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Document 52010DC0801

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Riesame della direttiva sull'orario di lavoro (Seconda consultazione delle parti sociali a livello dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 154 TFUE)

/* COM/2010/0801 def. */

52010DC0801

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Riesame della direttiva sull'orario di lavoro (Seconda consultazione delle parti sociali a livello dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 154 TFUE) /* COM/2010/0801 def. */


[pic] | COMMISSIONE EUROPEA |

Bruxelles, 21.12.2010

COM(2010) 801 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Riesame della direttiva sull'orario di lavoro (Seconda consultazione delle parti sociali a livello dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 154 TFUE)

{SEC(2010) 1610 definitivo}

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Riesame della direttiva sull'orario di lavoro(Seconda consultazione delle parti sociali a livello dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 154 TFUE )

Introdu ZIONE

L'Unione europea dispone dal 1993 di standard comuni che disciplinano l'orario di lavoro: dal 2000 tali standard sono applicati a tutti i settori dell'economia. La direttiva sull'orario di lavoro è una pietra miliare dell'Europa sociale poiché assicura una protezione minima a tutti i lavoratori contro orari di lavoro eccessivi e contro il mancato rispetto di periodi minimi di riposo. Essa prevede inoltre diversi meccanismi di flessibilità destinati a tener conto delle circostanze particolari attinenti ai diversi paesi, settori o lavoratori. Negli ultimi anni tuttavia l'efficacia della legislazione UE in tema di orario di lavoro è stata messa in discussione per diversi motivi. Alcune disposizioni appaiono sorpassate rispetto ai rapidi mutamenti dei modelli lavorativi, il che rende la direttiva meno utile per rispondere ai bisogni dei lavoratori e delle imprese. Inoltre la difficoltà di attuare alcune disposizioni o le sentenze della Corte di giustizia hanno determinato una situazione di incertezza del diritto o addirittura varianze nell'ottemperanza in relazione ad alcuni aspetti importanti. Di qui l'urgenza di procedere a un riesame della direttiva che la Commissione è determinata a condurre conformemente ai principi di una regolamentazione più intelligente.

Obiettivo della presente comunicazione è sentire i pareri delle parti sociali a livello UE, conformemente all'articolo 154, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sul contenuto dell'intervento previsto a livello dell'UE al fine di modificare la direttiva sull'orario di lavoro[1] e per chiedere loro se intendano avviare negoziati come stabilito all'articolo 155.

Il 24 marzo 2010 la Commissione ha adottato una comunicazione che avviava la prima fase di questa consultazione[2]. Tale comunicazione faceva presente la difficile situazione determinata dall'incapacità del colegislatore di accogliere una precedente revisione della direttiva[3] e invitava le parti sociali a livello dell'UE a esporre le esperienze maturate nell'uso della direttiva attuale e a segnalare il tipo di regole in materia di orario di lavoro che sarebbero necessarie a livello dell'UE per far fronte alle realtà economiche, sociali, tecnologiche e demografiche del 21° secolo.

La presente comunicazione riunisce i principali risultati della prima consultazione delle parti sociali a livello dell'UE e i principali dati raccolti da studi recenti sulle tendenze e sulle forme di organizzazione dell'orario di lavoro nonché l'impatto socioeconomico della direttiva. Essa procede quindi ad esporre le opzioni chiave che si offrono in vista di una proposta di emendamento legislativo. La presente comunicazione va esaminata congiuntamente alla relazione della Commissione sull'attuazione della direttiva (adottata simultaneamente), che compie una valutazione del grado di ottemperanza degli Stati membri alle regole sull'orario di lavoro e identifica i principali ambiti di mancata ottemperanza o di incertezza giuridica. Per aiutare le parti sociali a elaborare le loro risposte alla presente consultazione, la Commissione pubblicherà i risultati di tutti gli studi e di tutte le indagini[4] da essa usati per preparare la presente comunicazione.

LA PRIMA CONSULTAZIONE DELLE PARTI SOCIALI[5]

Tra le parti sociali regna un ampio consenso quanto al fatto che nell'ultimo ventennio si sono registrati importanti cambiamenti del mondo del lavoro che si ripercuotono in modo significativo sull'organizzazione dell'orario di lavoro. Vi è però un forte disaccordo sulle implicazioni che questi cambiamenti hanno sull'organizzazione dell'orario di lavoro. I datori di lavoro tendono a ritenere che essi richiedano modifiche del quadro giuridico atte a garantire una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro mentre invece i sindacati ritengono che occorrano modifiche per rafforzare la protezione legale dei lavoratori.

I datori di lavoro del settore privato fanno presenti fattori quali l'aumentata concorrenza, la globalizzazione, il passaggio dall'industria manifatturiera a quella dei servizi, la volatilità dei mercati e il cambiamento tecnologico, in particolare l'uso accelerato delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

I datori di lavoro del settore pubblico evocano in particolare il loro obbligo di fornire 24 ore su 24 servizi di elevata qualità a cittadini vulnerabili, l'impennata della domanda di servizi sanitari e assistenziali legata a fattori demografici, la difficoltà di contenere l'aumento dei costi a petto di limitazioni di bilancio esacerbate dall'attuale crisi nonché la carenza cronica di operatori sanitari qualificati.

I sindacati menzionano l'intensificazione del lavoro, lo sviluppo del lavoro precario e gli effetti negativi che gli orari di lavoro eccessivi hanno sulla salute e la sicurezza nonché sulla qualità e la produttività del lavoro. Essi ribadiscono i problemi posti da orari di lavoro lunghi per la conciliazione del lavoro e della vita familiare e la promozione della partecipazione dei lavoratori. Per quanto concerne il settore sanitario, i sindacati sostengono che il ricorso a orari lunghi non può che aggravare i problemi di reclutamento e di conservazione del personale.

Diverse parti sociali settoriali menzionano caratteristiche distintive dei loro settori di cui si deve tener conto all'atto di stabilire regole in materia di orario di lavoro. I pareri divergono però quanto al tipo di modifiche che si dovrebbero apportare alla direttiva attuale. I principali aspetti evocati sono: la stagionalità, i particolari modelli lavorativi nel settore delle arti dello spettacolo, la messa a disposizione di soluzioni d'alloggio sul posto di lavoro, il lavoro in autonomia e il lavoro basato sui saperi, il lavoro in zone remote, la fornitura di servizi 24 ore su 24, le funzioni critiche per la sicurezza, la rapida fluttuazione della domanda, l'espansione del lavoro part-time, le pressioni determinate dai costi e dalla concorrenzialità globale e le carenze di personale specializzato.

I datori di lavoro concordavano per l'essenziale con l'analisi presentata nel documento di consultazione della Commissione. Business Europe, UEAPME e CEEP hanno espresso il loro plauso per la prospettiva più ampia proposta ai fini del presente riesame. Secondo Business Europe e UEAPME tuttavia la tematica dei servizi di guardia dovrebbe essere considerata importante sia per il settore privato che per quello pubblico. Diverse organizzazioni dei datori di lavoro hanno anche ribadito che la flessibilità potrebbe andare a vantaggio sia dei lavoratori che dei datori di lavoro e che non dovrebbe avere una connotazione negativa.

