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Document 52005DC0094

Comunicazione della Commissione - Libro verde: “Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici”

/* COM/2005/0094 def. */

52005DC0094

Comunicazione della Commissione - Libro verde: “Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici” /* COM/2005/0094 def. */


[pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

Bruxelles, 16.3.2005

COM(2005) 94 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

Libro verde: “Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici”

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

Libro verde: “Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici”

Attualmente in Europa si verificano cambiamenti demografici di portata e gravità senza precedenti. Nel 2003 l’incremento naturale della popolazione in Europa si è limitato allo 0,04% su base annua e i nuovi Stati membri, ad eccezione di Cipro e Malta, hanno persino registrato un calo demografico. In numerosi paesi l’apporto dell’immigrazione è stato indispensabile per garantire una crescita della popolazione. Il tasso di fecondità è quasi ovunque inferiore alla soglia del ricambio generazionale (circa 2,1 figli per donna) e in numerosi Stati membri è persino inferiore a 1,5 figli per donna.

Ma i cittadini europei non hanno il numero di figli che desiderano. Si tratta di un segnale dei molteplici vincoli che gravano sulle scelte delle coppie, comprese le crescenti difficoltà di accesso all’abitazione.

È inoltre il segnale di un ambiente che non incentiva le famiglie, che con le loro strutture differenziate costituiscono comunque una componente essenziale della società europea, ad avere più figli. Se l’Europa vuole invertire la tendenza al declino demografico deve offrire alle famiglie maggiori incentivi con politiche pubbliche che consentano alle donne e agli uomini di conciliare vita familiare e professionale. La famiglia continuerà inoltre a svolgere un ruolo significativo nella solidarietà tra generazioni. All’Unione europea occorrono quindi conoscenze migliori della situazione delle famiglie nei diversi Stati membri, in particolare per quanto riguarda l’occupazione e i redditi delle famiglie monoparentali, l’accesso all’abitazione, le prestazioni sociali e l’assistenza alle persone anziane.

Risulta evidente che grazie all’apporto dell’immigrazione la popolazione dell’UE dovrebbe crescere debolmente fino al 2025, per poi iniziare a diminuire[1]: 458 milioni di abitanti nel 2005, 469,5 milioni nel 2025 (+ 2%) e 468,7 milioni nel 2030. Tuttavia, 55 delle 211 regioni dell’UE 15 hanno già registrato un calo della popolazione nella seconda metà degli anni novanta; è quanto è accaduto anche nella maggior parte delle regioni dei nuovi Stati membri (35 regioni su 55) a causa di un decremento naturale e di un’emigrazione netta[2].

Il declino risulta ancor più rapido e profondo se si considera che tra il 2005 e il 2030 il totale della popolazione in età lavorativa (15-64 anni) dovrebbe diminuire di 20,8 milioni di lavoratori.

La relazione del gruppo ad alto livello presieduto da Wim Kok ha sottolineato l’importanza della sfida demografica nel contesto della “strategia di Lisbona”: l’invecchiamento potrebbe comportare una riduzione della “crescita potenziale” annua del PIL europeo dall’attuale 2-2,25% all’1,25% nel 2040. Anche l’imprenditorialità e lo spirito d’iniziativa della nostra società ne sarebbero compromessi.

Per affrontare questa sfida è quindi indispensabile attuare con determinazione l’agenda di Lisbona, privilegiando politiche volte a promuovere una maggiore partecipazione all’attività lavorativa - soprattutto da parte di alcuni gruppi della popolazione, quali donne, giovani e persone in età avanzata - l’innovazione e l’aumento della produttività.

Occorre inoltre portare avanti la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, più specificamente dei regimi pensionistici, per garantirne la sostenibilità finanziaria e sociale, in modo che siano in grado di gestire gli effetti dell’invecchiamento.

Da diversi anni l’Unione europea elabora politiche[3] che contribuiscono ad anticipare efficacemente i cambiamenti[4] e recentemente ha avviato ulteriori iniziative, come il Libro verde sull’approccio dell’Unione europea alla gestione della migrazione economica , intese a far progredire il dibattito su questo tema.

Tre sono le principali tendenze all’origine dei cambiamenti demografici:

- il progressivo allungamento della vita media. È il risultato dei considerevoli progressi nell’ambito della salute e della qualità di vita di cui beneficiano i cittadini europei: la speranza di vita in buona salute è in continua crescita e dovrebbe attenuarsi il divario tra speranza di vita degli uomini e delle donne. Nella stessa famiglia si possono ormai trovare quattro generazioni, anche se a causa della maggiore mobilità, non vivono più necessariamente insieme come un tempo;

- l’aumento della populazione di età superiore a 60 anni , che si avvertirà fino al 2030 circa, quando i bambini del “baby boom” saranno diventati “senior”;

- il persistere della bassa natalità . Le generazioni del “baby boom” hanno avuto meno figli rispetto alle precedenti. Numerosi fattori sono all’origine di tale situazione: difficoltà d’inserimento professionale, penuria e costo degli alloggi, genitori sempre più anziani alla nascita del primo figlio, scelte diverse in tema di studi nonché di vita professionale e familiare. Il tasso di fecondità è quasi ovunque inferiore alla soglia del ricambio generazionale e in alcuni paesi dell’Europa meridionale e orientale è persino inferiore a 1,3 figli per donna.

