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Document 52007DC0424

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini

/* COM/2007/0424 def. */

52007DC0424

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini /* COM/2007/0424 def. */


[pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

Bruxelles, 18.7.2007

COM(2007) 424 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini

1. INTRODUZIONE

Il principio fondamentale della parità di trattamento tra le donne e gli uomini figura dal 1957 nel trattato di Roma. La riduzione del divario di retribuzione fa parte degli obiettivi della Strategia europea per la crescita e l'occupazione. Tuttavia, la “Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini”[1] rileva che il divario di retribuzione persiste nonostante le azioni intraprese e i mezzi messi in opera per combatterlo. Secondo l'indicatore del divario (non corretto) della retribuzione oraria lorda tra donne e uomini, nell'Unione europea le donne guadagnavano nel 2005 in media il 15% in meno rispetto agli uomini. Nulla indica che questa divergenza tenda a ridursi sensibilmente.

Una gran parte del divario non può essere attribuita a criteri oggettivi, segno delle diseguaglianze che persistono nei confronti delle donne sul mercato del lavoro. Le donne presentano tassi di successo scolastico superiori a quelli degli uomini in tutti gli Stati membri e rappresentano la maggioranza dei diplomati dell'istruzione superiore. Come spiegare allora che, una volta ultimati gli studi, il mercato del lavoro riserva loro condizioni meno favorevoli che agli uomini e non valorizza pienamente il loro potenziale produttivo? Un'economia moderna e competitiva non può permettersi una situazione simile, specie se si considerano le conseguenze dell’evoluzione demografica e della prevista diminuzione della popolazione attiva.

Il presente documento si colloca in questo contesto e si propone di analizzare le cause del divario di retribuzione e di presentare linee d'azione per ridurlo. La Commissione non può da sola raccogliere questa sfida perché, in numerosi settori, il centro di gravità si situa negli Stati membri e le azioni da intraprendere oltrepassano le sue competenze. Per agire contro il divario di retribuzione occorrerà quindi una mobilitazione di tutti i soggetti in causa, in particolare degli Stati membri e delle parti sociali, per fare progredire l'uguaglianza tra le donne e gli uomini sul mercato del lavoro.

2. IL DIVARIO DI RETRIBUZIONE TRA DONNE ED UOMINI: UN FENOMENOIMO COMPLESSO E PERSISTENTE

2.1. Che cosa si intende per divario di retribuzione?

Il divario di retribuzione misura la differenza relativa delle retribuzioni orarie lorde medie delle donne e degli uomini per l’insieme dell'economia. È uno degli indicatori strutturali di monitoraggio della Strategia europea per la crescita e l'occupazione[2].

I fattori all'origine del divario di retribuzione sono complessi. Un documento di lavoro dei servizi della Commissione del 2003 precisa la misura, l'analisi e le implicazioni politiche del divario di retribuzione tra donne ed uomini[3] e sottolinea la difficoltà di isolare i fattori esplicativi oggettivi del divario dagli effetti dovuti alla discriminazione diretta o indiretta o ad altri fattori.

Le differenze di retribuzione tra donne e uomini possono in parte riflettere differenze oggettive sul piano delle caratteristiche individuali (età, livello d'istruzione, esperienza acquisita) , dell' impiego (professione, tipo di contratto o condizioni di lavoro) o dell' impresa (settore d'attività o dimensione). Ad esempio, l'esperienza è generalmente rimunerativa sul mercato del lavoro. Se gli uomini hanno, in media, più esperienza delle donne, anche il loro livello di retribuzione sarà, in media, più elevato. Nondimeno, possono persistere a danno dei lavoratori pratiche di discriminazione a motivo del sesso. Accade che per un livello d'esperienza equivalente e per uno stesso lavoro la retribuzione delle donne sia inferiore, in modo deliberatamente discriminatorio, a quella degli uomini.

Tuttavia, le differenze oggettive e le pratiche apertamente discriminatorie non bastano a spiegare la persistenza del divario di retribuzione[4]. Quest'ultimo è anche legato a un certo numero di elementi d'ordine sia giuridico, sia sociale o economico, che vanno ben oltre la sola questione della parità di retribuzione per uno stesso lavoro.

Secondo il trattato (articolo 141), deve essere assicurata la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore . Questo pone il problema della valorizzazione del lavoro di ciascuno e, in particolare, della valutazione delle funzioni. La persistenza del divario di retribuzione rispecchia quindi anche una sistematica minore valorizzazione delle professioni e funzioni in prevalenza femminili rispetto a quelle in prevalenza maschili, senza che questo sia necessariamente giustificato da criteri oggettivi[5]. Ad esempio, per un eguale livello di qualificazione, la forza fisica può essere valorizzata più delle competenze in fatto di relazioni umane, o la responsabilità del capitale più della responsabilità delle persone. Si può citare l’esempio di un'impresa che di recente ha proceduto a una rivalutazione delle sue tabelle salariali equiparando gli addetti alle casse dei supermercati ai colleghi magazzinieri.

D'altra parte, il divario di retribuzione può riflettere diseguaglianze che, di fatto, influiscono principalmente sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Questo riguarda ad esempio la segregazione del mercato del lavoro. Le donne si concentrano, rispetto agli uomini, in un numero molto più limitato di settori e di professioni, che tendenzialmente sono meno valorizzati e meno remunerati di quelli in cui operano principalmente uomini. Quasi il 40% delle donne lavora nei settori della sanità, dell'istruzione o dell'amministrazione pubblica, contro soltanto il 20% degli uomini. Inoltre, le donne sono soprattutto impiegate come assistenti amministrative, commesse o in mansioni poco o punto qualificate, e queste professioni rappresentano quasi la metà dell’occupazione femminile. All’opposto, le donne costituiscono solo un terzo dei dirigenti nelle imprese dell'UE.

