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Document 32000D0536

2000/536/CE: Decisione della Commissione, del 2 giugno 1999, relativa all'aiuto di Stato concesso dall'Italia all'impresa Seleco SpA [notificata con il numero C(1999) 1524] (Testo rilevante ai fini del SEE) (Il testo in lingua italiana è il solo facente fede)

OJ L 227, 7.9.2000, p. 24–40 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

Legal status of the document In force

ELI: http://data.europa.eu/eli/dec/2000/536/oj

32000D0536

2000/536/CE: Decisione della Commissione, del 2 giugno 1999, relativa all'aiuto di Stato concesso dall'Italia all'impresa Seleco SpA [notificata con il numero C(1999) 1524] (Testo rilevante ai fini del SEE) (Il testo in lingua italiana è il solo facente fede)

Gazzetta ufficiale n. L 227 del 07/09/2000 pag. 0024 - 0040


Decisione della Commissione

del 2 giugno 1999

relativa all'aiuto di Stato concesso dall'Italia all'impresa Seleco SpA

[notificata con il numero C(1999) 1524]

(Il testo in lingua italiana è il solo facente fede)

(Testo rilevante ai fini del SEE)

(2000/536/CE)

LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 88, paragrafo 2, primo comma,

visto l'accordo sullo Spazio economico europeo, in particolare l'articolo 62, paragrafo 1, lettera a),

dopo avere invitato gli interessati a presentare le loro osservazioni conformemente ai suddetti articoli,

considerando quanto segue:

I. PROCEDIMENTO

(1) Con lettera registrata il 30 marzo 1994, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha notificato alla Commissione, conformemente all'articolo 88, paragrafo 3 del trattato il testo della legge regionale n. 47/94 concernente interventi straordinari a favore dell'impresa Seleco SpA di Pordenone (in appresso "Seleco").

(2) Con lettere del 12 aprile 1994 e del 26 luglio 1994 la Commissione ha chiesto informazioni complementari alle autorità italiane. L'Italia non ha risposto a dette lettere. Da informazioni raccolte nella stampa, la Commissione ha appreso che il 6 agosto 1994 l'operazione notificata era stata effettuata prima che essa si fosse pronunciata a riguardo. Pertanto il 18 agosto 1994 l'aiuto è stato ritirato dal registro degli aiuti notificati ed iscritto nel registro degli aiuti non notificati con il numero NN 92/94. La Commissione aveva inoltre appreso che la società Ristrutturazione Elettronica SpA (in prosieguo: "REL") aveva parzialmente rinunciato ai crediti che vantava nei confronti di Seleco in base ad un accordo concluso nel 1994 a copertura delle perdite dell'esercizio 1993.

(3) In assenza di informazioni complementari da parte delle autorità italiane e tenuto conto dei dubbi che nutriva sulla compatibilità degli aiuti in questione con il mercato comune, il 27 settembre 1994 la Commissione ha deciso di avviare il procedimento di cui all'articolo 88, paragrafo 2, del trattato.

(4) L'avvio del procedimento è stato comunicato alle autorità italiane con lettera del 10 ottobre 1994. L'Italia ha presentato le sue osservazioni con lettera del 27 marzo 1995. La Commissione ha invitato gli interessati a presentarle le loro osservazioni mediante pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee(1) di questa stessa lettera. Tale pubblicazione non ha suscitato alcuna reazione da parte dei terzi.

(5) La Commissione, con lettere rispettivamente del 26 ottobre 1994, 30 gennaio 1995, 19 aprile 1995, 7 luglio 1995, 25 agosto 1995, 19 novembre 1996, ha chiesto alle autorità italiane informazioni più dettagliate che le sono pervenute in data 10 novembre 1994, 31 marzo 1995, 27 giugno 1995, 19 dicembre 1995, 22 gennaio 1996, 5 dicembre 1996 e 11 febbraio 1997. Il 22 novembre 1995 le sono state fornite spiegazioni complementari nel corso di una riunione svoltasi tra rappresentanti della Commissione e del governo italiano.

(6) Allorché si accingeva a chiudere iI procedimento, la Commissione, sempre da informazioni di stampa, è venuta a conoscenza di altri interventi pubblici a favore di Seleco. Con lettera del 19 novembre 1996 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni più dettagliate in merito a tali interventi. Le risposte delle autorità italiane le sono pervenute il 5 dicembre 1996 e l'11 febbraio 1997. Le informazioni contenute in queste lettere hanno indotto la Commissione, con decisione del 3 febbraio 1998, ad estendere il procedimento dell'articolo 88, paragrafo 2, del trattato nei confronti delle nuove misure.

(7) La lettera che informa le autorità italiane dell'estensione del procedimento è stata inviata il 18 febbraio 1998. L'Italia non ha presentato osservazioni sull'estensione del procedimento entro il termine stabilito. La Commissione ha invitato i terzi interessati, mediante pubblicazione di detta lettera nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee(2), a presentarle le loro osservazioni in merito all'aiuto in questione. La Commissione non ha ricevuto alcuna osservazione al riguardo da parte dei terzi interessati.

(8) In mancanza di dichiarazioni da parte delle autorità italiane, il 15 luglio 1998 è stato inviato un sollecito nel quale si segnalava che, in caso di mancata risposta, si sarebbe proceduto all'invio di un'ingiunzione. Il 30 luglio 1998 le autorità italiane hanno chiesto un periodo supplementare, scaduto il 4 settembre 1998.

(9) In seguito a vari solleciti formali ed informali, le autorità italiane, con lettera del 21 settembre 1998, hanno comunicato alla Commissione che il fallimento di Seleco era stato dichiarato in data 17 aprile 1997 ossia dieci mesi prima della comunicazione dell'estensione del procedimento. Appresa tale notizia, la Commissione, con lettera del 29 settembre 1998, ha chiesto alle autorità italiane informazioni complementari concernenti il processo di liquidazione di Seleco. Avendo ricevuto in data 17 novembre 1998 solo informazioni parziali il 2 dicembre 1998 la Commissione ha adottato una decisione di ingiunzione(3) onde ottenere le informazioni mancanti. La risposta delle autorità italiane a tale ingiunzione è pervenuta alla Commissione con lettera del 18 gennaio 1999. Ulteriori chiarimenti sono stati domandati con lettera del 28 aprile 1999. La risposta del governo italiano è pervenuta il 21 maggio 1999.

II. DESCRIZIONE DELL'AIUTO

II.1. Il beneficiario

(10) La società Seleco, con sede a Pordenone (Friuli-Venezia Giulia) operava nel mercato dell'elettronica di consumo e più precisamente in tre settori: televisori a colori, decodificatori di programmi criptati (settore pay-TV) e prodotti "professionali" (video proiettori e monitor). Come altre imprese presenti in questo settore in Italia, Seleco ha ricevuto regolarmente, nel corso degli ultimi dieci anni, aiuti pubblici da parte di REL(4).

(11) L'attività del gruppo Seleco (in appresso il "gruppo") era principalmente concentrata in Italia con consociate a Malta, in Spagna, (fino alla fine del 1993), in Germania e nei Paesi Bassi. Le vendite del gruppo coprivano tutta la Comunità, nonché i paesi del SEE.

(12) La tabella seguente riporta i dati relativi al fatturato del gruppo, gli utili ed il suo capitale sociale (a partire dal 1993):

>SPAZIO PER TABELLA>

(13) I risultati del 1996 non sono stati comunicati. Il fatturato del 1993 è stato composto per il 75 % dai televisori a colori, per il 6 % dai decodificatori e per il 4 % dai video proiettori.

(14) Il 17 aprile 1997 il tribunale ha dichiarato il fallimento di Seleco. Il passivo della società era di circa 154 miliardi di ITL di cui soltanto il 43 % era assistito da privilegi. Tale decisione è stata comunicata alla Commissione soltanto il 21 settembre 1998, in seguito a numerosi solleciti volti ad ottenere le informazioni richieste nell'ambito dell'estensione del procedimento.

II.1.1. La ricapitalizzazione del 1994

(15) Il 31 dicembre 1993, il capitale di Seleco ammontava a 54,48 miliardi di ITL ed era detenuto da SOFIN, REL e Friulia SpA (in appresso "Friulia") nelle seguenti percentuali:

>SPAZIO PER TABELLA>

(16) SOFIN SpA era una società privata, Friulia è una finanziaria interamente controllata dalla regione Friuli-Venezia Giulia, incaricata di promuovere lo sviluppo economico della regione, mentre la REL è una società costituita nel 1982 e controllata dal ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato. Scopo di questa società era la riorganizzazione del settore dell'elettronica di consumo mediante la creazione di società, l'assunzione di partecipazioni e finanziamenti a favore di imprese nelle quali deteneva partecipazioni.

(17) In passato la Commissione ha già avuto modo di pronunciarsi sull'attività della REL. Infatti con decisione del 17 gennaio 1984, la Commissione aveva chiesto al governo italiano di porre fine al regime di ristrutturazione del settore dell'elettronica imperniato sulla REL.

(18) Con decisione del 20 maggio 1992(5) la Commissione, a chiusura del procedimento avviato il 16 luglio 1991, esigeva dalle autorità italiane la liquidazione della REL e prendeva atto dell'impegno del governo italiano di cedere ad azionisti privati le partecipazioni detenute da quest'ultima nelle imprese del settore.

(19) L'esercizio 1993 per il gruppo Seleco, è stato ancora più difficile degli anni precedenti. Infatti il risultato netto rivelava una perdita di 77,5 miliardi di ITL, importo di gran lunga superiore al patrimonio netto (60,6 miliardi di ITL). In base alla legge italiana, in una situazione del genere gli azionisti devono optare per la liquidazione della società oppure per la riduzione del suo capitale coprendo le perdite e ricapitalizzando la società in caso di non liquidazione. Dalla relazione annuale del 1993 risulta che gli azionisti avevano optato per la prima alternativa ossia la liquidazione di Seleco (decisione del consiglio di amministrazione del 1o febbraio 1994).

