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Document 52004DC0274

Comunicazione della Commissione - Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata

/* COM/2004/0274 def. */

52004DC0274

Comunicazione della Commissione - Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata /* COM/2004/0274 def. */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata

RIASSUNTO

Comunicazione 'Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Unione europea allargata'

L'industria manifatturiera continua ad avere un ruolo determinante per la prosperità dell'Europa, ma deve affrontare una serie di sfide, e il rischio che l'Unione vada incontro ad un processo di deindustrializzazione suscita inquietudine.

La presente comunicazione fa seguito a quelle del dicembre 2002, La politica industriale in un'Europa allargata, che aveva enunciato i principi fondamentali della politica industriale dell'Unione, e del novembre 2003, I fattori chiave della competitività in Europa - Verso un approccio integrato, che conteneva un'analisi del problema della deindustrializzazione. Entrambe le comunicazioni intendevano rispondere ai timori di cui il Consiglio europeo si era fatto eco.

L'analisi della Commissione giunge alla conclusione che non esistono prove di un processo generalizzato di deindustrializzazione. Nell'industria europea sono però in atto trasformazioni strutturali che in generale hanno effetti benefici e devono essere incoraggiate, in particolare mediante politiche che facilitano la creazione e l'utilizzo della conoscenza. Da questo punto di vista, i risultati insufficienti ottenuti dall'Europa, in particolare per quanto riguarda la produttività, la ricerca e l'innovazione, sono preoccupanti. Lo conferma il fatto che le delocalizzazioni di attività industriali sembrano non limitarsi più ai soli settori tradizionali a forte intensità di manodopera, ma cominciano ad osservarsi anche nei settori intermedi che costituiscono i punti forti tradizionali dell'industria europea, o anche in alcuni settori di alta tecnologia in cui esistono indizi di delocalizzazione di certe attività di ricerca, o nei servizi. L'India e la Cina sono i grandi beneficiari di queste tendenze. Eppure, l'internazionalizzazione dell'economia apre all'industria europea prospettive favorevoli, a condizione che la politica industriale sostenga le necessarie evoluzioni.

A questo riguardo, l'allargamento imminente offre alle imprese europee opportunità importanti, non soltanto perché estende il mercato interno, ma anche perché permette loro di riorganizzare le catene di valore su scala continentale, sfruttando i vantaggi concorrenziali dei nuovi Stati membri. Per questi ultimi, tuttavia, i vantaggi derivanti dai costi del lavoro relativamente bassi saranno transitori. Il passaggio all'economia della conoscenza sarà cruciale e una certa prudenza sul piano regolamentare sarà opportuna per evitare di compromettere la competitività industriale di questi paesi.

Alla luce di queste constatazioni, la Commissione intende mobilitare la politica industriale per accompagnare il processo delle trasformazioni strutturali. Questo implica tre tipi di azioni.

In primo luogo, l'Unione europea deve proseguire i suoi sforzi per migliorare la sua legislazione e adottare un insieme di norme favorevoli all'industria. Nell'ambito della procedura integrata di valutazione dell'impatto delle proposte e delle iniziative della Commissione, che copre le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, dovrà essere approfondita la valutazione della dimensione 'competitività'. Ci si dovrà anche sforzare di avere una visione più precisa degli effetti cumulati delle regolamentazioni, ad esempio a livello settoriale. Gli sforzi, del resto, non devono limitarsi alla sola Commissione; anche le altre istituzioni comunitarie e gli Stati membri devono impegnarsi in questo senso.

In secondo luogo, le sinergie tra le varie politiche comunitarie che incidono sulla competitività dell'industria dovranno essere sfruttate meglio. La comunicazione indica alcune iniziative specifiche, in cinque diversi settori, che permetteranno di migliorare queste sinergie e, in particolare, la capacità dell'industria europea di adattarsi ai mutamenti strutturali. Nel campo della conoscenza sono soprattutto le politiche dell'innovazione, della ricerca, della formazione e della concorrenza che hanno un ruolo determinante da svolgere. Anche il funzionamento dei mercati può essere migliorato, colmando le lacune del mercato interno o eliminando certi ostacoli di natura fiscale che impediscono alle imprese di sfruttarne tutti i vantaggi. Le politiche di coesione, specie la politica regionale e la politica dell'occupazione, possono anch'esse contribuire attivamente ad accompagnare le trasformazioni industriali, in particolare favorendo lo sviluppo e la diffusione delle conoscenze, e una politica della produzione sostenibile può contribuire a rafforzare la competitività dell'industria. Occorre infine sviluppare la dimensione internazionale della politica industriale per favorire l'accesso delle imprese comunitarie ai mercati dei paesi terzi e per esportare il metodo di regolamentazione adottato con successo dall'Unione nel mercato interno.

In terzo luogo, l'Unione deve continuare a sviluppare la dimensione settoriale della politica industriale. Si tratta di analizzare l'efficacia per ciascun settore degli strumenti di carattere orizzontale esistenti, per valutarne l'idoneità e proporne, se del caso, gli opportuni adattamenti. La comunicazione fa il punto sulle iniziative settoriali già varate negli ultimi mesi e ne preannuncia di nuove, in settori quali l'automobile o l'industria meccanica.

La competitività dell'Europa dipende in gran parte dall'industria. Ma le istituzioni comunitarie e gli Stati membri devono contribuire a creare condizioni favorevoli all'attività delle imprese. Le iniziative annunciate dovrebbero aiutare l'industria europea, in particolare nei nuovi Stati membri, ad affrontare con successo la sfida delle trasformazioni industriali e contribuire in tal modo al raggiungimento dell'obiettivo che l'Unione europea si è fissata quattro anni fa al Consiglio europeo di Lisbona.

INDICE

1. INTRODUZIONE

2. L'INDUSTRIA EUROPEA DI FRONTE ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE : UNA DIAGNOSI

2.1. Il processo di ridistribuzione delle risorse verso i servizi non deve essere confuso

con la deindustrializzazione...

2.2. ... ma recentemente sono apparsi segni inquietanti

2.2.1. Il rallentamento della crescita della produttività e le sue cause

2.2.2. Una competitività internazionale indebolita

2.3. L'Unione europea di fronte alle trasformazioni

3. LE opportunitÀ offerte DALL'ALLARGAMENTO

3.1. L'attrattiva evidente dei nuovi Stati membri

3.2. Per poter sfruttare queste opportunità sono necessarie sicurezza e stabilità

normative

4. STRUMENTI PER ACCOMPAGNARE IL PROCESSO DELLE TRASFORMAZIONI STRUTTURALI

4.1. Un quadro normativo favorevole all'industria

4.1.1. Legiferare meglio

4.1.2. Responsabilità che ciascuno deve assumere

4.2. Ottimizzare le sinergie tra le varie politiche

4.2.1. Mettere la conoscenza al servizio delle imprese

4.2.2. Migliorare il funzionamento dei mercati

4.2.3. Mettere le politiche di coesione al servizio delle trasformazioni industriali

e strutturali

4.2.4. Conciliare meglio sviluppo sostenibile e competitività

4.2.5. Favorire lo sviluppo internazionale delle imprese comunitarie

4.3. Un'applicazione della politica industriale differenziata secondo i settori

5. CONCLUSIONE: AGIRE PER UN'INDUSTRIA EUROPEA COMPETITIVA

ALLEGATO

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata

1. INTRODUZIONE

L'industria svolge un ruolo indispensabile per la prosperità dell'Europa: l'economia europea continua a dipendere dal dinamismo della sua industria, peraltro sempre più strettamente intrecciata con i servizi, al cui sviluppo essa contribuisce. L'industria comunitaria registra chiaramente risultati incoraggianti e i suoi progressi in materia ambientale e in alcuni settori tecnologici sono ampiamente riconosciuti. Tuttavia, deve attualmente far fronte a sfide importanti, d'ordine interno (l'evoluzione tecnologica sempre più rapida, l'inadeguatezza delle qualifiche rispetto ai bisogni), esterno (le aspettative della società per quanto riguarda la protezione dei consumatori, l'ambiente e la sanità) e internazionale (l'emergere di nuovi concorrenti su scala mondiale).

In questo contesto, si levano sempre più numerose le voci che manifestano inquietudine per il rischio che queste sfide si traducano nella delocalizzazione di vasti settori della produzione industriale verso paesi con costi inferiori e normative meno stringenti. Il concetto di "deindustrializzazione" [1] esprime il timore che l'industria comunitaria incontri sempre maggiori difficoltà ad affrontare una concorrenza considerata irresistibile e talvolta sleale. Vari governi si interrogano sulla responsabilità che un'eccessiva regolamentazione potrebbe avere in questo fenomeno. L'Unione europea deve prestare attenzione a queste preoccupazioni, interrogarsi sulla loro fondatezza e, se necessario, formulare le risposte politiche adeguate.

[1] Questa preoccupazione è stata espressa in particolare dalla Germania, Francia e Regno Unito in lettere inviate congiuntamente dal cancelliere Schröder, dal presidente Chirac e dal primo ministro Blair al presidente Prodi nel febbraio e nel settembre 2003; il Consiglio europeo di Bruxelles nell'ottobre 2003 ha chiesto alla Commissione di proporre soluzioni per prevenire la deindustrializzazione.

La presente comunicazione si propone in primo luogo di analizzare la competitività dell'industria comunitaria e valutare l'esistenza e l'ampiezza del rischio di deindustrializzazione. Il concetto stesso di deindustrializzazione comprende una molteplicità di fenomeni, alcuni più allarmanti di altri; è dunque necessaria un'analisi che tenga conto di questa complessità. In un secondo momento, la comunicazione propone soluzioni concrete affinché l'industria comunitaria possa trovare in Europa condizioni favorevoli alla sua attività e al suo futuro sviluppo. In questo quadro ottimizzato, l'industria potrà allo stesso tempo assumere il suo ruolo di creatrice di ricchezza e le sue responsabilità nei confronti della società. Potrà così apportare un contributo determinante agli obiettivi di competitività e di crescita che l'Unione europea si è fissata al Consiglio europeo di Lisbona.

La deindustrializzazione non è inevitabile. Mobilitando gli sforzi di tutti è possibile generare un circolo virtuoso, e la presente comunicazione intende costituire la risposta della Commissione a questa sfida.

2. L'INDUSTRIA EUROPEA DI FRONTE ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE : UNA DIAGNOSI

2.1. Il processo di ridistribuzione delle risorse verso i servizi non deve essere confuso con la deindustrializzazione...

La diminuzione della quota dell'industria nell'economia deve essere vista in un contesto di trasformazione strutturale nel lungo periodo. Essa riflette un processo di ridistribuzione delle risorse verso i servizi in atto nei paesi sviluppati (Europa, Stati Uniti, Giappone) dalla fine degli anni '50 (allegato, tabella 1). La quota relativa dell'industria manifatturiera nell'occupazione totale e nel valore aggiunto totale è diminuita, mentre quella dei servizi è aumentata regolarmente (figura 1).

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Uno dei motori fondamentali di questa evoluzione è stata la crescita della produttività dell'industria, superiore a quella dei servizi (allegato, tabella 2). Ne è risultato un trasferimento costante di occupazione dall'industria verso i servizi. La maggioranza dei settori industriali, pur avendo registrato una diminuzione dei posti di lavoro, ha conosciuto un aumento del valore aggiunto e della produttività del lavoro. È il caso, in particolare, di settori come la chimica, l'industria aeronautica e spaziale, le attrezzature di telecomunicazione, ma anche di numerosi altri settori industriali (allegato, tabella 3). Questa evoluzione può causare difficoltà di adattamento, ma non deve essere considerata una minaccia. Si tratta piuttosto di una conseguenza normale del progresso economico e quindi di un'evoluzione che deve essere incoraggiata e facilitata. La ridistribuzione di risorse produttive di fronte alle trasformazioni è indispensabile al mantenimento della competitività e alla crescita duratura. Queste trasformazioni hanno molteplici cause, tra cui il commercio internazionale [2], i mutamenti nella disponibilità delle risorse naturali, lo sviluppo tecnologico.

[2] Il processo di trasformazione industriale è anche legato al fenomeno della globalizzazione, come dovrebbe dimostrare uno studio sull'inserimento dell'economia europea nella divisione internazionale del lavoro i cui risultati sono attesi per l'estate 2004.

Un tale processo di trasformazione industriale [3] è nell'insieme benefico se è correttamente previsto, identificato e accompagnato. Non deve essere confuso con la deindustrializzazione assoluta, molto più preoccupante, che implica un declino assoluto dell'industria, caratterizzato da una diminuzione concomitante dell'occupazione, della produzione e della crescita della produttività, aggravata da un deficit commerciale. Per definizione, un'evoluzione simile potrebbe essere constatata con certezza soltanto nel lungo periodo. I dati disponibili non permettono però di affermare che nell'UE esista un tale fenomeno. In effetti, alcuni settori hanno registrato una diminuzione simultanea e duratura dell'occupazione e della produzione su un periodo abbastanza lungo (allegato, tabella 4). Si tratta di 5 settori su 23 [4], e la loro evoluzione riflette soprattutto le modificazioni dei vantaggi comparati dell'UE a livello internazionale e le trasformazioni in atto all'interno del settore manifatturiero. Questi settori hanno visto del resto la loro quota nel valore aggiunto dell'industria diminuire dal 12,3% nel 1979 al 7,3% nel 2001. Le perdite di posti di lavoro a bassa produttività a vantaggio di paesi meno sviluppati caratterizzati da costi del lavoro inferiori, i cambiamenti che derivano dalle evoluzioni del mercato dell'energia o da un'evoluzione dei vantaggi comparati sono concentrati in regioni e settori determinati. La riconversione è difficile da realizzare e implica una politica adeguata nei riguardi del capitale umano. Allo stesso tempo, i benefici risultanti da queste trasformazioni industriali sono diffusi. Queste evoluzioni sono infatti concomitanti a una situazione nella quale la produzione industriale è aumentata, il che riflette un aumento della ricchezza dell'Unione europea e dei suoi Stati membri nel loro insieme, come dimostra l'andamento di questi ultimi anni (figura 2 e figura 5 in allegato).

[3] Detta talvolta "deindustrializzazione relativa".

[4] In base della nomenclatura CITI rev.3 a due cifre, esclusi industrie estrattive, trasporti, elettricità e acqua. Si tratta dei seguenti settori: tessile; abbigliamento; cuoio-calzature; costruzione e riparazione navali; raffinazione del petrolio, carbone e combustibili nucleari.

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

D'altra parte, l'interconnessione sempre più stretta tra servizi e industria modifica i contorni dell'attività industriale propriamente detta, accentuando la manifesta diminuzione dell'importanza dell'industria manifatturiera. Quest'ultima ha infatti conosciuto un netto fenomeno di esternalizzazione, consistente nell'affidare a prestatori esterni una quota crescente delle attività di servizi prima realizzate all'interno (funzioni di trasporto, logistica, informatica...). Questo trasferimento ha permesso all'industria di concentrarsi sulle sue attività di base, come rivelano i sondaggi effettuati presso imprese. Più di due terzi delle imprese sondate in Francia ricorrono attualmente all'esternalizzazione [5]. Parallelamente, l'offerta di prodotti industriali contiene sempre più servizi, come i servizi di assistenza ai clienti e di manutenzione, che accentuano la compenetrazione tra industria e servizi. La vendita di un elaboratore o di un telefono portatile si accompagna a una forte componente immateriale (marketing intenso, servizio commerciale...). Ma questa tendenza tocca anche prodotti più tradizionali come i prodotti siderurgici. I servizi offerti permettono ai produttori europei di aggiungere a tali prodotti un contenuto qualitativo che può costituire un vantaggio determinante in un contesto di esacerbata concorrenza, e quindi un fattore di competitività. Questo fenomeno deve indurre a temperare le conclusioni che si potrebbero trarre da un esame puramente statistico.

[5] Barometro Outsourcing 2002 realizzato da Ernst & Young presso 220 direttori generali e direttori amministrativi e finanziari di imprese.