La segregazione è rafforzata da tradizioni e stereotipi che influiscono ad esempio sulle scelte degli indirizzi di studio, sulla valutazione e la classificazione delle professioni, ma anche sulla partecipazione all'occupazione. In particolare, le donne continuano a subire più degli uomini la difficoltà di conciliare la vita professionale e la vita privata . Questo influenza le scelte professionali e si traduce in un ricorso al tempo parziale assai più rilevante e in interruzioni di carriera più frequenti, con effetti negativi sulla loro evoluzione professionale. Circa un terzo delle donne lavora a orario ridotto, contro solo l’8% degli uomini. Anche se il ricorso a questa forma di lavoro può riflettere preferenze personali e favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, il divario tra donne e uomini rivela che il loro impiego del tempo è diverso e che l'assistenza ai familiari dipendenti è principalmente a carico delle donne. L'assenza di servizi per l’infanzia accessibili, abbordabili e di qualità accentua questo squilibrio. Inoltre, sono in netta maggioranza le donne che usufruiscono del congedo genitoriale[6]. La genitorialità riduce durevolmente il tasso d'occupazione delle donne, ma non ha effetti su quello degli uomini. Di conseguenza, il percorso professionale delle donne è più spesso interrotto, più lento e più breve e, quindi, meno rimunerativo.

Nell’interpretare l'indicatore del divario di retribuzione occorre tenere conto del fatto che esso non permette di distinguere tra i fattori esplicativi obiettivi e quelli risultanti da discriminazioni o da altri fattori.

2.2. Caratteristiche del divario di retribuzione nell'UE

Nel 2005 il divario di retribuzione tra donne e uomini era stimato del 15% nell'UE-27, cioè due punti al di sotto del livello del 1995 (v. allegato). Questa stabilità relativa contrasta con l'evoluzione nettamente positiva del tasso d'occupazione delle donne, il cui aumento è stato continuo.

Tra gli Stati membri le variazioni sono molto sensibili, poiché il divario varia dal 4% (MT) al 25% (EE, CY). Tuttavia, il divario di retribuzione non è un indicatore generale della parità tra donne uomini, in quanto riguarda soltanto i lavoratori dipendenti, e deve essere interpretato confrontandolo con gli altri indicatori relativi al mercato del lavoro. Riflette, in generale le diverse modalità di lavoro delle donne. La maggior parte dei paesi in cui il tasso d'occupazione delle donne è basso (per es. MT IT, EL, PL) presentano anche un divario inferiore alla media, che riflette la scarsa partecipazione all'occupazione delle donne poco o per nulla qualificate. Uno divario elevato è in generale associato a una segregazione del mercato del lavoro elevata (per es. CY, EE, SK, FI) o un forte ricorso delle donne al tempo parziale (per es. DE, UK, NL, AT). Anche i sistemi e meccanismi istituzionali di fissazione delle retribuzioni possono incidere sul divario di retribuzione.

Il divario di retribuzione risulta superiore alla media anche nelle imprese del settore privato[7] (25%), in cui varia fortemente secondo le caratteristiche individuali dell'impresa o dell'impiego (v. allegato statistico). Si constata ad esempio che il divario aumenta con la dimensione dell'impresa, l'età e con il livello di istruzione e di qualificazione. In altri termini, le qualifiche e l'esperienza acquisite dalle donne sono meno remunerate di quelle degli uomini. I settori nei quali è più sensibile il divario di retribuzione sono l'industria, i servizi per le imprese e le attività finanziarie.

3. COMBATTERE LA DISPARITÀ DI RETRIBUZIONE TRA DONNE E UOMINI

Combattere la disparità di retribuzione tra donne e uomini è per la Commissione europea una priorità politica, confermata nella “Tabella di marcia per la parità” adottata per il periodo 2006-2010.

Il divario di retribuzione ha conseguenze significative sulla posizione delle donne nella vita economica e sociale nel corso della vita attiva e oltre. È un ostacolo ad un'eguale indipendenza economica delle donne e degli uomini. Pesa inevitabilmente sulle scelte individuali, ad esempio per quanto concerne le modalità e la durata del lavoro, le interruzioni di carriera o la ripartizione delle responsabilità domestiche e familiari. Accentua la maggiore esposizione delle donne al rischio di povertà, in particolare nelle famiglie con un solo genitore. I suoi effetti si risentono anche dopo la vita attiva, quando il divario di retribuzione si trasforma in divario di pensione. Rivela uno spreco di risorse inaccettabile per l'economia e la società, che frena la piena realizzazione del potenziale produttivo delle donne.

Le risposte politiche messe in atto hanno sempre mirato ad agire contro tutti i fattori che sono all'origine del divario di retribuzione. Passi avanti importanti sono stati compiuti per lottare contro le discriminazioni e garantire la parità di trattamento. Numerose misure e iniziative non legislative hanno contribuito a promuovere l'uguaglianza tra le donne e gli uomini in tutti i suoi aspetti.

La persistenza del divario di retribuzione dimostra tuttavia la necessità di avviare una riflessione sulle linee d'azione specifiche per ridurre le disparità salariali ingiustificate. Quattro settori prioritari e complementari sono stati identificati. Dal punto di vista legislativo, la Commissione deve adoperarsi per dare piena attuazione e applicazione al quadro esistente, individuando le possibilità di miglioramenti. Nei settori che eccedono le sue sole competenze, la Commissione dovrà contare sull’impegno attivo di tutte le parti interessate, in particolare degli Stati membri e delle parti sociali. Si tratta in particolare di attuare pienamente la Strategia europea per la crescita e l'occupazione e di promuovere la parità salariale presso i datori di lavoro. Spetta infatti in primo luogo ai datori di lavoro applicare il principio della parità di retribuzione per un lavoro uguale o di pari valore. Infine, lo scambio di buone pratiche a livello comunitario permetterà di migliorare la conoscenza del fenomeno e di diffondere le soluzioni innovative per combatterlo.

3.1. Analizzare le possibilità di miglioramento del quadro legislativo e della sua attuazione

Il trattato di Roma sanciva già nel 1957, nell'articolo 119, il principio della parità di retribuzione tra i lavoratori dei due sessi per uno stesso lavoro. Questo articolo, diventato l'articolo 141 del trattato, impone agli Stati membri di assicurare l'applicazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o un lavoro di pari valore (v. allegato).

L'articolo 141 non afferma solo il principio di una stretta eguaglianza de jure , riconosce anche la necessità di un'eguaglianza de facto . Per questo, al paragrafo 4, precisa che tale principio non osta a che uno Stato membro, allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, mantenga o adotti azioni positive, destinate a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato

Nel 1975 il Consiglio ha adottato la direttiva 75/117/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile. Secondo questa direttiva, in particolare, il principio della parità delle retribuzioni implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l'eliminazione di ogni discriminazione fondata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.