(20) Tuttavia l'annuncio di questa misura aveva provocato il vivo malcontento dei dipendenti che hanno impedito il proseguimento della procedura di liquidazione. Le manifestazioni organizzate hanno indotto le autorità pubbliche nazionali e locali ad intervenire per fare in modo che gli azionisti modificassero la loro decisione. Dalla relazione annuale del 1993, che copre anche gli eventi dei primi mesi del 1994, risulta che in seguito all'intervento dei poteri pubblici, gli azionisti si erano accordati per ricapitalizzare la società, dopo averne ripianato le perdite. Da segnalare che tale accordo era stato formalizzato da una direttiva del Consiglio dei ministri italiano, successivamente comunicata alla società.

(21) In virtù di tale accordo REL era tenuta a coprire tutte le perdite eccedenti il capitale sociale ivi comprese le parti che avrebbero dovuto essere coperte dagli altri azionisti, rinunciando parzialmente ai crediti che vantava nei confronti di Seleco (16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL). La REL accettava questa rinuncia parziale a condizione che gli altri azionisti ricostituissero il capitale di Seleco a concorrenza di 45 miliardi di ITL. Pertanto Friulia apportava 13 miliardi di ITL e SOFIN 19 miliardi di ITL. Il saldo, pari ad un importo di 10,5 miliardi di ITL, era sottoscritto da un pool di banche, in gran parte private, in proporzione ai crediti vantati nei confronti di Seleco (162 miliardi di ITL, ossia il 40 % del debito totale).

(22) Il nuovo capitale era quindi ripartito come segue:

>SPAZIO PER TABELLA>

II.1.2. La ricapitalizzazione del 1996

(23) L'esercizio 1994 è stato, per la società, altrettanto difficile del precedente. A causa del ritardo subito dalla ricapitalizzazione (fine agosto), l'attività produttiva si era interrotta per otto settimane, l'organico era diminuito di 336 unità (da 1424 a 1088) ed erano fallite cinque affiliate. La società registrava perdite ammontanti a 39,2 miliardi di ITL.

(24) Alla fine dell'esercizio 1995, Seleco registrava nuove perdite, pari a 64,2 miliardi di ITL che hanno determinato un'ulteriore riduzione del capitale sociale (3,9 miliardi di ITL) al di sotto del limite legale. Questi cattivi risultati erano imputabili ad una nuova interruzione dell'attività produttiva per un periodo di cinquanta giorni e alla chiusura definitiva di tre affiliate fallite. L'organico era sceso a 821 unità.

(25) Gli azionisti si ritrovavano pertanto nella stessa situazione del 1994. Costretti nuovamente a scegliere tra la liquidazione della società o la sua ricapitalizzazione, essi hanno deciso di ricostituire il capitale sociale a concorrenza di 32,7 miliardi di ITL mentre un nuovo azionista, la società privata SOREC, apportava i 28,8 miliardi di ITL necessari.

(26) Nel febbraio 1996 il capitale di Seleco presentava quindi la seguente struttura:

>SPAZIO PER TABELLA>

(27) L'intervento del nuovo azionista privato era abbinato ad un intervento pubblico supplementare di REL effettuato nel giugno dello stesso anno. Si trattava del riscatto per 20 miliardi di ITL del debito residuo di 65,2 miliardi di ITL che la società vantava nei confronti di REL. Tale operazione si traduceva per Seleco in una sopravvenienza attiva di 48,5 miliardi di ITL. Tuttavia, nonostante queste due operazioni, il capitale sociale era ancora inferiore al limite legale a causa delle perdite accumulate.

(28) Poiché queste misure non erano sufficienti a garantire, dal punto di vista legale, la continuazione dell'attività, erano indispensabili altri interventi che sono stati effettuati nelle forme seguenti: i) un prestito obbligazionario di 12 miliardi di ITL emesso da Seleco e sottoscritto da un pool di banche in maggioranza private; ii) un prestito convertibile di 12 miliardi di ITL accordato da Friulia; iii) la vendita delle azioni Seleco Multimedia Srl (in appresso "Multimedia"), al prezzo di 20 miliardi di ITL.

(29) Dalla relazione annuale del 1995, che copre anche buona parte del 1996, risulta che malgrado la ricapitalizzazione del febbraio 1996 e nonostante le operazioni straordinarie succitate, la situazione di Seleco continuava ad essere molto difficile. Il risultato netto dell'esercizio 1996, ancora negativo, non è stato comunicato alla Commissione. In seguito, il 17 aprile 1997 il tribunale ha pronunciato il fallimento di Seleco.

II.1.3. La costituzione di Multimedia

(30) La società Multimedia era stata costituita con un capitale di 20 milioni di ITL nel 1995 dal sig. Rossignolo, azionista privato di riferimento di Seleco. Nel marzo 1996 Seleco, il cui azionista di maggioranza (87,9 % delle azioni) era SOREC, società privata il cui amministratore unico era lo stesso sig. Rossignolo, ha raggruppato in Multimedia le sue attività più redditizie (monitor e video proiettori) apportandovi 29 miliardi di ITL di capitale e diventandone l'unico proprietario. Multimedia diveniva così Seleco Multimedia Srl. Nel luglio 1996, Seleco, 9 mesi prima del suo fallimento, vendeva il 33,33 % delle azioni di Seleco Multimedia Srl a Italtel (società per il 50 % a capitale pubblico e per il 50 % a capitale privato), l'unico altro produttore italiano dello stesso tipo di prodotti, ed il 33,33 % a Friulia. Il prezzo di vendita di ciascuno di questi pacchetti azionari era di 10 miliardi di ITL. Il restante 33,33 % Seleco lo trasferiva a Finanziaria Elettronica Srl, una società di facciata che controllava direttamente al 99 %. Il pacchetto azionario (33,33 % del capitale) di Seleco Multimedia Srl che Seleco controllava attraverso la società Finanziaria Elettronica Srl è stato venduto alla società privata Formenti SpA nell'asta giudiziaria svoltasi il 20 dicembre 1997 nel quadro della liquidazione di Seleco.

II.2. Le misure oggetto del presente procedimento

(31) Le misure oggetto del presente procedimento sono le seguenti:

- la rinuncia parziale ai crediti che la REL vantava nei confronti di Seleco (16,8 miliardi di ITL su 82 miliardi di ITL) effettuata nel 1994,

- la conversione in azioni di Seleco del credito di 6 miliardi di ITL e l'apporto per 7 miliardi di ITL di capitale nuovo di Friulia (di fonte pubblica) nell'ambito della ricapitalizzazione del 1994,

- la partecipazione a concorrenza di 10,5 miliardi di ITL di un pool di banche, in maggioranza private, nella ricapitalizzazione di Seleco nel 1994,

- il riscatto, nel luglio 1996, per 20 miliardi di ITL del debito residuo di 66 miliardi di ITL che REL vantava nei confronti di Seleco,

- il prestito convertibile di 12 miliardi di ITL concesso nell'aprile 1996 da Friulia, contro garanzia dei quattro marchi industriali di Seleco (Seleco, Brionvega, Elbe e Tandberg), per un periodo di cinque anni al tasso del 7 %,

- il prestito obbligazionario convertibile di 12 miliardi di ITL concesso nel 1996 da un pool di banche, in maggioranza private, per un periodo di 4 anni e 10 mesi al tasso del 5 %,

- d'acquisto da parte di Friulia e di Italtel rispettivamente di un terzo delle azioni della società Multimedia al prezzo di 10 miliardi di ITL ciascuno.

III.1. Dubbi espressi dalla Commissione in occasione dell'avvio e dell'estensione del procedimento dell'articolo 88, paragrafo 2

(32) Nella decisione del 27 settembre 1994 con cui ha avviato il procedimento, la Commissione ha espresso dubbi circa l'applicabilità agli interventi pubblici del principio dell'investitore privato e circa la compatibilità degli aiuti in oggetto con il mercato comune. I motivi che hanno indotto la Commissione ad avviare il procedimento si possono riassumere come segue.

(33) In merito agli interventi del 1994, la Commissione osservava che il governo italiano si impegnava a fare in modo che REL cedesse la sua partecipazione in Seleco ad azionisti privati entro il 20 dicembre 1995, conformemente alla decisione del 20 maggio 1992. Essa constatava che la ricapitalizzazione aveva avuto per effetto di sostituire all'azionista pubblico (REL) un altro azionista (Friulia) anch'esso pubblico. Sulla base delle informazioni in suo possesso nulla permetteva alla Commissione di affermare che Friulia SpA e le banche pubbliche interessate si sarebbero ritirate dal capitale di Seleco prima del 20 dicembre 1995. Inoltre la Commissione faceva presente che nella stessa decisione del 20 maggio 1992 aveva affermato "che avrebbe assunto, in via di principio, una posizione negativa per qualsiasi altro futuro intervento in un settore che aveva beneficiato di aiuti per un così lungo periodo". Orbene, la rinuncia parziale di REL ai suoi crediti nei confronti di Seleco equivaleva a concessione di un nuovo arato da parte di quest'ultima in quanto de facto permetteva l'operazione di ricapitalizzazione di Seleco da parte di Friulia, di Sofin e delle banche.

(34) Considerato il carattere temporaneo della partecipazione azionaria di Friulia e delle banche, la Commissione dubitava sia della redditività dell'investimento che del rispetto degli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato al salvataggio e alla ristrutturazione di imprese in difficoltà(6).