La competitività dell'industria manifatturiera rimane quindi cruciale per il resto dell'economia, per gli effetti di trascinamento che l'industria ha sulle altre attività, in particolare per i servizi alle imprese.

2.2. ... ma recentemente sono apparsi segni inquietanti

Se le tendenze a lungo termine non confermano, nello stadio attuale, la deindustrializzazione, come si spiegano le preoccupazioni spesso manifestate? Occorre riconoscere che taluni sviluppi sono inquietanti.

2.2.1. Il rallentamento della crescita della produttività e le sue cause

Dal 1995 si osserva un netto rallentamento della crescita della produttività del lavoro nel settore manifatturiero dell'UE (allegato, tabella 2). La crescita della produttività è stata il motore della crescita economica e delle trasformazioni strutturali che si sono avute in passato. La crescita della produttività rimane un fattore essenziale per assicurare la competitività dell'industria e garantire la migliore allocazione possibile delle risorse e la creazione di posti di lavoro per l'economia nel suo insieme.

Il rallentamento della crescita della produttività del lavoro non si osserva in tutti i paesi industrializzati, tanto nell'Unione europea che al di fuori di essa. Negli Stati Uniti e in alcuni Stati membri (Finlandia, Irlanda, Svezia) la crescita della produttività è superiore alla media UE nel settore manifatturiero (allegato, figura 6). Questo fenomeno non è quindi ineluttabile e non può essere interpretato come una componente normale del processo di trasformazione strutturale a lungo termine in atto in tutti i paesi industrializzati.

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

La crescita della produttività del lavoro in Europa nei settori a forte contenuto tecnologico è stata dinamica in rapporto all'economia nel suo insieme, ma è rimasta nel complesso largamente inferiore a quella che si è registrata negli Stati Uniti in questi settori. Il divario di produttività con questo paese è quindi aumentato. Le principali differenze tra UE e Stati Uniti si osservano al livello delle prestazioni rispettive dei settori manifatturieri produttori di TIC [6] (figura 3), ma anche nei settori utilizzatori di TIC, in particolare nei servizi (allegato, tabella 7) [7]. Queste differenze di prestazioni appaiono anche nei settori che utilizzano qualifiche elevate (allegato, tabella 7). Questa classificazione corrisponde in parte a quella basata sull'utilizzo delle TIC.

[6] Tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni.

[7] L'UE presenta risultati migliori in un solo settore, quello dei servizi di comunicazione. 'EU Productivity and competitiveness: an industrial perspective'. M. O'Mahony, B. Van Ark (2003). L'economia UE: Rassegna 2003, COM(2003) 729.

In sintesi, l'Unione conosce al tempo stesso una diminuzione della crescita della produttività industriale e prestazioni deludenti, in particolare nei settori ad alta tecnologia [8].

[8] Questi fenomeni sono stati studiati dettagliatamente nelle varie edizioni annuali della Relazione sulla competitività europea e in M. O'Mahony, B. Van Ark (2003).

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Non è sorprendente che, in risposta a questa situazione, la Commissione, con un ampio sostegno del Consiglio e degli Stati membri, abbia invitato ad aumentare le spese per la ricerca e a creare un clima più favorevole allo sviluppo ed all'applicazione delle tecnologie che potrebbero contribuire a superare le debolezze dell'UE in questo campo.

Anche in questo caso i dati disponibili sono poco rassicuranti. L'obiettivo stabilito dal Consiglio europeo di Barcellona è di aumentare gli investimenti in R&S dell'Unione, due terzi dei quali da finanziare dal settore privato, fino ad avvicinarsi al 3% del PIL nel 2010. I primi risultati del piano d'azione [9] varato nell'aprile 2003 dalla Commissione sono positivi, ma

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ancora inferiori al livello che sarebbe compatibile con l'obiettivo del 3% [10]. In particolare, gli

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

investimenti del settore privato nella ricerca restano di molto inferiori al livello che sarebbe necessario, sicché l'UE resta ben lontana dal Giappone o dagli Stati Uniti (figura 4a) [11]. Nel 2002 l'Europa ha investito complessivamente in R&S il 38% meno degli Stati Uniti (un po' meglio però che nel 2000, quando gli investimenti erano stati inferiori del 40%). Il divario proviene principalmente dal settore delle imprese che, nel 2002, ha destinato alla ricerca 87 miliardi di euro di più negli Stati Uniti che in Europa [12] (ma questo divario, già molto elevato, era di 104 miliardi di euro nel 2000). D'altra parte, a livello settoriale, le spese di R&S sono meno elevate nei settori high tech europei che negli Stati Uniti [13] (figura 4b). Tra i fattori che spiegano le prestazioni insufficienti dell'Europa rispetto agli Stati Uniti si possono citare:

[9] COM(2003) 226 def. "Investire nella ricerca: un piano d'azione per l'Europa ", 30 aprile 2003.

[10] Secondo un recente studio econometrico, il conseguimento di quest'obiettivo permetterebbe di creare 2 milioni di posti di lavoro supplementari fin dal 2010, quindi creerebbe 400.000 posti di lavoro e lo 0,5% di crescita economica in più ogni anno dopo il 2010. (« 3% d'effort de R&D en Europe en 2010 : analyse des conséquences à l'aide du modèle macro économétrique européen Némésis », gennaio 2004).

[11] I livelli differiscono secondo i paesi. La Finlandia e la Svezia in particolare hanno un rapporto tra spese di R&S delle imprese e PIL superiore, rispettivamente del 2,68% e del 2,84% nel 2001 (European Business Economy, 2003, Eurostat).

[12] In euro 2000. Questo divario è però in diminuzione dal 2000. Era di 104 miliardi di euro nel 2000 e di 99 miliardi nel 2001.

[13] Towards a European Research Area. Science, Technology and Innovation. European Commission. La Commissione ha istituito un quadro di valutazione dell'investimento industriale in ricerca. La prima edizione sarà pubblicata nell'ottobre 2004 e presenterà la classifica delle 500 imprese europee e delle 500 imprese straniere che investono di più in R&S, e l'evoluzione dei loro investimenti.

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una maggiore difficoltà d'accesso alle fonti di finanziamento privato per la ricerca,

- una cultura più (a volte troppo) prudente di fronte ai rischi (come testimoniano, ad esempio, le difficoltà dell'industria delle biotecnologie),

- una collaborazione insufficiente tra gli organismi pubblici di ricerca, università comprese, e il settore industriale,

- una percentuale nettamente inferiore di ricercatori nella popolazione attiva (5,7% contro 8%) e un numero annuo di diplomati in discipline scientifiche e tecniche, in rapporto alla classe d'età 25-34 anni, più elevato: 0,55% (0,49% a 25 anni) contro 0,41%.

In materia d'innovazione, l'UE ha fatto degli sforzi. Gli indicatori che permettono raffronti internazionali mostrano un miglioramento per quanto riguarda i mezzi che consentono di aumentare la capacità di innovare (capitale di rischio, spese in TIC...). Ma, nonostante queste tendenze incoraggianti, il divario con gli Stati Uniti rimane notevole (figura 5, tabella 8 in allegato). Anche il Giappone sopravanza nettamente l'UE in fatto di brevetti USPTO [14], di manodopera qualificata o di spese nelle TIC (allegato, figura 8b). La capacità d'innovazione esercita un effetto di trascinamento su tutti i settori e in generale i paesi, come la Finlandia o la Svezia, che innovano molto nei settori ad alta tecnologia sono anche quelli che innovano comparativamente di più in settori a minore contenuto tecnologico [15]. Ciò dimostra la necessità di favorire l'innovazione in tutti i settori industriali, indipendentemente dalla loro intensità tecnologica. L'innovazione in un settore tradizionale come quello delle calzature permette ad alcuni industriali europei di affermarsi su prodotti tecnici nonostante la forte concorrenza straniera e consumi in calo [16]. Lo stesso può dirsi per il settore tessile-abbigliamento, nel quale le imprese europee hanno sviluppato materiali tecnici sofisticati ed hanno dato prova di creatività commerciale.

[14] Brevetti rilasciati dal 'United States Patent and Trademark Office'.

[15] Innovation Scoreboard (technical paper n° 4).

[16] 'A nouveaux consommateurs, nouvelles stratégies industrielles', 2000, studio realizzato dal Crédoc per la DIGITIP.

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Il sondaggio effettuato dalla Tavola rotonda europea degli industriali (ERT) nel 2002 presso le principali grandi aziende europee [17], da cui risultava che molte di esse avevano intenzione di localizzare fuori Europa le loro nuove attività di R&S in un prossimo futuro se non vi fosse stato un miglioramento del contesto normativo, ha dato ancora più forza a questo messaggio. Gli studi empirici [18] dimostrano chiaramente come il contesto istituzionale e normativo abbia un ruolo fondamentale nella ricerca, nell'innovazione, nel dinamismo imprenditoriale e nella crescita della produttività. Da questi stessi studi appare che il quadro normativo è generalmente più gravoso in Europa che negli Stati Uniti, in particolare sul mercato dei prodotti [19].

[17] 'The European Challenge', Message from the European Roundtable of Industrialists to the Spring European Council, Marzo 2003.

[18] L'economia UE: Rassegna 2003, Commissione europea, WP 18 (1999), 28 (2002), 329 (2002) dell'OCSE; WP del FMI (2003).

[19] "Quadro normativo" è un concetto ampio in cui sono compresi molti tipi di norme. Le norme economiche riguardano il funzionamento dei mercati e incidono su tutti i settori - intervento dello Stato, concorrenza, commercio, investimenti. Le norme amministrative riguardano le modalità secondo cui si opera sul mercato e influiscono sul dinamismo imprenditoriale (vincoli regolamentari per la creazione di un'impresa, ecc.). Infine, le norme settoriali comprendono attualmente la regolamentazione dei servizi pubblici la cui liberalizzazione è parzialmente in corso. Queste norme non dipendono tutte dalla Comunità, ma rientrano anche nella competenza degli Stati membri.

Gli Stati Uniti, d'altra parte, continuano ad attirare i ricercatori e più in generale una manodopera altamente qualificata [20]. Questa constatazione è regolarmente citata come fonte di preoccupazione. Solo per l'industria farmaceutica, alcune proiezioni su 10 anni prevedono l'intensificazione di questa "fuga dei cervelli", essendo i ricercatori attratti da investimenti in R&S che negli Stati Uniti sono quasi il doppio di quelli dell'UE [21]. Il fenomeno riguarda anche gli europei che studiano negli Stati Uniti. Secondo alcune indagini, sui 15000 europei che hanno conseguito un dottorato negli Stati Uniti, 11000 prevedevano di restare a lavorare in questo paese, il che conferma l'evidente attrazione che esso esercita.

[20] "Una strategia di mobilità per lo spazio europeo della ricerca", COM(2001) 331 def., 20.6.2001.

[21] Bain & Company, 2003.

Riquadro 1:

L'industria farmaceutica: alla confluenza della regolamentazione e dell'innovazione

L'industria farmaceutica ha una forte componente d'innovazione e dipende da un quadro normativo influenzato da considerazioni di sanità pubblica. In questo senso, essa illustra l'interazione tra queste due dimensioni e la necessità di definire un quadro normativo favorevole all'innovazione. Il suo dinamismo dipende dalla sua capacità di utilizzare e valorizzare le proprie risorse. Il ritardo accumulato dall'industria europea in termini d'innovazione e di R&S minaccia la sua competitività a lungo termine. Essa innova meno del suo concorrente americano. Dal 1992 al 2002 gli investimenti in R&S dell'UE sono aumentati annualmente dell'8%, mentre l'aumento è stato dell'11% negli Stati Uniti, per importi pari rispettivamente a 21 miliardi e 26 miliardi di dollari. Dal 1998 al 2002 sono stati commercializzati nell'UE 44 nuovi medicinali, contro 85 negli Stati Uniti. Questi fattori determinano il contenuto in valore aggiunto dei prodotti ma, innescando un circolo virtuoso, permettono anche di attrarre manodopera qualificata. La perdita d'attrattiva dell'UE ha spinto numerosi industriali a localizzare sempre più le loro attività di ricerca negli Stati Uniti, attirando nella loro scia i giovani laureati, il che costituisce un circolo vizioso. Tra i problemi identificati figurano dunque il basso livello delle spese per R&S, ma anche un contesto istituzionale e normativo sfavorevole all'industria: frammentazione dei mercati, assenza di concorrenza tra i mercati nazionali, tempi lunghi per l'immissione sul mercato di nuovi medicinali, controllo dei prezzi.

Questi problemi sono stati analizzati nell'ambito del gruppo ad alto livello G10, organizzato dalla Commissione; ciò ha permesso di identificare le misure politiche necessarie. Una parte di queste misure è già stata attuata, con una revisione della legislazione sui prodotti farmaceutici, adottata formalmente dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel marzo 2004, e che entrerà in vigore alla fine del 2005. Si tratta ad esempio dell'accelerazione delle procedure d'autorizzazione dei medicinali, dell'armonizzazione a 10 anni della durata di protezione dei dati scientifici relativi ai nuovi medicinali con possibilità d'estensione di un anno supplementare in caso di indicazione addizionale innovativa, dell'estensione del campo d'applicazione della procedura centralizzata che permette un accesso più rapido all'intero mercato comunitario ed infine del rafforzamento e della sistematizzazione della procedura dei "consigli scientifici" alle aziende nelle tappe fondamentali della ricerca e dello sviluppo.

* Bain & Company **Global Competitiveness in Pharmaceuticals. A European Perspective, Enterprise Papers, n. 1-2001.

2.2.2. Una competitività internazionale indebolita

Se gli indicatori della competitività dell'industria comunitaria nei settori ad alta tecnologia non sono tutti promettenti, che dire dei tradizionali punti forti dell'UE, in settori come la chimica o le costruzioni meccaniche? I dati riguardanti la competitività dell'UE rispetto agli Stati Uniti indicano che su questi segmenti l'UE rimane la più competitiva (allegato, tabella 9). Questi settori si trovano esposti ad una concorrenza sempre più intensa da parte dei paesi emergenti. L'internazionalizzazione dell'economia non è un fenomeno nuovo. Ma ai produttori delle "tigri" tradizionali del sud-est asiatico, che esercitano una forte pressione concorrenziale già da vari anni, si aggiungono quelli dei due giganti demografici, la Cina e l'India.

- L'emergere di nuovi poli di concorrenza

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

La Cina è apparsa negli anni '80 come un concorrente capace di trarre profitto da costi di produzione bassi dovuti ad una manodopera abbondante e a buon mercato. Si è imposta in particolare nei settori del giocattolo e del tessile-abbigliamento, facendo una forte concorrenza alle industrie europee ed americane (figura 6). L'UE presenta del resto un deficit commerciale nei settori più tradizionali (allegato, figura 10).

Negli anni '90 è apparso un altro tipo di specializzazione, imperniato su prodotti a più forte contenuto tecnologico (elettronica), basato sulla distribuzione di prodotti assemblati e sulla presenza in Cina di aziende straniere, in particolare giapponesi e del sud-est asiatico. Più recentemente, la Cina ha iniziato uno sviluppo in altri settori a forte contenuto tecnologico, ad esempio la chimica, o anche in settori "di punta" (TIC, biotecnologie) e nelle attività di ricerca e di progettazione (componenti elettronici). La creazione di "parchi tecnologici" in determinate zone economiche (Shanghai, provincia del Guangdong), per attirare le imprese straniere, testimonia della volontà dei pubblici poteri di sviluppare queste competenze a livello industriale.

Gli industriali cinesi dimostrano oggi un interesse nuovo per le questioni relative agli aspetti qualitativi, il che si traduce nella volontà di sviluppare ed internazionalizzare i propri marchi e di promuovere campioni nazionali. Le imprese cinesi manifestano - con il sostegno delle autorità pubbliche - una volontà di diventare "attori globali" presenti su tutti i mercati, in particolare su alcuni segmenti - elettronica, elettrodomestici - nei quali questo paese è andato specializzandosi. Alcune imprese cinesi - ad esempio TCL - hanno sviluppato i loro marchi sul mercato nazionale e penetrano oggi nei mercati occidentali, beneficiando dell'accesso ai consumatori con il marchio e la rete di distribuzione di produttori europei (Thomson). Anche altri nomi cominciano ad emergere, come Haier o Galanz negli elettrodomestici.

