52003DC0101

Seconda relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'applicazione delle direttive 90/364, 90/365 e 93/96 (diritto di soggiorno) /* COM/2003/0101 def. */


SECONDA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO Sull'applicazione delle direttive 90/364, 90/365 e 93/96 (diritto di soggiorno)

SINTESI

Il presente documento è la seconda relazione sull'applicazione delle tre direttive relative al diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei membri delle loro famiglie, qualunque sia la loro nazionalità, che non esercitano alcuna attività economica nello Stato membro ospitante ("non attivi"), e riguarda il periodo 1999-2002.

Innanzitutto, una serie di sentenze della Corte di giustizia ha stabilito o confermato alcuni principi molto importanti per l'applicazione delle tre direttive, in particolare:

- gli studenti non devono dimostrare di disporre di risorse sufficienti di un determinato importo, ma è sufficiente una semplice dichiarazione;

- gli Stati membri non possono limitare i mezzi utilizzabili per dimostrare di disporre delle risorse sufficienti e dell'assicurazione malattia, né esigere che alcuni documenti debbano essere rilasciati o vistati dall'autorità di un altro Stato membro;

- i soggetti interessati dalle tre direttive in questione beneficiano dell'applicazione del principio di non discriminazione e hanno diritto a prestazioni sociali del regime non contributivo, come il minimo dei mezzi di sussistenza, tranne in caso di eccezioni espressamente previste;

- in caso di ricorso, da parte dei beneficiari delle tre direttive, all'assistenza sociale dello Stato membro ospitante, questo non può porre fine automaticamente al loro diritto di soggiorno e deve dar prova di solidarietà quando essi incontrano difficoltà d'ordine temporaneo;

- l'ingresso irregolare, la mancanza del visto d'ingresso richiesto dal diritto comunitario o il possesso di un visto d'ingresso scaduto non costituiscono una valida ragione che consenta agli Stati membri di rifiutare il rilascio di una carta di soggiorno ai cittadini di paesi terzi che sono membri della famiglia di un cittadino dell'Unione ai sensi del diritto comunitario;

- l'articolo 18 del trattato CE, che sancisce il diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell'Unione, ha efficacia diretta, ma le limitazioni e le condizioni previste continuano ad essere applicate;

- le disposizioni relative alla libera circolazione delle persone devono essere interpretate alla luce dell'esigenza del rispetto della vita familiare prevista dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU); di conseguenza il genitore - di qualsiasi nazionalità egli sia - che ha la custodia dei figli che hanno diritto di soggiorno nel paese ospitante in virtù dell'articolo 12 del regolamento 1612/68 ha anch'egli diritto di soggiorno su tale base, anche se i genitori nel frattempo hanno divorziato o se il genitore che ha la qualità di cittadino dell'Unione non è più un lavoratore migrante nello Stato membro ospitante.

La Commissione, da parte sua, ha intensificato gli sforzi per la corretta applicazione delle tre direttive avviando procedimenti d'infrazione contro alcuni Stati membri per vari motivi, come ad esempio la provenienza della risorse, la durata della validità della carta di soggiorno, i documenti che possono essere richiesti, ecc. La Commissione continuerà a vigilare sulla corretta applicazione delle tre direttive avendo come guida le implicazioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dello status di cittadino dell'Unione.

Infine, con la proposta del 29 giugno 2001 di una nuova direttiva sul diritto di soggiorno - che sostituirà, se adottata dal Consiglio e dal Parlamento, i vari strumenti giuridici attualmente in vigore -, la Commissione ha la volontà politica di risolvere i problemi risultanti dalle tre direttive:

- con l'estensione da tre a sei mesi del diritto di soggiorno senza alcuna condizione né formalità;

- per un soggiorno di più di sei mesi, sostituendo la carta di soggiorno con un'iscrizione presso le autorità competenti, e sostituendo la prova delle risorse sufficienti e dell'assicurazione malattia con una semplice dichiarazione, come avviene attualmente per quanto riguarda le risorse sufficienti degli studenti; e

- con l'instaurazione di un diritto di soggiorno permanente acquisito dopo quattro anni di residenza nello Stato membro ospitante, che sopprime le condizioni relative al diritto di soggiorno e assimila in modo permanente lo status dei beneficiari, sul piano dell'assistenza sociale, allo status dei cittadini del paese ospitante.

INTRODUZIONE

Il presente documento è la seconda relazione sull'applicazione della direttiva 90/364/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno (GU L 180 del 13.07.1990, pag. 26), della direttiva 90/365/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1990, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati e non salariati che hanno cessato la propria attività professionale (GU L 180 del 13.07.1990, pag. 28), e della direttiva 93/96/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, relativa al diritto di soggiorno degli studenti (GU L 317 drl 18.12.1993, pag. 59) - ossia le tre direttive relative al diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei membri della loro famiglia, qualunque sia la loro nazionalità, che non esercitano alcuna attività economica nello Stato membro ospitante. L'adozione di queste tre direttive segna il passaggio dalla libera circolazione delle persone allo scopo di esercitare un'attività economica alla libera circolazione delle persone in quanto cittadini e indipendentemente dallo svolgimento di un'attività economica.

Con la presente relazione la Commissione europea espleta l'obbligo di cui all'articolo 4 delle direttive 90/364 e 90/365 e all'articolo 5 della direttiva 93/96: tali articoli prevedono che la Commissione presenti ogni tre anni una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio in materia. La prima relazione è stata presentata il 17 marzo 1999 [1], e la seconda riguarda il periodo che decorre da tale data fino alla data della sua presentazione. Inoltre, la terza relazione della Commissione sulla cittadinanza dell'Unione [2], che riguarda il periodo 1997-2001, si riferisce agli sviluppi in materia di cittadinanza dell'Unione e in particolare al diritto di libera circolazione, che costituisce il nucleo centrale dei diritti legati allo status di cittadino dell'Unione.

[1] COM(1999) 127 def.

[2] COM(2001) 506 def. del 7.09.2001.

L'articolo 5, secondo paragrafo, della direttiva 93/96 sul diritto di soggiorno degli studenti dispone che la Commissione presti particolare attenzione alle difficoltà che potrebbero insorgere negli Stati membri a motivo dell'applicazione dell'articolo 1 della direttiva stessa [3] e sottoponga, se del caso, al Consiglio proposte intese ad ovviare a siffatte difficoltà. Finora la Commissione non ha constatato, negli Stati membri, difficoltà risultanti dall'applicazione dell'articolo 1 della direttiva, né gli Stati membri la hanno informata in merito a difficoltà provocate da afflussi di studenti provenienti da altri Stati membri o da oneri irragionevoli per le finanze pubbliche.