(35) Nel quadro dell'estensione del procedimento del 3 febbraio 1998, la Commissione si interrogava, da un lato, sulla pertinenza dei tassi prescelti per il riscatto da parte di Seleco del debito residuo che la società vantava nei confronti di REL e, dall'altro, del prestito convertibile accordato da Friulia. Infatti, nella prima operazione le autorità italiane ritenevano che il tasso del 19 % rispecchiasse esattamente gli elevati rischi economici legati alla situazione economica della società (Seleco nella fattispecie), mentre nella seconda sostenevano che un tasso del 7 % corrispondeva al tasso di mercato per un'impresa nelle condizioni di Seleco.

(36) Sempre nell'ambito dell'estensione del procedimento, la Commissione esprimeva dubbi anche in merito all'applicabilità del principio dell'investitore privato all'acquisto da parte di Friulia e Italtel dei due pacchetti azionari della società Multimedia.

III.2. La posizione delle autorità italiane

(37) Per quanto riguarda la rinuncia di REL al rimborso di 16 miliardi di ITL (su un totale di 82 miliardi di ITL di crediti), le autorità italiane sostengono che tale operazione è conforme al principio dell'investitore privato operante in condizioni normali di mercato.

(38) Infatti, in base alla decisione della Commissione, del 20 maggio 1992, REL era tenuta ad uscire dal capitale di Seleco. Inoltre, secondo la legge italiana, REL, ormai in liquidazione dal 9 dicembre 1992, era unicamente tenuta a pagare i suoi debiti e a cercare di recuperare il massimo dei crediti che vantava nei confronti di altre società del settore dell'elettronica. Orbene, in seguito ai risultati particolarmente sfavorevoli del 1993, la scelta che si presentava a REL, come del resto a tutti gli altri azionisti, consisteva nel provocare il fallimento di Seleco oppure nell'assicurare la continuità della società. Tenuto conto della succitata decisione della Commissione, REL non poteva partecipare alla ricapitalizzazione, ma soltanto alla copertura delle perdite di Seleco dell'esercizio 1993 rinunciando ad una parte dei suoi crediti. Tale soluzione le offriva la possibilità di recuperare il massimo possibile dei suoi crediti.

(39) Inoltre, secondo le autorità italiane, REL non ha rinunciato ai suoi crediti senza una contropartita degli altri azionisti, che si erano infatti impegnati a sottoscrivere la ricapitalizzazione a concorrenza di 45 miliardi di ITL e a rimborsare successivamente a REL il debito residuo (65,2 miliardi di ITL).

(40) L'apporto di Friulia nella ricapitalizzazione di Seleco nel 1994, ammontava a 13 miliardi di ITL, di cui 6 miliardi di ITL erano costituiti dalla conversione in azioni di un prestito di pari entità e 7 miliardi di ITL da capitale nuovo. A giustificazione di tale operazione, le autorità italiane adducono il rischio del mancato recupero dell'integralità del prestito in caso di fallimento di Seleco. Per verificare la redditività dell'investimento e l'evoluzione economica di Seleco tra il 1994 e il 1998, Friulia aveva commissionato uno studio ad un consulente esterno (Peat Marwick). Sulla base degli elementi in suo possesso, Friulia ha concluso che le condizioni dell'impresa sarebbero progressivamente migliorate grazie al piano di ristrutturazione elaborato dall'azionista privato per il periodo 1993-1996. Pertanto, le autorità italiane sostengono che Friulia si sarebbe comportata come un investitore privato e inoltre sottolineano che l'azionista privato di Seleco (SOFIN) era disposto a reinvestire nella società essendo convinto della sua redditività economico-finanziaria.

(41) Alla ricapitalizzazione di Seleco ha anche partecipato, a concorrenza di 10,5 miliardi di ITL un pool di banche, in maggior parte private, convinte, come affermano le autorità italiane, della redditività economico-finanziaria della società nel breve periodo.

(42) Il prestito convertibile di 12 miliardi di ITL, al tasso del 7 % annuo, concesso il 19 aprile 1996 da Friulia, è garantito da pegno sui quattro marchi industriali posseduti dalla Seleco SpA (Seleco, Brionvega, Elbe e Tandberg). Le autorità italiane sostengono che tale prestito è del tutto giustificato dato che un pool di banche, in maggior parte private, aveva sottoscritto a favore di Seleco un prestito obbligazionario convertibile di pari entità al tasso del 5 %.

(43) Il riscatto da parte di Seleco, nel giugno 1996, al prezzo di 20 miliardi di ITL del debito residuo di 66 miliardi di ITL nei confronti di REL, secondo le autorità italiane si giustifica mediante l'applicazione di un tasso di attualizzazione del 19 %. Tale tasso è ottenuto sommando ad un tasso di base del 13 %-14 %, corrispondente al tasso praticato all'epoca dalle banche per i prestiti immobiliari garantiti da ipoteca e per i finanziamenti a medio termine con garanzie corrispondenti, uno "spread" del 5 %-7 %, che rispecchia le difficoltà del gruppo Seleco e quelle del mercato in cui operava.

(44) Quanto alla natura della decisione di Italtel di acquistare il 33,33 % delle azioni di Multimedia, le autorità italiane affermano che detta decisione non ha potuto essere adottata senza l'approvazione esplicita dell'azionista privato di detta società (Siemens AG).

(45) Le autorità italiane hanno comunicato che SOREC, azionista all'87 % di Seleco, dopo la ricapitalizzazione del 1996, è una società privata. Da notare che tale società è in liquidazione volontaria dal 28 luglio 1997.

(46) Il fallimento del piano di ristrutturazione 1993-1996 sarebbe dovuto, tra l'altro, alla cattiva situazione del mercato dell'elettronica di consumo in cui operava la società.

(47) Seleco avrebbe creato Multimedia innanzitutto per associarsi all'unico altro produttore italiano dello stesso genere di prodotti (video proiettori, monitor e decodificatori), Italtel, e per approfittare in tal modo della messa in comune del know-how tecnico e della clientela che Seleco aveva su questo mercato. In secondo luogo, la vendita delle azioni di Multimedia permetteva a Seleco di procurarsi una parte della liquidità necessaria alla copertura delle perdite del 1995.

(48) Il fallimento di Seleco è avvenuto all'inizio del 1997. I suoi debiti sono di circa 154 miliardi di ITL, di cui il 43 % assistito da privilegio. I creditori ammessi ad una prima ripartizione parziale degli attivi per un importo di 40 miliardi di ITL, effettuata prima della fine del 1998 sono i dipendenti che hanno ricevuto 28,2 miliardi di ITL, Medio Credito (banca pubblica), che ha ricevuto 8,5 miliardi di ITL più 1 miliardo di ITL di interessi e Banca Antoniana (privata) che ha ricevuto 1,1 miliardi di ITL, tutti creditori privilegiati.

(49) Infine il curatore fallimentare ha esperito l'azione revocatoria contro il riscatto del debito residuo di 65,2 miliardi di ITL al prezzo di 20 miliardi di ITL che Seleco vantava nei confronti di REL. Il tribunale ha soppresso il carattere privilegiato del debito di 13 miliardi di Seleco nei confronti di Friulia. (Quest'ultima ha ricevuto 1 miliardo di ITL a compensazione della perdita del pegno sui quattro marchi industriali di Seleco che le erano stati dati in garanzia.

IV. VALUTAZIONE DELL'AIUTO

(50) Ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato e dell'articolo 61, paragrafo 1 dell'accordo SEE, salvo le deroghe contemplate, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati che falsino o minaccino di falsare la concorrenza favorendo talune imprese o talune produzioni.

(51) Per le ragioni spiegate in appresso la Commissione ritiene che una parte delle misure cui si riferisce il presente procedimento costituiscano aiuti di Stato incompatibili con l'articolo 87, paragrafo 1, del trattato e l'articolo 61, paragrafo 1, dell'accordo SEE. Infatti si tratta di misure finanziate mediante risorse di Stato, che falsano o minacciano di falsare la concorrenza, in quanto costituiscono un vantaggio economico di cui altri produttori non hanno potuto beneficiare. Tale vantaggio ha permesso al beneficiario di sopravvivere artificialmente sul mercato senza sostenere una parte rilevante degli oneri finanziari necessari. Le misure in causa incidono anche sugli scambi intracomunitari giacché l'impresa beneficiaria aveva delle consociate in molti Stati membri e la sua produzione era ugualmente destinata ad altri paesi del SEE.

(52) Dopo anni di crescita, nel 1992 il settore europeo dell'elettronica di consumo ha cominciato a registrare un calo. Il consumo era diminuito di 4 miliardi di ECU e la produzione di 2,5 miliardi di ECU. Il numero di persone occupate era sceso molto più nettamente che nel settore manifatturiero, mentre il loro costo era aumentato in modo più che proporzionale rispetto alla crescita della produttività (44 % in più per unità rispetto al 33 % di crescita della produttività)(7).

(53) La recessione economica ha provocato un rallentamento della crescita, una maggiore concorrenza e una sensibile caduta dei prezzi. Ciò ha reso il mercato eccedentario in quanto il crollo dei prezzi aveva favorito la diffusione di prodotti elettronici. Secondo il "Panorama of EU Industry", nel 1994 la domanda poteva essere suddivisa in due segmenti: la fascia alta e la fascia bassa del mercato. I fattori di successo diventavano, per il primo segmento, il prezzo, il servizio assistenza e la qualità della distribuzione e rispettivamente, per il secondo, il miglioramento dell'immagine commerciale e l'estensione delle reti di distribuzione a vantaggio dei grandi magazzini.

