52002DC0262

Comunicazione dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee [SEC(2002) 528] /* COM/2002/0262 def. */


COMUNICAZIONE DALLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO - Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee [SEC(2002) 528]

Sommario

1. Introduzione

2. Produttività e tenore di vita nell'UE

3. Il ruolo delle TIC e dell'innovazione nella crescita della produttività

4. La crescita della produttività del settore manifatturiero negli anni scorsi

5. L'aumento della produttività nei servizi in europa negli anni recenti

6. Il capitale umano e la crescita della produttività

7. politica delle imprese, politica della concorrenza e crescita della produttività

8. Politica delle imprese e sviluppo sostenibile dell'industria manifatturiera

9. Osservazioni e conclusioni

1. Introduzione

La presente comunicazione, basata principalmente su due recenti rapporti della Commissione [1], mira a sensibilizzare i responsabili del processo decisionale ai deludenti risultati registrati negli ultimi anni in tema di crescita di produttività della manodopera nell'UE, delle loro cause e delle implicazioni che essi hanno per gli obiettivi definiti nel marzo 2000 del Consiglio europeo di Lisbona - la cosiddetta strategia di Lisbona. Esso esamina la crescita della produttività in rapporto ad un a serie di politiche già in opera, e mette in luce la determinazione che sarà necessaria a livello politico se si vorranno raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona.

[1] I rapporti citati sono la Relazione sulla competitività europea 2001, documento di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2001) 1705 del 29.10.2001, e la Relazione sulla competitività europea 2002, documento di lavoro dei servizi della Commissione, di prossima pubblicazione. Questi rapporti restringono il campo esaminato ed inevitabilmente non prendono in considerazione altri aspetti d'importanza fondamentale della crescita economica nell'UE, quali il ruolo delle politiche economiche, delle competenze, delle attività di ricerca e sviluppo nonché di particolari iniziative a favore dell'occupazione come la mobilità o il ruolo dell'educazione. Una panoramica delle attività della Commissione in questi importanti settori richiederebbe chiaramente uno spazio ben maggiore.

La comunicazione non verte sulla totalità dei fattori che contribuiscono a determinare la crescita della produttività. In coerenza con le recenti relazioni sulla competitività essa si concentra su un aspetto più specifico, passando in rassegna lo speciale ruolo delle nuove tecnologie e dell'innovazione nonché le problematiche d'importanza cruciale connesse a tali fattori. Essa approfondisce l'analisi delle condizioni di produttività che sorreggono la strategia di Lisbona, e mira altresì a fornire al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale, al Comitato delle regioni ed alle parti interessate un'occasione per esprimere la loro opinione ed avviare una discussione in merito ai risultati ottenuti dall'UE in fatto di produttività ed alle prospettive che si aprono in questo campo, come pure in merito alle politiche necessarie per aumentare in modo sostenibile il tasso di crescita della produttività.

Le tendenze recentemente manifestatesi nella crescita della produttività dell'Unione non sono tali da consentire di conseguire gli obiettivi economici, sociali ed ambientali stabiliti dalla strategia di Lisbona negli anni che ci separano dal 2010. Gli Stati membri e la Commissione devono prendere l'iniziativa politica di garantire che vengano realizzate rapidamente e senza indugio le riforme strutturali necessarie per porre rimedio a questa situazione, che sono già state identificate. In caso contrario si mancheranno gli obiettivi di Lisbona.

La presente comunicazione discute i fattori che determinano la crescita della produttività nel contesto della strategia di Lisbona e fornisce gli elementi per porre alcuni interrogativi d'importanza cruciale. I rapidi sviluppi tecnologici che l'Unione sta conoscendo esigono che la vita economica venga organizzata in nuovi modi per approfittare delle occasioni che si presentano. Benché nel quadro della strategia di Lisbona si siano già presi alcuni provvedimenti, è indispensabile chiedersi se questi siano sufficienti e se stiano venendo attuati con la necessaria rapidità. Senza di essi non verrà a crearsi il nuovo ambiente economico, e sia i produttori che i consumatori non potranno usufruire dei relativi vantaggi. Un'attuazione frammentaria della strategia di Lisbona non darà sufficiente impulso alla crescita della produttività e dell'economia; un'impostazione globale, nel cui ambito ogni intervento venga attuato in modo coordinato, è l'unica atta a garantire il successo.

La crescita economica dipende dall'accumulazione di capitale, tanto fisico quanto umano, dall'incremento della forza lavoro attiva e dall'efficienza con cui entrambe queste risorse vengono impiegate. La capacità di ottenere produzioni più elevate senza alterare la combinazione dei fattori produttivi corrisponde ad un aumento della produttività. Quest'ultima dipende a sua volta da caratteristiche qualitative del capitale fisico, miglioramenti nelle competenze della forza lavoro, progressi tecnologici e nuovi modi d'organizzare questi fattori produttivi. Storicamente gli incrementi di produttività hanno costituito la principale fonte di crescita economica; essi hanno reso possibile espandere la produzione senza aumentare contemporaneamente l'impiego di fattori produttivi (consentendo anzi riduzioni dell'orario lavorativo) ed ottenere un aumento sostenuto dei redditi reali.

Il recente rallentamento nella crescita della produttività nell'Unione è sinonimo di una competitività in calo [2]. Le imprese saranno competitive quando riusciranno ad ottenere una crescita sostenibile della produttività della manodopera e del complesso dei fattori produttivi, grazie alla quale risulteranno superiori ad altre imprese in termini di costo unitario della produzione e delle altre caratteristiche non connesse ai costi. Ciò vale a livello tanto nazionale quanto internazionale. La suddetta crescita della produttività potrà consentire di finanziare programmi d'espansione dell'impresa, ma offrirà all'impresa anche la possibilità di sostenere aumenti delle retribuzioni in termini reali. Analogamente il tenore di vita in uno Stato migliora quando si registra una crescita sostenuta della produttività.

[2] Per competitività s'intende uno sviluppo durevole nei redditi reali e nel tenore di vita associato alla disponibilità di posti di lavoro per chiunque desideri un'occupazione. Questa è la definizione impiegata per esempio nella Relazione sulla competitività europea 2001, op. cit. Questa nozione di competitività, diversa dal concetto più ristretto relativo alla competitività delle imprese, implica che i fattori nazionali sono le principali determinanti della competitività; per una discussione su questi concetti si veda P. Krugman (1994), "Competitiveness: A Dangerous Obsession", Foreign Affairs, numero di marzo/aprile.

Consolidando la posizione competitiva delle imprese innovative gli incrementi di produttività possono non solo ridurre il costo unitario dei prodotti, ma anche ampliarne i potenziali mercati. I cittadini dal canto loro beneficiano di prodotti migliori a prezzi unitari inferiore nonché, a medio termine, di una crescita dell'occupazione. Anche quando gli aumenti di produttività si limitano inizialmente a settori specifici dell'economia, essi finiscono per estendersi ad altri in seguito a cambiamenti nei prezzi relativi cui sono associati aumenti dei redditi reali. In generale il paese che riesca ad ottenere una crescita vigorosa e sostenuta della produttività registra altresì rapidi aumenti [3] del tenore di vita. Ciò è dimostrato dall'epoca d'oro europea della crescita e della convergenza, che va dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale fino al primo shock petrolifero almeno.

[3] La crescita della produzione è, per definizione, la somma degli aumenti del fattore produttivo lavoro e della sua produttività. La crescita della produttività e la crescita del tenore di vita sono strettamente correlate perché la crescita delle retribuzioni reali è pari alla crescita in produttività del lavoro. Per quanto i dati relativi al breve termine forniscano solo una debole dimostrazione di questa ipotesi, nel lungo periodo la correlazione tra crescita del reddito reale pro capite e la crescita della produttività del lavoro è forte e molto elevata. Per l'UE nel suo insieme la correlazione tra crescita del reddito reale pro capite e crescita della produttività della manodopera nel periodo 1980-1985 è pari a 1,00; tale valore non cambia integrando nel computo rilevazioni effettuate a distanza di cinque anni l'una dall'altra fino a tutto il 2001.