Riquadro 2:

Le fonti di preoccupazioni a monte dell'industria manifatturiera

Da qualche tempo, vari settori dell'industria europea - automobile, aerospaziale, ingegneria meccanica o metallurgia - devono affrontare una concorrenza internazionale che non si limita più soltanto ai mercati dei prodotti manifatturieri, ma si estende anche a monte dei processi di produzione sul fronte dell'acquisizione degli input.

I mercati di alcune materie prime (ad esempio acciaio, metalli preziosi e non ferrosi, coke, gomma) e materie prime secondarie (rifiuti riciclabili metallici) sono sottoposti da molti mesi a forti tensioni che trovano principalmente la loro origine nella crescita vigorosa della produzione industriale cinese. La Cina è diventata uno dei primi consumatori di rifiuti riciclabili metallici. Negli ultimi quattro anni le esportazioni di rifiuti di rame e di alluminio dall'UE verso l'Asia sono raddoppiate e raggiungono rispettivamente le 400.000 tonnellate. Nello stesso tempo l'UE ha visto diminuire fortemente le sue fonti di importazioni di questi stessi prodotti (rispettivamente da 700.000 a 400.000 tonnellate e da 700.000 a 450.000 tonnellate). Questa situazione crea difficoltà per gli industriali europei utilizzatori di tali materie prime. Infatti, dal 30 al 40% della produzione di metalli nell'UE proviene da rifiuti riciclabili metallici.

Non è ancora possibile valutare in tutta la sua portata questo nuovo fenomeno, che potrebbe secondo alcuni analisti estendersi prossimamente ai prodotti energetici. Se però questa situazione dovesse mantenersi, minaccerebbe seriamente la competitività di taluni settori industriali europei.

Parallelamente, l'India continua a sviluppare il proprio potenziale e, a parte settori tradizionali come il tessile, ha adottato una strategia di nicchia in settori a forte valore aggiunto come le biotecnologie o le TIC, puntando sulla creazione di "clusters" che raggruppano imprese locali e multinazionali americane ed europee.

- ... accresce la spinta alle delocalizzazioni

Tutti questi elementi - e l'accelerazione della loro comparsa nel giro di alcuni anni - fanno temere, talvolta a ragione, che alcune industrie si installino in Cina, trascinando nella loro scia altri settori utilizzatori o fornitori e riducendo la base industriale sul continente europeo. Alcune imprese hanno già delocalizzato e hanno ancora intenzione di farlo, per approfittare dei costi del lavoro inferiori. Da un'indagine svolta nel 2003 dalla DIHK in Germania [22] è risultato che, tra le imprese che investono all'estero, quasi il 45% è motivato dalla prospettiva di un risparmio sui costi. Alcune regioni della Spagna si trovano di fronte a problemi simili; è il caso in particolare della Catalogna, che deve subire le conseguenze della delocalizzazione da parte di alcune imprese, europee e non, come Philips o Samsung, delle attività di produzione in altre parti del mondo.

[22] Produktionsverlagerung als Element der Globalisierungsstrategie von Unternehmen, Maggio 2003, Deutscher Industrie- und Handelskammertag (DIHK).

Lo sviluppo dell'industria cinese nei settori a più forte intensità tecnologica fa temere nello stesso tempo che le delocalizzazioni non si limitino più a settori tradizionali. Infatti, il fenomeno della delocalizzazione comincia a toccare anche la ricerca e i settori ad alta tecnologia, anche se non è possibile quantificarlo esattamente e distinguerlo dal fenomeno d'espansione mondiale delle attività industriali. Con il miglioramento delle infrastrutture, la competenza acquisita in vari settori ad alta tecnologia, buoni livelli d'istruzione, risorse umane sempre più qualificate, università efficienti e un costo della ricerca più basso che in Europa, alcuni paesi emergenti, in particolare la Cina e l'India, presentano vantaggi che non possono essere ignorati dai gruppi industriali europei o americani che iniziano a svilupparvi attività di R&S, con un marcato effetto di trascinamento tra imprese in alcuni settori industriali ad alta tecnologia.

Infine, il fenomeno della delocalizzazione si comincia ad osservare per taluni servizi che possono ricorrere in India a una manodopera anglofona e qualificata ad un costo meno elevato. Questi servizi per conto di clienti stranieri - spesso americani o britannici, ma in misura crescente anche di altri paesi europei - si sono sviluppati nei settori dei call centres, ma anche in quello dei servizi informatici e nei settori della contabilità e dell'elaborazione dati. Negli Stati Uniti è in corso un dibattito sull'impatto di queste delocalizzazioni sull'economia in termini di occupazione e di produttività.

Il cumulo di osservazioni settoriali costituisce un fattore legittimo di preoccupazione, ma non deve condurre a generalizzazioni sul piano macroeconomico.

Infatti, anche se sono stati fatti alcuni tentativi per valutare l'impatto delle delocalizzazioni, la loro ampiezza resta difficile da quantificare [23]. Le delocalizzazioni si inseriscono in un vasto movimento di investimenti all'estero di cui l'UE è uno dei principali attori e beneficiari. Nel 2002 ha ricevuto 85,9 di miliardi di euro (0,9% del PIL) d'investimenti diretti extra-UE e ha investito fuori dell'UE 130,6 miliardi di euro (1,4% del PIL) [24]. La maggior parte di questi investimenti sono destinati ai paesi dell'OCSE, e gli Stati Uniti restano la destinazione principale. I flussi di investimenti diretti verso la Cina sono aumentati dalla metà degli anni '90, ma rappresentavano nel 2002 quasi il 2% dei flussi di investimenti diretti europei extra-UE e quasi un terzo di quelli verso l'Estremo Oriente (dietro Singapore e le Filippine) [25]. D'altra parte, l'Europa conserva numerosi fattori d'attrattiva, che concorrono a creare un contesto generale favorevole, come la qualità dell'istruzione e delle infrastrutture, l'efficienza dei servizi pubblici o la qualità del dialogo sociale.

[23] Una relazione del Senato francese del 2001 indica che le delocalizzazioni costituiscono un fenomeno marginale e che il loro impatto sull'occupazione non sarebbe superiore a 200-300.000 posti di lavoro. Esse rappresenterebbero il 5% degli investimenti diretti francesi in mercati vicini (paesi dell'Europa centrale e orientale, Magreb) e meno dell'1% sui mercati lontani.

[24] Queste stime confermano il calo di tali flussi dopo la crescita nel periodo 1997-2000.

[25] European Union Foreign Direct Investment, annuario 2001, Eurostat.

Il loro effetto sull'occupazione a livello macroeconomico resta peraltro incerto. Gli investimenti esteri possono infatti generare un flusso addizionale di scambi. Alcuni studi hanno posto in luce le complementarità tra flussi di scambi e flussi di investimenti. In altri termini, gli investimenti all'estero non sostituirebbero le esportazioni esistenti, ma contribuirebbero al contrario ad intensificare gli scambi [26].

[26] Fontagné L., Pajot M., Investissement direct à l'étranger et échanges extérieurs : un impact plus fort aux Etats-Unis qu'en France, Economie et Statistique, n° 326-327, 1999, 6/7.

Resta il fatto che alcuni settori o alcune regioni sono stati particolarmente colpiti dalle delocalizzazioni. È quindi necessario un approccio locale e settoriale per comprendere il fenomeno e le ragioni di queste evoluzioni: volontà di ridurre i costi e/o di sottrarsi a un quadro normativo giudicato inadeguato.

- Partecipare alla crescita dei paesi emergenti

L'emergere di paesi come la Cina ed eventualmente l'India, dato il loro peso demografico, contribuisce a modificare il profilo della concorrenza internazionale. Il loro potenziale di crescita è molto forte e questa evoluzione può quindi essere una fonte di opportunità. Il mercato cinese è in forte crescita e offre certamente un potenziale importante per le imprese europee. L'industria europea ha cercato attivamente di conquistarsi un posto sul mercato che ha conosciuto la crescita più rapida del mondo, non senza successo. I fabbricanti europei di automobili rappresentano più del 60% delle vendite sul mercato cinese in rapida espansione e successi simili si sono registrati in settori importanti come la produzione di telefoni mobili.

Inoltre, i divari di produttività tra paesi come la Cina e l'UE restano rilevanti e per ora non danno loro un vantaggio comparato definitivo nei settori in cui stanno intervenendo [27]. L'apertura commerciale della Cina costituisce un'opportunità considerevole per l'industria europea, sempreché non sia ostacolata dalla concomitante introduzione di nuove barriere non tariffarie [28]. La Cina rappresenta infatti oggi quasi l'8% delle importazioni dell'UE contro il 2,6% nel 1990, ma soltanto il 3,4% delle sue esportazioni contro l'1,5% nel 1990. Dato lo sviluppo di questo paese, i tassi di crescita in alcuni settori sono elevati [29] e questa crescita potrebbe continuare. Lo sviluppo rapido dell'economia cinese costituisce già un motore degli scambi internazionali. Lo sviluppo economico non è un gioco a somma zero. Una Cina che si arricchisce e si sviluppa sarà una Cina che importa di più. Si può notare del resto che l'industria europea non ha preso parte al processo di frammentazione della produzione a livello asiatico e che i suoi scambi si basano maggiormente sulla complementarità [30]. L'apertura del mercato cinese può quindi permetterle di far valere i suoi vantaggi.

[27] Alcune stime empiriche che comparano le produttività del lavoro in Germania e in Cina mostrano che esiste un differenziale importante di produttività tra i due paesi: il livello di produttività del lavoro della Cina rappresenta soltanto l'8,6% di quello della Germania. Ruoen R., Manying B., China's Manufacturing Industry in an International Perspective: A China-Germany Comparison, Economie Internationale, 92 (2002), pag. 103-130.

[28] Aderendo all'OMC, la Cina si è impegnata con i suoi partner a migliorare sostanzialmente l'accesso al suo immenso mercato di circa 1,3 miliardi di consumatori potenziali: diminuzione del dazio doganale medio sui prodotti manifatturieri dal 17% al 9 %, riduzione dei picchi tariffari, eliminazione dei contingenti entro il 2006, apertura dei servizi nella maggior parte dei settori, tutela della proprietà intellettuale, miglioramento delle condizioni di stabilimento delle imprese straniere, ecc.

[29] Il settore dell'energia ha conosciuto una forte crescita (+ 22%) sul periodo recente 1995-2002, ma anche altri settori come l'elettronica o la chimica hanno registrato forti aumenti (rispettivamente + 12% e 13%). (Fonte: Bcg).

[30] WP N. 2002, CEPII (2002); WPS 2197, Banca mondiale (1999).

2.3. L'Unione europea di fronte alle trasformazioni

Le argomentazioni possono essere così riassunte:

Non si può affermare che sia in atto in Europa una vera e propria deindustrializzazione; si ha piuttosto una conferma degli effetti del processo permanente di adeguamento, spesso doloroso se i suoi effetti si concentrano su alcuni settori o regioni, ma complessivamente benefico, mediante il quale le risorse sono continuamente ridistribuite verso settori in cui esistono vantaggi comparati. La tendenza di medio/lungo termine che è stata analizzata riflette appunto questo tipo di adeguamento piuttosto che una deindustrializzazione.

Tuttavia, in un periodo più recente, in particolare a partire dal 1995 in poi, sono apparsi segni inquietanti, tra cui alcuni indicatori già stabiliti, come i recenti risultati negativi dell'Europa in termini di crescita della produttività, di spese per la ricerca e di capacità d'innovazione. Questa constatazione è stata fatta innanzitutto per i settori ad alta tecnologia, ma anche per i settori industriali in cui l'Europa vanta dei punti di forza.

Se il fenomeno di apertura delle economie industrializzate non è un fenomeno nuovo, sono cambiati gli attori e le modalità di questa divisione internazionale del lavoro: sviluppo rapido dopo la prima crisi petrolifera, fine della tradizionale divisione internazionale del lavoro Nord-Sud, nuova concorrenza dei paesi del Sud senza che la posizione dominante dei paesi del Nord nel commercio mondiale ne sia sostanzialmente modificata, divisione del lavoro all'interno degli comparti e non più soltanto tra comparti, segmentazione dei processi di produzione a livello internazionale. La rapida crescita di gamma delle esportazioni dei paesi emergenti si basa sull'accumulazione di capitale umano che ha permesso a questi paesi di effettuare nuovi investimenti e penetrare in settori relativamente "tecnologici".

Tra paesi industrializzati si assiste sempre più a una divisione qualitativa del lavoro (o scambio all'interno di un comparto di prodotti di qualità diversa). Nella misura in cui i prodotti scambiati differiscono per la qualità e la combinazione produttiva loro associata, lo scambio è basato su una forma rinnovata di vantaggio comparato. Quest'ultimo porta allora ad un posizionamento di gamma. Un paese che si specializza nell'alta gamma in numerosi comparti ricorrerà in misura maggiore alla R&S e all'innovazione, con conseguenze positive e cumulative sulla sua crescita.

L'analisi è complicata dalla congiuntura economica poco favorevole, in particolare in alcuni paesi dell'UE. In che misura le recenti difficoltà sono state il risultato di questa situazione e in che misura riflettono l'andamento dell'economia nel lungo periodo? La risposta, per quanto insoddisfacente, è che è troppo presto per dirlo. Inoltre, la competitività dell'UE è stata influenzata dai movimenti dei tassi di cambio degli ultimi anni, con l'euro che ha subito un forte deprezzamento rispetto al dollaro immediatamente dopo il suo lancio, seguito da un apprezzamento altrettanto forte.

Gli elementi identificati costituiscono rischi, non delle certezze. Ma, data la natura del rischio, è necessario prenderli in considerazione.

La competitività è l'elemento decisivo per risolvere i problemi dell'industria. Se la si trascura, i cattivi esempi potrebbero moltiplicarsi. La scelta di favorire la competitività è già stata fatta a Lisbona. Altri documenti hanno evocato la distanza che continua a separare i risultati che l'UE ha già ottenuto dalle sue ambizioni [31]. Il dibattito pubblico attuale ha identificato alcuni temi, che rappresentano altrettante grandi sfide per la politica industriale dell'UE.

[31] 'Relazione della Commissione al Consiglio europeo di primavera - Promuovere le riforme di Lisbona nell'Unione allargata', COM(2004) 29 def. del 21 gennaio 2004; 'Indirizzi di massima per le politiche economiche nel 2002', COM(2003) 4 def.

3. LE opportunitÀ offerte DALL'ALLARGAMENTO

Il 1° maggio 2004, dieci nuovi Stati membri entreranno a far parte dell'UE. Se i rispettivi mercati sono largamente aperti da una decina di anni, l'allargamento crea uguali condizioni di concorrenza poiché le norme e le regolamentazioni europee dovranno oramai essere applicate anche dai nuovi paesi membri. L'allargamento costituirà una grande opportunità per l'industria tanto nei paesi dell'Unione attuale quanto nei nuovi Stati membri, a condizione che le possibilità che offre siano pienamente sfruttate.

Riquadro 3:

Le trasformazioni dell'industria dei paesi aderenti

Sulla base dei dati del 2000, l'industria dei nuovi Stati membri rappresenterebbe il 9% dell'industria dell'UE allargata e il 15% dei posti di lavoro.

La struttura delle economie di questi paesi si è notevolmente modificata nel corso dell'ultimo decennio. La quota dell'agricoltura, poi quella dell'industria, sono diminuite rispetto all'economia totale, mentre i servizi hanno sperimentato una forte espansione.