(54) Il 1993 era il secondo anno di declino del mercato italiano(8) dell'elettronica di consumo (- 11,6 % delle vendite in termini di valore). Questo crollo era dovuto agli stessi motivi che avevano determinato il crollo di quello europeo, ma l'erosione dei prezzi era stata più rapida che negli altri Stati membri. Sul mercato italiano i concorrenti di Seleco investivano molto più nella pubblicità e nella R & S e alcuni di essi (Thomson, Grundig e Blaupunkt) avevano persino lanciato nuovi prodotti. La distribuzione avveniva principalmente attraverso piccoli negozi ma, come altrove in Europa, i grandi magazzini cominciavano a diventare la principale rete di vendita.

(55) Secondo il "Panorama of EU Industry" del 1994, le previsioni per gli anni successivi (1994-1997) erano ancora molto negative. Nel breve periodo gli operatori puntavano sulla diminuzione dei prezzi e sulla razionalizzazione della produzione, sul miglioramento della qualità dei prodotti esistenti e sul lancio di nuovi prodotti. Nel lungo periodo la strategia vincente consisteva nel concentrare gli sforzi nel settore della ricerca e sviluppo.

(56) Le previsioni per il mercato italiano erano analoghe. Dalla lettura di "Euromonitor" del febbraio 1994, si evince che l'economia italiana avrebbe continuato a decrescere e la recessione economica avrebbe fatto sentire i suoi effetti per tutto il 1994. Sempre secondo "Euromonitor" del febbraio 1994, in Italia nel settore dei televisori, le previsioni di crescita in termini di volume erano le seguenti:

>SPAZIO PER TABELLA>

(57) Gli aiuti in questione non sono stati concessi in base ad un regime approvato dalla Commissione e in violazione dell'articolo 88, paragrafo 3, sono stati accordati senza notifica preliminare. Trattasi pertanto di aiuti illegali. Altrettanto dicasi per l'apporto da parte di Friulia di 13 miliardi di ITL nel processo di ricapitalizzazione di Seleco del 1994, che, benché notificato, è stato attuato prima che la Commissione si fosse pronunciata al riguardo.

(58) Poiché si tratta di conferimenti di capitali pubblici, la Commissione deve verificare se le autorità pubbliche si siano comportate o meno alla stregua di un investitore privato operante nelle normali condizioni di un'economia di mercato.

(59) Conformemente agli orientamenti comunitari concernenti gli apporti di capitali dello Stato(9), l'assunzione di partecipazione dei poteri pubblici nel capitale di un'impresa, in generale, non costituisce aiuto di Stato se tale apporto si verifica in circostanze che sarebbero accettabili per un investitore privato operante nelle normali condizioni di un'economia di mercato (punto 3.2). Coerentemente a questo principio, l'esame della situazione finanziaria dell'impresa e delle sue prospettive di redditività a termine permettono di stabilire se l'intervento pubblico costituisca o meno aiuto di Stato.

IV.1. La rinuncia parziale di REL ai suoi crediti nel 1994

(60) Nel 1994 REL rinunciava ad una parte dei crediti che vantava nei confronti di Seleco (16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL) per permettere la continuazione dell'impresa. Secondo le autorità italiane, in tal guisa, REL preservava la maggior parte dei suoi crediti, che avrebbe recuperato in seguito, una volta che Seleco si fosse trovata in una migliore situazione finanziaria.

(61) Tuttavia, la Commissione constata che, come riportato nel bilancio annuale della società per l'esercizio 1993, gli azionisti di Seleco, di cui il più importante era REL, avevano deciso, all'inizio del 1994, di procedere alla liquidazione della società visti i pessimi risultati finanziari dell'esercizio. In effetti, le perdite erano di una volta e mezzo superiori al capitale sociale. Sempre secondo il detto bilancio annuale, la decisione di liquidare Seleco non è stata attuata in seguito alle azioni intraprese dai dipendenti e al successivo e conseguente intervento delle autorità pubbliche, in particolare della Presidenza del Consiglio dei ministri, volto ad indurre gli azionisti a modificare la loro decisione. Come risultato di tale intervento, gli azionisti, contrariamente alla loro prima decisione, hanno proceduto ad una nuova ricapitalizzazione di Seleco e REL ha coperto le perdite della compagnia rinunciando ad una parte dei crediti detenuti verso quest'ultima (16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL).

(62) In conseguenza, l'argomento avanzato dalle autorità italiane, secondo il quale REL, così come avrebbe fatto qualsiasi altro creditore privato, era intervenuta per evitare la liquidazione di Seleco al fine di preservare la maggior parte dei crediti detenuti verso la società, non può essere accettato dalla Commissione. Infatti, anche se la normativa italiana permetteva agli azionisti di evitare la liquidazione e di ricapitalizzare la società coprendo le perdite, è evidente che, senza l'intervento politico delle autorità italiane, e quello conseguente e forzato di REL, gli altri azionisti non avrebbero investito di nuovo in una società che, pur beneficiando di aiuti pubblici durante più di dieci anni, aveva avuto risultati negativi durante tutto questo periodo (a parte dei profitti molto bassi durante gli esercizi finanziari 1991 e 1992). La decisione di procedere alla liquidazione della società presa da tutti gli azionisti nel 1994, ivi compresa REL, azionista di riferimento (59 %) in quel momento, può trovare una spiegazione soltanto nella convinzione di questi ultimi, i meglio situati per pronunciarsi sulla situazione reale della loro società, che la sopravvivenza di Seleco sarebbe stata per loro molto più costosa della sua liquidazione definitiva e che, ad ogni modo, a lungo termine, la società non era redditizia. In particolare, per REL, azionista che sarebbe uscito dal capitale della società a partire dall'esercizio 1994 e che all'epoca era il più grande creditore di Seleco, la liquidazione della società doveva assicurare il recupero della maggior parte dei suoi crediti.

(63) Da quanto precede si deve quindi concludere che le operazioni di REL, quella del 1994, effettuata in contraddizione con le sue intenzioni originali e consistente nella rinuncia parziale ai suoi crediti (16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL), nonché quella del 1996, consistente nel riscatto del debito residuo di 65,2 miliardi al prezzo di 20 miliardi, sono se non Ia conseguenza diretta dell'intervento nel 1994 delle autorità politiche, avente per obiettivo di evitare ad ogni costo la liquidazione di Seleco. In queste condizioni, l'accettazione di REL a rinunciare nel 1994 a 16,8 miliardi di ITL e ad aspettare fino al 2015 per recuperare la differenza equivale alla rinuncia all'intero credito (82 miliardi di ITL) e di conseguenza ad un aiuto di tale ammontare. Infatti, il comportamento di REL non soltanto non è conforme al principio dell'investitore privato, ma deve essere considerato a priori come un aiuto di Stato, conformemente agli orientamenti comunitari concernenti gli apporti di capitali dello Stato (punto 3.3), dato che la situazione finanziaria dell'impresa e il volume dell'indebitamento erano tali che gli altri investitori di Seleco (privato e pubblici) non erano disposti ad investire nuovamente in quest'ultima. La decisione degli altri investitori (37 % privati) di procedere alla ricapitalizzazione della società, una volta che REL avesse coperto le perdite, mentre quest'obbligo incombeva ugualmente su di loro, non modifica le conclusioni su indicate(10). La Commissione considera che la ricapitalizzazione di Seleco nel 1994 non si sarebbe verificata senza l'impegno precedente di REL di coprire il totale delle perdite attraverso la detta rinuncia parziale ai suoi crediti verso la società. Ciò equivaleva ad una rinuncia totale a detti crediti, vista l'alta probabilità di una liquidazione definitiva imminente della società, effettivamente intervenuta tre anni dopo. Il fatto che, in seguito, nel 1996, REL abbia tentato di recuperare una parte del credito restante (20 su 65,2 miliardi di ITL), operazione contro la quale il curatore del fallimento ha esperito l'azione revocatoria ex articolo 67 del R.D. del 16 marzo 1942, n. 267(11) (in prosieguo "Legge sul Fallimento"), poiché REL, al momento dell'accordo, doveva necessariamente conoscere lo stato di insolvenza di Seleco, non fa che confermare la fondatezza della posizione della Commissione in materia.

IV.2. La conversione di un credito in azioni di Seleco ed il conferimento di capitale di Friulia nel 1994

(64) Nell'ambito della ricapitalizzazione di Seleco, nel 1994, Friulia convertiva in azioni il prestito di 6 miliardi di ITL, a cinque anni, al tasso del 9,55 % e apportava fondi complementari per un importo di 7 miliardi di ITL. Per effetto di tali interventi, essa diventava azionista di Seleco con una partecipazione del 28,8 % del capitale rispetto al 3,7 % detenuto precedentemente. Le autorità italiane giustificano tale intervento invocando il principio dell'investitore privato. Da un lato, Friulia avrebbe agito per preservare il rimborso del suo credito che, a differenza di quello di REL, era garantito per 3 miliardi di ITL dalla banca Friuladria (privata), a sua volta garantita per 2 miliardi di ITL da Seleco. D'altro lato, Friulia era convinta, in base alla perizia del piano di ristrutturazione 1993-1996 effettuata da un esperto indipendente, della redditività del suo investimento. Le autorità italiane sostengono quindi che il comportamento di Friulia sarebbe coerente, giacché l'azionista privato era di nuovo disposto ad investire 19 miliardi di ITL in Seleco.