La Corte di giustizia ha dovuto pronunciarsi varie volte su queste disposizioni, dando luogo a una giurisprudenza abbondante che ha profondamente influenzato il diritto in questo settore[8].

I principi comunitari in materia sono all'origine della maggior parte delle norme nazionali riguardanti il principio della parità di retribuzione e hanno quindi avuto un ruolo capitale nell'evoluzione della situazione delle donne sul mercato del lavoro. Tuttavia, non sono bastati a colmare il divario di retribuzione tra donne e uomini.

Il divario di retribuzione non è soltanto dovuto all'insufficienza o alla cattiva applicazione della legge, che ha comunque una funzione essenziale da svolgere[9] per migliorare la situazione.

La normativa comunitaria si è dimostrata efficace per quanto riguarda l'eliminazione delle discriminazioni dirette, quelle per cui una donna riceveva per uno stesso lavoro una retribuzione inferiore a quella di un collega uomo. Nei casi che ancora si presentano i meccanismi giurisdizionali o d’altro tipo esistenti a livello nazionale possono intervenire efficacemente.

Tuttavia, questa legislazione è stata meno efficace per garantire il rispetto del principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore. Può trattarsi, ad esempio, della diversa valorizzazione di due funzioni equivalenti in un'impresa, l'una prevalentemente esercitata da donne, l'altra per lo più da uomini. Infatti, discriminazioni di questo tipo si prestano meno ad essere combattute per mezzo di un'azione giudiziaria individuale, dato che le vittime potenziali non ne sono probabilmente consapevoli, ma anche perché è più difficile, in questi casi, raccogliere le prove della discriminazione.

Di conseguenza, senza voler anticipare i risultati dell'analisi, converrà valutare se sono opportune modifiche della legislazione comunitaria per garantire, in particolare, che nei sistemi di determinazione delle retribuzioni non intervengano discriminazioni dirette o indirette. A questo scopo, si potrebbero rafforzare le disposizioni intese ad eliminare gli elementi discriminatori per uno dei sessi nei sistemi di retribuzione.

Occorre anche esaminare il ruolo della trasparenza sotto tutti questi aspetti e analizzare in questo contesto le disposizioni riguardanti l'informazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti sulla situazione e l'evoluzione delle retribuzioni delle donne e degli uomini nell'impresa, già contenute nella direttiva 2002/73/CE.

Infine, per combattere la segregazione del mercato del lavoro, gli Stati membri potrebbero ricorrere maggiormente alla possibilità di attuare azioni positive, nel rispetto della giurisprudenza della Corte di giustizia.

La Commissione continuerà a esercitare il suo ruolo di custode dei trattati e ad assicurarsi che il diritto comunitario sia correttamente recepito e applicato. Nello svolgere questo compito, potrà appoggiarsi sugli organismi nazionali incaricati di promuovere la parità di trattamento tra donne e uomini[10].

L'applicazione del diritto risulterebbe rafforzata anche da una migliore diffusione dell'informazione e da una sensibilizzazione alle disposizioni legislative esistenti. I sondaggi mettono in evidenza la scarsa conoscenza del diritto europeo in materia di parità delle retribuzioni, di parità di trattamento e di mezzi di ricorso possibili. In media, solo un terzo dei cittadini si dichiara a conoscenza dei propri diritti in caso di discriminazione[11]. È dunque necessario continuare a informare sia i cittadini in generale, sia i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, o anche gli operatori del settore della giustizia.

Infine, la possibilità di conciliare vita professionale e vita privata favorisce un migliore equilibrio nella ripartizione dei compiti domestici e familiari tra donne e uomini e permette di conseguenza una partecipazione più continua delle donne al mercato del lavoro, il che contribuisce a ridurre il divario delle retribuzioni. La Commissione ha avviato una consultazione delle parti sociali europee sulla questione della conciliazione[12], ritenendo che sarebbe utile un aggiornamento della regolamentazione comunitaria.

La Commissione:

- proseguirà il controllo approfondito della trasposizione e dell'applicazione della normativa comunitaria negli Stati membri e si appoggerà sulla rete degli organismi nazionali di promozione della parità tra donne e uomini per contribuire a un'interpretazione e a un'applicazione uniformi del diritto in materia di parità delle retribuzioni;

- realizzerà nel 2008 un'analisi delle disposizioni attuali sotto l'aspetto della pertinenza degli strumenti giuridici rispetto alle cause del divario di retribuzione individuate e proporrà, se del caso, un adattamento della legislazione comunitaria;

- invita gli Stati membri ad attuare pienamente le disposizioni esistenti in materia di informazione dei lavoratori da parte dei datori di lavoro sulla parità di trattamento nelle imprese;

- esaminerà se sono necessari orientamenti o chiarimenti circa l'attuazione di azioni positive per lottare contro la segregazione del mercato del lavoro;

- intensificherà le azioni di informazione e di sensibilizzazione in relazione con il diritto esistente e i ricorsi in caso di discriminazione, anche nei confronti degli attori interessati del sistema giudiziario;

- se del caso, proporrà a seguito della consultazione delle parti sociali a livello comunitario misure per migliorare la conciliazione del lavoro e della vita privata e familiare, in modo da permettere alle donne e agli uomini di accedere al mercato del lavoro e di mantenervisi in condizioni di parità.

3.2. Attuare pienamente la Strategia europea per la crescita e l'occupazione

La Strategia europea per la crescita e l'occupazione costituisce uno strumento essenziale per promuovere l'uguaglianza tra donne e uomini sul mercato di lavoro, con l'appoggio attivo dei Fondi strutturali. Collegato a questa strategia, il metodo aperto di coordinamento sulla protezione sociale e l'inclusione sociale considera la promozione delle pari opportunità parte integrante degli sforzi intrapresi dagli Stati membri per rafforzare la coesione sociale nell'UE.

Nel quadro attuale della Strategia europea per la crescita e l'occupazione, la riduzione del divario di retribuzione è ripresa in due degli orientamenti integrati[13], che esortano altresì gli Stati membri a definire i loro impegni e i loro obiettivi per le priorità stabilite. Il "Patto europeo per la parità tra donne e uomini" adottato dal Consiglio europeo di primavera del marzo 2006 riflette con forza l'impegno degli Stati membri di agire risolutamente in questo settore.

