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Document 52003DC0336

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo , al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione

/* COM/2003/0336 def. */

52003DC0336

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo , al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni su immigrazione, integrazione e occupazione /* COM/2003/0336 def. */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI su immigrazione, integrazione e occupazione

INDICE

Introduzione

1 Il contesto odierno in materia di integrazione nell'UE

1.1 Il Consiglio di Tampere e il quadro giuridico a livello UE

1.2 Strumenti politici dell'UE a sostegno dell'integrazione, dell'occupazione e della coesione sociale

1.3 L'impostazione a livello nazionale della questione dell'integrazione

2 La sfida economica e demografica: una nuova dimensione

2.1 Modelli di flusso migratorio nell'UE

2.2 L'incidenza economica dell'immigrazione e l'impatto sull'occupazione

2.3 L'impatto del cambiamento demografico sull'occupazione e sulla crescita economica

2.4 Prospettive occupazionali e potenzialità dell'immigrazione

2.5 L'immigrazione può risolvere la questione del cambiamento demografico?

3 La sfida dell'integrazione: un approccio multisettoriale

3.1 Definizioni e ambito

3.2 La necessità di un approccio multisettoriale

3.3 Elementi fondamentali delle politiche multisettoriali di integrazione

3.4 I principali attori di una politica multisettoriale di integrazione

3.5 I bisogni di gruppi specifici di migranti e la loro inclusione nella politica in materia di integrazione

3.6 La questione dei clandestini

4 Il percorso futuro: orientamenti e priorità politiche

4.1 Consolidamento del quadro giuridico

4.2 Il rafforzamento del coordinamento delle politiche

4.3 Cittadinanza civile e nazionalità: strumenti di promozione dell'integrazione

4.4 La strategia europea per l'occupazione (SEO)

4.5 Il processo di inclusione sociale

4.6 Coesione sociale ed economica

4.7 Lotta contro la discriminazione

4.8 Cooperazione nel campo dell'istruzione

4.9 Intensificare il dialogo con i paesi terzi

4.10 Incrementare il sostegno finanziario dell'UE a favore dell'integrazione

4.11 Migliorare l'informazione sul fenomeno dell'immigrazione

5 Conclusioni

Allegato 1: Relazione di sintesi sulle politiche nazionali di integrazione

Allegato 2: Statistiche

INTRODUZIONE

L'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, nel maggio del 1999, e la riunione straordinaria del Consiglio europeo, tenutasi a Tampere cinque mesi più tardi, rappresentano due punti di svolta in relazione all'impegno dell'Unione europea volto a realizzare un'azione unitaria nei campi della giustizia e degli affari interni, in particolare sui temi dell'asilo e dell'immigrazione. Nelle conclusioni approvate a Tampere il 16 ottobre 1999 [1], il Consiglio europeo, oltre a riaffermare la propria determinazione ad avvalersi appieno delle possibilità offerte dalle disposizioni del nuovo Trattato che regolano le aree in questione, ha anche indicato una serie complessiva di orientamenti per le politiche di cui auspica lo sviluppo, definendo quattro elementi chiaramente distinti tra loro che devono informare la politica dell'Unione europea in materia di asilo e migrazione: partenariato con i paesi di origine; una politica europea comune in materia di asilo; equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi; gestione dei flussi migratori.

[1] Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999 (SN 200/99)

Nel mese di novembre del 2000, la Commissione ha presentato un'importante comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione [2], nella quale indica il modo con cui essa intende trasformare in azione concreta gli orientamenti sopra indicati. Successivamente, la Commissione ha dato seguito a tale programma in relazione a tutti e quattro gli elementi definiti dal Consiglio europeo. Con una sola eccezione (gli aspetti relativi all'integrazione indicati nella sezione delle conclusioni dedicata all'equo trattamento dei cittadini di paesi terzi), su tutti gli elementi la Commissione ha presentato opportune proposte e documenti orientativi. Lo scopo della presente comunicazione è di colmare questa lacuna, come d'altronde specificamente richiesto dal Consiglio "Giustizia e affari interni" nel mese di ottobre del 2002, indicando succintamente entro un singolo documento le azioni già attuate e finalizzate alla promozione di una migliore integrazione e le idee relative ad ulteriori interventi di cui si avverte la necessità [3].

[2] Comunicazione su una politica comunitaria in materia di immigrazione (COM(2000)757) del 22 novembre 2000

[3] Conclusioni adottate dal Consiglio "Giustizia e affari interni" nella riunione del 14-15 ottobre 2002.

La presente comunicazione tiene inoltre conto di alcuni importanti sviluppi successivi al Consiglio di Tampere. Tra i più rilevanti, vi è certamente l'avvio della strategia di Lisbona, nel mese di marzo del 2000, con la quale l'Unione si è posta un nuovo obiettivo per il decennio successivo: diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica al mondo, capace di una crescita economica duratura con posti di lavoro più numerosi e migliori e una maggiore coesione sociale. La comunicazione della Commissione del mese di novembre del 2000 ha già sottolineato il contributo che i migranti che soggiornano legalmente nell'UE possono fornire agli obiettivi di Lisbona. Questo aspetto relativo alla loro integrazione è oggi ancora più importante e attuale, considerata la crescente rilevanza degli aspetti sociali ed economici legati all'invecchiamento della popolazione. La possibilità per migranti e rifugiati di accedere al mercato del lavoro dell'UE è un elemento che risulta essenziale del processo di integrazione e, allo stesso tempo, contribuisce più in generale al successo della strategia di Lisbona. Esso è stato sottolineato nelle relazioni della Commissione del 2002 e 2003 al Consiglio europeo di primavera [4] ed è stato specificamente approvato dal Consiglio di primavera del 2003. Opportuna attenzione, inoltre, deve essere conferita alle cause di fondo dei flussi migratori e alla necessità di sviluppare collegamenti tra l'UE e i paesi d'origine, materia, questa, oggetto di una comunicazione della Commissione su immigrazione e sviluppo [5]. In relazione al contesto finora indicato, questa comunicazione si pone i seguenti obiettivi:

[4] Nella relazione al Consiglio europeo di primavera del 2002, la Commissione ha annunciato l'intenzione di esaminare l'interazione tra la politica in materia di immigrazione, quella in materia di occupazione e le politiche sociali e di riferire in merito nel 2003. La relazione del 2003 indica la necessità di "un nuovo approccio nei confronti dell'immigrazione quale strumento per assicurare che sia possibile mantenere elevati livelli di occupazione e di produttività nei decenni futuri. Al centro di qualsiasi approccio deve esserci una migliore integrazione dei migranti nella società - i quali sono spesso capaci di recare un contributo sostanziale all'imprenditorialità - tenendo contemporaneamente conto dell'impatto dell'immigrazione sui paesi di origine". "La scelta della crescita: conoscenza, innovazione e posti di lavoro in una società coesiva. Relazione al Consiglio europeo di primavera, 21 marzo 2003, sulla strategia di Lisbona di rinnovamento economico, sociale e ambientale" (COM(2003)5 del 14 gennaio 2003).

[5] Communication on integrating migration issues in the European Union's relations with third countries (Comunicazione sull'integrazione delle questioni legate all'immigrazione nelle relazioni dell'Unione europea con i paesi terzi) (COM(2002)703 del 3 dicembre 2002).

* dare seguito alle Conclusioni di Tampere, valutando la pratica corrente e l'esperienza acquisita in materia di politica di integrazione a livello nazionale e comunitario;

* valutare il ruolo dell'immigrazione in relazione agli obiettivi di Lisbona, nel contesto dell'invecchiamento della popolazione, e

* delineare, su questa base, orientamenti e priorità politiche, ivi inclusi gli interventi a livello UE, volti a promuovere l'integrazione degli immigranti.

1. IL CONTESTO ODIERNO IN MATERIA DI INTEGRAZIONE NELL'UE

Recenti modifiche delle normative nazionali in materia di immigrazione in alcuni Stati membri, nonché le diffuse preoccupazioni relative alla sicurezza e all'esigenza di una maggiore coesione sociale, hanno già prodotto il risultato di dibattere in nuovi termini le strategie necessarie a garantire l'integrazione dei migranti. Nel corso del turno di Presidenza danese, l'integrazione nel mercato del lavoro è stata oggetto di una conferenza svoltasi a Copenhagen nel mese di luglio del 2002. [6] Nel mese di settembre dello stesso anno, sotto gli auspici del Comitato economico e sociale e in cooperazione con la Commissione, a Bruxelles ha avuto luogo un incontro intitolato "Il ruolo della società civile nella promozione dell'integrazione". Le discussioni svolte in quella sede hanno preso le mosse da un parere elaborato in materia dal CES. [7] I temi, inoltre, sono stati al centro di una conferenza organizzata dalla Presidenza greca e intitolata "Gestire l'immigrazione a beneficio dell'Europa". La conferenza si è svolta ad Atene, il 15 e 16 maggio 2003, nel quadro dell'iniziativa di Atene per la politica in materia di immigrazione (Athens Migration Policy Initiative).

[6] Relazione su una conferenza europea concernente l'effettiva integrazione nel mercato del lavoro, Copenhagen 4-5 luglio 2002.

[7] Parere del Comitato economico e sociale su immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata, CES 365/2002.

E' ormai sempre più evidente la necessità di avere un contesto uniforme entro cui gli Stati membri possano affrontare i temi legati all'immigrazione, l'integrazione e l'occupazione e migliorare, in prospettiva, l'efficacia della corrispondente azione politica. L'UE dispone ora di una gamma di strumenti, che rendono certa la presenza di un opportuno quadro di riferimento, in grado di sostenere gli sforzi a livello nazionale.

1.1. Il Consiglio di Tampere e il quadro giuridico a livello UE

Il Consiglio di Tampere ha esplicitamente richiesto "una politica di integrazione più incisiva" che miri a "garantire ai cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE". E' questo il principio a cui si ispirano le proposte finora presentate dalla Commissione al fine di istituire un quadro giuridico comune sullo status dei cittadini dei paesi terzi, come richiesto dal Trattato di Amsterdam (articolo 63). In tale contesto, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non può che essere il riferimento essenziale, considerato che gran parte delle disposizioni in essa contenute sono applicabili a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro nazionalità. La promulgazione della Carta, nel mese di dicembre del 2001, ha segnato dunque un passo importante nella definizione del quadro giuridico e, a questo riguardo, l'esito del dibattito entro la Convenzione sullo status della Carta nel nuovo Trattato europeo sarà certamente decisivo.

Il diritto al ricongiungimento familiare [8] è, in quanto tale, uno strumento indispensabile ai fini dell'integrazione. Il consenso politico sulla direttiva in materia è stato raggiunto in occasione della riunione del Consiglio del 27 febbraio 2003. La direttiva riconosce il diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini dei paesi terzi che risiedano legalmente in uno Stato membro, siano titolari di un permesso di soggiorno rilasciato da questo Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, ed abbiano una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile. Gli Stati membri hanno facoltà di richiedere che i cittadini dei paesi terzi, per poter godere di questo diritto, rispettino le misure in materia di integrazione previste dalla normativa nazionale. Una disposizione essenziale ai fini dell'integrazione dei familiari, prevede che essi, al pari del richiedente, abbiano accesso al lavoro, all'istruzione e alla formazione.

[8] COM(2002)225

La proposta di direttiva relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo [9] trova fondamento in una consolidata tradizione degli Stati membri, secondo la quale il periodo di soggiorno determina in qualche misura il livello di diritti cui una persona può accedere. Si tratta di uno strumento essenziale per l'integrazione di persone intenzionate a stabilirsi a lungo termine nell'Unione europea. La proposta indica le condizioni per ottenere lo status di residente di lungo periodo, tra le quali il requisito fondamentale è un periodo ininterrotto di cinque anni di soggiorno legale. Entro il Consiglio, si sta discutendo se qualificare la disponibilità a partecipare alle misure di integrazione come un requisito di legittimità. La normativa in questione garantisce ai cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo la parità di trattamento con i cittadini dell'UE su un certo numero di aspetti collegati alla gran parte dei campi socio-economici e l'opportunità, alle condizioni ivi disposte, di soggiornare in un altro Stato membro per motivi di lavoro o di studio.

[9] COM(2001)127

Il fine della proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo [10] è di offrire ai lavoratori dei paesi terzi sia un percorso che conduca ad uno status più stabile, nel caso si voglia continuare a lavorare nell'UE, sia la garanzia di uno status giuridico certo nel periodo di permanenza nell'UE, nel caso in cui il lavoratore torni nel paese d'origine alla scadenza del permesso di soggiorno. La proposta rispetta inoltre il principio secondo il quale i diritti crescono in proporzione al periodo di soggiorno. Per tale ragione, essa agevola il rinnovo del permesso di soggiorno a beneficio dei lavoratori dei paesi terzi che soggiornino nell'UE da più di tre anni e conforma i diritti di tali lavoratori a quelli fruibili dai residenti di lungo periodo, per quanto l'ambito di tali diritti sia comunque meno esteso. La proposta non ha alcun effetto in termini di numero di migranti, poiché non intacca la competenza degli Stati membri di decidere se ammettere o meno migranti per motivi economici, in considerazione delle esigenze del proprio mercato del lavoro e della capacità complessiva di integrare tali lavoratori.

[10] COM(2001)386

La Commissione ha anche presentato un certo numero di proposte di direttiva in materia di condizioni d'ingresso per quanti intendono svolgere attività di studio o di volontariato e sta predisponendo una nuova proposta relativa ai ricercatori. La nuova normativa in materia di condizioni d'ingresso e soggiorno dei ricercatori è essenziale al fine di conseguire gli obiettivi di competitività disposti a Lisbona e per realizzare l'obiettivo di Barcelona di portare, entro il 2010, gli investimenti nella ricerca ad una quota pari al 3% del PIL, per due terzi sostenuta dal settore privato. [11]

[11] COM(2003)226 def. e SEC(2003)489

In materia di integrazione, esiste già un certo numero di disposizioni utili, contenute in alcuni strumenti giuridici relativi alla politica in materia di asilo. E' il caso, per esempio, della direttiva [12] recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri [13]. La proposta di direttiva recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione [14], contiene un capitolo specificamente destinato a regolare il contenuto dello status di protezione internazionale e a indicare i diritti cui possono accedere rifugiati e persone a cui viene concessa protezione sussidiaria. Si tratta di disposizioni, che impongono agli Stati membri di stabilire specifici programmi di sostegno che siano adeguati alle esigenze dei soggetti interessati, in modo da agevolarne l'integrazione.

[12] Direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, GU L 31 del 6.2.2003, p. 18.

[13] Lo stesso può dirsi per la direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi (GU L 212 del 7.8.2001, p. 12).

[14] COM(2001)510

L'UE ha predisposto anche un quadro giuridico per la lotta contro la discriminazione - un fattore in grado di compromettere seriamente il processo di integrazione - e, in particolare, ha introdotto norme minime volte a promuovere la parità di trattamento e a combattere la discriminazione basata sull'appartenenza razziale o etnica, sulla fede religiosa o sulle convinzioni personali, sull'età, sulla disabilità e sulle tendenze sessuali. Le direttive approvate a livello UE nel 2000 [15] introdurranno nuovi e importanti diritti a favore dei migranti in ingresso e delle minoranze etniche già stabilite nell'UE. L'ambito della legislazione comunitaria che vieta la discriminazione razziale è ampio e riguarda molti settori, ovvero occupazione, istruzione, sicurezza sociale, servizi sanitari e accesso a beni e servizi e agli alloggi. Per quanto le direttive non riguardino la discriminazione per motivi legati alla nazionalità e non abbiano alcun effetto sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi e sul trattamento di cui essi godono in conseguenza del proprio status giuridico, esse si applicano a tutte le persone residenti negli Stati membri, ivi inclusi i cittadini di paesi terzi. Oltre a ciò, il corrispondente programma per la lotta contro la discriminazione prevede l'attuazione di numerose attività finalizzate allo scambio di esperienze e di buone prassi. La Commissione sostiene, inoltre, le attività dell'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia.

[15] Direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE.

Oltre a quanto già indicato, l'UE ha conseguito progressi positivi in relazione all'obiettivo di garantire ai cittadini di paesi terzi che entrano nell'UE lo stesso livello di protezione offerto dal regime di sicurezza sociale che si applica ai lavoratori dell'UE. L'attuazione del nuovo regolamento n. 1408/71 dovrebbe avere la conseguenza di conferire ai cittadini di paesi terzi, che soggiornino legalmente nell'UE, gli stessi diritti di cui godono i cittadini dell'UE quando si trasferiscono da uno Stato membro ad un altro. L'adozione del regolamento rappresenta un riferimento di importanza fondamentale, in vista della futura adozione delle direttive sullo status dei residenti di lungo periodo e sulle condizioni di ingresso e soggiorno per motivi di lavoro.

1.2. Strumenti politici dell'UE a sostegno dell'integrazione, dell'occupazione e della coesione sociale

Sulla base del mandato di Lisbona, l'UE ha sviluppato metodi aperti di coordinamento nei campi dell'occupazione e dell'inclusione sociale, trattandosi di aree collegate direttamente alla questione dell'integrazione dei migranti nell'UE. Si tratta di metodi nei quali obiettivi concreti e finalità politiche, fissati a livello UE e poi tradotti in piani nazionali, si accompagnano all'uso di parametri di riferimento e di indicatori per verificare i progressi ottenuti, allo scambio di esperienze e alla valutazione tra pari per trarre vantaggio dalle buone pratiche.

Fin dall'avvio, nel 1997, della Strategia europea per l'occupazione (SEO), l'integrazione dei gruppi svantaggiati, ivi inclusi i lavoratori migranti e le minoranze etniche, e la lotta contro ogni forma di discriminazione hanno costituito elementi fondamentali degli orientamenti per l'occupazione. Con la comunicazione del 17 luglio 2002 [16], la Commissione ha elaborato un bilancio dei primi cinque anni della SEO e ha individuato i temi più rilevanti in relazione alla discussione sul suo futuro, tra i quali si possono citare la riduzione del divario che separa il tasso di occupazione dei cittadini UE da quello dei cittadini di paesi terzi, la promozione della piena partecipazione e occupazione dei migranti di seconda generazione, la preoccupazione per i bisogni specifici delle donne migranti, la lotta contro l'immigrazione clandestina e la regolarizzazione del lavoro sommerso. E' il caso infine di ricordare che l'UE ha istituito e sviluppato la rete EURES [17], che rappresenta uno strumento fondamentale per pubblicizzare l'offerta di lavoro. Sono già state avviate altre iniziative mirate, quali il portale PLOTEUS sulle opportunità di apprendimento, nonché il portale della mobilità per i ricercatori e la rete dei centri di mobilità, che offrono informazioni ai ricercatori intenzionati a trasferirsi.

[16] COM(2002)416 del 17 luglio 2002 "Bilancio di cinque anni della strategia europea per l'occupazione"

[17] Decisione 2003/8/CE della Commissione del 23 dicembre 2002 , GU L 5 del 10.1. 2003, p. 16.

Nel campo dell'inclusione sociale, il Consiglio europeo di Nizza (dicembre 2000) ha concordato un insieme di obiettivi comuni, volti a combattere l'esclusione sociale e la povertà [18]. I primi piani di azione nazionali contro la povertà e l'esclusione sociale (PAN/incl.), presentati nel mese di giugno del 2000, hanno chiaramente indicato che le minoranze etniche e i migranti sono soggetti ad alto rischio di esclusione sociale e di discriminazione ma è necessario aggiungere che i piani stessi, nonostante l'ampio riconoscimento della presenza di tali rischi, non offrono dati sui gruppi in questione.