Di converso ETUC e altri sindacati si sono espressi criticamente sull'analisi complessiva della Commissione. Essi ritengono che la Commissione non abbia tenuto debitamente conto dell'importanza giuridica delle regole in tema di orario di lavoro né dell'obiettivo espresso nel trattato di mantenere e migliorare la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, né del fatto che la direttiva non funziona in modo efficace negli Stati membri poiché la Commissione è venuta meno ai suoi obblighi di tutelare e far rispettare la normativa UE. ETUC e FSESP (sindacato UE dei servizi, compresi quelli nel settore pubblico) non accettano l'argomentazione secondo cui i datori di lavoro o i servizi pubblici si troverebbero ad affrontare ostacoli insuperabili per attuare le sentenze SIMAP-Jaeger .

Le principali parti sociali transettoriali sono d'accordo quanto alla necessità di rivedere la direttiva. Vi sono però notevoli differenze tra i datori di lavoro e i sindacati per quanto concerne il contesto, la portata e gli obiettivi.

Mentre Business Europe si oppone in linea di principio a una regolamentazione dell'orario di lavoro a livello UE, UEAPME ritiene che la regolamentazione UE sia importante per assicurare condizioni eque per le piccole e le medie imprese. Le organizzazioni transettoriali dei datori di lavoro convengono che le regole attuali sono troppo rigide e complesse e ribadiscono la necessità di modificare in particolare il quadro giuridico alla base delle sentenze SIMAP-Jaeger come anche delle recenti sentenze in tema di congedo annuale retribuito[6].

Per Business Europe sarebbe bene prolungare il periodo di riferimento a 12 mesi, ma il riesame non dovrebbe estendersi ad altre tematiche ed è essenziale mantenere la possibilità di opt-out. CEEP e UEAPME contemplerebbero la possibilità di estendere il riesame ad altre questioni e ritengono che l'estensione del periodo di riferimento a 12 mesi e la modifica del quadro giuridico all'origine della giurisprudenza SIMAP-Jaeger ridurrebbe sostanzialmente la richiesta di opt-out.

I datori di lavoro del servizio pubblico ribadiscono in generale la necessità prioritaria di un riesame "globale" delle regole in materia di orario di lavoro considerate le loro enormi implicazioni per il funzionamento del servizio pubblico. Le sentenze SIMAP-Jaeger dovrebbero essere al centro del riesame, ma essi sono anche aperti a miglioramenti della tutela dei lavoratori contro orari di lavoro lunghi o onerosi e al fine di agevolare la conciliazione della vita lavorativa e di quella familiare. Essi esprimono tutti riserve quanto a eventuali cambiamenti della possibilità di opt-out, anche se CEEP ne depreca la rapida diffusione nei servizi pubblici e ritiene che il suo uso non sia nell'interesse dei datori di lavoro, dei lavoratori e degli utenti dei servizi.

I sindacati, d'altro canto, fanno presente che le regole in materia di orario di lavoro si basano su diritti sociali fondamentali tutelati dal trattato e dalla Carta UE. Per tale motivo un eventuale riesame deve, in termini generali, rispettarli e prendere le mosse da essi al fine di migliorare la protezione di cui i lavoratori dispongono attualmente. Esso deve inoltre attribuire il giusto peso alle posizioni adottate dal Parlamento e dai sindacati nel corso delle discussioni interistituzionali sulla precedente proposta di modifica.

Sia ETUC che FSESP si dichiarano aperti a un riesame generale, ma ritengono che i cambiamenti siano auspicabili soltanto se affrontano efficacemente la necessità di porre fine all'opt-out. Il riesame dovrebbe prefiggersi di assicurare l'applicazione per lavoratore e inasprire la deroga per i "lavoratori operanti in modo autonomo". Si dovrebbero trovare soluzioni equilibrate e sostenibili per i servizi di guardia, rispettando però e prendendo le mosse dalla giurisprudenza SIMAP-Jaeger senza modificare la definizione di servizio di guardia o di orario di lavoro. La maggior parte delle organizzazioni professionali della sanità concordano con le risultanze delle ricerche in materia di salute e sicurezza che sottendono la direttiva, anche se una minoranza delle organizzazioni dei medici sostiene che i medici dovrebbero poter lavorare fino a 65 ore settimanali in base a un consenso individuale. ETUC è anche interessato ad affrontare la questione della conciliazione della vita lavorativa e di quella familiare e l'opportunità di lasciare ai lavoratori maggiore influenza sui modelli di organizzazione dell'orario di lavoro.

Le risposte delle parti sociali settoriali tendono a rispecchiare le posizioni espresse rispettivamente dalle organizzazioni transettoriali dei datori di lavoro e dei sindacati. Da un certo numero di risposte settoriali emerge però che la direttiva non avrebbe bisogno di essere modificata (organizzazioni dei datori di lavoro del settore alberghiero, della pesca marittima, settore bancario, delle perforazioni offshore di petrolio e gas, dei servizi di vigilanza privati).

Anche le organizzazioni dei pompieri del servizio pubblico esprimono il loro sostegno alla giurisprudenza SIMAP-Jaeger. Esse però auspicherebbero un allentamento delle regole sui periodi di riposo al fine di mantenere il tradizionale modello lavorativo di turni di 24 ore che è ritenuto meglio corrispondere ai bisogni particolari dei servizi antincendio, previo esame più approfondito degli eventuali effetti per la salute e la sicurezza. A determinate condizioni certuni accetterebbero il mantenimento temporaneo della possibilità di opt-out. Alcuni interpellati hanno caldeggiato la modifica della direttiva a condizione che si escludessero dal suo campo di applicazione i vigili del fuoco volontari.

EUROMIL, un'organizzazione dei lavoratori nel servizio della difesa, sostiene che essi dovrebbero essere efficacemente coperti dalla direttiva e che dovrebbe essere fatta rispettare la giurisprudenza SIMAP-Jaeger.

Per quanto concerne la necessità di altre forme di intervento a livello UE, ETUC e FSESP desiderano che la Commissione adotti tutte le misure possibili contro i casi di non conformità attribuibili agli Stati membri, compreso l'avvio di procedure di infrazione. Essi sono anche a favore di misure per dotare gli ispettorati del lavoro degli Stati membri di maggiore personale e maggiori risorse. Di converso, nove organizzazioni europee dei medici, in una risposta congiunta, si esprimono contro l'avvio di procedure di infrazione. Diverse tra le risposte pervenute sollecitavano il sostegno della Commissione a ricerche comparative e/o scambi di buone pratiche.