(65) La Commissione ritiene che le conclusioni da essa formulate quanto alla natura di aiuto di Stato della rinuncia parziale di REL ai suoi crediti nei confronti di Seleco si applichino anche all'intervento di Friulia. Quest'ultima figurava tra gli azionisti di Seleco che, secondo la relazione annuale del 1993, avevano deciso di porre la società in liquidazione. D'altro lato, Friulia era anche creditore di Seleco ma, contrariamente a REL, gran parte del suo credito, che corrispondeva a un decimo di quello di REL, era garantita. In caso di liquidazione, Friulia avrebbe recuperato una parte del suo credito proporzionalmente più elevata di quella di REL. La tesi della salvaguardia di un credito esistente non può pertanto essere accolta dalla Commissione.

(66) Come indicato in occasione dell'avvio del procedimento, la partecipazione di Friulia rivestiva carattere temporaneo. Inoltre, il prezzo di acquisto delle azioni di Friulia era stato concordato con Sofin e, secondo le autorità italiane, era indipendente "dalle variazioni del valore o dal numero delle azioni acquistate da Friulia". La remunerazione convenuta era pari al prezzo di acquisto pagato da Friulia, attualizzata al 75 % della media di tassi di riferimento del ministero del Tesoro, aumentato dell'1 %. Orbene, conformemente al punto 3.3 dei citati orientamenti comunitari sugli apporti di capitale dello Stato, l'assunzione di partecipazione temporanea dello Stato, la cui durata ed il prezzo di cessione sono stabiliti in anticipo, in modo che il rendimento risultante per l'investitore sia sensibilmente inferiore alla remunerazione cui avrebbe potuto aspirare effettuando un investimento di durata analoga sul mercato dei capitali, costituisce a priori un aiuto di Stato. Nel presente procedimento le autorità italiane non hanno mai sostenuto né dimostrato che la remunerazione della partecipazione di Friulia fosse superiore o pari a quella a cui avrebbe potuto aspirare effettuando un investimento di durata analoga sul mercato dei capitali. Ne consegue che tale partecipazione configura un aiuto di Stato.

IV.2.1. Valutazione da parte della Commissione dello studio commissionato da Friulia e del piano di ristrutturazione di Seleco per il periodo 1993-1996

(67) La Commissione ritiene di aver già provato che la partecipazione di Friulia alla ricapitalizzazione di Seleco nel 1994 non corrisponde alla logica di un investitore privato. Tuttavia, essa deve ugualmente considerare l'argomento delle autorità italiane, secondo il quale Friulia, come ogni investitore privato, era convinta della redditività dell'investimento. In effetti, questa società aveva commissionato uno studio del piano di ristrutturazione di Seleco ed aveva deciso di intervenire nell'operazione di ricapitalizzazione sulla base della valutazione che ella aveva fatto della viabilità dell'impresa.

(68) Il piano di ristrutturazione 1993-1996 è il secondo dall'inizio degli anni '90. Il primo piano, relativo al periodo 1990-1993, prevedeva un ritorno ad un utile significativo nel 1993. Fondandosi sull'ipotesi di una ricapitalizzazione di 45 miliardi di ITL, questo secondo piano prospettava un ripristino della redditività a partire dal 1995, cioè dopo che fossero stati riassorbiti i costi di ristrutturazione residui durante l'esercizio 1994. Le grandi linee di azione di questo piano prevedevano: la concentrazione del processo di produzione, la riduzione dei costi, la riorganizzazione e la riduzione delle maestranze nonché investimenti in ricerca e sviluppo. In generale il piano prevedeva di ridurre del 20 % la produzione di televisori a colori e di aumentare del 75 % la produzione dei decodificatori (da vendere su altri mercati europei) e del 33 % la produzione di monitor e di video proiettori (da vendere su mercati non europei, tra cui gli USA e la Cina). Inoltre il piano prevedeva una riduzione di 267 dipendenti nello stabilimento di Pordenone.

(69) Su richiesta di Friulia, questo piano di ristrutturazione è stato esaminato da un esperto indipendente (KPMG Peat Marwick Corporate Finance), il quale ha concluso che il piano di ristrutturazione di Seleco era troppo ambizioso a causa sia della situazione dell'impresa che delle ipotesi su cui si basava.

(70) Lo studio in questione indica inoltre che la struttura commerciale, economica e finanziaria di Seleco presentava notevoli debolezze strutturali. Innanzitutto, in un settore ad alta intensità di manodopera, la struttura dell'occupazione era inadeguata, in quanto vi erano troppi quadri rispetto alle maestranze e ciò principalmente a causa della complessità della struttura del gruppo (10 affiliate in attività e 6 in liquidazione).

(71) La società non riusciva a concretizzare le sue iniziative di ricerca e sviluppo in un settore in cui questo elemento è fondamentale per garantire la perennità dell'attività. Ad esempio, l'impresa non era riuscita a realizzare nuovi telai per televisori da oltre due anni, mentre era imperativo procedere regolarmente al rinnovo di questa parte del prodotto. Lo studio sottolinea che Seleco non aveva sviluppato nessuna strategia per la fase di progettazione e di commercializzazione dei nuovi prodotti. A ciò si aggiunge il fatto che la società era totalmente dipendente dagli altri grandi produttori del settore per quanto riguarda le componenti di base dei suoi prodotti, il che la esponeva sia alle variazioni di produzione che alle variazioni finanziarie.

(72) Lo studio evidenzia la pesante influenza di REL nel finanziamento del gruppo, soprattutto negli anni dal 1991 (52 % della posizione finanziaria dipendeva dai prestiti di REL) al 1993 (42 %). I finanziamenti di REL erano caratterizzati da un costo estremamente basso, di gran lunga inferiore ai tassi del mercato. Ci si può quindi chiedere quali sarebbero state le conseguenze del disimpegno prevedibile di REL rispetto a Seleco e in che misura la società sarebbe stata in grado di ricorrere al mercato di capitali per i suoi fabbisogni finanziari.

(73) Le ipotesi su cui si basa il piano non tenevano conto dei punti deboli del gruppo. Innanzitutto, il piano prevedeva un calo dei costi di produzione, il che presupponeva una diminuzione del costo del lavoro. Lo studio sottolinea che, alla fine del 1993, Seleco aveva diminuito il costo del lavoro ricorrendo alla cassa integrazione. Il piano prevedeva di adottare la stessa strategia (contratti di solidarietà) per il futuro. Simili previsioni non erano realistiche, in quanto Seleco dava per scontato che questi contratti sarebbero stati conclusi a livello nazionale, ipotesi che secondo lo studio era altamente improbabile.

(74) La strategia del gruppo verteva sul miglioramento dell'immagine della società, deterioratasi in seguito ai cattivi risultati registrati negli anni precedenti. Questi investimenti avevano un carattere strategico, giacché il cambiamento del canale di distribuzione a vantaggio dei grandi magazzini non era in grado di migliorare la percezione dei prodotti da parte dei consumatori. Questi ultimi avevano sempre mostrato di apprezzare il servizio di assistenza di buona qualità, che avevano trovato grazie alla distribuzione nei negozi specializzati. Lo studio sottolinea che sarebbero stati necessari investimenti pubblicitari ingenti, senza peraltro attendersi risultati immediati.

(75) Il successo del piano si basava quindi sull'entità dei mezzi finanziari impegnati e su fattori esterni sui quali la società non aveva alcun controllo, quali il forte potere contrattuale dei grandi magazzini e il ricorso ai contratti di solidarietà.

(76) Concludendo, lo studio indicava quanto segue:

- le previsioni di una contrazione significativa del volume di vendita, controbilanciata da un aumento dell'8 % dei prezzi a partire dalla seconda metà del 1994, erano infondate,

- Seleco non aveva i mezzi per lanciare il suo prodotto come un prodotto "di tecnologia e qualità",

- l'ipotesi connessa all'aumento dei prezzi non teneva conto della forza contrattuale dei grandi magazzini e quindi della diminuzione ulteriore dei margini di utile di Seleco, da sempre il suo punto debole. Infatti il posizionamento di Seleco su una fascia di prezzi medi non gli aveva mai permesso di affermarsi né in termini di margini (prezzi elevati) né in termini di quantità (quote di mercato insufficienti),

- lo sviluppo dell'unico settore effettivamente redditizio di Seleco (prodotti professionali), per il quale si prevedeva un aumento del 21 % nel 1995, rischiava di essere rallentato dalla crisi finanziaria del gruppo.

(77) La Commissione constata che la strategia di Seleco non era adattata alla situazione. Nel 1994 occorreva posizionarsi su uno dei due poli estremi della gamma di produzione, molto in alto o molto in basso, e scegliere, conformemente al prodotto, la rete di distribuzione più appropriata. Orbene Seleco, che fabbricava prodotti della fascia basso-media, voleva fare concorrenza ai prodotti della fascia alta del mercato nei grandi magazzini. Ciò non rispondeva a nessuna logica commerciale, giacché i suoi prodotti non si differenziavano da quelli dei concorrenti e solo difficilmente avrebbero potuto attirare l'attenzione del consumatore non essendo messi in valore come nei negozi specializzati.

(78) La strategia di Seleco si basava su ipotesi non corrette in materia di evoluzione dei prezzi. Tutti gli studi, compreso quello commissionato da Friulia, concordano sull'impossibilità di una simile crescita e mostrano invece che i prezzi avrebbero continuato a diminuire fino alla fine dell'anno per ricominciare poi ad aumentare fino ad un livello leggermente inferiore a quello indicato nel piano (2 %). Per riassorbire i costi di ristrutturazione residui durante l'esercizio 1994, come prevedeva il piano, sarebbe stato necessario un aumento spettacolare del fatturato, il che non era probabile, tenuto conto del passato, delle prospettive future di Seleco e del mercato in cui operava.