[18] Promuovere la partecipazione all'occupazione e l'accesso di tutti alle risorse, ai diritti, ai beni e ai servizi; prevenire i rischi di esclusione; intervenire a favore delle persone più vulnerabili; mobilitare l'insieme degli attori nella lotta contro l'esclusione sociale.

Nel mese di luglio del 2001, la Commissione ha proposto un metodo aperto di coordinamento concernente le politiche comunitarie in materia di immigrazione e il Consiglio europeo di Laeken, dicembre 2001, ha chiesto di rafforzare lo scambio di informazioni sull'immigrazione. I servizi della Commissione hanno dunque dato luogo a riunioni consultive, allo scopo di offrire una sede entro cui dibattere i temi relativi all'immigrazione nell'UE. Il ricorso a riunioni che consentano lo scambio di informazioni e di buone prassi è il metodo utilizzato anche per esaminare la questione della mobilità transnazionale di talune categiorie di persone, quali i ricercatori. Inoltre, in risposta alle conclusioni del Consiglio "Giustizia e affari interni" dell'ottobre 2002, è stata istituita una rete di cellule nazionali di contatto in materia di integrazione.

A sostegno degli impegni politici dell'UE nel campo dell'integrazione, dell'occupazione e della coesione sociale, esiste poi un certo numero di strumenti finanziari dell'UE e di iniziative di altro genere, che direttamente o indirettamente possono promuovere l'integrazione dei migranti. E' il caso, in particolare, dei Fondi strutturali e, più precisamente, del Fondo sociale europeo. Il sostegno all'integrazione da parte dell'UE si è tradotto poi nello sviluppo in senso innovativo di azioni, reti e scambi di esperienze nel quadro del programma EQUAL, nonché nell'attuazione dell'iniziativa URBAN II, finalizzata alla rivitalizzazione delle città, e di programmi volti a promuovere l'uguaglianza dei sessi e a combattere l'esclusione sociale e la discriminazione. Oltre a ciò, il programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità per il periodo 2001-2005, che fa capo al Fondo europeo per gli investimenti, prevede il finanziamento di attività di microcredito, di cui possono beneficiare gli imprenditori migranti. Inoltre, parte delle attività generali del programma, tra cui quelle relative alla procedura BEST, si rivolgono specificamente agli imprenditori delle minoranze etniche. Quanto ai campi dell'istruzione e della cultura, nel quadro dei programmi SOCRATES, LEONARDO DA VINCI, YOUTH e CULTURE 2000, sono state realizzate numerose iniziative mirate all'integrazione dei migranti.

Nel quadro della preparazione di una politica europea comune in materia di asilo, il Consiglio ha istituito un Fondo europeo per i rifugiati (FER) [19], con l'obiettivo "di sostenere le iniziative degli Stati membri dirette alla promozione della integrazione sociale ed economica dei rifugiati, nella misura in cui essa contribuisce alla coesione economica e sociale". Nel periodo 2000-2002, a tali azioni è stato assegnato il 28,3 per cento dei fondi disponibili (19 milioni di euro). Nel 2002, la Commissione ha istituito una Rete europea dell'immigrazione, concepita come strumento per migliorare l'analisi e la ricerca sull'immigrazione e l'asilo nell'UE.

[19] Sulla base dell'articolo 63, punto 2, lettera b) del Trattato, la decisione del Consiglio del 28 settembre 2000 ha istituito il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2000-2004, dotato di un bilancio indicativo quinquennale di 216 milioni di euro (linea B5-810).

1.3. L'impostazione a livello nazionale della questione dell'integrazione

Nel corso degli ultimi anni, gran parte degli Stati membri ha compiuto sforzi considerevoli per migliorare l'integrazione dei migranti e delle persone che fruiscono di protezione internazionale, sviluppando allo scopo politiche nazionali in materia. Per rispondere alla richiesta formulata dal Consiglio "Giustizia e affari interni" in occasione della riunione informale di Veria del 28 e 29 marzo 2003, la Commissione ha predisposto una relazione sintetica sulle politiche e le pratiche in materia di integrazione negli Stati membri da sottoporre all'attenzione del Consiglio. Il documento, presentato come Allegato 1 alla presente comunicazione, propone una rassegna della situazione esistente e offre informazioni più dettagliate concernenti le politiche nazionali di integrazione.

Molti Stati membri ritengono che le politiche finora condotte non siano state sufficientemente efficaci. Il fatto trova riflesso nelle crescenti preoccupazioni per le barriere tuttora esistenti che ostacolano un'integrazione effettiva, la più diffusa delle quali è certamente la scarsa conoscenza della lingua del paese ospitante. Anche la disoccupazione e la carenza di istruzione e di competenze formali, tuttavia, costituiscono ostacoli di notevole peso.

Il dibattito attualmente in corso a livello UE, relativo ai requisiti dell'integrazione, riflette l'importanza politica che gli Stati membri annettono ad una piena integrazione dei cittadini di paesi terzi. Uno dei temi rilevanti in discussione riguarda la natura dei programmi di integrazione e la tipologia delle corrispondenti misure. Un altro aspetto fondamentale concerne il carattere obbligatorio o meno di tali misure e le eventuali conseguenze giuridiche e finanziarie prodotte dal mancato rispetto delle stesse. Entro il negoziato sulle diverse proposte legislative attualmente all'esame del Consiglio, gioca un ruolo sempre più marcato proprio la discussione sull'eventualità o meno di prevedere che, in ultima istanza, il mancato rispetto di misure obbligatorie possa condurre alla revoca del permesso di soggiorno. Il dibattito evidenzia il fatto che molti Stati membri sono alle prese con problemi simili e che è del pari simile il modo in cui si tenta di risolverli. Queste considerazioni hanno condotto a riconoscere con maggiore forza la necessità di agire collettivamente a livello UE, sviluppando strumenti comuni supplementari e adattando quelli esistenti alle nuove sfide.

2. LA SFIDA ECONOMICA E DEMOGRAFICA: UNA NUOVA DIMENSIONE

Come già è stato indicato nella comunicazione della Commissione del mese novembre del 2000, [20] l'immigrazione nell'UE sta assumendo un nuovo profilo, anche in relazione ad un contesto generale che, in termini generali, è caratterizzato da una molteplice carenza di manodopera e di competenze, dalla competizione per reperire lavoratori altamente qualificati in un'economia globalizzata e da un'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione. Poiché l'immigrazione è condizionata da fattori sia di spinta che di contenimento, è importante che essa venga posta in relazione con le prospettive occupazionali e con il profilo delle future esigenze del mercato del lavoro. Flussi migratori più sostenuti saranno sempre più probabili e necessari ed è fondamentale anticipare questi cambiamenti.

[20] COM(2000)757

2.1. Modelli di flusso migratorio nell'UE

Gli Stati membri hanno una lunga tradizione di immigrazione. Nel complesso, essa ha contribuito positivamente alla crescita economica e alla capacità di adattamento del mercato del lavoro, pur considerando che forma e dinamiche dei movimenti migratori hanno mostrato variazioni consistenti da paese a paese e nel corso del tempo. Donne e uomini di nazionalità non UE rappresentavano, nel 2000, il 4 per cento delle persone residenti nell'UE. [21] Nel corso degli anni Novanta, la migrazione netta ha rappresentato la maggior componente di incremento demografico nella gran parte degli Stati membri, fluttuando, alla fine del decennio e per l'intera UE, intorno a una quota totale netta per anno di 850.000 migranti internazionali (ivi inclusi i cittadini UE rimpatriati). Per il 2001, si stima un numero di poco superiore al milione.

[21] Per informazioni più dettagliate, si consultino in particolare: Eurostat, Women and men migrating to and from the EU, Statistics in focus, Theme 3 - 2/2003; Eurostat, First demographic estimates for 2002, Statistics in focus, Theme 3 - 25/2002. Le cifre qui riportate sono desunte dalle due pubblicazioni citate. Si vedano anche le Figure 1 e 2 dell'allegato 2.

Il periodo ha visto, inoltre, ampliarsi e diversificarsi la tipologia dei migranti, dei modelli di flusso e delle combinazioni tra paese di partenza e di arrivo. Talune modifiche relative alle modalità di concessione hanno prodotto un picco di richieste di asilo tra il 1992 e il 1997, perlopiù a causa delle guerre nell'ex Iugoslavia e dei conflitti armati presenti nel mondo. Inoltre, i paesi un tempo terra di emigrazione (gli Stati membri meridionali e l'Irlanda) sono divenuti paesi di immigrazione, nei quali i flussi di ingresso sono superiori al passato e sono costituiti sia da cittadini che rimpatriano, che da persone provenienti in maggioranza da paesi terzi. Considerato l'incremento della popolazione giovane riscontrabile in molti paesi terzi, nonché le differenze sociali ed economiche e l'instabilità politica che li caratterizzano, risulta improbabile un calo della pressione migratoria nel futuro immediato.

Quando, nel 2004, dieci nuovi Stati membri entreranno a fare parte dell'UE, parte di quella che finora è stata considerata immigrazione si trasformerà in mobilità interna. Esperienze passate e stime recenti [22] suggeriscono che la mobilità della manodopera in partenza dai nuovi Stati membri potrebbe rivelarsi contenuta, anche tenendo conto di situazione specifiche nelle regioni di confine. Allo stesso tempo, la dimensione e le dinamiche dell'incidenza dell'immigrazione sul cambiamento demografico nel gruppo EU-25 sono destinate con tutta probabilità ad aumentare, poiché vecchi e nuovi Stati membri presentano tendenze demografiche simili.

[22] Cfr. European Integration Consortium (2001), The impact of Eastern Enlargement on Employment and Labour markets in the EU member States. Le stime suggeriscono che i flussi dai nuovi Stati membri verso i 15 paesi oggi nell'UE potrebbero, nella fase iniziale, ammontare a sole 350.000 persone. Il flusso annuale in ingresso dovrebbe diminuire nel corso del tempo, in misura tale da determinare una stabilizzazione del numero totale di persone provenienti dai nuovi Stati membri e residenti nei 15 paesi UE, numero che, nel 2030, è stimato in circa 3,5 milioni di persone. L'introduzione di periodi transitori avrebbe l'effetto di distribuire i flussi in ingresso su un lasso di tempo più ampio.

2.2. L'incidenza economica dell'immigrazione e l'impatto sull'occupazione [23]

[23] L'impatto sui paesi di origine non è oggetto del presente documento, poiché è stato affrontato con maggiore puntualità in una recente comunicazione della Commissione (COM(2002)703 del 3 dicembre 2002).

Posto che è doveroso considerare l'immigrazione come una fonte di arricchimento culturale e sociale, in particolare per l'apporto in termini di imprenditorialità, diversità e innovazione, risulta altrettanto consistente l'impatto economico che essa esercita sull'occupazione e la crescita, generando un aumento dell'offerta di manodopera e contribuendo a risolvere eventuali strozzature. L'immigrazione, inoltre, mostra un effetto tendenzialmente positivo sulla domanda produttiva e quindi sulla domanda di manodopera.

Studi effettuati in tutto il mondo (p.e. dall'OIL, dal FMI e dall'OCSE) confermano che, in termini generali, l'immigrazione produce un certo numero di effetti economici positivi. [24] E' ormai assodato, per esempio, che l'immigrazione negli Stati Uniti abbia rappresentato uno dei fattori in grado di spiegare il lungo periodo di forte espansione degli anni Novanta, durante il quale si sono prodotte una crescita media annua dell'occupazione dell'1,5 per cento e una crescita economica complessiva di più del 3 per cento. Inoltre, si può affermare che le grandi ondate di immigrazione legale e illegale [25] negli USA, a partire dalla fine degli anni Ottanta, siano la ragione principale del fatto che la traiettoria d'invecchiamento del paese sia migliorata in misura consistente, se confrontata con quella dell'Europa, dalla quale essa oggi si differenzia in termini sostanziali (si veda la Figura 3 dell'allegato). Per contrasto, è sempre più diffusa la convinzione che la stagnazione economica del Giappone nel corso dell'ultimo decennio sia riconducibile, seppure in parte, alla diminuzione della popolazione attiva a partire dalla metà degli anni Novanta, tenendo presente che le rigide limitazioni all'immigrazione hanno mantenuto il flusso in ingresso di migranti a livelli troppo bassi per compensare l'impatto del rapido processo di invecchiamento sull'offerta di manodopera, sull'occupazione e sulla crescita (si veda la Figura 4 dell'allegato).

[24] Nonostante sia dimostrato l'impatto positivo a livello macroeconomico, molte persone considerano in maniera negativa gli effetti dell'immigrazione. Questo atteggiamento può essere collegato al fatto che, seppure l'immigrazione presenti vantaggi economici da un punto di vista generale, i costi e i benefici non sono distribuiti uniformemente. Inoltre, alcuni dei vantaggi di lungo periodo riconducibili all'apporto positivo della popolazione migrante sono difficilmente visibili, al pari dei benefici sulla domanda aggregata, che rappresentano un fattore trainante di crescita economica.

[25] Tra il 1990 e il 2000, alla popolazione degli USA si sono aggiunte quasi 33 milioni di persone. L'immigrazione ha costituito un terzo della crescita demografica negli USA negli anni Ottanta e una quota ancora maggiore negli anni Novanta. Tra il 1995 e il 2000, circa il 40 per cento della crescita demografica è da ascriversi all'immigrazione (ONU, Popolazione mondiale, variante media, revisione 2000). Questo considerevole contributo demografico alla crescita degli USA aiuta a comprendere perché il differenziale di crescita tra USA e UE sia più alto in termini di PIL che di PIL pro capite.

In Europa, la popolazione in età attiva avrebbe già cominciato a decrescere, in alcuni Stati membri, senza la presenza di un flusso in ingresso di migranti (si veda la Figura 5 dell'allegato). Il notevole tasso di crescita registrato dall'Irlanda [26] sembra potersi ascrivere al recente aumento dell'immigrazione, seguito alla modifica del regime dei permessi di lavoro introdotta per risolvere la carenza di manodopera.

[26] Trends in international migration, 2002, OCSE.

In termini di opportunità occupazionali, vi sono ben pochi dati per sostenere che l'immigrazione ha prodotto un aumento della disoccupazione. [27] Nel breve periodo, l'immigrazione può anzi apportare benefici all'occupazione interna, nella misura in cui aumenta la flessibilità dei mercati del lavoro, e questo fatto risulta particolarmente vero nel caso dell'immigrazione temporanea. Inoltre, poiché mediamente i migranti non sostituiscono gli occupati interni, le loro qualifiche e competenze possono essere complementari a quelle dei cittadini UE. Ciò non esclude l'eventualità di effetti negativi su gruppi o settori particolari. I dati empirici indicano che gli effetti indesiderati si concentrano sugli operai del settore manifatturiero e sulla manodopera non qualificata nel settore dei servizi. [28]

[27] J. Coppel e altri, Trends in Immigration and Economic Consequences, ECO/WKP(2001)10

[28] European Integration Consortium (2001), ibid.

I cittadini di paesi terzi tendono a concentrarsi in particolari settori e impieghi, per quanto questa tendenza, nel corso del tempo, tenda a diminuire. Essi, per esempio, rappresentano più del 10 per cento degli occupati nel settore dei servizi domestici e più dell'8 per cento nel settore alberghiero e della ristorazione (a fronte del 3 per cento del numero complessivo di lavoratori occupati). La quota degli occupati in mansioni manuali è superiore, a tutti i livelli di qualifica, a quella dei cittadini UE (ed è quasi doppia per le mansioni manuali senza qualifica, un gruppo nel quale più di un terzo dei posti è di qualità piuttosto bassa [29]). Anche la distribuzione geografica dell'immigrazione varia notevolmente negli Stati membri e nelle regioni, considerando che si riscontra una concentrazione relativamente superiore nelle aree urbane e industriali.

[29] Commissione europea, L'occupazione in Europa 2001.

La concentrazione settoriale dei migranti corrisponde ad una scarsa presenza di barriere all'ingresso e di requisiti relativi a competenze specifiche. Essa dunque può offrire ai cittadini di paesi terzi un punto d'ingresso nel mercato del lavoro e l'acquisizione di competenze quali la conoscenza della lingua del paese ospitante. Allo stesso tempo, un numero relativamente alto di cittadini non UE impiegati in settori caratterizzati da scarsi diritti o ambiti di mobilità entro il mercato del lavoro non godrà di una posizione forte in termini di salari e qualità del lavoro, un fatto, questo, aggravato ulteriormente dalla scarsa partecipazione di tali lavoratori al dialogo sociale. La conseguenza sarà una maggiore riluttanza dei cittadini del paese ad accettare questo tipo di impieghi e un'accentuazione della segmentazione del mercato del lavoro.

L'impatto dell'immigrazione sui salari domestici è compreso tra -0,3 e +0,3 per cento. [30] L'effetto sui salari e sull'occupazione potrebbe rivelarsi più negativo per taluni lavoratori locali, in particolare per quelli scarsamente qualificati, a causa degli effetti sostitutivi, ma potrebbe risultare positivo per quelli altamente qualificati, tramite possibili incrementi di produttività ottenibili grazie alla complementarità tra questi lavoratori e i migranti. L'impatto netto dell'immigrazione sulla finanza pubblica dei paesi ospitanti, ovvero sia sulla spesa pubblica che sulle entrate, si è dimostrato finora contenuto [31] e alcuni dati lasciano intendere effetti complessivamente positivi. Inoltre, gran parte degli studi indicano che i migranti fruiscono dell'assistenza pubblica in misura uguale rispetto ai soggetti della popolazione locale che si trovano nelle stesse condizioni sociali e occupazionali.

[30] H. Brückner, "Can international Migration Solve the Problems of European Labour Markets?", Istituto tedesco di ricerche economiche, aprile 2002, p. 34.

[31] J. Coppel e altri (2002), ibid.

2.3. L'impatto del cambiamento demografico sull'occupazione e sulla crescita economica

L'impatto del cambiamento demografico è stato frequentemente oggetto di dibattito [32] ed è rappresentabile tramite una serie di scenari diversi. Rispettando il presupposto di Eurostat, secondo cui l'immigrazione si manterrà a livelli contenuti, [33] l'invecchiamento demografico porterà la popolazione in età lavorativa del gruppo EU-25 da 303 milioni a 297 milioni nel 2020 e 280 milioni nel 2030. Il decremento è dovuto agli effetti di lunga durata della riduzione dei tassi di fertilità registrata a partire dalla metà degli anni Settanta e si accompagnerà all'aumento del numero di individui al di sopra dei 65 anni. Sulla base degli stessi presupposti [34], il numero di persone al di sopra dei 65 anni passerà da 71 milioni nel 2000 a 93 milioni nel 2020, fino ai 110 milioni del 2030 nel gruppo EU-25, portando con ciò il tasso di dipendenza degli anziani dal 23 al 40 per cento (si vedano le Figure 6 e 7) [35]. Inoltre, la proiezione relativa al numero di persone al di sopra degli 80 anni nel gruppo EU-25 indica un aumento da 16 milioni nel 2000 a circa 30 milioni nel 2030.

[32] Si vedano per esempio la relazione congiunta della Commissione e del Consiglio "Accrescere il tasso di attività e prolungare la vita attiva" e le relazioni sulla situazione sociale nell'Unione europea per il 2002 e, rispettivamente, 2003.

[33] L'attuale scenario di riferimento di Eurostat prevede, per il gruppo EU-15, un flusso annuale netto di migranti in ingresso piuttosto basso, ovvero intorno a 630.000 individui, equivalenti a un aumento netto della popolazione in età lavorativa di circa 450.000 persone.

[34] In particolare, queste proiezioni di lungo termine per l'Unione non tengono conto di alcune evoluzioni di lungo periodo, come l'eventuale ingresso nell'Unione della Turchia.