Per combattere il divario di retribuzione è necessaria un'azione che prenda in considerazione tutti i fattori in gioco. Diversi Stati membri hanno intrapreso azioni miranti ad eliminare la segregazione nel mercato del lavoro, nell'istruzione e nella formazione o a favorire la conciliazione della vita professionale e della vita privata. Tuttavia, la relazione annuale della Commissione sulla crescita e l'occupazione del 2006[14] e la relazione congiunta sull'occupazione 2006-2007[15] hanno deplorato la persistenza del divario; in quest'ultimo documento si sottolinea che " soltanto due paesi si sono fissati obiettivi al riguardo (EE e FI), mentre la maggior parte degli Stati membri trascura la questione" .

La relazione della Commissione sulla parità tra donne e uomini trasmessa al Consiglio europeo sottolinea ogni anno la persistenza di un divario di retribuzione elevato e invita gli Stati membri ad adoperarsi per affrontare la questione alla radice. Sarebbe quindi auspicabile che gli Stati membri diano conto, nei loro programmi nazionali di riforma, delle iniziative specifiche che hanno attuato per combattere il divario di retribuzione, anche per quanto riguarda la segregazione del mercato del lavoro e la conciliazione della vita professionale e della vita privata. La Commissione continuerà a rendere conto dell'evoluzione del divario di retribuzione e delle risposte politiche adottate nel quadro dei meccanismi istituiti per la Strategia europea per la crescita e l'occupazione, in particolare la relazione di avanzamento annuale e la relazione congiunta sull'occupazione. Occorre anche monitorare le politiche per mezzo di statistiche coerenti, comparabili, complete e disponibili in tempo utile. Si tratterà in particolare di sviluppare la capacità d'analisi e di comprensione dei principali determinanti del divario per definire possibili linee d'azione per combatterlo in modo mirato. A tal fine, Eurostat ha istituito nel 2007 un gruppo di lavoro con gli Stati membri sull'indicatore strutturale esistente al fine di migliorarne la qualità e la comparabilità.

La Commissione

- migliorerà l'offerta e la qualità delle statistiche relative all'indicatore strutturale sul divario di retribuzione, comprese le ripartizioni necessarie e gli strumenti che permettono l'identificazione e l'analisi dei determinanti del divario, e ne garantirà una diffusione adeguata;

- valuterà il modo migliore mezzo per proseguire la lotta contro il divario di retribuzione tra le donne e gli uomini nel quadro dei prossimi orientamenti integrati 2008-2010 della Strategia per la crescita e l'occupazione;

- invita fin da ora gli Stati membri a fissare obiettivi e scadenzari nazionali di riduzione del divario di retribuzione tra donne e uomini, in base a statistiche coerenti, comparabili e complete;

- invita gli Stati membri a sfruttare pienamente le possibilità offerte dal Fondo sociale europeo, in particolare per combattere le cause, dirette e indirette, dei divari di retribuzione tra donne e uomini, migliorare l'accesso all'occupazione delle donne e ridurre la segregazione fondata sul sesso nel mercato del lavoro.

3.3. Promuovere la parità retributiva presso i datori di lavoro

L'azione dei datori di lavoro è decisiva per eliminare le disparità di retribuzione ingiustificate. È loro dovere rispettare la legislazione in materia, ma è anche nel loro interesse agire in modo responsabile per promuovere la parità tra donne e uomini in seno alle loro organizzazioni. Questo è vero per le imprese private come per quelle pubbliche. La Commissione attua un programma d'azione per le pari opportunità per il suo personale. Occorre, a tale riguardo, sottolineare la persistenza di un divario di retribuzione anche nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, dovuto soprattutto alla segregazione professionale e alla scarsa presenza delle donne ai posti dirigenziali e decisionali.

La promozione della parità non è soltanto una questione di etica, ma procura un vantaggio competitivo alle imprese in quanto permette al personale di sfruttare al massimo la sua capacità produttiva. La parità tra donne e uomini figura del resto fra i settori d'azione prioritari identificati dall'Alleanza europea per la responsabilità sociale delle imprese[16]. La Commissione invita in questo quadro l'Alleanza a proporre iniziative per valorizzare le buone pratiche di lotta contro il divario di retribuzione.

Alcuni Stati membri sostengono gli sforzi dei datori di lavoro in particolare favorendo l’istituzione di marchi attribuiti alle imprese le cui pratiche in fatto di parità professionale e di gestione delle risorse umane valorizzano la parità tra donne e uomini. La Commissione potrà promuovere lo scambio di buone pratiche in questo campo e già ora sostiene azioni di sensibilizzazione per lottare contro gli stereotipi di genere nelle imprese, in particolare con il sostegno del programma PROGRESS.

Le amministrazioni pubbliche hanno un peso rilevante nelle economie nazionali, se si considera che gli appalti pubblici rappresentano il 16% del PIL comunitario. Hanno quindi i mezzi per indurre i loro fornitori ad adottare comportamenti socialmente responsabili. A questo riguardo, le direttive 2004/17/CE[17] e 2004/18/CE[18] prevedono che " gli enti aggiudicatori possano esigere condizioni particolari in merito all'esecuzione dell'appalto (…) (che) possono basarsi in particolare su considerazioni sociali e ambientali" .

La Commissione

- invita le amministrazioni nazionali a fare il possibile per ridurre i divari di retribuzione al loro interno e a promuovere la parità retributiva presso i loro fornitori tramite le procedure di esecuzione degli appalti pubblici;

- includerà le dimensioni della parità di trattamento e della parità retributiva nella guida che prepara per il 2008 sull'integrazione dei criteri sociali nelle procedure di esecuzione degli appalti pubblici.

3.4. Sostenere lo scambio delle buone pratiche a livello comunitario

Diversi Stati membri hanno adottato iniziative nazionali per combattere il divario di retribuzione. Queste hanno soprattutto riguardato: azioni legislative a favore della parità retributiva, ad esempio per indurre od obbligare le imprese ad analizzare le divergenze ingiustificate tra i loro dipendenti e a porvi rimedio; politiche attive di parità tra i sessi, miranti in particolare ad eliminare le diseguaglianze strutturali sul mercato del lavoro; politiche salariali miranti a rivalutare le professioni scarsamente remunerate.