I nuovi Stati membri sono per ora maggiormente specializzati in settori a più alta intensità di manodopera. I settori industriali più importanti sono i prodotti alimentari e le bevande, le attrezzature per i trasporti, i metalli di base, i prodotti metallici. Alcuni paesi presentano una specializzazione nel tessile e nei prodotti del legno, in particolare i paesi baltici. Ma la struttura industriale della maggioranza di questi paesi è andata gradualmente orientandosi verso settori intermedi o ad alta tecnologia, dando così inizio a un processo di convergenza. L'evoluzione degli scambi con l'UE riflette queste tendenze.

Tuttavia, nei prossimi anni questi paesi conosceranno sicuramente una prosecuzione del processo di ristrutturazione, legata all'intensificarsi della concorrenza.

Fonte: Relazione sulla competitività europea 2003. European Economy, Economic Paper, n. 181, gennaio 2003 : « Structural features of economic integration in an enlarged Europe : patterns of catching-up and industrial specialisation ». Impact of enlargement on industry SEC(2003) 234, 24.2.2003

3.1. L'attrattiva evidente dei nuovi Stati membri

L'allargamento accrescerà l'attrattiva dei nuovi Stati membri per gli investitori stranieri. Inoltre, la prossimità geografica e culturale e la ripresa dell'acquis comunitario costituiscono ulteriori vantaggi per gli industriali europei e il loro processo di internazionalizzazione.

Nei paesi aderenti i costi unitari del lavoro sono per ora nettamente inferiori (dal 16 al 53%) rispetto a quelli dei produttori dell'Unione europea a 15 [32]. Questo vantaggio è di natura transitoria; la maggior parte di queste economie sperimenteranno, ad un ritmo più o meno rapido, un processo di convergenza verso il resto dell'UE [33]. Inoltre, esso va relativizzato tenendo conto del fatto che la produttività del lavoro nei nuovi Stati membri è nettamente inferiore a quella degli Stati membri attuali. Tuttavia, il vantaggio comparato dei nuovi Stati membri ha già condotto molti produttori degli Stati membri attuali a localizzarvi parte della loro produzione e questo fenomeno dovrebbe protrarsi. Il livello elevato di qualificazione della popolazione dei paesi aderenti, la flessibilità dei loro mercati del lavoro e i livelli elevati di investimenti esteri che riescono ad attrarre si vedono così valorizzati.

[32] Relazione Competitività 2003.

[33] Sembra del resto che alcuni di questi paesi siano già confrontati dalla delocalizzazione verso paesi in cui il costo del lavoro è inferiore (Romania, Ucraina) di alcune attività che erano riusciti ad attrarre.

La caduta della cortina di ferro e l'apertura dei mercati che è seguita ha aperto la strada a una ridistribuzione delle capacità produttive su scala continentale. Il trasferimento di produzione verso i paesi dell'Europa centrale e orientale potrebbe continuare a costituire un problema più grave per le regioni degli Stati membri attuali toccate da queste delocalizzazioni. Questi movimenti hanno infatti un forte impatto locale, in particolare per le regioni tradizionalmente specializzate nelle attività interessate. È stato il caso, ad esempio, della regione del Baden-Württemberg. Negli anni '90 essa ha subito la concorrenza dei paesi dell'Europa centrale, in cui si sono insediate alcune imprese tedesche dell'industria meccanica e di quella automobilistica. Questa situazione di crisi è stata però all'origine di nuove opportunità. Le autorità regionali hanno concentrato i loro sforzi sull'innovazione e la promozione di grappoli ('clusters') in industrie come la microelettronica o le TIC, trasformando in successo ciò che inizialmente appariva come una situazione di crisi.

L'impatto sull'industria dell'estensione del mercato interno risulterà probabilmente più forte in certe zone geografiche o in certi settori degli Stati membri attuali. Potrebbero essere in particolare interessate le regioni limitrofe e soprattutto le PMI che riforniscono il mercato locale (specie in Germania e in Austria). Inoltre, la specializzazione in prodotti ad alta intensità di manodopera ha già avuto da una decina di anni l'effetto di accrescere la concorrenza per i paesi UE-15 più specializzati in questo tipo di settore (Grecia, Portogallo, Spagna).

Tuttavia, per il momento, l'accesso ai nuovi Stati membri può permettere di mantenere nell'UE produzioni che altrimenti sarebbero state trasferite in Asia, e così di garantire la competitività dei settori interessati, grazie alla riorganizzazione della catena di valore in Europa. Il settore tessile-abbigliamento, per il quale i costi del lavoro rappresentano una componente importante del prezzo dei prodotti, ha in particolare riorganizzato la sua filiera di produzione nei paesi vicini dell'Europa orientale e del Mediterraneo. Più recentemente anche altri settori, come l'industria automobilistica, hanno cominciato a riorganizzare le loro catene di valore per approfittare dei vantaggi offerti dai paesi aderenti. Tale strategia può permettere di conservare nell'UE-15 attività che, altrimenti, avrebbero potuto essere delocalizzate in paesi terzi. Ad esempio, l'impresa finlandese Nokia ha delocalizzato parte della sua produzione in paesi dell'Europa orientale per ridurre i costi e mantiene in Finlandia (Oulu, Salo) stabilimenti imperniati sull'alta tecnologia. Per il momento, il processo di differenziazione verticale resta però più concentrato in alcuni settori (oltre al tessile e all'automobile, si può citare il settore delle apparecchiature elettriche) e in alcuni paesi dell'Europa orientale [34]. In risposta a un'inchiesta svolta nel 2003 dal ministero dell'economia dei Paesi Bassi [35], un'impresa su cinque nei settori dei metalli e delle apparecchiature elettriche dichiarava di avere un'entità nei paesi dell'Europa orientale o di volervi investire nei prossimi cinque anni. Il differenziale del costo del lavoro e la qualità della manodopera erano indicati come i principali vantaggi.

[34] WP n. 2611 della Banca mondiale (2001).

[35] Verplaatsing productie-faciliteiten naar Centraal en Oost-Europa. FME. CWM Ministerie Van Economische Zaken. 2003.

3.2. Per poter sfruttare queste opportunità sono necessarie sicurezza e stabilità normative

Il buon funzionamento del mercato interno nell'Unione allargata può limitare gli effetti parzialmente negativi del processo di ridistribuzione delle risorse verso i settori in cui esistono vantaggi comparati. Infatti, l'industria europea diventerà più competitiva se l'integrazione dei nuovi Stati membri sarà rapida ed effettiva; il pieno rispetto delle regole del mercato può accelerare il processo di ridistribuzione delle risorse. Occorre per questo uno sforzo da parte sia dei nuovi che degli attuali Stati membri per trasporre e applicare meglio l'acquis comunitario e per sfruttare le opportunità del mercato interno e le innovazioni generate dalla concorrenza.

La creazione di un quadro giuridico armonizzato, stabile e prevedibile garantisce un funzionamento regolare dei mercati. Essa permetterà di rendere più sicura l'attività economica nei nuovi Stati membri e dovrebbe anche facilitare la transizione di questi Stati verso l'economia fondata sulla conoscenza, in particolare grazie a una tutela più efficace dei diritti di proprietà intellettuale.

Inoltre, il quadro giuridico del mercato interno è spesso caratterizzato dalla sua preferenza per soluzioni flessibili e quindi favorevoli all'innovazione, come nel caso della normativa sui prodotti. La Commissione garantirà che le norme del mercato interno siano effettivamente attuate nei nuovi Stati membri. Durante gli ultimi anni che hanno preceduto l'allargamento, grande importanza è stata data a quest'attuazione effettiva, cercando di garantire l'adeguamento delle capacità amministrative dei futuri Stati membri. In particolare, il libero scambio dei prodotti industriali e di numerosi servizi, l'applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza e di aiuti di Stato nonché la conclusione di accordi sul riconoscimento reciproco della valutazione di conformità di alcuni prodotti hanno permesso di preparare l'integrazione dei nuovi Stati membri nel mercato interno.

Tuttavia, l'applicazione dell'acquis comunitario continua a richiedere sforzi considerevoli per l'industria dei nuovi Stati membri, che dovrà realizzare consistenti investimenti per conformarsi alle regolamentazioni comunitarie, ad esempio in settori come l'ambiente o la sanità pubblica, in un periodo in cui la concorrenza rischia di intensificarsi. Occorrerà quindi fare in modo di non indebolire la competitività delle imprese dei nuovi Stati membri, che già devono affrontare la sfida dell'applicazione dell'acquis. Nel quadro della procedura integrata di valutazione d'impatto della Commissione, verranno presi in considerazione con particolare attenzione, ogni volta che sarà necessario, gli effetti delle proposte e delle altre iniziative sull'industria e più in generale sull'economia dei nuovi Stati membri. La prevedibilità e la stabilità di un quadro legislativo di qualità appaiono quindi indispensabili per permettere alle imprese dei nuovi Stati membri di far fronte con successo alla sfida dell'allargamento.

4. STRUMENTI PER ACCOMPAGNARE IL PROCESSO DELLE TRASFORMAZIONI STRUTTURALI

L'analisi che precede ha messo in evidenza le debolezze dell'industria comunitaria, i rischi ai quali è sottoposta e la necessità di intervenire per porla nella condizione di affrontare la concorrenza internazionale. Le nuove prospettive finanziarie proposte dalla Commissione per il periodo 2007-2013 confermano la priorità che sarà data al rafforzamento della competitività dell'Unione [36] e mirano a dotare quest'ultima dei mezzi necessari a tale scopo.

[36] Comunicazione 'Costruire il nostro avvenire comune - Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013', COM(2004) 101 def. del 10 febbraio 2004.'

L'accompagnamento del processo delle trasformazioni strutturali implica tre tipi di azioni:

* L'approccio "legiferare meglio" continuerà a far beneficiare l'industria di un mercato per quanto possibile integrato, ma dovrà fare in modo che gli oneri di natura regolamentare non eccedano quanto necessario.

* Le altre politiche comunitarie che contribuiscono, ciascuna a suo modo, alla competitività dell'industria dovranno essere mobilitate senza perdere di vista i loro propri obiettivi. Un esempio delle possibilità di progresso in questo settore è offerto dalla comunicazione su una politica di concorrenza proattiva per un'Europa competitiva, che sarà adottata contemporaneamente al presente documento e che tratterà in dettaglio del contributo di questa politica alla competitività dell'economia europea.

* Infine, si dovrà tener conto pienamente delle necessità specifiche dei diversi settori industriali.

Naturalmente, le misure adottate dall'Unione europea per accompagnare le trasformazioni strutturali potranno utilmente basarsi sull'esperienza già acquisita in fatto di misure d'accompagnamento, in particolare in settori come la siderurgia.

Riquadro 4:

La metodologia della Commissione per affrontare i problemi di competitività

Nel corso degli ultimi anni la Commissione ha sviluppato una metodologia per affrontare i problemi di competitività, a livello sia orizzontale che settoriale, che si basa sulla combinazione di tre elementi: analisi, consultazione e azione.

L'analisi della competitività deve essere il fondamento iniziale poiché permette di identificare le sfide da raccogliere. Solo un'analisi rigorosa della situazione competitiva dell'industria, che permetta di metterne in luce i punti di forza e di debolezza e delle condizioni da migliorare, può giustificare misure nel settore della politica industriale, tanto a livello orizzontale che a livello settoriale. Tali lavori possono contribuire all'identificazione e all'anticipazione delle trasformazioni strutturali, in particolare a livello settoriale o geografico, e facilitare la definizione di misure d'accompagnamento idonee. Le recenti iniziative in materia di biotecnologie, aeronautica o prodotti farmaceutici si sono tutte basate su un'analisi preliminare dello stato del settore, che ha permesso di individuare di volta in volta la posta in gioco.

La consultazione delle parti interessate costituisce l'altro aspetto fondamentale. Essa deve essere sufficientemente ampia ed aperta per permettere a tutti i punti di vista di esprimersi, di definire meglio le misure da adottare e favorirne l'accettazione da parte degli interessati. Le iniziative si basano sulla costituzione di gruppi consultivi di alto livello, composti di rappresentanti dell'industria e autorità pubbliche, che formulano raccomandazioni per migliorare la competitività del settore (G10, STAR 21, LEADERSHIP 2015), nonché su altri processi di consultazione delle parti interessate.

La pertinenza di queste raccomandazioni è avallata, in tutto o in parte, da una comunicazione della Commissione. La loro applicazione spetta sia all'UE che agli Stati membri e comporta il ricorso a mezzi diversi, regolamentari e non. Queste azioni devono corrispondere in modo specifico e proporzionato alle necessità individuate.

4.1. Un quadro normativo favorevole all'industria

4.1.1. Legiferare meglio

Riquadro 5:

Il ruolo dell'Unione europea e degli Stati membri nella regolamentazione

Numerosi aspetti dell'attività dell'impresa sono oggetto di regolamentazioni. Nei suoi investimenti l'impresa deve conformarsi alle norme di urbanistica e di assetto del territorio. Le sue attività quotidiane sono regolamentate dal diritto societario, dalle norme fiscali, dalle norme di sicurezza sociale, dal diritto del lavoro (compresi gli aspetti di sicurezza e d'igiene sul luogo di lavoro), dalle norme in materia di controllo dell'inquinamento e dal diritto della concorrenza. I suoi prodotti devono conformarsi alle norme tecniche sulla sicurezza, la salute, la tutela dell'ambiente e del consumatore. Certe professioni sono fortemente regolamentate, come pure il diritto di stabilimento e di prestazione di alcuni servizi, in particolare finanziari, per evidenti ragioni prudenziali. Infine, la fornitura di taluni servizi d'interesse generale (trasporto, energia, servizi postali) è oggetto di una regolamentazione specifica, anche se l'azione svolta a livello comunitario ha avuto per effetto una forte diminuzione del carattere monopolistico di questi servizi.

La regolamentazione può essere favorevole alla competitività, come testimonia l'esperienza della costruzione del mercato interno (dove una regolamentazione unica sostituisce regimi nazionali). Inversamente, l'assenza di norme può a volte essere un handicap per la competitività industriale, come nel caso del ritardo nell'istituzione del brevetto comunitario. Una regolamentazione a livello comunitario può comportare una semplificazione degli oneri amministrativi per le imprese quando evita la necessità di rivolgersi a più amministrazioni grazie alla creazione di uno sportello unico. Inoltre, eliminando gli ostacoli agli scambi intracomunitari, rafforzando la fiducia del consumatore in un mercato transfrontaliero e semplificando le procedure d'accesso al mercato o le norme relative ai prodotti (sicurezza dei prodotti, sicurezza alimentare ecc.), essa può contribuire a rendere sicuri i mercati per i consumatori e per le imprese, il che può avere conseguenze favorevole alla competitività.

Le imprese, gli acquirenti e le autorità pubbliche riconoscono l'utilità di un quadro che definisca i limiti entro i quali le imprese sono libere di intervenire. Una buona parte di questa regolamentazione è inevitabile (ad esempio in materia di fiscalità, di sicurezza sociale o di sicurezza alimentare) anche se ci si può chiedere se sia sempre la più chiara ed efficace possibile. Inoltre, alcuni paesi che hanno meno regolamentazione, affrontano le stesse preoccupazioni pubbliche con altri mezzi. Negli Stati Uniti, ad esempio, la cultura giudiziaria e la necessità di coprire un'eventuale responsabilità con l'assicurazione crea, per un'altra via, un proprio quadro di norme e di vincoli.

La regolamentazione comunitaria copre una piccola parte del diritto societario, della fiscalità e delle norme di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda le attività transfrontaliere. L'essenziale della regolamentazione è d'origine nazionale. La regolamentazione del mercato del lavoro, la sicurezza sul luogo di lavoro, la tutela dei consumatori o il controllo dell'inquinamento sono responsabilità condivise, con un contenuto nazionale ed europeo conseguente. La regolamentazione dei servizi d'interesse generale è piuttosto nazionale, all'interno di un quadro comunitario.