Le parti sociali transettoriali a livello UE hanno espresso un diverso grado di disponibilità a contemplare l'avvio di negoziati ai sensi dell'articolo 155 TFUE prima o durante la seconda fase di consultazione. Business Europe e UEAPME hanno espresso una chiara preferenza per soluzioni transettoriali considerata l'ampiezza delle questioni in gioco. ETUC però vorrebbe che le posizioni dei datori di lavoro si avvicinassero significativamente alle proprie (in particolare sulla questione critica dell'opt-out) prima di contemplare l'ipotesi di avviare negoziati.

Nel settore pubblico, CEEP caldeggia fortemente la ricerca di soluzioni negoziali per i servizi pubblici a livello intersettoriale. CEMR e HOSPEEM, affiliate di CEEP, adottano posizioni compatibili. FSESP invece insiste sul fatto che, prima di decidere se entrare in negoziati, gli Stati membri o i datori di lavoro del settore pubblico dovrebbero porre fine a tutti gli opt-out attuali.

Le parti sociali di altri settori, con poche eccezioni, non hanno espresso interesse a negoziati a livello settoriale o ritengono che la cosa sia prematura.

I PRINCIPALI MODELLI E TENDENZE DELL'ORARIO DI LAVORO[7]

I modelli dell'orario di lavoro si sono evoluti nell'ultimo ventennio sotto l'influenza combinata del cambiamento tecnologico, della globalizzazione, della ristrutturazione delle aziende e dell'organizzazione del lavoro, dell'accresciuta importanza dei servizi, della maggiore diversificazione della forza lavoro e di stili di vita e atteggiamenti individualizzati nei confronti delle carriere. Sebbene gli standard minimi contenuti nella direttiva incoraggino una maggiore coerenza all'interno dell'UE e abbiano svolto un ruolo importante nella riduzione della durata media del lavoro, la diversità dei modelli dell'orario di lavoro persiste ed è destinata a perdurare tra gli Stati membri, tra le diverse attività e tra i diversi gruppi di lavoratori.

In generale la tendenza punta verso una graduale riduzione del tempo di lavoro medio nell'UE: da 40,5 ore nel 1991 per la CE-12 a 37,5 ore nel 2010 nell'UE-27[8]. Ciò è dovuto essenzialmente a un costante aumento del numero di persone che lavorano part-time, che è passato dal 15,9 % della forza lavoro nel 1998 al 18,2 % nel 2008[9]. Gli orari medi dei lavoratori UE a tempo pieno sono rimasti virtualmente immutati a partire dal 2000.

In Europa si registra ancora un notevole divario per quanto concerne la media delle ore lavorate annualmente. Non vi sono indicazioni di una convergenza tendenziale ed è estremamente improbabile che la situazione cambi nel prossimo futuro. Il numero medio di ore lavorate varia da meno di 1 400 (Paesi Bassi) a più di 2 100 (Grecia)[10]. Ciò che colpisce è che la durata dell'orario di lavoro presenta una correlazione inversa coi livelli di produttività oraria negli Stati membri. Mentre la norma della settimana di 40 ore è ancora prevalente nella maggior parte degli Stati membri, diversi di essi appaiono sviluppare profili specifici caratterizzati da una maggiore dispersione delle ore lavorate per settimana (soprattutto Regno Unito, ma anche Irlanda, Paesi Bassi, Germania e paesi nordici)[11]. Il 9 % dei lavoratori (soprattutto uomini) continua a lavorare mediamente più di 48 ore alla settimana, ma tale percentuale sta diminuendo[12].

I maggiori cambiamenti che si registrano attualmente hanno a che fare con soluzioni flessibili in tema di tempi di lavoro piuttosto che di durata. Gli ultimi due decenni sono stati caratterizzati dall'espansione di forme flessibili di organizzazione dei tempi di lavoro, come orari di lavoro scaglionati, banche ore, telelavoro oltre al lavoro part-time. Per tener conto di questi sviluppi si tende a dare maggiore spazio a soluzioni su misura, spesso negoziate a livello d'impresa, entro i limiti di un quadro regolamentare concordato. Questa tendenza a modelli di lavoro più flessibili e orari di lavoro individualizzati è chiaramente più marcata negli Stati membri settentrionali e occidentali dell'UE.

In ampia misura una maggiore flessibilità dei tempi di lavoro risponde ai bisogni dell'industria a seguito di una maggiore volatilità dei mercati, di un'accresciuta concorrenza globale e di una più stretta correlazione con la domanda del consumatore/cliente. La ristrutturazione della catena di valore da parte delle imprese tenderà a trasferire la domanda di flessibilità ai subappaltatori o ad unità posizionate più in basso nella catena di valore e ai loro lavoratori, determinando così un processo duale in cui coesisteranno nuove forme di "lavoro basato sui saperi" flessibile e autonomo assieme a tecniche di produzione ripetitive e intensive[13].

Resta il fatto però che una maggiore flessibilità dei tempi di lavoro è ritenuta auspicabile da diversi lavoratori, soprattutto quelli che hanno responsabilità familiari e desiderano conciliare i loro obblighi lavorativi e la loro vita personale[14]. La crescente diversificazione della forza lavoro (con un numero maggiore di lavoratori anziani, ma soprattutto con un numero maggiore di donne) costituisce un importante stimolo per modelli di orario maggiormente individualizzati. Ciò può quindi esercitare un'influenza positiva sui tassi di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori anziani[15]. La misura in cui i lavoratori possono però controllare e influenzare l'organizzazione del loro lavoro varia notevolmente non solo nei singoli Stati membri ma anche tra Stato e Stato. In particolare i lavoratori altamente qualificati e specializzati nonché quelli attivi in settori ad alta intensità di saperi e di comunicazione appaiono essere in grado di avvantaggiarsi maggiormente di orari flessibili rispetto ai lavoratori manuali, e possono inoltre esercitare un controllo maggiore sui propri tempi di lavoro.

Il lavoro part-time e le forme flessibili di organizzazione del lavoro sono soltanto due esempi della crescente diversità delle soluzioni in tema di orario di lavoro. Il numero significativo di persone che fanno telelavoro[16], lavorano a turni (17 %), lavorano di sera/notte (10 % almeno tre volte al mese) o di sabato/domenica (53 % almeno una volta al mese)[17] nonché il fenomeno ancora non quantificato, ma in espansione del "portarsi il lavoro a casa" contribuiscono a creare un quadro di modelli lavorativi sempre più diversificati in Europa. Il numero di lavoratori con diversi posti di lavoro (3,8% della forza lavoro[18]) costituisce un ulteriore esempio di questa flessibilità.

Tale tendenza dovrebbe rafforzarsi in futuro via via che le parti sociali cercheranno soluzioni su misura e individualizzate in tema di tempi di lavoro; ciò è reso possibile dai cambiamenti dell'organizzazione del lavoro determinati dalla diffusione delle tecnologie digitali. Anche se potenzialmente questa tendenza deve incoraggiare la diffusione di soluzioni che vadano a vantaggio di entrambe le parti, essa può però comportare nuovi rischi per i lavoratori del 21° secolo poiché certuni saranno maggiormente vulnerabili dinanzi alle conseguenze negative dell'intensificazione del lavoro e della separazione sempre più labile tra casa e lavoro[19].