Una delle priorità del quadro di azioni per la parità tra donne e uomini adottato nel marzo 2005 dalle parti sociali europee è la riduzione del divario di retribuzione. Secondo la prima relazione di verifica dell'attuazione approvata all'inizio 2007, il quadro di azioni ha stimolato un gran numero di iniziative a livello nazionale, che utilizzano un'ampia gamma di strumenti, in particolare azioni di sensibilizzazione e di formazione, lo sviluppo di strumenti di confronto delle retribuzioni o la definizione di strategie di riduzione del divario.

La diversità degli approcci adottati sottolinea la complessità del fenomeno. La parità delle retribuzioni potrà essere soltanto il frutto di un'azione a tutti i livelli, condotta da tutte le parti in causa e con effetti su tutti i fattori all'origine del divario. A tale riguardo, la buona conoscenza delle poste in gioco legate al divario di retribuzione e la diffusione delle buone pratiche attuate dai vari attori per ridurre questo divario sono elementi essenziali. La Commissione sosterrà lo scambio di buone pratiche in questo campo.

L'Istituto europeo per l’uguaglianza di genere[19] potrà essere chiamato a fornire un'assistenza tecnica alla lotta contro il divario di retribuzione.

- La Commissione invita le parti sociali ad agire concretamente per realizzare la parità tra donne e uomini, e in primo luogo per ridurre il divario di retribuzione.

4. CONCLUSIONI

La parità tra donne e uomini e la non discriminazione fanno parte dei principi fondamentali dell’Unione europea. La persistenza del divario di retribuzione tra donne e uomini è il segno che le donne continuano a subire discriminazioni dirette e indirette e diseguaglianze sul mercato del lavoro e impedisce inoltre di sfruttare appieno la capacità produttiva delle donne e di raggiungere gli obiettivi della Strategia europea per la crescita e l'occupazione.

Bisogna innanzitutto approfondire l'analisi del fenomeno, che resta complesso e mal compreso. Si potranno così definire linee d'azione con precisi obiettivi e individuare i miglioramenti della normativa vigente che consentirebbero di ridurre in modo significativo il divario di retribuzione.

Questa comunicazione si propone di dare un nuovo slancio alla lotta contro il divario di retribuzione e testimonia l'impegno indefesso della Commissione a favore dell’eliminazione delle disparità retributive ingiustificate esistenti tra donne e uomini. Per raggiungere questo obiettivo, la Commissione dovrà poter contare sulla mobilitazione di tutte le parti interessate, in special modo degli Stati membri e delle parti sociali.

ANNEX

1. LEGAL FRAMEWORK

The principle of equal pay for equal work between male and female workers was embedded in the Treaty of Rome. In its current wording, article 141 EC (ex-article 119) foresees that Member States shall ensure that the principle of equal pay for male and female workers for equal work or work of equal value is applied. For the purpose of this article, "pay" means the ordinary basic or minimum wage or salary and any other consideration, whether in cash or in kind, which the worker receives directly or indirectly, in respect of his employment, from his employer. Article 141 EC foresees also that "with a view to ensuring full equality in practice between men and women in working life, the principle of equal treatment shall not prevent any Member State from maintaining or adopting measures providing for specific advantages in order to make it easier for the underrepresented sex to pursue a vocational activity or to prevent or compensate for disadvantages in professional careers" (positive actions).

On 10 February 1975, the Council adopted Directive 75/117/EEC on the approximation of the laws of the Member States relating to the application of the principle of equal pay for men and women. The Directive notably foresees that the principle of equal pay means, for the same work or for work to which equal value is attributed, the elimination of all discrimination on grounds of sex with regard to all aspects and conditions of remuneration. In particular, where a job classification system is used for determining pay, it must be based on the same criteria for both men and women and so drawn up as to exclude any discrimination on grounds of sex.

The Court of Justice developed a significant case law related to article 141 of the Treaty (ex article 119) and to Directive 75/117/EEC. In particular, the Court very soon underlined that the principle of equal pay numbered amongst the fundamental principles of the Community and could be invoked by any citizen in front on national jurisdictions (direct effect).

The Court of Justice was asked to interpret the concept of "pay" and has by this way considerably broadened its scope. The Court held that constitutes "pay" within the meaning of Article 141 EC, notably, a contribution to a retirement benefits scheme which is paid by an employer in the name of employees by means of an addition to the gross salary (case 69/80, Worringham), benefits paid by an employer to a worker in connection with the latter' s compulsory redundancy (case C-262/88, Barber), a pension paid under a contracted-out private occupational scheme (case C-262/88, Barber), a survivor's pension provided for by an occupational pension scheme (case C-109/91, Ten Over), benefits granted under a pension scheme, including survivors' benefits (case C-147/95, Ilektrismou), compensation received for losses of earnings due to attendance at training courses imparting the information necessary for performing staff council functions. (case C-457/93, Lewark), a monthly salary supplement (case C-381/99, Brunnhofer), a Christmas bonus (case C-333/97 Aboulaye). According to case C-400/93 (Royal Copenhagen), it also applies to piece-work pay schemes.

The case law of the Court has also interpreted extensively the notion of “equal work”. In case 129/79, Macarthys), the Court held that the principal should not be restricted by the introduction of a requirement of contemporaneity. In case 61/81 (Commission v. UK), the Court said that it is the responsibility of the Member States to guarantee the right to receive equal pay for work of equal value even in the absence of a system of job classification. It follows that where there is disagreement as to the application of the concept of "work to which equal value is attributed", the worker must be entitled to claim before an appropriate authority that his work has the same value as other work and, if that is found to be the case, to have his rights under the treaty and the directive acknowledged by a binding decision. In case 157/86 (Murphy), the court held that the principle covers the case where a worker is engaged in work of higher value than that of the person with whom a comparison was to be made.