[3] Tale articolo recita: "Per precisare le condizioni destinate a facilitare l'esercizio del diritto di soggiorno e per garantire l'accesso alla formazione professionale in maniera non discriminatoria ai cittadini di uno Stato membro ammessi a seguire una formazione professionale in un altro Stato membro, gli Stati membri riconoscono il diritto di soggiorno a qualsiasi studente cittadino di uno Stato membro, nonché al coniuge ed ai figli a carico, il quale non disponga di tale diritto in base ad un'altra disposizione di diritto comunitario ed assicuri all'autorità nazionale interessata con una dichiarazione oppure, a sua scelta, con qualsiasi altro mezzo almeno equivalente di disporre di risorse onde evitare che, durante il soggiorno, lo studente e la sua famiglia diventino un onere per l'assistenza sociale dello Stato membro ospitante e a condizione che sia iscritto in un istituto riconosciuto per seguirvi, a titolo principale, una formazione professionale e che lo studente e la sua famiglia dispongano di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante."

La prima relazione ha descritto dettagliatamente la lentezza e le difficoltà dell'attuazione delle tre direttive nel diritto interno degli Stati membri, che è stata completata con l'adozione, da parte della Repubblica italiana, del decreto legislativo n. 358 del 2 agosto 1999, qualche mese prima della pronuncia della sentenza della Corte di giustizia nella causa C-424/98, Commissione contro Repubblica italiana, il 25 maggio 2000.

Nonostante l'avvenuto recepimento non sono mancati singoli casi di cattiva applicazione, emersi in seguito a denunce inviate alla Commissione o a petizioni presentate all'apposita commissione del Parlamento europeo.

Il periodo interessato dalla presente relazione si caratterizza per uno sforzo intensificato della Commissione di avviare e di portare a termine procedimenti di infrazione contro gli Stati membri che, con disposizioni legislative o regolamentari, circolari, istruzioni o prassi amministrative, hanno mancato agli obblighi derivanti dalle tre direttive. Lo stesso periodo è altresì segnato da sviluppi molto importanti nella giurisprudenza della Corte di giustizia, che, in base al concetto di cittadinanza dell'Unione, interpreta in modo più flessibile le condizioni previste dalle tre direttive per il riconoscimento del diritto di soggiorno. Il periodo interessato dalla presente relazione è inoltre coronato da un'iniziativa legislativa di vasta portata della Commissione, diretta a facilitare e a semplificare, grazie a un unico strumento che sostituisce i molteplici strumenti giuridici attualmente in vigore, l'esercizio del diritto, per i cittadini dell'Unione, di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri.

Infine, la firma e la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea da parte dei Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, il 7 dicembre 2000 a Nizza, riveste un'importanza particolare per la libera circolazione delle persone, non perché sancisce, nel capitolo "Cittadinanza" e in particolare nell'articolo 45, il diritto di ogni cittadino di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri alle condizioni e nei limiti definiti dal diritto comunitario [4] - il che in realtà non cambia nulla rispetto al diritto comunitario relativo alla libera circolazione delle persone attualmente in vigore -, ma perché la Carta codifica e rende visibili e chiari i diritti fondamentali, che vincolano le tre istituzioni dell'Unione, e specialmente la Commissione, e servono a questa come guida per l'interpretazione delle disposizioni del diritto relativo alla libera circolazione delle persone attualmente in vigore, e come linea direttrice per le iniziative legislative attuali o future.

[4] Articolo 52, paragrafo 2 della Carta.

I. L'APPORTO DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Durante il periodo interessato dalla presente relazione la Corte di giustizia ha emesso in materia quattro sentenze [5], la prima delle quali su iniziativa della Commissione che ha adito la Corte di giustizia contro la Repubblica italiana per inadeguato recepimento delle tre direttive.

[5] Sentenze della Corte di giustizia del 25 maggio 2000 nella causa C-424/98, Commissione contro Repubblica italiana, Racc. pag. I-4001, del 20 settembre 2001 nella causa C-184/99, Grzelczyk, Racc. 2001, pag. I-6193, del 25 luglio 2002 nella causa C-459/99, MRAX, Racc. 2002, pag. I-6591, e del 17 settembre 2002 nella causa C-413/99, Baumbast, R, non ancora pubblicata in raccolta.

Dalla sentenza della Corte di giustizia del 25 maggio 2000 [6] si possono trarre tre insegnamenti:

[6] Causa C-424/98, Commissione contro Repubblica italiana, Racc. 2000, pag. I-4001.

a) Importo dei redditi dei familiari dei beneficiari della direttiva 90/364 in confronto ai beneficiari della direttiva 90/365

La Corte di giustizia, contrariamente alla posizione difesa dalla Commissione, ha ammesso che la circostanza che uno Stato membro conceda ai familiari delle persone che abbiano esercitato un'attività lavorativa un regime più favorevole rispetto a quello concesso ai familiari dei beneficiari della direttiva 90/364 non costituisce, di per sé, la prova che il superiore importo richiesto a questi ultimi ecceda il margine di manovra degli Stati membri [7].

[7] In effetti, la legislazione italiana prevedeva come importo minimo delle risorse sufficienti di un familiare di un beneficiario della direttiva 90/364 una somma superiore di un terzo rispetto all'importo richiesto a un membro della famiglia di un beneficiario della direttiva 90/365.

Poiché la Commissione contestava la specifica differenziazione prevista dalla legislazione italiana, e tenuto conto delle motivazioni della sentenza, sarebbe difficile dedurre un principio generale secondo il quale gli Stati membri sono interamente liberi di fissare importi diversi per le risorse sufficienti richieste ai beneficiari delle due direttive. In effetti, la Corte di giustizia riafferma d'altro lato che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare i propri poteri nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal trattato e dell'effetto utile delle disposizioni delle direttive che prevedano misure dirette all'abolizione, tra gli Stati membri stessi, degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, affinché sia facilitato l'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari sul territorio di ogni Stato membro.

Il problema è comunque solo teorico, dato che il solo Stato membro (Italia) che prevedeva una differenziazione l'ha soppressa ancora prima della pronuncia della sentenza della Corte.

b) Documenti che i beneficiari delle direttive 90/364 e 90/365 sono tenuti ad esibire

Sulla base dello stesso principio, la Corte di giustizia indica che gli Stati membri devono avvalersi delle diverse possibilità offerte dalle altre norme del diritto comunitario, per quanto attiene, in particolare, alla produzione della prova - per mezzo di certificati rilasciati dagli organi nazionali di previdenza sociale su richiesta degli interessati - della sussistenza di copertura assicurativa da parte di un determinato regime previdenziale e dell'importo delle pensioni e rendite corrisposte da tali organi, e ha riconosciuto che la Repubblica italiana, limitando i mezzi di prova utilizzabili e prevedendo, in particolare, che taluni documenti debbano essere rilasciati o vistati dall'autorità di uno Stato membro, ha oltrepassato i limiti impostile dal diritto comunitario.

