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Document 52015AE0580
Opinion of the European Economic and Social Committee on ‘The Paris Protocol — A blueprint for tackling global climate change beyond 2020’ (COM(2015) 81 final)
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il protocollo di Parigi — Piano particolareggiato per la lotta contro il cambiamento climatico oltre il 2020» [COM(2015) 81 final]
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il protocollo di Parigi — Piano particolareggiato per la lotta contro il cambiamento climatico oltre il 2020» [COM(2015) 81 final]
OJ C 383, 17.11.2015, p. 74–83
(BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)
17.11.2015 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea |
C 383/74 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il protocollo di Parigi — Piano particolareggiato per la lotta contro il cambiamento climatico oltre il 2020»
[COM(2015) 81 final]
(2015/C 383/11)
Relatore: |
RIBBE |
La Commissione europea, in data 25 marzo 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:
Il protocollo di Parigi — Piano per la lotta ai cambiamenti climatici mondiali dopo il 2020
[COM(2015) 81 final].
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2015 sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.
Alla sua 509a sessione plenaria, dei giorni 1 e 2 luglio 2015 (seduta del 2 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 193 voti favorevoli, 12 voti contrari e 9 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1. |
Il Comitato economico e sociale europeo si attende che le parti negoziali della 21a Conferenza delle parti concludano finalmente un accordo ambizioso, equo e vincolante. Sostiene pienamente, con qualche marginale eccezione, il contenuto della posizione negoziale presentata dalla Commissione europea. Si rammarica tuttavia del fatto che l’UE non abbia ancora compreso pienamente il ruolo essenziale che spetta alla società civile in questo processo. |
1.2. |
Tutti gli Stati firmatari della Convenzione quadro, senza eccezione, dovranno assumersi la responsabilità di attuare l’effettiva finalità, cioè «stabilizzare le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello tale da prevenire una pericolosa interferenza antropica (1) nel sistema climatico». Solo così si potranno prevenire danni ancora maggiori per l’umanità, l’ambiente e le generazioni future. |
1.3. |
Il principio di una responsabilità comune ma differenziata è corretto. Per la maggior parte degli Stati è il momento di avviare un processo di trasformazione, lasciandosi alle spalle le energie fossili e avviandosi verso una maggiore efficienza energetica, un impiego più efficiente delle risorse e il ricorso alle energie rinnovabili. I paesi che oggi contribuiscono in misura minima ai cambiamenti climatici devono essere aiutati a passare direttamente ad un’economia a basso tenore di carbonio. Proprio in questo campo si aprono grandi opportunità per le imprese innovative europee, le quali devono però ricevere un sostegno politico. Bisognerà aver cura di evitare che questa trasformazione impoverisca quanti si trovano al di sotto della soglia di povertà. Sarebbe invece opportuno e si deve usarla in modo efficace per imprimere un nuovo slancio all’economia, particolarmente a livello regionale, e per sviluppare nuovi impianti di produzione di energia a zero emissioni di carbonio, che coinvolgano la popolazione locale. |
1.4. |
Alla 21a Conferenza delle parti non saranno quindi discusse le tradizionali tematiche ambientali: in quella sede sarà edificata la base di una nuova economia globale a basso tenore di carbonio. |
1.5. |
Un processo del genere richiede un’avanguardia di pionieri, ruolo che è stato svolto per molti anni con successo dall’Europa. Tuttavia non si può più parlare di un’avanzata solitaria dell’Europa sul terreno della prevenzione dei cambiamenti climatici. Ormai numerosi altri blocchi economici investono massicciamente nei processi di trasformazione e nelle tecnologie verdi, senza per questo assumere un ruolo più attivo nei negoziati per la Conferenza delle parti. Indipendentemente dall’esito dei negoziati di Parigi, in realtà la competizione per i mercati del futuro nel campo delle tecnologie verdi, importanti ai fini della prevenzione dei cambiamenti climatici, è già iniziata da tempo, e l’Europa vi dovrà partecipare, a prescindere dai risultati della 21a Conferenza delle parti. |
1.6. |
Alcune importanti condizioni economiche generali, in grado di condurre alla delocalizzazione delle emissioni di carbonio o, inversamente, alla «delocalizzazione della decarbonizzazione», non saranno oggetto di negoziato nel quadro della Conferenza delle parti. Anche al di là del processo negoziale relativo alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui mutamenti climatici, quindi, bisogna mantenere l’attenzione sulle questioni climatiche e sulle loro ricadute macroeconomiche e sociali. L’UE deve impegnarsi a tutti i livelli affinché vengano predisposti, tra l’altro, meccanismi di mercato che portino a tenere conto, nelle questioni commerciali globali, delle emissioni derivanti dai processi produttivi. |
1.7. |