A number of judgements of the Court deal with the indirect discrimination in situations of part-time work. In case 96/80 (Jenkins), the Court held that the principle applies to the payment of lower hourly rates of remuneration for part-time work than for full-time work. In case 170/84 (Bilka), the Court found that Article 119 (now 141) was infringed when an employer excludes part-time employees from its occupational pension scheme, where the exclusion affects a far greater number of women, unless the undertaking shows that the exclusion is based on objectively justified factors unrelated to any discrimination on grounds of sex. In case 171/88 (Rinner-Kühn), the Court held that this Article precluded a legislation which permits employers to exclude certain part-time employees from the continued payment of wages in the event of illness. In case C-33/89 (Kowalska), the Court ruled that a clause in a collective agreement under which employers may exclude part-time employees from the payment of a severance grant was contrary to Article 119 when in fact a considerably lower percentage of men work part-time. In case C-184/89 (Nimz), the Court declared contrary to Article 119 a collective agreement that provides for the seniority of workers performing at least three quarters of normal working time to be fully taken into account for reclassification in a higher salary grade, where only one half of such seniority was taken into account in the case of workers whose working time was inferior, where the latter group comprises a considerably smaller percentage of men than women. On the other hand, in case joint cases C-399/92, C-409/92, C-495/92, C-34/93, C-50/93 and C-78/93 (Helmig), the Court ruled that this Article did not prevent a collective agreement from restricting payment of overtime supplements to cases where the normal working hours for full-time employees were exceeded. In case, C-1/95, the Court found that it was contrary to Community law to require that, for the purpose of calculating the length of service, periods of part-time employment of one-half and two-thirds of normal working time were counted only as two thirds of normal hours, except if justified by objective criteria unrelated to any discrimination on grounds of sex. In case 281/97 (Krüger), the Court decided that an exclusion by a collective agreement from entitlement to a special annual bonus of persons in employment which involves a normal working week of less than 15 hours and normal pay not exceeding a fraction of the monthly baseline and is, on that basis, exempt from compulsory social insurance constitutes indirect discrimination based on sex, where that exclusion applies independently of the sex of the worker but actually affects a considerably higher percentage of women than men.

On the other hand, the court has admitted that a classification system use the criterion of muscular effort of the work. Nevertheless, in order for a classification system not to be discriminatory as a whole, it must take into account criteria for which workers of each sex may show particular aptitude. In case 109/88 (Danfoss), the Court ruled that when an undertaking applies a non transparent system of pay, it is up for the employer to prove that it is not discriminatory in practice. On the other hand, the Court held also that the employer had to justify the recourse to the criteria of mobility and training, but not the recourse to the criterion of length of service. In case C-127/92 (Enderby), the Court held that where significant statistics disclose an appreciable difference in pay between two jobs of equal value, one of which carried out almost exclusively by women, Article 119 requires the employer to show that the difference is based on objectively justified factors unrelated to any discrimination on grounds of sex. The fact that the pay rates were agreed by collective bargaining is not sufficient objective justification for the difference in pay. In case C-17/05 (Cadman), the Court confirmed its previous case law (Danfoss) and held that since, as a general rule, recourse to the criterion of length of service is appropriate to attain the legitimate objective of rewarding experience acquired which enables the worker to perform his duties better, the employer does not have to establish specifically that recourse to that criterion is appropriate to attain that objective as regards a particular job, unless the worker provides evidence capable of raising serious doubts in that regard.

There are other Directives in the field of equality between men and women which are relevant as far as the gender pay gap is concerned.

It is the case, notably, of Directive 76/207/EEC, as amended by Directive 2002/73/EC, which aims at implementing the principle of equal treatment for men and women as regards access to employment, vocational training and promotion, and working conditions, which states that "the application of the principle of equal treatment means that there shall be no direct or indirect discrimination on the grounds of sex in the public or private sectors, including public bodies, in relation to (…) employment and working conditions, including dismissals, as well as pay as provided for in Directive 75/117/EEC".

It has also to be noted that Directive 97/80/EC on the burden of proof in cases of discrimination based on sex applies to the situations covered by Article 141 EC and Directive 75/117/EEC. This Directive lays down that "Member States shall take such measures as are necessary, in accordance with their national judicial systems, to ensure that, when persons who consider themselves wronged because the principle of equal treatment has not been applied to them establish, before a court or other competent authority, facts from which it may be presumed that there has been direct or indirect discrimination, it shall be for the respondent to prove that there has been no breach of the principle of equal treatment".

Extracts from the Treaty establishing the European Community

Article 2

The Community shall have as its task, by establishing a common market and an economic and monetary union and by implementing common policies or activities referred to in Articles 3 and 4, to promote throughout the Community a harmonious, balanced and sustainable development of economic activities, a high level of employment and of social protection, equality between men and women (…).

Article 141

(1) Each Member State shall ensure that the principle of equal pay for male and female workers for equal work or work of equal value is applied.

(2) For the purpose of this article, "pay" means the ordinary basic or minimum wage or salary and any other consideration, whether in cash or in kind, which the worker receives directly or indirectly, in respect of his employment, from his employer.

Equal pay without discrimination based on sex means:

1. that pay for the same work at piece rates shall be calculated on the basis of the same unit of measurement;

2. that pay for work at time rates shall be the same for the same job.

(3) The Council, acting in accordance with the procedure referred to in Article 251, and after consulting the Economic and Social Committee, shall adopt measures to ensure the application of the principle of equal opportunities and equal treatment of men and women in matters of employment and occupation, including the principle of equal pay for equal work or work of equal value.

(4) With a view to ensuring full equality in practice between men and women in working life, the principle of equal treatment shall not prevent any Member State from maintaining or adopting measures providing for specific advantages in order to make it easier for the underrepresented sex to pursue a vocational activity or to prevent or compensate for disadvantages in professional careers.

2. INDICATOR "GENDER PAY GAP IN UNADJUSTED FORM"

The Lisbon strategy has stressed the need to address gender inequality in the EU labour markets, including the gender pay gap, and put forward an employment rate target for women. Structural indicators measuring the female employment rate and the gender pay gap were included. The gender pay gap (in unadjusted form) - measuring the difference in average gross hourly earnings between men and women across the whole economy and all establishments – is one of the structural indicators to monitor progress in the framework of the Lisbon Strategy.

In 2003, the Commission realised a Staff Working Paper "Gender pay gaps in European labour markets - Measurement, analysis and policy implications" (SEC(2003)937) with the purpose to review the definition of the structural indicator to monitor the overall size and evolution of the gender pay gap; to summarise recent work analysing factors related to the gender pay gap; and to discuss the implications of the results of these analyses for measuring both the gender pay gap and progress to reduce it, for data provision and for policies to tackle gender pay gaps. Excerpts from this document are provided hereafter as background information on the indicator.