(79) Da quanto sopra si evince che, anche se Seleco avesse avuto i mezzi per conseguire gli obiettivi fissati dal piano, ciò avrebbe richiesto molto più tempo del previsto. Tenuto conto delle previsioni relative ai suoi risultati, sarebbero stati inoltre necessari apporti supplementari da parte degli azionisti. Nessun elemento dimostra (né le autorità italiane lo hanno sostenuto) che Seleco possedesse le risorse necessarie per provvedere alla propria sopravvivenza durante l'attuazione del piano. Nemmeno lo studio commissionato da Friulia si pronuncia al riguardo.

(80) La stessa affermazione vale anche per le previsioni di bilancio fornite, visto che il "business plan" si basava su ipotesi irrealistiche e su strategie inadeguate.

(81) La Commissione ritiene che lo studio commissionato da Friulia fosse appropriato e ragionevole e che l'esperto, sulla base del piano di ristrutturazione e delle condizioni e prospettive del mercato, abbia presentato le dovute conclusioni sulla redditività dell'impresa. La Commissione constata che la correttezza di questo studio trova riscontro nella valutazione da essa stessa condotta.

(82) L'evoluzione della società nei due anni successivi conferma tale valutazione. Più della metà della produzione di televisori a colori e di decodificatori di Seleco è rimasta invenduta, l'unico settore in crescita è stato quello dei monitor e dei video proiettori.

(83) Ciò premesso, la Commissione conclude che Friulia non poteva attendersi dal suo investimento un rendimento accettabile per un investitore privato operante nelle normali condizioni di economia di mercato. Di conseguenza, l'apporto di 13 miliardi di ITL di Friulia nel capitale di Seleco configura integralmente un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

IV.3. L'intervento delle banche pubbliche nel 1994

(84) Un pool di banche, in maggior parte private, aveva contribuito per un massimo di 10,5 miliardi di ITL alla ricapitalizzazione di Seleco. Il protocollo di accordo tra dette banche e i vecchi azionisti di Seleco conferma chiaramente che l'intervento delle banche era puramente complementare. Infatti le banche avevano accettate di partecipare al capitale di Seleco dopo aver ottenuto l'impegno fermo dei vecchi azionisti di Seleco (REL, Sofin e Friulia) che le perdite dell'esercizio precedente sarebbero state ripianate da REL e che gli altri azionisti avrebbero apportato 35 miliardi di ITL. Esse hanno inoltre accettato di rinegoziare, proporzionalmente ai crediti detenuti, il rimborso dei debiti di Seleco.

(85) Poiché le varie banche, pubbliche e private, hanno sottoscritto un aumento di capitale in proporzione ai crediti vantati nei confronti di Seleco (162 miliardi di ITL di crediti, ossia circa il 40 % dell'indebitamento totale della società al 31 dicembre 1993), la Commissione conclude che il loro intervento era inevitabile e volto soprattutto alla salvaguardia di detti crediti. Si deve pertanto concludere che l'intervento delle banche non rientra nel campo di applicazione dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

IV.4. Il riscatto del debito residuo nei confronti di REL nel 1996

(86) Nel 1996, Seleco aveva rilevato da REL il debito residuo di 65,2 miliardi di ITL al prezzo di 20 miliardi di ITL.

(87) Un'analisi di quest'operazione sotto il profilo delle sue caratteristiche intrinseche potrebbe indurre alla conclusione che il vantaggio tratto da Seleco è pari alla differenza tra il tasso prescelto per attualizzare il debito (19 %), che, come affermato nell'estensione del procedimento, prende in conto il rischio due volte, ed il tasso che sarebbe stato prescelto da un investitore privato, cioè il tasso reale del mercato aumentato di un premio ragionevole di rischio. Tuttavia, per le ragioni spiegate al punto IV.1, la Commissione considera che questa seconda operazione è semplicemente una continuazione nel tempo della prima ed altrettanto incompatibile con il principio dell'investitore privato.

(88) In ogni caso, la Commissione constata che la data di scadenza (2015) del debito residuo (65,2 miliardi di ITL) e il periodo nel quale è stato effettuato il riscatto di quest'ultimo, ossia circa dieci mesi prima del fallimento di Seleco, ha indotto i curatori ad esperire l'azione revocatoria (sulla base dell'articolo 67 della legge sul fallimento) contro la detta operazione, poiché convinti del fatto che REL, azionario di Seleco sino al 1994, non poteva ignorare nel 1996 lo stato di insolvenza della società.

(89) Di conseguenza e sulla base delle considerazioni fatte al punto IV.1, la totalità dei crediti (non recuperati o sub iudice) di REL verso Seleco deve essere considerata aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

IV.5. Il prestito convertibile concesso nel 1996 da Friulia

(90) Il prestito in questione era di 12 miliardi di ITL per una durata di cinque anni al tasso del 7 %. Quattro marchi industriali, di proprietà di Seleco, sono stati dati in garanzia a Friulia. Le autorità italiane sostengono che Friulia si sarebbe comportata alla stregua di un investitore privato in quanto un pool di banche, per lo più private, aveva concesso a Seleco, probabilmente lo stesso anno - le autorità non hanno mai precisato il momento dell'intervento delle banche - un prestito obbligazionario di 12 miliardi di ITL al tasso del 5 %.

(91) La Commissione ritiene che la comparazione tra il comportamento di Friulia e quello delle banche non sia pertinente. Innanzitutto, contrariamente alla società di sviluppo regionale, le banche che hanno acquistato le obbligazioni di Seleco vantavano 20,5 miliardi di ITL di crediti nei confronti di dette società, di cui soltanto una piccola parte era garantita. Friulia, invece, non aveva nessun credito nei confronti di Seleco. In secondo luogo, la natura del prestito è diversa (le autorità italiane non hanno mai dimostrato il contrario): nel caso delle banche, si tratta di un prestito obbligazionario, mentre quello di Friulia è un prestito convertibile. A questo proposito, la Commissione osserva che, secondo la legge italiana, nel processo di liquidazione di una società in fallimento i debiti inerenti ad un prestito obbligazionario sono soddisfatti prima degli altri crediti chirografari. D'altro lato, anche se Friulia avesse ottenuto garanzie sul suo prestito, tali garanzie sono state annullate dal giudice poiché, come è stabilito dall'articolo 67 della legge sul fallimento, si è potuto dimostrare che Friulia era a conoscenza, un anno prima del fallimento di Seleco, dello stato di insolvenza della società. Contrariamente a Friulia, le banche sono intervenute per difendere i loro crediti e in quanto erano stati effettuati interventi pubblici (REL e Friulia) di importo molto più elevato (60,5 miliardi di ITL contro 12 miliardi).

(92) La Commissione dubita inoltre che le garanzie fossero appropriate. Come emerge dallo studio commissionato nel 1994 da Friulia (vedi punto IV.2.1), durante gli ultimi anni l'immagine di Seleco si era deteriorata ad un punto tale che solo degli investimenti in pubblicità molto importanti avrebbero potuto migliorarla a lungo termine. Che i marchi industriali di Seleco avessero oramai poco valore sul mercato è confermato dal prezzo al quale tre di questi marchi (Elbe escluso) sono stati venduti allorché sono state rilevate le attività della società in liquidazione: poco più di 1 miliardo di ITL. Pertanto, anche se la Commissione non può basare le proprie conclusioni su delle analisi a posteriori, essa constata che, pur essendo il valore contabile di detti marchi molto più elevato, il loro valore reale sembra essere notevolmente inferiore ai I2 miliardi di ITL prestati. Di conseguenza, il tasso di interesse avrebbe dovuto tenere conto non solo della situazione precaria di Seleco (premio di rischio), ma anche dell'insufficienza delle garanzie reali accordate dalla società.

(93) Inoltre la Commissione osserva che, in base alle informazioni fornite dalle stesse autorità italiane, il tasso del mercato applicabile all'epoca, per un prestito analogo a quello concesso da Friulia, variava dal 13 % al 14 %. Infatti, nel giustificare il tasso di attualizzazione utilizzato nell'operazione di riscatto da parte di Seleco nel 1996 del debito residuo nei confronti di REL, le autorità italiane hanno affermato che il tasso del 19 % era la somma di un tasso di base del 13 %-14 %, che nel 1996 era quello applicato ai finanziamenti a medio termine assistiti da garanzie adeguate, e di un premio di rischio del 5 %-7 % che rispecchiava la situazione della società. La Commissione conclude pertanto che il tasso utilizzato da Friulia non corrisponde al tasso del mercato.

(94) La Commissione rileva inoltre che Friulia non ha agito alla stregua di un investitore privato. Come risulta chiaramente dall'annullamento della garanzia da parte del giudice, Friulia era perfettamente al corrente, al momento della concessione del prestito e tenuto conto della situazione finanziaria di Seleco, del fatto che il suo investimento non sarebbe mai stato redditizio. Inoltre la Commissione constata che, al momento della concessione di detto prestito, Friulia, azionario di Seleco, non poteva ignorare che le uniche attività redditizie di Seleco erano già state trasferite in Multimedia, un mese prima. D'altro canto, tre mesi dopo la concessione di detto prestito, Friulia comprava un terzo delle azioni di quest'ultima.

(95) Ne consegue che un investitore privato non avrebbe mai concesso il prestito in questione e che quindi l'intero importo di 12 miliardi di ITL costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato.

IV.6. Il prestito obbligazionario concesso da un pool di banche nel 1996

(96) Nel 1996, un pool di banche, in maggior parte private (71 %), ha concesso un prestito obbligazionario convertibile ad un tasso del 5 %. Poiché si tratta di banche in maggioranza private, il cui comportamento esula dal campo d'applicazione dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato e dato che le banche pubbliche, minoritarie, hanno applicato le stesse condizioni di quelle private partecipanti al pool, si deve concludere che l'intervento delle banche non rientra nel campo di applicazione dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato. Peraltro, la Commissione constata che le banche partecipanti al pool, al momento del fallimento, vantavano verso Seleco dei crediti di un valore di 20,5 miliardi di ITL; si può quindi ammettere che il loro intervento fosse forzato e che avesse come scopo principale quello della salvaguardia di detti crediti.