Il CESE fa osservare che la protezione del clima dipenderà non già dai risultati, auspicabilmente ambiziosi, della Conferenza delle parti, ma dalla coerente attuazione di tali risultati. Tale attuazione non sarà realizzata dai politici bensì dai cittadini. Il compito dei politici consiste nel creare le condizioni adatte, tenendo conto delle conseguenze non solo ambientali, ma anche economiche e sociali, ma l’attuazione sarà compito della società civile. Le decisioni adottate dovranno pertanto essere oggetto di un ampio consenso e sostegno da parte della società, delle imprese, dei sindacati e di tutte le altre componenti della società civile. |
1.8. |
Il molteplice ruolo della società civile (vedere più avanti il punto 6) sarà purtroppo trattato in maniera del tutto marginale nei dibattiti, e non si vede alcuna iniziativa dell’UE rivolta a cambiare questa situazione. La comunicazione in esame non contiene alcuna indicazione concreta su quello che potrebbe essere il ruolo della società civile. La nuova politica in materia di clima non può e non deve essere calata dall’alto, bensì deve basarsi su un ampio sostegno da parte della maggioranza dei cittadini, nel quadro di un dialogo civile attivo, con la partecipazione di tutte le parti in causa ed essere applicata dal basso. Il Comitato raccomanda alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo di avviare finalmente un intenso dialogo strutturato in questo settore, allo scopo di non compromettere la fondamentale disponibilità della società a sviluppare nuove strutture. La politica concretamente attuata finora dall’UE in questo campo è molto deludente. In tale contesto il CESE raccomanda che la Commissione crei le condizioni strutturali e fornisca le risorse necessarie a consentire alla società civile di impegnarsi con le parti interessate in condizioni di parità di riconoscimento e di coinvolgimento. |
1.9. |
Il CESE sottolinea che ci sono opportunità ambientali, economiche e sociali legate alle tecniche già esistenti di riduzione del CO2, che possono condurre alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di attività economiche in tutto il mondo. |
2. Contesto
2.1. |
23 anni fa, nel maggio 1992 è stata adottata a New York la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’articolo 2 della Convenzione ne stabilisce la finalità: «stabilizzare le concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera a un livello tale da prevenire una pericolosa interferenza antropica (2) nel sistema climatico» e attenuarne le eventuali conseguenze. |
2.2. |
Già nello stesso anno, nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro, la Convenzione fu firmata da 154 paesi. Entrata in vigore nel marzo del 1994, essa conta ormai 196 firmatari. |
2.3. |
Gli Stati che aderiscono alla Convenzione quadro partecipano annualmente al cosiddetto vertice delle Nazioni Unite sul clima, ossia alla Conferenza delle parti (Conference of Parties — COP). Sinora non sono state adottate misure in grado anche solo di avvicinarsi agli obiettivi della Convenzione. A tutt’oggi esistono solo gli obiettivi vincolanti di limitazione delle emissioni dei paesi industrializzati, adottati a Kyoto nel corso della terza Conferenza delle parti. Tuttavia, come è noto, il Protocollo di Kyoto è stato ratificato solo da una parte dei paesi industrializzati. |
2.4. |
Dopo 21 anni di negoziati, nel corso dei quali le emissioni globali sono aumentate di quasi il 50 % (da 30,8 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2 nel 1992 a 43,4 miliardi di tonnellate nel 2011) (3) e i danni derivanti dai mutamenti climatici di origine antropica divengono sempre più visibili, è ormai è unanimemente riconosciuto che è giunto il momento di agire. |
2.5. |
Quasi tutte le ricerche scientifiche mostrano che siamo ancora in tempo per limitare in misura adeguata l’innalzamento della temperatura. Affinché ciò si realizzi occorre iniziare molto rapidamente ad attuare le necessarie, ambiziose misure. Gli studi effettuati mostrano tra l’altro che l’obiettivo può essere in teoria raggiunto anche successivamente, ma ne deriverebbero costi sproporzionatamente elevati e danni considerevoli, che si ripercuoterebbero sulla vita di milioni di persone e sull’economia. |
2.6. |
La Convenzione quadro non dà una definizione esatta del concetto di «pericolosa interferenza antropica nel sistema climatico». Alla 16a Conferenza delle parti, nel 2010, gli Stati contraenti hanno raggiunto un accordo politico volto a limitare l’aumento globale delle temperature a 2 (e in talune circostanze a 1,5) gradi centigradi al di sopra dei valori preindustriali, senza tuttavia fornire una base scientifica che dimostrasse che tale accordo politico realizzava l’obiettivo perseguito. |
2.7. |
Il CESE segnala espressamente a tutte le parti in causa, politici e società civile, che già adesso con un livello ben inferiore a 2 oC si osservano perturbazioni dalle conseguenze preoccupanti. Il limite di 2 oC non può quindi rappresentare un obiettivo da raggiungere, bensì una soglia massima dalla quale occorrerebbe tenersi quanto più possibile lontano. |
3. La 21a Conferenza delle parti di Parigi
3.1. |
Nel dicembre 2015 si svolgerà a Parigi la 21a Conferenza delle parti. Stando agli annunci, alla Conferenza verrà raggiunto, finalmente, un accordo mondiale, contenente i necessari impegni, che saranno ambiziosi, equi e vincolanti per tutti i 196 paesi firmatari ed entreranno in vigore nel 2020. |
3.2. |
Gli impegni di cui si persegue l’adozione riguardano tra l’altro:
|
3.3. |
Si dovrà inoltre stabilire come impiegare, applicando misure concrete di difesa del clima, il lasso di tempo tra la decisione del dicembre 2015 e l’entrata in vigore delle misure vincolanti nel 2020 (azione pre-2020). |