Nonostante i buoni risultati macroeconomici degli ultimi anni nella seconda metà degli anni '90 la crescita di produttività della manodopera nell'UE non è riuscita ad eguagliare i risultati precedenti, il che non può esser considerato altro che un'evoluzione particolarmente negativa della situazione. Poiché la crescita dell'occupazione è tradizionalmente debole l'aumento dei redditi nell'UE dipende in maniera decisiva dall'aumento di produttività della manodopera. Il fatto che negli anni scorsi quest'ultima non sia riuscita a mantenere nemmeno il suo andamento storico comporta l'impossibilità di sostenere la crescita dei redditi nazionali e del tenore di vita.

La crescita della produttività fa capo ad una serie di fattori. Il messaggio centrale della presente comunicazione è che un fattore d'importanza cruciale nel determinare i risultati insoddisfacenti ottenuti dall'Europa in questo campo negli ultimi anni è costituito dall'insufficiente attività innovativa, che si estrinseca nel livello insufficiente degli investimenti in tecnologie per l'informazione e la comunicazione (TIC) ed alla scarsa diffusione di tali tecnologie. Queste carenze hanno avuto pesanti ripercussioni sul confronto tra Stati Uniti ed UE in termini di risultati ottenuti. L'impennata registrata dalla crescita della produttività negli Stati Uniti è stata sostenuta anche nel pieno del recente rallentamento dell'economia. Effettivamente la crescita sostenuta della produttività della manodopera verificatasi negli Stati Uniti nel corso del 2001, un anno di recessione, è in netto contrasto con il convenzionale andamento prociclico manifestato dalla crescita della produttività [4]. Questo risultato riflette l'impatto dei profitti provenienti da investimenti nei cespiti tecnologici ed innovativi nazionali. Negli USA la rivoluzione delle TIC ha incoraggiato la riorganizzazione aziendale e modificato i termini della concorrenza. Ha altresì indirizzato la domanda di manodopera verso competenze idonee alle nuove tecnologie. Nell'UE i settori ad elevata intensità di conoscenze hanno trainato la creazione di posti di lavoro, ma l'evoluzione della produttività è risultata assai meno favorevole che negli USA.

[4] La crescita della produttività tende a calare nel corso di una recessione e a riprendere durante la fase espansiva del ciclo economico, a riprova del fatto che le aziende tesaurizzano il lavoro. La crescita produttiva statunitense è continuata ad un tasso vigoroso nonostante il rallentamento nell'attività economica dell'ultimo anno. Il Bureau of Labour Statistics stima che nel 2001 per le attività non agricole la produttività sia cresciuta del 5,2 % sui dodici mesi (dato riferito al Q4), il che porta la media annua al 2,0 %. Anche se questo valore risulta inferiore alla crescita media del 2,6 % registrata nel periodo 1995-2000, va notato che è stato registrato in un anno di recessione.

Ciò pone in risalto una serie di caratteristiche associate a paesi o regioni che registrano una crescita vigorosa e sostenibile della produttività, tra cui l'evoluzione tecnologica, un capitale umano ben curato od in aumento ed un ambiente altamente favorevole all'innovazione. Tale ambiente offre numerose occasioni per l'apparizione di nuove imprese e per la revisione dei modelli gestionali e la modernizzazione operativa d'imprese già esistenti. Il contesto concorrenziale a sua volta svolge un ruolo cruciale nel preservare tale ambiente perché un'intensa concorrenza incoraggia l'innovazione, promuove la crescita della produttività e contribuisce alla competitività.

La crescita della produttività svolge inoltre una funzione importante ai fini della più ampia questione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica: la crescita della produttività determina infatti l'ecoefficienza, vale a dire il rapporto tra produzione industriale ed impiego delle risorse oppure emissione di sostanze inquinanti. La crescita della produttività rientra dunque nel contesto della sostenibilità tanto economica quanto ambientale.

Tutte queste caratteristiche possono essere influenzate dalle politiche perseguite, che possono dunque avere ripercussioni di rilievo sui risultati ottenuti in fatto di produttività. Per questo motivo è importante arrivare a comprendere i modesti risultati conseguiti in questo campo a livello d'Unione, come pure le loro cause e le loro conseguenze. I capitoli che seguono intendono contribuire a tale comprensione nonché alla valutazione delle questioni politiche in gioco

2. Produttività e tenore di vita nell'UE

Dall'inizio degli anni '70 il processo di convergenza del tenore di vita dell'Unione verso quello degli Stati Uniti, misurato in termini di PIL pro capite, ha fatto registrare valori oscillanti tra il 65 % ed il 70 % di quelli del riferimento statunitense. L'apparente ripresa di tale processo verificatasi verso la fine degli anni '80 è stata un fenomeno di breve durata. Nel 2001 il rapporto tra il PIL pro capite europeo e quello statunitense era pari al 65 %, il valore più basso per oltre un quarto di secolo. Il grafico 1 illustra le tendenze del PIL pro capite nell'UE e negli USA dal 1970 fino all'inizio del presente secolo.

Nella seconda metà degli anni '90 gli Stati Uniti hanno visto accelerarsi sia la crescita della produttività del lavoro (passata da un valore medio dell'1,2 % nel periodo 1990-1995 ad uno del 1,9 % per il periodo 1995-2001), sia la crescita occupazionale (passata dallo 0,9 % all'1,3 %). Nell'UE la crescita della produttività della manodopera ha accusato una flessione (passando da un valore medio del 1,9 % nella prima metà del decennio ad uno dell'1,2 % per il periodo 1995-2001) ma la crescita dell'occupazione ha registrato un considerevole incremento (passando da un valore medio in calo del - 0,6 % nella prima metà del decennio all'1,2 % per il periodo 1995-2001). Nel 2000 l'occupazione ha registrato un aumento dell'1,8 % nonostante il rallentamento verificatosi nel secondo semestre.

I risultati d'insieme ottenuti dall'UE nascondono considerevoli discrepanze tra quelli dei singoli Stati membri. Nella seconda metà degli anni '90 in Austria, Grecia, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo e Svezia si sono registrati tassi di crescita della produttività prossimi o superiori a quelli degli USA, che nel caso di Austria, Grecia ed Irlanda si sono mantenuti fino al 2001. Questo fenomeno è forse riconducibile al fatto che le possibilità offerte dal mercato interno, e dall'intensificarsi della concorrenza cui esso dà luogo, agli Stati membri di dimensioni più ridotte abbiano incoraggiato questi ultimi ad impegnarsi per elaborare strategie atte a consentir loro di trarre profitto dall'impiego delle TIC nel più ampio mercato europeo.

La sfida d'importanza cruciale per l'UE consiste nel riuscire a determinare condizioni tali che un forte incremento tanto della produttività quanto dell'occupazione contribuisca all'aumento dei redditi nazionali, assicurandone la sostenibilità nel medio termine. La strategia di Lisbona ha già riconosciuto l'importanza d'incrementare l'occupazione nell'UE; per ottenere questo risultato diverse iniziative sono state varate o perseguite (in particolare attraverso il processo di Lussemburgo) a livello europeo e negli Stati membri [5]. Il conseguimento degli obiettivi di Lisbona risulta però indissolubilmente legato alla ripresa durevole della crescita della produttività sul piano europeo.

[5] Per una panoramica dei progressi compiuti in rapporto agli obiettivi di Lisbona si veda La strategia di Lisbona - Produrre il cambiamento, comunicazione della Commissione al Consiglio europeo di primavera tenutosi a Barcellona, COM(2002) 14 def. del 15.1.2002.