Nella società si verificano inoltre rilevanti mutamenti strutturali. Le strutture familiari si trasformano: vi sono più “lavoratori in età avanzata” (55-64 anni), “senior” (65-79 anni) e persone molto anziane (80+ anni), meno bambini, giovani e adulti in età lavorativa. Le transizioni tra le diverse fasi della vita sono diventate più complesse, in particolare per i giovani, che affrontano più tardi alcune tappe (termine degli studi, accesso all’occupazione, primo figlio).

Le politiche pubbliche europee e nazionali devono perciò tenere conto dei cambiamenti demografici. È l’obiettivo perseguito dall’azione preparatoria adottata dal Parlamento europeo nel 2004[5], volta a una migliore integrazione dell’impatto dei cambiamenti demografici in tutte le pertinenti politiche.

In un numero crescente di Stati membri tale adattamento è già diventato una priorità politica. Per compensare il prevedibile calo della popolazione in età lavorativa l’UE favorisce una maggiore partecipazione all’attività lavorativa, segnatamente da parte delle donne e dei lavoratori anziani, promuove l’investimento nel “capitale umano” e l’incremento della produttività mediante riforme economiche e l’impegno nella ricerca e nell’innovazione. Occorre tuttavia un ulteriore sforzo a favore dell’inserimento dei giovani nella vita professionale e del loro sostegno lungo itinerari professionali non più lineari, in cui si alternano lavoro, studi, disoccupazione, riqualificazione o aggiornamento delle competenze.

Nel contesto della nuova agenda sociale dell’UE è necessario approfondire il dibattito, rispettando le competenze dei diversi livelli amministrativi: numerose questioni connesse ai cambiamenti demografici rientrano infatti nella competenza esclusiva degli Stati membri, o in quella delle autorità regionali oppure delle parti sociali. Sono anche comunque questioni d’interesse comune, alle quali tutti gli Stati membri devono fornire una risposta, diventata oggi ineludibile.

L’indice di dipendenza demografica totale[6] passerà infatti dal 49% nel 2005 al 66% nel 2030. Occorrerà non solo raggiungere, ma persino superare l’obiettivo della strategia di Lisbona (un tasso d’occupazione del 70%) per compensare il previsto calo della popolazione in età lavorativa: la partecipazione all’attività lavorativa dovrà aumentare e l’età pensionabile andrà ulteriormente innalzata. Sarà inoltre necessario valutare e discutere i mezzi per bilanciare gli effetti più negativi di tali tendenze.

Ritenete che il livello europeo sia adeguato per avviare una riflessione sui cambiamenti demografici e sulla gestione delle loro conseguenze?

In caso affermativo quali potrebbero essere gli obiettivi e i campi d’intervento politico più pertinenti?

1. Le sfide della demografia europea

Le tre cause dell’invecchiamento si registrano ovunque in Europa, ma in situazioni notevolmente diverse che si possono sintetizzare così[7]:

- l’UE non ha più un “motore demografico”. Gli Stati membri con popolazione che non diminuirà prima del 2050 hanno un peso alquanto ridotto. Quanto ai cinque Stati membri più popolosi tra il 2005 e il 2050 (+8% e +9,6%)[8] è previsto un aumento solo di cittadini britannici e francesi. In alcuni casi il calo della popolazione inizierà prima del 2015 e verso il 2050 potrebbe essere superiore al 10-15%;

- in numerosi paesi l’ immigrazione ha recentemente attenuato il deficit delle nascite;

- la situazione dei paesi candidati accentua i contrasti demografici. Le proiezioni relative alla Bulgaria e alla Romania hanno un andamento negativo (-21% e -11% entro il 2030), analogamente a quelle dell’ONU per la Croazia (-19%). La popolazione turca al contrario aumenterebbe di oltre 19 milioni tra il 2005 e il 2030 (+25%).

Bambini (0-14) | -19,4% (-14415) | -3,2% (-2391) | -8,9% (-6411) | -8,6% (-5612) |

Giovani (15-24) | -25,0% (-14441) | -4,3% (-2488) | -12,3% (-6815) | -10,6% (-5139) |

Giovani adulti (25-39) | -25,8% (-25683) | -4,1% (-4037) | -16,0% (-15271) | -8,0% (-6375) |

Adulti (40-54) | -19,5% (-19125) | +4,2% (+4170) | -10,0% (-10267) | -14,1% (-13027) |

Lavoratori in età avanzata (55-64) | +8,7% (+4538) | +9,6% (+5024) | +15,5% (+8832) | -14,1% (-9318) |

“Senior” (65-79) | +44,1% (+25458) | +3,4% (+1938) | +37,4% (+22301) | +1,5% (+1219) |

Persone molto anziane (80+) | +180,5% (+34026) | +17,1% (+3229) | +57,1% (+12610) | +52,4% (18187) |

Tali tendenze s’inseriscono in un contesto più ampio: nel corso di questo secolo l’invecchiamento si estenderà a tutte le zone del mondo. Tra il 2000 e il 2025[9] gli Stati Uniti, nostro partner principale, avranno un incremento della popolazione pari al 25,5%. In Cina per esempio l’inversione di tendenza sarà rapida, con un calo della popolazione a partire dal 2025. Per i “vicini” dell’Europa in Africa e in Medio Oriente al contrario il problema dell’invecchiamento si porrà molto più avanti: la popolazione è molto più giovane, con un’età media di 20 anni, rispetto a più di 35 in Europa.