La giurisprudenza della Corte conferma pertanto la flessibilità delle modalità per dimostrare l'osservanza delle condizioni poste dalle due direttive, e, indirettamente, la libera scelta dell'interessato. Da questa giurisprudenza consegue in effetti, da un lato, che i beneficiari delle direttive 90/364 et 90/365 hanno la scelta fra diverse possibilità per dimostrare di disporre delle risorse sufficienti e dell'assicurazione malattia senza che possa essere chiesto loro che i documenti da presentare siano rilasciati o vistati da un'autorità di uno Stato membro, e, d'altro lato, che uno Stato membro non può limitare i mezzi di prova esigendo, ad esempio, in maniera restrittiva, un estratto del conto bancario o un documento rilasciato da un altro Stato membro o vistato da uno dei suoi servizi consolari. Lo Stato membro deve invece lasciare all'interessato la scelta fra tutti i mezzi di prova che possono essere presentati, che si tratti di documenti pubblici o privati.

c) Disposizioni in materia di risorse economiche degli studenti

La Corte conferma la posizione della Commissione secondo la quale il regime della direttiva 93/96 sul diritto di soggiorno degli studenti differisce da quello delle altre due direttive per quanto riguarda le risorse sufficienti. In effetti la Corte, dopo aver constatato che nella direttiva 93/96 non figura alcuna condizione che imponga il possesso di risorse economiche per un importo determinato che, per di più, debbano essere comprovate da documenti specifici, conclude che uno Stato membro non può esigere da uno studente beneficiario di questa direttiva una prova o una garanzia di disporre di risorse pari a un determinato importo, ma deve accettare una dichiarazione o qualsiasi altro mezzo almeno equivalente a scelta dell'interessato, anche se questi è accompagnato da propri familiari. Nella sentenza Grzelczyk del 20 settembre 2001 (vedi infra), la Corte di giustizia ha inoltre statuito che " ...la situazione finanziaria di uno studente può cambiare nel corso del tempo per ragioni che prescindono dalla sua volontà. La veridicità della sua dichiarazione può pertanto essere valutata soltanto al momento in cui essa è stata fatta" (punto 45).

Dalla sopra citata giurisprudenza consegue che il fatto che un'autorità nazionale chieda a uno studente beneficiario della direttiva 93/96 di presentare un documento specifico, quale ad esempio un estratto conto, per dimostrare di osservare la condizione relativa alle risorse sufficienti prevista dalla direttiva, non è in conformità con questa.

d) Diritto di soggiorno delle persone non attive dopo il ricorso all'assistenza sociale

L'articolo 3 delle direttive 90/364 e 90/365 e l'articolo 4 della direttiva 93/96 prevedono che il diritto di soggiorno sussista finché i beneficiari soddisfano le condizioni relative alle risorse sufficienti e all'assicurazione malattia. Basandosi su tale disposizione, alcuni Stati membri pongono automaticamente fine al diritto di soggiorno dei beneficiari delle tre direttive quando questi ricorrono all'assistenza sociale.

Con la sentenza del 20 settembre 2001 [8] nella causa C-184/99, Grzelczyk, la Corte di giustizia ha limitato le possibilità per gli Stati membri di porre fine, sulla base delle disposizioni sopra citate delle tre direttive, al diritto di soggiorno dei beneficiari delle direttive stesse qualora essi, per mancanza di risorse sufficienti, ricorrano all'assistenza sociale.

[8] Racc. 2001, pag. I-6193.

Pur riconoscendo che uno Stato membro possa ritenere che uno studente che ha fatto ricorso all'assistenza sociale non soddisfi più i requisiti ai quali è subordinato il suo diritto di soggiorno, e possa porre fine a questo, la Corte stabilisce tuttavia che ciò deve avvenire "nel rispetto dei limiti a tal riguardo imposti dal diritto comunitario" (punto 42), sottintendendo l'applicazione del principio di proporzionalità, e che "siffatte misure non possono in alcun caso diventare la conseguenza automatica del ricorso all'assistenza sociale dello Stato membro ospitante da parte di uno studente cittadino di un altro Stato membro" (punto 43). La Corte esclude così in maniera categorica, e in tutti i casi senza eccezione, qualsiasi legame automatico fra il ricorso all'assistenza sociale e la fine del diritto di soggiorno.

La Corte basa la sua valutazione sul sesto considerando della direttiva 93/96, secondo il quale i beneficiari del diritto di soggiorno non devono costituire un onere "eccessivo" per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante. Da ciò deriva, secondo la Corte, che "d'altronde la direttiva 93/96 alla stregua delle direttive 90/364 e 90/365 consente pertanto una certa solidarietà finanziaria dei cittadini di tale Stato con quelli degli altri Stati membri, specie quando le difficoltà cui va incontro il beneficiario del diritto di soggiorno sono di carattere temporaneo" (punto 44).

Dal riferimento alle direttive 90/364 e 90/365 e dall'unicità che caratterizza il sistema seguito dalle tre direttive consegue innanzitutto che la giurisprudenza della Corte potrebbe essere applicata non solo agli studenti, principali interessati dalla causa in questione, ma anche, per analogia, ai beneficiari delle direttive 90/364 e 90/365. La Corte esclude inoltre la possibilità, per gli Stati membri, di porre fine al diritto di soggiorno degli studenti e delle altre categorie di persone non attive qualora essi incontrino difficoltà finanziarie di carattere temporaneo.

Dall'insieme delle precedenti considerazioni consegue che la Corte ha escluso, per gli studenti e le altre categorie di persone non attive, e in tutti i casi senza eccezione, qualsiasi legame automatico fra il ricorso all'assistenza sociale e la fine del diritto di soggiorno, rendendo così incompatibili con il diritto comunitario tutte le disposizioni nazionali che prevedono un tale automatismo [9], e la possibilità per gli Stati membri di porre fine al diritto di soggiorno qualora i beneficiari delle tre direttive incontrino, in particolare, difficoltà di carattere temporaneo. La Commissione vigilerà affinché gli Stati membri prendano le misure necessarie a tal fine.

[9] In seguito alla sentenza della Corte di giustizia del 20 settembre 2001 la Commissione ha già inviato una lettera di messa in mora complementare a uno Stato membro la cui legislazione prevede un tale automatismo con una menzione speciale sulla carta di soggiorno stessa. Lo Stato membro chiamato in causa ha risposto che modificherà la sua legislazione in seguito alla sentenza in questione.

e) Principio del divieto di discriminazione in base alla nazionalità e riconoscimento dello status di cittadino dell'Unione

Confermando la giurisprudenza Martinez Sala [10], la Corte di giustizia ripete nella sentenza Grzelczyk che i cittadini dell'Unione possono avvalersi del principio del divieto di discriminazione di cui all'articolo 12 del trattato CE in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione ratione materiae del diritto comunitario, che includono quelle che interessano l'esercizio della libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri, quale sancita dall'articolo 18 del trattato.