IV.7. L'investimento di Friulia ed Italtel in Multimedia

(97) Tenuto conto delle condizioni in cui Multimedia è stata costituita, gli investimenti di Italtel (che ha dovuto ottenere l'accordo del suo azionista privato, Siemens, per poter acquistare detta partecipazione in Multimedia) e di Friulia non contengono di per sé elementi di aiuto di Stato ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del trattato. Infatti si tratta della partecipazione in un'impresa che doveva operare in un segmento particolarmente dinamico e trainante come risulta al punto II.1.3.

V. COMPATIBILITÀ DEGLI AIUTI CON IL MERCATO COMUNE

(98) Gli aiuti concessi nel 1994 e nel 1996 da REL e da Friulia non possono essere considerati compatibili con il mercato comune in virtù delle deroghe di cui all'articolo 87, paragrafo 2, del trattato, in quanto non costituiscono aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, né aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali. Essi non possono neppure beneficiare della deroga di cui all'articolo 87, paragrafo 2, lettera c), né delle deroghe di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettere a), b) e d), del medesimo. Il beneficiario non è ubicato in una regione assistita ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 3, lettere a) o c), dato che gli aiuti non sono destinati a promuovere un importante progetto di comune interesse europeo né a porre rimedio ad un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro, né a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio.

(99) La Commissione deve pertanto limitarsi ad esaminare se i suddetti aiuti possano beneficiare della deroga di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), e in particolare se possano essere considerati come aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione di imprese in difficoltà. Infatti, data la sua situazione economica, Seleco deve essere considerata un'impresa in difficoltà.

(100) Affinché la Commissione possa approvare un aiuto alla ristrutturazione, occorre dimostrare che l'impresa beneficiaria è un'impresa in difficoltà che soddisfa i criteri stabiliti nei pertinenti orientamenti comunitari (cfr. considerando 34 della presente decisione). Inoltre è indispensabile un piano di ristrutturazione conforme alle condizioni generali di cui ai punti 3.2.2 dei detti orientamenti. Anzitutto, la Commissione dovrebbe convincersi che nel 1994 Seleco aveva concrete probabilità di ripristino della redditività economico-finanziaria e che il piano di ristrutturazione era basato su ipotesi realistiche. In secondo luogo, la Commissione deve accertare che l'aiuto non abbia provocato distorsioni di concorrenza e sia commisurato ai costi e ai vantaggi della ristrutturazione.

(101) In base ai pertinenti orientamenti comunitari, per impresa in difficoltà si intende l'impresa incapace di riprendersi con le risorse di cui dispone oppure ottenendo i fondi necessari dagli azionisti. La debolezza finanziaria dell'impresa è dovuta generalmente ai cattivi risultati del passato ed alle scarse prospettive future. I sintomi tipici sono un peggioramento della redditività o un aumento delle perdite, la diminuzione del fatturato e l'aumento dell'indebitamento. Come illustrato al punto II della presente decisione, Seleco è da considerarsi un'impresa in difficoltà ai sensi dei pertinenti orientamenti comunitari.

(102) Per i motivi illustrati al punto IV.2.2, la Commissione ritiene che il piano di ristrutturazione di Seleco fosse basato su ipotesi irrealistiche ed una strategia inadeguata ed incoerente quanto al posizionamento della società. Le previsioni relative alle condizioni future di gestione si basavano in buona parte su elementi esterni all'impresa, sui quali essa non aveva alcun controllo. Pur operando su taluni segmenti in crescita (prodotti professionali e video registratori), ciò non di meno Seleco ha concentrato i suoi sforzi sull'unico settore giunto a saturazione, ossia i televisori a colori.

(103) Poiché nel caso di Seleco non è stato rispettato il criterio del ripristino della redditività economico-finanziaria richiesto dai pertinenti orientamenti comunitari, è inutile procedere all'esame degli altri criteri. Ciò nonostante la Commissione intende formulare alcune osservazioni al riguardo.

(104) La compatibilità degli aiuti alla ristrutturazione con il mercato comune comporta l'adozione di misure volte ad attenuare, nella misura del possibile, le conseguenze sfavorevoli di detti aiuti per i concorrenti. Orbene, Seleco ha beneficiato di aiuti pubblici per ben dieci anni, senza che la sua situazione fosse significativamente migliorata. Questa dipendenza dagli aiuti pubblici aveva peraltro indotto la Commissione a mettere in guardia le autorità italiane contro la concessione di ulteriori aiuti di Stato alla società. Nella decisione del 20 maggio 1992, la Commissione aveva infatti avvertito le autorità italiane che qualsiasi nuovo aiuto avrebbe formato oggetto di una sua decisione negativa. Pertanto si deve ritenere che questo criterio non è stato soddisfatto.

(105) L'importo e l'intensità dell'aiuto stipulati dai pertinenti orientamenti comunitari devono essere limitati allo stretto necessario per permettere la ristrutturazione e devono essere commisurati con i vantaggi attesi a livello comunitario. Per tale motivo, i beneficiari dell'aiuto, di norma, devono contribuire in maniera significativa al piano di ristrutturazione con i loro mezzi o mediante un finanziamento esterno ottenuto alle condizioni del mercato. Nella fattispecie, in occasione della ricapitalizzazione del 1994, la percentuale dell'apporto del settore pubblico rispetto all'apporto del settore privato era del 49 % contro il 51 %. Senza l'apporto pubblico l'azionista privato non avrebbe accettato una nuova ricapitalizzazione della società, considerato che gli azionisti avevano già deciso che la liquidazione di Seleco rappresentava la soluzione migliore.

(106) In seguito al fallimento del piano di ristrutturazione, prevedibile per i motivi di cui al punto IV.2, soltanto nuove iniezioni di capitale potevano mantenere in attività la società. Questi apporti sono stati effettuati nel 1996 in occasione della seconda operazione di ricapitalizzazione e di risanamento finanziario della società. In questo caso, l'apporto supplementare del settore privato è stato di 30,8 miliardi di ITL e l'apporto pubblico di 60,5 miliardi di ITL. In seguito alle due operazioni di ricapitalizzazione (1994 e 1996), risulta che l'apporto di fondi pubblici in Seleco è ammontato al 55,4 % e quello di fondi privati al 44,6 %.

(107) La Commissione deve considerare che, benché nella prima operazione i fondi siano stati prevalentemente conferiti dagli investitori privati, tale apporto è maggioritario soltanto in teoria. Infatti, per i motivi di cui ai punti IV.1 e IV.4, la maniera in cui REL ha gestito il recupero dei crediti di 82 miliardi di ITL che vantava nei confronti di Seleco si è tradotta in una rinuncia quasi totale a detto importo già nel 1994. Il carattere de facto maggioritario dell'intervento pubblico nel 1994 è confermato dal fatto che, come illustrato al punto II.1.1, tutti gli azionisti di Seleco, pubblici e privati, erano disposti in quel momento a liquidare la società e tale soluzione è stata evitata soltanto grazie all'intervento delle autorità italiane. Inoltre l'andamento dell'impresa nel 1994 (41,6 miliardi di ITL di perdite) e 1995 (64,2 miliardi di ITL di perdite) conferma che la liquidazione della società nel 1994 era l'unica opzione valida. Infatti, nella seconda operazione di ricapitalizzazione/finanziamento, l'apporto pubblico ha rappresentato il 60 % della totalità dei fondi investiti. Pertanto la Commissione constata il mancato rispetto del principio di proporzionalità sia nella prima che nella seconda ricapitalizzazione.

(108) Il piano di ristrutturazione relativo al periodo 1993-1996, per i motivi di cui al punto IV.2.1, non permetteva di ripristinare la competitività dell'impresa in un lasso di tempo ragionevole sulla base di ipotesi realistiche circa le condizioni future di gestione. In merito all'operazione di ricapitalizzazione/rifinanziamento del 1996, la Commissione osserva che le autorità italiane non hanno comunicato nessun altro piano di ristrutturazione che le permetta di giustificare l'accettabilità di questa seconda operazione.

(109) Alla luce di quanto sopra, la Commissione conclude che non sono stati rispettati i criteri previsti dagli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato al salvataggio e alla ristrutturazione di imprese in difficoltà. Pertanto, poiché non può essere applicata la deroga prevista dall'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato, gli aiuti sono da considerare incompatibili con il mercato comune.

VI. CONCLUSIONI

(110) L'Italia ha dato esecuzione alla conversione in azioni di un prestito di 6 miliardi di ITL e all'apporto di 7 miliardi di ITL di capitale nuovo di Friulia a favore di Seleco notificati il 30 marzo 1994, prima che la Commissione si fosse pronunciata in merito. La Commissione constata inoltre che agli altri aiuti è stata data esecuzione in violazione dell'articolo 88, paragrafo 3, del trattato.

Si tratta in particolare degli aiuti seguenti:

- la rinuncia parziale, da parte di REL, a 16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL di crediti nel 1994 e il riscatto del debito residuo di 65,2 miliardi di ITL al prezzo di 20 miliardi di ITL nel 1996,

- la concessione, da parte di Friulia, di un prestito convertibile di 12 miliardi di ITL al tasso del 7 % annuo su pegno di quattro marchi industriali di Seleco nel 1996.

(111) Tali aiuti sono pertanto illegali. Per i motivi già esposti essi sono inoltre incompatibili con il mercato comune, in quanto non possono beneficiare di nessuna delle deroghe di cui all'articolo 87, paragrafi 2 e 3, del trattato.