I PRINCIPALI EFFETTI SOCIOECONOMICI DELLA DIRETTIVA[20]

Il principale obiettivo della direttiva è tutelare i lavoratori da orari di lavoro eccessivi e dal mancato rispetto dei periodi di riposo. Vi sono ampie e valide prove del fatto che gli orari di lavoro lunghi, il mancato rispetto dei periodi minimi di riposo e gli orari di lavoro atipici hanno un effetto nocivo per la salute e la sicurezza, e ciò vale sia per i lavoratori interessati, sia per il pubblico in generale. L'equilibrio tra lavoro e vita privata può essere influenzato negativamente in particolare da modelli di orari irregolari o in momenti inusitati. In particolare, l'interazione di fattori addizionali come ad esempio gli orari di lavoro prolungati e il lavoro a turni possono avere gravi effetti sulla salute e sulla sicurezza.

Ciò riveste un'importanza particolare per il settore sanitario. Da un lato la sicurezza dei pazienti richiede che i servizi sanitari e le emergenze non siano assicurati da lavoratori le cui abilità e la cui capacità di giudizio sono pregiudicate dall'esaurimento e dallo stress risultanti da orari di lavoro prolungati. D'altro canto, il settore si trova già ad affrontare carenze di operatori qualificati che si aggraveranno nel futuro a meno che non si adottino misure appropriate. Per reclutare e fidelizzare gli operatori sanitari è importante rendere più attraenti le condizioni lavorative. In proposito rivestono un'importanza cruciale orari di lavoro ragionevoli e un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata.

Vi sono prove relativamente meno stringenti dell'impatto della direttiva sull'economia e sulle aziende, questione non trascurabile vista l'attuale situazione dei mercati del lavoro. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che gli agenti economici hanno interiorizzato da tempo le regole in tema di orario di lavoro nei loro comportamenti.

Dalle indagini emerge che le aziende sono preoccupate quanto agli effetti che la regolamentazione dell'orario di lavoro può avere sulla concorrenzialità e sulla capacità di affrontare le fluttuazioni dell'attività aventi carattere stagionale o d'altro genere, considerata in particolare la difficoltà di reclutare personale nel periodo di picco lavorativo. Di qui la necessità di ricorrere a programmi di flessibilità come nel caso, ad esempio, del computo della media (averaging) dell'orario di lavoro (più frequente per periodi fino a 4 mesi, , ma cui si ricorre anche per periodi superiori a 12 mesi) che, secondo la maggior parte dei rispondenti, andrebbero estesi. Soltanto una minoranza di imprese fa ricorso ai servizi di guardia sul posto di lavoro, ma per quelle che lo fanno il conteggio pieno dei tempi di guardia in quanto tempi di lavoro creerebbe problemi rilevanti.

Le imprese site in paesi in cui si applica sotto qualche forma l'opt-out desiderano che esso continui. Una proporzione sensibile di imprese ha lavoratori che lavorano più di 48 ore, soprattutto in risposta alle fluttuazioni stagionali e per fornire un servizio continuativo al di fuori dell'orario di lavoro normale. Sorprende il fatto che poche imprese chiedano in realtà ai propri lavoratori il loro consenso scritto a tal fine, il che fa pensare a carenze nella conoscenza delle regole e nell'ottemperanza.

Nei servizi pubblici (sanità, assistenza in istituzioni residenziali, servizi antincendio e polizia), le limitazioni di bilancio, l'accresciuta domanda di servizi e la carenza su scala mondiale di lavoratori qualificati hanno indotto i datori di lavoro a cercare modi per aggirare le regole della direttiva per quanto concerne i servizi di guardia e il riposo compensativo.

L'attuale quadro giuridico è ritenuto in generale favorevole ai lavoratori poiché lascia loro spazio per negoziare o ottenere condizioni lavorative e retributive migliori in mercati in cui l'offerta non è in grado di soddisfare una domanda accresciuta di personale qualificato. In certi casi però, in assenza di un opt-out, si può anche verificare una perdita di reddito. Esso può anche fungere da catalizzatore per guadagni di efficienza e misure per migliorare l'equilibrio lavoro/vita privata nell'interesse dei lavoratori e della qualità del servizio ai cittadini.

Il ricorso all'opt-out è riscontrabile nei settori sia pubblico che privato, essenzialmente laddove la continuità dell'assistenza e del servizio è resa necessaria o è richiesta da condizioni concorrenziali. L'opt-out non è considerato alla stregua di una "opzione facile" per ovviare alle disposizioni della direttiva, ma è stato usato quale strumento di flessibilità, soprattutto nel settore pubblico, per tener conto di particolari attività, di carenze di risorse e di forme specifiche di lavoro atipico. Vi sono anche indicazioni del fatto che esso è usato in certi casi per ovviare al rischio di carenze di personale in periodi critici.

OPZIONI DI RIESAME

Le regole centrali della direttiva sull'orario di lavoro sono contenute anche nella Carta UE dei diritti fondamentali, la quale recita all'articolo 31, paragrafo 2:

"Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite."

La Corte di Giustizia ha inoltre ripetutamente sostenuto che le disposizioni della direttiva in tema di durata massima del lavoro, ferie annuali retribuite e periodi minimi di riposo "costituiscono disposizioni della normativa sociale comunitaria che rivestono importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare" [21].

La Commissione attribuisce il giusto peso a tali considerazioni[22]. Anche la grande maggioranza delle parti sociali UE desidera che si mantengano regole di minima a livello UE e riconosce che queste svolgono un utile ruolo socioeconomico. In effetti, nessun rispondente ha invocato cambiamenti radicali del quadro attuale, anche se molti hanno proposto una maggiore flessibilità per quanto concerne la sua applicazione.

Per tale motivo la Commissione non porterà avanti l'opzione di porre fine a un dispositivo minimo di regole comuni a livello UE, per lasciare a livello locale e/o nazionale la regolamentazione dell'orario di lavoro.

Dalle risposte delle parti sociali UE emerge un ampio consenso quanto alla necessità di modificare con urgenza le attuali regole in tema di lavoro. Questo è anche il parere della Commissione, già espresso nel documento relativo alla prima consultazione e nella relazione di attuazione.

Per tale motivo la Commissione non porterà avanti l'opzione di mantenere lo status quo.