[35] Con un tasso di occupazione del 70%, il rapporto tra numero di occupati e persone di età superiore a 65 anni calerà da 2,7 del 2010, a circa 2,2 nel 2020, 1,8 nel 2030 e 1,5 nel 2040. Se il tasso di occupazione superasse l'obiettivo di Lisbona crescendo fino al 75% tra il 2010 e il 2020, il calo nel rapporto sopra indicato sarebbe meno marcato, arrivando a 2,4 nel 2020.

Ai fini della presente comunicazione, il significato di questa evoluzione demografica in rapporto alla crescita economica può essere illustrato con uno scenario demografico che preveda il raggiungimento nel 2010 dell'obiettivo di Lisbona, ovvero un tasso di occupazione del 70 per cento, e supponga un tasso costante di occupazione a partire dallo stesso anno. [36] In questo scenario, si può prevedere un calo generale dell'occupazione dopo il 2010 (si veda il grafico qui di seguito), tale da generare una diminuzione del numero di occupati tra il 2010 e il 2030 dell'ordine di 20 milioni di lavoratori per il gruppo EU-25. [37] Con uno scenario alternativo, nel quale si suppone che il tasso di occupazione superi il 70 per cento dopo il 2010 e raggiunga il 75 per cento, il calo del volume di occupati avrebbe comunque luogo ma in un punto temporale successivo e in misura ridotta. Il calo dell'occupazione previsto da questi scenari, in cui si assume un tasso costante di occupazione dopo il 2010 oppure 2020, non può essere invertito da aumenti, peraltro non previsti, dei tassi di fertilità, poiché ci vogliono più di due decenni prima che i nuovi nati raggiungano l'età lavorativa e contribuiscano alla crescita della quota generale di occupati.

[36] In modo da illustrare le conseguenze del cambiamento demografico in quanto tale, si considerano le stesse ipotesi di flusso migratorio.

[37] 13 millioni di lavoratori per il gruppo EU-15.

Scenario dei futuri livelli di occupazione (EU-25, periodo 2000-2030)

Numero totale di occupati (in milioni) assumendo un tasso di occupazione del 70 % nel 2010 e nel periodo successivo fino al 2030

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Il calo del volume totale di occupati implica che l'occupazione contribuisca negativamente alla crescita economica, considerato che quest'ultima è il prodotto dell'impatto combinato di crescita dell'occupazione e della produttività. Il contributo negativo dell'occupazione alla crescita economica potrebbe trovare compensazione in una maggiore crescita della produttività. Tuttavia, rispettando lo scenario demografico sopra illustrato, per compensare il calo del numero di occupati, un tasso medio di crescita del PIL del 2,5 per cento (la crescita media dell'UE a partire dal 1990) dovrebbe accompagnarsi a una crescita della produttività del 2,8 per cento tra il 2010 e il 2020, e di oltre il 3 per cento tra il 2020 e il 2030. Per ottenere un tasso di crescita superiore al 3%, l'aumento di produttività dovrebbe essere persino più alto, la qual cosa rappresenterebbe un'estrapolazione della performance prevista a Lisbona (si veda la Figura 8 dell'allegato). Assumendo che le altre variabili che incidono su produttività e crescita non mostrino alcuna variazione, i risultati sono indicativi della portata degli effetti causati dal raggiungimento e dal mantenimento nel tempo dell'obiettivo di Lisbona di un tasso di occupazione del 70 per cento entro il 2010.

Pur evitando di sottostimare il potenziale delle tecnologie che consentono economie di manodopera, l'eventualità che la crescita di produttività raggiunga i livelli sopra menzionati risulta discutibile, se si considerano le tendenze passate: per il gruppo EU-15, la produttività del lavoro è cresciuta in media del 4,5 per cento negli anni Sessanta, del 2,5 per cento negli anni Settanta e del 2 per cento negli anni Ottanta, prima di subire un calo tendenziale e stabilirsi intorno all'1,2 per cento. L'impatto sulla produttività del calo di occupati e dell'invecchiamento della forza lavoro non sarà necessariamente positivo. Esso si concretizzerà tramite una gamma di canali, tra i quali citiamo l'introduzione di tecnologie che consentono economie di manodopera in conseguenza della contrazione dei mercati del lavoro, la difficoltà dei lavoratori anziani di adattarsi alle nuove esigenze del mercato del lavoro, modifiche del tasso di risparmio in grado, per contro, di condizionare l'andamento degli investimenti e l'applicazione dell'innovazione a nuovi beni di investimento [38], il rischio di un calo del rendimento degli investimenti in capitale umano in presenza di una popolazione anziana, un diverso andamento degli investimenti nella ricerca [39], le trasformazioni tecnologiche e le modifiche della mobilità complessiva a livello settoriale e geografica, in conseguenza della riduzione della quota di lavoratori giovani entro la forza lavoro.

[38] Rispettando il modello del ciclo di vita, si dovrebbe prevedere un certo calo del tasso di risparmio in funzione dell'invecchiamento. Tuttavia, l'effetto negativo a carico degli investimenti potrebbe essere attenuato da nuove opportunità legate all'aumento dei rendimenti degli investimenti diretti esteri (si veda la Relazione annuale sull'economia 2002, capitolo 4).

[39] Si veda in particolare l'obiettivo di Barcelona di intensificare gli investimenti nella ricerca (COM(2003)226 e SEC(2003)489).

In generale, pur considerando che è difficile prevedere la combinazione dei fattori che incidono sulla produttività, è dubbio che si riesca ad ottenere la crescita di produttività necessaria a compensare il calo del numero di occupati. Senza l'aumento dell'occupazione prodotto da una maggiore immigrazione ed escludendo che la crescita di produttività possa superare la forbice attuale (0,5-1,5%), la crescita media del PIL nell'UE, calcolata in base allo scenario descritto, è destinata a rallentare fino a raggiungere l'1 per cento nel periodo 2010-2020 e lo 0,6 per cento nel periodo 2020-2030.

Un simile scenario non tiene conto dei molteplici processi di adeguamento che l'economia può adottare. Si prevede che tali adeguamenti riguardino variabili quali i tassi di cambio e di interesse, il livello e la composizione del risparmio, consumi e investimenti, nonché i flussi internazionali di capitali e beni e servizi tra le aree interessate, a gradi differenti, dall'invecchiamento della popolazione. Nella Relazione annuale sull'economia del 2002, la Commissione ha incluso questo tipo di effetto in un modello di equilibrio generale, stimando che l'impatto dell'invecchiamento demografico sulla crescita del PIL pro capite comporti una riduzione dello 0,4 per cento del tasso annuo di crescita nel periodo 2000-2050. Queste stime, tuttavia, non prendono in considerazione la possibilità che l'azione politica si modifichi per rispondere alle dinamiche di invecchiamento, né gli effetti positivi di tali modifiche sulla crescita complessiva [40].

[40] Le cifre riportate nella Relazione annuale sull'economia del 2002 non sono direttamente comparabili con quelle indicate negli scenari demografici, poiché queste ultime fanno riferimento al PIL e non al PIL pro capite e partono dall'assunto che si realizzi l'obiettivo di Lisbona di un tasso di occupazione del 70%.

Già è possibile registrare, tuttavia, un impatto considerevole dell'invecchiamento demografico sui sistemi di protezione sociale [41]. Un aumento dell'occupazione avrebbe anche l'effetto di ridurre il peso di altre tipologie di spesa assistenziale, quali le prestazioni di disoccupazione. Tuttavia, anche raggiungendo un tasso di occupazione del 70 per cento e mantenendo tale tasso invariato nei decenni seguenti, il tasso di dipendenza degli anziani continuerebbe a crescere (si veda la Figura 7 dell'allegato). Per tale ragione, è necessario sottolineare che l'immigrazione può contribuire ad una maggiore sostenibilità della spesa pensionistica, nella misura in cui riesce a limitare il calo tendenziale del volume di occupati dopo il 2010. Tuttavia, in un periodo più lungo, solo un aumento significativo dei tassi di fertilità può limitare l'impatto dell'invecchiamento sui sistemi di protezione sociale.

[41] Per un'analisi più accurata, si veda la Relazione annuale sull'economia del 2002 e la relazione congiunta per il 2002 del Consiglio e del comitato per le pensioni.

2.4. Prospettive occupazionali e potenzialità dell'immigrazione

Per quanto le implicazioni economiche della trasformazione socio-demografica saranno pienamente visibili solo con il tempo, si possono già constatare alcuni effetti causati dalla trasformazione della struttura demografica e dalla diversa tipologia delle competenze della popolazione in età lavorativa [42]. In particolare, già nel corso del recente ciclo economico e con frequenza crescente, sono state riferite carenze di manodopera poi protrattesi nell'ultima fase di stasi economica, tenendo tuttavia presente che si tratta di un aspetto difficile da monitorare e valutare. Per rispondere a queste sfide e realizzare gli obiettivi indicati a Lisbona, l'UE deve innanzi tutto mobilitare le proprie risorse umane, ivi inclusi i migranti che soggiornano nell'UE. Tuttavia, poiché il problema della carenza di forza lavoro tende ad acutizzarsi, appare dubbio che i mercati del lavoro dell'UE siano in grado di fornire un numero di occupati sufficiente a soddisfare la domanda di manodopera.

[42] Per un'analisi delle trasformazioni strutturali dei mercati del lavoro europei, si veda "L'occupazione in Europa 2002".

Nel breve periodo, l'immigrazione può contribuire a ridurre le carenze di manodopera riscontrate soprattutto nei settori delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, delle tecnologie avanzate e della sanità e in relazione a taluni impieghi scarsamente qualificati. L'esperienza del passato recente, durante il quale alcuni settori hanno rilevato una consistente carenza di manodopera (p.e. il settore delle tecnologie dell'informazione, i servizi sanitari, l'edilizia), dimostra che il ricorso alla forza lavoro locale non è una via così facilmente percorribile. Un modo per affrontare il problema sarebbe di fare maggiormente uso, come previsto dall'Accordo generale sugli scambi di servizi dell'OMC (GATS), della possibilità di negoziare impegni che consentano l'ingresso temporaneo di persone intenzionate a fornire un servizio (il cosiddetto "Mode 4"). [43] Ciò potrebbe essere particolarmente importante in settori come le TI, in cui società di paesi terzi stanno vincendo contratti per fornire, ad esempio, servizi di software delocalizzati. I servizi sono prodotti nel paese terzo, ma di solito occorre che un certo numero di professionisti alle dipendenze del fornitore del servizio possano lavorare temporaneamente nel paese in questione per assicurare la corretta esecuzione del contratto. Attualmente le condizioni cui è subordinato questo tipo di ingresso variano notevolmente da uno Stato membro all'altro. Nel medio termine, la carenza di manodopera si intensificherà fino a generalizzarsi e riguardare non solo le qualifiche superiori ma anche quelle basse. La sfida più importante sarà di attrarre e reclutare migranti adatti a diventare forza lavoro nell'UE, in modo da sostenere la crescita economica e di produttività. In un contesto in cui si fa sempre più marcata la scarsa reciprocità tra domanda e offerta di competenze e l'assenza di alcune di queste, un aspetto, questo, che richiede tempo per essere risolto, si è ormai compreso che l'immigrazione economica può svolgere un ruolo utile per risolvere gli squilibri del mercato del lavoro, posto che i migranti dispongano delle qualifiche appropriate.

[43] E' il caso di notare che questo tipo di immigrazione temporanea è destinata ad espandersi nel settore dei servizi, in conseguenza dei negoziati attualmente in corso in sede di Agenda di Doha per lo sviluppo, poiché l'Accordo generale sugli scambi di servizi dell'Organizzazione mondiale del commercio prevede la possibilità di negoziare impegni che consentano l'ingresso temporaneo di persone in grado di offrire un servizio (il cosiddetto "Mode 4"). L'UE fa già uso di questo meccanismo per indicare la disponibilità ad accettare l'ingresso di taluni migranti altamente qualificati (per esempio nel caso di trasferimenti entro una stessa società).

Può rivelarsi difficile gestire in termini pratici forma e dinamiche dei futuri flussi migratori in modo da adattarli all'economia dell'UE, poiché l'immigrazione trova ragione in una molteplicità di fattori che non sempre ricadono nell'ambito di una singola autorità pubblica. Tuttavia, i governi sono sempre più consapevoli di quanto sia necessaria, ai fini dell'integrazione nel mondo del lavoro, un'impostazione concreta e lungimirante ai problemi dell'immigrazione, e sono consci del fatto che l'UE, a meno di considerare l'immigrazione legale secondo un approccio più aperto, rischia di esporsi a maggiori pressioni e di assistere ad un aumento dell'immigrazione illegale. Molti paesi OCSE e UE hanno già avviato programmi specifici o introdotto modifiche legislative, allo scopo di facilitare l'accesso ai mercati del lavoro per i lavoratori migranti qualificati, in particolare per quelli altamente qualificati come i ricercatori e gli ingegneri di software. Alcuni paesi stanno anche valutando l'opportunità di introdurre politiche di immigrazione selettive in ambito occupazionale, al fine di ridurre la carenza di manodopera, ma si tenga presente che obiettivi e procedure possono variare in modo consistente da paese a paese.

Si tratta di politiche di non facile progettazione, le cui potenzialità e i cui limiti richiedono una valutazione più attenta e sorretta da migliori informazioni statistiche. Tuttavia, anche in presenza di dati più precisi, sarebbe illusorio ritenere che si possano prevedere con accuratezza le future esigenze del mercato del lavoro in termini di settori e impieghi. I migranti maggiormente in grado di contribuire all'incontro di domanda e offerta sono quelli in grado di adattarsi opportunamente a condizioni in continuo mutamento, in termini di qualifiche, esperienze e capacità personali. I meccanismi di selezione vanno diretti verso questa tipologia di migrante potenziale e devono offrire condizioni in grado di attrarlo. Si tratta di un aspetto che probabilmente causerà una maggiore competizione entro l'Unione e tra i paesi OCSE, la quale, a sua volta, richiede un'opera di coordinamento che garantisca regole uniformi.

Inoltre, accade di frequente che le autorità pubbliche si mostrino disponibili a consentire solo un'immigrazione di tipo temporaneo o addirittura stagionale ma si tratta di un'impostazione spesso irrealistica. Esperienze precedenti nel campo dell'immigrazione hanno dimostrato che è estremamente difficile mantenere regimi di immigrazione temporanea, perché le persone che vogliono poi restare in genere trovano il modo di farlo. Si deve anche tenere a mente che l'integrazione effettiva e il contributo dei migranti al mercato del lavoro possono richiedere un certo tempo per realizzarsi e che, per attenuare gli squilibri demografici previsti nel medio termine, si dovrà ricorrere in larga parte all'immigrazione di tipo permanente.

In termini occupazionali, il successo di politiche di immigrazione complessive dipenderà dalla capacità dell'UE di avvalersi pienamente del potenziale rappresentato dall'immigrazione e di conservare al contempo la coerenza con i più ampi obiettivi di politica sociale, economica, estera, commerciale e di sviluppo. Il ricorso ai migranti non deve andare a detrimento dei paesi in via di sviluppo, soprattutto per quanto concerne la fuga di cervelli, [44] ma non deve nemmeno condurre a persistenti discrepanze, nell'UE, nella distribuzione settoriale e occupazionale dei migranti e dei cittadini. Si otterrebbero squilibri in grado di generare mercati del lavoro chiusi, di compromettere l'aumento della qualità complessiva del lavoro, che è l'elemento centrale della strategia europea per l'occupazione, e di causare una dipendenza permanente dall'immigrazione per coprire le mansioni scarsamente qualificate. Dare forma all'immigrazione richiede anche un certo controllo su eventuali modifiche dello status dei migranti e della durata del loro soggiorno ed impone di affrontare la questione del lavoro sommerso dei migranti, nel contesto di un approccio complessivo alla materia.

[44] Si veda la discussione illustrata nella comunicazione sulle relazioni con i paesi terzi (COM(2002)703).

Infine, le tipologie non economiche di immigrazione (p.e., riunificazione familiare e rifugiati) avranno sempre un certo peso nei flussi migratori ed è dunque importante conoscere e sviluppare le attitudini e le competenze dei migranti che arrivano nell'UE tramite questi canali.

2.5. L'immigrazione può risolvere la questione del cambiamento demografico?

L'ipotesi di avvalersi dell'immigrazione sostitutiva per risolvere le esigenze legate al calo e all'invecchiamento della popolazione UE è stata ampiamente studiata. [45] Come già indicato più sopra, un aumento nullo degli attuali flussi netti si traduce in tassi significativamente più bassi di occupazione e di crescita economica. Allo stesso tempo, il ricorso all'immigrazione per compensare integralmente l'impatto dell'invecchiamento demografico sul mercato del lavoro non rappresenta un'opzione realistica. Oltre a quanto detto, si deve tenere anche presente, nel discutere di migrazione netta, che esiste un'emigrazione dall'UE ma forma e dinamiche del fenomeno sono di difficile previsione. [46]

[45] Si veda, per esempio, ONU (2000), Replacement Migration: Is it a Solution to Declining and Ageing Populations?, Divisione demografica, Dipartimento per gli affari economici e sociali, New York.

[46] Come già si è precisato, il valore netto dei flussi migratori non mostra la dimensione dei movimenti in entrata e in uscita.

Il mantenimento allo stesso livello della popolazione in età attiva, e ancora di più del tasso di dipendenza degli anziani, richiederebbe un massiccio incremento dell'immigrazione fino al 2030. Un limite notevole di tale aumento, in termini economici, consistere nel fatto che anche la popolazione migrante è soggetta ad invecchiamento generale, in linea con i modelli demografici della popolazione locale. E dunque, fatti salvi i presupposti sopra indicati, un "boom dell'immigrazione", nel corso dei prossimi decenni, determinerebbe una situazione simile a quella riscontrabile oggi ma in un punto temporale successivo. Inoltre, in termini di coesione sociale, un afflusso massiccio di migranti estenderebbe in misura consistente la portata della sfida dell'integrazione.

Tuttavia, flussi di immigrazione più sostenuti sono sempre più probabili e necessari. Considerate la tendenza alla contrazione della popolazione in età lavorativa in Europa e la presenza di fattori che sollecitano pressioni migratorie di varia natura dai paesi in via di sviluppo, si ritiene probabile un flusso sostenuto di migranti nel corso dei prossimi decenni. Tenendo comunque presente che l'immigrazione non può risolvere il problema dell'invecchiamento della popolazione, essa può contribuire a soddisfare esigenze presenti e future dei mercati del lavoro dell'UE e, inoltre, a distribuire su un periodo di tempo più lungo gli effetti della transizione demografica previsti per il periodo 2010-2030. Sarà dunque fondamentale individuare le modalità di gestione di queste pressioni migratorie, per mezzo di opportune politiche di ingresso e di insediamento, e altrettanta importanza andrà annessa all'obiettivo di conseguire i benefici potenziali dell'immigrazione e agevolare l'integrazione dei migranti, tramite politiche più efficaci in materia di immigrazione e integrazione a livello locale, regionale, nazionale e comunitario.

3. LA SFIDA DELL'INTEGRAZIONE: UN APPROCCIO MULTISETTORIALE

L'effettiva integrazione dei migranti è una questione che riguarda certamente la coesione sociale ma costituisce anche un prerequisito di efficienza economica. Nel contesto dell'agenda di Tampere e di quella di Lisbona, e alla luce delle sfide illustrate più sopra, è fondamentale che si riesca a garantire un'integrazione efficace tanto dei migranti già stabiliti nell'UE, quanto dei migranti futuri. Il persistere di alcune questioni relative ai gruppi di migranti oggi presenti nell'UE dimostra che è necessario un maggiore impegno. [47] Un tipico esempio di questo genere di questioni è rappresentato dalla presenza di bassi tassi di occupazione e di alti tassi di disoccupazione anche tra i migranti di seconda generazione.