2.1 . Definition

The definition currently used by Eurostat is as follows:

The gender pay gap is given as the difference between average gross hourly earnings of male paid employees and of female paid employees as a percentage of average gross hourly earnings of male paid employees. The gender pay gap is based on several data sources, including the European Community Household Panel (ECHP), the EU Survey on Income and Living Conditions (EU-SILC) and national sources. The target population consists of all paid employees aged 16-64 that are 'at work 15+ hours per week'.

Hourly earnings are obtained by dividing gross monthly normal earnings from the main job by four times the number of worked hours per week in the main job, including normal overtime, but excluding bonuses, irregular overtime, any 13th month payments and the like. EU estimates are population-weighted averages of the latest available national data, adjusted, where possible, to take into account a change in the data source. Countries without any previous gender pay gap data for a specific year are excluded from the EU estimates. Where data have been provided by the National Statistical Offices based on national sources, the indicators for these countries cannot be considered to be fully comparable.

It should also be noted that measures of the gender pay gap are sensitive to the data source, the sample restrictions and the choice of the dependent variable (hourly or monthly earnings; net or gross earnings; inclusion of bonus payments; etc.).

2.2. Explanatory factors

The gender pay gap varies considerably by individual, job and firm characteristics. While these findings provide important information on the nature of gender imbalances in the labour market, they do not allow conclusions as to the relative impact of the various factors on the overall gender pay gap. Further analyses are needed to identify the factors related to the gender pay gap. The observed gender pay gaps could be due to a whole range of factors, including:

- personal characteristics such as age, educational background, family background, presence of children, experience in the labour market, previous career interruptions and tenure on the job;

- job characteristics such as occupation, working time, contract type, job status, career prospects and working conditions;

- firm characteristics such as sector, firm size, work organisation, recruitment behaviour and the firm's compensation and human resources policies;

- gender segregation by occupation or sector;

- institutional characteristics including education and training systems, wage bargaining, wage formation and tax and benefit systems, industrial relations, parental leave arrangements and the provision of childcare facilities before and during compulsory school years; as well as

- social norms and traditions regarding education, labour market participation, job choice, career patterns and the evaluation of male- and female-dominated occupations.

The above personal, job and firm characteristics reflect systematic differences in the composition of the male and female workforce. They can reflect objective differences in productivity - which in turn would lead to differences in wages - as well as differences in incentives, opportunity costs and preferences for job and firms characteristics – which would explain systematic differences in labour market participation, job access and career progression

Many of these labour market characteristics, however, could themselves be the outcome of discriminatory processes, including institutional settings, pay policies and social norms and traditions. It is obvious that, in the presence of such ‘indirect discrimination’, gender pay gaps do not just reflect systematic pay differences due to differences in choice behaviour, productivity or labour market characteristics. Moreover, women or men could also be subject to ‘direct discrimination’ by receiving lower pay than workers with the same characteristics and job performance.

It is therefore one of the main challenges to distinguish pay differences resulting from different labour market characteristics, on the one hand, and differences due to indirect or direct discrimination, on the other, including the societal differences in the evaluation of work in male and female dominated sectors or occupations.

2.3. Implications for the gender pay gap indicator

The above analysis on the determinants of gender pay gaps in the European labour markets show to what extent these factors and their impact on gender gaps vary across Member States. They also highlight the role of both direct and indirect discrimination for the gender pay gap and the related statistical problems due to e.g. (endogenous) educational or occupational choice and (selective) labour market participation in measuring and analysing the gender pay gap, thus clarifying the difficulties encountered when adjusting gender pay gaps and interpreting the results.

The results summarised above confirm in particular the complex nature of gender equality and gender gaps in labour markets as multi-facetted social and economic phenomena, including the working of education and training, job classification and wage formation systems as well as social norms and traditions. In particular no clear borders exist between composition effects and remuneration effects. Furthermore, selection effects might complicate the analysis. The gender pay gap (in unadjusted form) gives an overall picture of gender pay equality and has therefore so far been chosen as structural indicator to measure gender inequalities in earnings and express the related challenges.

3. STATISTICS ON THE PAY GAP AND THE SITUATION OF WOMEN ON THE LABOUR MARKET

FIGURE 1 – GENDER PAY GAP IN THE EU, 2005 (%) (1)

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Source: Eurostat.

Administrative data are used for LU, Labour Force Survey for FR and MT. Provisional results of EU-SILC (Statistics on Income and Living Conditions) are used for BE, EL, ES, IE, IT, AT, PT, and UK. All other sources are national surveys. EU27 estimates are population weighted-averages of the latest available values.

(1) The gender pay gap in unadjusted form is a structural indicator adopted for the follow-up of the European Strategy for growth and employment. It is defined as the difference between average gross hourly earnings of male paid employees and of female paid employees as a percentage of average gross hourly earnings of male paid employees. The population consists of all paid employees aged 16-64 that are at work 15+ hours per week.

Table 1 – Gender pay gap (%) in the EU

(1) Estimate. (2) Break in series (3) Provisional value. |

Figure 2 - Gender pay gap, breakdown by personal characteristics (1) (%)

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Source: Eurostat: Structure of Earnings Survey 2002.

(1) The unadjusted gender pay gap (GPG) is defined as the difference between men's and women's average gross hourly earnings as a percentage of men's average gross hourly earnings. The data presented above (EU-27) covers enterprises, with 10 or more employees, in the sectors of industry and services excluding public administration (NACE Rev.1.1 C to K).

Figure 3 - Gender pay gap, breakdown by enterprise characteristics (1) (%)

[pic]Source: Eurostat: Structure of Earnings Survey 2002.

(1) The unadjusted gender pay gap (GPG) is defined as the difference between men's and women's average gross hourly earnings as a percentage of men's average gross hourly earnings. The data presented above (EU-27) covers enterprises, with 10 or more employees, in the sectors of industry and services excluding public administration (NACE Rev.1.1 C to K).

Figure 4 - Gender pay gap, breakdown by job characteristics (1) (%)

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Source: Eurostat: Structure of Earnings Survey 2002.

(1) The unadjusted gender pay gap (GPG) is defined as the difference between men's and women's average gross hourly earnings as a percentage of men's average gross hourly earnings. The data presented above (EU-27) covers enterprises, with 10 or more employees, in the sectors of industry and services excluding public administration (NACE Rev.1.1 C to K).

Figure 5 - Employment rates in the EU - 2006

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Source: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), annual averages.

Provisional data for FR and EU-27

Figure 6 - Absolute gender gap in employment rates in the EU - 1998 and 2006 (Difference between men's and women's employment rates)

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Source: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), annual averages.