[10] Sentenza del 12 maggio 1998 nella causa C-85/96, Racc. pag. I-2691.

Sulla base dell'articolo 12, in combinato disposto con le norme del trattato relative alla cittadinanza dell'Unione, la Corte afferma nella sentenza Grzelczyk che "... lo status di cittadino dell'Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di loro si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo, il medesimo trattamento giuridico" (punto 31) [11].

[11] Nella sentenza dell'11 luglio 2002 nella causa C-224/98, D'Hoop, Racc. 2002, pag. I-6191, la Corte di giustizia afferma (punto 35) che lo status di cittadino dell'Unione offre la garanzia di un medesimo trattamento giuridico nell'esercizio della libertà di circolazione.

Si potrebbe concludere che i cittadini dell'Unione non attivi, che risiedono legalmente in un altro Stato membro beneficiano, in virtù dello status di cittadini dell'Unione, di una parità di trattamento con i cittadini del paese ospitante. La Corte di giustizia ammette tuttavia delle limitazioni a questa norma quando vi sono "eccezioni espressamente previste a tale riguardo" dal diritto comunitario. La Corte ammette così implicitamente nella sentenza Grzelczyk il diritto dello Stato membro ospitante, sulla base dell'articolo 3 della direttiva 93/96 [12], di non pagare borse di mantenimento agli studenti che fruiscono del diritto di soggiorno. Viene ricordato in tale contesto che gli studenti beneficiano di parità di trattamento per qualsiasi aiuto riguardante l'accesso all'istruzione (tasse di iscrizione e tasse scolastiche) [13]. La Corte osserva però che "per contro, nessuna disposizione della detta direttiva esclude i suoi beneficiari dalle prestazioni sociali" (punto 39), per concludere, basandosi sugli articoli 12 e 17 del trattato CE, che uno Stato membro non può escludere dal beneficio di una prestazione sociale di un regime non contributivo, come il minimo dei mezzi di sussistenza, i cittadini di Stati membri diversi da quello ospitante nel cui territorio questi legalmente soggiornano, per il fatto che tali cittadini non rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento n. 1612/68, quando nessuna condizione di tale natura si applica ai cittadini dello Stato membro ospitante.

[12] Tale articolo recita: "La presente direttiva non costituisce per gli studenti che beneficiano del diritto di soggiorno la base per un diritto al pagamento di borse di mantenimento da parte dello Stato membro ospitante".

[13] Nel settimo considerando della direttiva 93/96 si legge che nell'attuale situazione del diritto comunitario un aiuto agli studenti ai fini del loro sostentamento non rientra, come risulta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nel campo d'applicazione del trattato ai sensi dell'articolo 7. La versione inglese di questo testo omette per errore la parola "maintenance" prima di "assistance granted to students".

Di conseguenza, è chiaro che i beneficiari delle direttive 90/364, 90/365 e 93/96, sulla base degli articoli 12 e 17 del trattato CE, hanno diritto a parità di trattamento con i cittadini del paese ospitante e diritto alle prestazioni sociali di regime non contributivo, tranne nei casi di eccezioni espressamente previste dal diritto comunitario. Hanno anche diritto all'assistenza sociale senza che lo Stato membro ospitante possa porre automaticamente fine al diritto di soggiorno, in particolare quando le difficoltà finanziarie hanno carattere temporaneo. Il diritto di soggiorno dei beneficiari delle direttive 90/364, 90/365 [14] e 93/96 continua tuttavia ad essere subordinato alla limitazione che essi non devono diventare un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante, e, in tal caso, lo Stato membro ospitante può, nel rispetto del diritto comunitario e in particolare del principio di proporzionalità, porre fine al loro diritto di soggiorno e di conseguenza al diritto all'assistenza sociale.

[14] Le versioni inglese, svedese e finlandese dell'articolo 1 della direttiva 90/365 parlano di onere "on the social security system of the host Member State(EN)", "ligga det sociala tryghetssystemet i värdmedlemsstaten (SV)" e "kuuluvan vastaanottavan jäsenvaltion sosiaaliturvajärjestelmään (FI)". L'interpretazione di questa frase è che l'onere sia "on the social assistance system of the host Member State", "ligga det sociala bidragssystemet i värdmedlemsstaten (SV)" et "kuuluvan vastaanottavan jäsenvaltion sosiaalihuoltojärjestelmään (FI)", conformemente alle altre versioni linguistiche della direttiva, così come quelle delle direttive 90/364 e 93/96.

f) Diniego di rilascio della carta di soggiorno per ingresso illegale o visto scaduto

Nella sentenza del 25 luglio 2002 nella causa MRAX la Corte di giustizia ha riaffermato l'importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri che beneficiano della normativa comunitaria relativa alla libera circolazione. La Corte di giustizia ha ritenuto che il diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino comunitario, derivi direttamente dalle norme comunitarie, indipendentemente dal rilascio di un permesso di soggiorno da parte di uno Stato membro. Il rilascio di un permesso di soggiorno è un atto destinato a comprovare la posizione individuale dell'interessato nei confronti delle norme comunitarie.

La Corte ricorda tuttavia che lo Stato membro può subordinare il rilascio del permesso di soggiorno alla presentazione del documento in forza del quale l'interessato è entrato nel suo territorio. Le autorità nazionali competenti possono imporre sanzioni per inosservanza delle misure relative al controllo degli stranieri, purché esse siano proporzionate. Uno Stato membro può altresì prendere delle misure che derogano alla libera circolazione qualora siano in gioco ragioni d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, ma basandosi esclusivamente sul comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale esse sono applicate.

Il diniego del permesso di soggiorno o una decisione di espulsione motivate esclusivamente dall'inosservanza di formalità di legge relative al controllo degli stranieri - come l'ingresso senza visto in uno Stato membro - sono invece misure sproporzionate e quindi contrarie alle norme comunitarie, quando l'interessato può fornire la prova della sua identità e del suo legame coniugale con un cittadino dell'Unione.

Per quanto riguarda la richiesta di un permesso di soggiorno dopo la scadenza del visto, la Corte osserva che le norme comunitarie non richiedono un visto in corso di validità per il rilascio di un permesso di soggiorno. Inoltre, una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo della scadenza del visto costituirebbe una sanzione manifestamente sproporzionata in rapporto alla gravità dell'inosservanza delle prescrizioni nazionali relative al controllo degli stranieri.

g) Efficacia diretta dell'articolo 18 del trattato CE - Condizioni e limitazioni da applicare tenendo conto del principio di proporzionalità e della tutela della vita familiare

La sentenza della Corte di giustizia del 17 settembre 2002 nella causa C-413/99, Baumbast, R

La Corte ha riconosciuto che il trattato non esige che i cittadini dell'Unione svolgano un'attività lavorativa per poter godere dei diritti di cittadinanza dell'Unione, in particolare del diritto di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri. La Corte ha inoltre riconosciuto che l'articolo 18, paragrafo 1 del trattato CE è una disposizione chiara e precisa e che l'applicazione delle limitazioni e delle condizioni consentite da tale disposizione è soggetta a sindacato giurisdizionale, e afferma che questa disposizione attribuisce ai singoli diritti soggettivi che essi possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare.