Grafico 1: PIL pro capite nel 1995 a prezzi di mercato (scala a sinistra in PPA riferito al 1995; 2001 stime, 2002-2003 previsioni; a destra scala del rapporto UE/USA)

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Fonte: Servizi della Commissione (banca dati Ameco aggiornata al 25.2.2002)

3. Il ruolo delle TIC e dell'innovazione nella crescita della produttività

Le TIC rappresentano un elemento fondamentale della società delle conoscenze ed un ausilio importante alle attività di ricerca e sviluppo. Le TIC possono essere considerate sia innovazioni in sé sia un veicolo per ulteriori innovazioni in diversi altri settori e campi in funzione del loro carattere polivalente. Esse si distinguono peraltro dai tipi tradizionali d'investimento strumentale in quanto rappresentano una tecnologia multiuso il cui contributo alla crescita della produttività e dell'economia è maggiore degli effetti diretti sui soli settori produttivi TIC. Le TIC rivestono altresì un'importanza essenziale per il successo dell'innovazione nelle economie moderne [6].

[6] I risultati ottenuti dall'UE e dagli Stati membri sotto il profilo dell'innovazione sono oggetto di una serie d'indici riportati nel Quadro di valutazione dell'innovazione 2001, SEC(2001) 1414 del 14.9.2001. Mentre questi indici offrono un quadro disuniforme per quanto riguarda i parametri che influenzano l'innovazione negli Stati membri (alcuni mostrano miglioramenti, altri no), resta il fatto che i risultati ottenuti dall'UE sono insoddisfacenti, specialmente in confronto agli USA, per quanto concerne lo sfruttamento economico e commerciale dell'innovazione e la propensione ad innovare, misurata ad esempio dalle statistiche sui brevetti.

Una caratteristica comune a tutti gli Stati membri in cui negli anni scorsi si è registrata una forte crescita della produttività, paragonabile quando non addirittura superiore a quella statunitense, è l'impiego generalizzato delle TIC. È ormai opinione comune che la ripresa della crescita della produttività verificatasi nella seconda metà degli anni '90 negli Stati Uniti ed in alcuni Stati membri dell'UE sia strettamente legata all'uso ed alla diffusione delle TIC, che interessano una gamma vasta ed in costante espansione d'attività economiche. Questa ripresa è confermata dai dati industriali, nei quali la produzione di TIC e l'intensità del loro impiego sono assurte ad indici esplicativi di un ruolo di punta nel campo della produttività. I dati statunitensi sembrano di fatto indicare che la ripresa della produttività nella seconda metà degli anni '90 ha avuto una portata molto grande ed ha toccato un elevato numero di comparti produttivi.

Il recente divario tra l'UE e gli USA rispecchia in parte il livello inferiore raggiunto in Europa dalle spese per TIC. Nel periodo 1992-99 tali spese ammontavano al 5,6 % del PIL dell'UE, mentre negli Stati Uniti arrivavano all'8,1 %. Nel 1999 il rapporto tra le spese per TIC nell'UE rispetto e quelle statunitensi era addirittura sceso al 75 % rispetto al 90 % del 1992 [7].

[7] Per queste stime si veda Relazione sulla competitività europea 2001, op. cit., tabella III.1 e grafico III.1.

Stime empiriche indicano che il contributo delle TIC alla crescita economica nell'UE durante la seconda metà degli anni '90 oscilla tra lo 0,4 % e lo 0,5 %, mentre negli Stati Uniti si collocherebbe tra lo 0,8 % e l'1 %. Si può dunque ritenere che nel corso degli anni '90 l'UE abbia visto la propria crescita economica decurtata in media dello 0,3-0,5 % a causa del livello più basso degli investimenti in TIC [8].

[8] Si veda Relazione sulla competitività europea 2001, op. cit., cap. III, nel quale sono parimenti menzionati alcuni problemi relativi ai dati sulle TIC; si noti altresì che vi sono incertezze circa l'esatto contributo delle TIC alla crescita della produttività.

I vantaggi derivanti dalla produzione e dall'impiego delle TIC si manifestano sotto forma di diverse possibilità e cambiamenti in tutta una serie di pratiche aziendali. La funzione delle TIC nell'impresa consiste sostanzialmente nel trattamento dell'informazione, grazie al quale diventa possibile ridurre alcuni costi di coordinamento (per esempio la gestione delle scorte), che sono onnipresenti in un'economia decentralizzata. Ovviamente le imprese traggono giovamento da miglioramenti nell'organizzazione della produzione e della distribuzione, da una migliore gestione delle scorte e da riduzioni dei costi associate alla sostituzione di determinate categorie impiegatizie con elaboratori più efficienti e potenti. Ciò consente infatti alle imprese di rispondere con maggiore efficacia a variazioni nella domanda dei loro prodotti. L'impiego delle TIC può altresì permettere di migliorare la posizione competitiva, con conseguenti incrementi d'efficienza e riduzioni dei prezzi [9]. L'apparizione di nuove industrie e nuovi settori infine è stata possibile solo grazie all'impiego intensivo delle TIC.

[9] Per quanto vi sia il rischio che agevoli la discriminazione di prezzo o la differenziazione dei prodotti fornendo alle imprese informazioni in merito alle preferenze dei consumatori, si veda "The Microeconomic Impact of Information and Communication Technologies in Europe", capitolo 6 di The EU Economy: 2001 Review - Investing in the Future; Eropean Economy n. 73 del 2001.

In economie mature la crescita della produttività è determinata non tanto dall'accumulazione di capitale quanto piuttosto dall'innovazione proveniente dalle istituzioni private e pubbliche nonché dalle imprese. Le condizioni atte a permettere l'innovazione risultano dunque d'estrema importanza, in particolare quando siano associate a quelle che agevolano il ricorso alle TIC. Un buon esempio è la spettacolare crescita delle biotecnologie e delle scienze biologiche negli ultimi anni, che sarebbe stata inconcepibile senza la diffusione delle informazioni e le innovazioni connesse alle TIC [10]. In biotecnologia le TIC hanno svolto un ruolo fondamentale nel promuovere e coadiuvare le innovazioni complementari, oltre che nel consolidare lo sviluppo di questo settore [11].

[10] Il ruolo delle TIC e dell'innovazione nella crescita delle biotecnologie e gli ostacoli incontrati sono ampiamente trattati nella Relazione sulla competitività europea 2001, op. cit., cap. V e in A. Allansdottir et. al. (2002): Innovation and Competitiveness in European Biotechnology, Enterprise Papers No 7, DG Imprese, Commissione Europea.

[11] L'importanza delle biotecnologie per l'avvenire dell'Europa è stata ora ampiamente riconosciuta e la Commissione ha adottato nel gennaio 2002 un piano d'azione volto a sostenerle; si veda Le scienze della vita e le biotecnologie - Una strategia per l'Europa, comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale ed al Comitato delle Regioni, COM(2002) 27 del 23.1.2002.

Visto il ruolo decisivo che le TIC hanno nella modernizzazione delle nostre economie e nel promuovere l'innovazione occorre creare le condizioni adatte a garantirne la più ampia diffusione possibile. Alcune di queste condizioni sono in certa misura trattate nell'ambito della strategia di Lisbona, altre no. In particolare, resta da risolvere la questione del brevetto comunitario. Permangono, inoltre, ostacoli alla costituzione di nuove imprese, le relazioni tra industria e mondo scientifico negli Stati membri non incoraggiano sufficientemente l'innovazione, la carenza di manodopera specializzata si fa acuta in fasi cruciali della modernizzazione tecnologica e la transizione dalla concezione delle innovazioni al loro sfruttamento commerciale è spesso molto difficile. Questi ostacoli dovrebbero preoccupare specialmente gli Stati membri in cui la crescita della produttività e dell'occupazione sono state marcatamente fiacche negli ultimi anni. V'è chiaramente molto da imparare dall'esperienza degli Stati membri più piccoli, che hanno ottenuto brillanti risultati durante gli anni '90.