1.1. La sfida di una bassa natalità

In questo contesto una bassa natalità costituisce una sfida per le autorità politiche. Non si era mai verificata nella storia una “crescita senza culle”. Il potenziamento della produttività, in particolare mediante l’accesso all’apprendimento permanente, e l’incremento della partecipazione all’attività lavorativa, soprattutto attraverso l’istituzione di un mercato del lavoro europeo e la promozione di una maggiore mobilità professionale, costituiscono due strumenti essenziali per farvi fronte. Ne esistono altri: natalità e immigrazione.

Il tasso di fecondità dei cittadini europei non garantisce più il ricambio generazionale. In base alle indagini esiste inoltre un divario tra il numero di figli desiderati e quello dei figli effettivamente nati[10]: 2,3 contro 1,5. Questo significa che disponendo di strutture adeguate, in grado di consentire alle coppie di avere il numero di figli desiderato, il tasso di fecondità potrebbe crescere, sebbene le dimensioni della famiglia ideale varino notevolmente a seconda degli Stati membri.

Non mancano infatti vincoli che gravano sulle scelte private: accesso tardivo o precario all’attività lavorativa, costo degli alloggi, assenza di strumenti incentivanti (assegni familiari, congedi parentali, strutture di custodia per i bambini, parità di retribuzione). Come dimostrano alcuni paesi, gli incentivi possono avere un effetto positivo sulla natalità pur favorendo l’incremento dell’occupazione, soprattutto delle donne. L’84% degli uomini interrogati da Eurobarometro nel 2004 ha tuttavia dichiarato di non aver mai preso un congedo parentale e di non averne l’intenzione, pur essendo a conoscenza di tale diritto.

L’Unione europea è da tempo impegnata attivamente nel conseguimento della parità tra uomini e donne. Essa promuove inoltre il coordinamento delle politiche nazionali di protezione sociale.

Come favorire la risoluzione dei problemi legati all’invecchiamento demografico con una migliore conciliazione tra vita professionale e vita privata?

Come promuovere una ripartizione più equilibrata delle responsabilità domestiche e familiari tra uomini e donne?

Occorre subordinare la concessione di alcuni vantaggi o prestazioni sociali (congedi…) a un’equa ripartizione tra i due sessi? Come remunerare adeguatamente entrambi i genitori che ricorrono a congedi parentali?

Come stimolare maggiormente l’offerta di strutture di custodia dei bambini (asili nido, scuole materne, ecc.) e di assistenza alle persone anziane da parte delle amministrazioni pubbliche e delle imprese?

Applicare una riduzione del tasso dell’IVA ai servizi di custodia per i bambini e di assistenza per le persone anziane può contribuire al loro sviluppo?

Come consentire ai genitori, soprattutto alle giovani coppie, di accedere al mercato del lavoro di assecondare le loro esigenze di carriera e di avere il numero di figli desiderato?

1.2. Il possibile contributo dell’immigrazione

L’immigrazione extraeuropea potrebbe contribuire a compensare il calo della popolazione sino al 2025, sebbene non possa da sola risolvere tutti i problemi posti dall’invecchiamento o sostituirsi alle riforme economiche. Come ha sottolineato il recente libro verde della Commissione[11] flussi migratori di maggiore entità potrebbero diventare sempre più necessari per soddisfare le necessità di manodopera e garantire la prosperità in Europa. Alla luce della situazione economica dell’Europa e del suo contesto geografico questa immigrazione economica in molti casi sarà anche un’immigrazione di popolamento. Occorre pertanto garantire una gestione efficace e trasparente dei meccanismi di ammissione dei cittadini di paesi terzi e assumere iniziative d’integrazione e di pari opportunità, che realizzino un equilibrio tra i rispettivi diritti e doveri dei migranti e delle società ospitanti[12]. La scelta di fare maggiormente ricorso all’immigrazione per rispondere all’invecchiamento demografico va discussa a livello nazionale ed europeo, coinvolgendo anche i paesi d’origine.

Nel giugno 2003 il Consiglio europeo di Salonicco ha sottolineato che “una politica di integrazione [degli immigrati] a livello di UE dovrebbe contribuire ad affrontare le nuove sfide demografiche ed economiche che incombono attualmente sull’UE”. A questo dibattito si ricollega il libro verde adottato lo scorso gennaio.

In che misura l’immigrazione può compensare alcuni effetti negativi dell’invecchiamento demografico?

Quali politiche vanno attuate per integrare questi migranti, in particolare i giovani?

Quale contributo possono apportare gli strumenti comunitari, in particolare il quadro legislativo contro le discriminazioni, i fondi strutturali e la strategia per l’occupazione?

2. Una nuova solidarietà tra le gen ERAZIONI

I cambiamenti demografici, che stanno plasmando una nuova società, saranno più significativi a partire dal 2010: avremo sempre meno giovani e adulti e sempre più “lavoratori in età avanzata”, pensionati e persone molto anziane. Le nostre società dovranno inventare nuove vie per valorizzare il potenziale di crescita costituito dalle giovani generazioni e dai cittadini più anziani. Per gestire tali cambiamenti occorrerà il contributo di tutte le parti in causa: andranno sviluppate nuove forme di solidarietà tra le generazioni, caratterizzate da reciproco sostegno e dal trasferimento di competenze e di esperienza. A tale processo dovrà contribuire l’iniziativa europea a favore dei giovani, proposta dalla Commissione nella comunicazione sulla revisione intermedia della “strategia di Lisbona”.