Si registra anche un grado elevato di consenso quanto al fatto che le regole UE in tema di orario di lavoro dovrebbero consentire una maggiore flessibilità alle parti sociali interessate affinché queste possano negoziare i dettagli di attuazione a livello appropriato. Alcuni rispondenti ritengono inoltre che la regolamentazione a livello UE dovrebbe essere più chiara, più semplice, e andrebbe fatta rispettare in un modo atto a tutelare più efficacemente gli aspetti cruciali della salute e della sicurezza, riducendo nel contempo gli oneri amministrativi inutili (soprattutto per le PMI)[23] e rafforzando la concorrenzialità.

Il parere delle parti sociali diverge però ancora sui principali fattori che determinerebbero la scelta delle modifiche da apportare alle regole in tema di orario di lavoro. Non è stato pertanto possibile raccogliere un consenso su quelle che dovrebbero essere le priorità per la revisione o sul contenuto di un'eventuale direttiva modificata futura.

La Commissione deve procedere a esaminare due opzioni principali: una revisione mirata (5.1), oppure un insieme più ampio di modifiche (5.2) in relazione alle questioni evocate dalle parti sociali nelle loro risposte.

Revisione mirata

La prima opzione consiste nel proporre nuove soluzioni che affrontino in particolare le questioni dei servizi di guardia e dei riposi compensativi e che affrontino le difficoltà di attuazione della giurisprudenza SIMAP-Jaeger[24] quali sono state identificate da molte parti interessate. Dalle risposte pervenute risulta chiaro che queste due tematiche sono ritenute particolarmente importanti nell'ambito del servizio pubblico laddove sia necessario assicurare la continuità del servizio 24 ore su 24 (ad esempio nell'assistenza sanitaria, nell'assistenza in istituzioni residenziali e nei servizi antincendio e di emergenza). È anche chiaro che questi aspetti sono all'origine di un numero notevole di casi di mancata ottemperanza o di incertezza del diritto[25].

Le soluzioni privilegiate variano in certa misura tra le parti sociali, tra i diversi servizi pubblici e i diversi Stati membri. L'obiettivo consisterebbe nel trovare un appropriato quadro comune UE che consenta di pervenire a soluzioni negoziate a livello locale o settoriale che tutelino la salute e la sicurezza dei lavoratori e degli utenti e assicurino nel contempo l'erogazione di servizi di elevata qualità. Considerata l'elevata concentrazione del ricorso ai servizi di guardia (secondo la definizione delle pronunzie della Corte) in certi settori, la Commissione potrebbe anche contemplare una soluzione basata su negoziati settoriali a livello europeo: ciò però rientra nella sfera decisionale autonoma delle parti sociali.

i) Servizi di guardia

Una soluzione equilibrata per il trattamento dei cosiddetti servizi di guardia potrebbe prendere il via dal riconoscimento del principio che i servizi di guardia, in cui il lavoratore è tenuto a rimanere a disposizione del datore di lavoro sul luogo di lavoro per prestare servizio in caso di necessità, sono tempo di lavoro ai sensi della direttiva e non possono essere considerati periodi di riposo[26]. Ciò manterrebbe i principi stabiliti nelle sentenze SIMAP e Jaeger . È stato proposto però di introdurre una deroga limitata ai settori in cui è richiesta la continuità del servizio, deroga che consentirebbe di conteggiare in modo diverso i periodi di guardia (vale a dire non sempre su base oraria, ma applicando il principio di "equivalenza") entro certi limiti settimanali massimi e a patto che i lavoratori interessati ricevano una protezione appropriata.

Tale soluzione risponderebbe ai diversissimi modelli di attività legati ai servizi di guardia in diversi settori e tra diversi Stati membri. Essa conferirebbe alle parti sociali la flessibilità per trovare soluzioni a livello locale o settoriale e identificare il metodo più appropriato per il conteggio delle guardie. Ciò devierebbe dall'interpretazione della Corte nella causa Dellas[27] , ma non imporrebbe di introdurre una nuova distinzione tra periodi di guardia "attiva" e "inattiva".

Per i servizi di guardia svolti fuori dal posto di lavoro, la situazione giuridica dovrebbe essere quella esposta nella sentenza SIMAP[28] : soltanto i periodi durante i quali si è risposto a una chiamata sarebbero conteggiati quali tempo di lavoro, anche se i tempi d'attesa a casa potrebbero essere trattati in modo più favorevole nel contesto del diritto nazionale o degli accordi collettivi. Va chiarito in particolare se la deroga in materia di "equivalenza" proposta sopra si applichi alle situazioni specifiche in cui, sul posto di lavoro, sia offerto un alloggio ai lavoratori nel contesto della loro occupazione affinché possano essere disponibili per chiamate occasionali[29].

ii) Riposo compensativo

Si dovrebbero introdurre nuove disposizioni per chiarire i tempi del riposo compensativo giornaliero e settimanale. Nella sentenza Jaeger la Corte ha sostenuto che periodi di riposo minimi quotidiani non fruiti vadano presi immediatamente al termine del turno di lavoro prolungato e in ogni caso prima che inizi il successivo periodo di lavoro ("periodo di riposo immediato"). La posizione giuridica non è altrettanto chiara per quanto concerne il riposo settimanale non fruito.

Molti rispondenti invocano una maggiore flessibilità sui tempi del riposo compensativo: da recenti ricerche risultano confermati però i gravi effetti per la salute e la sicurezza derivati dal rinvio dei periodi di riposo minimi giornalieri o settimanali. Da più parti si riconosce che occorre una maggiore flessibilità per tutta una serie di situazioni specifiche. Tale flessibilità andrebbe però attentamente limitata alle situazioni in cui essa sia necessaria per motivi oggettivi e dovrebbe essere subordinata a misure generali a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori interessati.

La Corte di giustizia ha stabilito di recente[30] che, in situazioni estremamente particolari in cui le prestazioni di assistenza in istituzioni residenziali per un periodo limitato di tempo richiedono una relazione di fiducia con una persona specifica, può essere oggettivamente impossibile alternare, con la regolarità normale, i periodi di lavoro e quelli di riposo giornalieri. Nella sentenza è stato ribadito però che tale eccezione dipenderebbe dal fatto che il lavoratore riceva un'appropriata protezione alternativa atta ad assicurare un riposo e un recupero sufficienti.

La questione se il riposo settimanale vada normalmente preso di domenica, piuttosto che in un altro giorno della settimana, è estremamente complessa e solleva questioni legate agli effetti che ne deriverebbero per la salute e la sicurezza e per l'equilibrio lavoro/vita familiare, nonché altre tematiche di natura sociale, religiosa ed educativa. Ciò non significa però che questo sia un aspetto da affidare al legislatore UE: in considerazione di altre problematiche che potrebbero presentarsi risulta opportuno applicare il principio di sussidiarietà.