3.4. |
Inoltre, i governi valuteranno per la prima volta come si debbano attuare le politiche per il clima. Il CESE si associa ai recenti richiami all’esigenza di rispettare i diritti umani nel passaggio a un’economia a basso tenore di carbonio, garantendo che tale transizione avvenga in modo equo e mantenga e crei posti di lavoro dignitosi e di buona qualità. |
3.5. |
L’UE ha raccolto le sue posizioni e le sue aspettative in merito alla 21a Conferenza delle parti nella comunicazione «Il protocollo di Parigi — Piano per la lotta ai cambiamenti climatici mondiali dopo il 2020» (5). L’Unione propone tra l’altro di rendere vincolante l’accordo adottandolo come protocollo della Convenzione quadro sul clima, la cui entrata in vigore «dovrebbe avvenire non appena sia ratificato dai paesi che insieme rappresentano attualmente l’80 % delle emissioni mondiali». |
3.6. |
I paesi firmatari riconoscono il principio della responsabilità comune ma differenziata, per cui tutti gli Stati firmatari, indipendentemente dall’entità del loro impatto sui cambiamenti climatici, devono assumere le proprie responsabilità. La portata esatta di tale responsabilità sarà commisurata a vari fattori, tra cui il livello storico e quello attuale delle emissioni, la forza economica, la situazione sociale, la misura in cui il paese è colpito e altro ancora. |
4. Le aspettative della società civile europea nei confronti dei negoziati per la 21a Conferenza delle parti
4.1. |
Il CESE invita tutte le parti coinvolte nel negoziato ad adottare finalmente a Parigi un accordo giuridicamente vincolante. Sostiene con decisione le posizioni negoziali dell’UE esposte nella comunicazione della Commissione [COM(2015) 81 final]. |
4.2. |
Nel corso della 21a Conferenza delle parti occorrerà trovare un accordo al fine di perseguire una politica di prevenzione che attui oggi decisioni ambiziose e lungimiranti i cui effetti si faranno sentire domani. Tali decisioni costituiranno la base dell’azione economica e sociale delle future generazioni. Esse contribuiranno a ridurre i danni per coloro che già oggi risentono delle conseguenze dei cambiamenti climatici. |
4.3. |
Pertanto nel corso della 21a Conferenza delle parti, non saranno discusse le tradizionali tematiche ambientali, ma sarà edificata la base di una nuova economia globale a basso tenore di carbonio. |
4.4. |
Il Comitato accoglie con favore il principio della responsabilità comune ma differenziata. Ogni Stato contraente dovrà riconoscere le proprie responsabilità e nessuno di essi potrà sottrarvisi, «nascondersi» dietro altri Stati o seguire, come è accaduto talvolta in passato, il principio per cui si possono assumere responsabilità solo a condizione di ricevere un compenso in denaro. |
Affrontare i cambiamenti climatici
4.5. |
Il CESE ricorda che le emissioni potranno essere contenute a un livello adeguato solo se ciascun essere umano vivente sulla Terra produrrà in media meno di 2 tonnellate equivalenti di CO2 all’anno. |
4.5.1. |
Per restare al di sotto di tale soglia in Europa (dove le emissioni medie di CO2 ammontano a circa 9 tonnellate equivalenti all’anno per abitante), occorrerebbe rispettare l’obiettivo fissato per il 2050 di una riduzione delle emissioni compresa tra l’80 e il 95 %. La Cina, dove le emissioni annue di CO2 ammontano attualmente a 6 tonnellate equivalenti per abitante, dovrebbe ridurre di due terzi tale valore, ma ancora di più dovrebbero fare gli Stati uniti d’America, con 16,5 tonnellate equivalenti, e il «campione mondiale» Qatar, con 40 tonnellate equivalenti. |
4.5.2. |
Inversamente, non si potrebbero richiedere riduzioni a Stati come il Mali, dove le emissioni annue di CO2 pro capite sono pari a 0,04 tonnellate equivalenti, o il Ruanda, con 0,06 tonnellate equivalenti. Il CESE pertanto non concorda pienamente con l’affermazione della Commissione secondo cui «tutti i paesi dovranno ridurre in maniera consistente e costante le emissioni di gas a effetto serra». Tali paesi dovrebbero semmai seguire il percorso che li porterà a diventare delle economie a basso tenore di carbonio. Le responsabilità in materia di lotta ai cambiamenti climatici e di adattamento ai loro effetti sono pertanto comuni ma differenti. Detti Stati hanno un’urgente necessità di sostegno, e questo schiude numerose opportunità di cooperazione per le imprese innovative. Ne potranno approfittare in particolare le imprese europee, che detengono (ancora) il 40 % dei brevetti riguardanti le tecnologie verdi. |
4.5.3. |
Va sottolineato che i summenzionati dati sulle emissioni non riflettono le grandi differenze che intercorrono tra i differenti strati sociali degli Stati, e che in effetti le emissioni di anidride carbonica generate nella produzione sono imputate ai paesi di produzione e non a quelli in cui i prodotti sono utilizzati. Se fosse vero il contrario, il bilancio delle emissioni della Cina, per esempio, sarebbe molto migliore, e quello della Germania peggiore (6). |
4.6. |
Il CESE ravvisa nell’elaborazione di obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni una componente fondamentale del processo della 21a Conferenza delle parti. I gravi ritardi nella presentazione di tali obiettivi nazionali presso la segreteria della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (7) rappresentano un segnale molto negativo. |
4.7. |