2.1. Giovani generazioni meglio integrate

I bambini e i giovani dovranno sostituire generazioni più numerose di loro. Il loro livello di formazione è decisamente superiore a quello dei genitori: secondo i dati UE15 nel 2003 circa il 28% della fascia d’età compresa tra i 25-34 anni possedeva un livello d’istruzione universitario contro il 16% della fascia dei 55-64 anni. Questo consente di prevedere un livello di produttività e una capacità di adattamento superiori rispetto alle generazioni precedenti. L’UE deve tuttavia rendersi conto che la gioventù è una risorsa sempre più rara che non viene adeguatamente valorizzata. I giovani incontrano infatti varie difficoltà d’integrazione:

- nel dicembre 2004 il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni era del 17,9% contro il 7,7% delle persone di 25 anni e più;

- i giovani sono particolarmente esposti al “rischio di povertà”[13]: basta confrontare il 19% del gruppo dei 16-24 anni con il 12% del gruppo dei 25-64 anni[14]. È un tasso superiore persino a quello registrato tra le persone con più di 65 anni (17%);

- talvolta i giovani subiscono discriminazioni legate all’età e all’assenza di esperienza professionale, aggravate in alcuni casi da altri fattori, quali il genere, l’origine sociale o la razza, che costituiscono altrettanti ostacoli alla loro integrazione nel mondo del lavoro e nella società;

- le qualifiche acquisite a scuola non sono sempre adeguate alle esigenze della società della conoscenza e il livello degli insuccessi scolastici resta preoccupante. Nel 2002 circa il 16,5% dei giovani di 18-24 anni ha abbandonato la scuola senza qualifiche. Le cause sono sicuramente molteplici. Provvedimenti di sostegno alle famiglie e ai figli in età scolare, uniti alla modernizzazione dei sistemi d’insegnamento, dovrebbero contribuire a ridurre tale fenomeno;

- i bambini sono inoltre esposti al rischio della povertà, che è reale per il 19% dei soggetti di età inferiore a 15 anni. Tale rischio si aggrava se i bambini vivono in famiglie monoparentali. Tra le conseguenze si rileva un precoce abbandono scolastico che a medio termine potrebbe accentuare ulteriormente il rischio di povertà cui sono esposti i giovani.

Il sistema educativo dovrà quindi affrontare una notevole sfida: continuare a innalzare il livello della formazione iniziale, offrendo tuttavia percorsi più flessibili. I giovani dovrebbero, ad esempio, alternare maggiormente formazione in ambito scolastico e formazione integrata dal lavoro, in modo da rispondere alle esigenze dell’economia. Dovrebbero inoltre sfruttare di più le possibilità offerte dall’istruzione a distanza.

L’invecchiamento non comporta una soluzione automatica dei problemi di disoccupazione e integrazione. Parti sociali, sistema scolastico, autorità pubbliche e soggetti locali dovranno riflettere sui modi per migliorare i percorsi d’inserimento tenendo conto anche delle discriminazioni che i giovani possono subire.

Sono stati fissati obiettivi europei in tema di prevenzione della disoccupazione di lunga durata dei giovani, di lotta contro gli insuccessi scolastici e d’innalzamento del livello della formazione iniziale. I fondi strutturali contribuiscono concretamente al loro conseguimento.

Come accrescere il contributo delle politiche comunitarie alla lotta contro la povertà dei bambini e delle famiglie monoparentali nonché alla riduzione del rischio di povertà e di esclusione dei giovani?

Come migliorare la qualità dei sistemi di formazione iniziale e di formazione degli adulti? Quale può essere il contributo dell’apprendimento non formale e delle attività di volontariato? Quale può essere il contributo dei fondi strutturali e degli strumenti volti a consentire un accesso migliore alla società della conoscenza?

Come migliorare la transizione dalla scuola alla vita professionale e la qualità del lavoro dei giovani? Che ruolo dovrebbe svolgere il dialogo sociale? Che contributo può apportare il dialogo con la società civile, in particolare con le organizzazioni giovanili?

Quali forme di solidarietà possono svilupparsi tra giovani e persone anziane?

2.2. Una stra tegia globale per il “ciclo della vita” attiva

A partire dal 2005 la fascia dei “giovani adulti” (25-39 anni) dovrebbe subire un calo che si accentuerà notevolmente dopo il 2010 (-16% tra il 2010 e il 2030). Il gruppo dei 40-54 anni inizierà a diminuire nel 2010. Parallelamente, le persone con oltre 55 anni aumenteranno del 9,6% tra il 2005 e il 2010 e del 15,5% nel periodo 2010-2030, prima di registrare a loro volta un notevole calo. Le imprese dovranno quindi fare maggiore riferimento all’esperienza e alle qualifiche dei lavoratori definiti “in età avanzata”, preparando però attivamente i lavoratori con meno di 55 anni a sostituire quella generazione. Nonostante i progressi compiuti, il tasso di occupazione del gruppo con oltre 55 anni (40,2% nel 2003, ovvero circa 20,5 milioni di lavoratori occupati) resta nettamente inferiore all’obiettivo europeo di un tasso di occupazione del 50%.