La regolamentazione tecnica dei prodotti è, di gran lunga, il settore nel quale la regolamentazione comunitaria ha il ruolo più importante. Circa la metà dei prodotti devono conformarsi a prescrizioni di legge prima dell'immissione sul mercato. Alcune riguardano l'etichettatura o l'imballaggio e mirano ad informare sui rischi che i prodotti possono comportare; in altri casi, può trattarsi di requisiti in materia di sicurezza o di un'autorizzazione preventiva all'immissione sul mercato, come nel caso dei prodotti farmaceutici. Le norme comunitarie sono adottate per garantire il riconoscimento delle misure di protezione a livello nazionale. Ci sono molte più normative nazionali che regolamentazioni comunitarie. Nel settore dei prodotti, la Commissione ha adottato nel 2003 14 proposte. Nello stesso periodo, gli Stati membri hanno notificato alla Commissione 486 misure. Circa il 15% dei progetti notificati dagli Stati membri sono incompatibili con il diritto comunitario.

La semplificazione e il miglioramento della regolamentazione rappresentano un processo a lungo termine. Questo processo è cominciato con l'armonizzazione delle norme nazionali divergenti, che ha posto le basi del mercato interno; è poi continuato con la ricerca di mezzi meno vincolanti per raggiungere gli obiettivi pubblici. Il "nuovo approccio" comunitario è uno di questi mezzi. Occorre anche proseguire l'eliminazione delle complessità inutili introdotte a livello nazionale, che possono condurre alla frammentazione del mercato o all'accumulazione di vincoli per imprese. L'iniziativa "Legiferare meglio" fa parte integrante di questo processo di miglioramento, che è ancora lontano dall'essere completato.

Sono stati compiuti progressi ...

L'attuazione del piano d'azione "Legiferare meglio" ha già permesso di migliorare significativamente il modo in cui l'Unione europea regolamenta. Ogni iniziativa che ha incidenze potenziali significative in materia economica, sociale o ambientale è sottoposta a una valutazione d'impatto approfondita, che mira ad analizzare simultaneamente i suoi vari effetti, in particolare sull'industria e sulla sua competitività. Talvolta è utile proseguire lo sforzo. Ad esempio, nel caso del pacchetto REACH la Commissione lavorerà di concerto con l'industria per completare l'analisi d'impatto già effettuata, tenendo conto delle specifiche preoccupazioni avanzate dal mondo industriale.

Inoltre, il ricorso a metodi alternativi alla regolamentazione tradizionale (ad esempio l'auto-regolamentazione, il ricorso alla normazione europea in particolare a sostegno della coregolamentazione, gli accordi volontari o i regolamenti quadro) può in alcuni casi essere più efficace per realizzare un equilibrio adeguato tra gli obiettivi perseguiti e gli interessi della competitività industriale. A condizione che determinati requisiti siano rispettati, in particolare il principio di certezza giuridica, questi approcci possono offrire un valore aggiunto.

Infine, progressi sono stati compiuti per quanto riguarda la consultazione delle parti interessate prima di ogni iniziativa che può avere un impatto significativo sulla competitività delle imprese.

Riquadro 6:

Migliorare la consultazione - il caso REACH

Il 29 ottobre 2003 la Commissione ha presentato la sua proposta di un nuovo quadro regolamentare per le sostanze chimiche. Il sistema proposto (REACH, Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals) mira a migliorare la tutela della salute e dell'ambiente pur mantenendo la competitività dell'industria chimica comunitaria e la sua capacità di innovazione.

Quando la Commissione ha avviato i lavori preparatori per la proposta REACH, ha consultato tutte le parti interessate, anche via Internet, allo scopo di ottimizzare il rapporto costo/ efficacia. Le risposte a questa consultazione sono state più di 6000. Grazie a questi contributi, numerose modifiche sono state apportate alla proposta originale. La Commissione ha potuto rivedere la sua valutazione d'impatto e i miglioramenti introdotti dovrebbero, secondo le stime, permettere una riduzione dell'80% dei costi diretti per l'industria (ossia più di 10 miliardi di euro).

... ma è necessario ridurre ulteriormente gli oneri imposti dalla legislazione

Il Consiglio ha auspicato che si progredisca in due direzioni [37]. Da un lato, per quanto riguarda le nuove iniziative, esso auspica che sia rafforzata e migliorata la presa in considerazione della dimensione della competitività, nell'ambito della procedura integrata di valutazione d'impatto, che comprende anche le dimensioni ambientale e sociale. Dall'altro, sforzi dovrebbero essere compiuti per valutare l'impatto cumulativo della normativa comunitaria in vigore sulla competitività delle imprese, considerando le interazioni possibili tra strumenti legislativi o regolamentari che appartengono a politiche diverse. Tali valutazioni potrebbero risultare particolarmente pertinenti per alcuni settori industriali specifici la cui posizione competitiva è molto sensibile alla concorrenza di paesi terzi. L'industria automobilistica potrebbe costituire un buon esempio di tali analisi.

[37] Contributo del Consiglio Competitività al Consiglio europeo di primavera 2004 (11 marzo 2004).

Il Consiglio europeo di primavera 2004 (Bruxelles, 25-26 marzo 2004) ha fatto proprie queste domande e ha accolto con favore "l'impegno della Commissione a perfezionare ulteriormente il processo di analisi integrata dell'impatto, lavorando con il Consiglio e con il Parlamento europeo nell'ambito dell'accordo interistituzionale "Legiferare meglio", con particolare riguardo al potenziamento dell'aspetto della competitività, e a definire, in collaborazione con il Consiglio, un metodo per quantificare gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese".

Il Presidente Prodi ha ricordato che l'approccio dell'Unione europea in materia di valutazione dell'impatto è transettoriale e si articola attorno alle tre dimensioni degli effetti economici, sociali e ambientali e ha confermato altresì che la Commissione esaminerà in quale misura gli aspetti della competitività, e in particolare quelli connessi all'onere amministrativo per le imprese, devono ancora essere migliorati nell'ambito di questa procedura.

Riquadro 7:

L'effetto cumulativo della regolamentazione: l'esempio dell'industria automobilistica

L'industria automobilistica rappresenta un elemento significativo dell'economia dell'UE. Interessa 6,5 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti e concorre per il 5% al prodotto interno lordo. Il suo contributo alla crescita dell'industria e all'innovazione è determinante e impiega una manodopera qualificata, contribuendo così al raggiungimento dell'obiettivo di Lisbona. Il settore è innovativo e reagisce alle sfide del mercato. Ad esempio, il consumo medio delle automobili europee è notevolmente inferiore a quello delle automobili di produzione americana.

Nel corso degli ultimi trent'anni, l'Unione europea è riuscita a creare un regime unico di omologazione per gli autoveicoli, che costituisce un progresso importante rispetto alla coesistenza di norme nazionali che caratterizzava in precedenza il settore. Inoltre, l'approccio europeo alla regolamentazione in questo settore è riuscito ad imporsi in gran parte del mondo, sotto l'egida della Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa (UNECE).

Le regolamentazioni a cui quest'industria è soggetta diventano sempre più complesse. La densità delle norme, legate ad esempio ad obiettivi di sicurezza degli utenti della strada o di tutela dell'ambiente, è aumentata, poiché tanto l'UE che gli Stati membri hanno preso, talvolta in modo non coordinato, iniziative regolamentari la cui interazione e i cui effetti cumulativi non sono stati ancora pienamente valutati. È quindi necessario un approccio più integrato, così come è necessario tenere conto dei vari fattori che influenzano la competitività dell'industria automobilistica. È questo, in particolare, l'obiettivo della piattaforma tecnologica ERTRAC (European Road Transport Advisory Council).

Inoltre, la Commissione sta adottando nuove iniziative per migliorare la qualità dell'attività di regolamentazione a livello sia comunitario che nazionale:

* scambi di buone pratiche in materia di regolamentazione con e tra gli Stati membri;

* lavori per la definizione di indicatori di qualità della regolamentazione;

* studi ex-post sull'impatto di iniziative legislative o meno;

* lavori volti a identificare le cause del sovraccarico regolamentare.

La qualità delle valutazioni d'impatto approfondite appare ugualmente determinante per la credibilità delle proposte della Commissione. Per garantire la qualità di tali analisi, la Commissione prevede la creazione nel suo ambito di un organo consultivo composto di specialisti di tali questioni, che avrà il compito di consigliarla sulla metodologia da seguire nell'esercizio di queste funzioni.

D'altro canto, dovrebbe essere preso in considerazione l'impatto della normativa sui dei mercati di prodotti e servizi esistenti e nuovi, specie sulla ricerca e l'innovazione. Da questo punto di vista, un obiettivo importante è quello di identificare con sufficiente anticipo i settori nei quali la legislazione in vigore o l'assenza di legislazione costituisce un ostacolo allo sviluppo e all'uso delle nuove tecnologie, e se del caso definire le misure necessarie per risolvere i problemi. Questo approccio di anticipazione per adattare il quadro normativo all'accelerazione del progresso tecnologico sarà attuato con tutte le parti interessate nel quadro delle piattaforme tecnologiche europee.

4.1.2. Responsabilità che ciascuno deve assumere

La competitività dell'industria è una questione che riguarda tutti. Il Consiglio e il Parlamento europeo devono assicurarsi che i provvedimenti legislativi non nuocciano alla competitività, pur realizzando i loro obiettivi. La Commissione è pronta a sostenere questa impostazione. Essa potrebbe aiutare le altre istituzioni a valutare le conseguenze delle modifiche proposte, nel quadro dell'accordo istituzionale "Legiferare meglio". In questo contesto, la formazione "Competitività" del Consiglio, su richiesta del Consiglio europeo, ha annunciato la sua intenzione di vigilare sulle proposte che possono influenzare in modo sostanziale la competitività, anche quelli che non ricadono nella sua responsabilità diretta.

Infine, le competenze e gli strumenti comunitari in materia di politica industriale sono limitati. Anche gli Stati membri devono assicurarsi che le norme che adottano non abbiano conseguenze negative per le imprese (ad esempio rendendo più difficile l'accesso al mercato o rallentando lo sviluppo di nuove attività o di nuove tecnologie) e non creino ostacoli ingiustificati agli scambi, contrari al principio del reciproco riconoscimento.

4.2. Ottimizzare le sinergie tra le varie politiche

La competitività dell'Europa dipende in gran parte dall'industria, ma le istituzioni comunitarie e gli Stati membri devono contribuire alla creazione di condizioni favorevoli alle attività delle imprese. La necessità di un approccio integrato alle questioni della competitività è stata recentemente richiamata dalla Commissione e dal Consiglio [38].

[38] «Alcune questioni fondamentali in tema di competitività europea- Verso un approccio integrato».

COM(2003) 704 def., 21.11.2003.

La precedente comunicazione sulla politica industriale ha messo in evidenza le sinergie possibili tra le diverse politiche comunitarie. Un esame attento ha permesso di identificare iniziative concrete su cinque dimensioni - conoscenza, mercato interno, coesione, sviluppo sostenibile e dimensione internazionale - per migliorare il contributo delle politiche comunitarie alla competitività industriale.

Riquadro 8:

Ravvicinare le basi analitiche delle politiche comunitarie

Ottimizzare le sinergie tra le varie politiche della Comunità affinché abbiano il più grande impatto positivo sulla competitività dell'industria implica che queste politiche si fondino su basi analitiche coerenti e adeguate. Questo permette di garantire una maggiore coerenza tra gli effetti rispettivi di queste politiche. Per migliorare queste basi, la Commissione ha condotto due esercizi detti di "analisi delle analisi".

Il primo ha esaminato l'interazione tra occupazione e crescita. Secondo i risultati di questo esame, non vi è incompatibilità nel perseguimento simultaneo di obiettivi di crescita della produttività e dell'occupazione, soprattutto a medio termine. L'aumento del nostro tenore di vita dipende da questi due fattori.

A medio termine, la crescita economica è principalmente determinata dalla crescita della produttività. Questa dipende da diversi fattori: l'investimento in capitale e in TIC, il progresso tecnologico, l'ammodernamento organizzativo, l'istruzione. La crescita dell'occupazione è determinata a più lungo termine dal rendimento dei mercati del lavoro e da fattori che influiscono sull'offerta di lavoro. Negli ultimi anni, è stata la crescita dell'occupazione, piuttosto che quella della produttività, a contribuire di più alla crescita generale. La maggiore partecipazione al mercato del lavoro, il miglioramento delle qualifiche e una maggiore flessibilità hanno contribuito a una crescita che ha favorito lo sviluppo dell'occupazione.

Per stimolare una forte crescita della produttività e dell'occupazione sono necessarie riforme specifiche dirette ad aumentare l'offerta di lavoro e l'adattabilità dei lavoratori, a migliorare la regolamentazione, incoraggiare l'imprenditorialità e l'innovazione, aprire il mercato interno dei servizi e accelerare l'ammodernamento del capitale umano e delle tecnologie. Nello stesso tempo, tali riforme devono poggiare su un quadro macroeconomico e su politiche di bilancio stabili.

L'altro esercizio si è concentrato sull'impatto della politica ambientale sulle imprese europee.

Secondo i risultati di questo esercizio, la regolamentazione nel settore dell'ambiente si concentra essenzialmente sulla creazione e l'attribuzione (o riattribuzione) di diritti di proprietà per quanto riguarda l'uso e l'inquinamento di risorse ambientali. Costringendo gli interessati a tenere conto della scarsità crescente delle risorse ambientali, essa può contribuire a migliorare l'efficienza dell'economia. Tuttavia, pur migliorando potenzialmente l'efficacia dell'allocazione delle risorse, ha implicazioni significative in termini di distribuzione, creando dei "vincenti" e dei "perdenti".

Il risultato finale della regolamentazione in materia ambientale in termini di costo è che, per certe imprese o certi settori, la produzione diventerà più cara. Se è importante avere un'idea corretta dei costi della regolamentazione in materia ambientale per le imprese, per queste ultime sono alla fin fine gli effetti di questi costi sulle capacità d'innovazione, la redditività, i prezzi e la dinamica della domanda quelli che contano. Essi dipendono in larga misura (a) dal tipo di regolamentazione, ossia da come ne sono influenzati gli input, il processo di produzione o il prodotto finito; (b) dal modo in cui le imprese interessate finanziano le tecnologie di riduzione dell'inquinamento; e (c) dalle strutture di mercato (elasticità della domanda, grado di esposizione alla concorrenza internazionale...).

Quanto ai benefici, il risultato finale della regolamentazione ambientale è che certe imprese o certi settori beneficeranno di effetti positivi in termini di domanda e di occupazione che non si sarebbero prodotti in mancanza di tale regolamentazione. Essa dovrebbe anche avere come conseguenza costi di input ridotti sia per le industrie regolamentate, incoraggiando una migliore utilizzazione delle risorse, sia per le industrie che beneficeranno da ultimo di input meno inquinati e di costi ridotti in termini di salute dei lavoratori e di sanità pubblica.

L'esistenza di norme comuni in materia ambientale a livello di UE garantisce uguali condizioni di concorrenza per le imprese che operano nel mercato interno. Differenze tra i paesi nella severità delle norme in materia di tutela dell'ambiente possono essere giustificate da differenze nei problemi ambientali e negli effetti dell'inquinamento. Tuttavia, approcci diversi a livello nazionale, in termini di ambizione o di strumenti, devono essere esaminati accuratamente per verificare che siano effettivamente e giuridicamente compatibili con il funzionamento del mercato interno.

Il carattere transfrontaliero e globale di numerose minacce per l'ambiente esige azioni che eccedono le capacità di un paese o di una regione. Misure prese unicamente a livello dell'Unione europea per salvaguardare lo strato d'ozono o per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, ad esempio, non sono sufficienti. Problemi di questa portata esigono un'azione globale e sforzi multilaterali concertati. Di qui la necessità di garantire la partecipazione e un contributo equivalente dei principali partner commerciali dell'Europa quando tali azioni siano programmate.

4.2.1. Mettere la conoscenza al servizio delle imprese

La competitività industriale richiede un migliore sfruttamento della conoscenza; questo implica azioni a livello della ricerca, dell'innovazione, della qualificazione della manodopera, delle TIC, e una politica della concorrenza che tenga conto di questa dimensione.