Il Comitato comprende che non è ancora assolutamente certo che i sostenitori di un accordo rigoroso nel quadro della 21a Conferenza delle parti riusciranno a realizzare l’auspicata solidarietà con le generazioni future (8), in un contesto in cui le 196 parti contraenti sono caratterizzate da situazioni di partenza molto differenti e talvolta da orientamenti politici e contesti culturali estremamente diversi. |
4.8. |
Già i negoziati per il pacchetto dell’UE sul clima e l’energia all’orizzonte del 2030, in un certo senso una Conferenza delle parti a livello dell’Unione, hanno mostrato che anche a tale livello risulta quasi impossibile realizzare l’obiettivo perseguito dalla 21a Conferenza delle parti, ossia definire una chiara responsabilità nazionale. Il Comitato si rammarica pertanto del fatto che nel pacchetto energia e clima dell’UE per il 2030 non saranno più previsti valori obiettivo nazionali vincolanti, cosa che renderà più difficile raggiungere gli obiettivi europei complessivi e attribuire responsabilità (9). La definizione di obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni per gli Stati membri costituirebbe un segnale utile in vista dei negoziati di Parigi. |
Adeguamento ai cambiamenti climatici, disposizioni finanziarie e trasferimento di tecnologie
4.9. |
Responsabilità differenziata vuol dire anche che è necessario un certo grado di solidarietà, grazie a cui i paesi meno avanzati e meno solidi finanziariamente ricevano un certo livello di aiuto ai fini della costruzione di un’economia «verde» rispettosa del clima, e siano messi in grado di far fronte ai danni climatici da cui spesso sono colpiti più gravemente di altri. Bisognerà aver cura di evitare che questa trasformazione impoverisca quanti si trovano al di sotto della soglia di povertà. Sarebbe invece opportuno e si deve usarla in modo efficace per imprimere un nuovo slancio all’economia, particolarmente a livello regionale, e per sviluppare nuovi impianti di produzione di energia a zero emissioni di carbonio, che coinvolgano la popolazione locale. |
4.10. |
Le questioni finanziarie e il trasferimento di tecnologie acquisiscono pertanto un ruolo importante. Già una volta i paesi meno avanzati sono stati amaramente delusi, dato che gli aiuti allo sviluppo promessi, pari allo 0,7 % del PIL, si sono rivelati molto inferiori agli impegni presi. Questo non si deve ripetere. |
Carattere giuridicamente vincolante e monitoraggio dell’accordo
4.11. |
Il CESE sostiene l’affermazione dell’UE secondo cui il carattere giuridicamente vincolante dell’accordo rappresenta il fondamento decisivo della parità di condizioni a livello globale e dell’attuazione delle decisioni necessarie. |
4.12. |
Tra i vantaggi di un accordo giuridicamente vincolante figurano i seguenti:
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4.13. |
La società civile si attende che nel nuovo accordo in materia di clima siano prese in considerazione le sue richieste di una transizione giusta, che tenga conto dei diritti umani e dei lavoratori e consideri le conseguenze sociali, anche per quanto riguarda la compensazione delle perdite e dei danni derivanti dai cambiamenti climatici e le questioni connesse all’adattamento ai loro effetti, specie nei paesi più poveri. |
4.14. |
L’attuazione delle decisioni dovrà necessariamente essere trasparente e verificabile, e gli Stati che non le rispettano dovranno essere privati dei vantaggi derivanti dall’accordo. |
4.15. |
Il CESE osserva che la proposta della Commissione, volta a garantire il dinamismo dell’accordo attraverso le sue periodiche revisioni, consentirebbe di rendere più rigorosi gli impegni in materia di clima, in funzione delle differenti situazioni nazionali e dell’evolversi delle responsabilità. |
Aspettative nei confronti del ruolo dell’Unione europea nell’azione globale contro i cambiamenti climatici
4.16. |
Negli ultimi anni l’UE si è fatta una buona reputazione a livello globale nelle questioni di protezione del clima. Il CESE considera importante creare un clima di certezza, sia nel corso dei negoziati che attraverso una politica attiva condotta al di fuori di essi, circa il fatto che l’obiettivo di un’ambiziosa politica di protezione del clima non è procurarsi vantaggi economici nei confronti di altri paesi o di altri contesti economici. |
4.17. |
L’Unione europea dovrebbe continuare a mostrarsi credibile e a dare l’esempio a livello mondiale. In assenza di precursori e di propulsori nella politica e nell’economia il negoziato e i cambiamenti non possono avanzare. È importante sottolineare che l’UE potrà svolgere credibilmente questo ruolo di precursore solo se si dimostrerà che la politica di protezione del clima va di pari passo con uno sviluppo favorevole sul piano economico. |
4.18. |
Suscita compiacimento il fatto che numerose misure introdotte inizialmente nell’UE non senza contrasti siano adesso state adottate anche da paesi terzi. Si possono citare come esempio gli interventi di promozione delle energie rinnovabili, o il sistema di scambio dei diritti di emissione, che verrà parzialmente applicato perfino dalla Cina. |
4.19. |
Il Comitato apprezza che l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, con il «Piano di azione diplomatico per il clima» (10), abbia riservato particolare attenzione nella sua politica estera alle questioni relative al clima. Anche le dichiarazioni del presidente della Commissione europea Juncker circa il suo proposito di fare dell’UE il campione mondiale nelle energie rinnovabili — non solo ai fini della prevenzione dei cambiamenti climatici, ma anche per creare occupazione e per promuovere la sicurezza dell’approvvigionamento energetico — costituiscono un importante segnale nella giusta direzione. |