È possibile che i giovani attivi desiderino disporre di più tempo per i figli e lavorare di più in un’altra fase della vita. I cambiamenti demografici possono quindi contribuire a far emergere una nuova organizzazione del lavoro, più adattabile e flessibile. Gli sviluppi tecnologici offrono la possibilità di conciliare meglio vita familiare e professionale.

Anche la qualità dell’occupazione e dell’ambiente di lavoro contribuirà incisivamente a favorire la prosecuzione dell’attività lavorativa, riducendo i rischi d’infortuni e migliorando la stato di salute dei lavoratori, soprattutto di quelli più anziani. L’anticipazione delle ristrutturazioni consentirà di gestire meglio il ciclo della vita attiva. Occorrerà inoltre elaborare strategie volte a modificare i comportamenti e a combattere le discriminazioni.

Al fine di favorire la transizione verso la società della conoscenza le politiche comunitarie promuovono la modernizzazione dell’organizzazione del lavoro, la definizione di strategie di formazione permanente, la qualità dell’ambiente di lavoro e l’ “invecchiamento attivo”, in particolare mediante l’innalzamento dell’età media di uscita dal mercato del lavoro. I cambiamenti demografici sottolineano l’importanza di tali politiche, ma sollevano nuove questioni:

Come modernizzare l’organizzazione del lavoro per tener conto delle esigenze di ciascuna fascia d’età? Come facilitare l’integrazione delle giovani coppie nel mondo del lavoro e aiutarle a trovare un equilibrio tra flessibilità e sicurezza al fine di allevare figli, formarsi e adattare le proprie competenze alle esigenze del mercato del lavoro? Come permettere ai lavoratori più anziani di lavorare di più?

Come adattare l’organizzazione del lavoro a una nuova ripartizione tra le generazioni, con meno giovani e più “lavoratori in età avanzata” nelle imprese?

Quale contributo possono dare alla soluzione di tali questioni i diversi soggetti dell’UE, in particolare il dialogo sociale e la società civile?

2.3. Un nuovo posto per i “senior”

Dopo il 2010 e approssimativamente fino al 2030 il numero dei “senior” (65-79 anni) aumenterà sensibilmente (+37,4%). Se si confermeranno le attuali tendenze gli anziani saranno inoltre più attivi, perché più sani. Infine saranno più benestanti: aumenteranno costantemente i titolari di massimi pensionistici e i risparmi disponibili saranno più elevati di quelli dei predecessori, ma anche di quelli dei figli.

I “senior” di alcuni paesi sceglieranno sempre più di stabilirsi in un’altra regione o in un altro paese: la mobilità non riguarda solo i giovani o gli attivi. Il loro consumo si orienta verso nuovi beni e servizi. Gli anziani desiderano inoltre partecipare attivamente alla vita sociale: svolgono già un ruolo considerevole nel settore associativo. Potranno decidere di proseguire un’attività professionale o di combinare impiego a tempo parziale e pensione, formula che si sta diffondendo negli Stati Uniti. Il tasso di attività del gruppo dei 65-74 anni è pari al 5,6% nell’UE (nel 2003) rispetto al 18,5% negli Stati Uniti. Alcuni vorranno aiutare figli e nipoti e garantire una trasmissione graduale del loro patrimonio alle generazioni più giovani.

Il coordinamento europeo delle riforme dei regimi pensionistici promuove una graduale transizione tra vita lavorativa e pensione.

Occorre ancora fissare per legge un’età pensionabile o è opportuno consentire un pensionamento flessibile e graduale?

Come permettere la partecipazione dei “senior” alla vita economica e sociale: attraverso il cumulo di pensione e stipendio, nuove forme di occupazione (tempo parziale, lavoro temporaneo) o altri tipi di incentivi finanziari?

Come sviluppare le attività che consentono di occupare i “senior” nel settore associativo e nell’economia sociale?

Come agevolare la mobilità dei pensionati tra gli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la protezione sociale e l’assistenza sanitaria?

Come investire in salute e prevenzione affinché continui a crescere la speranza di vita in buona salute dei cittadini europei?

2.4. La solidarietà con le persone molto anziane

Grazie all’aumento costante della speranza di vita le nostre società assisteranno a un notevole incremento del numero di persone molto anziane (80+): +17,1% tra il 2005 e il 2010, + 57,1% tra il 2010 e il 2030, quando raggiungeranno i 34,7 milioni, rispetto ai circa 18,8 milioni attuali. Aumenterà la percentuale di anziani soli, composta in prevalenza da donne, che rimangono vedove a causa della differenza di longevità tra i generi. Il livello delle pensioni di anzianità delle donne è significativamente inferiore a quello degli uomini. Le donne hanno carriere più brevi nonché retribuzioni più basse durante l’attività lavorativa.

Le famiglie non potranno risolvere da sole il problema dell’assistenza a queste persone, siano esse dipendenti o autonome. Il migliore stato di salute delle generazioni attualmente più giovani consente di prevedere che in futuro le persone molto anziane resteranno autonome sempre più a lungo e preferiranno continuare ad abitare a casa loro. Le cure onerose si concentrerebbero quindi nell’ultimo periodo dell’esistenza. Saranno tuttavia più numerose rispetto a oggi le persone che richiederanno un’assistenza onerosa in seguito alla perdita di autonomia.