[47] Per un panorama aggiornato dei progetti UE in materia, attuati nel contesto del quarto programma quadro di ricerca e sviluppo, si veda la relazione "Migration and integration as challenges to European society: assessment of research reports carried out for the European Commission" (Immigrazione e integrazione: sfide alla società europea. Valutazione dei rapporti tecnici eseguiti per la Commissione europea), Programma specifico di ricerca socioeconomica mirata (TSER), reperibile al seguente indirizzo web:

3.1. Definizioni e ambito

Ai fini della presente comunicazione, per integrazione si deve intendere un processo biunivoco, che si fonda sulla presenza di reciproci diritti e, conseguentemente, obblighi per i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente e per la società ospitante che offre una piena partecipazione al migrante. Ciò implica, da una parte, che la società ospitante si assuma la responsabilità di garantire la presenza di diritti formali a favore dei migranti, tali da consentire agli stessi di partecipare alla vita economica, sociale, culturale e civile, e, dall'altra parte, che i migranti rispettino norme e valori fondamentali della società che li ospita e partecipino attivamente al processo di integrazione, senza essere costretti a rinunciare alla propria identità.

Nella comunicazione del novembre 2000, [48] la Commissione ha richiamato l'attenzione sulle tante e diverse categorie di migranti che dovrebbero beneficiare di misure di integrazione, tra i quali i principali sono i lavoratori migranti, i familiari ammessi in base a disposizioni in materia di riunificazione familiare, i rifugiati e le persone che fruiscono di protezione internazionale. L'integrazione implica uno sviluppo equilibrato di diritti e doveri nel corso del tempo, nel senso che i diritti e i doveri che un migrante acquisisce devono essere proporzionali alla durata del suo soggiorno in uno Stato membro. Un simile "approccio incrementale" comporta che tutti i cittadini di paesi terzi debbono poter accedere a misure di integrazione il prima possibile dopo il loro arrivo e, in ogni caso, non appena il loro soggiorno acquisisce natura permanente o stabile. Anche i migranti di seconda e terza generazione che siano nati nell'UE o abbiano acquisito in seguito la cittadinanza e i migranti provenienti da ex colonie che già detengono la cittadinanza del paese ospitante, hanno spesso l'esigenza di poter accedere a misure di integrazione specifiche.

[48] COM(2000)757

Le misure di integrazione devono essere accessibili anche ai rifugiati, ivi inclusi i rifugiati reinseriti e le persone che fruiscono di protezione sussidiaria o temporanea. [49] Al pari di altre categorie di migranti, essi si differenziano per tipologie di bisogni [50] e lunghezza del soggiorno. [51] I richiedenti asilo, tuttavia, costituiscono un gruppo speciale di cittadini dei paesi terzi, poiché non posseggono lo status normalmente attribuito a chi soggiorna legalmente e il loro soggiorno non ha natura né permanente né stabile. E' certamente vero che, poste alcune condizioni, anche questa categoria necessiti di misure di integrazione, o meglio di politiche finalizzate alla loro introduzione nel paese di asilo, ma la questione esula dall'ambito di questa comunicazione e non può essere discussa nel dettaglio. [52]

[49] Direttiva 2001/55/EC del Consiglio del 20 luglio 2001, GU L 212 del 7.8.2001.

[50] Si veda più oltre la sezione 3.5.1, dedicata ai bisogni specifici dei rifugiati in condizione di vulnerabilità.

[51] Per quanto, a livello comunitario, sia stata fissata la durata massima del soggiorno concesso a titolo di protezione internazionale temporanea e considerando che vi sono lavoratori migranti che soggiornano nell'Unione soltanto per un breve periodo prefissato, va comunque sottolineato che tali persone possono avere legittime ragioni per prolungare il soggiorno legale entro l'UE.

[52] Le misure di integrazione per i richiedenti asilo sono oggetto specifico di alcune disposizioni della proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime sull'accoglienza delle domande di asilo negli Stati membri (COM(2001)181 del 3 aprile 2001); si veda in particolare l'articolo 31.

3.2. La necessità di un approccio multisettoriale

Nelle comunicazioni del 2000 e del 2001, [53] la Commissione ha indicato un certo numero di principi a cui devono attenersi le politiche di integrazione e quanto detto allora non ha perso validità in relazione alla situazione odierna. Il più importante di questi principi è l'esigenza di un approccio multisettoriale che tenga conto non solo degli aspetti economici e sociali dell'integrazione ma anche delle questioni legate alla diversità culturale e religiosa, alla cittadinanza, alla partecipazione e ai diritti politici. Seppure le priorità possano variare da paese a paese e da regione a regione, è necessario che le politiche di integrazione vengano pianificate in un quadro complessivo e coerente di lungo periodo. Allo stesso tempo, esse devono rispondere ai bisogni specifici di taluni gruppi particolari e devono adattarsi alle condizioni locali. Si tratta dunque di politiche che implicano l'istituzione di partenariati tra un'ampia gamma di soggetti interessati e hanno bisogno di risorse adeguate. I membri delle comunità interessate di migranti interessate, ivi incluse le donne e le persone che fruiscono di protezione internazionale, devono partecipare all'elaborazione, allo sviluppo, all'organizzazione e alla valutazione dei programmi e delle politiche che li riguardano.

[53] COM(2000)757 e COM(2001)387

Seppure la presenza di programmi specifici di integrazione costituisca un elemento importante nella fase iniziale dell'integrazione, l'obiettivo di lungo periodo dovrebbe essere quello di consentire ai migranti di accedere ai servizi esistenti e di garantire che questi tengano conto dei loro specifici bisogni. E' il caso di notare, in tale contesto, che molte misure di integrazione sono in grado di svolgere una doppia finalità, ovvero promuovere l'integrazione nel paese ospitante ma anche predisporre il rimpatrio. [54] Per citare un esempio, la gran parte delle misure in materia di istruzione, compresa la formazione professionale, forniscono alla persona interessata qualifiche, che potrebbero rivelarsi utili allo sviluppo del paese di origine, in caso il migrante decida di tornarvi.

[54] Le persone che necessitano di protezione internazionale prevedibilmente fanno ritorno in patria non appena la situazione nel paese di origine lo consente ma il principio vale anche per i migranti che soggiornano per un breve periodo.

3.3. Elementi fondamentali delle politiche multisettoriali di integrazione

L'esigenza di un approccio multisettoriale rimanda alla presenza di politiche complessive di integrazione. Nella sezione che segue, verranno discussi un certo numero di elementi e di questioni, che risultano essenziali e di particolare rilevanza ai fini di un'efficace strategia di integrazione. Le questioni sollevate e le sfide individuate sono, allo stesso tempo, elementi suscettibili di ulteriori discussioni e scambi di informazioni e di migliori pratiche tra gli Stati membri.

3.3.1 L'integrazione nel mercato del lavoro

L'accesso al mercato del lavoro è fondamentale per garantire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi nella società e la gran parte dei migranti e delle persone che fruiscono di protezione internazionale dispone di qualità e competenze di cui l'Unione europea oggi ha bisogno. La loro piena integrazione nel mercato del lavoro dell'UE può contribuire ulteriormente a fare in modo che l'economia europea sviluppi appieno il proprio potenziale in termini di competitività, crescita e occupazione. Gli attuali tassi di occupazione dei migranti mostrano, tuttavia, che il loro contributo potenziale non sempre si realizza compiutamente. Il tasso di occupazione dei cittadini di paesi terzi, 52,7%, è significativamente più basso di quello dei cittadini UE, attestato al 64,4% (si veda la Figura 9 dell'allegato). La differenza risulta particolarmente marcata tra le donne. Allo stesso tempo, i migranti sono maggiormente presenti nei settori occupazionali più rischiosi, nel lavoro sommerso di bassa qualità e nei segmenti di popolazione particolarmente esposti a rischi sanitari e all'esclusione sociale. Inoltre, i migranti istruiti e qualificati sono spesso incapaci di trovare un impiego che corrisponda alle loro qualifiche e devono accettare lavori meno qualificati e meno pagati.

Per massimizzare il contributo potenziale dei migranti, è dunque importante tenere conto dell'esperienza da essi già acquisita e delle qualifiche ottenute al di fuori dell'UE, la qual cosa richiede il riconoscimento e un'adeguata valutazione delle qualifiche formali e informali (ivi inclusi i diplomi). Quanto detto, tuttavia, implica anche la necessità di affrontare con maggiore attenzione la questione dell'eliminazione di eventuali barriere che ostacolino la reperibilità e il mantenimento di un impiego, come, per esempio, l'assenza di flessibilità nei requisiti per l'assunzione o la presenza di restrizioni normative riguardanti, tra le altre, le competenze linguistiche e la cittadinanza. [55] La discriminazione sul posto di lavoro e i comportamenti razzisti sono barriere certamente rilevanti e in quanto tali vanno eliminate. Un impegno particolare va profuso nell'opera di valutazione e aggiornamento delle competenze professionali dei migranti, ivi incluse le capacità linguistiche, in modo che questi siano in grado di accedere al mercato del lavoro e, successivamente, alla formazione permanente su un piano di parità rispetto ai cittadini del paese ospitante. [56] Queste politiche attive in materia di mercato del lavoro dovrebbero anche incentivare l'integrazione dei migranti nei mercati del lavoro, ponendosi l'obiettivo di ridurre della metà, entro il 2010, la differenza oggi esistente tra il tasso di disoccupazione dei cittadini dell'UE e quello dei cittadini di paesi terzi. [57] Le parti sociali possono svolgere un ruolo importante in quest'area, in particolare per garantire che i lavoratori migranti vengano trattati su un piano di parità in relazione a salari e condizioni di lavoro e che si individuino le modalità utili ad affrontare esigenze specifiche.

[55] Conferenza europea su un'efficace integrazione nel mercato del lavoro, Copenhagen 4-5 luglio 2002.

[56] Si veda anche il parere del Comitato economico e sociale su immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata, 21 marzo 2002.

[57] Si veda la proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, COM(2003)176 del 8 aprile 2003, p. 13.

La gestione della diversità, ovvero delle diversità in termini di manodopera, stile di vita e ruolo delle imprese nella società, può essere uno strumento importante per promuovere l'integrazione dei migranti nel mercato del lavoro. Essa può anche dimostrarsi una strategia efficace e vantaggiosa per i datori di lavoro, poiché contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell'impresa grazie ad un'attenzione specifica per le opportunità commerciali derivanti da una maggiore diversità del corpo sociale e per mezzo di una piena considerazione delle competenze offerte da dipendenti di diversa origine e formazione (p.e., competenze linguistiche e comprensione interculturale). La gestione della diversità non consiste solo nel reclutare manodopera diversificata ma anche nel gestire e adattare l'organizzazione in modo da trarre vantaggio da tale diversificazione. L'esperienza internazionale mostra che l'attuazione di simili strategie ha apportato notevoli vantaggi a molte imprese e istituzioni pubbliche. Per quanto l'integrazione nel mercato del lavoro costituisca un elemento fondamentale del processo complessivo, essa non può realizzarsi nel lungo periodo se non appoggiandosi ad un'integrazione generalizzata dei migranti nella vita sociale, culturale e politica del paese ospitante. [58]

[58] Conferenza europea su un'efficace integrazione nel mercato del lavoro, ibid.

3.3.2 Istruzione e competenze linguistiche

Istruzione e formazione sono fattori essenziali di un'integrazione efficace. I migranti incontrano notevoli difficoltà in relazione al riconoscimento dei titoli accademici, la qual cosa ostacola l'efficacia dei servizi educativi di orientamento. E' possibile che i tassi di occupazione comparativamente più bassi dei cittadini di paesi terzi siano il riflesso di un'insufficiente preparazione scolastica (si veda la Figura 10 dell'allegato). Una preoccupazione fondamentale di molti Stati membri riguarda la capacità dei migranti di parlare la lingua del paese ospitante. Si ritiene che la barriera principale a un'integrazione efficace sia proprio la scarsa conoscenza della lingua ma, nel contempo, molti Stati membri ribadiscono che una scarsa competenza linguistica non può inibire l'accesso al mercato del lavoro o al sistema educativo. Al contrario, essi ritengono che la partecipazione alla vita lavorativa o ad attività di istruzione o formazione contribuisca allo sviluppo delle necessarie conoscenze linguistiche. Tenendo conto delle esigenze legate alla custodia dei bambini e delle dimensioni culturale e religiosa, questa impostazione è particolarmente importante in relazione alle donne, perché consente loro di seguire corsi di lingua e, ancora di più, perché in tal modo si interviene sulle abilità linguistiche dei figli delle stesse.

E' il caso di ricordare che la funzione essenziale del sistema educativo non si esplica solo nell'acquisizione di conoscenze. Esso rappresenta anche il luogo in cui apprendere informazioni formali e informali sulle norme e i valori della società ospitante e va considerato un ponte culturale. Tanto per la popolazione migrante che per la società ospitante, il sistema educativo costituisce uno strumento importante di promozione del pluralismo e della diversità e, di conseguenza, di lotta contro la discriminazione.

E' dunque necessario affrontare una gamma di questioni legate all'istruzione dei bambini migranti. Il curricolo deve riflettere la loro diversità e va sollecitata una stretta cooperazione tra genitori, comunità di migranti e scuole, affrontando problemi specifici, come quelli che emergono nelle scuole frequentate da un gran numero di bambini migranti.

3.3.3 Alloggi e questioni urbane

La distribuzione spaziale dell'immigrazione varia notevolmente tra gli Stati membri e le regioni, considerando che si constata una concentrazione relativamente alta nelle aree urbane e in quelle industrializzate. I problemi di integrazione si presentano soprattutto nelle aree multietniche, peraltro spesso in condizioni degradate, nelle quali razzismo e xenofobia impediscono ai migranti di sviluppare un senso di appartenenza e di partecipazione. Il luogo di lavoro ha evidentemente un certo impatto sulla scelta del luogo di residenza, scelta che peraltro è condizionata anche dai modelli delle migrazioni precedenti e dalla presenza di comunità già residenti. I migranti costituiscono oggi una quota crescente di abitanti delle città e delle aree urbane ed è prevedibile che il loro numero aumenti nel corso dei prossimi decenni. L'accesso alla casa è un requisito di base dell'integrazione e migranti e rifugiati sono spesso costretti a misurarsi, nelle aree multietniche, con la mancanza di alloggi di qualità a prezzi accessibili.

Questa situazione, che spesso porta un gran numero di migranti a vivere in aree urbane degradate, va ricondotta a un certo numero di fattori "di scelta e di necessità", quali la possibilità di trovare alloggio e lavoro, il desiderio di vivere vicino ai parenti e di conservare le reti di rapporti familiari e la discriminazione. [59] Il concentramento residenziale di una comunità etnica, che crea il cosiddetto ghetto, tende a isolare la comunità stessa e a toglierle ogni possibilità di partecipare alla vita sociale nel suo complesso. Per quanto la presenza di salde reti locali possa portare nuova vita e rigenerare quartieri in condizione di degrado, per esempio creando piccole imprese, la segregazione sociale e etnica nelle città rischia di essere una grande barriera per l'integrazione.

[59] Conferenza europea su un'efficace integrazione nel mercato del lavoro, Copenhagen 4-5 luglio 2002.

Questi ostacoli possono essere superati per mezzo di strategie complessive di pianificazione urbana e regionale, che tengano conto, per esempio, delle esigenze del mercato del lavoro locale e di elementi quali infrastrutture, alloggi, intrattenimento, negozi, servizi sanitari, trasporti e servizi educativi. Tali strategie possono consentire di ridurre le conseguenze negative della segregazione urbana, per esempio le tensioni sociali tra i migranti e la popolazione ospitante. L'alta concentrazione e la segregazione spaziale sono poi fattori che determinano molte delle condizioni favorevoli al diffondersi dell'immigrazione clandestina e del contrabbando, fenomeni che stimolano lo sviluppo di atteggiamenti discriminatori nella società ospitante.

3.3.4 Servizi sanitari e sociali

L'accesso ai servizi sanitari e sociali a favore dei migranti è un'altra area rilevante, entro la quale l'adeguamento delle politiche esistenti può risultare necessario. Le comunità di migranti possono sviluppare particolari problemi sanitari in conseguenza della loro condizione (p.e., la separazione dai familiari o le incertezze derivanti dal loro status, specie se temporaneo). Anche un modello caratterizzato da insicurezza materiale e da condizioni miserabili di vita e di lavoro può dare luogo a problemi sanitari, peraltro largamente prevenibili quando si pongano in essere politiche appropriate. I migranti, inoltre, incontrano difficoltà nell'accedere a servizi sanitari e sociali di alta qualità. E' necessario dunque affrontare un certo numero di questioni, quali la presenza di informazioni adeguate a beneficio delle comunità di migranti e la disponibilità di una formazione supplementare per quanti si occupano di fornire tali servizi. Per prevenire la discriminazione e garantire che i servizi sanitari tengano conto delle barriere culturali e siano sensibili alle specificità delle comunità alle quali vengono forniti, è utile che la fornitura e la pianificazione di tali servizi preveda una maggiore presenza di persone di diversa origine etnica.

3.3.5 L'ambiente sociale e culturale

Il coinvolgimento e la partecipazione attiva alla vita civile dei migranti e delle persone che fruiscono di protezione internazionale è di particolare importanza. Si constata la necessità di misure che promuovano la partecipazione, per esempio, nelle associazioni sportive, nei consigli scolastici o in altre manifestazioni di vita comunitaria. I migranti devono essere sollecitati a prendere parte al dibattito pubblico. L'incontro con gli altri è un passo importante per inserirsi e diventare parte della società ospitante. L'interazione tra culture e religioni diverse andrà a beneficio della tolleranza e del rispetto. In quest'ambito, sono necessari nuovi sforzi, considerate la tendenza sempre più diffusa di imputare all'immigrazione la mancanza di sicurezza sociale e una generica ostilità verso i musulmani, emersa dopo i fatti dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti. E' indispensabile dunque diffondere informazioni corrette sui migranti e sul contributo positivo che essi forniscono, in termini culturali ed economici, ai nostri sistemi sociali, poiché perdere questa sfida comporterebbe l'acutizzarsi del rancore e dell'esclusione sociale, oltre che una maggiore diffusione del razzismo e della xenofobia. La promozione di un atteggiamento genericamente positivo dell'opinione pubblica nei confronti dei migranti richiede una guida politica forte e un chiaro impegno finalizzato alla promozione di società pluraliste e alla condanna del razzismo. In questo senso, la classe politica e i mezzi di informazione hanno una responsabilità primaria, considerando la loro funzione educativa nei confronti dell'opinione pubblica. Essi dovrebbero rappresentare un esempio per la società civile, enfatizzando il valore del contributo reso dai migranti e garantendo che l'attenzione complessiva alle questioni dell'integrazione e i toni del dibattito siano improntati all'equilibrio e alla presenza di informazioni accurate.

3.3.6 Nazionalità, cittadinanza civile e rispetto delle diversità

Il Consiglio europeo di Tampere ha approvato, nelle relative conclusioni, l'obiettivo di offrire ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente per lungo tempo nell'UE, l'opportunità di ottenere la cittadinanza dello Stato membro in cui soggiornano. E' ampiamente riconosciuto che l'acquisizione della nazionalità è un mezzo per agevolare l'integrazione, seppure questa non debba diventare il fine ultimo del processo di integrazione e non sia in grado di risolvere di per sé le questioni legate all'esclusione sociale e alla discriminazione. L'acquisizione della cittadinanza è importante, tuttavia, perché stimola il senso di appartenenza alla vita nazionale e, inoltre, conferisce la piena fruizione dei diritti civili, garantendo de jure la partecipazione alla vita politica, civile, sociale, economica e culturale dello Stato membro.