4.20. |
L’UE ha qualcosa di cui essere fiera su scala globale: ha mostrato, tra l’altro, che la crescita economica può essere disaccoppiata dall’aumento delle emissioni, Ad esempio, in nessun’altra zona economica del mondo le emissioni di gas a effetto serra rispetto al PIL sono così ridotte. Molte imprese europee sono all’avanguardia nell’uso efficiente dell’energia e delle risorse. Ciò dipende in gran parte dalle realizzazioni tecniche e pertanto dalla capacità di innovazione delle imprese europee, che si sono sviluppate in un contesto di legislazione ambientale relativamente rigorosa. |
4.21. |
Tuttavia l’Europa ha ancora numerosi compiti da svolgere: l’auspicata riduzione delle emissioni di anidride carbonica in misura compresa tra l’80 e il 95 % entro l’anno 2050 non sarà realizzata solo grazie alle innovazioni tecniche. Ne è la prova il settore dei trasporti, dove le innovazioni tecniche riguardanti i gas di scappamento sono state semplicemente controbilanciate, almeno in parte, dall’aumento delle infrastrutture stradali e del numero di veicoli in circolazione Occorrono dunque anche mutamenti strutturali, ossia c’è bisogno di una coerenza molto maggiore che in passato tra le politiche per il clima e le altre politiche. |
5. Lo svolgimento dei negoziati della Conferenza delle parti degli ultimi anni e il contesto reale al di là dei negoziati stessi
5.1. |
Il Comitato segue i negoziati in materia di clima già da molti anni. Esso è consapevole dell’estrema importanza di una risoluzione positiva a Parigi, ma segnala al tempo stesso che non saranno le decisioni a salvare il clima, bensì l’attuazione di misure concrete. |
5.2. |
Per la comunità internazionale sarebbe certamente più facile raggiungere a Parigi un consenso se, ad esempio, le risoluzioni comuni della conferenza Rio+20 fossero state attuate o fossero in via di attuazione, in particolare per quanto riguarda la graduale eliminazione delle «sovvenzioni nocive e inefficienti ai combustibili fossili, che incoraggiano gli sprechi e compromettono lo sviluppo sostenibile» (11). Già allora era stata riconosciuta l’esigenza di usare gli strumenti dell’economia di mercato (ad esempio la tassazione del carbonio, i sistemi di scambio dei diritti di emissione e altro ancora), cosa che il Comitato considera opportuna (12). Un recente documento di lavoro del Fondo monetario internazionale (13) quantifica in 5 300 miliardi di USD l’anno, ossia oltre 15 miliardi di USD al giorno, i sussidi diretti e indiretti alle energie fossili. L’impatto negativo di questi sussidi non potrebbe essere compensato nemmeno con i 100 miliardi di USD l’anno di cui dovrebbe essere dotato l’auspicato Fondo verde per il clima. |
5.3. |
Tra le promesse politiche e la loro attuazione si aprono tuttavia enormi divari che mettono alla prova la fiducia della società civile negli accordi politici globali. È necessario che a Parigi tali delusioni non siano ulteriormente aggravate, e che vi sia anzi un’inversione di tendenza. |
5.4. |
Ma per l’Europa è anche importante osservare gli eventi che si producono, al di là del «mondo delle conferenze delle parti», nel contesto dello sviluppo economico reale. A tale proposito si menzionano alcuni esempi:
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Competitività globale, delocalizzazione delle emissioni di carbonio e/o delocalizzazione della decarbonizzazione
5.5. |
Le decisioni necessarie a raggiungere gli obiettivi della Convenzione quadro non comporteranno oggi solo situazioni di vantaggio per tutti (win-win). Per tale ragione vengono giustamente menzionate le difficoltà derivanti dal conciliare nella misura del possibile le decisioni della Conferenza delle parti con interessi (economici) nazionali o settoriali a breve termine. |
5.6. |
Tale conciliazione non risulterà sempre possibile, poiché è evidente che alcuni settori economici avranno, nel nuovo sistema di un’economia a basso tenore di carbonio, un ruolo considerevolmente ridotto o addirittura nullo, e figureranno quindi tra i perdenti del necessario mutamento strutturale. Nascondere questo fatto non gioverebbe a nessuno. Semmai tali settori economici, e le persone e le regioni coinvolte, avrebbero diritto a sapere in che modo i soggetti politici intendano gestire tale mutamento senza fratture e in maniera socialmente sostenibile. Tuttavia queste difficoltà non devono costituire una ragione per astenersi dall’agire subito. Agire già adesso, promuovendo il passaggio a un’economia a basso tenore di carbonio, costerebbe meno rispetto a intervenire in futuro per riparare i danni causati (15). |
5.7. |
La questione dell’apertura di mercati del futuro, tra cui, ad esempio, quello delle tecnologie delle energie rinnovabili e quello delle tecnologie volte a migliorare l’efficienza, riveste grandissima importanza per la competitività futura dell’Europa. Ovviamente occorre prendere sul serio coloro che in Europa mettono in guardia, per esempio, dalla delocalizzazione delle emissioni di carbonio, e invitano ad evitare una corsa in avanti della sola Europa in questo campo. |
5.8. |