- Investire nella ricerca: un piano d'azione per l'Europa

A complemento della creazione di uno "spazio europeo della ricerca" mirante a costituire un mercato interno per la ricerca e la tecnologia e a porre rimedio alla parcellizzazione di cui soffre attualmente la ricerca europea, l'Europa si è dotata di un piano d'azione per aumentare l'investimento nella ricerca e raggiungere l'obiettivo stabilito dal Consiglio europeo di Barcellona di portare nel 2010 l'investimento totale in R&S in Europa al 3% del PIL e migliorare la qualità della ricerca e la sua rispondenza alle necessità del mercato [39]. Il piano d'azione presuppone la mobilitazione di numerose politiche, oltre alla ricerca e all'innovazione, ed esige il miglioramento di tutti gli strumenti di sostegno pubblico.

[39] 'Investire nella ricerca: un piano d'azione per l'Europa', COM (2003) 226 def., 30 aprile 2003.

Questo piano d'azione comporta tre priorità principali:

1. Aumentare il finanziamento pubblico della ricerca a livello degli Stati membri e dell'Unione, nei limiti compatibili con gli orientamenti di bilancio europei, e rafforzare i legami tra ricerca pubblica e industria.

2. Aumentare il potenziale umano in scienza e tecnologia, migliorando le condizioni di carriera e la mobilità dei ricercatori, ridando ai più giovani il gusto per le scienze e facilitando l'entrata e il soggiorno dei migliori ricercatori provenienti dai paesi terzi [40].

[40] Su questo punto, la Commissione ha formulato proposte miranti ad accelerare e semplificare le modalità di rilascio dei permessi di soggiorno dei ricercatori provenienti da paesi terzi, COM (2004) 178 def., 16 marzo 2004.

3. Migliorare le condizioni generali per offrire alle imprese un contesto propizio all'investimento nella ricerca e che le induca ad intensificare i loro investimenti in Europa. Nuove azioni devono essere condotte in settori quali la proprietà intellettuale, la regolamentazione dei mercati, le norme di concorrenza, i mercati finanziari e le condizioni fiscali.

L'obiettivo di questo dispositivo è di attrarre in Europa investimenti, in particolare privati, nella ricerca e portare entro il 2010 i finanziamenti pubblici all'1% del PIL, nel quadro del metodo aperto di coordinamento.

Nella sua recente proposta per le prospettive finanziarie 2007-2013, la Commissione ha indicato la strada da percorrere, prevedendo un bilancio della ricerca più che raddoppiato. L'UE dovrebbe così concentrare le sue azioni su un certo numero di grandi temi che toccano direttamente la competitività industriale, come i partenariati paneuropei tra settore pubblico e settore privato a vantaggio della ricerca tecnologica, le infrastrutture di ricerca, le risorse umane, il dinamismo e la produttività della ricerca europea, la creazione di poli d'eccellenza e il coordinamento dei programmi e delle politiche di ricerca nazionali e regionali.

Tra le iniziative previste dal Piano d'azione, le piattaforme tecnologiche meritano un'attenzione particolare. Esse contribuiranno a mobilitare lo sforzo di ricerca e d'innovazione e a facilitare l'emergenza di "mercati pilota" [41] in Europa. Definendo agende di ricerca comuni, mirano a dare impulso al potenziale tecnologico europeo in tecnologie di punta come le nanotecnologie o l'idrogeno, e a beneficio dei settori tradizionali che fanno fronte a sfide particolari. Il loro contributo al miglioramento della competitività può essere considerevole. Ad esempio, la ricerca sui nuovi materiali o su nuovi metodi di produzione sarà uno dei campi d'azione da esplorare e sviluppare nel quadro di una piattaforma tecnologica dedicata al settore dell'industria tessile e dell'abbigliamento. Le piattaforme tecnologiche contribuiranno a stabilire efficaci relazioni pubblico-privato tra la ricerca, l'industria, la comunità finanziaria e i responsabili politici. La partecipazione di rappresentanti del settore privato permetterà in particolare di garantire che le piattaforme tecnologiche prendano adeguatamente in considerazione le necessità e le aspettative del futuro mercato potenziale nei settori considerati.

[41] Comunicazione della Commissione 'Politica dell'innovazione: aggiornamento dell'approccio dell'Unione nel contesto della strategia di Lisbona', cit., per un esame dei "mercati pilota".

- La politica dell'innovazione

Il piano d'azione "Innovare per la competitività dell'Europa", che la Commissione presenterà nel corso dell'estate 2004, mirerà a porre l'impresa al centro della politica europea dell'innovazione.

Il piano d'azione avrà sei obiettivi principali:

1. Incoraggiare ogni forma d'innovazione, tecnologica o non tecnologica (organizzativa, ecc.) e promuovere la diffusione dell'eccellenza presso tutte le imprese.

2. Stimolare la diffusione efficace delle conoscenze e delle tecnologie tra le imprese. A questo riguardo, gli Stati membri e gli enti regionali e locali dovrebbero svolgere un ruolo attivo, in particolare incoraggiando le iniziative attorno a grappoli di imprese ('clusters'). [EM1]

3. Sviluppare le risorse umane per l'innovazione. Occorre investire di più e più efficacemente nell'istruzione e nella formazione per sviluppare le competenze necessarie all'innovazione. Sulla base di analisi del fabbisogno di competenze, la Commissione, gli Stati membri e le parti interessate dovrebbero promuovere il riconoscimento delle professioni specifiche per l'innovazione [42] e incoraggiarne la mobilità, in particolare intersettoriale e verso le PMI.

[42] Queste professioni sono varie e riguardano vari settori: comprensione di un brevetto nel quadro della proprietà intellettuale, utilizzo delle nuove tecnologie, analisi dei rischi di finanziamento dell'innovazione, monitoraggio tecnologico e regolamentare, intermediazione tecnologica nel quadro dei trasferimenti di tecnologia.

4. Rafforzare i mezzi per investire nell'innovazione. Gli strumenti finanziari comunitari dovrebbero essere maggiormente orientati in questo senso. Il 6° programma-quadro per la R&S (17,5 miliardi di euro) e i fondi regionali (195 miliardi di euro sul periodo 2000-2006) hanno dato inizio a tale orientamento. I prossimi programmi dovrebbero rafforzare questa tendenza.

5. Promuovere un contesto regolamentare e amministrativo favorevole all'innovazione. La gestione dei diritti di proprietà intellettuale deve essere migliorata, in particolare riducendo i costi per le imprese e creando un "servizio d'assistenza" per la difesa dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale.

[EM2]6. Sviluppare un modello di gestione dell'innovazione per l'Unione. Gli attori - Stati membri, parti interessate - saranno mobilitati per aprire un dialogo che permetta di identificare obiettivi comuni e creare sinergie. La Commissione ha intenzione di proporre agli Stati membri obiettivi comuni ambiziosi e di invitarli ad adottare questi obiettivi entro marzo 2005.

- Una riflessione sul futuro della ricerca nell'industria manifatturiera

In un'ottica più orizzontale, un'agenda strategica sul futuro della ricerca nell'industria manifatturiera sarà presentata nell'autunno 2004 allo scopo di identificare grandi orientamenti per la ricerca per contribuire a medio e a lungo termine all'aumento della competitività delle imprese manifatturiere.

Il documento proporrà azioni nel settore delle tecnologie del futuro e in quelli dell'istruzione e della formazione, della cooperazione internazionale e della creazione di condizioni che stimolino l'innovazione industriale. Esso costituirà così una base per la preparazione delle azioni di ricerca e d'innovazione che saranno proposte nel 7° programma quadro di ricerca e sviluppo (2007-2011).

- Investire nel capitale umano

Una manodopera ben istruita, formata e in grado di adattarsi è un elemento chiave della competitività, della produttività e della crescita dell'occupazione. La relazione della task force per l'occupazione presieduta da Wim Kok e il Consiglio europeo di primavera 2004 hanno sottolineato che l'Europa deve investire di più e più efficacemente nel suo capitale umano. Per riuscire, occorre condividere le responsabilità e i costi di quest'investimento supplementare tra le autorità pubbliche, le imprese e gli individui stessi. Una serie di azioni è prevista per migliorare il capitale umano e le competenze dei lavoratori, e per rafforzare la formazione.

Conformemente agli obiettivi della Strategia europea per l'occupazione, le autorità pubbliche devono attuare politiche ambiziose per adattare le competenze dei lavoratori, aumentare i livelli d'istruzione, e in particolare ridurre l'abbandono scolastico, e accrescere la partecipazione alla formazione delle persone meno qualificate. Alcuni settori dell'industria - spesso caratterizzati da una forte proporzione di PMI - investono meno nella loro forza di lavoro. Non essendo il mercato in grado di fornire un livello d'investimento sufficiente, occorre rafforzare i sistemi di mutualizzazione dei vantaggi e dei costi, sul modello dei fondi di formazione settoriali o regionali. Da questo punto di vista, il Fondo sociale europeo e i futuri programmi europei in materia di formazione professionale svolgeranno un ruolo importante d'ammodernamento dei sistemi d'istruzione e di formazione.

Questo sforzo d'investimento nel capitale umano è tanto più urgente nel contesto attuale d'invecchiamento rapido, e presto di diminuzione, della popolazione attiva, che implica un rischio crescente di inadeguatezza e di scarsità di qualificazioni. Da questo punto di vista, occorre anche prevedere meglio i fabbisogni di competenze e adattare di conseguenza l'offerta di formazione, tanto più che l'industria spesso lamenta una scarsità di manodopera qualificata. La Commissione ha proposto al Comitato sull'occupazione del Consiglio di impegnarsi in uno scambio di esperienze su questo tema nel quadro della Strategia per l'occupazione. In questo contesto, un livello di sanità pubblica elevato può anche contribuire a un capitale umano di qualità e produttivo.

La Commissione, per mezzo delle sue iniziative in materia di formazione professionale, si propone quindi di anticipare meglio e identificare, in cooperazione con le parti interessate (in particolare gli Stati membri, tramite il metodo aperto di coordinamento), le carenze di qualifiche, per offrire risposte più adeguate. Essa farà anche in modo che la prossima generazione di programmi comunitari nel settore dell'istruzione e della formazione professionale sia meglio in grado di rispondere alle necessità di natura tanto orizzontale (ad esempio le formazioni in ingegneria) quanto settoriale per talune tipi di qualifiche. La Commissione ha inoltre proposto un quadro unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass), che ha lo scopo di facilitare la comunicazione nel mercato del lavoro [43].

[43] COM(2003) 796.

La strategia di Lisbona mette l'accento sulla necessità di investire di più e in modo più efficace nella formazione, l'istruzione e la formazione permanente se l'Unione vuole raggiungere i suoi obiettivi in materia di competitività [44]. I livelli di finanziamento privato nella formazione professionale continua, l'istruzione degli adulti e l'istruzione superiore rimangono ancora estremamente insufficienti.

[44] Relazione intermedia congiunta del Consiglio e della Commissione "Istruzione e formazione 2010" adottata il 26 febbraio 2004.

Il metodo aperto di coordinamento è applicato a queste questioni. È completato da programmi locali, dalla creazione di reti e da scambi di buone pratiche. I paesi che hanno dato maggiore dinamismo ai loro sistemi di formazione permanente sono quelli che hanno le migliori prestazioni in fatto di produttività, ricerca e innovazione.

Sono ugualmente i paesi più competitivi quelli che hanno creato legami tra l'industria e il mondo accademico, costituendo reti tra tutti gli attori, compresi quelli che garantiscono il finanziamento. Strutture di formazione permanente possono aiutare i paesi ad attenuare le conseguenze per i lavoratori delle trasformazione industriali.

- Le TIC al servizio della competitività

Il piano azione 'eEurope 2005' raggruppa iniziative nel settore dello sviluppo di servizi e reti per creare un approccio coordinato delle politiche comunitarie nel settore delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni. Il piano si concentra su settori nei quali le politiche pubbliche possono fornire un valore aggiunto. I principali settori che influenzano la politica industriale sono:

a) L'e-business, che mira a creare un ambiente favorevole all'integrazione delle TIC in tutti gli aspetti del processo di produzione e dell'impresa nel suo insieme. Le azioni comunitarie in questo settore mirano a rendere il quadro regolamentare e non regolamentare favorevole all'utilizzo del commercio elettronico. Altre iniziative aiuteranno le PMI a definire le loro strategie in materia di e-business, per ottimizzarne l'uso delle TIC e aiutarle a scegliere la tecnologia più adeguata, ad adattare le loro pratiche ed attuare i cambiamenti organizzativi necessari. Un'attenzione particolare sarà riservata alle PMI del settore manifatturiero.

b) Le comunicazioni a banda larga. Gli Stati membri svilupperanno strategie nazionali che si concentreranno sia sull'offerta, sia sullo sviluppo della domanda, in particolare di applicazioni avanzate che aprano la via alla creazione di nuovi servizi e di nuovi mercati.

c) Il miglioramento del quadro normativo per l'uso delle tecnologie dell'informazione. L'interoperabilità delle piattaforme tecnologiche permetterà agli utenti finali, consumatori ed imprese, un accesso sicuro ai servizi pubblici e commerciali. Il quadro normativo sul commercio elettronico si consolida con il recepimento delle direttive sulla firma elettronica, il commercio online e i diritti d'autore, nonché l'adozione delle direttive sugli appalti pubblici, che introducono la possibilità di procedure online per il settore pubblico. Inoltre, l'adozione del nome di dominio di primo livello "eu" potrebbe creare fiducia nei riguardi del commercio elettronico nell'Unione europea.

- Il contributo della politica della concorrenza allo sviluppo e alla diffusione della R&S e dell'innovazione [EM3]

In materia di aiuti alla ricerca, la revisione della struttura degli aiuti alla ricerca nel 2005 permetterà di rispondere alla realtà in evoluzione delle attività di ricerca.

La Commissione prevede inoltre di adottare una comunicazione sugli aiuti di Stato e l'innovazione nel 2005. Questa revisione mirerà a migliorare le possibilità di sostegno agli investimenti delle PMI in progetti innovativi, all'assunzione di personale qualificato, o ai servizi all'innovazione forniti da incubatrici e altri organismi intermedi. In aggiunta, la Commissione elaborerà un vademecum o guida pratica entro la fine del 2004. Questo documento raccoglierà in un solo testo le possibilità in materia di aiuti all'innovazione, nonché l'approccio per quanto riguarda l'aiuto alle incubatrici e altri organismi intermedi[EM4].

Nel 2005 sarà anche rivisto il trattamento degli aiuti allo sviluppo del capitale di rischio. L'approvazione degli aiuti di modesto importo che non hanno un impatto significativo sulla concorrenza, compresi quelli all'innovazione, sarà resa più semplice e flessibile.

È stato intanto completato il riesame del regolamento di esenzione per i trasferimenti di tecnologia. L'obiettivo è facilitare al massimo la diffusione delle licenze in materia tecnologica, concentrando gli sforzi sugli accordi che rischierebbero di essere anticoncorrenziali. Il riesame cercherà di realizzare un equilibrio adeguato tra lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale e le preoccupazioni legittime che possono sorgere in tema di concorrenza.

4.2.2. Migliorare il funzionamento dei mercati

La concorrenza all'interno del mercato unico è la migliore garanzia della competitività a medio e lungo termine. La piena realizzazione del mercato interno rimane una priorità e riguarda tanto i prodotti quanto i servizi, in modo da favorire al massimo l'interazione tra industria e servizi. In generale, l'armonizzazione comunitaria delle legislazioni nazionali in vigore o il loro riconoscimento reciproco effettivo contribuisce al miglioramento del funzionamento del mercato interno.

- Migliorare la libera circolazione dei prodotti e dei servizi

Cinque iniziative importanti possono essere citate sul piano comunitario.

1. L'industria ha bisogno di servizi di alta qualità al migliore prezzo possibile per restare competitiva. L'adozione rapida della recente proposta di direttiva nel settore dei servizi creerà un vero mercato interno in questo settore. Incoraggiando l'attività economica transfrontaliera e dinamizzando la concorrenza, essa allargherà la scelta, migliorerà la qualità e farà diminuire i prezzi per i consumatori e per le imprese utilizzatrici di servizi.