Premesso che è auspicabile che i migranti diventino cittadini, è ragionevole associare l'accesso alla cittadinanza con la lunghezza del periodo in cui il migrante ha soggiornato nel paese interessato e applicare principi diversi per i migranti di prima e, rispettivamente, di seconda o terza generazione. Per questi ultimi, la normativa nazionale dovrebbe prevedere un'acquisizione automatica o semiautomatica, laddove è ragionevole richiedere al migrante di prima generazione di presentare formale richiesta di cittadinanza. La naturalizzazione deve essere rapida, certa e non discrezionale. Gli Stati hanno facoltà di richiedere un periodo minimo di soggiorno, la conoscenza della lingua e di tenere nel debito conto la fedina penale. In qualsiasi caso, i criteri di naturalizzazione devono essere chiari, precisi e obiettivi e si deve limitare il potere discrezionale amministrativo, assoggettandolo al controllo giudiziario.

Nella comunicazione del novembre 2000, [60] la Commissione ha introdotto il concetto di cittadinanza civile, definibile come un nucleo comune di diritti e doveri fondamentali che il migrante acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di anni, in modo da garantire che questi goda dello stesso trattamento concesso ai cittadini del paese ospitante, anche quando non sia naturalizzato. La Carta dei diritti fondamentali offre un quadro di riferimento per l'introduzione della cittadinanza civile, poiché taluni diritti sono applicabili in quanto universali e altri derivano da quelli conferiti ai cittadini dell'Unione. [61] In effetti, le norme comunitarie già conferiscono [62], o propongono di conferire [63], molti di questi diritti a tutte le persone che soggiornano legalmente nell'Unione. Consentire ai migranti di acquisire la cittadinanza civile dopo un certo numero di anni può consentire agli stessi di riuscire ad inserirsi con successo nella società. Essa va considerata inoltre un primo passo verso l'acquisizione della nazionalità dello Stato membro interessato.

[60] COM(2000)757

[61] Tali diritti sono la libertà di circolazione e il diritto di dimora, il diritto al lavoro, a stabilirsi legalmente e fornire servizi, il diritto di votare e di presentarsi come candidato alle elezioni per il Parlamento europeo e alle elezioni comunali, il diritto alla protezione diplomatica e consolare, nonché il diritto di presentare una petizione e di accedere a documenti e il diritto a non essere discriminati per motivi legati alla nazionalità.

[62] Si vedano gli articoli 194 e 195 del Trattato che istituisce la CE, concernenti il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo e al mediatore e l'articolo 255 concernente l'accesso ai documenti.

[63] Si veda l'articolo 12 della proposta di direttiva relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo, che prevede la liberta di circolazione e il diritto di dimora entro l'Unione, il diritto al lavoro e a stabilirsi legalmente e fornire servizi.

Il concetto di cittadinanza civile presenta un altro elemento rilevante, ovvero la possibilità di accedere alla partecipazione politica. Alcuni Stati membri [64] già concedono il diritto di voto a livello locale a tutti gli stranieri residenti e fatte salve talune condizioni. Dal punto di vista dell'integrazione, è ovvio che il diritto di voto a livello locale deve discendere dalla stabilità del soggiorno, più che dalla nazionalità. [65]. La Commissione ritiene che conferire diritti politici ai migranti residenti di lungo periodo sia importante ai fini del processo di integrazione e che il Trattato dovrebbe fornire la base per procedere in tal senso.

[64] Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia.

[65] Si veda anche la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, adottata dal Consiglio d'Europa nel 1992 ed entrata in vigore nel 1997.

3.4. I principali attori di una politica multisettoriale di integrazione

L'obiettivo di un'efficace attuazione dell'approccio multisettoriale alle questioni dell'immigrazione impone alcune condizioni indispensabili, ovvero una maggiore coerenza politica complessiva e la presenza di sinergie a tutti i livelli e in tutte le discipline tra le politiche in materia di immigrazione, integrazione e occupazione. E' questa la via per giungere ad una migliore governabilità di tali questioni e per realizzare un più attento monitoraggio e conseguire una maggiore cooperazione tra tutti gli attori competenti a livello di autorità locali, regionali, nazionali, anche dei paesi di origine, oltre che a livello comunitario. Tuttavia, fatto salvo che l'iniziativa spetta ai singoli governi, la collaborazione nel quadro di tali politiche deve coinvolgere, oltre agli stessi migranti, le parti sociali, il mondo della ricerca e i soggetti che prestano servizi pubblici, nonché le ONG e altri attori della società civile.

Le politiche in materia di integrazione sono spesso concepite a livello nazionale e attuate a livello locale o regionale, la qual cosa impone un ottimo livello di cooperazione e di scambio di informazioni tra tutti gli attori coinvolti. Tanto a livello nazionale, quanto a livello locale, le ONG possono svolgere utilmente un ruolo di rappresentanza degli interessi dei migranti e delle persone che fruiscono di protezione internazionale [66], un aspetto, questo, molto importante per garantire cooperazione e reciproca comprensione tra i soggetti incaricati dell'attuazione e gli utenti. Il processo di integrazione conferisce alle parti sociali una funzione rilevante, considerato che esse sono in grado di promuovere l'integrazione a livello quotidiano sul posto di lavoro e di evidenziare la necessità di rispondere in termini adeguati alle differenze culturali, nonché di migliorare l'efficienza della manodopera e rafforzare la responsabilità sociale.

[66] Conferenza su "Immigrazione: il ruolo della società civile nella promozione dell'integrazione", Bruxelles, 9-10 settembre 2002.

A ciascuno degli attori sopra indicati spetta parte della più ampia responsabilità comune di realizzare una riuscita integrazione dei cittadini dei paesi terzi nei nostri sistemi sociali. Posto che, nella definizione e attuazione delle politiche, il dialogo con gli attori più rilevanti è di primaria importanza, la creazione di uno spirito favorevole all'integrazione è questione che riguarda la società dell'UE nel suo complesso. Sensibilizzare la popolazione ospitante in merito ai benefici apportati dall'immigrazione e alle sfide che essa pone, è dunque elemento essenziale di una strategia concreta in materia di integrazione.

3.5. I bisogni di gruppi specifici di migranti e la loro inclusione nella politica in materia di integrazione

Per quanto i migranti condividano un ampio spettro di bisogni comuni in tutta l'Unione, alcuni gruppi presenteranno esigenze e priorità specifiche, di cui si dovrà tenere conto nel quadro delle strategie complessive di integrazione.

3.5.1 Rifugiati e persone che ricevono protezione internazionale

Per molti versi, i rifugiati e le persone che fruiscono di protezione internazionale devono affrontare problemi simili a quelli degli altri migranti. Tuttavia, questo gruppo presenta questioni inerenti alla natura particolare della migrazione forzata e all'esigenza di protezione che devono essere affrontate nel quadro di strategie nazionali di integrazione. E' doveroso ricordare che si tratta di persone che non hanno scelto di emigrare dal paese di origine per ragioni economiche e che possono avere necessità di un aiuto supplementare per integrarsi e, in particolare, per accedere alle attività di interesse generale alla prima occasione possibile. Risulta dunque necessario concepire programmi specifici rivolti ai rifugiati, che integrino i servizi normalmente previsti o creino i collegamenti necessari con gli stessi. E' anche auspicabile che tali programmi si rivolgano ai gruppi più vulnerabili entro le comunità di rifugiati, per esempio i bambini, gli anziani, le vittime di violenza sessuale o di torture e quanti hanno subito traumi in conseguenza delle persecuzioni subite e/o dell'esodo forzato. Una preoccupazione centrale, per questo gruppo di persone, è di fare in modo che siano esse stesse ad assumere la conduzione della propria vita e di promuovere l'autoresponsabilizzazione e un'autosufficienza sostenibile. Si tratta di un aspetto di particolare importanza, poiché, a differenza dei migranti per motivi economici, queste persone spesso non hanno famiglie, comunità o reti cui fare affidamento.

Tuttavia, i rifugiati, in senso generale, sono altamente istruiti e qualificati ma spesso è loro difficile farsi riconoscere le esperienze maturate e le qualifiche ottenute. Sarebbe dunque il caso di escludere i rifugiati dall'ambito di applicazione di taluni e specifici requisiti, limiti o obblighi in materia di integrazione eventualmente imponibili ai migranti. La sanzione ultima, consistente nella revoca del permesso di soggiorno, applicabile a quanti non superano le verifiche di integrazione, non è sempre applicabile ai rifugiati e alle persone che ricevono protezione internazionale.

3.5.2 Questioni di genere

Un'altra categoria importante è quella delle donne, considerato che quasi la metà dei migranti che entrano nel territorio dell'UE ogni anno è attualmente di sesso femminile e che una quota crescente arriva appositamente per lavorare, in molti casi come infermiere o lavoratrici domestiche o per trovare impiego in mansioni assistenziali. Le donne migranti possono subire una doppia discriminazione, legata al genere e all'origine etnica. E' dunque indispensabile un'attenzione straordinaria, finalizzata a garantire loro l'accesso al mercato del lavoro e la disponibilità di adeguate attività educative e formative, oltre che, in particolare, l'accesso all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. L'apprendimento linguistico e la consapevolezza di godere di diritti umani, sociali e civili, ivi inclusi norme e valori della società ospitante, sono strumenti essenziali per l'integrazione sia degli uomini che delle donne. Si tratta di un aspetto che, nel caso delle donne, riveste un'importanza particolare, tenuto conto del ruolo che esse rivestono nella trasmissione entro la famiglia delle tradizioni culturali e dell'influenza che possono esercitare sulle generazioni future.

Per quanto il suo ruolo si differenzi da una cultura all'altra, la famiglia ha generalmente una funzione centrale nel processo d'integrazione, poiché rappresenta un punto stabile di riferimento per i migranti nel paese ospitante. A tale riguardo, la riunificazione del nucleo familiare di appartenenza è uno strumento fondamentale. Sono soprattutto le donne a beneficiare delle misure in materia di riunificazione familiare e, di conseguenza, il loro status di residenza è spesso legato a un membro della famiglia. Può risultare difficile, in questa condizione, trovare lavoro, la qual cosa può costringerle a rivolgersi al settore informale. Per questa ragione, la direttiva sulla riunificazione familiare prevede che le donne abbiano accesso al mercato del lavoro e, quando si trovino in situazioni di particolare difficoltà, possano godere di uno status autonomo di residenza.

3.5.3 Migranti di seconda e terza generazione

Seppure molti migranti che risiedono nell'Unione europea siano ben integrati, nondimeno un certo numero di paesi manifesta crescenti preoccupazioni per la situazione dei migranti di seconda e terza generazione. Il rischio di non trovare lavoro riguarda, in particolare i giovani con uno o entrambi i genitori migranti di paesi terzi. [67] La discriminazione sociale e razziale può impedire al giovane migrante di seconda e terza generazione di accedere su un piano paritario, rispetto ai cittadini del paese ospitante, a un impiego lavorativo e a un ruolo nella società, per il quale egli è qualificato. [68] Per molti, questa condizione è esasperata ulteriormente dalla mancanza di una chiara identità, poiché si crea la sensazione di essere rifiutati dalla società ospitante ma, al contempo, i legami con il paese d'origine si sono indeboliti o sono scomparsi del tutto. La mancanza di politiche di integrazione contribuisce certamente allo sviluppo di fenomeni di questo tipo. L'individuazione delle cause e lo sviluppo di politiche finalizzate ad affrontarle, nelle quali un ruolo fondamentale spetta all'istruzione, alla formazione e, in particolare, all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, aiuteranno ad evitare in futuro questi problemi.

[67] Seminario organizzato dal Ministero per l'occupazione e il lavoro del Belgio e dall'OCSE e dedicato all'integrazione dei giovani migranti nel mercato del lavoro, Bruxelles 6-7 giugno 2002.

[68] Cfr. nota 67.

3.6. La questione dei clandestini

I cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente nell'UE rappresentano una sfida notevole per il processo di integrazione. La natura stessa del fenomeno rende impossibile stimare con qualche certezza il numero di questi migranti ma i dati forniti, tra gli altri, dalle procedure di regolarizzazione introdotte negli ultimi anni [69] consentono di ipotizzare cifre considerevoli. L'attuazione dei piani d'azione già adottati dal Consiglio in materia di immigrazione illegale [70], di controllo delle frontiere [71] e di politiche di rimpatrio [72] dovrebbe contribuire sostanzialmente alla riduzione del flusso di clandestini. E' tuttavia necessario affrontare la situazione di coloro che già vivono negli Stati membri.

[69] Si veda la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comune in materia di immigrazione illegale (COM(2001)672 del 15 novembre 2001.

[70] Piano globale per la lotta all'immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani nell'Unione europea, 28 febbraio 2002, GU C 142 del 14.06.2002, p. 23.

[71] Piano per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea convenuto dal Consiglio europeo del 13 giugno 2002, doc. del Consiglio 10019/02, FRONT 58.

[72] Proposta di programma d'azione sul rimpatrio del 28 novembre 2001, doc. del Consiglio 14673/02, MIGR 125.

Nel quadro della politica europea comune in materia di immigrazione, la sola impostazione coerente per risolvere la questione dei clandestini è quella di garantirne il rimpatrio nel paese di origine. Tuttavia, in un numero notevole di casi, una serie di ragioni di carattere giuridico, umanitario o pratico impedisce di attuare questo tipo di intervento. E' dunque necessario considerare questo gruppo sia dal punto di vista dell'impatto sul mercato del lavoro, che in relazione all'obiettivo dell'integrazione e della coesione sociale. In entrambi i casi, la presenza di un gran numero di clandestini comporta un effetto negativo, per il fatto di rappresentare una fonte di lavoro a costi ridotti e soggetto a sfruttamento e, nel lungo periodo, di compromettere l'indispensabile riforma strutturale del mercato del lavoro, aumentandone quindi l'inefficienza. Poiché il lavoro sommerso e l'immigrazione illegale si nutrono a vicenda, il collegamento con politiche generali finalizzate a eliminare e combattere il lavoro sommerso è evidente ma va aggiunto che è necessario rafforzare tali politiche nel quadro di un più ampio policy mix mirato a trasformare il lavoro sommerso in lavoro regolare. Allo stesso tempo, i clandestini non possono contribuire alla vita sociale né beneficiare di essa, essendo a loro precluso un rapporto di piena partecipazione, la qual cosa contribuisce alla loro emarginazione e scatena atteggiamenti negativi nei loro confronti da parte della popolazione locale.

Posto che è necessario continuare ad attuare una decisa azione politica di lotta all'immigrazione illegale, le politiche in materia di integrazione non possono avere pieno successo, se non si procede ad affrontare in termini adeguati e ragionevoli le questioni legate alla presenza dei clandestini. Alcuni Stati membri hanno introdotto misure di regolarizzazione ma si tratta di procedure che possono essere considerate sia come un fattore utile allo sviluppo del processo di integrazione, che un incentivo a ulteriori flussi di clandestini. Tale considerazione va comunque corretta, tenendo presenti i problemi posti dalla presenza di un gran numero di clandestini negli Stati membri. E' il caso di ricordare che i clandestini sono protetti dalle norme in materia di diritti universali dell'uomo e devono godere di taluni diritti fondamentali, quali l'assistenza sanitaria d'emergenza e l'istruzione primaria per i bambini.

4. IL PERCORSO FUTURO: ORIENTAMENTI E PRIORITÀ POLITICHE

Nel contesto dell'UE, le politiche in materia di immigrazione attuate in un certo paese hanno inevitabilmente effetto anche sugli altri. A ciò va aggiunto un ulteriore fattore comune, ovvero la pressione del cambiamento demografico che interessa l'intera UE. E' dunque necessario prepararsi in modo responsabile ed efficace all'immigrazione presente e futura e, nel farlo, l'UE nel suo complesso deve conseguire maggiore efficienza nella fase di sviluppo delle politiche in materia di integrazione dei migranti. La Commissione intende intensificare i propri sforzi in un certo numero di aree, allo scopo di fornire un quadro più coerente in materia di integrazione e di garantire che l'immigrazione contribuisca il più efficacemente possibile alle nuove sfide demografiche ed economiche che oggi incombono sull'UE.

Per affrontare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione, l'UE deve innanzi tutto ricorrere alle risorse umane di cui già dispone. La promozione della partecipazione della forza lavoro e l'aumento della produttività sono elementi essenziali al fine di conseguire gli obiettivi di Lisbona, ovvero maggiore occupazione, coesione sociale e crescita economica. I migranti che attualmente soggiornano nell'UE possono fornire un contributo notevole. Tuttavia, a fronte dell'invecchiamento e della contrazione della popolazione in età lavorativa, flussi di immigrazione più sostenuti, senza risolvere tutti gli effetti del cambiamento demografico, sono sempre più probabili e necessari per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro UE.

E' perciò necessaria un'impostazione che guardi al futuro e affronti sia l'esigenza di promuovere una migliore integrazione dei migranti in ingresso e di quelli già residenti, che la necessità di predisporre il quadro di una futura immigrazione a beneficio di tutti. Ciò richiede la messa in campo di nuove strutture e idee, nonché la mobilitazione e il coordinamento di una gamma di politiche e di attori a livelli diversi. E' essenziale garantire piena considerazione ai bisogni specifici dei migranti entro politiche di interesse generale suscettibili di incidere sulla loro condizione.

4.1. Consolidamento del quadro giuridico

La Commissione ha già presentato un certo numero di strumenti, volti a creare il quadro giuridico di riferimento in materia di ammissione e di condizioni di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi. I progressi verso l'adozione di queste direttive è finora stato lento e, pur accogliendo con favore il recente accordo entro il Consiglio sul tema della riunificazione familiare, la Commissione chiede che si acceleri il processo relativo alle iniziative ancora all'esame e in particolare chiede:

* di approvare la direttiva sullo status dei residenti di lungo periodo entro la scadenza (giugno 2003) disposta dal Consiglio di Siviglia e chiede agli Stati membri, all'atto di trasporre detta direttiva nella legislazione nazionale, di valutare l'opportunità di concedere, soprattutto a livello locale, diritti politici ai migranti che siano residenti di lungo periodo;

* di fissare al 2003 la scadenza entro cui adottare la direttiva sulle condizioni d'ingresso per motivi di lavoro, poiché in tal modo si introducono la trasparenza e le condizioni necessarie a gestire efficacemente l'ammissione nell'UE di lavoratori migranti;

* alla luce dell'adozione della direttiva sullo status dei residenti di lungo periodo e in linea con il parere del Comitato economico e sociale [73], di valutare, dopo l'approvazione della normativa, l'opportunità di estendere ai cittadini dei paesi terzi l'ambito di applicazione della direttiva [74], presentata dalla Commissione, sul riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro e relative alle professioni regolamentate. Si tratterebbe di un passo importane in direzione della piena integrazione dei migranti nel mercato del lavoro, poiché si garantirebbe che qualifiche e periodi di studio vengano riconosciuti su un piano di parità rispetto ai cittadini dell'UE;

[73] Parere ECOSOC (SOC/113) del 18 settembre 2002 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul riconoscimento delle qualifiche professionali (COM(2002)119 def.)

[74] COM(2002)119 def., settembre 2002

* al fine di promuovere la lotta contro la discriminazione, chiede agli Stati membri di garantire che le direttive approvate nel 2000 a livello comunitario vengano trasposte nella legislazione nazionale entro le scadenze del 2003, come originariamente previsto. La Commissione sollecita gli Stati membri a non limitare la propria azione al minimo richiesto dalle direttive e di promuovere interventi concreti, specie in relazione al dovere delle pubbliche autorità di garantire la parità di trattamento ai migranti, in modo da promuoverne l'integrazione.

