste avanzate dai paesi terzi durante le discussioni sulle problematiche della migrazione. La maggior parte di questi paesi si è impegnata a tutelare gli interessi dei propri cittadini anche quando vivono all'estero. I canali di immigrazione legale devono essere completati con misure atte a promuovere l'integrazione. La prima relazione annuale sull'immigrazione e l'integrazione, che sarà presentata al Consiglio europeo nel giugno 2004, descriverà i recenti sviluppi in questo campo.

Riguardo all'integrazione nel mercato del lavoro, la Strategia europea per l'occupazione offre il quadro politico per le riforme da attuare a livello nazionale. In particolare, gli orientamenti sull'occupazione per il 2003 invitano gli Stati membri a promuovere l'integrazione di persone svantaggiate nel mercato del lavoro e combattere qualsiasi forma di discriminazione cui sono potenzialmente soggette. I nuovi orientamenti stabiliscono, tra l'altro, l'obiettivo di ridurre il divario tra cittadini comunitari ed extracomunitari sotto il profilo della disoccupazione. Nel 2002, la percentuale di occupazione dei cittadini extracomunitari negli Stati membri (Europa a 15 membri) era significativamente inferiore rispetto a quella dei cittadini comunitari (52,7% contro 64,4%). La relazione "Occupazione in Europa 2003" conferma che questi divari rimangono importanti, sebbene varino notevolmente in funzione dello Stato membro.

La Strategia per l'occupazione ha sempre cercato di promuovere un'integrazione sostenibile nel mercato del lavoro e una maggiore mobilità nel mercato del lavoro UE per sostenere l'approvvigionamento di manodopera, massimizzare l'adattabilità e rispondere a esigenze a livello regionale o settoriale. I lavoratori migranti potrebbero contribuire a questo obiettivo ed è quindi auspicabile realizzare ulteriori progressi in vista di facilitare la mobilità dei cittadini extracomunitari nell'Unione europea. La direttiva relativa allo status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, adottata il 25 novembre 2003, ha introdotto il principio della mobilità per quanti hanno soggiornato per cinque anni nel territorio di uno Stato membro. La mobilità è stata inoltre facilitata con l'adozione dell'estensione ai cittadini extracomunitari del regolamento n. 1408/71. Anche la proposta della Commissione [15] sull'ammissione degli studenti stranieri, la cui adozione è attesa a breve, e quella sull'ammissione dei ricercatori, assicurano un certo livello di mobilità [16]. Questo principio potrebbe essere esteso ad altre categorie di cittadini extracomunitari. Inoltre, la proposta di una direttiva relativa ai servizi nel mercato interno dovrebbe facilitare l'assegnazione di lavoratori extracomunitari alla prestazione di servizi transfrontalieri.

[15] COM(2002) 548 def. del 7.10.2002.

[16] COM(2004) 178 def. del 16.3.2004.

Il riconoscimento delle qualifiche dei cittadini extracomunitari è un altro argomento che andrebbe affrontato. Una possibilità potrebbe essere la ricerca di mezzi appropriati per estendere a tutti i cittadini extracomunitari i vantaggi delle direttive sul riconoscimento professionale dei titoli, in particolare il riconoscimento professionale dei titoli ottenuti da cittadini extracomunitari in altri Stati membri o dei titoli di un paese terzi riconosciuti da un altro Stato membro. In aggiunta al riconoscimento dei titoli, potrebbero essere istituiti percorsi di insegnamento per permettere ai cittadini extracomunitari di conseguire titoli equivalenti senza dover riprendere gli studi dall'inizio.

3.2.2. Sulla migrazione illegale

Lo studio ha dimostrato che verosimilmente il fenomeno della migrazione illegale è destinato in certa parte a prodursi indipendentemente dai canali legali in vigore; combattere la migrazione illegale deve quindi rimanere un obiettivo essenziale nella gestione dei flussi migratori.