Tuttavia non si assiste più a un percorso solitario dell’Europa, ma semmai piuttosto a una competizione globale. Pertanto occorre adesso considerare anche il rischio di una delocalizzazione della decarbonizzazione, ossia che l’Europa perda il primato tecnologico, e quindi economico, che ha sinora avuto tra l’altro nel settore delle energie rinnovabili. |
5.9. |
Ciò può avvenire in maniera molto rapida. Nel settore delle energie rinnovabili si constata che l’Europa è in ritardo per quanto riguarda le tecnologie di stoccaggio mediante batterie; nella mobilità elettrica i leader sono adesso la Cina e la California, mentre i pannelli fotovoltaici più economici su scala mondiale vengono prodotti in Cina, e non solo a causa del dumping salariale. Servono con urgenza investimenti pubblici e privati molto maggiori nel settore ricerca e sviluppo. |
5.10. |
L’attuale disparità delle condizioni globali rappresenta una sfida notevole per le imprese europee che competono su scala mondiale. Settori come quelli dell’acciaio, della carta e della chimica, particolarmente caratterizzati da interconnessioni globali, mantengono la loro importanza economica. Grazie agli sviluppo tecnologici, nel periodo 1990-2012 l’impatto dell’industria manifatturiera sul clima si è ridotto nell’UE del 31 % (16). |
5.11. |
È improbabile che il ruolo di questi settori industriali venga interamente rimpiazzato, di qui al 2050, da nuovi settori «verdi». Se tali settori fossero costretti a delocalizzare la produzione in paesi non appartenenti all’UE, senza alcuna riduzione delle emissioni in termini globali, non vi sarebbe alcun vantaggio né per l’economia europea né per il clima mondiale. |
5.12. |
La portata della delocalizzazione delle emissioni di carbonio è spesso oggetto di discussioni: tale processo può avvenire in maniera diretta, quando i siti di produzione vengono trasferiti fuori dall’UE in risposta a nuove misure politiche, o indiretta, sotto forma di un aumento degli investimenti in paesi terzi, mentre la produzione viene temporaneamente mantenuta nell’UE. Quest’ultimo caso è molto più frequente oggigiorno per le imprese di livello mondiale, a causa di numerosi fattori connessi alla produzione. Poiché la produzione delle «vecchie industrie» aumenta globalmente, è necessario fornire incentivi equilibrati che promuovano nell’UE tecnologie a basso tenore di CO2 anche in tali industrie, senza compromettere la loro competitività relativa. |
5.13. |
L’industria e il settore commerciale dell’UE devono contribuire a limitare l’impatto delle rispettive attività sul clima, conformemente all’obiettivo di ridurre le emissioni in misura compresa tra l’80 e il 95 % entro il 2050. La tabella di marcia per il raggiungimento di tale obiettivo potrebbe tuttavia variare in funzione dei settori e delle imprese. L’industria e il settore commerciale dell’UE possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi globali progettando, producendo ed esportando prodotti e servizi che aiutano gli altri paesi a ridurre le proprie emissioni. Nella misura in cui ciò viene realizzato con un impatto climatico minore in Europa che in altre aree, potrebbe addirittura essere accettato nel breve periodo un maggiore volume complessivo di emissioni, senza tuttavia che siano rimessi in discussione gli obiettivi di riduzione dell’UE per il 2050. Si dovrebbe pertanto valutare l’opportunità di creare tali tabelle di marcia dell’UE per ciascun settore industriale. |
5.14. |
I problemi sopra descritti della delocalizzazione delle emissioni di carbonio e della delocalizzazione della decarbonizzazione non rientrano nelle trattative per la 21a Conferenza delle parti. Pertanto l’UE deve impegnarsi a tutti i livelli affinché vengano predisposti, tra l’altro, meccanismi di mercato che portino a tenere conto, nelle questioni commerciali globali, delle emissioni derivanti dai processi produttivi. Sono necessarie ulteriori misure per affrontare il problema della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, come l’adeguamento del carbonio alla frontiera: un sistema volto a ridurre le emissioni di CO2 ma che al contempo garantisca condizioni uniformi. In un sistema siffatto, il prezzo dei beni importati sarà incrementato alla frontiera sulla base di un calcolo delle emissioni espresse in flusso di massa relative a tali beni. I modelli esaminati in un recente studio (17) mostrano che l’adeguamento del carbonio alla frontiera può ridurre la rilocalizzazione delle emissioni nei settori pertinenti. |
5.15. |
Tuttavia, gli adeguamenti alla frontiera, nella configurazione attualmente in discussione, non sono ben accolti da alcuni dei principali partner commerciali dell’Europa. Tale questione deve essere negoziata in seno all’OMC. Il trattato consente di prendere in considerazione queste questioni «non commerciali». Non va però sottovalutata la difficoltà di procedere in tal senso in assenza di un accordo globale sul prezzo del carbonio. Tali preoccupazioni possono essere affrontate con una migliore progettazione dell’adeguamento del carbonio alla frontiera. In sostanza, l’adeguamento fiscale del carbonio alla frontiera non è uno strumento anti-dumping, ma, se correttamente progettato, rappresenta un contributo a una politica del clima sostenibile a livello mondiale (18). |
5.16. |
In concreto ciò significa che occorrerebbe prevedere meccanismi del genere, tra l’altro nei negoziati per il partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) e per l’accordo economico e commerciale globale (CETA). |
Cosa significherebbe un (parziale) insuccesso dei negoziati?