La Corte ammette che le limitazioni e le condizioni previste dall'articolo 18 del trattato CE e dalla direttiva 90/364 continuano ad applicarsi, poiché l'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione può essere subordinato alla tutela dei legittimi interessi degli Stati membri. Tuttavia, ciò deve avvenire nel rispetto dei limiti imposti a tale riguardo dal diritto comunitario e in conformità ai principi generali del medesimo, in particolare al principio di proporzionalità.

Applicando quest'ultimo principio alle circostanze della causa Baumbast, la Corte conclude che costituisce un'ingerenza sproporzionata nell'esercizio del diritto di soggiorno il fatto che lo Stato membro ospitante rifiuti all'interessato il diritto di soggiorno sulla base del rilievo che l'assicurazione contro le malattie, di cui egli dispone, non coprirebbe le cure di pronto soccorso prestate da questo Stato, mentre sia lui che la sua famiglia dispongono di una copertura assicurativa completa contro le malattie in un altro Stato membro dell'Unione, e l'articolo 19, paragrafo 1, lettera a) del regolamento 1408/71 garantisce loro, a carico dello Stato membro competente, il diritto di beneficiare di prestazioni di malattia in natura fornite dall'istituzione dello Stato membro di residenza.

Tutela della vita familiare

Con la sentenza Baumbast, R, la Corte conferma inoltre il principio enucleato nella sentenza dell'11 luglio 2002 nella causa C-60/00, Carpenter [15], secondo il quale le disposizioni del diritto comunitario relative alla libera circolazione delle persone devono essere interpretate alla luce dell'esigenza del rispetto della vita familiare di cui all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), rispetto che fa parte dei diritti fondamentali che sono riconosciuti dal diritto comunitario.

[15] Racc. 2002, pag. I-6279. In questa sentenza la Corte, sulla base dell'articolo 49 del trattato CE, letto alla luce del diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, ha statuito che lo Stato membro di origine di un prestatore di servizi stabilito in tale Stato, che fornisce servizi a destinatari stabiliti in altri Stati membri, non può negare il diritto di soggiorno nel suo territorio al coniuge del detto prestatore, cittadino di un paese terzo. Dopo aver ricordato che "il legislatore comunitario ha riconosciuto l'importanza di garantire la tutela della vita familiare ai cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal trattato" (punto 38), la Corte afferma che "(...) l'esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare (...)" (punto 42 della sentenza).

Applicando tale principio la Corte conclude che, qualora i figli abbiano il diritto di risiedere in uno Stato membro al fine di frequentare corsi d'insegnamento generale ai sensi dell'art. 12 del regolamento n. 1612/68, questa disposizione, per non essere privata del proprio effetto utile, deve essere interpretata nel senso che legittimi il genitore affidatario, qualunque sia la sua nazionalità, a soggiornare con i figli al fine di agevolare l'esercizio di tale diritto, nonostante che i genitori abbiano nel frattempo divorziato o che il padre che ha la qualità di cittadino dell'Unione non sia più un lavoratore migrante nello Stato membro ospitante.

Da questa giurisprudenza deriva che il genitore affidatario, quale che sia la sua nazionalità, anche se non esercita alcuna attività economica nello Stato membro ospitante, ha il diritto di soggiorno senza che possa essere obbligato a dimostrare di possedere delle risorse sufficienti e un'assicurazione malattia, poiché il suo diritto di soggiorno non dipende dalla direttiva 90/364 ma è basato sull'articolo 12 del regolamento 1612/68, che non pone condizioni di questo tipo.

II. L'AZIONE DELLA COMMISSIONE IN QUANTO CUSTODE DELL'APPLICAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO

Introduzione

Conseguentemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia sopra esposta, due sono i punti di riferimento che guideranno e sosterranno l'azione della Commissione nel suo ruolo di custode dell'applicazione del diritto comunitario relativo alla libera circolazione delle persone: da un lato lo status di cittadino dell'Unione, che secondo la formula utilizzata dalla Corte di giustizia è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, e, dall'altro, i diritti fondamentali quali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e gli strumenti internazionali, che, in quanto principi generali del diritto, fanno parte integrante del diritto comunitario e da esso sono tutelati.

Lo status di cittadino dell'Unione implica, da un lato, che il principio del divieto di discriminazioni dirette o indirette in base alla nazionalità si applica pienamente anche ai cittadini degli altri Stati membri che non esercitano attività economiche nello Stato membro ospitante, ferme restando tuttavia le eccezioni espressamente previste dal diritto comunitario, e implica d'altro lato che gli Stati membri devono dar prova di una certa solidarietà nei confronti di queste persone, senza tuttavia che queste possano diventare un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante.

La tutela dei diritti fondamentali è diventata un fattore importante e decisivo dell'interpretazione del diritto comunitario. Senza voler anticipare la questione degli effetti giuridici della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e del suo statuto futuro, la Commissione utilizza, oltre alle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), diverse disposizioni della Carta come base per l'interpretazione delle norme comunitarie relative al diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle loro famiglie, quale che sia la loro nazionalità, di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Si tratta in particolare:

a) dell'articolo 33 (protezione della vita familiare), 7 (rispetto della vita privata e della vita familiare), 9 (diritto di sposarsi e di costituire una famiglia) e 14 (diritto all'istruzione), nel quadro dell'applicazione delle disposizioni comunitarie relative al ricongiungimento familiare;

b) dell'articolo 8 (protezione dei dati di carattere personale) e 41 (diritto ad una buona amministrazione), per i contatti dei cittadini dell'Unione con le autorità nazionali preposte all'applicazione delle tre direttive;

c) dell'articolo 20 (uguaglianza davanti alla legge), 21 (non discriminazione), 22 (diversità culturale, religiosa e linguistica), 25 (diritti degli anziani), 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale), 35 (protezione della salute) e 36 (accesso ai servizi di interesse economico generale), per garantire la corretta applicazione dei principi di solidarietà e di non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante.

I procedimenti d'infrazione avviati dalla Commissione

L'azione della Commissione nei tre anni interessati dalla presente relazione si è rivolta più particolarmente alle questioni esposte in appresso.

Provenienza delle risorse sufficienti nel quadro della direttiva 90/364

Nonostante la direttiva 90/364 non specifichi la provenienza delle risorse sufficienti di cui deve disporre un cittadino dell'Unione che rivendichi il diritto di soggiorno sulla base della direttiva stessa, alcuni Stati membri richiedono che l'interessato disponga egli stesso di tali risorse, e non accettano quelle provenienti da persone diverse da un coniuge o un figlio.