Riesame completo

La seconda opzione consiste nel proporre un insieme più completo di modifiche oltre ad affrontare la questione del servizio di guardia e del riposo compensativo. Questa opzione consentirebbe, nel corso del riesame, di tenere maggiormente conto dei modelli lavorativi in evoluzione e delle tendenze descritte sopra e di esaminare in modo più globale le problematiche per la salute e la sicurezza determinate da orari di lavoro eccessivi. Diverse parti sociali desiderano inoltre che si affrontino alcune delle tematiche esposte qui di seguito:

i) Maggiore flessibilità per i nuovi modelli lavorativi

Le regole dell'UE dovrebbero corrispondere alla perdurante tendenza a forme più flessibili di organizzazione del lavoro e ad orari di lavoro personalizzati. L'obiettivo è pervenire a una flessibilità mirata e sostenibile nell'ambito delle regole in materia di orario di lavoro, con conseguenti guadagni di produttività e di concorrenzialità legati però a una protezione efficace contro i rischi per la salute e la sicurezza.

I pareri dettagliati riportati qui di seguito concernenti i lavoratori operanti autonomamente, l'equilibrio lavoro/vita privata e i contratti di lavoro multipli si rifanno in particolare ai commenti delle parti sociali su tali aspetti.

Si potrebbero inoltre contemplare i seguenti cambiamenti, ferma restando un'appropriata protezione della salute e della sicurezza:

- possibilità di una flessibilità ulteriore nel decidere l'organizzazione dell'orario di lavoro nell'ambito della contrattazione collettiva, a patto che si soddisfino determinati requisiti chiave,

- deroghe per consentire periodi di riferimento superiori a 12 mesi, in casi specifici, da concordarsi tra le parti sociali,

- estensione del periodo di riferimento in modo da fare una media dell'orario di lavoro su un periodo di 12 mesi, usando lo strumento legislativo previa consultazione delle parti sociali al livello appropriato, nei settori o negli Stati membri in cui non si fa uso della deroga "opt-out", nel contesto di un pacchetto che prevede anche le altre opzioni esposte qui di seguito.

ii) Equilibrio lavoro/vita familiare per tener conto delle nuove realtà demografiche

Nel mondo del lavoro si registrano importanti cambiamenti dovuti all'accresciuta partecipazione delle donne e degli anziani, al fatto che entrambi i partner hanno spesso un lavoro, a volte in orari o giornate diversi, e ai problemi posti dalla cura dei figli e dall'assistenza agli anziani. Il rapido e diffuso aumento del lavoro a orario flessibile indica quanto è forte la domanda di soluzioni più equilibrate, nonché di una maggiore individualizzazione degli stili di vita per i lavoratori di tutte le età. Il fatto di rendere più flessibili le regole in materia di orario di lavoro potrebbe aiutare gli Stati membri a raggiungere l'obiettivo UE 2020 di portare la partecipazione al mercato del lavoro al 75 % (rispetto all'attuale 69 %), in particolare aumentando ulteriormente la partecipazione delle donne e dei lavoratori anziani.

La direttiva per il momento non contiene disposizioni che facciano obbligo ai datori di lavoro di informare i lavoratori sui cambiamenti previsti nell'organizzazione collettiva del tempo di lavoro né contempla la possibilità di chiedere cambiamenti degli orari individuali. Vi sono indicazioni del fatto che ciò crea seri problemi laddove si tratta di conciliare il lavoro con la vita familiare e in generale il lavoro con la vita privata.

Si dovrebbe contemplare la possibilità di includere nella direttiva:

- l'incoraggiamento alle parti sociali affinché concludano, a livello appropriato e senza pregiudizio per la loro autonomia, accordi volti a promuovere la conciliazione delle vita lavorativa e di quella familiare,

- una disposizione in base alla quale gli Stati membri, in consultazione con le parti sociali, assicurerebbero che i datori di lavoro informino, con adeguato anticipo, i lavoratori su tutti i cambiamenti sostanziali apportati ai modelli lavorativi,

- una disposizione che faccia obbligo ai datori di lavoro di esaminare le richieste dei lavoratori di cambiamenti nei loro orari e modelli lavorativi, tenendo conto della necessità di flessibilità per entrambe le parti, e a motivare l'eventuale rifiuto di tali richieste.

iii) Modalità autonome di lavoro

Gli Stati membri possono concedere deroghe al limite di 48 ore, ai periodi di riposo e ad altre disposizioni, in applicazione dell'articolo 17, paragrafo 1, della direttiva, nel caso di lavoratori che possono determinare il proprio orario di lavoro o il cui orario di lavoro non è predeterminato. Occorre però definire in modo più chiaro questa deroga sia per rispondere ai cambiamenti nei modelli lavorativi che consentono modalità di lavoro relativamente autonomo senza chiari limiti di tempo sia anche per evitare gli abusi.

Una definizione riveduta dovrebbe indicare che tale deroga si applica soltanto ai quadri del settore pubblico o privato e ad altri lavoratori che dispongano di una reale e effettiva autonomia sia sulla quantità che sull'organizzazione delle loro ore di lavoro.

iv) Contratti multipli

Una minoranza significativa di lavoratori lavora nell'UE sulla base di contratti di lavoro paralleli stipulati con diversi datori di lavoro o, in certi casi, con lo stesso datore di lavoro. È necessario chiarire il fatto che il limite relativo all'orario di lavoro fissato nella direttiva si applica in tali situazioni ai singoli lavoratori. La Commissione ha dichiarato in precedenza che, nella misura del possibile, la direttiva va applicata lavoratore per lavoratore, considerato il suo obiettivo di proteggere la salute e la sicurezza. La sua applicazione può però essere problematica se il datore di lavoro non è al corrente degli altri lavori che il lavoratore svolge. Un primo passo può consistere nel chiarire che, se un lavoratore opera sulla base di più di un contratto per lo stesso datore di lavoro, gli Stati membri dovrebbero porre in atto meccanismi efficaci per far rispettare le disposizioni della direttiva su una base per lavoratore. Meccanismi appropriati di monitoraggio e attuazione si rivelano più complessi allorché vi sono contratti di lavoro paralleli stipulati con diversi datori di lavoro. Questo potrebbe essere un soggetto per gli scambi di buone pratiche di cui al punto ix) più oltre.

v) Campo d'applicazione della direttiva e problemi settoriali specifici

Una delle opzioni evocate da alcuni rispondenti consisteva nell'escludere certi lavoratori (ad esempio, quelli delle forze armate o i vigili del fuoco volontari) dal campo di applicazione della direttiva. Ciò appare però incoerente con la Carta dei diritti fondamentali che fa riferimento ad "ogni lavoratore" nonché con il principio di base espresso in diverse sentenze della Corte di Giustizia per cui la direttiva proteggerebbe i diritti sociali fondamentali di ogni "lavoratore"[31]. La Corte si è espressa di recente[32] sul fatto che il concetto di "lavoratore" riportato nella direttiva ha un significato autonomo ai sensi della normativa UE e si riferisce ad un rapporto di lavoro oggettivamente definito, anche se l'applicazione del concetto in casi particolari è di competenza dei tribunali nazionali.