5.17. |
Con quanto precede, il Comitato intende sottolineare che anche un eventuale insuccesso, totale o parziale, dei negoziati della 21a Conferenza delle parti, pur rappresentando senz’altro un motivo di rammarico e un duro contraccolpo, certamente non segnerebbe la fine delle attività di prevenzione dei cambiamenti climatici. La chiarezza e la prevedibilità generate da un accordo vincolante — certamente utili per l’economia e la società in generale e in grado di dare nuovi impulsi — verrebbero meno. In realtà, la competizione per i mercati del futuro nel campo delle tecnologie verdi è già iniziata da tempo, e l’Europa vi dovrà partecipare, a prescindere dai risultati della 21a Conferenza delle parti. |
5.18. |
Il percorso verso un’economia a basso tenore di carbonio è chiaramente giustificato anche da argomenti che vanno al di là della prevenzione dei cambiamenti climatici. La crescente scarsità delle energie fossili, la tematica della sicurezza energetica e il fatto che grazie alle tecnologie delle energie rinnovabili sia già possibile in numerosi settori produrre energia a costo minore rispetto alle fonti tradizionali, indicano un percorso ormai irreversibile. |
6. Il ruolo della società civile
6.1. |
Se da un lato il CESE sostiene le posizioni esposte dalla Commissione nella comunicazione sul Protocollo di Parigi, dall’altro esso trova incomprensibile che tale comunicazione non faccia cenno di alcuna strategia della Commissione per condividere e organizzare con la società civile le suddette posizioni e la successiva attuazione delle decisioni. A giudizio del CESE, la Commissione ha un chiaro obbligo di intavolare un dialogo strutturato con la società civile, e in special modo con gli organi istituzionali che la rappresentano, sulla sua strategia in materia di clima. |
6.2. |
Alla società civile spettano quanto meno tre importanti ruoli. Il primo è quello di contribuire ad accompagnare il processo politico dei negoziati e ad esercitare una pressione sociale affinché, da un lato, vengano adottate le decisioni vincolanti di cui si è parlato più sopra, e dall’altro, tali decisioni siano conformi alle aspettative ambientali economiche e sociali. |
6.2.1. |
Negoziati come la Conferenza delle parti sono necessari anche perché nella comunità di Stati esistono concezioni differenti in merito all’urgenza, alla portata, al finanziamento, alla responsabilità ecc. Se tutti fossero d’accordo non ci sarebbe bisogno di negoziare. Anche nella società civile c’erano, e ci sono tuttora, posizioni altrettanto divergenti. Tuttavia le ultime conferenze delle parti hanno ormai dimostrato che non sono più «solo» gli ambientalisti, i gruppi impegnati nella politica di sviluppo, le organizzazioni femminili o i rappresentanti delle popolazioni indigene, per menzionare solo alcune delle parti in causa, a impegnarsi per una rigorosa azione a favore del clima, ma che anzi in questo campo ha preso forma un ampio movimento della società civile globale. |
6.2.2. |
Particolare riconoscimento merita, già da molti anni, il forte impegno del movimento sindacale (globale) nonché di un gran numero di ambienti economici e di imprese. A titolo di esempio si menzionano i lavori della Confederazione internazionale dei sindacati e del World Business Council for Sustainable Development. Si fa strada la consapevolezza che un’economia efficace nell’uso delle risorse e attenta agli equilibri climatici apre nuove opportunità di sviluppo. |
6.2.3. |
Da questo punto di vista, la 20a Conferenza delle parti tenutasi a Lima ha offerto a entrambi i versanti, quello dei datori di lavoro e quello dei lavoratori, nonché alla società civile nel suo insieme, l’opportunità di segnalare in maniera incisiva ai responsabili politici che fasce molto ampie della società vogliono più di quanto si sia finora negoziato. |
6.2.4. |
Anche nei comuni e nelle regioni le attività di prevenzione dei mutamenti climatici hanno raggiunto una dimensione del tutto nuova, grazie al riconoscimento non soltanto dell’esigenza di evitare ulteriori danni a talune regioni e alle persone che vi vivono e operano, ma anche dell’opportunità di creare nuove filiere del valore, per poi farne uso. |
6.3. |
Il secondo compito della società civile consiste nel partecipare attivamente all’attuazione delle decisioni in materia di prevenzione dei cambiamenti climatici. In tale contesto la politica deve assumere un atteggiamento, a giudizio del CESE, del tutto nuovo sotto il profilo strategico, consentendo tale partecipazione e impegnandosi ai fini di un coinvolgimento molto più intenso. |
6.3.1. |