In entrambi i casi occorrerà un’assistenza mirata, che in numerosi paesi oggi è assicurata dalle famiglie, in particolare dalle donne, che dal canto loro partecipano in misura crescente all’attività lavorativa. Inoltre sempre più figli, raggiunta l’età adulta, vivono lontano dai genitori.

Le famiglie andranno quindi maggiormente sostenute rispetto ad oggi. Sarà compito dei servizi sociali e delle reti di solidarietà e di assistenza a livello di comunità locali.

Nel 2006 il coordinamento delle politiche nazionali di protezione sociale dovrebbe estendersi all’assistenza a lungo termine per le persone anziane. Quale contributo potrà apportare alla gestione dei cambiamenti demografici?

Occorrerà in particolare distinguere tra pensioni di vecchiaia e indennità per la perdita di autonomia?

Come formare il personale necessario ed offrire occupazioni di qualità in un settore spesso caratterizzato da stipendi e qualifiche relativamente bassi?

Come ripartire in modo equilibrato l’assistenza agli anziani tra famiglie, servizi sociali e istituzioni?

Come aiutare le famiglie? Come sostenere le reti di assistenza a livello locale?

Come ridurre le disparità tra uomini e donne all’età della pensione?

Come utilizzare le nuove tecnologie nel sostegno alle persone anziane?

3. Conclusione: quale ruolo per l’UE?

Per far fronte ai cambiamenti demografici l’Europa dovrebbe perseguire tre priorità essenziali:

- ritrovare la strada della crescita demografica. Occorre porsi due semplici interrogativi: quale priorità attribuiamo ai figli? Intendiamo dare alle famiglie, indipendentemente dalla loro struttura, il posto che meritano nella società europea? Mediante un’attuazione risoluta dell’agenda di Lisbona (modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, aumento del tasso d’occupazione delle donne e dei lavoratori in età avanzata), provvedimenti innovativi a sostegno della natalità e un ricorso contenuto all’immigrazione l’Europa può offrire nuove possibilità d’investimento, di consumo e di creazione di ricchezza;

- garantire un equilibrio tra le generazioni nella ripartizione del tempo lungo tutto l’arco della vita e nella ripartizione sia dei frutti della crescita sia delle esigenze di finanziamento delle pensioni e della sanità;

- inventare nuove transizioni tra le età . I giovani incontrano persistenti difficoltà d’inserimento professionale. Un numero crescente di “giovani pensionati” desidera partecipare alla vita sociale ed economica. Il periodo degli studi si allunga e i giovani che lavorano necessitano di tempo per i figli. Queste tendenze modificano i confini e le transizioni tra attività e inattività.

L’UE dovrebbe promuovere scambi e analisi periodiche, per esempio annuali, dei cambiamenti demografici e del loro impatto sulle società e su tutte le politiche pertinenti?

Gli strumenti finanziari dell’UE, in particolare i fondi strutturali, dovrebbero tenere maggiormente conto di questi cambiamenti? Come?

In che modo il coordinamento europeo delle politiche dell’occupazione e della protezione sociale potrebbe più efficacemente recepire la dimensione dei cambiamenti demografici?

Come può contribuire il dialogo sociale europeo a una migliore gestione dei cambiamenti demografici? Quale ruolo possono avere la società civile e il dialogo con i giovani?

Come integrare la dimensione dei cambiamenti demografici in tutte le politiche interne ed esterne dell’UE?

Nel luglio 2005 la Commissione organizzerà una conferenza che riunirà tutte le parti interessate al fine di affrontare le questioni sollevate dal presente “libro verde”. Obiettivo della conferenza e del libro verde sarà la raccolta delle migliori pratiche degli Stati membri e di altre parti interessate. Il dibattito potrà inoltre contribuire all’iniziativa europea a favore della gioventù proposta nel corso della revisione intermedia della strategia di Lisbona[15].

4. COME PARTECIPARE ALLA CONSULTAZIONE?

Il periodo di consultazione pubblica inizia il 16 marzo e termina l’1 settembre 2005.

Si prega di inviare le risposte utilizzando il formulario elettronico disponibile nel sito della Commissione europea al seguente indirizzo:

http://europa.eu.int/yourvoice/consultations/index_it.htm.

Tutti i dati relativi a persone fisiche rimarranno anonimi. Le organizzazioni sono invitate ad indicare la propria identità.

Si invita ad utilizzare il formulario elettronico, che renderà più semplice tener conto dei diversi pareri espressi nell’ambito del processo di consultazione.

È tuttavia possibile inviare anche un contributo scritto al seguente indirizzo:

Libro verde “Cambiamenti demografici”

DG EMPL/E/1

J-27 01/122

Commissione europea

B-1049 Bruxelles

ALLEGATO 1

Numerose politiche comunitarie contribuiscono, da diversi anni, ad anticipare i cambiamenti demografici:

- la strategia europea per l’occupazione nonché la politica in tema di istruzione e di formazione professionale consentono, da parecchi anni, di impiegare le politiche e i responsabili nella lotta agli insuccessi scolastici e nell’innalzamento del livello della formazione iniziale dei giovani[16], ma anche nella promozione dell’“invecchiamento attivo”, nel progressivo innalzamento dell’età media di uscita dal mercato del lavoro[17] e nel miglioramento della qualità dell’occupazione. Anche in questo ambito l’UE è ancora lontana dagli obiettivi prefissati;