4. La crescita della produttività del settore manifatturiero negli anni scorsi

Tanto nell'Unione quanto negli Stati Uniti la crescita della produttività nel settore industriale presenta una forte correlazione con le variabili che rispecchiano la capacità delle imprese, il ricorso a fattori produttivi connessi alle conoscenze e l'impiego fattone, l'impiego di TIC e l'impegno in attività di ricerca e sviluppo. Naturalmente l'azione di questi fattori s'intreccia con quella delle varie forze che si manifestano nel processo innovativo. Generalmente parlando gli elementi ricavabili dai dati europei e statunitensi dimostrano che un'attività intensa di R&S non è mai associata a tassi modesti di crescita della produttività, mentre bassi livelli d'attività in tale campo sono solitamente associati ad una crescita modesta della produttività [12].

[12] Si veda Relazione sulla competitività europea 2001, op. cit., cap. IV.

Negli anni '90, in contrasto con la seconda metà del decennio precedente, la crescita della produttività nel settore industriale europeo risultava inferiore a quella statunitense. L'accelerazione al 3,2 % della crescita della produttività in campo industriale rilevata tra la prima e la seconda metà degli anni '90 corrisponde inoltre solo allo 0,1 %, mentre negli Stati Uniti, arrivati al 5,5 %, essa è del 2,3 %. Di conseguenza l'andamento osservato per l'intera economia viene confermato anche per il settore industriale.

Durante gli anni '90 nell'UE le industrie a contenuto tecnologico determinante (medicinali, prodotti chimici, macchinari da ufficio e informatica, elettronica, emittenti radiotelevisive, apparecchiature mediche) hanno registrato i valori più elevati di crescita della produttività, seguite dalle industrie a forte intensità di capitale (tessili, cellulosa e carta, fibre sintetiche, ferro ed acciaio, metalli non ferrosi). La crescita della produttività di queste ultime ha tuttavia raggiunto il suo picco nel corso della prima metà del decennio.

Nello stesso periodo negli Stati Uniti le industrie a contenuto tecnologico determinante si sono piazzate in testa alla graduatoria della crescita della produttività per l'intero decennio. In confronto all'UE queste industrie hanno detenuto una quota maggiore della produzione manifatturiera complessiva statunitense per l'intero periodo a partire dal 1985, e questo distacco si è considerevolmente accentuato nel corso degli anni. Nel 1998 ad esempio le industrie a contenuto tecnologico determinante rappresentavano circa il 35 % del valore aggiunto manifatturiero negli Stati Uniti, mentre in UE la quota corrispondente si aggirava intorno al 24 %. Nel periodo 1985-1998 la quota in questione è dunque aumentata di quasi il 9 % negli USA, mentre nell'UE è aumentata solamente dell'1,5 %.

La bassa percentuale d'industrie a contenuto tecnologico determinante nell'UE è chiaramente sintomatica di diversi problemi potenzialmente gravi. Non si tratta semplicemente del fatto che queste industrie inevitabilmente assumono un ruolo di guida per quanto riguarda l'innovazione e l'efficienza produttiva, ma anche del fatto che, giacché a loro fa capo una quota maggiore di valore aggiunto, esse contribuiscono in misura proporzionale alla crescita della produttività aggregata e dei redditi reali nell'economia. Fungendo da tramite per la sperimentazione di nuove tecnologie queste industrie contribuiscono inoltre alla diffusione di tali tecnologie ed alla modernizzazione tecnologica. Le dimensioni di queste industrie all'interno dell'economia svolgono infine un ruolo economico importante nel trasmettere e fare adottare oltrefrontiera nuove soluzioni tecnologiche. Gli elementi ricavabili dai dati europei sembrano indicare che, mentre la relazione tra attività di R&S e risultati economici è debole all'interno degli Stati membri, è in realtà molto forte tra di loro, il che implica l'esistenza di rilevanti ricadute tecnologiche internazionali. Queste ultime dipenderanno ovviamente dalle dimensioni del settore di provenienza, ma anche dal grado d'apertura agli scambi commerciali delle varie economie.

In parte per effetto di queste ricadute internazionali di tecnologie e soluzioni innovative, nel corso degli anni l'andamento della crescita della produttività industriale nei vari paesi è divenuto più omogeneo. Negli anni scorsi si è registrata una crescente convergenza tra le industrie statunitensi e dell'Unione per quanto concerne la crescita della produttività, a differenza di quanto era avvenuto negli anni '80, quando l'andamento della crescita della produttività industriale statunitense presentava considerevoli differenze rispetto a quello europeo. La bassa presenza delle industrie a contenuto tecnologico determinante nel contesto europeo costituisce cionondimeno un particolare preoccupante sullo sfondo degli scarsi risultati ottenuti negli ultimi anni in tema di produttività e innovazione.

Il Consiglio di Lisbona ha dato risalto all'importanza delle nuove tecnologie, ed in particolar modo delle TIC e dell'innovazione, oltre che al ruolo delle attività di R&S nella costruzione del futuro europeo. Il Consiglio di Barcellona ha avallato l'obiettivo di portare al 3 % del PIL entro la fine del decennio la spesa destinata alle attività di R&S tanto pubbliche quanto private (due terzi di tali attività dovrebbero far capo al settore privato) [13].

[13] Si vedano le conclusioni del Consiglio europeo di Barcellona del 15 e 16 maggio 2002, punto 47.

5. L'aumento della produttività nei servizi in europa negli anni recenti

Il problema dei modesti livelli di crescita della produttività rilevati nell'UE negli anni scorsi è particolarmente acuto nel terziario. In tale settore risulta peraltro molto più difficile valutare la produttività ed apparentemente la massiccia affermazione di molte applicazioni TIC nei servizi non ha contribuito a far registrare una rapida crescita della produttività né una sua accelerazione. Il rallentamento nella crescita della produttività aggregata rispetto agli anni precedenti verificatosi nell'UE nella seconda metà degli anni '90 e la modesta accelerazione della crescita della produttività dell'industria manifatturiera lasciano effettivamente presumere che il terziario abbia subito in questo periodo un considerevole rallentamento nella crescita della produttività della manodopera. Il problema è ovviamente aggravato dal fatto che la quota del PIL europeo facente capo ai servizi è aumentata nel corso del tempo, pur restando considerevolmente inferiore a quella statunitense [14].

[14] I dati sul terziario non sono disponibili su scala confrontabile per tutti gli Stati membri e per l'UE. Per quelli disponibili, nel 1999 la quota del PIL facente capo ai servizi alle imprese non agricole era pari al 51,3 % (settore immobiliare: 41,2 %) negli Stati Uniti ed oscillava fra il 42,6 % (31,1 %) in Danimarca e il 49,0 % (39,1 %) nel Regno Unito; si veda. Relazione sulla competitività europea 2002, op. cit.

Negli Stati Uniti la crescita della produttività nel settore dei servizi alle imprese ha accelerato, passando da un valore medio dell'1,3 % per il periodo 1990-95 ad uno del 3,1 % nel periodo 1995-99. In tutti i sette Stati membri per i quali sono disponibili dati confrontabili salvo due (Francia e Regno Unito) la crescita della produttività del settore dei servizi ha invece effettivamente accusato una flessione nella seconda metà del decennio e, dove si è avuta una ripresa, questa è stata modesta (0,1 - 0.3 %) [15]. Contemporaneamente, mentre gli Stati Uniti registravano un aumento parallelo dell'occupazione nel settore dei servizi, la generalizzata debolezza rilevabile nella crescita della produttività del terziario europeo s'associava ad un'accelerazione nella crescita dell'occupazione.

[15] Si veda Relazione sulla competitività europea 2002, op. cit.

È possibile che errori di misurazione nascondano i risultati effettivamente conseguiti dal terziario in fatto di produttività. Misurare accuratamente la produzione di questo settore è un compito estremamente difficile, in particolar modo in un periodo di rapida evoluzione tecnologica. Se si sopravvaluta l'inflazione nel terziario (il che è invariabilmente riconducibile alle difficoltà di stimare miglioramenti qualitativi dovuti all'adozione di soluzioni innovative e cambiamenti organizzativi) la crescita della produttività risulta sottovalutata. Estrapolando tale fenomeno all'intera economia, ciò farebbe pensare che la crescita della produttività europea possa non esser stata così debole come i dati sembrerebbero in un primo momento indicare.