2. Un'applicazione più coerente delle diverse direttive del tipo "nuovo approccio" permetterà alle imprese di sfruttare al massimo i margini di flessibilità derivanti da questi strumenti.

3. Una riflessione sul ruolo strategico della normazione europea come fattore di sviluppo delle imprese europee, sia sul piano interno che nei paesi in vicinanza immediata dell'UE o anche a livello internazionale, permetterà di utilizzare meglio questo strumento.

4. La creazione di un mercato integrato dei capitali e dei servizi finanziari è un elemento indispensabile nella strategia europea per la competitività e in particolare per accrescere la competitività del settore manifatturiero. Il principale obiettivo strategico del piano d'azione per i servizi finanziari (PASF), varato nel 1999, era di permettere ai mercati finanziari paneuropei di realizzare tutte le loro potenzialità e ridurre così il costo del capitale per l'investimento. Il completamento del piano nel 2005 resta un obiettivo di primaria importanza per la competitività dell'industria europea.

5. L'attuazione del piano d'azione sul diritto societario e il governo d'impresa permetterà di condurre a termine l'integrazione e l'ammodernamento del diritto societario e del governo d'impresa che reclamano le imprese, i mercati e il pubblico.

- Promuovere la competitività con una politica della concorrenza efficace

Il ruolo chiave della politica della concorrenza per il sostegno della competitività industriale sarà rafforzato dall'entrata in vigore il 1° maggio dei nuovi regolamenti nei settori dell'antitrust e del controllo delle concentrazioni. Il nuovo quadro antitrust ridurrà l'onere regolamentare abolendo il sistema di notifica. Di conseguenza, le imprese guadagneranno tempo nelle loro decisioni strategiche, non dovendo più attendere l'autorizzazione dei loro accordi e pratiche da parte della Commissione. Esso permetterà inoltre alla Commissione di concentrare l'applicazione delle norme antitrust sui problemi di concorrenza più seri e più pregiudizievoli. Prendendo in considerazione in modo più esplicito gli incrementi di efficacia risultanti da una concentrazione, la Commissione sarà in grado di distinguere meglio tra le fusioni che riducono e quelle che non riducono la concorrenza [45].

[45] Regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, GU 29.1.2004, L 24/1; Comunicazione della Commissione, GU 5.2.2004, C 31/5.

Inoltre, la revisione delle linee direttrici sugli aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione mira a permettere e ad accelerare le ristrutturazioni e nel contempo a ridurre al minimo le distorsioni che questo tipo di aiuti rischia di causare nei settori industriali interessati.

- Conciliare i vincoli energetici con la competitività

Tre grandi sfide nel settore energetico avranno conseguenze importanti per la competitività industriale. In primo luogo, la sicurezza d'approvvigionamento energetico resterà indispensabile, e la Commissione continuerà ad adottare iniziative per garantirla. Inoltre, l'apertura dei mercati dell'elettricità e del gas ad ogni utente commerciale entro il 1° luglio 2004 andrà a vantaggio di tutta l'industria, comprese le PMI. Infine, l'aumento del prezzo dell'elettricità rischia di avere un effetto sulla competitività. L'UE si e impegnata a rispettare gli obblighi assunti a Kyoto in un modo che permetta di minimizzare i costi della messa in conformità. La Commissione riferirà sulla questione per chiarire quale sarà l'impatto dell'integrazione dei costi ambientali sui prezzi dell'energia. Anche altri fattori, come la liberalizzazione dei mercati energetici o le fluttuazioni dei prezzi del petrolio, saranno presi in considerazione.

- Eliminare alcuni ostacoli fiscali al completamento del mercato interno

Le imprese dell'UE devono operare in una zona economica unica in cui si applicano i diversi sistemi nazionali di imposizione sulle società. Ne risultano perdite di efficacia sul piano economico, costi specifici di messa in conformità e una mancanza di trasparenza.

Al fine di ridurre l'onere delle formalità fiscali che grava sulle PMI aventi attività transfrontaliere nell'Unione europea e rendere possibili risparmi e guadagni di efficacia rilevanti, sarà proposta una prima misura in via sperimentale e facoltativa, consistente in un sistema d'imposizione sulle società secondo le norme dello Stato di residenza, anziché secondo le norme dei diversi codici fiscali degli Stati membri in cui le PMI effettuano operazioni. Di conseguenza, gli Stati membri che parteciperanno a questo progetto pilota si impegneranno a riconoscere reciprocamente i vari metodi di calcolo dei profitti imponibili.

Per quanto riguarda la definizione di una base comune consolidata d'imposizione per le imprese che effettuano operazioni nell'Unione europea, potrebbe essere presa in considerazione la possibilità di applicare le norme del trattato relative alle cooperazioni rafforzate, se dovesse apparire che non è possibile un progresso per tutti i paesi dell'Unione.

Inoltre, è prevista per il 2004 una semplificazione degli obblighi relativi all'IVA, che dovrebbe in particolare comportare un sistema di sportello unico. Tale sistema dovrebbe basarsi sulle esperienze acquisite nel quadro dello sportello unico europeo in materia di IVA dovuta dai venditori on-line dei paesi terzi. Esso ridurrà sensibilmente l'onere amministrativo dell'IVA poiché permetterà alle imprese di rivolgersi a una sola amministrazione fiscale, nella loro lingua, e di adempiere una sola serie di obblighi.

Infine, per incoraggiare la diffusione delle migliori pratiche nel settore fiscale, la Commissione valuterà anche l'opportunità di utilizzare il metodo aperto di coordinamento.

4.2.3. Mettere le politiche di coesione al servizio delle trasformazioni industriali e strutturali

- Accompagnare il processo delle trasformazioni industriali e sostenere i sistemi regionali d'innovazione

La politica di coesione dovrebbe non soltanto accompagnare i cambiamenti industriali ma anche avere un approccio anticipatore, incitando le regioni a rafforzare la loro competitività e a sviluppare la loro capacità di innovazione.

La Commissione ha riconosciuto questi obiettivi nella sua terza relazione sulla coesione economica e sociale per il periodo di programmazione 2007-2013, che ha messo un accento particolare sull'innovazione nelle imprese, in particolare incoraggiando legami più stretti tra istituti di ricerca e industria. Favorire l'accesso alle TIC e incoraggiare il loro uso sarà un'altra priorità. Migliorare l'accesso al finanziamento e alla conoscenza permetterà di promuovere lo spirito d'impresa. Questo avverrà tramite la creazione di nuove imprese derivate dalle università (spin-offs), il miglioramento dell'interfaccia tra industria e centri di ricerca e la promozione dello sviluppo di incubatrici. In questo modo, la politica di coesione utilizzerà il potenziale dei grappoli industriali come strumento per migliorare la competitività delle regioni.

Il sostegno alle regioni meno sviluppate -nei nuovi Stati membri come negli Stati membri attuali - è l'assoluta priorità della politica di coesione. In queste regioni il sostegno diretto all'industria sarà accompagnato dal miglioramento delle condizioni generali nelle quali operano le imprese, dall'estensione e dall'ammodernamento delle infrastrutture dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell'energia. È stata anche proposta la creazione di un "fondo d'adeguamento", che sarebbe dotato di un massimo di 1 miliardo di euro all'anno e darebbe la possibilità di accompagnare ristrutturazioni economiche in regioni o settori specifici, particolarmente esposti alla concorrenza internazionale o ad altri choc asimmetrici.

- Mettere la Strategia europea per l'occupazione al servizio della competitività

La Strategia europea per l'occupazione, che fa parte integrante della strategia di Lisbona, mette l'accento su priorità che servono direttamente la competitività dell'industria europea, come lo sviluppo del capitale umano e della formazione permanente, la creazione di posti di lavoro e lo spirito d'impresa e la promozione dell'adattabilità dei lavoratori e delle imprese ai cambiamenti economici. Queste priorità sono appoggiate dal Fondo sociale europeo, che contribuisce allo sviluppo di un'economia della conoscenza durevolmente competitiva, grazie all'investimento nella formazione, l'istruzione, le misure attive del mercato del lavoro e le misure che favoriscono l'inclusione sociale.

- Sviluppare le reti transeuropee e i grandi progetti europei

Gli investimenti nelle reti europee sono fondamentali per garantire una migliore accessibilità e ridurre la congestione, il cui costo potrebbe, secondo alcune stime, rappresentare fino al 2% del PIL dell'UE. L'accessibilità è citata dalle imprese fra i criteri decisivi nelle loro decisioni di insediamento. La promozione di grandi progetti nel quadro delle reti transeuropee è del resto un elemento centrale dell'iniziativa di crescita varata l'anno scorso, che comprende otto importanti progetti nei settori della R&S, dell'innovazione e delle reti a banda larga.

La sfida per la realizzazione di questi progetti non è soltanto di identificare i migliori progetti ma anche di finanziarli [46]. Nuove vie devono essere esplorate, come la tariffazione, i finanziamenti pubblico-privato o eventuali prestiti europei, anche se questi progetti dovrebbero, a lungo termine, essere finanziati dagli utenti.

[46] La sola rete transeuropea di trasporto dovrebbe costare entro il 2020 600 miliardi di euro, di cui 230 per progetti prioritari dichiarati d'interesse europeo dal Consiglio e dal Parlamento.

Varie iniziative in questo settore sono in corso o previste:

- la realizzazione della rete transeuropea con l'adozione di nuovi orientamenti (revisione in corso della decisione 1692/96/CE), la proposta di nuove norme per la concessione di aiuti finanziari per il periodo 2007-2013 e la creazione eventuale di un'agenzia di gestione.

- I grandi progetti tecnologici creano mercati per l'industria europea e un potenziale di esportazione di tecnologia; i soli "progetti prioritari" della rete transeuropea genereranno ad esempio un mercato di 30 miliardi di euro per il materiale rotabile e la segnaletica ferroviaria dei treni ad alta velocità. Da questo punto di vista, la liberalizzazione del settore dei trasporti ferroviari avrà anche un ruolo di trascinamento.

- La realizzazione del progetto Galileo con il rilascio nel 2004 della concessione per la sua utilizzazione e il lancio nel 2005 di un'iniziativa per un programma industriale mirante a sviluppare e a mettere in atto entro il 2015 un sistema integrato di controllo aereo.

- La riforma della tariffazione dell'uso delle infrastrutture da parte degli automezzi pesanti nel quadro della revisione in corso della direttiva "Eurovignette" permetterà inoltre una maggiore trasparenza nell'uso dei proventi a favore del settore dei trasporti, cosa di cui l'industria beneficerà come utente.

4.2.4. Conciliare meglio sviluppo sostenibile e competitività

- Creare le condizioni per lo sviluppo di una produzione sostenibile

La produzione sostenibile è una condizione necessaria per sciogliere i nessi tra degrado ambientale, crescita economica e produzione. L'idea è quella di "produrre di più con meno", a livello dell'economia in generale, ma anche dei settori o delle singole imprese. Pratiche di produzione e mezzi più "ecoefficaci" (in termini economici ed ecologici) sono necessari per raccogliere questa sfida. La produzione sostenibile costituisce altresì un mercato per i fornitori di attrezzature e di tecnologia o i prestatori di servizi, in un settore in cui alcune imprese comunitarie sono fra i leader mondiali.

La Commissione proporrà nel corso del 2004 un quadro politico mirante a promuovere la produzione sostenibile a livello di impresa. Il suo obiettivo sarà di creare le condizioni perché il più grande numero possibile di imprese trovino un interesse economico nel migliorare le loro prestazioni ambientali ed integrino questa dimensione nella loro gestione e nella loro strategia di sviluppo. In particolare, sarà proposto di rafforzare la cooperazione tra le autorità pubbliche e il settore privato al duplice scopo di integrare meglio le imprese nella definizione di misure ambientali relative al sistema produttivo e favorire il loro impegno nell'applicazione di queste misure.

- Favorire le energie e le tecnologie "pulite"

Lo sviluppo delle tecnologie "pulite" e delle energie rinnovabili deve essere dinamizzato. L'approccio tradizionale in questo settore si concentra sul sostegno mediante cofinanziamenti di progetti di ricerca. Questo approccio tiene scarsamente contro della domanda reale dell'industria perché è troppo focalizzato sulla ricerca fondamentale. Per rimediare a questo problema, esso deve essere completato da strumenti che favoriscano maggiormente la cooperazione dei settori pubblico e privato creando strutture comuni che si occupino di progetti definiti e gestiti in comune. È l'approccio adottato dal piano d'azione per le ecotecnologie, attuato in particolare nelle piattaforme tecnologiche (v. sopra). Attualmente esistono numerose applicazioni da esplorare nelle quali l'Europa può vantare una competenza o svilupparne rapidamente una (energia eolica, tecnologie dell'efficienza energetica, carburanti alternativi come l'idrogeno, trattamento delle acque, gestione dei rifiuti, ecc.).

D'altra parte, nello sviluppo delle tecnologie "pulite", gli appalti pubblici potrebbero svolgere un ruolo molto importante e fornire un sostegno a nuovi mercati.

- Incoraggiare il dialogo sociale, anche su questioni settoriali

Il dialogo sociale è uno strumento prezioso per la consultazione e la negoziazione delle parti sociali, che contribuisce ad equilibrare meglio i pilastri economici e sociali dello sviluppo sostenibile. Le parti sociali si sono impegnate ad affrontare questioni che riguardano direttamente la strategia di Lisbona.

Nel 2002 sono stati adottati un quadro per azioni nel campo della formazione permanente e orientamenti per anticipare e gestire cambiamenti resi necessari dalle ristrutturazioni di imprese.

Inoltre, il dialogo sociale interprofessionale può essere completato da un dialogo sociale a livello settoriale, che può contribuire alla creazione di posti di lavoro e al processo di trasformazione dell'industria.

Un altro contributo al monitoraggio delle trasformazioni dell'economia europea potrebbe venire dalle attività dell''European Monitoring Centre on Change' (EMCC), che è specializzato nello scambio di pratiche, informazioni e idee sull'anticipazione e la gestione del cambiamento.[EM5]

4.2.5. Favorire lo sviluppo internazionale delle imprese comunitarie

- Agevolare l'accesso ai mercati esterni all'Unione europea

Un'industria europea competitiva deve potere accedere nelle stesse condizioni dei suoi concorrenti ai mercati dei paesi terzi. L'Unione deve quindi continuare ad adoperarsi per favorire l'apertura effettiva dei mercati dei paesi terzi, conformemente agli impegni sottoscritti dai nostri partner, in particolare nel quadro dell'OMC.

La Comunità attua una strategia d'accesso ai mercati che mira a ridurre e a eliminare le barriere che ostacolano le esportazioni europee di beni e servizi verso i paesi terzi. Una vigilanza particolare s'impone specialmente nei confronti dei paesi emergenti, i cui successi sui mercati dell'Unione europea devono avere come contropartita il rispetto delle discipline che hanno accettato.

Sul piano tariffario, i cicli precedenti di negoziati multilaterali, se da un lato hanno permesso di ridurre sostanzialmente gli ostacoli all'accesso ai mercati, dall'altro hanno però portato a strutture tariffarie molto eterogenee, con differenze notevoli, ad esempio, per quanto riguarda i picchi tariffari, la progressività dei dazi, la percentuale dei consolidamenti e il divario tra tassi consolidati e tassi applicati. L'obiettivo principale dei negoziati multilaterali sull'accesso al mercato dei prodotti è di comprimere in modo più omogeneo il livello corrente dei dazi doganali applicati dai membri dell'OMC e fissare un limite ai picchi tariffari.