Ad esempio, nella sua analisi delle modalità con cui la società civile è coinvolta nell’attuazione della direttiva europea sulla promozione delle energie rinnovabili, il Comitato ha constatato molto chiaramente che ampie fasce della società civile, comprese numerose PMI, auspicano un coinvolgimento diretto, ad esempio sotto forma di progetti di autoproduzione energetica, per poter approfittare direttamente delle nuove opportunità economiche che si creano nelle rispettive regioni. |
6.3.2. |
Il successo della svolta energetica in paesi come la Danimarca e la Germania si fonda proprio sul fatto che privati cittadini, agricoltori, amministrazioni comunali, cooperative e piccole imprese partecipano alla produzione energetica e ne traggono anche vantaggi economici (ciononostante le relative possibilità di partecipazione sono state sistematicamente limitate, piuttosto che migliorate, dalla Commissione). |
6.4. |
In terzo luogo la società civile, oltre a monitorare il processo e a sostenere l’attuazione delle decisioni, può contribuire anche diffondendo buone pratiche e conoscenze in merito a sviluppi positivi nelle imprese. È particolarmente importante concentrarsi sui settori economici, quali quello dei trasporti e quello dei processi industriali, riguardo ai quali sembra prevalere l’erronea convinzione che non si fa niente e che le emissioni continuano ad aumentare. Le decisioni politiche possono essere più pertinenti se gli incentivi si basano sugli sviluppi, in corso o previsti, delle tecnologie e dei modelli di attività. Questo compito della società civile può essere svolto mediante convegni e attività di scambio di informazioni che mostrino l’approccio a largo raggio basato su impegni del settore privato, non da ultimo negli Stati membri dell’UE. |
6.5. |
La 21a Conferenza delle parti praticamente non esaminerà il ruolo strategico della società civile, ed è pertanto ancor più importante che i responsabili politici si coordinino, al di fuori del processo negoziale della Convenzione, con la società civile, e quindi sviluppino strategie corrispondenti. |
6.6. |
In tale contesto nell’UE c’è un’enorme esigenza di recuperare il tempo perduto. Il Comitato si rammarica, per esempio, del fatto che né il pacchetto clima ed energia all’orizzonte del 2030, né la proposta relativa all’Unione dell’energia contengano idee concrete sul coinvolgimento della società civile. |
6.7. |
Raccomanda alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo di avviare finalmente un intenso dialogo strutturato in questo settore, allo scopo di non compromettere la fondamentale disponibilità della società a sviluppare nuove strutture. La nuova politica in materia di clima non può e non deve essere calata dall’alto, bensì deve basarsi su un ampio consenso di tutte le parti in causa ed essere applicata dal basso. |
Bruxelles, 2 luglio 2015
Il presidente del Comitato economico e sociale europeo
Henri MALOSSE
(1) Ossia dovuta all’attività umana.
(2) Ossia dovuta all’attività umana.
(3) http://de.statista.com/statistik/daten/studie/311924/umfrage/treibhausgasemissionen-weltweit/
(4) Già adesso gli Stati firmatari sono obbligati a pubblicare resoconti regolari, contenenti informazioni sulle emissioni effettive di gas a effetto serra e sulle relative tendenze.
(5) COM(2015) 81 final, del 25 febbraio 2015.
(6) Università del Maryland, cfr. www.tagesschau.de/ausland/klimaindex104.html
(7) La scadenza di presentazione era in effetti il 31 marzo 2015, ma alla data del 17 maggio 2015 avevano adempiuto al loro obbligo solo Svizzera, UE, Norvegia, Messico, Stati Uniti, Gabon, Russia, Liechtenstein, Andorra e Canada.
(8) Cfr.: http://www.futurejustice.org/
(9) Cfr. il parere del CESE in merito al «Quadro per le politiche dell’energia e del clima per il periodo dal 2020 al 2030» (NAT/636), punti 1.2 e 1.3.
(10) Discusso il 19 gennaio 2015 nel Consiglio Affari esteri, 5411/15.
(11) Cfr. il punto 225 della dichiarazione finale.
(12) Cfr. il parere del CESE sul tema «Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE» (NAT/620), punti 1.3, 1.7 e 1.8 (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1).
(13) Documento di lavoro del FMI intitolato «How Large Are Global Energy Subsidies?» (WP/15/105).
(14) Germania: 30,6 miliardi di dollari nel 2011, 22,8 miliardi nel 2012 e solo 9,9 miliardi nel 2013. Italia: 28,0 miliardi di dollari nel 2011 (in quell’anno, quarto paese al mondo per volume di investimenti), oltre 14,7 miliardi nel 2012 e solo 3,6 miliardi nel 2013 (ora, decimo paese al mondo per investimenti).
(15) Riferimento allo studio del World Resource Institute dal titolo «Better Growth Better Climate, The New Climate Economy Report».
(16) Agenzia europea dell’ambiente: Inventario dei gas a effetto serra nell’Unione europea 1990-2012 e rapporto d’inventario 2014.
(17) Cfr. il parere del CESE sul tema «Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE» (NAT/620), punto 3.5 (GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1).
(18) Cfr. la nota 17.