La lotta contro la migrazione illegale inizia con il ricorso a misure preventive e l'eliminazione dei suoi principali incentivi. In diversi paesi e regioni, il lavoro sommerso è un significativo fattore di attrazione per la migrazione illegale. Affrontare il problema del mercato del lavoro non regolarizzato è dunque un obiettivo comune che non riguarda solo il settore dell'immigrazione, bensì anche quello dell'occupazione. Chi lavora nell'economia sommersa è spesso vittima di sfruttamento e non gode gli stessi diritti degli altri lavoratori. La Strategia per l'occupazione europea ha iniziato ad affrontare il problema del lavoro non dichiarato nel 2001. Nel 2003, la Commissione ha sottolineato l'esigenza di una politica diretta a trasformare il lavoro non dichiarato in occupazione regolare ed ha invitato a definire obiettivi in tal senso. Questo aspetto rientra tra le dieci priorità indicate negli orientamenti sull'occupazione per il 2003 [17]. Nel gennaio 2004, la Commissione europea ha presentato il Progetto di relazione comune sull'occupazione, che conteneva tra l'altro una valutazione basata sui piani di azione nazionali per il 2003 (PAN) circa le azioni nazionali dirette a trasformare il lavoro non dichiarato in occupazione regolare [18]. Nei PAN, diversi Stati membri hanno indicato misure speciali nei confronti di lavoratori stranieri o migranti illegali. La Commissione intende monitorare ulteriormente le azioni degli Stati membri nel contesto della Strategia europea per l'occupazione.

[17] Decisione del Consiglio del 22 luglio 2003 relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, GU L 197/13 del 5.8.2003

[18] COM(2004) 24 def./2 del 27.1.2004.

La lotta comune contro la migrazione illegale e la definizione di una politica di rimpatrio comunitaria sono prioritarie rispetto allo sviluppo di altri strumenti politici necessari per alleviare la pressione esercitata dalla migrazione. Nel quadro di una politica in materia di immigrazione gestita, l'unico approccio coerente alla gestione delle persone che soggiornano illegalmente è garantirne il rimpatrio nel paese d'origine. Nell'ambito della politica di rimpatrio comunitaria, la Commissione propone di promuovere azioni preparatorie relative a uno strumento finanziario per la gestione del rimpatrio per il 2005 e il 2006. Queste azioni riguarderanno il rimpatrio volontario, il rimpatrio forzato e il sostegno al rimpatrio nei paesi d'origine di migranti irregolari. Tramite un adeguato coordinamento con gli strumenti esistenti del caso, mireranno a garantire un rimpatrio sostenibile e la reintegrazione duratura nel paese d'origine o nel precedente paese di soggiorno. Particolare attenzione sarà riservata al rimpatrio del gruppo obiettivo designato nei suoi vari aspetti, tra cui l'assistenza pre-rimpatrio, i preparativi per il viaggio e l'organizzazione del transito e dell'accoglienza, nonché al giusto coordinamento con gli strumenti esistenti del caso per l'assistenza post-rimpatrio e la reintegrazione. Inoltre, nel primo semestre 2004, la Commissione presenterà una direttiva in materia di standard minimi per le procedure di rimpatrio e per il reciproco riconoscimento delle decisioni di rimpatrio.

3.2.3. Sulla cooperazione con i paesi terzi

Lo studio ha confermato che rafforzare la cooperazione con i paesi di origine o transito è una soluzione efficace per limitare i flussi migratori illegali. Tuttavia, le nostre relazioni con i paesi terzi non possono essere unilaterali. L'esperienza insegna che un reale partenariato è l'elemento chiave per garantire il successo della cooperazione. L'UE deve avere un quadro chiaro della situazione nel paese e dei problemi che affronta in modo da promuovere un dialogo aperto in cui vengano presi in considerazione gli interessi e le aspettative di entrambe le parti. Molti paesi di origine e transito sono disposti ad assumersi responsabilità e impegnarsi maggiormente nella lotta contro l'immigrazione illegale. Tuttavia, per farlo occorrono un approccio globale alla migrazione e, in taluni casi, gli incentivi e il supporto tecnico e finanziario dell'UE.