Se tutti i lavoratori che corrispondono alla definizione oggettiva di rapporto di lavoro devono quindi rientrare nel campo di applicazione della direttiva, occorre considerare gruppi particolari quali i vigili del fuoco volontari cui è difficile applicare regole generali o farle rispettare. Essi sono considerati alla stregua di lavoratori in certi Stati membri, ma non in altri.

La situazione specifica di certi lavoratori mobili dei trasporti su strada potrebbe meritare anch'essa un'attenzione particolare. Alcune disposizioni della direttiva relative ai periodi di riposo e al lavoro notturno non si applicano a questi lavoratori[33] ed essi non sono coperti dalla direttiva settoriale 2002/15/CE. Si potrebbe pensare di procedere a una maggiore armonizzazione delle regole in tema di orario di lavoro per tutti i lavoratori mobili dei trasporti su strada indipendentemente dal tipo di veicolo che guidano, tenendo conto dell'esistenza dei requisiti specifici in materia di orari di guida, pause, periodi di riposo giornalieri e settimanali di cui al regolamento (CE) n. 561/2006.

vi) Opt-out

La questione se mantenere o meno l'opt-out incontra pareri estremamente contrastanti. Essa è stata la principale causa dell'impossibilità di pervenire a una conciliazione tra i colegislatori nel 2009. I sindacati e i datori di lavoro hanno punti di vista diversi sulla questione. È il caso quindi che la Commissione vi riservi un'attenzione particolare alla luce di indicazioni recenti quanto all'uso di tale pratica da cui emerge una proliferazione ampia e rapida dell'opt-out, in particolare in relazione ai servizi di guardia, ma in presenza di standard estremamente variegati per quanto concerne la protezione e il monitoraggio[34].

Va notato che tra i 27 Stati membri, 16 consentono attualmente l'uso dell'opt-out, ma 11 di essi lo autorizzano soltanto in settori o attività che fanno un grande uso delle guardie[35]. Non appare realistico chiedere a tutti questi Stati membri di astenersi dall'uso di tale deroga senza assicurare soluzioni alternative fattibili. È chiaro che l'uso futuro dell'opt-out nei servizi di guardia dipenderà dal modo in cui i servizi pubblici assorbiranno i cambiamenti introdotti dal presente riesame per quanto concerne i tempi di guardia e il riposo compensativo. Altre opportunità di flessibilità introdotte dalla revisione della direttiva potrebbero scoraggiare un più ampio uso dell'opt-out, come ad esempio un'estensione del periodo di riferimento per definire la media dell'orario di lavoro settimanale.

Appare quindi maggiormente sensato ridurre la necessità di fare ricorso all'opt-out nel lungo periodo mettendo a disposizione forme più mirate di flessibilità, piuttosto che riaprire un dibattito sulla sua abolizione nel quale non risulta possibile raggiungere un consenso tra le parti sociali o tra i colegislatori. È il caso di rammentare che il numero di lavoratori UE che lavorano più di 48 ore, che rappresenta ora il 9 % della forza lavoro, continua a calare anche se vi sono ancora grandi differenze tra gli Stati membri, ed è legato ad altri fattori (in particolare contratti multipli) nonché all'uso dell'opt-out.

Si potrebbe inoltre rafforzare la protezione concessa ai lavoratori che accettano l'opt-out, garantendo un monitoraggio effettivo delle ore lavorate in eccesso[36], riducendo i rischi di pressioni da parte del datore di lavoro ed assicurando che il prescritto consenso del singolo lavoratore sia dato liberamente e consapevolmente. La direttiva dovrebbe anche prevedere un meccanismo e un'efficace valutazione periodica dell'opt-out.

vii) Congedo annuale retribuito

I rispondenti hanno fatto presenti difficoltà in relazione ad un aspetto della normativa concernente il congedo annuale retribuito, cfr. le sentenze nelle cause Schultz-Hoff e Stringer[37] da cui risulta che un lavoratore assente dal lavoro per motivi (come ad esempio malattia) che esulano dal suo controllo ha tuttavia diritto al congedo annuale retribuito in relazione a tale periodo. Si tenga presente che la prova della inabilità al lavoro e i tassi retributivi durante tali assenze sono di competenza della legislazione nazionale ed esulano dal campo di applicazione della direttiva.

Il problema centrale sembra derivare da una mancanza di chiarezza quanto al fatto se un lavoratore in congedo malattia di lungo periodo possa accumulare diritti a congedo annuale retribuito in anni successivi. Una tale prospettiva costituisce un costo imprevedibile e potenzialmente sostanziale per i datori di lavoro e potrebbe avere l'effetto indesiderato di incoraggiarli a porre fine al rapporto di lavoro dei lavoratori in malattia di lunga durata prima che sia chiaro se questi possano ritornare a lavorare dopo il ristabilimento. Inoltre, un accumulo illimitato sembra andare al di là di quanto richiesto per raggiungere gli obiettivi della direttiva.

La soluzione migliore appare essere un emendamento per chiarire che gli Stati membri possono fissare opportuni tetti all'accumulo di diritti a congedo annuale retribuito in anni successivi una volta che questi superino il numero di settimane richiesto per raggiungere gli obiettivi della direttiva in tema di riposo minimo e ristabilimento [38].

viii) Legiferare meglio

Le proposte di cui sopra avrebbero per risultato la codificazione di diverse importanti decisioni della Corte e chiarirebbero diversi punti su cui vi è ancora incertezza, determinando una regolamentazione più chiara, più semplice, più trasparente ed accessibile.

L'attuale testo della direttiva è di difficile lettura ed è strutturato in modo tale da creare confusione, oltre a contenere un certo numero di disposizioni divenute obsolete. In particolare esso contiene diverse deroghe e disposizioni che si sovrappongono (ad esempio, per quanto concerne i periodi di riferimento) oltre ad alcuni doppioni e ripetizioni. Un'eventuale revisione andrebbe però effettuata usando la massima attenzione e prudenza per assicurare che il diritto sostanziale non subisca pregiudizio ed evitare simili rischi di incertezza.

ix) Misure in tema di attuazione e cooperazione

Un certo numero di rispondenti ha espresso preoccupazioni quanto all'efficace applicazione delle norme fondamentali in tema di orario di lavoro che figurano anche nella relazione applicativa della Commissione.

Si tratta di una questione importante. La Commissione è pronta a sostenere una migliore cooperazione e scambi di buone pratiche a tale proposito tra le autorità nazionali e tra le parti sociali[39], ad esempio istituendo a livello UE un comitato di esperti "orario di lavoro".

I PROSSIMI PASSI

Una direttiva riveduta sull'orario di lavoro servirà ad assicurare alle imprese ed ai lavoratori la necessaria flessibilità per attuare soluzioni innovative ed equilibrate sul posto di lavoro. Un intervento legislativo ulteriore è necessario per adattare le regole UE ai modelli mutevoli dell'orario di lavoro rispettando nel contempo l'obiettivo di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e per chiarire problemi critici di interpretazione.