Il miglioramento delle condizioni d'accesso al mercato degli esportatori europei passa anche per l'integrazione di nuovi membri nell'OMC e, se necessario, la conclusione di accordi commerciali bilaterali (negoziati sono in corso con i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo e il Mercosur).La diminuzione progressiva delle barriere tariffarie, almeno nei paesi sviluppati, impone di prestare maggiore attenzione alle barriere non tariffarie, la cui moltiplicazione può privare di sostanza le concessioni tariffarie. Il rafforzamento della cooperazione regolamentare con alcuni paesi terzi che costituiscono importanti mercati per l'UE (Stati Uniti, America latina, Cina, Giappone, Canada...) viene a completare le azioni intraprese nel quadro multilaterale e può ovviare all'assenza di accordi commerciali bilaterali.

In relazione alla riduzione di queste barriere, la cooperazione degli organismi europei di normazione (CEN/CENELEC/ETSI) con le organizzazioni internazionali di normazione (ISO/CEI/ITU) permette di stabilire norme internazionali che possono agevolare l'accesso ai vari mercati, purché tali norme siano ugualmente rispettate dai nostri partner commerciali. La Comunità dovrà esprimersi con una sola voce nelle organizzazioni internazionali dei trasporti (OMI, OACI, OTIF) per garantire un mercato equo per gli operatori e i costruttori di veicoli e attrezzature. Il problema di un mercato equo è particolarmente sensibile per l'industria della costruzione navale.

Inoltre, nel quadro dei negoziati dell'Agenda di Doha per lo sviluppo, l'azione dell'UE è diretta a rendere più proporzionati agli obiettivi legittimi perseguiti dalle barriere non tariffarie (sanità pubblica, tutela dell'ambiente, controlli fiscali...) gli oneri che ne derivano. Anche le misure di facilitazione doganale (semplificazione delle formalità e dei controlli doganali allo scopo di diminuire gli oneri amministrativi sproporzionati per gli operatori, in particolare le PMI) contribuiscono all'apertura dei mercati. L'impiego di tecniche moderne, specie delle tecnologie d'informazione, permetterà di semplificare le procedure, facendo anche a meno di supporti cartacei, per le imprese, le dogane e gli altri organi che intervengono nel controllo degli scambi internazionali. Lo sviluppo di una certificazione di affidabilità delle imprese e dei trasportatori coordinata con i nostri principali partner commerciali contribuirà ad alleggerire i controlli di sicurezza negli scambi.

Infine, è indispensabile una tutela adeguata dei diritti di proprietà intellettuale. La Comunità è quindi attenta al rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, sia a livello internazionale, nel quadro dell'Accordo sui diritti di proprietà intellettuale nel commercio (ADPIC) e delle relative convenzioni internazionali, sia sul piano nazionale nella lotta contro la pirateria e la contraffazione.

- Garantire il rispetto delle norme internazionali del commercio (antidumping, antisovvenzioni, e di salvaguardia)

Oltre alle azioni citate nella sezione precedente, la politica commerciale della Comunità è volta anche a evitare l'introduzione di nuove barriere nei confronti degli esportatori europei, ad esempio controllando attentamente l'uso degli strumenti di difesa commerciale (antidumping, antisovvenzioni, e di salvaguardia) da parte dei nostri partner commerciali per impedire che siano messe in atto misure illegittime.

In senso inverso, l'UE applica i propri strumenti di difesa commerciale per garantire che le importazioni in provenienza dai paesi terzi rispettino le norme internazionali. Pur non avendo un effetto diretto sulla competitività delle imprese, vi contribuiscono indirettamente con un effetto di leva e con la creazione di un clima stabile e prevedibile per gli investimenti. Questo effetto positivo si estenderà ai nuovi Stati membri dopo l'allargamento.

- Estendere le regole del mercato unico e le norme dell'UE ai paesi vicini

L'Unione deve intensificare i suoi sforzi per estendere il modello del mercato interno e le sue discipline ai paesi vicini affinché la concorrenza sia basata sulle stesse regole. Questa estensione è in corso per i paesi candidati (Romania, Bulgaria, Turchia) e per i paesi dei Balcani occidentali che potrebbero in futuro aderire all'Unione. La nuova politica di prossimità [47] propone ai paesi della regione mediterranea e dell'Europa orientale il ravvicinamento delle legislazioni, in particolare nel settore dei prodotti industriali.

[47] Comunicazione della Commissione 'Europa ampliata - Prossimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali', COM(2003) 104 def. dell'11 marzo 2003.

Un piano d'azione sulla libera circolazione dei prodotti industriali è stato già adottato dai ministri del commercio dell'UE e dei paesi mediterranei. Esso si fonda sull'applicazione della legislazione e delle norme europee da parte dei partner mediterranei, in modo da facilitare gli scambi tra le due regioni. Uno degli strumenti di questa azione è la conclusione di accordi sulla valutazione della conformità e l'accettazione dei prodotti, che ne permette il libero accesso ai rispettivi mercati. La negoziazione di accordi simili sarà proposta ai paesi dell'Europa orientale che hanno lo statuto di partner nel quadro della politica europea di prossimità, in particolare l'Ucraina e la Moldavia.

- Sviluppare la dimensione internazionale della politica dell'ambiente

In materia d'ambiente, l'Unione ha un ruolo importante da svolgere nelle discussioni internazionali. Gli impegni internazionali possono generare costi per le imprese comunitarie, specie se le imprese dei nostri principali concorrenti non sono soggette agli stessi impegni o non li rispettano. Questo può essere particolarmente preoccupante nel caso di imprese di paesi in cui è in atto un'industrializzazione rapida (come la Cina, l'India, il Brasile o l'Argentina), senza parlare della reticenza degli USA a sottoscrivere tali impegni. La Commissione intende definire principi per garantire un equilibrio adeguato tra i tre pilastri dello sviluppo sostenibile in sede di negoziazione di accordi ambientali multilaterali. Ciò permetterà in particolare di integrare pienamente le considerazioni di competitività o di rapporto costo/efficacia nei mandati di negoziato conferiti alla Commissione, e di garantire la compatibilità degli impegni internazionali dell'Unione con la sua legislazione interna.

*

L'esame dettagliato delle politiche comunitarie ha permesso di identificare molte complementarità. Tenuto conto di questi contributi, la Commissione si propone di approfondire questi insegnamenti nel quadro di comunicazioni specifiche, analizzando l'impatto di diverse politiche comunitarie sulla competitività dell'industria europea e i modi per migliorare tale impatto.

4.3. Un'applicazione della politica industriale differenziata secondo i settori

La comunicazione sulla politica industriale del 2002 aveva sottolineato la necessità di tener conto delle caratteristiche e specificità dei settori nell'applicazione delle misure di carattere orizzontale. Le condizioni generali sono parzialmente diverse da un settore all'altro e richiedono quindi risposte articolate.

In alcuni settori è determinante il contesto regolamentare, sia per permettere l'innovazione come nel settore farmaceutico, sia a causa di preoccupazioni legate allo sviluppo sostenibile, come nei settori dell'automobile o della chimica. In altri settori invece, come nel tessile o della costruzione navale, è determinante la dimensione internazionale, sia a causa della concorrenza - non sempre leale - di paesi emergenti sia per la difficoltà di accedere ai mercati protetti di paesi terzi. Infine, in un settore come quello delle industrie della difesa, è soprattutto l'assenza di un vero mercato interno che costituisce un problema importante. Questi esempi illustrano la diversità dei settori manifatturieri e la necessità di tener conto di queste differenze assicurando la migliore interazione possibile tra le politiche.

Lo sviluppo da parte della Commissione di attività di tipo settoriale non corrisponde a un ritorno alle politiche interventistiche del passato, ma si basa invece sull'adattamento di azioni di natura essenzialmente orizzontale alle necessità specifiche individuate a livello settoriale, sulla base della metodologia sopra descritta. I lavori previsti per i prossimi anni permetteranno di svilupparla ulteriormente, al fine di identificare, anticipare nella misura del possibile e accompagnare le trasformazioni industriali, in stretto collegamento con le diverse parti interessate.

Proseguire i lavori già iniziati

I lavori del G10 hanno prodotto numerose raccomandazioni relative alla competitività del settore farmaceutico: determinare una serie di indicatori di rendimento che permettano confronti e analisi comparative, migliorare la regolamentazione e l'accesso ai medicinali innovativi, promuovere l'innovazione e migliorare la base scientifica. Si tratta di trovare un equilibrio tra le preoccupazioni legate alla salute e il necessario incoraggiamento all'innovazione. Le attività già in corso nei settori dei prodotti farmaceutici sulla base dei lavori del G10 saranno proseguite. Inoltre il gruppo Leadership 2015 aveva stabilito varie priorità nel settore delle industrie marittime: rafforzare la R&S e l'innovazione, creare condizioni paritarie a livello mondiale, attuare programmi di finanziamento e di garanzie; assicurare la protezione dei diritti di proprietà intellettuale; permettere l'accesso a una manodopera qualificata. Queste priorità saranno seguite con particolare attenzione. Si tratta in entrambi i casi di applicare orientamenti proposti dalla Commissione e fatti propri dal Consiglio in base a un raccomandazione dei gruppi di alto livello.

La Commissione proseguirà anche i suoi lavori sulla base degli orientamenti stabiliti nel quadro della strategia per le scienze della vita e le biotecnologie.

Per il settore del tessile e dell'abbigliamento, la comunicazione del 2003 aveva chiaramente identificato i punti chiave: innovazione, R&S, formazione, cooperazione con la Cina in materia di politica industriale. Il gruppo settoriale di alto livello istituito dalla Commissione proseguirà questa analisi e sottoporrà raccomandazioni ai responsabili politici europei e nazionali sulle questioni essenziali per il settore. La Commissione riferirà su questo processo nel luglio 2004. Infine, per quanto riguarda il settore dei servizi alle imprese, è stato creato un forum europeo, che avrà il compito di approfondire l'analisi dell'interazione tra il settore manifatturiero e i servizi alle imprese, per individuare le tendenze che fanno dei servizi una fonte crescente di valore aggiunto per il settore manifatturiero.

Le prossime iniziative

La Commissione provvederà innanzitutto a monitorare la situazione competitiva dei principali settori industriali e l'evoluzione del processo di trasformazione. Questo dovrebbe permettere in particolare di individuare i casi di improvviso deterioramento della situazione di un settore e di reagire rapidamente.

Inoltre, essa continuerà ad esaminare ogni anno la competitività di alcuni settori e se del caso adotterà, su questa base, le iniziative necessarie. Nella sua scelta dei settori da esaminare, cercherà di tener conto della diversità delle sfide competitive che essi devono affrontare: fattori d'ordine regolamentare, contesto internazionale, importanza della dimensione dell'innovazione, tecnologica o no, o infine realizzazione incompleta del mercato interno.

Per il 2004-2005, ad esempio, sono previste le iniziative seguenti:

* un'iniziativa riguardante il settore della costruzione meccanica, che ha un ruolo determinante per l'insieme dell'economia in quanto fornitore di beni di produzione per tutti i comparti industriali;

* sarà effettuata, in vista dell'adozione di eventuali misure, un'analisi del settore delle ecoindustrie che riguarderà vari aspetti: la competitività internazionale, il potenziale di crescita (anche nei nuovi Stati membri) e gli ostacoli al suo sviluppo;

* nel settore dell'automobile, è stata già annunciata l'istituzione di un gruppo di alto livello. Diversi temi cruciali saranno affrontati: l'innovazione, la formazione, la sicurezza, l'ambiente. Particolare attenzione sarà riservata all'impatto cumulativo delle normative sulla competitività del settore;

* infine, la Commissione si occuperà del settore dei metalli non ferrosi, che si confronta soprattutto con la difficoltà d'accesso ai materiali di recupero, e del settore delle tecnologie dell'informazione.

5. CONCLUSIONE: AGIRE PER UN'INDUSTRIA EUROPEA COMPETITIVA

L'Unione europea sperimenta un processo di trasformazioni strutturali che intervengono su diversi livelli:

- a livello macroeconomico. Il processo di riallocazione delle risorse dall'industria manifatturiera verso i servizi continua e non deve essere confuso con la deindustrializzazione. Questo processo non implica in alcun modo un declino dell'attività manifatturiera, ma rispecchia piuttosto mutamenti di natura strutturale (natura della domanda, cambiamenti organizzativi...). In questo contesto, la crescita della produttività del lavoro nell'industria è una condizione del mantenimento di una base industriale forte nell'Unione europea;

- a livello del settore manifatturiero. La concorrenza internazionale, proveniente da paesi industrializzati (Stati Uniti, Giappone) o da paesi emergenti (Cina, India), implica la necessità di proseguire le trasformazioni verso settori a più forte contenuto tecnologico. Solo questo posizionamento permetterà all'industria europea di far fronte alle sfide.

- all'interno dei settori stessi. La concorrenza dei paesi emergenti nei settori a forte intensità di manodopera esige che le imprese di questi settori esposti (tessile, calzature, cuoio...) innovino in permanenza e si concentrino su attività o prodotti a forte contenuto di conoscenza. Tale strategia è la sola capace di limitare il rischio di deindustrializzazione in settori particolarmente sensibili a questo tipo di concorrenza.

Questi mutamenti sono necessari. Sarebbe illusorio pretendere di opporvisi: cristallizzare le posizioni non avrebbe altro effetto, a lungo termine, che rendere più dolorosi gli adattamenti comunque inevitabili. Occorre quindi identificare e anticipare le trasformazioni e quando è necessario accompagnarle.

Le diverse misure e iniziative concrete proposte nella presente comunicazione hanno tutte lo scopo di contribuire al raggiungimento di questo obiettivo:

- il miglioramento del quadro normativo ha lo scopo di limitare gli obblighi per le imprese a quelli che sono necessari per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla regolamentazione. Questa deve, in particolare, realizzare un equilibrio tra gli obiettivi perseguiti e il mantenimento della competitività industriale. Deve essere sostituita o completata da provvedimenti di tipo non normativo ogni volta che ciò appare opportuno. Allo stesso tempo, le norme devono essere sufficientemente chiare, stabili e prevedibili per garantire l'indispensabile certezza giuridica che fa parte integrante di un contesto favorevole allo sviluppo delle attività economiche;

- un migliore sfruttamento delle sinergie tra le diverse politiche comunitarie permetterà di accrescere i loro effetti positivi sulla competitività dell'industria, in particolare nella duplice prospettiva dello sviluppo di un'economia fondata sulla conoscenza e del rafforzamento della coesione dell'Unione allargata. Questi due obiettivi sono d'altronde indissociabili: solo un rafforzamento della coesione dell'Unione farà sì che la transizione indispensabile verso l'economia fondata sulla conoscenza non resti la prerogativa delle imprese delle regioni o dei settori più avanzati;

- infine, la ricerca della migliore combinazione delle politiche a livello settoriale permetterà di verificare concretamente se il dispositivo di politica industriale dell'Unione europea raggiunge effettivamente i suoi obiettivi di rafforzamento della competitività industriale. Se necessario, potranno essere proposti miglioramenti.

L'Unione europea è alla vigilia dell'allargamento più ambizioso della sua storia. I nuovi Stati membri, tenuto conto della loro storia, dovranno affrontare più degli altri sfide importanti per portare a termine con successo questo processo di trasformazioni strutturali, anche se hanno già compiuto nel corso dell'ultimo decennio notevoli progressi. Le priorità proposte, che mirano ad agire sui diversi livelli che condizionano la competitività dell'industria, sono particolarmente pertinenti nel caso dei nuovi Stati membri: la moderazione sul piano normativo permetterà di non erodere prematuramente la loro competitività ancora fragile; l'accento sulla diffusione della conoscenza e sulla coesione consentirà loro di costituirsi vantaggi comparati duraturi, oltre ai vantaggi transitori legati al basso costo della manodopera; l'approccio settoriale della competitività permetterà di dare una risposta mirata ai problemi di trasformazione industriale che si pongono con particolare acutezza in questi Stati. Le sfide poste dall'allargamento alla politica industriale dell'Unione potranno così essere raccolte con successo e le opportunità che esso offre pienamente sfruttate.

Una politica industriale adeguata contribuirà a porre in grado l'industria dell'Unione allargata, compresa quella dei suoi nuovi Stati membri, di dare un contributo essenziale alla realizzazione degli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Lisbona.

ALLEGATO

Dati statistici

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