La Commissione seguirà con particolare attenzione la trasposizione e attuazione degli strumenti proposti ai sensi dell'articolo 63, punto. 3 del Trattato, ritenendo che essi avranno un impatto significativo sull'integrazione dei cittadini dei paesi terzi. La Commissione, inoltre, valuterà l'opportunità di presentare, come il caso richiederà, ulteriori proposte legislative, atte a garantire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi, dei rifugiati e di quanti beneficiano di protezione sussidiaria. Rispettando la linea adottata nelle proposte già esistenti (si veda la sezione 1.1), potrebbero rendersi necessarie ulteriori misure a favore dei richiedenti asilo e di quanti sono ammessi a fruire di protezione temporanea.

4.2. Il rafforzamento del coordinamento delle politiche

4.2.1 Monitoraggio dell'evoluzione della politica comune in materia di immigrazione: una relazione annuale

Nella comunicazione del novembre 2000 [75], la Commissione ha già sottolineato la necessità di un attento monitoraggio e di una valutazione della politica comunitaria in materia immigrazione. Al fine di monitorare l'evoluzione nel corso del tempo e di garantire la coerenza complessiva delle politiche e degli strumenti a livello UE, la Commissione intende predisporre una relazione annuale sull'evoluzione della politica comune in materia di immigrazione. La relazione prenderà in considerazione le informazioni messe a disposizione dall'ampia e differenziata gamma di politiche e iniziative europee che riguardino il tema dell'immigrazione, in particolare quelle menzionate nella parte che segue. Scopo della relazione è di garantire che dette politiche e iniziative tengano adeguatamente conto dei bisogni dei migranti e di informare il Consiglio sui progressi ottenuti dai programmi e dalle politiche di interesse generale. Nella relazione troveranno spazio anche altri sforzi, attualmente in corso, mirati a rafforzare il monitoraggio e la valutazione a livello UE della politica in materia di immigrazione (si veda più avanti la sezione 4.11). Il documento avrà la funzione di integrare la relazione annuale sui progressi della politica comune europea in materia di asilo.

[75] COM (2000)757

4.2.2. Rafforzare il coordinamento delle politiche in materia di integrazione

Nella comunicazione del luglio 2001 relativa a un metodo aperto di coordinamento della politica comunitaria in materia di immigrazione [76], la Commissione ha anche indicato un ventaglio di aree, per le quali ritiene che il rafforzamento della cooperazione e dello scambio di informazioni tra gli Stati membri assuma un valore particolare. Una di tali aree è appunto l'integrazione dei cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente. Poiché l'integrazione è un processo complesso, che pone difficoltà di ordine concettuale, pratico e politico, le politiche devono tenere conto delle caratteristiche della società ospitante e della sua struttura organizzativa e non possono esserci, dunque, risposte semplici o soluzioni generiche. I temi da affrontare, tuttavia, sono spesso simili e, nella ricerca delle migliori soluzioni, le esperienze acquisite altrove possono risultare molto utili. L'integrazione, poi, è un'area che richiede una maggiore convergenza relativamente a impostazioni teoriche e obiettivi politici, in conseguenza dell'introduzione di un quadro giuridico comune in materia di condizioni per l'ingresso e status dei cittadini dei paesi terzi.

[76] COM(2001)387

La Commissione, dunque, propone di sviluppare la cooperazione e lo scambio di informazioni entro il quadro del gruppo, appena costituito, di cellule nazionali di contatto in materia di integrazione [77], nella prospettiva, in particolare, di rafforzare il coordinamento delle politiche in materia a livello nazionale. Il lavoro del gruppo si concentrerà, nella fase iniziale e alla luce delle conclusioni del Consiglio di Salonicco, sulle aree che gli Stati membri ritengono di comune interesse. Il processo di cooperazione si svilupperà in piena complementarità e sinergia con le altre politiche dell'UE, in particolare con quelle in materia di coesione e inclusione sociale e di lotta alla discriminazione e quelle relative alla strategia europea per l'occupazione. Esso si affiancherà ai processi già esistenti, apportando elementi utili che consentano alle autorità competenti di tenere conto in termini più efficaci della dimensione dell'integrazione nelle politiche di interesse generale. In base alla comunicazione della Commissione sulle politiche nazionali in materia di integrazione, preparata su richiesta della riunione informale del Consiglio "Giustizia e affari interni", svoltasi a Veria nel mese di marzo del 2003 (si veda l'allegato 1), risulta evidente che gli Stati membri affrontano la questione dell'immigrazione in modo differente e con mezzi diversi. Le azioni adottate o le misure messe in campo per risolvere un certo problema non sono necessariamente le stesse in tutti gli Stati membri, poiché le condizioni a livello nazionale, regionale o locale possono essere diverse. Questo fatto conferma la necessità dello scambio di informazioni e di buone prassi. Oltre alla questione dell'integrazione dei migranti, da affrontare nel quadro della strategia europea per l'occupazione (si veda più oltre, la sezione 4.4), sono state individuate le seguenti aree prioritarie:

[77] In linea con le conclusioni, si è proposto di istituire un elenco aggiornato e facilmente accessibile delle cellule nazionali di contatto, al fine di agevolare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. Per dare seguito all'iniziativa, presso la Commissione è stato istituito un forum delle cellule di contatto nel quadro del comitato per l'immigrazione e l'asilo (gruppo per l'integrazione).

* Programmi di accoglienza per i migranti in ingresso: l'accoglienza dei migranti è un elemento molto importante del processo di integrazione e le persone appena arrivate hanno l'esigenza di familiarizzarsi con il più ampio contesto sociale e culturale del paese ospitante. Lo scambio di informazioni deve avere l'obiettivo di individuare il modo migliore per introdurre i migranti appena arrivati. Le priorità devono includere: programmi di portata nazionale a fronte di programmi di portata locale o regionale; coinvolgimento della società civile nei programmi; finanziamento, ivi incluso il cofinanziamento da parte del migrante; l'introduzione di elementi obbligatori e delle relative sanzioni; il contenuto del programma di accoglienza; l'adattamento dei programmi a specifici gruppi bersaglio.

* Formazione linguistica. La gran parte degli Stati membri ha espresso preoccupazione per il fatto che i migranti non sono in grado di parlare la lingua del paese ospitante. In questo caso, lo scambio dovrebbe concentrarsi, in particolare, su un certo numero di questioni chiave, tra le quali: l'individuazione di gruppi specifici; il finanziamento e il cofinanziamento da parte del migrante; verifiche della conoscenza della lingua nazionale; lingua e naturalizzazione; corsi di lingua con "percorso duale".

* Partecipazione dei migranti alla vita civile, culturale e politica. L'importanza di questo aspetto risiede nel fatto che crea un senso di appartenenza e di integrazione nei confronti della comunità e della società in generale. Questa percezione, a sua volta, incoraggia il migrante ad impegnarsi nella vita comunitaria e in altre attività sociali, culturali e politiche. Lo scambio di informazioni dovrebbe riguardare un certo numero di questioni centrali, quali: diritti politici, cittadinanza civile e nazionalità; strutture a livello nazionale, regionale e locale finalizzate alla partecipazione dei migranti, ivi incluso il livello di partecipazione degli stessi; il modo in cui affrontare le differenze religiose e culturali all'interno della società; definizione di parametri di riferimento e sviluppo di indicatori, allo scopo di misurare il livello di integrazione in queste aree.

4.3. Cittadinanza civile e nazionalità: strumenti di promozione dell'integrazione

La Commissione ritiene che esista un nuovo concetto utile alla promozione dell'integrazione, ovvero la cittadinanza civile. I diritti contenuti nelle iniziative già presentate dalla Commissione contribuiscono alla realizzazione di tale concetto. Tuttavia, la Commissione sottolinea l'importanza di confermare diritti e doveri dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nell'UE nel quadro del nuovo Trattato, per mezzo dell'incorporazione della Carta dei diritti fondamentali e dell'attribuzione ad essa di uno status giuridicamente vincolante. [78] Il Trattato deve fornire mezzi che consentano di realizzare la cittadinanza civile, in particolare per quanto riguarda la partecipazione alla vita politica a livello locale, e la Commissione perseguirà questi obiettivi nella Convenzione e in occasione della prossima conferenza intergovernativa [79]. La Commissione, inoltre, continuerà a sviluppare il concetto di cittadinanza civile, nel quadro del processo volto a rafforzare il coordinamento tra gli Stati membri in materia di integrazione (si veda sopra).

[78] Le modalità di incorporazione sono state discusse dal Gruppo II della Convenzione, presieduto dal Commissario Vitorino. Si veda la relazione finale del Gruppo di lavoro II, WG II - WD 16 del 22.10.2002.

[79] Cfr. la sintesi del documento presentato dal Commissario Vitorino, membro del Gruppo di lavoro X della Convenzione "Libertà, sicurezza e giustizia", WG X - WD 14 del 15.11.2002.

La naturalizzazione è una strategia certamente utile per promuovere l'integrazione e gli Stati membri dovrebbero prenderla in considerazione all'atto di concedere il diritto di soggiorno a migranti e rifugiati. La Commissione accoglie con favore il fatto che alcuni Stati membri, nel corso degli ultimi anni, abbiano semplificato i requisiti da soddisfare per poter richiedere la cittadinanza. Nel quadro di un più intenso processo di coordinamento, la Commissione promuoverà lo scambio di informazioni e delle migliori pratiche in relazione all'attuazione delle normative nazionali in materia di cittadinanza degli Stati membri, in merito alle quali, peraltro, si constata la necessità di ulteriori ricerche comparative. La Commissione ha conferito al tema carattere prioritario entro il sesto programma quadro di ricerca per il periodo 2002-2006.

4.4. La strategia europea per l'occupazione (SEO)

Come indicato nella comunicazione sul futuro della strategia europea per l'occupazione del 14 gennaio 2003, [80] l'8 aprile la Commissione ha adottato le proprie proposte concernenti gli orientamenti per l'occupazione e le relative raccomandazioni, nelle quali sottolinea la necessità di conferire maggiore considerazione, in futuro, all'immigrazione. La Commissione propone che i prossimi orientamenti per l'occupazione dispongano tre obiettivi generali: piena occupazione, qualità e produttività del lavoro, coesione e mercato del lavoro partecipativo. Essa chiede agli Stati membri e alle parti sociali di affrontare tali questioni e ribadisce l'esigenza di sostenere l'integrazione e di combattere la discriminazione nel mercato del lavoro a beneficio delle persone sfavorite, nonché di combattere il lavoro sommerso. Nel contesto della SEO, la Commissione ritiene opportuno che i seguenti elementi ricevano ulteriore considerazione:

[80] COM(2003)6 del 14 gennaio 2003, "Il futuro della strategia europea per l'occupazione".

* un'integrazione sostenibile dei cittadini dei paesi terzi nel mercato del lavoro. Questo elemento implica l'accesso a servizi in materia di formazione e lavoro, nonché ad altre misure che aumentino la partecipazione al mercato del lavoro. La Commissione propone, negli orientamenti 2003, che gli Stati membri si impegnino a ridurre entro il 2010 la differenza tra il tasso di disoccupazione dei cittadini UE e quello dei cittadini dei paesi terzi;

* la lotta contro il lavoro in nero e la riduzione dell'economia sommersa onde sviluppare un'ampia politica comprendente sanzioni e misure preventive per trasformare il lavoro in nero in occupazione regolare;

* un più attento monitoraggio delle esigenze del mercato del lavoro dell'UE e del ruolo che l'immigrazione può svolgere per colmare carenze presenti e future di manodopera, tenendo conto della maggiore competizione tra i paesi ospitanti;

* la necessità di contribuire ad una maggiore mobilità lavorativa nell'UE dei cittadini di paesi terzi, in particolare sviluppando ulteriormente la rete EURES e, nel quadro della strategia, agevolando le condizioni d'ingresso nel territorio dell'Unione per motivi di lavoro;

* lo scambio di esperienze e di buone prassi in questo campo, da realizzarsi, ad esempio, per mezzo di attività di revisione tra pari condotte nel quadro del programma per la promozione di misure di incentivazione dell'occupazione. Si ritiene necessario conferire particolare attenzione ai seguenti aspetti: riconoscimento delle competenze e dei diplomi; imprenditorialità; iniziative speciali a favore dei giovani migranti di seconda e terza generazione; barriere all'integrazione nel mercato del lavoro; strategie locali per l'occupazione a favore dei migranti; formazione linguistica finalizzata al lavoro, ivi inclusi i modelli "fast track".

La Commissione ritiene che questi temi debbano essere affrontati anche dalle parti sociali a livello UE, nel contesto del programma di lavoro comune

4.5. Il processo di inclusione sociale

La prima fase dei piani di azione nazionale contro la povertà e l'esclusione sociale (PAN/incl.), corrispondente al 2001, ha evidenziato la necessità di affrontare il tema dell'integrazione dei migranti in modo più complessivo, integrato e strategico. Il Consiglio europeo di Copenhagen (dicembre 2002) ha approvato la revisione degli obiettivi di Nizza mirati alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, con i quali si sottolinea esplicitamente l'alto rischio di povertà e di esclusione sociale, cui sono esposti uomini e donne in condizione di migranti. Nel predisporre e attuare i PAN/incl., gli obiettivi europei comuni insistono anche sulla mobilitazione di tutti i soggetti interessati. Posto che la responsabilità primaria della lotta contro l'esclusione sociale e la povertà ricade sulle autorità nazionali, regionali e locali, la questione interessa un'ampia gamma di soggetti pubblici e privati, in particolare le parti sociali, le ONG e i fornitori di servizi sociali. A tale riguardo, la Commissione ritiene importante che:

* nel contesto dei PAN/incl. relativi al 2003, da presentare entro il mese di luglio di quest'anno, gli Stati membri riferiscano in merito alle misure e le iniziative politiche finalizzate a "favorire l'integrazione sociale delle donne e degli uomini i quali, segnatamente a causa del loro handicap o della loro appartenenza a un gruppo sociale con particolari difficoltà di inserimento ad esempio migranti, rischiano di dover affrontare situazioni di povertà", come indicato dal Consiglio europeo di Copenhagen;

* ai sensi del programma comunitario d'azione volto a combattere l'esclusione sociale (2002-2006) [81], si dia avvio a una serie di studi (p.e. sulle condizioni abitative dei migranti e delle minoranze etniche) e indagini statistiche (p.e., la fattibilità di una raccolta di dati relativi alle specifiche condizioni dei migranti e delle minoranze etniche in termini di reddito e condizioni di vita, nel quadro della nuova Indagine comunitaria sul reddito e sulle condizioni di vita), nonché a un gran numero di progetti transnazionali in materia di integrazione dei migranti, considerando che in tal modo si contribuisce direttamente a migliorare la conoscenza e a favorire lo scambio di esperienze.

[81] Decisione n. 50/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 dicembre 2001, che istituisce un programma d'azione comunitaria inteso ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri al fine di combattere l'emarginazione sociale.

4.6. Coesione sociale ed economica

La terza relazione della Commissione sulla coesione economica e sociale nell'UE, da presentarsi entro la fine del 2003, aprirà la strada ad una discussione aperta in merito al futuro della politica di coesione. [82] Il nuovo periodo di programmazione dei Fondi strutturali prenderà il via nel 2007 e, a tale riguardo, la Commissione ritiene importante tenere conto delle esperienze passate, in particolare del Fondo sociale europeo e dell'iniziativa EQUAL, in modo da garantire che:

[82] Si veda anche la comunicazione "Seconda relazione intermedia sulla coesione economica e sociale", COM(2003)34, del 30 gennaio 2003.

* la revisione intermedia del periodo di programmazione 2000-2006, prevista nel 2003, tenga maggiormente conto della sfida posta dall'immigrazione in termini di posti di lavoro e inclusione sociale;

* si realizzi un'ampia diffusione dell'esperienza politica acquisita con l'iniziativa EQUAL in materia di integrazione dei migranti e in particolare dei richiedenti asilo [83];

[83] A partire dal 2001, sono già stati avviati 1500 partenariati EQUAL. Per il periodo 2001-2006, la dotazione disponibile per gli interventi finalizzati a combattere il razzismo e la xenofobia sarà di 127 milioni di euro per azioni relative al mercato del lavoro e 153 milioni per azioni destinate ai richiedenti asilo.

* la discussione complessiva sul futuro della politica europea di coesione conferisca la massima attenzione alla sfida dell'integrazione dei migranti, in particolare per quanto concerne gli investimenti in capitale umano, l'accesso al lavoro e la rivitalizzazione delle aree urbane in condizione di degrado.

4.7. Lotta contro la discriminazione

I migranti sono spesso esposti al rischio di discriminazioni di varia natura. Oltre a sostenere gli Stati membri nell'efficace attuazione delle due direttive antidiscriminazione sopra menzionate, la Commissione ritiene importante intensificare la lotta contro la discriminazione per mezzo dei seguenti elementi:

* aumentare la conoscenza pubblica delle norme comunitarie e nazionali che vietano la discriminazione: nel 2003, verrà lanciata una grande campagna di informazione, mirata in particolare a datori di lavoro e dipendenti. La Commissione intende anche presentare, nel 2003, una prima relazione su uguaglianza e discriminazione nell'UE;

* coinvolgere le imprese nelle pratiche non discriminatorie: tenendo conto del libro verde della Commissione sulla responsabilità sociale delle imprese (RSI) [84], si cercherà di affrontare con maggior vigore, nel contesto del nuovo forum multilaterale sulla RSI, la necessità di gestire la diversità, di promuovere pratiche responsabili di reclutamento e di combattere la discriminazione sul posto di lavoro;

[84] COM(2001)366

* un più attento monitoraggio: dando seguito alla relazione sulla situazione lavorativa dei migranti, pubblicata nel dicembre 2002, l'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia concentrerà le attività previste per il 2003, inter alia sulla raccolta di dati relativi alla condizione dei migranti e delle minoranze etniche in relazione all'occupazione, agli alloggi, all'istruzione e alla violenza razzista;

* scambi di esperienze: nel quadro del programma comunitario d'azione per la lotta contro la discriminazione (2001-2006), troverà realizzazione un ampio numero di progetti transnazionali, di scambi di esperienze e migliori pratiche e di studi, al fine di determinare la diffusione della discriminazione e di rafforzare le misure contro la stessa.

4.8. Cooperazione nel campo dell'istruzione

Per quanto concerne l'istruzione, il dettagliato programma comune di lavoro sugli obiettivi dei sistemi d'istruzione e formazione, approvato dalla Commissione e dal Consiglio, [85] dispone le modalità con cui attuare il metodo aperto di coordinamento, ovvero facendo uso di parametri di riferimento per fissare obiettivi concreti e adeguati alle sfide della strategia di Lisbona (Consiglio europeo del mese di marzo del 2000). In tale contesto, l'obiettivo generale, finalizzato a migliorare la cittadinanza attiva, le pari opportunità e la coesione sociale, comprende questioni quali l'accesso dei migranti e dei loro figli ai sistemi d'istruzione e formazione.

[85] GU C 142 del 4.06.02

In base alla comunicazione della Commissione sui parametri di riferimento [86], adottata dal Consiglio il 5 maggio 2003, i parametri europei di riferimento o i "livelli di riferimento del rendimento medio europeo" devono essere conseguiti entro il 2010. Dei cinque parametri indicati, tre risultano di particolare rilevanza ai fini della promozione dell'integrazione e dell'occupazione dei cittadini migranti.