- la riforma dei sistemi di protezione sociale. Gli obiettivi comuni inerenti alla riforma dei sistemi pensionistici, adottati nel 2001, invitano a salvaguardare la solidarietà tra generazioni e a mantenere un equilibrio tra pensionati e attivi. L’estensione del coordinamento delle politiche nazionali in tema di assistenza sanitaria e di assistenza a lungo termine per le persone anziane consentirà di sviluppare questa impostazione. La strategia europea d’inclusione sociale ha definito obiettivi in tema di lotta contro la povertà dei bambini e delle famiglie;

- il rispetto del principio di uguaglianza tra uomini e donne e la necessità di tenerne conto in tutte le politiche dell’UE (“gender mainstreaming”). I provvedimenti a favore della conciliazione tra vita professionale e privata svolgono un ruolo fondamentale nell’incremento del tasso di occupazione. Per esempio, il Consiglio europeo di Barcellona nel 2002 ha in invitato gli Stati membri a sviluppare le strutture di custodia dei bambini. Con il dialogo sociale si sono conclusi accordi in tema di congedi parentali e di tempo parziale, adottati mediante direttiva. Nonostante questi progressi i risultati non sono sempre soddisfacenti, come dimostra il basso ricorso degli uomini al congedo parentale e il persistere di ostacoli che limitano l’accesso delle donne a occupazioni di qualità;

- la lotta contro le discriminazioni. A partire dal 2000 un quadro legislativo tutela contro tutte le discriminazioni sul lavoro e promuove la diversità;

- gli “indirizzi di massima per le politiche economiche” invitano a potenziare il carattere sostenibile della crescita riducendo l’indebitamento pubblico e attuando politiche sane. La supervisione multilaterale sull’applicazione degli indirizzi di massima e del patto di stabilità e di crescita comprende una valutazione della sostenibilità delle finanze pubbliche. Nell’ambito del comitato di politica economica sono stati intrapresi lavori per misurare l’impatto dell’invecchiamento sull’economia e sul bilancio a breve e a lungo termine;

- da diversi anni si sta elaborando un’impostazione comune in tema di politiche d’immigrazione, compresa l’immigrazione economica;

- il Fondo sociale europeo, quale strumento a sostegno della strategia per l’occupazione, e il Fondo europeo di sviluppo regionale promuovono lo sviluppo di strutture di custodia dei bambini nonché una migliore “gestione del fattore età” nelle imprese;

- il programma quadro di ricerca sostiene numerosi progetti relativi all’invecchiamento e ai cambiamenti demografici, riguardanti in particolare la ricerca clinica sulle malattie connesse all’età avanzata nonché l’impatto sui sistemi sanitari. Il programma quadro consente inoltre di eseguire studi sugli andamenti demografici in Europa.

ALLEGATO 2

Graph 1: the European Union in the world 14

Graph 2: old age dependency 15

Graph 3: share of the youngest and the oldest in the European population 16

Graph 4: the ageing of the European population 17

Graph 5: size of the youngest (15-24) and oldest (55-64) working age groups 18

Graph 6: change in the median and average age in the EU-25 1950-2050 19

Graph 7: ageing patterns across the Union 20

Graph 8: trends in fertility 21

Graph 9: fertility trends in the EU between 1960 and 2003 22

Graphs10 & 11: trends in life expectancy at birth 23

Graphs 12 & 13: life expectancy at the age of 60 (1960-2002) 24

Graph 14: trends in net migration 25

GRAPH 1: THE EUROPEAN UNION IN THE WORLD

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Graph 1 shows that the share of the EU-25 in world population between 2000-2030 is likely to fall from 12 to 6%. Other regions are also affected. Africa is likely to become one of the new giants. The shares of India and Other Asia are also expected to rise. The increasing demographic size of these other regions could diminish Europe's influence in the world.

GRAPH 2: OLD AGE DEPENDENCY

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Graph 2 shows that old age dependency is going to be a global challenge over the next three decades with the exception of Africa. The pressure is going to be the highest in Japan and Europe. This means that the problem does not only exist in EU-25 and that all developed regions of the world are forced to redesign their policies and institutional arrangements in order to resolve the problems associated with ageing.

Graph 3: share of the youngest and the oldest in the European population

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Graph 3 presents the shares of the two youngest and the two oldest age groups between 2000-2050 for Japan, USA and EU-25. In all three cases an important decline in the share of younger cohorts is observed while the share of the older cohorts has increased. The main implication of these trends is that the overall demand for care will increasingly have to shift from the young to the elderly. The only way to cope with this potentially huge increase in demand from old age groups is to develop active ageing policies.

Graph 4: the ageing of the European population

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Graph 4 shows that ageing is having an important effect on the age structure of the European population. As the baby boom generation moves through the age pyramid, older cohorts become more numerous than the younger ones. The total EU-25 population has grown from 350 million in 1950, to 418 million in 1975 to 450 million in 2000. In 2025, population is expected to grow to 470 million persons but after this, it is likely to decrease to 449 million in 2050. In other words, it will take two more decades before ageing starts to have a negative effect on the absolute size of the population. On the other hand the effect of ageing on the age composition comes at much earlier stage and is therefore of much importance for the labour market and the health and long-term care sector.