La Commissione ritiene che, richiedendo che l'interessato disponga di risorse sufficienti personali oppure provenienti unicamente dal coniuge o da un figlio, si aggiunga alla direttiva una condizione supplementare ad essa contraria, poiché la direttiva non esclude che le risorse sufficienti possano provenire da un terzo, in particolare un genitore o un partner al di fuori del matrimonio. La Commissione ha pertanto inviato in merito dei pareri motivati.

Altri Stati membri hanno anch'essi arbitrariamente aggiunto la condizione che le risorse sufficienti debbano essere personali. In seguito all'intervento della Commissione, la Svezia ha eliminato questa condizione dalla sua legislazione entrata in vigore a partire dal 10 aprile 2001.

Durevolezza delle risorse e durata della validità della carta di soggiorno

Alcuni Stati membri facevano dipendere la durata della validità della carta di soggiorno dalla prova della durevolezza delle risorse sufficienti. Dato che le direttive 90/364 e 90/365 dispongono che la durata della validità della carta di soggiorno può essere limitata a cinque anni, rinnovabili, e che vi è la possibilità di riconferma della carta di soggiorno al termine dei primi due anni del soggiorno, alcune autorità nazionali rilasciavano una carta di soggiorno di uno o di cinque anni, a seconda che l'interessato potesse dimostrare di disporre di risorse sufficienti per uno o per cinque anni. Da alcune denunce è emerso che, per rilasciare una carta di soggiorno di cinque anni, alcune autorità nazionali hanno chiesto risorse sufficienti per cinque anni depositate su un conto bancario.

In seguito all'intervento della Commissione alcuni Stati membri, come la Svezia, hanno modificato la propria legislazione in modo da prevedere che i beneficiari delle direttive 90/364 e 90/365 ricevano in ogni caso una carta per cinque anni.

La Commissione ricorda che i cinque anni devono essere la durata della validità della carta di soggiorno rilasciata, anche se la possibilità di riconferma al termine dei primi due anni del soggiorno è conforme al diritto comunitario. Questa soluzione è in linea con la regola generale comunitaria di validità di cinque anni della carta di soggiorno, e in armonia con il regime di libera circolazione dei lavoratori, che prevede una carta di soggiorno che abbia una validità di almeno cinque anni.

Documenti richiesti per il rilascio della carta di soggiorno

I documenti che le autorità nazionali possono richiedere sono elencati nelle tre direttive in maniera limitativa, come appare dalla formulazione delle direttive stesse ("Per il rilascio della carta di soggiorno o del documento di soggiorno, lo Stato membro può soltanto esigere dal richiedente di presentare ... ").

Tali documenti sono la carta di identità o il passaporto e la prova di disporre delle risorse sufficienti e dell'assicurazione malattia, oppure, per gli studenti, una dichiarazione relativa alle risorse sufficienti e la prova di essere coperti da un'assicurazione malattia.

Ne deriva che la prassi di alcuni Stati membri di richiedere altri documenti oltre a quelli sopra menzionati è contraria alle tre direttive e costituisce un ostacolo all'esercizio del diritto di soggiorno da parte dei beneficiari delle direttive stesse. Alcuni Stati membri richiedono ancora, a volte:

1) un atto di nascita, a volte anche in traduzione ufficiale: gli elementi importanti contenuti in un tale atto (data e luogo di nascita) figurano anche sulla carta di identità o sul passaporto. Di conseguenza tale richiesta è ingiustificata e burocratica;

2) un certificato di cittadinanza: la stessa osservazione vale per questo documento che costituisce una richiesta ingiustificata, dato che in virtù del diritto comunitario gli Stati membri sono tenuti a rilasciare ai loro cittadini una carta di identità o un passaporto su cui figura, in particolare, la cittadinanza. In caso di dubbi uno Stato membro ha la facoltà di controllare l'autenticità della carta d'identità o del passaporto, ma non può esigere in alcun caso un certificato di cittadinanza;

3) un estratto del casellario giudiziale o una dichiarazione relativa ai precedenti penali o il certificato di buona condotta: uno Stato membro non può richiedere tali documenti poiché ciò non è previsto dal diritto comunitario. Se uno Stato membro intende avvalersi della riserva relativa all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza deve seguire la procedura prevista all'articolo 5, paragrafo 2 della direttiva 64/221 e fare quindi uso della possibilità di chiedere informazioni agli altri Stati membri.

In uno degli Stati membri, tutti i cittadini degli altri Stati membri devono fare una dichiarazione relativa ai precedenti penali, e coloro i quali si rifiutano sono sistematicamente controllati. Questa prassi è per di più contraria all'articolo 5, paragrafo 2 della 64/221 [16], che dispone che la consultazione degli altri Stati membri non può avere carattere sistematico.

[16] Direttiva del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, GU n. 56 del 04.04.1964, pag. 850.

La Commissione ha già attirato l'attenzione degli Stati membri sul fatto che la richiesta di tali documenti è incompatibile con il diritto comunitario, e porterà avanti i procedimenti di infrazione già avviati contro gli Stati membri che rifiutano di conformarvisi.

Sanzioni discriminatorie per omissioni relative all'ottenimento o al rinnovo della carta di soggiorno

La legislazione spagnola prevede che i cittadini dell'Unione che omettono di farsi rilasciare o di rinnovare la carta di soggiorno sono passibili di ammende che possono raggiungere i 3.000 euro, mentre i cittadini spagnoli che omettono di chiedere o di rinnovare la carta di identità sono passibili di un'ammenda fino a 300 euro. Da diverse denunce sono emersi casi di ammende fino a 240 euro per un ritardo di 14 mesi nel rinnovo, o di 540 euro per aver omesso di farsi rilasciare la carta di soggiorno per 4 anni.

Il 5 aprile 2002 la Commissione ha inviato in merito un parere motivato al Regno di Spagna, e, tenuto conto della risposta ricevuta, ha deciso di adire la Corte di giustizia.

Termini di rilascio della carta di soggiorno

La Commissione ha ricevuto numerose denunce relative a lunghi termini di rilascio della carta di soggiorno, spesso superiori ai sei mesi, o a lunghe file d'attesa, o anche alla mancanza di uno sportello speciale per i cittadini dell'Unione e al comportamento inadeguato dei servizi incaricati del rilascio della carta.

Per quanto riguarda i termini di rilascio, l'articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 64/221 prevede che la decisione relativa alla concessione o al diniego del primo permesso di soggiorno deve essere presa nel più breve termine, ed al più tardi entro sei mesi dalla domanda. Da tale disposizione, contenuta nella direttiva relativa ai provvedimenti giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, deriva che la carta di soggiorno deve essere rilasciata il più presto possibile, e che in via del tutto eccezionale, quando vi sono ragioni d'ordine pubblico che richiedono la consultazione degli altri Stati membri, uno Stato membro può avvalersi della possibilità di rilasciare la carta di soggiorno entro un termine massimo di sei mesi. Per il rilascio della carta di soggiorno uno Stato membro non può in nessun caso superare il termine di sei mesi a partire dalla presentazione della domanda.