[86] COM(2002)629 def. del 20 novembre 2002

* il parametro relativo all'abbandono scolastico (un tasso medio europeo di abbandono non superiore al 10%);

* il parametro relativo al numero di studenti che completano gli studi (percentuale di ventiduenni dell'UE che ha assolto almeno l'istruzione secondaria superiore non inferiore all'85%);

* il parametro relativo alla capacità di lettura (la percentuale di quindicenni con bassi livelli di capacità di lettura deve diminuire almeno del 20% in rapporto al 2000).

4.9. Intensificare il dialogo con i paesi terzi

La comunicazione della Commissione sull'integrazione delle questioni relative all'immigrazione nelle relazioni con i paesi terzi [87] sottolinea che un dialogo più intenso con i paesi terzi costituisce un elemento rilevante della politica europea in materia di immigrazione, non solo per contribuire a rendere più ordinati i flussi migratori ma anche per combattere più efficacemente l'immigrazione illegale e sviluppare nuove politiche volte alla gestione dei lavoratori migranti e alla creazione di dinamiche reciprocamente vantaggiose per l'UE e per i paesi di origine, specie per quanto concerne l'immigrazione temporanea per motivi di lavoro. La presenza di relazioni più strette con i paesi d'origine dovrebbe, tra le altre cose, garantire che si affrontino le cause di fondo dell'immigrazione illegale e che la politica europea in materia di immigrazione venga concepita in modo da sostenere obiettivi di sviluppo e conseguire una ripartizione equa dei costi e dei benefici dell'immigrazione. Questa impostazione politica dovrebbe facilitare i contatti tra migranti, famiglie e comunità del paese di origine, ivi inclusi i trasferimenti di fondi (rimesse). Essa dovrebbe anche incentivare i potenziali migranti ad avvalersi dei canali ufficiali di ingresso, scoraggiando gli stessi a tentare di entrare illegalmente nell'UE. Nel contesto di questo dialogo, la Commissioni ritiene importante:

[87] Cfr. Communication on integrating migration issues in the European Union's relations with third countries (Comunicazione della Commissione sull'integrazione delle questioni legate all'immigrazione nelle relazioni dell'Unione europea con i paesi terzi) (COM(2002)703 del 3 dicembre 2002).

* che ruolo e potenzialità della migrazione per motivi di lavoro trovino pieno riscontro;

* che, previ ulteriori studi e consultazioni sui vantaggi, si progredisca in direzione di un reciproco riconoscimento dello status delle qualifiche professionali acquisite dai cittadini dei paesi terzi prima dell'arrivo nell'UE, in base al principio di reciprocità [88];

[88] Si vedano anche le conclusioni del Vertice di Barcellona del 2000, nelle quali si menzionano le persone fornite di qualifiche in campo scientifico e tecnologico.

* che l'UE si avvalga delle opportunità offerte dall'Accordo generale sugli scambi di servizi dell'OMC, in modo da offrire meccanismi certi di movimento temporaneo a quanti intendono entrare nell'UE per fornire un servizio. Ciò risponderebbe alle aspettative di molti paesi in via di sviluppo.

4.10. Incrementare il sostegno finanziario dell'UE a favore dell'integrazione

E' attualmente in corso una revisione intermedia del Fondo europeo per i rifugiati (FER). L'eventuale elaborazione di nuovi orientamenti relativi alla fase successiva del Fondo verrà effettuata alla luce dell'esito della valutazione. Si prevede, tuttavia, di continuare a sostenere lo sviluppo di programmi e politiche in materia di integrazione a favore dei rifugiati e di quanti ricevono protezione internazionale.

Nel corso del 2003, la Commissione lancerà un certo numero di progetti pilota per l'integrazione dei migranti. [89] Il fine di questi interventi sarà di sostenere reti informative e scambi di informazioni e buone prassi tra gli Stati membri, le autorità locali e regionali e gli altri soggetti interessati, in modo da promuovere un dialogo aperto e individuare le priorità utili a delineare un'impostazione più coerente della questione dell'integrazione dei migranti in Europa.

[89] Il programma prenderà avvio nel 2003 e avrà una dotazione triennale di 12 milioni di euro. Esso si affiancherà ad iniziative già esistenti finalizzate ad affrontare la questione dell'integrazione dei migranti.

4.11. Migliorare l'informazione sul fenomeno dell'immigrazione

Come già indicato più sopra, condizione fondamentale di un'efficace attuazione politica è la presenza di informazioni più accurate, nonché di migliori strumenti di monitoraggio e di valutazione. Questo aspetto risulta essenziale anche al fine di accrescere la conoscenza dell'opinione pubblica circa il contributo reso dai migranti alla vita economica, sociale e culturale nell'UE. In assenza di dati e conoscenze accurati e comparabili riguardo l'efficacia delle misure adottate, gli Stati membri e la Comunità non sono in condizione di sapere se le politiche producono l'effetto desiderato. La Commissione sta attualmente conducendo uno studio relativo a parametri di riferimento per verificare l'opportunità di sviluppare indicatori a livello UE. Inoltre, essa ha recentemente adottato un Piano d'azione per la raccolta e l'analisi di dati statistici comunitari nel campo dell'immigrazione. [90]

[90] COM(2003) 179

Oltre a ciò, alla fine del 2002, la Commissione ha avviato interventi mirati a predisporre la creazione di una Rete europea dell'immigrazione (REI). La struttura fungerà da base sistematica per le azioni di monitoraggio e analisi del fenomeno pluridimensionale dell'immigrazione e dell'asilo, prendendo in considerazione una gamma di dimensioni - politica, giuridica, demografica, economica, sociale - e individuando le cause di fondo del fenomeno. Dieci Stati membri hanno già creato cellule nazionali di contatto nel 2002 e si prevede che nel 2003 altri paesi si uniscano al progetto. La fase preparatoria, che può protrarsi fino a tre anni, verificherà la possibilità di introdurre in futuro una struttura di carattere più permanente.

Le questioni legate all'immigrazione e all'asilo sono ora pienamente integrate nelle priorità del programma quadro di ricerca e sviluppo della Commissione e nel piano d'azione della Commissione "Investire nella ricerca" [91]. Nel contesto del sesto programma quadro, relativo al periodo 2002-2006, un'ampia gamma di temi relativi all'immigrazione sarà oggetto di ricerche e analisi.

[91] Si veda in particolare COM(2003)226, sezione 3.1 "Favorire lo sviluppo coerente delle politiche nazionali ed europee", Azione n. 2, "Avviare un processo aperto di coordinamento di azioni atte a favorire lo sviluppo delle risorse umane nella scienza e nella tecnologia, con particolare rilievo per le implicazioni dell'obiettivo del 3%, come estensione del processo in atto, centrato sulla mobilità".

Queste azioni forniranno, inoltre, elementi utili alla preparazione della relazione sopra indicata.

5. CONCLUSIONI

Con questa comunicazione, la Commissione assolve al compito assegnatole dal Consiglio di Tampere, indicando proposte dettagliate per sostenere lo sviluppo di forti politiche di integrazione dei cittadini dei paesi terzi nell'UE, ma allo stesso tempo rispetta l'impegno assunto nella relazione di primavera del 2003, ovvero di riesaminare il ruolo delle politiche in materia di immigrazione, integrazione e occupazione nel processo di realizzazione degli obiettivi di Lisbona.

La capacità dell'UE di gestire l'immigrazione e di garantire l'integrazione dei migranti avrà enorme influenza sulla possibilità, in termini generali, di dominare la trasformazione economica e rafforzare la coesione sociale nel breve e nel lungo periodo. Posto che le conseguenze economiche della trasformazione socio-demografica saranno pienamente visibili solo nel corso del tempo, è comunque necessario che le questioni legate all'immigrazione godano di un'impostazione che guardi al futuro, in modo da essere pronti ad affrontare le sfide del domani. I benefici sociali ed economici dell'immigrazione possono realizzarsi solo conseguendo ad un più alto grado una riuscita integrazione dei migranti: l'UE deve affrontare la sfida dell'integrazione in modo complessivo. La rapida adozione da parte del Consiglio delle proposte di direttiva già presentate e relative alle condizioni di ingresso e soggiorno nell'UE di cittadini di paesi terzi è condizione preliminare per l'avvio di futuri interventi, poiché esse forniscono l'indispensabile quadro di riferimento in materia di diritti, al quale tutte le ulteriori politiche in materia di integrazione dovranno guardare. In questo contesto, la Commissione verificherà lo sviluppo del concetto di cittadinanza civile in funzione di nuovo strumento di integrazione.

In linea con il principio che esige di allargare a livello comunitario l'ambito delle politiche in materia di integrazione dei migranti, il sostegno a molte delle proposte presentate deve per l'intanto concretizzarsi nel quadro delle politiche e dei programmi già esistenti a livello di UE, in particolare nel quadro della strategia europea per l'occupazione, del processo di inclusione sociale, nonché dei programmi comunitari d'azione volti a combattere l'esclusione sociale e la discriminazione. Nel frattempo, il Fondo europeo per i rifugiati e i nuovi progetti pilota mirati a promuovere l'integrazione, oltre a fornire sostegno alle politiche nazionali in materia d'integrazione, garantiranno un'attenzione particolare a questioni specifiche dei cittadini di paesi terzi che richiedono di per sé una soluzione.

Infine, e alla luce delle conclusioni del Consiglio europeo di Salonicco, in programma il 20 e 21 giugno 2003, la Commissione intende rafforzare il coordinamento politico e presenterà relazioni annuali sui progressi raggiunti nell'opera di sviluppo della politica comune in materia di immigrazione.

La Commissione inoltrerà per conoscenza la presente comunicazione al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni.

ALLEGATO 1

RELAZIONE DI SINTESI SULLE POLITICHE NAZIONALI DI INTEGRAZIONE

1. Introduzione

Alla riunione informale del Consiglio Giustizia ed affari interni di Veria del 28-29 marzo 2003 gli Stati membri hanno convenuto che la Commissione doveva preparare una relazione di sintesi sulle politiche di integrazione nazionali in vista del prossimo Consiglio europeo convocato a Salonicco per il 20-21 giugno 2003.

Questa sintesi si pone come un complemento alla comunicazione su immigrazione, integrazione ed occupazione in quanto costituisce una rassegna fattuale delle politiche di integrazione degli Stati membri e dimostra chiaramente che sarebbe auspicabile rafforzare il coordinamento delle politiche in materia di integrazione. La relazione è stata preparata sulla base di un questionario sull'integrazione degli immigrati [92], che è stato inviato sia agli Stati membri che ai paesi di prossima adesione. La Commissione ha ricevuto 13 risposte da Stati membri [93] e 8 da paesi di prossima adesione [94]. Vi sono grandi differenze tra le varie risposte in termini di quantità di informazioni e particolari forniti. Tuttavia emerge chiaramente che esistono forti differenze tra le politiche di integrazione non solo tra i paesi di prossima adesione ma anche all'interno dell'Unione europea attuale. Ciò non deve sorprendere, poiché la storia dei paesi europei per quanto riguarda l'immigrazione è molto diversa.

[92] Il questionario non affrontava il problema dell'integrazione dei rifugiati. Va osservato che in molti paesi non si fa distinzione tra i rifugiati e gli immigrati ai fini dell'integrazione.

[93] Belgio e Francia non hanno risposto al questionario.

[94] Polonia e Ungheria non hanno risposto al questionario.

2. Sintesi delle risposte al questionario

2.1 Accoglienza di nuovi immigrati

Programmi nazionali di integrazione degli immigrati esistono in predominanza nei paesi nei quali la maggior parte degli immigrati giungono nel quadro del ricongiungimento familiare o sono accolti per motivi umanitari e nei quali i nuovi arrivati giungono nel paese ospitante senza avere già un contratto di lavoro e raramente ne conoscono già la lingua. Si tratta di paesi nei quali, inoltre, il sistema di previdenza sociale è altamente sviluppato. In altri paesi i problemi appena citati non sembrano prioritari e l'azione è piuttosto volta ad assicurare strutture adeguate per l'accoglienza degli immigrati che vi vengono a lavorare, ossia l'accesso ad un alloggio, ai servizi sociali e all'assistenza sanitaria.

2.1.1 Obiettivi delle politiche di integrazione

Gli obiettivi che le politiche di integrazione si propongono sono naturalmente differenti, ma si può tuttavia riscontrare una certa concordanza tra gli obiettivi principali delle politiche di integrazione degli Stati membri che sono, da un lato, di rendere gli immigrati autonomi e capaci di autosostentarsi, e dall'altro di permettere loro di partecipare attivamente a tutti gli aspetti della vita del paese.

2.1.2 Descrizione delle politiche di integrazione

In paesi come la Finlandia, la Danimarca e i Paesi Bassi, leggi nazionali sull'integrazione sono state approvate nel 1998 e nel 1999, mentre in Austria e in Germania sono state assunte iniziative in materia solo di recente. Le leggi in questione definiscono un quadro nazionale generale per l'integrazione, nel cui ambito i diversi soggetti competenti possono adottare misure adeguate alle circostanze locali e alle singole esigenze. I programmi nazionali d'integrazione hanno in genere tre componenti principali: apprendimento della lingua, corsi di orientamento e di introduzione e formazione professionale per il mercato del lavoro. I programmi - in qualche misura obbligatori - sono nella maggior parte dei casi adattati alle esigenze specifiche degli immigrati. L'immigrato viene convocato per un colloquio nel quale si valuta il suo livello di qualificazione, di istruzione, di esperienza professionale e di conoscenze linguistiche. Sulla base del colloquio viene predisposto su misura un programma specifico di integrazione per il singolo immigrato. Non tutti gli Stati membri hanno dato informazioni sulla durata dei loro programmi di integrazione e questa sembra variabile; nella maggior parte dei casi si tratta di 2-3 anni. In Germania per esempio, ai sensi della proposta di nuova legge sull'immigrazione, i nuovi arrivati avranno un diritto formale a seguire un corso di integrazione comprensivo di una formazione linguistica e di un corso di orientamento. Questo è destinato a dare informazioni sull'ordinamento giuridico, la cultura e la storia della Germania. In Danimarca il corso di orientamento costituisce parte integrante del corso di lingua che viene offerto gratuitamente a tutti gli immigrati.

Negli altri Stati membri non esiste un quadro legislativo per programmi di integrazione degli immigrati su scala nazionale, ma si è comunque compiuto uno sforzo per sviluppare una politica nazionale per la promozione dell'integrazione.

In Svezia [95] il governo ha deciso nel 1997 di concentrarsi maggiormente sull'integrazione e la politica si fonda sul principio del "mainstreaming". Il punto di partenza è l'uguaglianza dei diritti, delle responsabilità e delle opportunità per tutti e la promozione dell'integrazione permea tutte le politiche e deve trovare espressione nella gestione corrente in tutti i settori della società. Un approccio multiculturale all'integrazione molto simile, imperniato sulle comunità etniche e sulle loro relazioni reciproche, è quello adottato nel Regno Unito, da lungo tempo paese di immigrazione. In parallelo con la politica di immigrazione, è stata approvata una serie di strumenti e norme giuridiche intese a promuovere l'uguaglianza razziale e la parità delle opportunità in diversi campi - occupazione, istruzione, alloggio e previdenza sociale - che contribuiscono a migliorare la vita degli immigrati e dei loro discendenti. In Irlanda è stato adottato un approccio molto simile a quello del Regno Unito. A questo proposito va detto che fino ad oggi tutte le persone che immigrano in Irlanda vi giungono a seguito di un'offerta di lavoro e che il processo di integrazione è imperniato soprattutto sull'azione all'interno del mercato del lavoro.

[95] Si noti che un programma di integrazione dei rifugiati simile a quello previsto per gli immigrati in Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi non esiste in Svezia.

La Grecia ha recentemente iniziato - nel quadro della politica nazionale in materia di migrazione - ad applicare un Piano d'azione integrato (2003-2006) per l'integrazione sociale di tutti gli immigrati in soggiorno legale. Il piano d'azione comprende varie misure in sei settori principali: informazione, mercato del lavoro, cultura, istruzione e lingua, servizi sanitari e alloggio provvisorio. Nell'ambito delle iniziative per il mercato del lavoro la Grecia sta creando una procedura di registrazione delle qualifiche professionali degli immigrati e sta promuovendo un'azione per incoraggiare l'iniziativa imprenditoriale.

Anche la Spagna sta attualmente mettendo in atto un piano nazionale di integrazione, il Programma globale per l'Immigrazione (2001-2004). Il programma ha individuato alcuni settori nei quali occorre promuovere l'integrazione: assicurare agli immigrati il pieno godimento dei loro diritti (assistenza sanitaria, accesso all'istruzione, ricongiungimento familiare, libertà di culto), accesso alla cittadinanza, accesso al lavoro, alloggi provvisori, miglioramento dell'infrastruttura di integrazione nazionale (istituzione di meccanismi per intensificare la collaborazione tra autorità pubbliche nazionali, regionali e locali, ONG e società civile) e lotta contro il razzismo e la xenofobia. Accanto al programma nazionale, diversi governi regionali hanno un programma per l'immigrazione che comprende misure per l'integrazione degli immigrati e tutte le principali città spagnole hanno un proprio programma d'integrazione.

In Portogallo un certo numero di iniziative sono state assunte dall'Alta Commissione per l'Immigrazione e le minoranze etniche, un organismo nazionale di recente istituzione che ha assunto la responsabilità dello sviluppo delle politiche di integrazione in Portogallo. In particolare ci si è sforzati di dare maggiori informazioni ai nuovi arrivati. In generale le ONG svolgono in Portogallo un ruolo di primo piano negli sforzi di integrazione, gestendo un certo numero di progetti in materia e offrendo corsi di lingua e assistenza nella ricerca di un alloggio.

Per la messa in atto della politica nazionale di integrazione anche l'Italia si affida in ampia misura, come il Portogallo, alle organizzazioni della società civile e in particolare alla numerosa comunità delle ONG, che sono i principali prestatori di servizi di assistenza di base, anche per quanto riguarda l'alloggio. Una serie di programmi di integrazione è stata avviata a livello nazionale, provinciale e locale con il sostegno finanziario del governo.

Nel 1993 il Lussemburgo ha approvato una legge sull'integrazione degli stranieri che ha istituito programmi coordinati per facilitare il loro inserimento sociale, economico e culturale. La percentuale degli stranieri in Lussemburgo è molto più elevata che in qualsiasi altro paese dell'UE e il paese ha tre lingue ufficiali. Grande importanza è stata data allo sviluppo di un programma per l'integrazione dei bambini stranieri (i figli di immigrati rappresentano il 38% del totale della popolazione scolastica) fondato sui principi di un'istruzione comune, del trilinguismo e delle pari opportunità.

2.1.3 Elementi obbligatori

Negli Stati membri che hanno programmi nazionali di integrazione, questi comportano generalmente degli elementi obbligatori. In Danimarca e in Austria gli immigrati sono tenuti a sottoscrivere e a rispettare un "contratto di integrazione" (si considera che si sia attenuto al contratto l'immigrato che abbia portato a termine con successo il corso nazionale di integrazione). Il mancato rispetto del contratto ha conseguenze negative per il rinnovo del permesso di soggiorno. In Austria gli immigrati devono accollarsi il costo del programma di integrazione, ma fino al 50% dell'importo può essere rimborsato dal governo se l'immigrato adempie al contratto di integrazione entro i 18 mesi. Anche in Germania, quando sarà entrata in vigore la nuova legge sull'immigrazione, gli immigrati saranno chiamati a contribuire finanziariamente (proporzionalmente alle loro risorse) al costo del programma di integrazione e se non completeranno con successo il programma si esporranno a conseguenze negative per il rinnovo del loro permesso di soggiorno. Sia in Germania, sia nei Paesi Bassi viene rilasciato un diploma di frequenza e di compimento di un corso di integrazione e - nel caso della Germania - esso può servire ad abbreviare da 8 a 7 anni il periodo dopo il quale è ammessa la naturalizzazione. In generale esistono sanzioni per la mancata partecipazione ai programmi di integrazione nei paesi in cui gli immigrati hanno diritto a prestazioni previdenziali per la durata del programma: le sanzioni possono consistere in una riduzione delle prestazioni sociali o - nel caso di immigrati che godono di un reddito sufficiente - in una ammenda amministrativa [96].