I dati settoriali indicano che i risultati ottenuti nella seconda metà degli anni '90 negli Stati Uniti per quanto riguarda la crescita della produttività nella vendita all'ingrosso e al dettaglio, nell'intermediazione finanziaria, nella locazione e negli altri servizi siano superiori a quelli ottenuti nell'Unione. L'UE ha d'altro canto registrato una forte crescita della produttività nei trasporti e nello stoccaggio, nelle poste e nelle telecomunicazioni e nelle forniture di energia elettrica, gas e acqua. La quota relativamente bassa del PIL che spetta a questi settori in Europa tende a ridurne l'impatto sulla crescita della produttività aggregata [16].

[16] Per una discussione approfondita dell'evoluzione settoriale si veda Employment in Europe 2001, Commissione europea 2001, specialmente al capitolo 3. In tale opera si sostiene in particolare che in termini dell'impulso dato alla crescita della produttività politiche riguardanti le imprese o la concorrenza produrrebbero lo stesso effetto di politiche relative all'occupazione giacché la crescita della produttività aggregata rispecchia miglioramenti della produttività nell'ambito dei diversi settori piuttosto che variazioni nella composizione settoriale dell'occupazione; si veda anche più avanti la discussione alla sezione 7.

Il settore dei servizi è un importante utente di TIC, e come si è già rilevato il calo di livello delle spese in TIC è all'origine del recente rallentamento della crescita della produttività nell'UE. Generalmente tuttavia in questo settore le innovazioni vengono introdotte mediante l'acquisto di pacchetti tecnologici - TIC, cambiamenti organizzativi e capitale umano - piuttosto che per mezzo d'investimenti in attività di R&S effettuati direttamente dalle imprese stesse. Fattori istituzionali potrebbero svolgere una funzione determinante in questo processo.

Il terziario è in genere caratterizzato da una crescita della produttività inferiore alla media. Giacché però la sua quota del PIL è in aumento, nell'UE l'attesa ricaduta in termini di crescita dell'occupazione non è risultata d'entità sufficiente a produrre effetti di rilievo sulla situazione occupazionale europea. La crescente domanda di servizi connessa all'aumento dei redditi reali fa sì che l'UE debba garantire che vengano realizzati gli aumenti potenziali dell'occupazione associati all'effettiva crescita del terziario. Ciò presuppone l'eliminazione degli ostacoli all'espansione del settore.

Nuove iniziative già adottate o d'imminente adozione nell'ambito di Lisbona/Barcellona dovrebbero contribuire a far lievitare la produttività e l'occupazione nel terziario. Alcuni elementi lasciano ad esempio supporre che gli Stati membri in cui si è tempestivamente provveduto a liberalizzare il terziario abbiano registrato una crescita della produttività più veloce degli altri. Nel periodo 1995-1999 per esempio Finlandia e Regno Unito hanno registrato per l'insieme dei servizi alle imprese una crescita della produttività della manodopera superiore a quella degli altri Stati membri per i quali sono disponibili dati di confronto. Occorre dunque perseguire vigorosamente i provvedimenti volti a liberalizzare i mercati come pure quelli miranti a realizzare un mercato unico dei servizi finanziari. È parimenti essenziale sostenere le iniziative dirette ad incentivare l'innovazione nel settore dei servizi. Occorre infine rendere meno pesante l'ambiente che determina l'efficacia del settore della distribuzione e di quello delle vendite al dettaglio, anche per quanto riguarda la normativa che disciplina la costituzione di nuove imprese, evitando in particolare d'introdurre nuove restrizioni sulle dimensioni operative di questi mercati.

6. Il capitale umano e la crescita della produttività

La manodopera qualificata svolge una funzione essenziale nella crescita economica e della produttività. In un'economia gli investimenti in capitale umano sono, alla pari della disponibilità di tale capitale, accompagnati da cospicui vantaggi sotto il profilo degli effetti esterni man mano che i vantaggi per l'economia nel suo insieme superano quelli personali lucrati dai privati. Questi vantaggi di natura sociale sono associati alla complementarità di competenze professionali e conoscenze nello sviluppo di nuove tecnologie, alla cadenza dell'innovazione ed all'ottenimento di nuove conoscenze che ampliano la tipologia delle occasioni tecnologiche ed economiche. È essenziale che nell'Unione la forza lavoro possegga le capacità professionali necessarie per realizzare le ambizioni economiche, sociali ed occupazionali dell'Europa.

Ovviamente nella nozione di capitale umano rientra un'ampia gamma di competenze professionali, da quelle ad elevata intensità di conoscenze scientifiche e d'istruzione a quelle sviluppate con la pratica e perfezionate grazie all'apprendimento permanente. La crescita della produttività e la prosperità economica chiaramente dipendono da conoscenze e capacità professionali che interessano tutto l'insieme della forza lavoro, ed è questo il motivo per cui a livello d'UE risulta essenziale sviluppare le competenze in questione in tutte le categorie professionali.

Negli anni scorsi tuttavia sono venuti alla luce speciali motivi di preoccupazione. Nella seconda metà degli anni '90 in particolare la ridotta quota delle TIC nell'UE ha coinciso con carenze ampiamente pubblicizzate di competenze in tali tecnologie, le quali a loro volta hanno presumibilmente accentuato i problemi atti ad intralciare una rapida diffusione delle TIC nelle economie europee [17], con ripercussioni negative sulla crescita di produttività e redditi.

[17] Questo problema è brevemente esaminato nella Relazione sulla competitività europea 2001, op. cit., allegato III.1. Il problema dello squilibrio delle competenze è particolarmente preoccupante dato che si è riproposto in un periodo di disoccupazione costantemente elevata (anche se in calo). Per una discussione più approfondita si veda anche: Banca Centrale Europea (2002), "Labour Market Mismatches in Euro Area Countries" del mese di marzo; la BCE ritiene in particolare che la mancata rispondenza delle competenze fornite dal sistema educativo alla domanda sia peggiorata tra 1992 e il 2000.

Il capitale umano, in particolare nei settori a contenuto tecnologico determinante, contribuisce alla crescita della produttività sia consentendo l'accumulazione di conoscenze e la loro diffusione, sia adeguando senza scosse la domanda di competenze all'offerta. Come già si è avuto modo d'osservare, nell'UE i settori a contenuto tecnologico determinante hanno registrato gli incrementi di produttività più elevati e ciò presenta una forte correlazione col fatto che la crescita dell'occupazione in questi stessi settori, caratterizzati indubbiamente da un'intensità di capitale umano maggiore di quella di qualunque altro settore economico, è vigorosa da diversi anni [18]. In termini globali negli anni scorsi la domanda di manodopera nell'UE si è spostata dalle competenze tradizionali verso quelle richieste da attività moderne e ad elevata intensità di capitale umano, il che rispecchia le mansioni in sé piuttosto che variazioni nell'allocazione settoriale dell'occupazione.

[18] Si veda Employment in Europe 2001, op. cit., in particolare al capitolo 2. La forte crescita dell'occupazione nelle imprese di servizi a contenuto tecnologico determinante e nei settori che impiegano personale altamente qualificato (come pure la notevole crescita del numero di professionisti specializzati non manuali) rappresenta chiaramente uno scostamento dalla debole crescita della produttività registrata dal settore dei servizi nel suo insieme. Ciò sta ad indicare la possibile presenza dei già menzionati problemi di misurazione, ma potrebbe altresì indicare uno sfasamento temporale tra accumulazione di capitale umano e crescita rilevabile della produttività, un fenomeno del tutto analogo a quello per cui l'impennata iniziale degli investimenti in TIC si è tradotta in una crescita rilevabile della produttività solo dopo alcuni anni.