(112) Quando constata che un aiuto illegale è incompatibile con il mercato comune a norma dell'articolo 88, paragrafo 2, del trattato CE, la Commissione ingiunge allo Stato membro di recuperare l'aiuto presso il beneficiario, come confermato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nelle sentenze del 12 luglio 1973, causa 70/72 Commissione/Germania(12), del 24 febbraio 1987, causa 310/85 Deufil/Commissione(13), del 20 settembre 1990, causa C-5/89 Commissione/Germania(14).

(113) Di conseguenza le autorità italiane devono adottare tutti i provvedimenti necessari a ristabilire la situazione economica nella quale si sarebbe trovata l'impresa senza la concessione degli aiuti incompatibili. Dette autorità devono quindi procedere al recupero degli aiuti illegali e incompatibili, aumentati degli interessi a partire della data in cui sono stati messi a disposizione del beneficiario fino al loro recupero effettivo, presso il beneficiario Seleco, attualmente in liquidazione. In vista di una corretta esecuzione della decisione della Commissione, lo Stato membro è chiamato ad adottare il comportamento di un creditore privato (e ad agire almeno con la stessa diligenza usata per il recupero di suoi propri crediti, come i debiti fiscali o di previdenza sociale) e a perseguire senza ritardo il recupero dell'aiuto facendo ricorso a tutti i mezzi giuridici disponibili, ivi compreso il sequestro degli attivi dell'impresa e, se necessaria, la messa in liquidazione di quest'ultima, ove essa non sia in misura di procedere al rimborso in questione. I risultati della vendita degli attivi permettono di procedere al rimborso dei diversi creditori, tra i quali lo Stato membro, anche se si verificasse che non sono sufficienti per coprire la totalità dei debiti dell'impresa e, di conseguenza, che l'aiuto non sia integralmente recuperato. In tali circostanze, la liquidazione dell'impresa resta comunque importante sotto l'aspetto della concorrenza, poiché rende libera la parte di mercato occupato dall'impresa liquidata e la mette alla disposizione dei creditori, offrendo in tal modo anche a questi ultimi la possibilità di acquisire gli attivi e impiegarli più efficacemente.

(114) Tuttavia, ci sono delle circostanze che possono contrastare tale processo, rimettere in causa l'efficacia della decisione di recupero e vanificare le regole sugli aiuti di Stato. Ciò si verifica quando, in seguito all'indagine o alla decisione della Commissione, gli attivi e i debiti "ongoing-concern" dell'impresa sono trasferiti ad un'altra società, controllata dalle stesse persone, a condizioni inferiori al prezzo di mercato o attraverso procedure non trasparenti. Una tale operazione può essere diretta a mettere detti attivi al riparo dagli effetti della decisione della Commissione e a continuare all'infinito l'attività economica in causa.

(115) Come in ogni altra procedura di recupero, lo Stato membro, per agire come un creditore diligente, deve esperire tutti gli strumenti giuridici disponibili all'interno del proprio ordine giuridico, come quelli contro i comportamenti in frode ai creditori costituiti da atti dell'impresa in liquidazione eseguiti nel periodo sospetto precedente il fallimento, che permettono di ottenere la dichiarazione di inefficacia di tali atti.

(116) Inoltre, per evitare che sia vanificato l'effetto utile della decisione e che la distorsione del mercato continui, la Commissione può dover esigere che il recupero non si limiti all'impresa originaria ma si estenda all'impresa che continui l'attività dell'impresa originaria utilizzando i mezzi di produzione trasferiti, laddove certi elementi del trasferimento permettano di constatare una continuità economica tra le due imprese.

(117) Tra questi elementi la Commissione esamina l'oggetto del trasferimento (attivi e passivi, continuità della forza lavoro, attivi bundled), il prezzo del trasferimento, l'identità degli azionisti o dei proprietari dell'impresa acquirente e di quella originaria, il momento in cui il trasferimento è realizzato (dopo l'inizio delle indagini, dell'avvio del procedimento o della decisione finale) o infine la logica economica dell'operazione.

(118) Nel caso in esame, Seleco, nel marzo del 1996, ha raggruppato le sue attività più redditizie (video proiettori e monitor) nella società Multimedia (creata l'anno precedente dal suo azionista privato di riferimento, il sig. Rossignolo); essa ha apportato 29 miliardi di ITL nel capitale di questa società e ne è divenuta la sola proprietaria. Questa operazione, che ha così contribuito a svuotare Seleco doppiamente della sua sostanza (attività e capitale), è intervenuta dopo la decisione della Commissione del 10 ottobre 1994 di avviare il procedimento ex articolo 88, paragrafo 2, del trattato. Multimedia è interamente controllata da Seleco che ne è divenuta la sola proprietaria. È inoltre verosimile che questa operazione non si sia limitata ad un trasferimento di attivi e che il trasferimento delle principali attività di Seleco si sia accompagnata ad un trasferimento a Multimedia del personale (o di una parte del personale) corrispondente, e quindi ad un trasferimento di debiti almeno sociali.

(119) Quattro mesi dopo questa operazione (e nove mesi prima del suo fallimento), Seleco ha venduto i due terzi delle sue azioni in Multimedia, quest'ultima essendo a quel punto detenuta interamente dalla prima, ad ognuno per un terzo, a tre azionisti: Italtel, Friulia e Seleco. In effetti, Multimedia rimaneva sotto il controllo di Seleco (che ha trasferito la sua parte ad una società di facciata, Finanziaria Elettronica Srl, che essa controlla al 99 %) e/o al suo azionista Friulia (terzo azionista di Seleco al 3,49 % nel febbraio 1996, con un capitale sociale di 32,759 miliardi di ITL, ma che gli avrebbe accordato un prestito convertibile di 12 miliardi di ITL).

(120) In conseguenza, la corretta esecuzione della decisione di recupero degli aiuti illegali ed incompatibili deve esigere dalle autorità italiane che agiscano non soltanto contro Seleco ma anche contro Multimedia, nonché contro ogni altra impresa a vantaggio della quale gli attivi in causa abbiano potuto essere trasferiti in modo da vanificare gli effetti della presente decisione,

HA ADOTTATO LA PRESENTE DECISIONE:

Articolo 1

Sono incompatibili con il mercato comune i seguenti aiuti di Stato ai quali l'Italia ha dato esecuzione in favore della Seleco SpA:

a) la rinuncia parziale, da parte di Ristrutturazione Elettronica SpA, a 16,8 miliardi su 82 miliardi di ITL di crediti del 1994;

b) il riscatto, da parte di Seleco SpA, del saldo del debito vantato da Ristrutturazione Elettronica SpA di 65,2 miliardi di ITL al prezzo di 20 miliardi nel 1996;

c) la conversione in azioni, da parte di Friulia SpA, di un prestito di 6 miliardi di ITL accordato da questa stessa società nel 1992;

d) l'apporto di 7 miliardi di ITL di capitale effettuato da Friulia SpA nel 1994;

e) la concessione, da parte di Friulia SpA, nel 1996, di un prestito convertibile di 12 miliardi di ITL al tasso del 7 % su pegno di quattro marchi industriali di Seleco SpA.

Articolo 2

1. L'Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare gli aiuti di cui all'articolo 1, già posti illegalmente a disposizione dei beneficiari, presso la Seleco SpA e, in subordine per la parte non recuperabile presso la Seleco SpA, presso la società Seleco Multimedia Srl e ogni altra impresa che abbia beneficiato di trasferimenti di attivi idonei a vanificare gli effetti della presente decisione.

2. Il recupero è effettuato in base alle procedure di diritto nazionale. Gli importi da recuperare generano interessi a decorrere dalla data in cui sono stati messi a disposizione del beneficiario fino al loro recupero effettivo. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell'equivalente sovvenzione nell'ambito degli aiuti a finalità regionale al momento della concessione degli aiuti.

Articolo 3

Entro due mesi a decorrere dalla data della notificazione della presente decisione, l'Italia informa la Commissione circa i provvedimenti presi per conformarvisi.

Articolo 4

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione.

Fatto a Bruxelles, il 2 giugno 1999.

Per la Commissione

Karel Van Miert

Membro della Commissione

(1) GU C 373 del 29.12.1994, pag. 5.

(2) GU C 155 del 20.5.1998, pag. 10.

(3) Non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

(4) Organismo pubblico dello Stato per la ristrutturazione del settore dell'elettronica di consumo in Italia, la cui attività aveva formato oggetto delle decisioni del 17 gennaio 1984 e del 17 settembre 1985. Con decisione del 20 maggio 1992 (GU C 166 del 3.7.1992, pag. 6) la Commissione ha approvato gli aiuti concessi da REL ad una dozzina di imprese appartenenti al settore dell'elettronica di consumo di cui la più importante era Seleco SpA.

(5) Cfr. nota a piè di pagina 4.

(6) GU C 368 del 23.12.1994, pag. 12.

(7) Fonte:

"Panorama of EU Industry, '94", Eurostat.

(8) Fonte:

"Euromonitor", febbraio 1994. Prodotti televisivi e video in Italia.

(9) Bollettino CE 9-1984.

(10) Da ciò si potrebbe concludere che l'operazione di REL ha come risultato di concedere un aiuto agli altri azionisti di Seleco, nella misura corrispondente alle quote di copertura delle perdite di loro competenza. Tuttavia, la Commissione ritiene che questo effetto è indiretto, marginale e, ad ogni modo, periferico in relazione a quello diretto e selettivo a favore di Seleco.

(11) GURI 6-4-1942, n. 81.

(12) Racc. 1973, pag. 813.

(13) Racc. 1987, pag. I-901.

(14) Racc. 1990, pag. I-3437.

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