[96] Tuttavia questo vale allo stesso modo per cittadini nazionali e immigrati nei paesi in cui gli immigrati fanno capo ai servizi competenti per l'insieme della popolazione se non partecipano al mercato del lavoro.

2.1.4 Struttura delle autorità competenti

In tutti gli Stati membri sono le autorità locali e regionali che sono competenti per la messa in atto delle politiche di integrazione, mentre il finanziamento effettivo delle misure e dei programmi può provenire da fonti nazionali o locali a seconda del paese. In alcuni paesi sono competenti sia le autorità regionali che quelle locali, mentre in altri, come la Spagna ed i Paesi Bassi, sono competenti anche i grandi comuni. In Germania lo Stato stabilisce gli indirizzi generali per i corsi di integrazione, ma la loro realizzazione è affidata ad organismi pubblici e privati. Il programma di integrazione su scala nazionale nel cui ambito sono attuate le misure di integrazione deve essere definito di comune accordo dallo Stato, dai governi regionali e dalle autorità locali, come pure dalle parti sociali e dai rappresentanti della società civile. In Danimarca e Finlandia sono i comuni che hanno la responsabilità generale dei programmi d'integrazione, ma essi possono decidere di avvalersi di altri enti pubblici o privati per la loro realizzazione.

2.1.5 Finanziamento delle politiche

Non tutti gli Stati membri hanno comunicato cifre precise su quanto viene speso ogni anno per le politiche di integrazione. Come risulta dalla tabella che segue, alcuni paesi spendono parecchio per l'integrazione degli immigrati ma, poiché non viene precisato quali sono esattamente le misure finanziate e bisognerebbe rapportare gli stanziamenti al numero dei nuovi arrivi e alle dimensioni del paese in questione, è difficile fare un confronto e trarre conclusioni uniformi.

>SPAZIO PER TABELLA>

2.2 Misure a medio - lungo termine per l'integrazione degli immigrati

Gli Stati membri che hanno risposto a questa domanda hanno in genere dichiarato che le misure per l'integrazione dei nuovi arrivati (descritte sopra) si applicano anche, almeno in parte, agli immigrati arrivati da più lungo tempo. Tuttavia gli immigrati che soggiornano da più tempo nel paese fanno normalmente capo ai servizi competenti per l'insieme della popolazione, ossia ai servizi di collocamento o ai servizi sociali pubblici. Di conseguenza le politiche che hanno come destinatari specifici gli immigrati si basano su singoli progetti, hanno destinatari ben individuati e sono intesi a rispondere ad esigenze particolari. Vi rientrano iniziative nel settore dell'istruzione, dell'occupazione, della sanità e della previdenza, degli alloggi e della promozione della partecipazione alla vita sociale, culturale e politica. Nei Paesi Bassi sono stati istituiti programmi speciali per evitare che le minoranze etniche diventino la nuova categoria degli esclusi nella società. Svezia e Germania precisano che fin dalla metà degli anni Settanta finanziano corsi di lingua per tutti gli immigrati che non conoscono bene la lingua nazionale e che questo servizio viene offerto loro gratuitamente.

2.3 Integrazione nel mercato del lavoro

Per quanto riguarda le misure per migliorare l'integrazione nel mercato del lavoro, dalle risposte pervenute si desume che vi sono notevoli differenze da uno Stato membro all'altro a causa della grande diversità del profilo dell'immigrazione e delle esigenze del mercato del lavoro dei vari paesi. Alcuni Stati membri hanno bisogno di lavoratori altamente qualificati ed altri solo di manodopera non qualificata. Al tempo stesso molti Stati membri si trovano di fronte ad un tasso di disoccupazione relativamente elevato per gli immigrati, specie quelli di seconda e terza generazione. Queste differenze sembrano determinanti per la diversità delle soluzioni scelte per affrontare questo problema.

2.3.1 Misure programmate

L'integrazione degli immigrati disoccupati nel mercato del lavoro viene promossa in tutti gli Stati membri o con politiche generali o con piani individuali di integrazione o di ricerca di lavoro. In Germania vengono sviluppati percorsi di inserimento per combattere la disoccupazione giovanile, specie tra gli immigrati. In Spagna vengono attuati programmi per sfruttare le opportunità di lavoro specialmente adatte agli immigrati e organizzati trasferimenti all'interno del paese per coprire posti di lavoro liberi.

I Paesi Bassi hanno fissato, conformemente alla strategia europea per l'occupazione, obiettivi nazionali specifici in materia di integrazione. Un'iniziativa specifica è volta a ridurre della metà la differenza tra il tasso di disoccupazione delle minoranze etniche e quelle delle persone originarie dei Paesi Bassi, il che significherebbe ridurre al 10% il tasso di disoccupazione delle minoranze etniche. Anche in Finlandia sono stati fissati obiettivi per la lotta contro la discriminazione e la promozione dei diritti sociali per trovare risorse supplementari per la formazione professionale degli immigrati.

Alcuni Stati membri, cioè Austria e Italia, hanno un apposito sistema di quote per i lavoratori immigrati e il Regno Unito intende introdurre nuovi regimi per accogliere lavoratori con contratti temporanei all'estremità meno qualificata del mercato del lavoro, dato che in alcuni settori vi è carenza di manodopera. L'Austria ha programmi che prevedono una quota annuale sia per lavoratori altamente qualificati che per lavoratori stagionali. In Italia i datori di lavoro che fanno venire degli immigrati attraverso il sistema delle quote devono garantire non solo un posto di lavoro, ma anche un alloggio e le spese di viaggio.

2.3.2 Contributo delle parti sociali

In alcuni Stati membri le parti sociali partecipano a livello nazionale e locale alla preparazione e messa in atto delle misure di integrazione. In Spagna per esempio le parti sociali collaborano alla stima delle esigenze di manodopera nel paese. In Finlandia le organizzazioni del mercato del lavoro collaborano a livello nazionale all'integrazione degli immigrati soprattutto tramite organi consultivi nei quali sono rappresentate. In Danimarca è stato concluso un accordo tra il governo e le parti sociali sulle misure di integrazione nel mercato del lavoro, in cui si sottolinea la necessità di promuovere l'integrazione con azioni concertate. Secondo l'accordo possono essere disposte deroghe ai contratti collettivi, su base locale, allo scopo di promuovere l'integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro.

2.3.3 Coordinamento con altre autorità

Generalmente, responsabili della messa in atto delle politiche di integrazione degli immigrati sono le autorità regionali e locali. In molti Stati membri vengono impartiti indirizzi generali al livello nazionale mentre le misure concrete sono attentamente coordinate, spesso con la partecipazione delle parti sociali.

2.4 Partecipazione degli immigrati

Di norma gli immigrati possono partecipare liberamente alla vita sociale e culturale e accedere all'istruzione, e possono essere attivi in campo politico, aderendo a partiti politici, associazioni, società ed organizzazioni. Circa la metà degli Stati membri hanno concesso alcuni diritti politici ai cittadini di paesi terzi. Dopo un certo periodo di soggiorno legale (dai 6 mesi ai 5 anni) gli immigrati possono votare o candidarsi alle elezioni locali o comunali.

2.4.1 Organi consultivi specifici

In alcuni paesi vi è una lunga tradizione di coinvolgimento degli immigrati e delle loro organizzazioni nel processo decisionale e tutti gli Stati membri hanno istituito appositi organi consultivi per gli immigrati, anche se nessuno di questi organi ha poteri decisionali diretti. Gli organi consultivi sono molto diversi per quanto riguarda la loro struttura e il loro mandato.

In Portogallo è stato istituito un Consiglio consultivo per l'immigrazione per assicurare che le associazioni rappresentative degli immigrati, le parti sociali e le istituzioni di solidarietà sociale partecipino alla definizione delle politiche di integrazione sociale e alla lotta contro l'esclusione.

In Lussemburgo il Consiglio nazionale per gli stranieri assiste il governo con pareri su tutte le proposte pertinenti. Il Consiglio ha anche il diritto di presentare al governo proposte volte a migliorare la situazione degli stranieri. Metà dei membri del Consiglio sono stranieri eletti dalle loro associazioni. Al livello locale, i comuni in cui gli stranieri rappresentano più del 20% della popolazione sono tenuti ad istituire un'apposita commissione consultiva.

Un principio simile si applica in Danimarca, dove tutti i comuni devono istituire un Consiglio per l'integrazione su domanda di almeno 50 persone. Il Consiglio per l'integrazione può esprimere pareri sull'azione generale a favore dell'integrazione nel comune. I membri dei consigli locali per l'integrazione eleggono un Consiglio nazionale per le minoranze etniche, che consiglia il ministro per l'integrazione sulle questioni pertinenti.

In Finlandia è stato creato un Comitato consultivo per le relazioni etniche con il compito di monitorare le questioni relative all'integrazione e di dare pareri tecnici. Sia gli immigrati che le minoranze etniche tradizionali delle Finlandia vi sono rappresentate insieme a diversi ministeri, alle parti sociali e alle ONG.

La Grecia non dispone di un organo consultivo ma è stato recentemente costituito un Istituto per la politica migratoria che, oltre a raccogliere informazioni e a fare ricerche, è anche preposto al monitoraggio dei progetti e delle attività in materia.

In Italia esistono diversi organi consultivi. L'Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, che esprime pareri sulle politiche di integrazione, si compone tra l'altro di rappresentanti degli enti locali, delle immigrati e delle parti sociali. A livello locale un consigliere speciale eletto dalla comunità degli immigrati rappresenta i loro interessi in relazione alle iniziative locali.

2.4.2 Livello di partecipazione

In quasi tutti gli Stati membri gli immigrati sono rappresentati negli organi consultivi per l'immigrazione. In Spagna circa un terzo o un quarto dei componenti degli organi consultivi sono immigrati essi stessi. In Danimarca attualmente tutti i componenti eletti del Consiglio per le minoranze etniche sono membri di minoranze etniche.

2.5 Lotta contro le discriminazioni e per l'uguaglianza

Tutti gli Stati membri stanno attualmente rivedendo la loro legislazione per la lotta contro le discriminazioni o stanno adottando nuovi strumenti legislativi per dare attuazione, come prescritto, entro il 2003 alla direttiva fondata sull'articolo 13 (direttiva 2000/43/CE) sulla parità di trattamento.

Per promuovere l'integrazione e combattere il razzismo, quasi tutti gli Stati membri hanno in corso campagne di sensibilizzazione e programmi speciali. In alcuni paesi erano state promosse iniziative speciali nel quadro della preparazione alla Conferenza mondiale contro il razzismo svoltasi a Durban, Sud Africa, nel 2001. Nei Paesi Bassi è stata instaurata una piattaforma nazionale per contribuire ad un Piano d'azione nazionale contro il razzismo, in Finlandia un Piano d'azione nazionale per la lotta al razzismo è stato adottato nel 2001, mentre un piano d'azione è in via di attuazione anche in Irlanda. Diversi paesi hanno attuato campagne contro la discriminazione nel 2001 ed alcuni, come la Svezia e la Germania, hanno stanziato fondi per campagne di lotta al razzismo e promozione della parità di trattamento, in particolare a favore dei bambini e dei giovani.

Diversi Stati membri dispongono di un organismo incaricato di seguire o di dare pareri sulle questioni attinenti alla parità di trattamento o alle discriminazioni; in Irlanda per es. l'Autorità per l'uguaglianza fornisce informazioni e consigli a coloro che ritengono di essere vittima di discriminazioni.

2.6 Integrazione riuscita

2.6.1 Definizione ufficiale

Nessuno Stato membro ha una definizione univoca di integrazione, ma tutti sembrano fino ad un certo punto d'accordo sul fatto che l'integrazione ha diverse componenti e che si tratta di un processo in due direzioni, a cui devono concorrere sia gli immigrati che la comunità locale. Nei paesi in cui esiste una legislazione specifica in materia di integrazione questa può essere definita nelle disposizioni di legge, ma anche in questi casi l'integrazione è vista come un processo imperniato su alcuni elementi essenziali.

Sintetizzando le risposte ricevute dagli Stati membri si può in generale affermare che l'integrazione comprende:

* il rispetto dei valori fondamentali di una società democratica

* il diritto di mantenere la propria identità culturale

* diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE

* partecipazione attiva su un piede di parità a tutti gli aspetti della vita (economica, sociale, culturale, politica, civile).

2.6.2 Fattori chiave per il successo dell'integrazione

Nella maggior parte dei paesi non esistono strumenti per misurare l'integrazione o criteri ufficiali per il successo dell'integrazione. Secondo le risposte, l'integrazione avviene gradualmente e in modo diverso per ciascuna persona.

Nei Paesi Bassi il criterio fondamentale per il successo dell'integrazione è l'autonomia dell'immigrato. Sia il Regno Unito che l'Austria sottolineano che l'acquisizione della cittadinanza è un evento significativo che indica che l'integrazione è effettivamente riuscita.

2.6.3 Principali ostacoli all'integrazione

La stragrande maggioranza degli Stati membri sottolinea che uno dei principali ostacoli all'integrazione consiste nell'insufficiente conoscenza della lingua del paese ospitante. La carenza d'istruzione o la mancanza di una qualificazione professionale formale viene anche citata fra gli ostacoli, insieme alla difficoltà di valutare e riconoscere il grado di qualificazione degli immigrati, ossia di omologare gli esami superati ed i diplomi conseguiti nei loro paesi d'origine. Alcuni paesi dichiarano che uno dei più gravi ostacoli all'integrazione è il fatto che gli immigrati sono disoccupati, sottintendendo che il lavoro è uno dei principali strumenti di integrazione degli immigrati nella società. I Paesi Bassi riconoscono che la scarsa conoscenza della lingua può anche mettere in svantaggio i bambini provenienti dalle minoranze etniche. La Finlandia dichiara che l'atteggiamento delle popolazione incide fortemente sul senso di appartenenza alla società finlandese degli immigrati e che il razzismo e la discriminazione costituiscono ostacoli importanti all'integrazione. L'Austria cita anche la religione come possibile ostacolo all'integrazione, specie per quanto riguarda le donne.

2.7 Monitoraggio dei modelli di integrazione

2.7.1 Organi appositi per il monitoraggio

In quasi tutti gli Stati membri il monitoraggio ha un ruolo importante e sono stati istituiti appositi programmi di monitoraggio. Tutti gli Stati membri hanno monitorato, in un modo o nell'altro, il processo di integrazione e molti paesi pubblicano ogni anno una relazione in materia, che viene discussa dai Parlamenti nazionali. Nei paesi in cui esiste una legge sull'integrazione, la relazione sullo stato di applicazione dei programmi di integrazione e le eventuali proposte di revisione della legislazione sono discusse in Parlamento.

Nei Paesi Bassi un apposito Osservatorio dell'integrazione (che raccoglie fatti e cifre) procede ad un inventario della posizione delle minoranze etniche da tre punti di vista: socio-strutturale, socio-culturale e politico-istituzionale. In Danimarca è stato istituito un gruppo di riflessione per stabilire obiettivi di integrazione. In Italia viene pubblicato un rapporto annuale sulla situazione dell'integrazione degli immigrati, che viene presentato al Parlamento. In Finlandia viene fatto ogni anno il punto in materia di tasso di occupazione, condizioni di vita, istruzione, condizione dei bambini, dei giovani e delle donne e servizi sociali. In Germania, nella proposta di nuova legge sull'immigrazione, è previsto che un apposito organismo avrà il compito di fare il punto sulle capacità nazionali di accoglienza e di integrazione e sulle tendenze dei movimenti migratori.

2.7.2 Responsabilità del processo di monitoraggio

In tutti gli Stati membri la competenza per il monitoraggio del processo di integrazione è decentrata, e cioè attribuita alle autorità regionali, locali o comunali, come è decentrata la responsabilità per l'attuazione della politica di integrazione. Tuttavia, come si è già detto, in alcuni paesi si tiene un dibattito parlamentare sullo stato del processo di integrazione e un ministero nazionale è spesso competente per la gestione dell'insieme della politica di integrazione, e quindi anche per il processo di monitoraggio e di valutazione delle politiche, onde potersi assicurare che gli obiettivi auspicati siano conseguiti.

ALLEGATO 2

STATISTICHE

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Fonte: Eurostat - Statistics in focus - Women and men migrating to and from the EU - Tema 3 - 2/2003

Figura 2: Tasso grezzo di crescita demografica totale 2002

Contributo relativo dell'incremento naturale e della migrazione netta

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Fonte: Eurostat- Statistics in focus - First demographic estimates for 2002 - Tema 3 -25/2002

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Fonte: Eurostat - Statistics in focus - Women and men migrating to and from the EU - Tema 3 - 2/2003

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Fonte: LFS, Eurostat.

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Fonte: LFS, Eurostat.

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Fonte: LFS, Eurostat.

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Fonte: LFS, Eurostat.

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Fonte: LFS, Eurostat.

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Fonte: LFS, Eurostat.

>RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

Nota: il tasso occupazionale in Giappone e USA è stato fissato al livello previsto per il 2004 in base alla contabilità nazionale, base dati Ameco. Si fa presente che il tasso occupazionale della contabilità nazionale in Giappone (74%) differisce da quello della rassegna Occupazione dell'OCSE (69%).Se da un lato il tasso OCSE può risultare comparabile ai tassi UE e USA, una presentazione delle tendenze a lungo termine deve fondarsi sulla contabilità nazionale. Questa differenza è tuttavia di scarsa rilevanza per l'esercizio in questione. Fonti: occupazione civile complessiva (concetto nazionale, contabilità nazionale, base dati Ameco, servizi della Commissione. Cambiamenti del passato nella popolazione in età lavorativa, base dati Ameco. Cambiamenti previsti nella popolazione in età lavorativa UE15, revisione delle proiezioni demografiche Eurostat 1999 per l'UE15.Cambiamenti previsti nella popolazione in età lavorativa di USA e Giappone, La Divisione Popolazione del Dipartimento Affari sociale ed economici del Segretariato delle Nazioni Unite, Prospettive Popolazione Mondiale, per USA e Giappone. Cambiamento del PIL pro capite 1980-2003, contabilità nazionale, base dati Ameco, servizi della Commissione.

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Nota: il tasso occupazionale in Giappone e USA è stato fissato al livello previsto per il 2004 in base alla contabilità nazionale, base dati Ameco. Si fa presente che il tasso occupazionale della contabilità nazionale in Giappone (74%) differisce da quello della rassegna Occupazione dell'OCSE (69%).Se da un lato il tasso OCSE può risultare comparabile ai tassi UE e USA, una presentazione delle tendenze a lungo termine deve fondarsi sulla contabilità nazionale. Questa differenza è tuttavia di scarsa rilevanza per l'esercizio in questione. Fonti: occupazione civile complessiva (concetto nazionale, contabilità nazionale, base dati Ameco, servizi della Commissione. Cambiamenti del passato nella popolazione in età lavorativa, base dati Ameco. Cambiamenti previsti nella popolazione in età lavorativa UE15, revisione delle proiezioni demografiche Eurostat 1999 per l'UE15.Cambiamenti previsti nella popolazione in età lavorativa di USA e Giappone, La Divisione Popolazione del Dipartimento Affari sociale ed economici del Segretariato delle Nazioni Unite, Prospettive Popolazione Mondiale, per USA e Giappone. Cambiamento del PIL pro capite 1980-2003, contabilità nazionale, base dati Ameco, servizi della Commissione.

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