Tra il 1995 ed il 2000 sono stati creati 1,5 milioni di posti di lavoro nel settore delle industrie ad alto contenuto di tecnologie e 5,5 milioni di posti di lavoro nei settori che esigono manodopera altamente qualificata; di questi ultimi il 60 % era costituito da impieghi specializzati non manuali. Alla creazione di posti di lavoro nei settori in rapida crescita caratterizzati da un'elevata intensità di conoscenze fanno capo più di due terzi dei nuovi posti di lavoro che richiedono capacità professionali medie od elevate, e praticamente la totalità della crescita dell'occupazione relativa al personale scarsamente qualificato.

A questo aumento nell'occupazione di manodopera altamente qualificata (cui fa riscontro una concomitante flessione nell'occupazione di manodopera non specializzata) non ha tuttavia corrisposto un miglioramento dei risultati ottenuti sul piano educativo. Il tasso di crescita di quest'ultimo settore non ha infatti tenuto il passo, il che lascia pensare che tra il 1995 ed il 2000 il mercato del lavoro nell'UE si sia ristretto [19]. Contemporaneamente però diversi elementi inducono a ritenere che l'offerta di manodopera qualificata nell'UE è indubbiamente destinata a migliorare nei prossimi anni. Nelle classi d'età più basse in particolare il livello d'istruzione risulta più prossimo che nell'insieme della popolazione adulta alle competenze tipicamente richieste dal mercato del lavoro. Il fatto che sotto questo profilo la richiesta di manodopera negli Stati membri manchi lascia tuttavia supporre che le politiche a favore dello sviluppo delle risorse umane differiscano anch'esse da uno Stato all'altro; gli Stati che accusano un ritardo devono chiaramente recuperare il terreno perduto. Nel breve termine tuttavia la mobilità della manodopera rappresenta un complemento indispensabile dell'equilibrio tra domanda ed offerta di manodopera qualificata.

[19] Si veda Relazione sulla competitività europea 2002, op. cit. Per quanto tendenze analoghe si siano manifestate anche negli USA, in tale paese l'immigrazione ha alleviato i problemi posti dalla rigidità del mercato del lavoro.

Per la crescita sostenuta di redditi e produttività è d'importanza critica un'evoluzione senza scosse del mercato del lavoro [20]. Squilibri tra la domanda e l'offerta di competenze producono sistematicamente effetti molto negativi su questo processo, cosicché in un ambiente caratterizzato da una rapida evoluzione tecnologica, riconducibile soprattutto alla crescente diffusione delle TIC in tutti i settori ed in tutte le economie, sta diventando importante arrivare ad impedirli. Nell'attuale periodo di crescita contenuta, che fa seguito allo scoppio della bolla cosiddetta delle dot.com (cioè delle imprese in rete), può sembrare che nel breve termine il problema degli squilibri suddetti perda almeno parzialmente il suo carattere di urgenza. Data però la trasformazione tecnologica in corso l'intensità di mansioni specializzate delle nostre economie è destinata a crescere. Diventa perciò indispensabile costituire un intreccio di politiche coerenti - educazione, scienza, formazione, mobilità - che si rinforzino a vicenda così da soddisfare, in modo durevole e senza intralci, la nascente domanda di qualifiche professionali [21]. Queste problematiche hanno un ruolo centrale nel calendario delle attività decise a Lisbona e la Commissione ha dato considerevole risalto alla necessità che gli Stati membri realizzino progressi sul piano dello sviluppo del capitale umano [22].

[20] Per una discussione sull'importanza di un processo efficace di collegamento tra domanda ed offerta sul mercato del lavoro, soprattutto per la zona dell'euro, si veda Banca Centrale Europea (2002), op. cit..

[21] Con particolare riferimento al campo scientifico e tecnologico si rilevano già tendenze preoccupanti riguardo all'offerta delle competenze in questione nei prossimi anni; per una discussione sui provvedimenti miranti a migliorare il funzionamento del mercato del lavoro si veda Benchmarking National RTD Policies: First Results, documento di lavoro della Commissione SEC(2002) 129 del 31.1.2002, come pure Banca Centrale Europea (2002), op. cit., parte 4.

[22] Si veda La strategia di Lisbona - Produrre il cambiamento, op. cit.

Le conoscenze (e la capacità di farne un uso efficace) svolgono un ruolo fondamentale nel determinare la competitività delle nostre economie. Per garantire che gli europei dispongano delle conoscenze e delle competenze necessarie occorre elaborare ed attuare strategie coerenti ed iniziative pratiche che promuovano l'apprendimento permanente per tutti [23].

[23] Si veda Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente, comunicazione della Commissione, COM(2001) 678 def. del 21.11.2001.

La Commissione ha parimenti riconosciuto che la mobilità dei ricercatori e dei professionisti qualificati riveste un'importanza cruciale se si vuole incentivare il trasferimento di conoscenze e di tecnologie tra i diversi operatori del sistema europeo di ricerca ed innovazione, compresi quelli industriali [24]. Chiaramente il fatto di estendere lo Spazio europeo della ricerca al resto del mondo e di tenerne in maggiore considerazione la dimensione internazionale andrà indubbiamente a vantaggio delle imprese dell'Unione e favorirà lo spirito imprenditoriale dei ricercatori grazie allo scambio d'esperienze e conoscenze, che contribuiranno anch'esse ad arricchire le capacità europee nel campo della ricerca.

[24] Si veda Una strategia di mobilità per lo Spazio europeo della ricerca, comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo, COM(2001) 331 def., giugno 2001. L'interesse della Commissione per la problematica della mobilità di professionisti e ricercatori risale a molto tempo addietro e si è intensificato negli ultimi anni, come si può costatare dalle diverse iniziative prese nell'ambito del 6.o programma quadro.

7. politica delle imprese, politica della concorrenza e crescita della produttività

La natura complementare della politica delle imprese e di quella della concorrenza è sancita dal trattato CE [25]. Entrambe queste politiche sono chiavi di volta dell'attività dell'Unione mirante ad ottenere una crescita elevata e sostenibile della produttività, dato che tale crescita della produttività dipende da un assetto normativo atto a consentire l'accesso delle imprese a nuovi mercati ed a permettere loro di trasformare le invenzioni in innovazioni. L'obiettivo fissato a Lisbona richiede, dunque, che si formulino politiche tali da incoraggiare la crescita delle imprese e l'innovazione, ma al tempo stesso in grado di garantire che tutti gli operatori economici siano soggetti a regole uniformi. La politica delle imprese è incentrata sul primo obiettivo, mentre quella della concorrenza dà risalto al secondo. Ma entrambe le politiche contribuiscono a rendere possibile una crescita della produttività elevata e sostenibile. Una concorrenza efficace lo fa spingendo le imprese a ricercare soluzioni atte a migliorare l'efficienza operativa, che portino ad innovare prodotti e processi, mentre la politica delle imprese corregge le carenze del mercato e consente ad un maggior numero d'imprese di effettuare scambi, aumentando così il novero delle imprese potenzialmente innovative.

[25] Per una più estesa trattazione di questo argomento si veda Relazione sulla competitività europea 2002, op. cit.

L'obiettivo di rendere l'UE un'economia basata sulle conoscenze in grado di essere competitiva sul piano mondiale implica che i provvedimenti di sostegno alla crescita economica non devono portare alla centralizzazione, ad un accentuarsi dei fenomeni di concentrazione delle imprese e ad un incremento degli aiuti pubblici. La crescita della produttività è determinata da miglioramenti qualitativi nell'interazione fra imprese, dall'accumulazione delle conoscenze e dal ricorso alle soluzioni che il mercato ha dimostrato essere le migliori. Le imprese competitive sono i vettori del cambiamento, poiché stabiliscono il legame tra le idee astratte ed un'evoluzione del mercato determinata dall'innovazione e generatrice di crescita. Nell'ambito di questo processo il progresso tecnico e l'evoluzione organizzativa sono intimamente legati. Le imprese innovative prosperano per il fatto d'essere immerse in ambienti di conoscenze più ampi, dai quali traggono ispirazione ed ai quali contribuiscono a loro volta nuove conoscenze.