Graph 5: size of the youngest (15-24) and oldest (55-64) working age groups

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Graph 5 shows that around 2009 the size of the youngest cohort of the working age population will dive below the size of the oldest cohort. In 2050 there are expected to be 66 million persons of 55-64 and only 48 million of 15-24. This means that the working age population will start declining soon after 2010 and that the labour market will increasingly have to rely on older workers. The graph illustrates that it has become very urgent to improve the employability of our older workers in order to prepare our labour markets for the onset of ageing.

Graph 6: change in the median and average age in the EU-25 1950-2050

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GRAPH 7: AGEING PATTERNS ACROSS THE UNION

[pic]The pattern of ageing is different across the Union. Graph 7 shows on a timeline the years at which the total population and the working age population in each of the Member States are expected to stop growing and start declining. All Member States will have to deal with ageing challenge but not at the same time and not to the same degree. The decline in the total population of the EU-25 is expected by 2025 and it will be preceded by a decline in the population of working age starting already in 2011.

GRAPH 8: TRENDS IN FERTILITY

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Graph 8 shows that in 1960 fertility in almost all Member States laid above the replacement level of 2.1 with a high margin, while today (2003) the rate has almost everywhere dropped well below replacement levels. What is also striking is the present gap in fertility between some of the new Member States and the rest of the EU. Most demographers expect that a catch up towards the average level in the EU-15 will be the most likely scenario.

Graph 9:fertility trends in the EU between 1960 and 2003

[pic]Graph 9 shows the different patterns of fertility decline in Europe. The drop in fertility took place firstly in Northern and Western Europe, and was followed by Southern Europe with almost a 10 year delay and with a 20 year delay for Central Europe. Despite these time lags fertility in Southern and Central Europe is today lower than in Western and Northern Europe. This means that the various parts of the EU are basically following the same transition albeit with important phase differences.

Graph S 10 & 11: TRENDS IN LIFE EXPECTANCY AT BIRTH

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Source: Eurostat

Important gains in life expectancy have been realised between 1960 and 2002, with the exception of men in the Baltic States. The graphs also show that the average life expectancy of women is 6 years higher than that of men. For the future, demographers expect that the difference in life expectancy between men and women will narrow and that life expectancy of men in the Baltic States will within a few decades improve towards the EU. The increase in life expectancies is the result of drops in the mortality of all age groups and is not limited to the very old.

Graphs 12 & 13: life expectancy at the age of 60 (1960-2002) [18]

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LV: decrease from 16,5 in 1970 tp 15,2 in 2002

SK: decrease from 16,6 in 1960 to 16,4 in 2002

Source: Eurostat

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According to graphs 12 and 13, life expectancy at the age of 60 between 1960 and 2002 has increased almost everywhere, except for men in Latvia and Slovakia. The differences at the age of 60 are smaller than at birth for both men and women. It is also clear that during this period the gap in life expectancy between men and women has further increased. Nevertheless the new baseline projection assumes that this gap, measured in terms of life at expectance at birth, will start to shrink from 6.3 years in 2002 to 5.2 in 2050.

Graph 14: trends in net migration

Graph 14 demonstrates the growing importance of migration as a source of population growth. Furthermore, without migration our total population would have already started to decline. To the extent that migrants have higher fertility rates than the indigenous population, migration may boost the natural increase.

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Graph 14 also shows that in the past, Germany was always a favourite destination of migrants who often came from Eastern Europe. However, its position has recently been taken over by the UK, Italy and Spain. A large share of the recent migrants to Spain comes from Southern America whilst the UK and Ireland are also popular destinations for migrants coming from Asia. A large share of migration comes about as a result of family reunification.

[1] Scenario di riferimento delle proiezioni demografiche di Eurostat, risultati provvisori, dicembre 2004.

[2] Regioni NUTS II. Fonte: Troisième rapport sur la cohésion (terza relazione sulla coesione), febbraio 2004.

[3] Cfr. l’allegato 1.

[4] Verso un’Europa di tutte le età - COM(1999) 221 del 25.5.1999; La risposta dell’Europa all’invecchiamento della popolazione mondiale - COM(2002) 143 del 18.3.2002.

[5] Linea di bilancio 20 04 01 - GU L 53 del 23.2.2004, vol. 47, pag. II/1281.

[6] Il rapporto tra la popolazione d’età compresa tra 0 e 14 anni e superiore a 65 e quella d’età compresa tra 15 e 64 anni.

[7] Cfr. l’allegato 2.

[8] La Spagna registrerà una crescita del 5,7% tra il 2005 e il 2030, ma un calo dello 0,8% tra il 2005 e il 2050.

[9] Proiezioni dell’ONU, 2002.

[10] Report by the high level group on the future of social policy in an enlarged European Union (Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale nell’Europa allargata), maggio 2004.

[11] COM(2004) 811 dell’11.1.2005.

[12] Cfr. la comunicazione della Commissione su immigrazione, integrazione e occupazione - COM(2003) 336.

[13] Ovvero un reddito inferiore del 60% al reddito mediano dopo i trasferimenti.

[14] Cfr. la relazione comune sull’integrazione : http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-prot/soc-incl/joint_rep_fr.htm.

[15] In occasione del Consiglio del 21 febbraio 2005 i ministri della Gioventù si sono accordati sulla denominazione “Patto europeo per la gioventù”.

[16] Linea direttrice 4, decisione del Consiglio del 22 luglio 2003 (GU L 197 del 5.8.2003, pag. 13).

[17] Linea direttrice 5.

[18] No 1960 figures exist for DE, CY, HU, MT, SI and FI.

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