Per quanto riguarda la mancanza di uno sportello speciale per i cittadini dell'Unione, è opportuno ricordare che una tale misura, anche se applicata in alcuni Stati membri o in alcune città, non è prevista dal diritto comunitario, come avviene per i controlli alle frontiere. Tuttavia, l'esistenza di uno sportello separato a favore dei cittadini dell'Unione e dei membri delle loro famiglie per i contatti con la polizia degli stranieri sarebbe una misura di buona organizzazione dei servizi pubblici nazionali che faciliterebbe l'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione, dato che il trattamento dei dossier di richiesta della carta di soggiorno per i cittadini dell'Unione è molto più semplice rispetto alle richieste dei cittadini di paesi terzi. Non si tratterebbe di una discriminazione rispetto ai cittadini dei paesi terzi, poiché la misura sarebbe motivata dal fatto che il regime giuridico applicabile alle due categorie di persone non è comparabile. Per motivi di rapidità, un trattamento diverso delle richieste provenienti da queste due categorie di persone sarebbe quindi auspicabile.

Per quanto riguarda il funzionamento dei servizi pubblici nazionali e il comportamento dei funzionari nazionali va infine ricordato che, conformemente al principio di sussidiarietà, l'organizzazione dei servizi pubblici nazionali rientra nella competenza degli Stati membri. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie per adempiere agli obblighi loro derivanti dal diritto comunitario, senza che essi possano invocare ragioni di ordine economico e finanziario. La Commissione ha intenzione di avviare dei procedimenti per inadempienza contro gli Stati membri che, a causa di una carente organizzazione amministrativa o della mancata assegnazione del personale necessario per il trattamento dei dossier dei cittadini degli altri Stati membri, creano ostacoli all'esercizio del diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei membri delle loro famiglie, qualunque sia la loro nazionalità.

Applicazione del regime nazionale relativo ai partner non coniugati al posto della direttiva 90/364

Il diritto di soggiorno dei cittadini dell'Unione può essere soggetto solo al regime previsto dal diritto comunitario. Se un cittadino dell'Unione non rientra nel campo d'applicazione delle direttive 68/360, 73/148, 90/365 e 93/96, o dei regolamenti 1612/68 e 1251/70, l'ultima possibilità che gli resta è quella di ottenere il diritto di soggiorno sulla base della direttiva 90/364, che sancisce il diritto di soggiorno generalizzato; egli deve tuttavia soddisfare sempre le condizioni relative alle risorse sufficienti e all'assicurazione malattia previste da questa direttiva. E' solo non soddisfacendo queste due condizioni che potrebbe essere soggetto a un regime nazionale.

Tenuto conto di questo principio gli Stati membri devono, in ultimo luogo, esaminare la possibilità di riconoscere il diritto di soggiorno sulla base della direttiva 90/364 e informarne l'interessato; se quest'ultimo non soddisfa le condizioni di tale direttiva, il diritto di soggiorno può essergli concesso applicando un regime nazionale.

Alcuni Stati membri applicano direttamente la loro legislazione relativa ai partner non coniugati [17], mentre il richiedente è un cittadino dell'Unione e soddisfa le condizioni della direttiva 90/364. La Commissione ha attirato l'attenzione degli Stati membri sul fatto che ciò costituisce una violazione del diritto comunitario. Essa ha sostenuto la posizione secondo la quale le risorse nazionali del richiedente possono provenire da una terza persona, in particolare da un partner al di fuori del matrimonio.

[17] Spesso queste legislazioni prevedono delle condizioni che possono essere considerate lesive della dignità di una persona, come ad esempio l'obbligo di presentare un certificato di buona condotta.

Visto di residenza

La legislazione spagnola assoggetta i cittadini di paesi terzi che sono coniugi o che sono membri della famiglia di un cittadino dell'Unione, e che si stabiliscono con questi in Spagna, all'obbligo di ottenere un visto di residenza ("visado de residencia"). Sono previsti eccezionalmente casi di esonero da tale obbligo. Secondo le autorità spagnole, per un soggiorno di più di tre mesi uno Stato membro può assoggettare i cittadini di paesi terzi a un visto nazionale.

La Commissione, ritenendo che i cittadini di paesi terzi che sono membri della famiglia di un cittadino dell'Unione e che si stabiliscono con lui nello Stato membro ospitante non possano essere soggetti all'obbligo di ottenere un visto di residenza o un altro tipo di visto nazionale, se non il visto comunitario Schengen nel caso in cui gli interessati siano soggetti, in virtù del diritto comunitario, all'obbligo di un tale visto per entrare sul territorio di uno Stato membro, ha inviato il 5 aprile 2002 un parere motivato alla Spagna, che insiste tuttavia sulla sua posizione.

La posizione della Commissione è rafforzata dalla sentenza della Corte del 25 luglio 2002 nella causa MRAX (punti da 89 a 91), da cui risulta che uno Stato membro non può subordinare il rilascio di un permesso di soggiorno a un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell'Unione, alla condizione che abbia un visto valido. A fortiori, sarebbe escluso che la persona in questione sia soggetta all'obbligo di un visto nazionale. L'articolo 18 della Convenzione d'applicazione dell'Accordo di Schengen, che autorizza i visti nazionali per i soggiorni superiori a tre mesi, non riguarda i beneficiari del diritto comunitario e, se così fosse, tale disposizione sarebbe inapplicabile poiché contraria al diritto comunitario (articolo 134 della Convenzione Schengen). Tenuto conto della posizione spagnola, la Commissione ha deciso di adire la Corte di giustizia.

Carta di soggiorno permanente - Discriminazione in base alla nazionalità

La legislazione francese prevede il rilascio di una carta di soggiorno permanente al momento del primo rinnovo della carta di soggiorno di cittadino CE, che è valida dieci anni, a condizione che il paese di cui l'interessato è cittadino accordi lo stesso vantaggio ai cittadini francesi.

La Commissione, ritenendo che si tratti di una discriminazione in base alla nazionalità rispetto ai cittadini degli altri Stati membri, e che la condizione di reciprocità è incompatibile con il diritto comunitario, ha inviato alla Francia, il 24 aprile 2002, un parere motivato.

III. L'INIZIATIVA LEGISLATIVA DELLA COMMISSIONE

Il 29 giugno 2001 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [18]. Tale proposta della Commissione è attualmente discussa al Consiglio e al Parlamento europeo e dovrebbe essere adottata all'inizio del 2004 [19].

[18] GU C 270 E/150 del 25.9.2001.