La Commissione terrà conto dei risultati della presente consultazione nelle sue attività future di revisione della direttiva. In particolare essa potrebbe sospendere tali attività se le parti sociali decidessero di aprire negoziati tra loro su tali questioni in un'ottica sufficientemente ampia. Altrimenti la Commissione procederà ad adottare una proposta di modifica legislativa corroborata da una dettagliata valutazione d'impatto che tenga conto degli aspetti socioeconomici e che verrà pubblicata contemporaneamente.

Allo stesso tempo la Commissione continuerà ad usare gli strumenti giuridici a sua disposizione al fine di correggere le situazioni in cui gli Stati membri risultano non ottemperare all'attuale normativa UE, soprattutto nel caso di orari di lavoro eccessivi che abbiano effetti manifestamente negativi sulla salute e la sicurezza dei lavoratori.

QUESITI ALLE PARTI SOCIALI

La Commissione desidera pertanto sentire il parere delle parti sociali in risposta ai seguenti quesiti:

1. Le modifiche da apportare alle regole UE in materia di tempi di lavoro devono limitarsi alle problematiche dei servizi di guardia e del riposo compensativo o dovrebbero affrontare una gamma più ampia di questioni come ad esempio alcune o tutte quelle elencate alla sezione 5.2?

2. Tenendo presente il disposto dell'articolo 153 TFUE ritenete che:

a) l'opzione esposta nella sezione 5.1. sulle guardie e il riposo compensativo,

b) alcune o tutte le opzioni esposte nella sezione 5.2. relative alle altre questioni sollevate dalle parti sociali e dall'attuale riesame,

potrebbero fornire un quadro generale accettabile per affrontare le criticità esposte nelle vostre risposte alla prima consultazione?

3. Le parti sociali UE, a livello interprofessionale e settoriale, sono disposte ad intavolare negoziati su tutte o parte delle questioni sollevate nella presente comunicazione al fine di concludere un accordo che renda possibile modificare la direttiva usando le possibilità offerte dall'articolo 155 TFUE?

[1] Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003 concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (GU L 299 del 18.11.2003, pag. 9).

[2] COM (2010) 106 del 24.3.2010.

[3] Proposta originale COM (2004) 607; proposta modificata COM (2005) 246.

[4] Cfr. lo studio Deloitte del 2010, commissionato dalla DG EMPL: "Study to support an impact assessment on further action at European level regarding Directive 2003/88/EC and the evolution of working time organization". Cfr. anche: "Comparative analysis of working time in the European Union", Eurofound, 2010; "Fifth Working Conditions Survey", Eurofound, 2010; "In-depth study on health and safety aspects of working time – effects of working hours on safety, health and work-life balance", "Flexible working time arrangements and gender equality – A comparative review of thirty European countries", J. Plantenga e Ch. Remery, 2010. Il sito web della Commissione riporta inoltre i link al testo integrale di tutti gli studi menzionati, al fine di agevolare la presente consultazione.

[5] Il documento SEC(2010) 1610 fornisce una quadro dettagliato delle risposte.

[6] Cause riunite Schultz-Hoff & Stringer, C-350/06 & C-520/06 .

[7] Cfr. nota 4.

[8] 36,4 ore nella CE-12 nel 2010.

[9] Indagine Eurostat sulle forze di lavoro.

[10] Cfr. lo studio Deloitte.

[11] Cfr. Eurofound 5th Survey e Plantenga and Remery (2010).

[12] Ibidem.

[13] Risultati del progetto WORKS menzionato nello studio Deloitte.

[14] La conciliazione del lavoro e della vita familiare è ritenuta ancora un problema importante dal 18 % dei lavoratori, soprattutto quelli che fanno un lavoro a turni, servizi di guardia o più di 48 ore a settimana. Tra i lavoratori che lavorano nel week-end o che fanno i turni di notte circa due terzi ritengono utile la flessibilità per la propria vita personale, ma una minoranza rilevante non è dello stesso parere (EUROSTAT, 2004).

[15] Si può anche argomentare che la concentrazione del lavoro part-time in settori a bassa retribuzione e con scarse opportunità di carriera e formazione può ripercuotersi negativamente sulla parità tra i sessi. Cfr. J: Plantenga et al. (2010) nella nota 4.

[16] Circa 4,5 milioni di lavoratori nell'UE nel 2002 (relazione di attuazione, accordo quadro UE sul telelavoro).

[17] Cfr. Eurofound 5th Survey.

[18] Indagine sulle forze di lavoro, 2009.

[19] Cfr. lo studio Deloitte.

[20] Cfr. lo studio Deloitte nella nota 4.

[21] Dellas, Causa C-14/04; FNV , Causa C-124/05; Isère, C-428/09.

[22] Cfr. COM (2010) 573 in merito alla Carta dei diritti fondamentali.

[23] Cfr. anche COM (2010) 543 "Legiferare con intelligenza nell'UE".

[24] SIMAP , Causa C-303/98; Jaeger , Causa C-151/02.

[25] COM (2010) 802, Relazione sull'applicazione della direttiva sull'orario di lavoro; Deloitte Consulting, (2010), Study to support an impact assessment regarding Directive 2003/88/EC (cfr. nota 4).

[26] Come già sostenuto dalla Corte nella causa Vorel ( Causa C-437/05) ciò non ha implicazioni per quanto concerne i tassi retributivi che esulano dal campo di applicazione della direttiva.

[27] Causa Dellas C-14/04.

[28] SIMAP , causa C-303/98, paragrafo 50.

[29] Come nel caso, ad esempio, di portinai, gestori di campeggi, custodi di istituzioni residenziali di assistenza, certi lavoratori delle forze armate.

[30] Causa Isère, C-428/09.

[31] Cfr. nota 21.

[32] Causa Isère, C-428/09.

[33] Cfr. SEC (2010) 1611 documento di lavoro dei servizi della Commissione: Relazione sull'attuazione della direttiva sull'orario di lavoro, sezione 2.6.1.

[34] COM (2010) 802, Relazione sull'applicazione della direttiva sull'orario di lavoro; Deloitte Consulting, (2010), Study to support an impact assessment regarding Directive 2003/88/EC (cfr. la nota 4).

[35] COM (2010) 802, Relazione sull'applicazione della direttiva sull'orario di lavoro.

[36] È stato dimostrato che le attuali disposizioni contenute nell'articolo 22, paragrafo 1, sono rimaste essenzialmente inefficaci.

[37] Cfr. nota 6.

[38] Causa pendente KHS , C-214/10 e le osservazioni della Commissione sul caso.

[39] Tra i possibili esempi vi potrebbero essere scambi sull'uso del telelavoro (che ha già portato ad un accordo quadro delle parti sociali a livello di UE) o accordi quadro su modalità di lavoro innovative per assicurare la continuità dell'assistenza nei servizi pubblici assicurando nel contempo condizioni lavorative qualitativamente valide.

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