Anche se la politica delle imprese e quella della concorrenza condividono la stessa visione fondamentale della crescita indotta dal mercato e si rafforzano a vicenda, ciascuna di esse ha una propria specificità. Occorre dunque realizzare un equilibrio tra queste due politiche, come gli esempi che seguono dimostrano chiaramente.

(1) Una corretta delimitazione dei mercati in termini geografici e di prodotto è d'importanza fondamentale per le decisioni in tema di concorrenza. Ciò è dovuto al fatto che la valutazione del potere di mercato di un operatore esige precisamente l'esistenza di mercati ben definiti. Per quanto la delimitazione dei mercati non sia necessaria ai fini della politica delle imprese, gli strumenti impiegati per ottenerla (come ad esempio la normativa su mercato interno, normalizzazione e definizione di parametri di riferimento) si ripercuotono su strutture di mercato che vengono quindi analizzate sotto il profilo della concorrenza.

(2) La cooperazione tra imprese nel campo dell'innovazione e della costituzione di reti pertinenti alle conoscenze contribuisce alla crescita della produttività. Nella maggior parte dei casi tale cooperazione non pone problemi sotto il profilo della concorrenza; in alcuni casi tuttavia essa può determinare l'esclusione da determinati mercati ovvero impedire l'innovazione nelle imprese concorrenti. Il problema cui deve far fronte chi esercita il potere disciplinare (ad esempio all'atto di rivedere il regolamento sulle esenzioni per categoria relative ai trasferimenti di tecnologie ovvero di aggiornare le procedure antitrust) è quello di porre in essere un ambiente normativo che incoraggi la cooperazione nelle attività di R&S e nell'innovazione impedendo al tempo stesso comportamenti anticoncorrenziali atti a ridurre il benessere dei consumatori. Nelle fusioni tra imprese operanti in settori innovativi occorre contemperare il bisogno di economie di scala nelle attività di R&S con l'esigenza di mantenere un livello sufficiente di concorrenza tra i diversi centri operanti in tali attività.

(3) Un ambiente concorrenziale induce naturalmente le imprese a ristrutturare o a fondersi per incrementare la propria efficienza produttiva. Le imprese più efficienti si dimostrano concorrenti più vigorosi, e rafforzano così la propria competitività. Questo processo può portare ad entrare in un circolo virtuoso di crescita della produttività. La politica della concorrenza prende atto di ciò nel regolamento sulle concentrazioni, che offre uno sportello unico destinato ad agevolare la ristrutturazione industriale. Il controllo delle concentrazioni quale attualmente praticato offre un'occasione per valutare quali possibilità vi siano di migliorare gli strumenti attualmente disponibili, ed offre in particolare un'occasione per decidere se il regolamento sulle concentrazioni debba consentire incrementi verificabili di efficienza connessi ad una determinata concentrazione, per controbilanciare effetti negativi quali gli aumenti di prezzo determinati dal fatto che si venga a creare o si rafforzi una posizione dominante.

(4) L'evoluzione tecnologica e l'innovazione, fattori che determinano gli aumenti di produttività, sono per loro natura aleatorie. Valutare gli effetti futuri di tali fattori sulla dinamica del mercato e sulla competitività è una sfida permanente. Le decisioni in tema di concorrenza possono tener conto di tale evoluzione se ed in quanto ne predicono con sufficiente affidabilità le conseguenze.

(5) La Commissione riconosce la legittimità del ricorso agli aiuti pubblici per rimediare a carenze del mercato. Questa problematica è bene esemplificata da casi quali le attività di R&S e l'accesso a capitali di rischio per le imprese nuove e/o innovative. La necessità di eliminare i divari di produttività esistenti tra l'UE ed i suoi concorrenti non deve tuttavia far dimenticare la necessità di ridurre il volume complessivo degli aiuti pubblici o quella di proseguire nella semplificazione delle procedure amministrative.

Mantenere l'equilibrio tra gli obiettivi della politica delle imprese e quelli della politica della concorrenza costituisce uno tra gli aspetti cruciali dell'attività della Commissione; il successo in questo campo contribuirà a porre in essere un ambiente favorevole alla crescita della produttività.

8. Politica delle imprese e sviluppo sostenibile dell'industria manifatturiera

Le imprese svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di reddito e occupazione, contribuendo alle dimensioni economiche e sociali di uno sviluppo durevole. Contemporaneamente però, come avviene con altre attività, le imprese esercitano inevitabilmente pressioni sull'ambiente. Il fatto di tradurre in pratica la visione delineata a Lisbona di un tasso di crescita del PIL europeo pari al 3 % annuo può a prima vista sembrare un fattore atto ad aumentare ulteriormente le pressioni sull'ambiente. Il Consiglio europeo di Stoccolma ha dunque riconosciuto che crescita economica e protezione dell'ambiente devono procedere di pari passo.

L'esperienza compiuta dal settore manifatturiero nell'UE dimostra la possibilità di associare tassi più elevati di crescita economica ad una riduzione delle pressioni sull'ambiente. Il programma per il mercato unico e la progressiva liberalizzazione dei mercati nell'ambito del processo avviato a Lisbona hanno migliorato i risultati economici del settore manifatturiero, consentendo di evitare la necessità di un compromesso tra crescita economica ed impatto ambientale. Le risorse aggiuntive rese così disponibili per la protezione dell'ambiente hanno consentito di soddisfare le richieste di una maggiore qualità dell'ambiente che sono la conseguenza inevitabile del generale arricchimento della società. Le politiche ambientali hanno nel contempo definito le norme da applicare e fornito agli operatori del settore incentivi a migliorare le proprie prestazioni. L'industria manifatturiera ha così potuto dimostrare il fenomeno della cosiddetta curva ambientale di Kuznets, per il quale all'aumento della produzione in termini reali corrisponde un aumento iniziale delle emissioni inquinanti, che però dopo aver raggiunto un valore di picco cominciano a diminuire in corrispondenza di livelli più elevati di produzione.

Effettivamente, e forse in contrasto con quanto generalmente si crede, in base alle conoscenze più valide di cui disponiamo ed alle statistiche disponibili sembrerebbe che nel corso degli ultimi vent'anni alcune delle pressioni ambientali riconducibili all'industria manifatturiera, lungi dall'aumentare, abbiano di fatto registrato un calo [26]. In questi casi l'industria manifatturiera europea è dunque in larga misura riuscita a svincolare una crescita più vigorosa della produzione dall'aumento della pressione ambientale.

[26] Questi problemi ed altri analoghi sono trattati nella Relazione sulla competitività europea 2002, op. cit.

Un esempio lampante dei progressi compiuti dal settore manifatturiero è la netta riduzione avutasi negli ultimi vent'anni nelle emissioni dei gas che causano piogge acide, quali l'anidride solforosa e il biossido d'azoto. Il grafico 2 mostra che nel periodo 1980-99, benché la produzione industriale abbia registrato un incremento superiore al 30 %, le emissioni di gas acidificanti sono diminuite di due terzi circa [27]. Analogamente nello stesso periodo le emissioni industriali di precursori chimici dell'ozono sono diminuite di un quarto in termini assoluti. La produzione di gas idonei a ridurre lo strato d'ozono nell'UE è ormai quasi cessata. Allo stesso tempo il consumo energetico è rimasto pressoché costante ed il consumo di combustibili è solo marginalmente aumentato dalla metà degli anni '80, nonostante l'aumento della produzione manifatturiera. Ciò ha contribuito alla riduzione delle emissioni industriali di gas ad effetto serra verificatasi dopo la data di riferimento del 1990 fissata a Kyoto.

[27] Si veda la Relazione sulla competitività europea 2002, op. cit., grafico V.8. I dati sono stati elaborati per tener conto dell'effetto una tantum della riunificazione tedesca.