[19] Nell'allegato I alle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Nizza del 7, 8 e 9 dicembre 2000, nella parte I, "Miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione", alla lettera h), viene indicato che bisogna agevolare la mobilità dei cittadini europei, e favorire la libera circolazione delle persone adeguando, entro il 2003, il contenuto delle direttive sul diritto di soggiorno e promuovendo il miglioramento delle norme relative alla libera circolazione dei lavoratori.

Gli approfondimenti importanti apportati da questa proposta per le persone non attive sono i seguenti:

a) per i soggiorni fino a sei mesi, invece dei tre attualmente previsti, i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia non saranno soggetti ad alcuna condizione né formalità. Ciò dispenserà i pensionati che hanno l'abitudine di trascorrere alcuni mesi nella loro residenza secondaria in un altro Stato membro da pratiche od oneri amministrativi per farsi rilasciare la carta di soggiorno. Analogamente, gli studenti che si spostano all'interno dell'Unione nell'ambito dei programmi comunitari di scambi non avranno più l'obbligo, come avviene ancora, di ottenere la carta di soggiorno.

b) per quanto riguarda i soggiorni superiori a sei mesi, l'obbligo di chiedere e di ottenere la carta di soggiorno sarà sostituito dalla possibilità, per gli Stati membri, di chiedere l'iscrizione del cittadino dell'Unione nei registri delle autorità competenti del comune di residenza, iscrizione comprovata da un apposito attestato. Inoltre, per il rilascio dell'attestato di iscrizione, gli Stati membri potranno solo domandare che l'interessato assicuri, con una dichiarazione o con qualsiasi altro mezzo a sua scelta almeno equivalente, di possedere risorse sufficienti e di essere coperto da un'assicurazione malattia, per evitare di diventare durante il soggiorno un onere per l'assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

In altri termini, la proposta della Commissione non solo sopprime in una prima fase di una durata di quattro anni (eccetto per i cittadini di paesi terzi che sono familiari di un cittadino dell'Unione) la carta di soggiorno, ma estende inoltre ai pensionati e alle altre categorie di persone che non svolgono attività lavorativa il sistema previsto dalla direttiva sul diritto di soggiorno degli studenti relativamente alle risorse sufficienti: l'esercizio del diritto dei cittadini dell'Unione di soggiornare liberamente sul territorio degli altri Stati membri ne risulterà così facilitato, grazie all'eliminazione delle difficoltà legate ai giustificativi richiesti a queste persone per dimostrare di possedere le risorse necessarie.

c) la terza grande innovazione della proposta della Commissione è l'introduzione del diritto di soggiorno permanente, acquisito dopo quattro anni di residenza continua nello Stato membro ospitante. Tale diritto sarà comprovato da una carta di soggiorno permanente, con validità illimitata, e rinnovabile di diritto ogni dieci anni.

Questa soluzione offre ai cittadini dell'Unione e ai membri delle loro famiglie, qualunque sia la loro nazionalità, una maggiore stabilità nel loro status di residenti, che viene assimilato a quello dei cittadini del paese ospitante, dato che dal momento in cui viene acquisito il diritto di soggiorno permanente, esso non sarebbe più soggetto a condizioni e i beneficiari sarebbero tutelati in modo assoluto contro il rischio di espulsione per ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Inoltre, per quanto riguarda l'assistenza sociale, il diritto di soggiorno permanente uniformerà lo status dei beneficiari e quello dei cittadini nazionali.

Se la proposta della Commissione verrà adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, l'esercizio del diritto di soggiorno da parte dei beneficiari delle tre direttive in questione sarà facilitato, per l'estensione da tre a sei mesi del diritto di soggiorno senza condizioni né formalità e per la riduzione sostanziale delle formalità e degli oneri amministrativi per i soggiorni di più di sei mesi. Inoltre, la sostituzione della prova delle risorse sufficienti e dell'assicurazione malattia con una dichiarazione faciliterà la mobilità dei cittadini all'interno dell'Unione. Infine, il diritto di soggiorno permanente non solo consoliderà il diritto di soggiorno dei beneficiari, ma avvicinerà inoltre fortemente il loro status a quello dei cittadini nazionali.

La Commissione dovrà tuttavia riflettere, nell'ambito delle procedure davanti al Parlamento europeo e al Consiglio, sull'opportunità di apportare delle modifiche al testo della proposta per tenere conto dei recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte di giustizia, ricordati nella prima parte della presente relazione.

IV. CONCLUSIONI

Dodici anni dopo l'adozione delle tre direttive sul diritto di soggiorno delle persone che non svolgono attività lavorativa, e alcuni anni dopo il loro recepimento nelle legislazioni nazionali, l'applicazione delle tre direttive è in linea di massima soddisfacente, come dimostra del resto il numero decrescente di denunce ricevute dai servizi della Commissione. Rimangono tuttavia singoli casi di applicazione scorretta delle tre direttive: essi sono dovuti principalmente ad interpretazioni erronee dei testi vigenti e a prassi amministrative basate su tali interpretazioni da parte dei servizi pubblici nazionali - in particolare la polizia degli stranieri -, che mancano spesso di personale con una formazione in diritto comunitario che potrebbe applicare le disposizioni in questione con la flessibilità richiesta dallo spirito delle tre direttive.

I servizi della Commissione sono a disposizione sia dei servizi pubblici nazionali che dei cittadini dell'Unione per fornire loro aiuto e le informazioni di cui hanno bisogno. Ogni cittadino dell'Unione può, con una semplice lettera, chiedere l'intervento dei servizi della Commissione nel caso in cui incontri difficoltà nell'ambito dell'applicazione delle tre direttive. L'intervento della Commissione presenta il vantaggio di essere gratuito per il cittadino ed efficace, tenuto conto del peso riconosciuto dalle amministrazioni nazionali ai suoi servizi. Tale intervento tuttavia, data la mancanza di un contatto diretto con i servizi nazionali implicati in un caso specifico e i vincoli imposti dai procedimenti di infrazione, richiede tempo, mentre la situazione andrebbe risolta rapidamente. Esistono comunque dei sistemi che possono aiutare i cittadini dell'Unione, come la rete "SOLVIT" [20] per la ricerca di una soluzione rapida a un problema concreto, o il servizio di orientamento dei cittadini [21] per ottenere informazioni utili.

[20] "Soluzione efficace dei problemi nel mercato interno", Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, COM(2001) 702 del 27 novembre 2001. http://europa.eu.int/comm/internal_market/ solvit/

[21] http://europa.eu.int/ citizensrights. Numero gratuito 00800 67891011.

Infine, l'adozione futura della proposta della Commissione del 29 giugno 2001 non solo creerebbe uno strumento giuridico unico e semplice, ma ridurrebbe altresì la burocrazia, faciliterebbe la mobilità dei cittadini ed avvicinerebbe lo status dei beneficiari delle tre direttive a quello dei cittadini nazionali dopo quattro anni di residenza nello Stato membro ospitante.