Exception to the reference year : (1) 2000 : BG, CY and MT. FR, EU27: provisional data.

Figure 7 - Share of part-time workers in total employment - 2006

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Source: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), Annual results

IE: no data available, FR and EU-27 provisional data

Figure 8 - Educational attainment (at least upper secondary school) of women and men aged 20-24 in the EU – 2006

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Source: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), annual averages.

NB: BG, EL, IT, CY, MT, RO, FI : Provisional value.

Students living abroad for one year or more and conscripts on compulsory military service are not covered by the EU Labour Force Survey, which may imply lower rates than those available at national level. This is especially relevant for CY.

Figure 9 - Managers in the EU - Distribution by sex 2000 and 2006

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Source: Eurostat, Labour Force Survey (LFS), spring results.

Managers are persons classified in ISCO 12 and 13. FR 2006: provisional data. MT and CY: data lack reliability due to small sample size. IT: Change of data collection method. No data for RO in 2000

Figure 10 - Tertiary education graduates sex and by field of study EU 25- 2004

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Source: Eurostat Tertiary education graduates include all graduates of levels ISCED 5 and 6.

Figure 11 - Gender segregation in occupations in the EU - 2006

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Source: Eurostat - LFS

Gender segregation in occupations is calculated as the average national share of employment for women and men applied to each occupation; differences are added up to produce the total amount of gender imbalance expressed as a proportion of total employment (ISCO classification).

Figure 12 - Gender segregation in economic sectors in the EU - 2006

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Source: Eurostat - LFS

Gender segregation in sectors is calculated as the average national share of employment for women and men applied to each sector; differences are added up to produce the total amount of gender imbalance expressed as a proportion of total employment (NACE classification).

Figure 13 - Employment rates of women aged 20-49, depending on whether they have children (under 12) – 2005

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Source: Eurostat, European Labour Force Survey, annual averages.

No data available for DK, IE and SE.

4. EXAMPLES OF NATIONAL INITIATIVE S TO FIGHT THE GENDER PAY GAP

BE | Guidebook on job classification available for employers and trade unions to avoid and eliminate gender bias in pay systems (2006) Equal Pay Day established, with the aim of raising awareness of the public about the persistence of gender wage inequality. 2006 decision by the federal government to establish an annual report monitoring progress in reducing the gender pay gap. First report published in March 2007. |

EL | Guide for the integration of gender equality in firms, including equal pay for work of equal value, with recommendations to public administration and social partners. |

ES | Spain adopted in March 2007 a new gender equality law that notably includes provisions on fighting discrimination, allowing positive action measures in collective agreements, encouraging reconciliation of work and family life, promoting equality plans and fostering good practices (1) |

FR | Law on equality of remuneration between men and women (March 2006) strengthening women's rights in respect of maternity leave; obligation for enterprises to take steps to close the gender pay gap by 31 December 2010 and to provide for catch up salary payments to be made following maternity or adoption leave. Obligation of gender pay bargaining in companies and sectors. |

HU | Law aimed at promoting voluntary regulation on equal opportunities; Equal Opportunity Plan (EOP) to be adopted by public employers and private employers with State-owned share over 50% for each year. |

IT | Obligation for public and private firms employing more than 100 employees to provide statistical information on the employment conditions of their employees broken down by gender every two years (1991 Law on Positive Actions; Article 9, Act 125/1991). Companies to give the report to local equality advisors and trade unions. |

LU | Obligation for social partners to bargain on equal pay (law of June 2004). Collective bargaining has to include a provision concerning the implementation of the principle of equal pay between men and women. |

NL | Equal pay working group (2005) established, bringing together organisations relevant to equal pay – employees and employers organisations, the Equal Treatment Commission, the Dutch Human Resources Policy Association and the Dutch Association for Employee Participation. |

PT | Obligation for all employers to display in November in a visible place for a period of at least 30 days, the list of their staff indicating each employee's earnings (Law Nº 35/2004, of 29 July, Articles 452 to 457 and 490), with the exception of central, regional and local administrations, public institutes and other collective public entities, as well as employers of domestic service workers Training on gender equality for judges and other agents involved in the process of justice administration, promoted by the Commission for Equality in Labour and Employment |

SE | Equal Opportunities Act provides that all employers with a minimum of ten employees are required to prepare an annual equal opportunities plan as well as a plan of action for equal pay. |

UK | Equality Act (2006) places a statutory duty on all public authorities to have due regard to the need to eliminate unlawful discrimination and harassment and promote equality of opportunity between men and women. |

Source: "Gender Pay Gap – Origins and policy responses", Group of Experts on Gender, Social Inclusion and Employment, 2006

(1) Added after the completion of the report.

[1] COM(2006) 92. La risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2007 sulla tabella di marcia (P6_TA (2007) 0063) invita la Commissione ad agire per combattere il divario di retribuzione.

[2] Divario (non corretto) della retribuzione oraria lorda media tra uomini e donne in percentuale di quella degli uomini. Si veda la definizione al punto 2 dell'allegato.

[3] SEC (2003) 937.

[4] "The Gender Pay Gap – Origins and Policy Responses", Gruppo di esperti economici sul genere, l'inclusione sociale e l'occupazione,http://bookshop.europa.eu/eubookshop/FileCache/PUBPDF/Ke7606200enc/KE7606200ENC_002.pdf

[5] COM (94) 6.

[6] Eurobarometro 189/59.1.

[7] V. allegato, punto 3.

[8] V. allegato, punto 1.

[9] "Report on Equal Pay", Rete di esperti giuridici indipendenti nei settori dell'occupazione, degli affari sociali e dell'uguaglianza tra gli uomini e le donne,http://ec.europa.eu/employment_social/gender_equality/legislation/report_equal_pay.pdf

[10] Articolo 8bis della direttiva 76/207/CEE, come modificata dalla direttiva 2002/73/CE.

[11] Eurobarometro 263/65.4.

[12] SEC (2007) 571.

[13] Decisione del Consiglio 2005/600/ce, linee direttrici 18 e 22.

[14] COM (2006) 816.

[15] Doc.. 6706/07 del Consiglio.

[16] COM (2006) 136.

[17] Direttiva 2004/17/ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004.

[18] Direttiva 2004/18/ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004.

[19] Regolamento CE 1922/2006.

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