Tra il 1990 ed il 2000 l'industria manifatturiera ha ottenuto una riduzione del 10,5 % dei gas ad effetto serra, apportando così un contributo di rilievo al conseguimento degli obiettivi stabiliti a Kyoto. Questo progresso costituisce peraltro il risultato di un insieme di sviluppi che ha interessato diversi settori, ed in alcuni casi è improbabile che possano ripetersi sviluppi analoghi [28]. Negli anni scorsi si è parimenti assistito ad una certa stabilizzazione dei consumi di minerali. Nel complesso l'industria dell'Unione ha ottenuto in questo campo risultati migliori di quella statunitense. Nel caso estremo delle emissioni acidificanti l'ecoefficienza dell'industria europea è aumentata con una rapidità quasi doppia rispetto a quella statunitense.

[28] L'obiettivo di Kyoto consiste in una riduzione dell'8 % dei gas ad effetto serra nel periodo 2008-2012 rispetto ai valori del 1990. Le tendenze in fatto di riduzione delle emissioni potrebbero cambiare con rapidità; al momento le stime sembrano indicare che l'Unione potrà conseguire gli obiettivi di Kyoto unicamente intensificando gli sforzi.

Grafico 2: Ecoefficienza dell'industria manifatturiera UE - Gas acidificanti (indice 1980 = 100) - "ecoefficienza, produzione, emissioni"

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Fonte: Servizi della Commissione

L'introduzione progressiva delle politiche ambientali ha svolto un ruolo manifesto nel determinare questa evoluzione. Il progresso estremamente significativo consistente nell'arrivare a disgiungere la produzione di gas acidificanti dalla crescita economica ha ad esempio fatto seguito alla direttiva del 1988 sugli impianti di combustione di grandi dimensioni. Le politiche ambientali hanno altresì avuto una funzione cruciale nell'eliminazione graduale dell'impiego di CFC gassosi, responsabili della distruzione dell'ozono. Un progresso in termini di politiche è stato compiuto anche in altri settori. L'industria manifatturiera ha risposto all'apparizione di una normativa ambientale sempre più esauriente e rigorosa sviluppando nuove tecnologie, migliorando le pratiche gestionali ed investendo di più in tecnologie antinquinamento.

Il miglioramento ambientale ha peraltro comportato pesanti costi per l'industria manifatturiera. Nel 1998 la spesa ambientale dell'industria europea ammontava a circa 32 miliardi di euro, pari allo 0,4 % del PIL o al 2 % del valore aggiunto industriale. Dall'inizio degli anni '80 le spese connesse alla protezione dell'ambiente sono dunque lievitate. Risulta quindi chiaro che le risorse addizionali rese disponibili dalla maggiore produttività derivante dal processo di riforma economica hanno avuto un'importanza fondamentale per permettere di realizzare al tempo stesso progressi in campo ambientale ed una continua crescita della produzione manifatturiera.

Occorre proseguire nell'attuazione di riforme economiche strutturali e di politiche ambientali, per continuare ad evitare il trade-off tra crescita economica e progresso ambientale nella produzione manifatturiera. Si deve considerare con grande attenzione quale sia il giusto equilibrio tra ulteriori prescrizioni di legge in tema di miglioramenti ambientali ed il loro costo, così da garantire che crescita economica e miglioramenti della situazione ambientale possano progredire parallelamente. Al contempo, i costi economici in termini di minore salute pubblica o danni agli edifici, ad esempio, derivanti dalla assenza di interventi devono essere tenuti in considerazione. Per agevolare questo compito la Commissione ha preso l'impegno che tutte le nuove proposte più importanti siano oggetto di valutazioni dell'impatto per tenere pienamente conto delle loro ripercussioni ambientali, economiche e sociali. Le politiche ambientali dovrebbero inoltre avvalersi per quanto possibile degli strumenti più efficienti di natura commerciale, quali ad esempio gli scambi di quote d'emissioni. Per cercare di attenuare la possibilità di compromessi tra crescita economica e pressioni ambientali infine il piano d'azione della Commissione sulle tecnologie ambientali incoraggerà l'innovazione e la diffusione di tecnologie ecologiche. Ciò aumenterà i vantaggi per la competitività derivanti da norme ambientali rigorose. Invero, le politiche ambientali non costituiscono solo un costo per il settore produttivo ma possono contribuire alla competitività e alla crescita economica stimolando una maggiore efficienza produttiva e creando nuovi mercati. Per garantire il conseguimento di uno sviluppo sostenibile per l'economia nel suo insieme occorre trarre gli insegnamenti del caso dai buoni risultati del settore manifatturiero ed applicarli in altri settori.

9. Osservazioni e conclusioni

Non è verosimile che la crescita economica europea riprenda una tendenza decisa e durevole fino a quando non aumenterà la crescita della produttività. La crescita dell'occupazione in Europa è tradizionalmente stagnante, e per quanto si siano presi provvedimenti per stimolarla in conformità degli obiettivi di Lisbona nel breve termine la crescita economica determinata dalla crescita della produttività. Ciò comporta che si aumenti la competitività dell'Unione.

In occasione dell'incontro di Lisbona e di quelli successivi il Consiglio europeo ha già invitato a varare iniziative che migliorino la competitività dell'UE. Politiche selettive e ad hoc risultano inappropriate. Occorre attuare per intero la serie di politiche prescritta dalla strategia di Lisbona. Come indica il contributo della Commissione al Consiglio europeo di primavera occorre impegnarsi molto più intensamente per attuare la strategia di Lisbona, altrimenti diventa impossibile conseguirne gli obiettivi.

È difficile attribuire gli scarsi risultati ottenuti in tema di crescita della produttività ad un particolare fattore. Riscuote tuttavia ampi consensi l'opinione che TIC ed innovazione abbiano svolto un ruolo cruciale nell'accelerare la crescita della produttività in alcuni Stati membri e negli USA.

È dunque di fondamentale importanza identificare le politiche cui è riconducibile la vigorosa crescita della produttività registrata in alcuni Stati membri di ridotte dimensioni. Altrettanto cruciale è identificare gli ostacoli dovuti alle politiche perseguite e/o ad altri fattori che hanno ritardato l'adozione e la diffusione delle TIC, delle innovazioni, della ricerca e dello sviluppo. Ciò risulta particolarmente necessario nel settore dei servizi per quanto riguarda la diffusione del commercio elettronico e l'informatizzazione delle imprese. A questo scopo occorreranno inevitabilmente riforme del settore delle telecomunicazioni che consentano riduzioni dei costi e rendano possibile l'accesso ad un numero maggiore di consumatori ed imprese.

Vanno parimenti migliorate la qualità della forza lavoro e la disponibilità di manodopera qualificata così da rendere possibile sfruttare con maggiore tempestività le nuove tecnologie, le innovazioni, e la ricerca e lo sviluppo. Le istituzioni e le politiche che si occupano del mercato del lavoro devono soddisfare le esigenze legate a queste nuove tecnologie.

Si devono realizzare appieno le condizioni che rendono possibile l'espansione del terziario. La piena integrazione dei mercati dei servizi incoraggerà gli investimenti e rafforzerà gli elementi che incentivano l'adozione di nuove tecnologie.

Tutte le politiche andranno attuate in modo atto a sostenere una società dinamica e basata sulle conoscenze. Occorrerà in particolare realizzare l'equilibrio tra la politica della concorrenza e quella delle imprese in tutti i settori d'applicazione. Si dovrà trarre pienamente vantaggio della sinergia tra tali politiche per migliorare la competitività delle imprese europee sul piano mondiale.

Andrà parimenti raggiunta la sostenibilità ambientale, estendendo ad altri settori dell'economia i risultati positivi conseguiti in questo campo dal settore manifatturiero. Queste iniziative esigono un coordinamento ed un'attività di consultazione che investano tutte le politiche dell'Unione.

Solo la modernizzazione delle nostre economie consentirà all'Unione di conseguire gli obiettivi economici, sociali ed ambientali della strategia di Lisbona. I risultati ottenuti dall'UE negli anni successivi al 1995 sotto il profilo della crescita della produttività sono inadeguati. Se si vogliono realizzare gli obiettivi fissati a Lisbona occorre procedere più velocemente sul cammino della modernizzazione.