Come primo passo, è importante che l'Unione riunisca tutte le informazioni esistenti sui canali per la migrazione legale a disposizione dei cittadini extracomunitari. Questa raccolta di informazioni dovrebbe riguardare in primo luogo il numero di migranti ammessi suddivisi per nazionalità, così da presentare a ciascun paese terzo un quadro chiaro del modello migratorio dei rispettivi cittadini in tutta l'UE. Le informazioni potrebbero essere raccolte nel quadro del Comitato sull'immigrazione e l'asilo, che potrebbe preparare un inventario di tutti gli accordi bilaterali conclusi dai singoli Stati membri con uno specifico paese terzo, del numero di migranti interessati dagli accordi e del numero di migranti ammessi al di fuori di questi accordi con le ragioni dell'ammissione. Nel lungo termine esse potrebbero essere usate per promuovere maggiori sinergie tra gli Stati membri relativamente al numero di migranti per motivi di lavoro ammessi nell'Unione. Con questa presentazione generale, si potrebbe avanzare una risposta chiara alle richieste dei paesi terzi nell'ambito del dialogo politico sulle questioni legate alla migrazione o durante i negoziati sugli accordi di riammissione.

Inoltre, si potrebbe esaminare più approfonditamente la possibilità di assumere lavoratori e mettere a punto programmi di formazione nei paesi di origine per l'acquisizione delle competenze richieste dall'UE. I programmi potrebbero comprendere la formazione linguistica, culturale e sociale necessaria per il soggiorno in Europa dei migranti. Alcuni Stati membri hanno già avviato questo genere di programmi, che saranno studiati più attentamente in seguito. I progetti pilota potrebbero essere finanziati ai sensi del programma di assistenza tecnica e finanziaria per paesi terzi (ENEAS).

Nel caso di numerosi paesi terzi, lo studio ha evidenziato che le misure della politica in materia di visto producono un effetto preventivo sui flussi migratori illegali, fatto particolarmente importante per le categorie di persone che potrebbero restare oltre il periodo autorizzato. Tuttavia esistono categorie di persone che non rappresentano alcun rischio sotto il profilo della migrazione illegale e che non intendono abusare della possibilità di effettuare brevi soggiorni. Come riconoscimento degli sforzi compiuti dal paese terzo interessato, si potrebbe valutare la possibilità di introdurre agevolazioni per la concessione del visto a tali categorie, da definirsi paese per paese. La Commissione propone dunque di approfondire la questione delle agevolazioni per la concessione del visto ad alcune categorie di persone, tra cui i rappresentanti permanenti dei paesi terzi coinvolti nel dialogo strutturato, gli sportivi, ecc. Un esercizio pilota in tal senso sarà l'adozione del mandato per la negoziazione della concessione facilitata dei visti con la Russia.

CONCLUSIONE

Lo studio è stato realizzato in tempi estremamente brevi e, sebbene alcuni aspetti meritino di essere approfonditi, in generale è possibile ricavarne alcuni chiari messaggi. Esiste un legame tra la migrazione legale e illegale, ma questa relazione è complessa e certamente non di tipo diretto poiché occorre prendere in esame numerosi fattori diversi. Nessuna misura adottata singolarmente sembra produrre un impatto decisivo. Tuttavia, ciò non significa che particolari azioni non abbiano un impatto specifico. Le quote, ad esempio, sembrano produrre un impatto ma non sono accettabili per tutti gli Stati membri. In questo contesto, potrebbe essere interessante sviluppare l'idea di una raccolta di soluzioni per l'immigrazione illegale da proporre ai paesi terzi. In tal prospettiva, la Commissione ha identificato una serie di misure che potrebbero essere analizzate ulteriormente. In ogni caso, l'attuazione di dette misure deve essere basata sul rafforzamento dello scambio di informazioni, della consultazione e della cooperazione tra gli Stati membri dell'Unione europea.